La Svizzera nell`UE?

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La Svizzera nell`UE?
Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
La Svizzera nell’UE?
Si spera che gli osservatori politici non abbiano ragione quando
partono dal presupposto che
Bruxelles non voglia negoziare
seriamente con la Svizzera sul
tema di una potenziale limitazione della libera circolazione
delle persone. In fondo diversi
membri del nostro governo
hanno notevolmente aumentato
le loro trasferte per migliorare in ogni possibile occasione
la comprensione per la posizione altamente intricata della
Svizzera dal momento dell'approvazione dell'iniziativa
contro l'immigrazione di massa. Purtroppo con la convinzione che la UE consideri i contratti bilaterali come sacrosanti e la libera circolazione delle persone come intangibile. Pertanto, qui da noi si pensa, che non saranno disponibili a nessuna concessione. Finora il Consiglio Federale non è riuscito a strappare all'EU nulla di più di una
cortese comprensione per la posizione della Confederazione. Non sono servite nemmeno le cosiddette consultazioni con il signor Juncker, la cui opinione, a Bruxelles,
conta meno di quanto molti pensino. Né i contingenti, né
la precedenza dei cittadini nazionali sono un argomento
valido per l'UE. Il nostro governo non potrà quindi più
evitare di essere concreto nei confronti della popolazione
e indicare le modalità con le quali pensa di attuare l'iniziativa contro l'immigrazione di massa votata dalla popolazione. Ammesso che abbia l'intenzione di farlo.
Nonostante tutte le previsioni pessimistiche, l'interesse
nei confronti della Svizzera non ha per nulla sofferto della
decisione popolare dell'8 febbraio 2014. Nel 2014
78'902 persone hanno spostato il proprio domicilio in
Svizzera. Pertanto un numero solo di poco inferiore a
quello del 2013 (2-7%) e sempre di molto superiore rispetto alla media degli anni passati. Il saldo dell'immigrazione dai paesi UE-8 ha registrato da solo un'eccedenza
di 11'200 persone. La clausola di salvaguardia che si è
conclusa più di un anno fa, il 1° maggio 2014, evidentemente ha generato una notevole pressione che si è ora
scaricata nel 2014. Anche se i dati relativi all'insediamento di nuove imprese attualmente sono in calo, sono però
sempre notevoli. Si tratta di un chiaro indizio che l'afflusso di forza lavoro straniera resta forte anche in presenza
di una grande incertezza e una prova dell'ottima qualità
del nostro paese. La Svizzera, che spesso parla male di se
stessa, è per molte persone – e non solo in età lavorativa
– la prima destinazione europea, insieme al Lussemburgo, molto più avanti di Svezia, Inghilterra o Germania.
Il parere dell'economista capo di Raiffeisen
28.04.2015
Raiffeisen Economic Research
[email protected]
Tel. +41 (0)44 226 74 41
Predire la morte allunga la vita.
Ripensiamo al 6 dicembre 1992, che ci riporta prepotentemente alla mente ciò che succede ora e che si discute
intensamente in tutto il paese. Il rifiuto di aderire al SEE
sembrò aver sigillato in modo definitivo il destino della
Svizzera, in quanto si credeva alle pessimistiche affermazioni di allora dei media e di ampia parte dell'opinione
pubblica. Oggi sappiamo che le cose sono andate diversamente e in modo assolutamente diverso da quanto
temuto. Dopo il collettivo piagnisteo a seguito della votazione e una temporanea paralisi, la Svizzera si è ripresa e
ha fatto fronte alla situazione. Ha rivitalizzato l'economia,
sconfitto il cartello edilizio, creato le basi per pagamenti
diretti nell'agricoltura, risanato vecchi oneri risalenti alla
crisi immobiliare e del credito e sostituito la obsoleta
tassa sul fatturato della merce con un'imposta sul valore
aggiunto più concorrenziale. Nella seconda metà degli
anni 90 poi l'economia ha ripreso forza raccogliendo
sempre più frutti dalla precedente «cura da cavallo».
Nello scorso decennio la Svizzera è addirittura cresciuta
più della media europea, nonostante i diffusi dubbi che la
Svizzera fosse minacciata da una situazione simile a quella del Giappone. Ma predire la morte, appunto, allunga la
vita.
Giù verso il livello medio
Dall'8 febbraio 2014 la Svizzera si mette di nuovo letteralmente da parte, almeno parzialmente. Improvvisamente tutto viene messo in dubbio, senza tuttavia analizzare
nulla a fondo, esattamente come a fine 1992. Naturalmente nemmeno io so come risolvere il dilemma nel
quale ci siamo cacciati. Accettare come verità assoluta il
rifiuto automatico e completo di Bruxelles non è la via
giusta. La Svizzera in fondo si è «ripresa» anche dal «no»
di allora e ha trovato una via agibile per tutte le parti,
anche grazie a un eccellente lavoro di diplomazia. Chi
afferma che questo oggi non può più funzionare, osa
troppo poco oppure non vuole uscire da una situazione
di comodità. In buona parte ciò dipende dal fatto che,
qui da noi, abbiamo raggiunto un livello di benessere
incredibilmente elevato che ci porta a temere di dover
fare delle rinunce. I timori di perdere ciò che si è acquisito pesano oggi più delle speranze che potrebbero derivare dal cambiamento della situazione generale. Questo è
un equilibrio precario, in quanto, quando prevale lo scetticismo, è ben difficile intraprendere qualcosa di nuovo,
purtroppo. Oppure si ammainano le vele e si propaga la
fuga in avanti, ovvero l'adesione all'UE, come propone
quale tema di discussione il Club Helvetique. Del resto
con argomentazioni molto deboli, quali ad esempio il
fatto che in fondo la situazione in Europa non sia tanto
negativa, come mi è successo di sentire la scorsa settimana in occasione di una tavola rotonda. Dal punto di
vista
del
debito
pubblico
rispetto
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al PIL, l'America sarebbe in una situazione ben peggiore.
E nell'Eurozona ci sarebbe assolutamente spazio per
prosperanti aree economiche con località altamente attrattive quali il Baden Württemberg, la Baviera, il Vorarlberg, la Lombardia o il Veneto e l'Alsazia-Lorena. I timori
della Svizzera di fronte all'Eurozona sarebbero quindi
esagerati giacché la situazione dell'Eurozona è molto
migliore di quanto indichi la sua fama. Si potrebbe addirittura dire che in fin dei conti un'adesione all'Eurozona
da parte della Svizzera alla fine avrebbe risultati positivi.
Mi riesce veramente difficile crederlo, e l'ho anche affermato. È possibile che un campione mondiale – e la Svizzera è un campione mondiale in fatto di interesse dei
suoi siti – resti in forma se si orienta alla media consolandosi in questo modo di essere migliore? Faccio fatica a
crederlo. Invece di muoversi verso la media, la Svizzera
dovrebbe mantenere il proprio vantaggio e cercare la
salvezza nelle regioni vicine. E precisamente in prossimità
del confine e non a Bruxelles. A Costanza, Colmar o Milano infatti per lo meno la Svizzera è conosciuta e compresa, in quanto ci sono più elementi in comune che non
con il colosso UE. Invece di una rappresentanza politica a
Bruxelles sarebbe preferibile un lavoro di convincimento
diplomatico lungo il confine, dove l'UE in fondo ancora
oggi non viene considerata come la sola e unica alternativa. E come so per esperienza, molti nel sud della Germania ammirano la Svizzera quasi più dell'UE.
Martin Neff, Economista capo di Raiffeisen________
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