Time out 2 aprile 2015
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Time out 2 aprile 2015
Menna uno e trino 2 aprile 2015 Gianni Bondini La rivista dei Maestri dello Sport si prende la libertà di contravvenire alla sua linea guida. Per passare, quand’è il caso, a mettere nella discussione on line singoli personaggi e/o avvenimenti. Stavolta non possiamo fare a meno di dire qualcosa, lo faccio personalmente, su Mennea santo o diavolo, ma sempre con le ali. Anche per mamma Rai, che grazie alla fiction di Ricky Tognazzi ha fatto registrare ascolti record (5 milioni e 300 mila la prima e 6 milioni e 800 mila la seconda puntata). Dimostrando che invece pagare diritti in dollari per la Cenerentola squillo di Hollywood (Pretty Woman) si possono trasmettere (al risparmio) favole italiane. Lo dico da uno che paga il canone. Ma andiamo al sodo. Pietro Mennea è morto il 21 marzo 2013 ed è risorto televisivamente il 29 e 30 marzo di quest’anno. Santa Fiction ha fatto il miracolo. Quella che ha tenuti incollati al teleschermo il 25 per cento dei telespettatori italiani è una favola che parla di un campione vero e non parla dell’uomo ruvido, tosto e più d’una volta non simpatico e anche un po’ aggressivo. Con quel suo intervenire in aula, all’Università o a Bruxelles, con “Sono Pietro Mennea”, che suonava come “state attenti”. Ma chissenefrega. Oggi meno di ieri, in pochi potranno dire “Mennea chi?”. E questo conta per l’atletica e per quel suo record sui 200 metri (19”72) che ha resistito 17 anni nel mondo e in Europa resiste ancora. Michele Riondino è un Mennea da fotoromanzo, Luca Barbareschi è un Carlo Vittori molto meno urticante del super tecnico di Ascoli Piceno (come lui non li fanno più). Lunetta Savino è una grande attrice e una mamma Vincenza da incorniciare, come Nicola Rignanese nei panni di papà Mennea. Manuela Di Leo (nome di fiction per l’attrice Elena Radonicich) non è quella donnacoraggio dell’avvocato Manuela Olivieri Mennea, che quando il suo Pietro correva andava alle elementari. Come il “maestro” di giornalismo Gianni Minà non è quel faccioso che abbraccia il Mennea televisivo. Ma chissenefrega e due. Hanno fatto bene Giovanni Malagò e il presidente dell’atletica Alfio Giomi ad aver concesso l’apporto dello sport e dei suoi rituali. Per i giovani potrà essere un ricostituente per pensare un po’ all’atletica e meno alle merendine. Del tal Masi televisivo nella realtà di Mennea non c’è traccia. Gianmarco Tognazzi, con stile ce lo fa odiare. Chi volesse vederci quello o quell’altro dirigente sportivo (per me) farebbe una forzatura. Perché il Masi è la “summa senza laude” degli opportunisti, maneggioni, pavidi e odiosi con i più deboli, che anche nelle stanze dello sport sono transitati. Semmai un tributo postumo va ascritto alla memoria di Primo Nebiolo. Dimenticato con superficialità. Dell’artefice del record del mondo a Città del Messico, alle Universiadi di cui era padre-padrone, nella fiction non c’è traccia. Un errore, anche se a Ricky Tognazzi dev’essere tremata la mano a cimentarsi col Nebiolo padre e anche un po’ patrigno dell’atletica mondiale. Di Mennea va detto che, pur contrattando duramente, fino all’ultimo spicciolo, con Primo, lo vegliò da solo nella camera mortuaria della clinica ai Parioli. Per un caso, c’ero. E, probabilmente, Mennea senza Nebiolo sarebbe stato un po’ meno Mennea. E viceversa. Se, poi, le fiction di sport servissero a combattere bullismo e bulimia, saremmo ancora più civili e meno favolistici.