“ La liquidazione dell`attivo, chiusura del fallimento ed effetti

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“ La liquidazione dell`attivo, chiusura del fallimento ed effetti
“ La liquidazione dell’attivo, chiusura del fallimento ed effetti conseguenti”
Il tema assegnato impone una attenta disamina dei principi generali che sottendono la
fase di liquidazione dell’attivo cosi’ come ridisegnato dalla riforma nonché la lettura
delle norme contenute nel Capo VI del Titolo II della nuova legge fallimentare. ( D. Lgs.
N.5/2006 )
La fase di liquidazione dell’attivo cosi’ come regolata dal legislatore trae spunto dai
medesimi presupposti che hanno caratterizzato i tratti generali della riforma nel suo
complesso; una sempre piu’ accentuata privatizzazione della
gestione della crisi
d’impresa, un generale depotenziamento del ruolo del giudice delegato ed un
simmetrico incremento dei poteri degli altri organi della procedura, una conseguente
attenuazione dei vincoli e dei controlli demandati all’autorità giudiziaria sempre piu’
destinataria della sola risoluzione dei conflitti piuttosto che come soggetto deputato alla
effettiva gestione della procedura.
Non è questa ovviamente la sede per sindacare la bontà di tale scelta legislativa
dovendosi l’interprete limitare a prendere atto dell’opzione di fondo considerata dal
legislatore; individuata nella eccessiva giurisdizionalizzazione del procedimento di
gestione della crisi una delle maggiori cause della inefficienza del sistema e ritenuto
come gli uffici giudiziari difettassero degli strumenti e delle competenze necessarie per
una efficace ed efficiente gestione della procedura concorsuale, si è conseguentemente
optato per una maggiore esternalizzazione di tutta una serie di attività e di passaggi
funzionali alla prosecuzione della procedura medesima.
In realtà la fase di liquidazione dell’attivo è quella che sotto il profilo sostanziale
probabilmente ha risentito e risentirà in misura minore degli effetti di questa
rivoluzione copernicana.
Non vi è dubbio come il sistema attualmente vigente preveda anche per la fase di
liquidazione dell’attivo una serie imponente di attività demandate al giudice delegato
e/o al Tribunale fallimentare.
La fase di liquidazione in generale risulta infatti sottoposta alla direzione del giudice
delegato ( art. 104 L.Fall. ) , le singole attività liquidatorie del curatore sono sottoposte alla
necessaria autorizzazione del giudice delegato ( 104 L.Fall. ), le modalità di liquidazione
di beni immobili richiamano le norme del codice di procedura civile con conseguente e
necessaria collaborazione del giudice delegato ( art. 105, 108 L.Fall. ), per la stessa
liquidazione dei beni mobili ( art. 106 L.Fall. ) è lo stesso giudice delegato a stabilire
tempi e modalità della vendita
( trattativa privata, asta informale, commissionario, ecc.)
seppure previa proposta del curatore.
In realtà nonostante questo indubbio aggravio sotto il profilo procedimentale, anche nel
sistema vigente si puo’ affermare come il vero dominus della fase di liquidazione sia
solo ed esclusivamente il curatore; il curatore decideva infatti nella massima autonomia
l’ordine con il quale i singoli cespiti dovevano essere alienati, il curatore sollecitava
presso terzi e successivamente vagliava le proposte di acquisto, il curatore esaminava le
diverse modalità di cessione del patrimonio, il curatore finiva pertanto nella realtà per
governare integralmente i tempi e le modalità della liquidazione.
Nella sostanza i poteri di controllo da parte del giudice a cui era demandata la sola
emissione del provvedimento autorizzativi, ed ancor piu’ i possibili controlli esperibili
da parte degli altri soggetti interessati alla procedura, risultavano forse indebitamente ed
ingiustificatamente compressi rendendo pressoché impossibile non solo un effettivo
controllo finalizzato ad evitare la “patologia” dell’attività liquidatoria ma anche soltanto
la sua tempestività ed efficienza.
Il legislatore della riforma ha inteso ovviare a questo inconveniente agendo su due leve
distinte; una maggiore responsabilizzazione del curatore, a cui saranno demandati
compiti diversi e ben piu’ ampi e penetranti rispetto alla normativa vigente, ed un
maggior coinvolgimento del comitato dei creditori nelle operazioni di liquidazione.
Poste queste premesse di carattere generale, appare opportuno analizzare nel merito le
nuove disposizioni normative concentrando ovviamente l’attenzione sulle novità
maggiormente significative e sulle probabili difficoltà applicative.
Art. 104 L.Fall.
Esercizio provvisorio dell’impresa del fallito
Le scelte di fondo del legislatore della novella, tra cui assume una importanza
assolutamente rilevante il tentativo di conservare l’impresa insolvente e la sua residua
capacità produttiva al tessuto sociale ed economico, non poteva prescindere dal un
tentativo di rivitalizzare l’istituto dell’esercizio provvisorio, che aveva indubbiamente
fornito una scarsa prova di efficienza.
Anche in questo caso la scelta del legislatore della riforma ha inteso investire due degli
aspetti che piu’ avevano dissuaso gli organi della procedura dal ricorso all’istituto
dell’esercizio provvisorio e cioè la naturale ed ingiustificata “ritrosia” da parte del
curatore ad assumere il rischio di gestione dell’impresa e la possibilità di intaccare
ulteriormente nel corso dell’esercizio provvisorio il già modesto patrimonio destinato
alla soddisfazione del ceto creditorio.
Posti questi obbiettivi di fondo, il nuovo art. 104 L.Fall. ha innanzitutto previsto la
possibilità di ricorrere all’esercizio provvisorio in tre distinte fasi della procedura
concorsuale ;
•
da parte del tribunale in composizione collegiale al momento della pronuncia
dichiarativa dello stato di insolvenza.
•
da parte del giudice delegato, su proposta del curatore, successivamente alla
dichiarazione di fallimento.
•
da parte del curatore al momento della predisposizione del programma di liquidazione.
La prima ipotesi, e cioè l’autonoma iniziativa del tribunale al momento della pronuncia
dichiarativa di fallimento, appare in via prognostica l’ipotesi di meno frequente
applicazione stante l’oggettiva impossibilità da parte del collegio di acquisire, al solo
esito della fase prefallimentare, elementi di natura economica, gestionale e commerciale
su cui fondare ed adeguatamente motivare tale scelta.
Peraltro possono ravvisarsi alcune fattispecie che, ove dovessero trovare fortuna nella
prassi applicativa, potrebbero rendere piu’ frequente il ricorso all’istituto da parte del
tribunale in composizione collegiale.
Soprattutto in situazioni di crisi aziendale che per la loro complessità possano prevedere
una fase prefallimentare particolarmente dilatata nel tempo ( crisi di gruppi di imprese, di
società a diverso titolo collegate ecc.) la consulenza tecnica disposta sede prefallimentare, e
sulla cui ammissibilità la giurisprudenza di merito pare da tempo essersi orientata,
potrebbe infatti consentire al Tribunale l’acquisizione di quegli elementi di natura
economica/aziendale su cui fondare e motivare la scelta dell’esercizio provvisorio
qualora la fase prefallimentare si dovesse risolvere in una dichiarazione di insolvenza.
L’esercizio provvisorio dell’impresa disposto da parte del Tribunale potrebbe inoltre
divenire di non rara applicazione qualora in sede prefallimentare dovesse trovare
frequente utilizzo lo strumento previsto dall’art. 15 comma 8 che prevede la possibilità
che durante la fase prefallimentare il tribunale possa adottare, ad istanza di parte,
provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa oggetto
della istanza di fallimento.
Qualora il provvedimento cautelare dovesse investire l’impresa nel suo complesso
appare altamente probabile che con la pronuncia dichiarativa di fallimento il Tribunale
si trovi indotto ad accedere
all’esercizio provvisorio dell’impresa medesima
disponendo già per tramite del custode giudiziario delle necessarie informazioni su cui
fondare tale scelta e ben potendo eventualmente il curatore affidare a questo stesso
custode la gestione dell’impresa con evidenti vantaggi per la continuità aziendale.
L’ipotesi prevista dal secondo comma dell’art. 104 L.Fall., esercizio provvisorio
disposto su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori,
richiama sostanzialmente il precedente art. 90 L.Fall. pur sostituendo all’autorizzazione
del tribunale in composizione collegiale il semplice decreto del giudice delegato.
Con riferimento alla richiesta autorizzazione, sembra potersi affermare il potere del
giudice delegato di valutare nel merito la proposta del curatore in ordine alla legittimità
ed opportunità dell’esercizio provvisorio, non potendosi configurare il provvedimento
del GD alla stregua di un atto dovuto.
Un’ipotesi destinata viceversa ad avere scarsa applicazione, quantomeno per una
incompatibilità tra la tempistica necessaria per addivenire a tale opzione e le esigenze di
rapidità ed urgenza sottese alla continuazione dell’attività aziendale , è la possibilità
comunque per il curatore di accedere per la prima volta all’esercizio provvisorio
dell’azienda fallita in sede predisposizione del programma di liquidazione ai sensi
dell’art. 104 ter L.Fall..
Osservato come il legislatore della riforma abbia sostituito al “ … danno grave ed
irreparabile …” quale presupposto per l’esercizio provvisorio il “ … danno grave,
purchè l’esercizio non arrechi pregiudizio ai creditori …”, la riforma ha introdotto una
serie di controlli e di autorizzazioni ben piu’ penetranti al duplice scopo di coinvolgere
maggiormente il comitato dei creditori nella gestione dell’impresa e conseguentemente
alleggerire la responsabilità prima sostanzialmente gravante sulle spalle del solo
curatore.
Il comitato dei creditori deve essere infatti convocato dal curatore almeno ogni tre mesi
per essere informato sull’andamento della gestione con possibilità, ove non ne ravvisi
l’opportunità, di richiedere al GD la cessazione dell’esercizio medesimo.
Con cadenza semestrale il curatore sarà poi tenuto a depositare in cancelleria un
rendiconto dell’attività sulla cui base lo stesso Tribunale ben potrebbe, sentiti curatore e
comitato dei creditori, disporre la cessazione dell’esercizio provvisorio.
Tale flusso informativo imporrà inevitabilmente al curatore la predisposizione di sistemi
di rilevamento tali da consentire la redazione di veri e propri report trimestrali, in grado
di fornire tutte le informazioni astrattamente rinvenibili in un vero e proprio bilancio di
esercizio e tali da offrire al lettore tutte le necessarie informazioni qualitativamente e
quantitativamente necessarie a formulare un giudizio sulla opportunità di prosecuzione
dell’esercizio provvisorio.
In conformità con gli altri istituti previsti nell’impianto di riforma è stata inoltre
espressamente disposta, in caso di esercizio provvisorio, la prosecuzione dei contratti
pendenti salvo che il curatore non intenda sospenderne l’esecuzione o scioglierli.
E’ stato inoltre espressamente affermato il principio che i crediti sorti nel corso
dell’esercizio provvisorio siano soddisfatti in prededuzione ai sensi dell’art. 111 L.Fall.
contribuendo in tal modo a superare quelle difficoltà che spesso incontravano gli organi
della procedura nel relazionarsi con i fornitori e/o finanziatori dell’impresa sottoposta
all’esercizio provvisorio, cui poteva risultare difficile comprendere la natura
prededucibile dei crediti maturati in costanza di esercizio provvisorio.
Art. 104 bis L.Fall.
Affitto dell’azienda o di rami dell’azienda
La riforma ha indubbiamente il notevole pregio di aver introdotto una specifica
disciplina per il contratto di affitto di azienda, oggi spesso utilizzato nella prassi al fine
di conservare il patrimonio aziendale e di adeguatamente valorizzarlo ai fini di una
successiva liquidazione.
Il contratto di affitto aveva infatti finito per sostituirsi, nella maggior parte dei casi,
all’esercizio provvisorio rispetto al quale presentava minori rischi “patrimoniali“ e
gravava in maniera decisamente inferiore sugli organi della procedura.
L’art. 104 bis L.Fall. ha regolato tutti gli aspetti che si erano rivelati piu’ problematici
nella predisposizione, nella stipulazione e nella esecuzione di tale contratto finendo per
recepire le prassi virtuose già emerse negli uffici fallimentari.
In particolare l’art. 104 bis è intervenuto su alcuni aspetti particolarmente significativi
del contratto di affitto e che nella prassi applicativa avevano presentato le maggiori
difficoltà e destato le maggiori perplessità;
•
criteri di scelta dell’affittuario.
•
contenuto del contratto.
•
diritto di prelazione dell’affittuario.
•
rischi patrimoniali per la massa fallimentare.
Rilevato preliminarmente come anche l’affitto di azienda debba essere autorizzato dal
GD su proposta del curatore e previo parere favorevole del comitato dei creditori, la
possibilità di addivenire alla stipula del contratto de quo è stato opportunamente reso
possibile anche prima della predisposizione del programma di liquidazione.
La prima preoccupazione del legislatore è stata quella di rendere trasparenti i criteri di
individuazione dell’affittuario, richiamando le forme previste dall’art. 107 L.Fall.;
predisposizione di adeguate stime, espletamento di procedure competitive, ampie
garanzie di trasparenza ed imparzialità, forme adeguate di pubblicità.
La scelta del contraente deve inoltre informarsi a criteri non solo esclusivamente di
natura patrimoniale ( ammontare del canone ) ma anche di garanzia dei pagamenti, di
attendibilità del piano prospettato, di salvaguardia dei livelli occupazionali.
Il contratto, da stipularsi nelle forme dell’art. 2556 c.c. dovrà inoltre prevedere il diritto
del curatore di procedere alla ispezione dell’azienda, la prestazione di idonee garanzie
per tutte le obbligazioni derivanti dal contratto, il diritto di recesso del curatore previa
corresponsione di adeguato indennizzo.
Il mancato inserimento nel contratto delle clausole previste per legge potrebbe condurre
alla sostituzione automatica delle clausole contra legem con quelle secundum legem
specie con riferimento al diritto di ispezione ed al diritto di recesso, sino alla possibile
declaratoria di nullità del contratto medesimo in caso di mancato rilascio
delle
prescritte garanzie.
E stato inoltre espressamente regolamentato il diritto di prelazione dell’affittuario,
questione che nella normativa vigente aveva creato non pochi problemi agli organi della
procedura in occasione della successiva liquidazione di aziende condotte in affitto.
Il diritto di prelazione puo’ essere infatti concesso convenzionalmente all’affittuario
previo parere favorevole del comitato dei creditori e dietro espressa autorizzazione del
giudice delegato.
Una volta esaurite le procedure di determinazione del prezzo di vendita cui comunque il
curatore deve ritenersi obbligato, lo stesso curatore entro dieci giorni è tenuto a darne
comunicazione all’affittuario il quale nei cinque giorni immediatamente successivi puo’
esercitare il diritto di prelazione.
Da ultimo la riforma ha rimosso uno degli inconvenienti che, ove non espressamente
cautelato al momento della stipula del contratto attraverso il rilascio di idonee garanzie,
poteva provocare e spesso ha provocato un danno significativo alla massa concorsuale.
È stata infatti espressamente esclusa, in deroga agli artt. 2112 e 2560 c.c., qualunque
responsabilità della procedura per debiti maturati dal momento della sottoscrizione del
contratto sino alla retrocessione
dell’azienda eventualmente
non onorati
dall’affittuario.
Un breve inciso merita di essere introdotto in questa sede.
In entrambe le ipotesi di esercizio provvisorio e di affitto di azienda gli atti della
procedura appaiono subordinati alla autorizzazione del comitato dei creditori o piu’ in
generale alla espressione di un parere favorevole.
Quidi iuris in caso di parere contrario ovvero di mancato rilascio del parere e/o
dell’autorizzazione prescritta ?
L’art. 36 L.Fall. prevede espressamente che contro i dinieghi del comitato dei creditori,
il fallito ed ogni altro interessato possano proporre reclamo al giudice delegato per
violazione di legge entro otto giorni dalla conoscenza dell’atto o, in caso di omissione,
dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere.
Peraltro è stato correttamente osservato come la violazione di legge sia destinata a
rivelarsi una ipotesi residuale ( sicuramente nel caso di conflitto di interessi anche di uno solo dei
componenti ) con la conseguenza che una evidente difformità di vedute in ordine alla
gestione della procedura concorsuale tra il curatore ed il comitato su questi aspetti
specifici, che si concretizzi in reiterati dinieghi alle richieste formulate, non potrà che
essere destinato a sfociare in una revoca del curatore.
Art. 104 ter L.Fall.
Programma di liquidazione
Il programma di liquidazione puo’ dirsi la vera novità della fase di liquidazione
effettuata in ambito concorsuale.
Entro 60 giorni dalla redazione dell’inventario il curatore deve infatti predisporre quello
che è stato definito il “manifesto” della propria attività liquidatoria da sottoporre, previa
autorizzazione del comitato dei creditori, alla approvazione del giudice delegato.
Il progetto dovrà contenere
a) l’opportunità di disporre l'esercizio provvisorio dell'impresa, o di singoli rami di
azienda, ai sensi dell’articolo 104, ovvero l’opportunità di autorizzare l'affitto
dell’azienda, o di rami, a terzi ai sensi dell'articolo 104bis;
b) la sussistenza di proposte di concordato ed il loro contenuto;
c) le azioni risarcitorie, recuperatorie o revocatorie da esercitare;
d) le possibilità di cessione unitaria dell'azienda, di singoli rami , di beni o di rapporti
giuridici individuabili in blocco;
e) le condizioni della vendita dei singoli cespiti.
Il programma di liquidazione, se è sicuramente destinato ad alleggerire il compito
squisitamente “burocratico” del curatore in quanto è previsto che l’approvazione del
programma tenga luogo delle singole autorizzazioni eventualmente necessarie ai sensi
di legge, pone indubbiamente una serie di problematiche di non agevole soluzione.
Innanzitutto è facile rilevare come il termine concesso di 60 giorni dalla redazione
dell’inventario appaia probabilmente un termine eccessivamente ridotto per consentire
l’analitica predisposizione del progetto nei termini che di seguito si tenterà di
tratteggiare.
D’altra parte se è pur vero che l’art. 104 ter al V° comma prevede la possibilità per il
Curatore di presentare con le medesime modalità successive integrazioni al programma
di liquidazione è opportuno ribadire sin d’ora come questa ipotesi debba ritenersi
confinata a casi effettivamente residuali senza che possa divenire la prassi, pena la
perdita di efficienza del sistema nel suo complesso.
Occorre subito osservare come il termine di giorni 60 non appaia di natura perentoria
non essendo prevista alcuna sanzione per il suo mancato rispetto ad eccezione
ovviamente della possibilità di procedere alla revoca del curatore in caso di
ingiustificata e reiterata inerzia.
Appare oggettivamente pleonastico discutere se il termine di 60 giorni debba intendersi
con riferimento alla data della predisposizione del programma salvo poi doversi
attendere il parere del comitato dei creditori ovvero se detto termine debba essere inteso
come termine per il perfezionamento di tutto l’iter formativo del programma medesimo,
posta la natura non perentoria del termine medesima e la inevitabile, seppure poco
auspicabile, prassi che renderà ben difficile il rispetto del termine previsto.
Sembra in ogni caso applicabile l’art. 154 c.p.c. secondo cui il giudice, prima della
scadenza, possa prorogare anche di ufficio il termine che non sia stabilito a pena di
decadenza, come nel caso di specie, per un periodo non superiore al termine originario,
proroga rinnovabile ulteriormente “per motivi particolarmente gravi e con
provvedimento motivato”.
Il programma deve essere depositato al comitato dei creditori per l’approvazione senza
che la norma abbia previsto un termine entro il quale il C.d.c. sia tenuto ad esprimersi.
Si è peraltro ritenuta ancora una volta l’applicabilità analogica del dettato dell’art. 41
comma 3 L.Fall. che fissa il termine di giorni 15 da quando la richiesta di concessione del
parere sia pervenuta al Presidente del C.d.c. .
Pacifica deve ritenersi la possibilità per il C.d.c. di richiedere integrazioni e chiarimenti
al curatore cosi’ come deve ritenersi che , in caso di parere negativo, il Curatore non
possa procedere alla trasmissione del programma al GD ma debba provvedere ad una
sua eventuale modificazione e/o riformulazione.
Una volta predisposto il programma ed ottenuto il parere favorevole del C.d.c. lo stesso
deve essere depositato al GD per l’approvazione.
La norma non ha previsto alcun termine entro il quale il GD sia chiamato ad esprimere
il proprio parere e tale scelta deve ritenersi compatibile con la possibilità per il GD di
chiedere al curatore integrazioni e/o precisazioni sulle modalità di redazione ed
esecuzione del programma.
Dovendosi ritenere preclusa la possibilità di procedere ad una mera approvazione
parziale del programma di liquidazione il giudice sarà conseguentemente chiamato ad
approvare o meno il programma medesimo nella sua integrità.
Pacifica deve ritenersi la possibilità da parte del GD di non approvare il programma
presentatogli posto che il termine “approvazione” assume un evidente valore e
contenuto gestorio senza pertanto che il parere favorevole del C.d.c. possa assumere per
il giudice stesso alcun valore vincolante.
Nel caso in cui il Programma non sia approvato il provvedimento del G.D. dovrà
ovviamente esplicitare i punti o gli aspetti del Programma non condivisi per consentire
agli interessati , primo fra tutti il Curatore, il reclamo al tribunale ex art. 26 L.Fall.
Una questione di non poco conto è destinata ad investire l’accessibilità ai creditori ed ai
terzi eventualmente interessati del documento “programmatico”, documenti in cui
possono essere contenute anche informazioni di natura riservata; basti infatti pensare
alla necessità per il curatore di indicare le azioni recuperatorie, risarcitorie e revocatorie
e la possibilità che nelle more tra il deposito del programma e l’effettiva instaurazione
del giudizio i soggetti interessati possano porre in essere atti dispositivi del proprio
patrimonio.
A prescindere dall’evidente obbligo di riservatezza che incombe sui componenti del
comitato dei creditori, a cui inevitabilmente il programma di liquidazione dovrà essere
mostrato ai fini del rilascio della prescritta autorizzazione ( qui puo’ assumere una certa
rilevanza la posizione interessata di alcuni dei componenti del comitato qualora fossero a loro volta
direttamente destinatari di azioni recuperatorie ) sarà quindi necessario predisporre una prassi
idonea a garantire la riservatezza del dato sensibile.
L’art. 90 L.Fall. novellato prevede la formazione presso la cancelleria di un fascicolo
contenente tutti gli atti del procedimento esclusi quelli che per ragioni di riservatezza
debbano essere custoditi separatamente.
Comitato dei creditori e fallito, quest’ultimo con la sola eccezione della relazione del
curatore e degli atti eventualmente riservati, hanno diritto all’accesso a tutti gli atti del
procedimento mentre per gli altri soggetti interessati tale facoltà è subordinata alla
autorizzazione del GD previo parere del curatore.
Se deve ritenersi pacifico che i creditori eventualmente interessati debbano formulare
rituale istanza per poter accedere al programma di liquidazione sarà forse opportuno,
soprattutto con riferimento alla posizione del fallito ma soprattutto agli amministratori
della società fallita, che il programma di liquidazione sia mantenuto tra gli atti riservati
al fine di consentire al giudice la segretazione di informazioni ritenute sensibili.
Con riferimento al contenuto del programma di liquidazione, l’art. 104 ter L.Fall.
richiede l’indicazione delle modalità e dei termini di realizzazione dell’attivo con
particolare riferimento ad alcune categorie di beni e/o di azioni potenzialmente
produttive di effetti patrimoniali.
Pur non avendo il legislatore precisato il grado di analiticità e di approfondimento
dell’informazione richiesta, appare evidente come il programma non possa limitarsi ad
una mera compilazione e ricognizione dell’elenco dei beni e delle azioni esercitate o
esercitabili, pena l’evidente impossibilità per il GD e per il C.d.c. di esprimere i
necessari pareri.
Il curatore sarà pertanto tenuto non solo ad indicare la tempistica e le modalità di
cessione dei singoli beni mobili ed immobili ma anche a giustificare le motivazioni che
sottendono alle scelte liquidatorie ( singoli beni o complesso di beni, modalità e prezzi delle
vendite immobiliari, eventuali criteri di cessione dei crediti e/o di loro riscossione ecc. ).
Alla stessa stregua dovrà indicare l’opportunità e la fondatezza delle azioni
recuperatorie, revocatorie o risarcitorie da intraprendere, la possibilità di procedere alla
loro eventuale cessione, la sussistenza di proposte di concordato solo ove già
formalizzatesi nonché ragioni economico/finanziarie del pur possibile esercizio
provvisorio e di affitto di azienda.
L’analiticità
di
tale
prospettazione
deve
ritenersi
indifferibile
in
quanto
indissolubilmente connessa al principio secondo cui l’approvazione del programma
sostituisce le singole autorizzazioni eventualmente necessarie ai fini della presente
legge.
E’ inoltre importante che tale programma sia il piu’ possibile analitico anche in ragione
del fatto che residua in capo ai creditori insinuati il potere, seppure residuale, di
procedere ad esecuzioni individuali.
Il curatore infatti può, previa autorizzazione del comitato dei creditori, rinunciare alla
liquidazione d uno o piu’ beni qualora l’attività di liquidazione dovesse non ritenersi
conveniente, beni che una volta tornati nella disponibilità del debitore potrebbero
divenire oggetto di azioni esecutive da parte dei singoli creditori.
Solo un rapido cenno merita la nuova lettera dell’art. 102 L.Fall. che nel recepire una
delle indicazioni della legge delega e soprattutto indicazioni e istanze da tempo
sollecitate dalla dottrina consente che il Tribunale, con decreto motivato da adottarsi
prima dell’udienza per l’esame dello stato passivo, su istanza del curatore depositata
dieci giorni prima dell’udienza stessa, corredata da una relazione sulle prospettive di
liquidazione, sentito il C.d.c. ed il fallito, disponga non farsi luogo all’accertamento del
passivo se risulta che non possa essere acquisito attivo da distribuire ad alcuno dei
creditori che abbiano chiesto l’ammissione al passivo, salva la soddisfazione dei crediti
prededucibili e delle spese di procedura.
Il Tribunale sembra tenuto, in questa ipotesi, a provvedere in conformità senza cioè
alcuna possibilità di disattendere la richiesta, salve evidenti facoltà di richiedere
integrazioni e chiarimenti sulla richiesta medesima al fine di valutane l’effettività dei
presupposti.
Si pone un problema di coordinamento tra la “relazione sulle prospettive di
liquidazione” ed il “programma di liquidazione ”, problema vieppiù aggravato dai
tempi imposti a curatore per entrambe gli incombenti.
Sostanziale identità si potrà verificare, peraltro in fattispecie poi non cosi’ rare, che il
curatore si avveda da subito della sostanziale assenza di una qualsiasi possibilità di
reperimento di attivo ( incluse ovviamente azioni di responsabilità, azioni revocatoria ecc. )
In questo caso il curatore predisporrà e depositerà al Tribunale la “relazione sulle
prospettive di liquidazione” negativa e pressoché contestualmente un programma di
liquidazione di medesimo contenuto ( occorre ricordare come il programma di liquidazione possa
anche tenere conto di beni effettivamente rinvenuti ma il cui possibile ricavato non giustifichi i costi
della fase liquidatoria vera e propria ).
In tutti gli altri casi, incluse le ipotesi in cui l’eventuale attivo oggetto del programma di
liquidazione dovesse consentire al piu’ la soddisfazione dei crediti prededucibili e delle
spese di procedura, le strade ed i contenuti dei due provvedimenti appaiono destinati a
differenziarsi.
E’ opportuno evidenziare come l’istanza ex art. 102 possa ritenersi presentabile, ai sensi
del 2° comma dello stesso articolo, sino al decreto di chiusura dello stato passivo che è
la fase che ritiene definitivamente conclusa la fase di verificazione cristallizzando
definitivamente il passivo concorsuale.
Inutile dire come tale attività del curatore assuma un duplice ed importante significato
tal da imporre la massima attenzione ; da una parte evita i costi ed i tempi di una fase di
verificazione inutile e dall’altra preclude in via definitiva la possibilità di proseguire il
fallimento che verrebbe con tutta probabilità chiuso in tempi molto rapidi ai sensi degli
artt. 118/119 L.Fall.
Art. 107 L.Fall.
Modalità delle vendite
Gli artt. 105, 106, 107, 108 bis e 108 ter regolamentano le modalità di cessione degli
assets piu’ significativi ipoteticamente rinvenibili nel patrimonio dell’imprenditore
fallito.
Tale puntuale normazione ha il duplice scopo di fornire i criteri guida che poi verranno
fatti propri dal curatore nella redazione del programma di liquidazione e di fornire allo
stesso curatore le direttive per procedere alla liquidazione dei beni anche prima del
deposito del programma di liquidazione, ipotesi questa espressamente prevista dal VI°
comma dell’art. 104 ter ovvero in tutti quei casi per cui l’approvazione del programma
di liquidazione dovesse riscontrare un significativo ritardo.
La novità piu’ significativa della riforma è certamente quella di aver abolito ogni
distinzione tra le modalità di liquidazione dei beni immobili e mobili e di avere
conseguentemente disancorato l’attività liquidatoria del curatore da tutta una serie di
rigidità formali e procedurali.
Il curatore è infatti lasciato totalmente libero di optare per le modalità di liquidazione
ritenute piu’ confacenti alle esigenze di realizzo, essendosi limitato il legislatore a
fissare alcuni principi destinati a regolare tale attività, principi peraltro mutuati da prassi
“virtuose” che alcuni tribunali di merito hanno introdotto nel corso degli anni.
Il curatore dovrà esclusivamente garantire il ricorso a procedure di sollecitazione del
mercato, anche attraverso adeguate forme di pubblicità, idonee ad assicurare la massima
trasparenza e partecipazione degli interessati.
In questo ambito potranno poi essere previste forme di vendita a busta chiusa, con
incanto, eventualmente anche davanti ad un notaio ovvero attraverso gare informali
avanti allo stesso Curatore.
Ugualmente il curatore potrà rivolgersi a soggetti specializzati od a vari figure di
commissionari, per i quali un apposito Regolamento Ministeriale dovrebbe essere
chiamato a fissarne i requisiti di professionalità ed onorabilità.
Resta ovviamente invariato il potere del curatore di subentrare nelle procedure esecutive
pendenti mobiliari ed immobiliari cosi’ come la facoltà su propria istanza di ottenere dal
giudice dell’esecuzione la declaratoria di improcedibilità.
Il II° comma dell’art. 107 conferisce inoltre al curatore il potere di sospendere la vendita
ove pervenga offerta irrevocabile d’acquisto migliorativa per un importo non inferiore
al 10 % del prezzo offerto.
Tale potere discrezionale dovrà peraltro essere utilizzato con la massima cautela ( per
esempio richiedendo idonee forme di garanzie e di cauzione sull’offerta migliorativa ) onde evitare
che si risolva in un escamotage utilizzato dal fallito o da terzi interessati per ritardare o
procrastinare le operazioni di vendita.
L’art. 108 conferisce inoltre al giudice delegato, su istanza del fallito, del C.d.c. o di
altri interessati, previo parere del c.d.c., la facoltà di sospendere con decreto motivato le
operazioni di vendita qualora
•
concorrano gravi e giustificati motivi. ( violazioni di legge, eventuali turbative d’asta
ma anche situazioni di mercato che abbiano significativamente alterato il valore del
bene medesimo )
ovvero impedire il perfezionamento della vendita quando, una volta depositata a cura
del curatore la relazione relativa agli esiti delle procedure,
•
il prezzo offerto dovesse risultare significativamente inferiore.
Art. 105 L.Fall.
Vendita dell’azienda, di rami, di beni e rapporti in blocco
L’art. 105 si occupa della vendita dell’azienda o di singoli rami della stessa, nonché
della vendita in blocco di beni e di rapporti giuridici.
La direttiva che il curatore deve seguire nella vendita dell’azienda deve essere il
perseguimento dell’obbiettivo del massimo realizzo in quanto il legislatore della riforma
ha espressamente previsto anche la possibilità di procedere ad una liquidazione
“atomistica” dei beni ove risulti prevedibile da tale modalità di liquidazione la
possibilità di raggiungere un maggior soddisfacimento dei creditori.
Le modalità della vendita sono quelle rinvenibili nelle modalità generali di liquidazione
previste dall’art. 107 L.Fall.
Nell’evidente tentativo di rendere piu’ efficace la vendita del complesso aziendale,
alleggerendo i vincoli previsti dalle norme di riferimento e garantendo in misura
maggiore lo stesso soggetto acquirente, il legislatore della riforma ha poi introdotto una
serie di opzioni ed ha normato una serie di fattispecie particolarmente ricorrenti.
Al 3° comma è stato espressamente previsto che, previe le necessarie consultazioni con
le rappresentanze sindacali, si possa convenire il trasferimento solo parziale dei
lavoratori alle dipendenze dell’acquirente.
Al 4° comma è stata espressamente esclusa la responsabilità dell’acquirente per i debiti
relativi all’esercizio delle aziende cedute ma sorti prima del trasferimento.
Al 5° comma è prevista la possibilità di trasferire anche le passività aziendali, a
condizione peraltro che tale cessione non comporti alcuna violazione della par condicio
creditorum, esclusa qualunque responsabilità dell’alienante ai sensi dell’art. 2560 c.c.
La vera novità, mutuata parzialmente dalle esperienze applicative della cd. Legge
Marzano, appare poi la possibilità introdotta dal comma 8° di procedere alla
liquidazione anche mediante il conferimento in una o piu’ nuove società, dell’azienda o
di rami della stessa con i relativi rapporti contrattuali in corso, esclusa ancora una volta
la responsabilità dell’alienante ai sensi dell’art. 2560 c.c..
Art. 106 L.Fall.
Vendita dei crediti, dei diritti e delle quote, delle azioni, mandato a riscuotere
La novità introdotta dalla riforma, posto come anche nel sistema previgente non vi
fossero dubbi in ordine alla possibilità per la procedura di cedere crediti anche futuri, è
la facoltà concessa al curatore di cedere le azioni revocatorie eventualmente già avviate
cosi’ come, con tutta probabilità, anche le azioni risarcitorie e restitutorie di qualunque
genere.
Ugualmente è stata per cosi’ di istituzionalizzata una prassi cui già abitualmente
ricorrevano molti tribunali fallimentari consistente nella stipulazione di mandati a
soggetti esterni per la riscossione dei crediti.
Con riferimento a.la cessione delle quote il legislatore ha poi integralmente richiamato
la disciplina dettata dall’art. 2471 c.c.
Chiusura del fallimento ed effetti conseguenti
La fase di chiusura del fallimento si puo’ affermare che non abbia subito rilevanti
modifiche, essendo infatti rimaste sostanzialmente immutate le ipotesi di chiusura del
fallimento medesimo.
L’unica novità investe l’ipotesi di chiusura del fallimento di cui al n.4) dell’art. 118 e
cioè l’insufficienza di attivo, fattispecie che deve essere necessariamente raccordata con
i nuovi istituti del programma di liquidazione e della omissione della verifica del
passivo.
È infatti possibile che il curatore, entro venti giorni prima dell’udienza fissata per la
verifica del passivo, depositi l’istanza ex art. 102 L.Fall. affinché non si faccia luogo
alla verifica stante l’impossibilità di liquidare i beni inventariati in maniera conveniente.
In questo caso il programma di liquidazione non potrà che di divenire superfluo e tale
relazione puo’ essere certamente equiparata alla relazione ex art. 33 L.Fall. richiesta dal
n.4) dell’art. 118 per procedere alla chiusura del fallimento.
In questo caso è pero’ necessario che il Tribunale disponga la chiusura del fallimento
previa audizione del curatore del comitato dei creditori.
Le due uniche novità di una certa rilevanza introdotte dal legislatore della novella
riguardano l’ultimo comma dell’art. 118 L.Fall.
La seconda parte di questo comma, al fine di eliminare problemi pratici che spesso si
erano palesati nella predisposizione del decreto di chiusura, prevede espressamente che
la chiusura del fallimento della società determini anche la chiusura del fallimento dei
singoli soci, salva l’eventuale e pur possibile concorrenza di fallimenti “ indviduali”.
Ancora, la prima parte dell’ultimo comma prevede che ove si tratti di fallimento d
società il curatore ne chieda la cancellazione dal Registro delle Imprese.
Questa disposizione appare destinata a creare alcuni problemi di coordinamento
soprattutto ove si consideri che il legislatore ha mantenuto l’istituto della riapertura del
fallimento ex art. 121 L.Fall., riapertura di fallimento che appare effettivamente
problematico poter configurare con riferimento a società di capitali già da tempo
cancellate dal competente Registro.
La impossibilità di procedere alla riapertura del fallimento sembrerebbe inoltre preclusa
anche nell’ipotesi in cui l’imprenditore abbia richiesto l’esdebitazione ai sensi dell’art.
142 L.Fall.
La chiusura del fallimento comporta poi la decadenza degli organi della procedura e la
conseguente improcedibilità di tutti i giudizi attivi promossi dal curatore nonché la
inutilizzabilità , per i creditori sprovvisti di titoli, dei provvedimenti di ammissione al
passivo per l’ottenimento di un decreto ingiuntivo.
I creditori rimasti insoddisfatti riacquistano conseguentemente il libero esercizio delle
azioni verso il debitore.
Per concludere, non si puo’ fare a meno di rilevare ancora una volta come la nuova
disciplina concorsuale, e per essa anche la fase della liquidazione, appaia un sistema
destinato a funzionare in maniera efficiente e coerente con le opzioni di fondo solo ove
si verifichino una serie di concomitanti circostanze;
•
puntuale e tempestiva emersione dello stato di crisi dell’imprenditore.
•
possibilità di ricostruire in maniera rapida ed analitica le cause del dissesto oltre che la
documentazione contabile necessaria alla verificazione del passivo.
•
tempestività da parte dei creditori procedenti nell’esercitare i propri diritti e nello
svolgere le proprie istanze.
•
tempestività del curatore, che necessariamente si dovrà dotare di strutture apposite,
nella predisposizione in tempi brevi di tutti gli incombenti previsti.
•
collaborazione degli ulteriori organi della procedura.
Solo la prassi fornirà peraltro le necessarie verifiche sulla tenuta e sulla efficienza del
sistema nel suo complesso.
Dott. Marco Lualdi