leggi il libro on-line - La chiave dei due mondi
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Ludovica Viganò La vita di un gatto randagio La mia storia: Nata il 26 febbraio 2002 a Milano. Pubblicato il libro nel quando l’ha scritto aveva nove anni e mezzo. Vive in Piazza Fontana *** vive con un gatto un Exotic Shortair crema tabby di nome Artù. Ho voluto scrivere un libro che parla di gatti perché, ogni volta che leggevo un libro con un personaggio animale, erano sempre cani. Quindi io che ho un gatto e li conosco, ho scritto un libro con personaggi i gatti e ho messo un po’ delle loro abitudini e poi aggiungendoci anche un po’ di fantasia. In allevamento quando aveva 2 mesi 2 Dedicato al mio gatto Artù e alle persone che hanno accolto sotto il proprio tetto un’animale randagio o non. 3 INTRODUZIONE A Madonna Di Campiglio viveva una gatta che partorì cinque cuccioli ma, un giorno due di essi vennero presi da una cameriera. I cuccioli rimasti in tre vagarono nella città senza meta e un giorno uno di essi trovò famiglia e rimasti in due, uno morì e rimase un cucciolo. Un giorno una donna lo trovò e lo portò in città ed esso scappò perché la donna lo picchiava ed era cattiva, incontrando la strada della sua vita e rincontrando sua sorella creduta morta. Ma essa si perse e allora il gattino si prese il compito di andarla a cercare e si fece due amici che lo aiutarono nell’avventura. 4 1 Capitolo: I cuccioli nati Una gatta nera si stava leccando il pelo, si trovava sul tetto di un hotel nel paesino in montagna di Madonna Di Campiglio. Il cielo stava calando, di qua e di là c’erano mucchi di neve bianca e grigia, la gatta si era appena accoppiata quindi doveva cercare un covo da preparare per l’arrivo dei cuccioli che sarebbero nati. La micia stava pensando che covo scegliere, scese dalle mattonelle di legno del tetto, saltò su un terrazzo dell’hotel, scivolò fino ad un altro terrazzo e ben presto arrivò a terra, nella strada innevata. A destra c’era una discesa che portava a un parcheggio con sopra un tetto di legno sorretto da quattro pali. La gatta passeggiò nel portico dell’hotel davanti a una panchina dove c’era una vecchia signora che sorrise. Sgattaiolò dietro l’angolo dell’hotel verso le cucine dove c’era una finestra da dove si vedevano i piatti sui tavolini e i cuochi che si davano da fare; in quell’angolo sbarrato da un muro, a destra c’era la pattumiera e a sinistra delle assi spezzate per terra e una pala appoggiata a un muro. La gatta si diresse verso le assi di legno, un po’ appoggiate al muro e un po’ per terra. Si nascose dietro di esse, dove c’era una conca innevata. La gatta nera si mise a scavare la neve buttandola fuori dal suo covo e vi spalmò un po’ del suo odore nella, ormai, sua tana e vi trovò anche delle foglie nel terreno. Quindi camminò verso i bidoni di spazzatura, vi si attaccò ai bordi facendoli rovesciare, si staccò ed ispezionò la pattumiera trovando gli scarti del bollito. La gatta pensò “oggi la cena è abbondante, finalmente”. La micia afferrò il bollito e ne mangiò un poco, il resto lo sotterrò sotto terra nel suo covo e si addormentò. Passarono un po’ di mesi nel quale la gatta si era indaffarata ad allargare il territorio per i cuccioli che sarebbero nati e a pulirlo dalla neve fresca. Un giorno di questi, la gatta, dopo essere entrata dalla finestra, ed essere riuscita col suo sguardo con gli occhi verdi a farsi amici i cuochi e farsi dare un cibo sostanzioso, tornò nel suo covo con le voglie in movimento. Si sdraiò e per il dolore graffiò il terreno. Dopo un paio di minuti, a fianco 5 ad essa c’era un cucciolo. Nero e cicciotto. Dopo un paio di mesi (ho voluto inventare che la cucciolata la fa in un paio di mesi, ma non è reale perché gli animali partoriscono tutti i cuccioli in un giorno), accanto ad essa, c’erano cinque cuccioli: uno nero, che era un maschio ed era nato per primo, un'altra tigrata nata per seconda, un altro grigio nato per terzo, un altro rosso con disegnini bianchi nel pelo (come il colore dell’ Exotic Shortair crema tabby) con una linguetta rosa, ruvida e calda che si leccava cortissimi baffetti nato per quarto, un'altra bianca nata per’ultima. La gatta li leccò tutti e cinque e i piccolini si avvicinarono alle mammelle per poppare. Era un giorno di Ottobre, un freddo pungente spingeva i piccoli a farli avvicinare al pelo della madre che ne teneva due grossi come il suo muso fra le zampe e gli altri con la testolina che uscivano dalle cosce attaccati al pelo della madre. Il lettore in questa spiegazione dei cuccioli messi in questa posizione dirà: “non è vero, di solito i piccoli stanno ad arco vicini alla pancia della mamma”, infatti è vero, ho voluto mettere un po’ di mio. Ogni ora qualche cucciolo usciva da sotto il pelo e andava a ciucciare il latte, ogni gattino aveva la sua mammella e anche con gli occhi chiusi la riconoscevano perché ci avevano spalmato il loro odore. 6 2 Capitolo: I cuccioli crescono I gattini crescevano, aprirono gli occhi, impararono a saltare quando la finestra era aperta e ad entrare nella cucina chiedendo il cibo al cuoco Giorgio che era l’unico che di nascosto dava alla famigliola pezzi di cibo. La madre insegnò loro anche a prendere topi che ce n’erano pochissimi ed uccelli presenti soprattutto in piazza. Insegnò ad arrampicarsi sugli alberi dove uno alla volta salirono su un albero. La madre si fermò sul primo ramo e i gattini, obbedienti la seguirono: prima il micino nero, poi quello tigrato, quello grigio e la micina bianca. Ma il gattino rosso era troppo curioso e gli piaceva arrampicarsi limando i suoi minuscoli artiglietti. Così giunse al terzo ramo e la mamma che l’aveva visto salì a prenderlo, mentre il piccino faceva il suo miagolio lungo e straziante che fanno i gattini cuccioli quando credono di non poter riuscire a fare qualcosa, in questo caso scendere. La madre lo raggiunse e lo prese dalla collottola molto delicatamente. Gli artigli dei gatti sono fatti solo in una direzione quindi la gatta non scese dal fusto dell’albero ma saltò nel secondo ramo attaccandosi con gli artigli e poi mollò la presa cadendo sulle quattro zampe nel primo ramo. Il micino s’era preso paura e la madre lo guardava severamente. Quando la madre saltò giù dall’albero mostrando ai piccoli il movimento e com’era riuscita a cadere sulle quattro zampe, la gattina tigrata che era la più veloce nel correre saltò giù senza paura e così il micino nero, il più grande e ciccione perché mangiava più degli altri e che inoltre gli piaceva la gattina sua sorella tigrata quindi la seguì, il gattino grigio che era il più gracile fece un salto e per miracolo non atterrò addosso alla madre che elegantemente si spostò indignata, il gattino rosso, il più forte fece un salto perfetto. La gattina bianca che era la più piccola, carina ed agile, non ebbe il coraggio di saltare, si sdraiò sul ramo, si leccò nervosamente la zampa studiando attentamente la profondità che la distanziava da terra, si sedette e saltò. La mamma insegnò ai piccoli anche a salire sui tetti e, la notte era un bel passatempo per i piccoli che si 7 allontanavano dalla madre e poi tornavano dopo una bella passeggiata sul tetto di mattonelle di legno. Nelle ultime settimane il colore degli occhi si stabilizzò a tutti, il micino nero aveva gli occhi verdi come la madre, la gattina tigrata marroni, il micino rosso gialli - verdi, quello grigio gialli e la gattina bianca azzurri blu, non era quel tipo di azzurro ghiaccio, gelido e freddo ma espressivi e dolci. I piccoli erano molto vivaci e giocavano insieme. Ormai tutti i cuochi e anche il metre e i camerieri erano a conoscenza dei gattini e nella giornata lasciavano quasi sempre la finestra aperta e la notte buttavano pezzi di cibo nella neve. Un giorno una cameriera uscì dalla finestra e trovando il covo della gatta vi mise una coperta e trovò anche i micini che aspettavano la mamma. Si arruffarono ma quando videro il viso conoscente, si fecero anche accarezzare. Dopo aver osservato in giro cercando con lo sguardo la gatta che non appariva, la cameriera rientrò nella finestra e rimase lì ad osservare per pochi secondi e la mamma gatta apparve ed entrò nel suo nascondiglio. Il metre entrò in cucina e chiamò la cameriera dicendole: << su, corri a sistemare i tavoli numero otto, dodici, diciassette e quello del presidente! >>. La cameriera sparì e il metre prima di uscire dalla cucina, osservò la tana dei gatti e vide il maglione. Intanto i piccoli crescevano e ben presto, quando tutti avrebbero compiuto un mese la madre li avrebbe lasciati da soli e li avrebbe scacciati dalla conca che era il suo territorio. 8 3 Capitolo: La curiosità Un giorno che nevicava di brutto e i cuochi non avevano lanciato il cibo, la cucciolata si allontanò per cercare altro cibo perché quello sotterrato non c’era per tutti ma bastava solo per la madre. Il gattino rosso salì come tutte le sere sul tetto e senza farsi vedere, saltò agilmente sui terrazzi e i tetti di mattonelle di legno in cerca di cibo. Saltò in un terrazzo del terzo piano e si acciambellò bello protetto dalla neve. Dopo un po’ si svegliò sentendosi accarezzato, si girò e vide una signora con i capelli rossi -marroni, le guance piene e vestita di nero e grigio. Per lui era la prima volta conoscere un’altra signora che non era vestita né da cuoca né da cameriera e non aveva odore che conoscesse. Il micino spaventato balzò sul terrazzo e salì sul tetto. La signora corse nella camera delle sue nipotine, perché era una zia, e le avvertì di ciò che aveva visto. Così le due ragazzine con un piattino di prosciutto a pezzetti, salirono nella camera della zia. Intanto il gattino era tornato sul terrazzo, la porta che conduceva alla camera da letto era aperta, il gattino si fece un sacco di coraggio vedendo nuove cose, camminò nella soglia che confinava con il terrazzo e il parquet della camera, poi il micino si fece altro coraggio e con la sua intelligenza sopraffina capì che: le tende, il letto, i comodini, il pavimento e le porte erano oggetti senza vita come il terreno dove camminava, pensò che quello era un territorio occupato da un umano che adesso non c’era e che al posto di proteggere il suo territorio se n’era andato. Il gattino si avvicinò al parquet molto spaventato, si tranquillizzò e saltò sul letto. Si sdraiò, era morbidissimo quel covo pensò, ma i suoi pensieri furono interrotti presto da un rumore, la porta s’aprì e il gattino pensò “ l’umano di questo territorio starà venendo con altri umani per aiutarmi a scacciare”. Scese dal letto e saltò sul terrazzo ma non se ne andò. Entrarono due ragazzine, il gattino era la prima volta che vedeva umani cuccioli, si avvicinarono al parquet, molto lentamente per non far scappare il gatto ma esso saltò giù e si ritrovò su un altro terrazzo. Le ragazzine se ne erano andate lasciando il piattino di prosciutto sul davanzale della finestra. Il gatto affamato, 9 sentendo odore di cibo, fece la camminata di tutti i terrazzi e alla fine salì in un ultimo terrazzo molto più grosso dove c’era una scala che portava al terzo piano e il gatto risaltò in tutti i terrazzi fino a quello col prosciutto, saltò sul davanzale, diede un’ occhiata vicino a se senza vedere nessuno e allora iniziò a mangiare e leccare il piattino. Quando tornò dalla madre non le disse niente del nascondiglio del cibo. Quella notte la donna non dormì mai perché era allergica al gatto e starnutì sempre immaginando che il gatto era di sicuro salito sul letto. Tutta la notte i gattini si divertirono però a pancia vuota a parte il gattino rosso che svelò il segreto solo alla gattina bianca che non ne fece parola. E il giorno dopo i gattini mangiarono i grossi pezzi di carne datagli dai cuochi. La mattina dormirono e il pomeriggio iniziò a nevicare con grossi fiocchi di neve e i cuochi diedero poco cibo che mangiarono solo il gattino nero, quella tigrata e pochissimo quello grigio perché veniva sempre scacciato. Il gattino rosso e quella bianca sparirono e andarono a mangiare il prosciutto che la donna aveva rimesso sul davanzale. Ma questo successe solo per quattro giorni perché dopo nevicò un sacco e non fu possibile mangiare il prosciutto salendo fino al terzo piano. 10 4 Capitolo: L’allontanamento Era giunto il giorno che la mamma volle allontanarli dal suo territorio. Era un giorno brutto, nevicava come sempre, il cielo era tutto bianco e il vento sferzava contro gli alberi tanto che a un certo punto fece cadere per terra un asse che quasi andava addosso alla gattina tigrata che accorta fece uno schizzo a destra. I gattini avevano tutti due mesi. Di mattina uscì dalla finestra la cameriera che aveva messo la coperta nel territorio della gatta che aveva chiamato Fiammella, si avvicinò quando c’era la madre e prese un gattino della cucciolata, quello nero che non si fece prendere e quando la cameriera capì che il micio voleva anche la gattina tigrata perché stavano attaccati l’uno all’altra, la cameriera li prese tutti e due in braccio, anche se la femmina che più le piaceva era quella bianca con un pelo magnifico. Fiammella, la gatta madre non protesse i cuccioli e li lasciò prendere e portar via, non era preoccupata perché conosceva quella signora e sapeva che era buona e li avrebbe curati e amati. I tre mici rimasti, il pomeriggio vennero scacciati dalla mamma in modo spaventoso, Fiammella si era gonfiata soffiando contro i piccoli. Prima che tutti i gattini scappassero, la gattina bianca prese un grosso pezzo di cibo che aveva lanciato il cuoco quella mattina ma che nessuno l’aveva ancora mangiato. La gatta nera si arrabbiò un sacco e corse dietro i piccoli per un tratto di strada ma poi tornò indietro. I piccoli corsero via passando davanti a delle persone che passavano sotto il portico tornando all’hotel. I gattini salirono nel tetto dell’hotel e tornarono al terzo piano trovando il prosciutto. Il gattino rosso non voleva svelare anche al gatto grigio del prosciutto ma la gattina bianca lo contraddisse. Purtroppo quella notte la mamma che voleva proteggere il suo territorio salì su tutti i piani dell’hotel e i gattini vedendola scesero velocemente senza farsi vedere e scapparono nel paese che era tutto buio, ma avevano fatto in tempo a mangiare la carne presa e il prosciutto. Salirono sul tetto di un’altra casa: nevicava; si affacciarono alla finestra e videro un Persiano di colore rosso di nove mesi, sdraiato sul letto che si leccava le zampe, quando vide altri gatti sul 11 davanzale della finestra, soffiò ma poi si avvicinò ai tre europei. Era la prima volta che quel gatto vedeva altri mici di razza diversa. Iniziò una conversazione, il gattino grigio chiese: << Come si chiama lei? >>. << Artù e voi tre? >> Disse Artù << Non abbiamo nomi >> Risposero in coro << Siete randagi? La mia donna qualche volta me ne parla, perché siete lì fuori al freddo? >> Disse Artù << Noi dobbiamo lottare per vivere, fortunato lei signore che ha una casa e una donna che gli da il cibo e la fa dormire sul letto >> Disse la gattina << Non è vero che è buona con me >> Disse Artù << Perché ? >> Chiese il gattino rosso incuriosito <<Voglio avere un tiragraffi più grande di quello che ho, poi voglio avere una nuova cuccia. E lei mi ha portato qui, io non vivo qui, il mio territorio è una grande dimora a Milano, ed è proprio al centro in Piazza Fontana *** e dalla mia finestra si vede la madonnina! >> Disse Artù << Ma signore, lei ha tutto perché si lamenta? I gatti come noi non abbiamo niente di ciò che tu dici e se l’avessimo, almeno una casa o un grande territorio saremmo devoti per tutta la vita a quella persona! Tu hai tutto eppure… >> Disse la gattina << Lo sapete gattini, mi avete fatto ragionare e siete molto saggi, grazie della vostra lezione e se volete vi presenterò alla mia donna ma, non credo che vi prenderà. Sapete lei è molto ricca ed adora i gatti ma i suoi genitori non le farebbero mai prendere un altro gatto randagio >> Disse Artù << Ma è un cucciolo di umani? >> Disse il gattino grigio << Sì ed è più buona degli adulti >> Disse Artù << Noi li vediamo ma ci fidiamo solo degli adulti! I bambini che conosciamo cercano sempre di strangolarci e toccarci! >> Disse il gattino grigio << Non tutti i cuccioli d’umani sono saggi, ci sono quelli troppo piccoli che solo un gatto adulto pieno di pazienza ci sa ragionare. Altri grandi che odiano i gatti ed adorano i cani, altri che hanno l’età della mia, ma che sono stupidi, si sente il carattere del cucciolo d’uomo, io ho sentito sicurezza e saggezza in quella “bambina”. Così si chiamano i cuccioli d’uomo >> Disse Artù << Grazie di ciò che ci hai insegnato! >> Dissero i tre micini << Anch’io ve ne sono grato, grazie di ciò che avete detto. Dormite qui sul terrazzo >> Disse Artù. 12 I gattini ringraziarono e si addormentarono nascosti dietro il trasportino di Artù. I gattini non fecero colazione e il gattone fece di tutto per riuscire a far aprire la finestra alla padrona per dare un po’ del suo cibo ai gattini. La bambina aveva nove anni, aveva i capelli rossi e ricci e gli occhi verdi, portava occhiali rosa ed era molto snella. Finalmente all’ora di pranzo una donna si mise a pulire la stanza, era la nonna della bambina che aprì la finestra. Quando se ne andò, Artù prese un po’ di cibo e lo buttò nel terrazzo dove i tre gattini mangiarono tutto, erano fegatini di cavia con pezzetti di salmone e riso. Mangiarono tutto ed Artù l’invitò ad entrare. I gattini erano stupiti, non avevano mai visto un gatto che non proteggeva il proprio territorio, entrarono ed al gatto grigio gli scapparono i bisognini. Disse: << Dove si fanno i bisogni? >> Il gatto li condusse nella lettiera, mostrò come si faceva scavando, facendo e ricoprendo e ben presto il gattino grigio scavò, fece pipì e ricoprì e Artù disse: << Così si fa in casa, questo oggetto si chiama lettiera >>. Quel giorno i gattini fecero un bel sonnellino al sole in terrazzo e vennero svegliati qualche volta da Artù che saltava dalla finestra al terrazzo dicendo: << Tenete un po’ di cibo >>. 13 5 Capitolo: Meno uno I tre gattini seguirono questo tran-tran per tre giorni, ma al quarto, la bambina curiosa di vedere perché Artù era dimagrito e portava in terrazzo il cibo, lo seguì con lo sguardo e scoprì i tre gattini. Fuori stava passeggiando la madre e il padre della bambina. I tre gattini randagi, avevano un orecchio più sviluppato di quello domestico e sentirono i passi della bambina silenziosi come quelli di un gatto. A un certo punto, lasciarono il cibo mezzo finito e saltarono giù dal terrazzo, il gattino grigio, meno agile e il più magro, fece uno strappo alla spalla e impettito si sedette e si mise a leccare il punto ferito come se niente fosse successo (perché se no, rovinava la stima felina). Quella notte fu gelida e i tre gattini videro che Artù di notte era chiuso in salotto. Così quando il micione li vide, corse da loro e spinse la porta del terrazzo con la zampina, perché non si chiudeva mai bene. Così i tre mici, quella notte fecero baldoria finché si poté e hai primi rumori scapparono via. Fuori nevicava e il cambiamento del clima, dal caldo del salotto al freddo di fuori, fece sobbalzare il gattino grigio. Quel giorno, verso mezzogiorno nevicava e Artù non portò ai tre mici il cibo, per non rendere sospetti alla padroncina. I gattini si cercarono un posto dove dormire. La gattina bianca salì sul tetto della casa, si scrollò e scese verso la tettoia, si lasciò scivolare e si ritrovò su un mucchio di neve, posto su un lungo e spazioso balcone. Scavò nella neve scacciando quel che poté. Guardò dentro la camera da letto, per vedere se c’era qualcuno e non essendoci nessuno si addormentò, al coperto dai grossi fiocchi di neve che cadevano a migliaia. Venne svegliata verso le tre del pomeriggio, l’orario in cui la bambina si coricava in camera sua a leggere con Artù, si sentì toccare e una sensazione piacevole la travolse, si mise perciò a fare le fusa, ma quando si ricordò nel punto dove dormiva, si svegliò subito e vide un viso da bambina, molto bello che le sorrideva, con capelli ricci, rossi e saggi occhi verdi. Cercò di scappare ma, la ragazzina l’aveva presa in braccio. La 14 gattina sentì una sensazione molto rilassante e capì l’animo della bambina: felice. Tornò in se e fece un forte miagolio che fece eco nella vallata. Intanto i due gattini non avevano sentito il miagolio della sorella e dormivano indisturbati. La gattina sfoderò gli artigli, graffiò più volte le mani della bambina e le morse le dita. La bambina, dolorante lasciò il gatto sul letto e subito accorse Artù capendo che la sua amata padroncina era ferita e soffiò contro la gattina bianca, gonfiandosi tutto. La gattina presa alla sprovvista si arruffò. La bambina chiamò il padre e la madre, il padre corse a prendere la scopa per scacciare la gattina bianca, la madre portò la bambina a disinfettare le ferite. I due gatti si scontrarono e vinse la randagia che non uccise il gattone perché erano amici e gli disse: << Senti, non voglio lottare. Noi due siamo amici e non è colpa mia se la tua padroncina mi ha chiuso in questa stanza! >>. La gatta fece alzare Artù che era per terra ma non aveva riportato ferite. Il gattone le disse: << senti, noi oggi partiamo e torniamo a Milano, dove c’è il mio secondo territorio. Puoi prendere altre stanze visto che non ho tutta la casa. Vivi con noi, non avevi detto che era bruttissimo vivere fuori? Sopporta il viaggio, comportati bene davanti agli adulti cercando di farti accettare e poi, è fatta. Fai la bella vita! >> La gattina ci pensò su poi accettò e seguì Artù in bagno dalla padrona ferita, lui le saltò sulle ginocchia facendo le fusa e disse un’ultima cosa alla gattina prima che il padre della bambina, presa la scopa non le desse una botta: << Se vuoi vivere qui, non devi affezionarti alla mia padrona. Scegli un altro della famiglia che sia il tuo servo! >>. Poi il padre diede una scopata alla gatta che si rifugiò dietro il water. La sorella di quattordici anni della bambina dai capelli rossi, protesse la gattina e l’accarezzò, poi la prese in braccio e disse: << Visto che è buono questo gatto? Portiamolo con noi. Vi prego… >> La ragazza, anch’essa con i capelli rossi e gli occhi marroni, avvicinò il gatto al padre e la gatta gli leccò il dito. Così i genitori l’accettarono. Adesso rimanevano i nonni che, come sempre accettarono dopo una leccata. Artù informò la gatta che quella che mi aveva protetto si chiamava Beatrice e la sua padroncina Angelica ma che lui la chiamava “mamma”. Così la famiglia si organizzò e chiuse la gatta in un altro trasportino. Il viaggio fu molto lungo e tutto il tempo la gattina nervosa si girava e rigirava nel trasportino, miagolando e tirando fuori gli artigli. 15 Alla fine arrivarono e Beatrice prese appuntamento dal veterinario dove fece fare i vaccini alla gatta, la fece controllare e così seppe che era una femmina. La gattina non era stata sempre brava col veterinario e un bel morso, l’aveva fatto rigar dritto. Così il veterinario con il secondo morso iniziò ad odiare la gattina che faceva la brava solo con la famiglia ed Artù. Nei giorni seguenti la gattina aveva compiuto tre mesi, l’avevano lavata, mangiava cose di lusso in altre ciotoline nuove, prese per lei, faceva i bisogni nella lettiera, una nuova, e il suo territorio era in un’altra stanza: la stanza della lettura ed aveva anche un nuovo tiragraffi. La gattina la chiamarono Violetta. Le prime notti miagolò pochissimo perché si sentiva sola e voleva scatenarsi. La notte infatti la lasciavano andare nel territorio di Artù spostando solo la sua lettiera e mettendola nel territorio dell’altro gatto in caso di bisogno. Artù era castrato e quindi non poteva accoppiarsi. La mattina richiudevano Violetta nel suo territorio e, di pomeriggio poté dormire vicino alla padrona che leggeva nella sua camera. 16 6 Capitolo: La perdita I due gattini che ormai avevano compiuto quattro mesi (essendo più grandi della sorella di un mese), era da un pezzo che non cercavano la sorella, l’avevano cercata per una settimana e ormai vagavano dispersi nella città. Rubavano cibo dai bidoni della spazzatura e cambiavano sempre territori. Non tornarono mai indietro dalla loro madre e le videro di tutte i colori: una volta il gattino rosso aveva incontrato un cagnone e il povero micino aveva corso velocissimo verso un tetto della casa con il cane alle calcagna, che mentre si stava arrampicando rischiò di farsi mordere la coda e, venne ben presto raggiunto dal gattino grigio, quando ormai il cane se n’era andato. Il gattino grigio era sempre più debole e magro e sembrava essere morto quando dormiva. I due batterono nevicate che coprivano il pavimento di trenta centimetri, pioggia, la scarpa di un signore che era caduta dalla finestra perché voleva zittire i due gatti mentre rubavano il suo pollo dalla finestra del primo piano, ma anche spassi come: attaccarsi alla coperta appesa al terrazzo e cadere su un chilo di neve o, rincorrere per mezza piazza un cagnolino cucciolo piccolissimo. Ma un giorno di questi mentre nevicava tanto, i due si addormentarono uno vicino all’altro sotto la neve e, quando li sommerse del tutto, il gattino rosso si svegliò e si scrollò. Scavò nella montagna di neve per svegliare il fratello e lo trovò sdraiato. Un corpo inerte e gelido coperto dalla neve, con gli occhi aperti e la lingua di fuori. Il gattino lo chiamò – svegliati amico mio, dobbiamo andare. Svegliati, svegliati su – ma anche il piccolo gattino aveva capito che il cielo aveva richiamato a sé il fratello per arrivare a Dio. Il piccolo gattino camminò a lungo, senza una meta, col cuore distrutto. Incontrò un gatto grigio adulto e si ricordò di suo fratello ma, quel gatto quando lo vide gli soffiò contro e il gattino scappò via. Non sapeva dove andare e percorse una montagna, nascosto fra gli alberi senza mai uscirne per andare nella pista dove le persone sciavano. Qualche volta 17 osservava gli sciatori molto attentamente, un giorno, fattosi coraggio, di sera vide un pub ancora aperto ma, c’era solo la signora che vendeva che quando lo vide disse: << Oh povero micino. Di solito a me non piacciono i gatti ma, tieni >> Porse al gattino una salsiccia appena cotta. Il micino corse a nascondersi in mezzo ai pini ma, poi si fece coraggio, l’odorino era troppo stuzzichevole quindi fece capolino con il testino e andò a mangiare la salsiccia. Il pub chiuse e la signora se ne andò salutando il micino e chiese al gatto delle nevi che, passava in quel momento di darle un passaggio. Così era la vita del gattino che girava senza meta sempre triste, col cuore pieno di asprezza contro la madre che li aveva allontanati e tristezza per la perdita dei suoi fratelli, la morte improvvisa che era la prima che vedeva e la sparizione della sua amata sorellina. Così crebbe col cuore pieno di amarezza e compì cinque mesi. Era Aprile. 18 7 Capitolo: La cattiva signora Grossi fiocchi di neve cadevano nel paese ricoprendo strade e tetti. Il gattino si incamminò in paese, noncurante dei cani che gli abbagliavano ringhianti fermati dal collare. Incontrò un bambino che disse – mamma guarda, guarda c’è un gattino! – il micino si volse verso egli ma poi continuò a camminare. Fece il giro del lago nascondendosi alla vista della gente quando, a un certo punto, vide una signora bassa, cicciona, con lunghi e ricci capelli biondi che teneva per mano una bambina uguale a lei ma meno ciccia, gli occhi del gatto erano attratti da quella signora, forse perché era la più brutta che non avesse mai visto. La bambina lo notò e disse: << Guarda, c’è un gatto! Lo voglio, lo voglio, lo voglio >> La madre cercò di farla ragionare ma ai capricci della bambina accennò e velocissima, cosa che non sembrava poter fare, afferrò per la collottola il gatto che iniziò a soffiare e sfoderare gli artigli ma non poteva girarsi come fa la testa della civetta. Così la signora portò il povero micino per la collottola per tutto il giro del lago tornando in piazza. La signora aveva gli occhi tutti puntati su di se e chi non la vedeva, si girava verso di lei sentendo i miagolii lunghi e continui che faceva il povero micio. La bambina sorrideva e canticchiava – ho un micio, ho un micio cattivo – un signore mosso a pietà si avvicinò alla signora chiedendole cosa ne avrebbe fatto di quel gatto e la signora rispose solo – lo vuole mia figlia – e poi si girò nervosamente e si ficcò il povero gatto nel giubbotto fermandolo ben bene così che non dava all’occhio ma, i miagolii del gattino si sentivano lo stesso. La signora ficcò la mano sotto il giubbotto e diede una botta al gatto che svenne. Il gattino si ritrovò in una casa addobbata e di gran classe. Era in braccio a una bambina che lo stava ficcando in una vasca d’acqua e senza ascoltare i miagolii di protesta e schivando gli artigli, lavò per bene il micio e alla fine, dopo averlo imbacuccato in un asciugamano e strizzato come una 19 salvietta, il micio ne uscì bello e ordinato. La bimba gli lavò i denti a forza e poi gli mise in testa un fiocco azzurro. Il gattino finalmente poté dormire sul letto ma venne svegliato dalla bimba perché ci voleva giocare e il gatto stravolto perché era giorno pieno si nascose in mezzo al letto così che, quando la bambina si mise a piangere, la scopa della madre non lo poté toccare e si fece una bella dormita. Quando si svegliò era stato toccato da una scarpa quindi uscì e la bambina lo prese dicendo: << Cattivo gatto, c’è la pappa! >> Finalmente il gatto poté mangiare cose decenti ma ben presto venne picchiato perché aveva graffiato il divano. Così la signora lo picchiava sempre e il micio non vedeva l’ora di andarsene ma, le finestre e le porte erano sempre chiuse. 20 8 Capitolo: La fuga Meno male la signora doveva tornare a Lecco un paesino vicino a Milano così che quel giorno si presentò la fuga. Le due donne entrarono in macchina, la bambina dietro con il gatto, misero una musica rok ad altissimo volume e il povero gatto fu costretto ad ascoltarla. La macchina partì e salutò Madonna Di Campiglio per andare in un altro paese. Il viaggio durò abbastanza, il gatto si aggirava nervosamente nella macchina senza mai arrampicarsi sulle gambe della bambina. A un certo punto, si sedette e guardò il finestrino dalla parte della bambina, la bimba aveva caldo quindi aveva aperto il finestrino, anche quello dalla sua parte era aperto ma, così poco che non ci passava. Provò a saltarci per vedere se scivolava e venne preso dalla bambina che non voleva che scappasse così gli chiuse il finestrino. Il viaggio era lungo, la donna tarchiata guidava velocissima e il gattino vedeva sfrecciare dalla finestra strade e montagne innevate. A un certo punto del viaggio, mentre erano quasi arrivati, il gattino decise che era l’ora della fuga, saltò sulle ginocchia della bambina che disse seccata: << Finalmente ti sei accorto che le mie ginocchia sono più morbide gattaccio. Ho scelto il nome per te Gattaccio! >> Non finì la parola che il gattino era saltato fuori dalla finestra e gli era caduto il fiocco azzurro, la bambina lo afferrò per la coda e, il gattino ancora in aria la morse e saltò giù dalla macchina. La bambina urlò alla madre: << Ferma la macchina! >> La madre si fermò troppo tardi perché sfrecciando così tanto non poté fare di meglio. Gattaccio che era ormai il nome del povero micino, roteò in mezzo alla strada e quasi non venne schiacciato da una macchina. Si ritrovò nell’erba e riuscì a spostarsi in tempo prima che una macchina gli schiacciasse una zampa. Gattaccio camminò sull’erba leccandosi la coda poi si mise a seguire una macchina dove il colore l’aveva incuriosito, era una macchina rossa che andava veloce, non era ancora arrivata al punto 21 dove c’era il gatto così che lui ebbe il tempo di saltarci sopra. Il micino scivolò giù dal tetto della macchina e scivolò giù, si attaccò al finestrino e vide che dentro c’era una signora bionda, molto carina e con gli occhi azzurri vicina a un uomo moro, al volante c’era un altro signore. Quei due signori, uno era un amico, l’altro il fidanzato della ragazza. La ragazza bionda vide il gatto e disse: << Prendi quel gatto! >> Il ragazzo preso alla sprovvista si girò e afferrò da sotto le ascelle il micino che si lasciò toccare. Il ragazzo lo posò sulle ginocchia della ragazza che se nel caso Gattaccio graffiasse aveva una borsa, così che avrebbe graffiato la borsa e non lei. Il gattino non graffiò perché era abituato agli umani e la ragazza sorrise dicendo: << Che ci fai qui gattino? Sei troppo pulito per essere un randagio, sei scappato? >> Il gattino fece un’espressione spaventata e la ragazza continuò: << Sai come ti chiamerò, Bizet. Come gli Aristogatti >>. Il ragazzo al guidante chiese: << Di che colore è il micio? >>. Il ragazzo vicino alla signorina disse che era rosso e molto carino. Così il gattino stette in macchina per l’ultimo tratto di strada e la macchina entrò a Milano. Continuò fino ad arrivare al centro della città, davanti a un portone di legno. I tre ragazzi uscirono dalla macchina e la signora prese il gattino che si fece fare di tutto come una vera bambola. La ragazza varcò il portone insieme al suo fidanzato e salutò l’amico che accarezzò il gattino che si lasciava mettere dentro il giubbotto della ragazza. Così i due ragazzi entrarono in un atrio dove in un angolo c’erano le scale, nell’altro l’ascensore. La ragazza entrò con il fidanzato e il gatto, nell’ascensore. C’erano cinque piani dove in due c’erano degli uffici, in un altro la famiglia della ragazza, nel piano dopo dei vicini con un gatto e l’ultimo piano della ragazza. Salirono quindi al quinto piano e la ragazza salutò con un bacio il fidanzato e gli disse di andare a prendere il necessario per Bizet. Era una casa ben sistemata e di gran lusso, era alla moderna, piena di cose nuove e, quando la ragazza aprì la porta venne incontro al gattino una cagnetta. 22 9 Capitolo: L’arrivo La cagnetta fece un sacco di feste alla ragazza e leccandola tutta ma, poi sentendo l’odore del gatto si sedette e fissò la padrona che le disse: << Kelly, ho trovato questo gattino. Non essere gelosa è un cucciolino, fagli da mamma >>. A quelle parole Kelly si sbloccò e continuò a fare le feste. Intanto il gattino si era rifugiato dentro il cappotto, la ragazza lo posò per terra e Kelly con molto contegno gli diede una leccata e lo annusò per poco sotto il sedere. Il gattino indispettito si allontanò e si mise a osservare la casa: tappeto, pavimento, tavolo, divano, letto. Girò per tutte le stanze seguito da Kelly che sembrava gli facesse da guida accompagnandolo per tutta la casa. Il gattino saltò nel letto della ragazza ma per Kelly era troppo e lo scacciò così che il micino si nascose sotto il letto. La signora lo chiuse in una grande stanza dove c’erano tutte le cose del cane. Stava venendo sera, e dopo un ora venne il fidanzato con le cose di Bizet: una bellissima lettiera dove Bizet corse subito a farci i bisogni, una morbida cuccia con tendine, che sembrava un trono, tre ciotole nuove di porcellana: una per l’acqua, una dei croccantini e l’altra del cibo; un piccolo tiragraffi e gli immancabili giochi. Così la stanza enorme che era il salotto, fu piena di cose per cani e per gatti. Il gattino, appena arrivato, fece i bisogni ed ispezionò, quello che ormai era il suo territorio. All’ora di cena la ragazza mise una porzione nella ciotola di Bizet che, anche se non sapeva mangiare da una ciotola, ci provò e riuscì sporcandosi dai baffi alle orecchie. Allora Kelly quando ebbe finito di mangiare leccò tutto il micino ripulendolo per bene. Il gattino di sera si sentiva un po’ sperduto ed era stanco dell’arrivo, quindi quella notte voleva dormire, però, non sapeva dove, quindi vedendo Kelly che riposava nella sua cuccia, le si avvicinò alla pancia. La cagna si allontanò 23 indispettita ma poi, nella notte, il gattino le si riavvicinò e lei fece finta di niente. La mattina dopo il gattino si svegliò stiracchiandosi tutto e vide che Kelly stava già mangiando, quindi andò a vedere se la sua ciotola era piena. Mangiò di buon gusto e bevve un po’ d’acqua. Fece i bisogni e dopo poco venne la signora che doveva portare fuori Kelly. Quando tornò accarezzò per un ora Bizet che iniziò a fare le fusa, le sue prime fusa davanti agli umani. Di pomeriggio la signora portò il gattino a farlo vedere dal veterinario e Bizet si stufò un poco ma fece il bravo. Passarono un po’ di giorni nel quale Bizet imparò a fare i pisolini nella sua cuccia e di pomeriggio, quando dormiva Kelly che faceva i pisolini pomeridiani, dormiva vicino ad essa e di notte si scatenava silenziosamente. Insomma Bizet che era randagio adesso se la passa spassosamente. Adesso aveva orari per la pappa e le sue ore di coccole, odiava farsi spazzolare ma faceva il bravo e si faceva lavare gli occhi Intanto anche Violetta (la gattina bianca) era arrivata a Milano da un pezzo e la casa dove stava era addobbata all’antica, piena di quadri e tappeti di grande importanza e lusso, lampadari di cristallo e divani in pelle (l’esatto contrario della casa di Bizet: molto moderna, lussuosa e all’ avanguardia). La gattina aveva una stanza grande e piena di quadri con un tappeto, un divano e una bella finestra. Agli angoli c’erano tre bauli chiusi pieni di giochi di Angelica. La stanza di Artù era a fianco a quella di Violetta e si vedeva la madonnina del Duomo dalla finestra. Questa famiglia viveva in una casa al quarto piano. Violetta se la spassava e aveva anche lei le sue cose portate dalla montagna, di sera Beatrice lasciava la porta aperta che portava al territorio di Artù così che i due gatti giocavano insieme. Violetta mangiava negli stessi orari di Artù ed anch’essa aveva una bella ora e mezza di coccole, si faceva spazzolare e lavare gli occhi. Anche lei da randagia, adesso aveva trovato una famiglia. 24 10 Capitolo: Una scoperta entusiasmante Il giorno dopo, Angelica (la padrona di Artù), incontrò la vicina del quinto piano che era la padrona di Bizet. Quindi si mise a parlare con essa dicendo: << Lo sa signorina che noi abbiamo preso un altro gatto? L’abbiamo trovato a Madonna Di Campiglio, era randagia. È bellissima, ha il pelo bianco e gli occhi blu. Ha quattro mesi e mezzo >>. Anche la ragazza disse ad Angelica: << Lo sa signorina Angelica che anch’io ho adottato un randagio, era sul tetto della mia macchina, è scivolato, si è aggrappato al finestrino e io l’ho preso. Il mio è un maschio, ho visto subito che non era un gatto comune sa, è un campione. È un gattino di cinque mesi, rosso con gli occhi gialli, si chiama Bizet >>. La bambina disse: << La mia l’ho trovata che dormiva sul davanzale della mia finestra, si chiama Violetta. Possiamo farli incontrare? >>. La ragazza ci pensò un secondo poi disse: << Sì, posso portarlo per poco a casa tua. Chiedi prima a tua mamma o papà >>. La bambina le disse – aspetta -, entrò in casa e chiese alla madre: << Può venire la nostra vicina a bere il tè con il suo nuovo gatto oggi pomeriggio?, li facciamo incontrare! >>. La madre accettò e la bambina tornò in pianerottolo dalla vicina dicendo che poteva venire. Poi la ragazza prese l’ascensore e uscì a fare una passeggiata con il suo fidanzato. Tornò all’ora di pranzo e dette da mangiare a Bizet e a Kelly. Accarezzò tutti e due. Dopo prese Bizet e lo portò al quarto piano dai vicini. Suonò il campanello e disse chi era, così la madre delle bambine la fece entrare. Bizet iniziava ad allarmarsi, subito Artù venne a vedere chi era venuto e soffiò, quindi Angelica gli disse: << Stai buono, è solo un cucciolino! >>. Artù era sempre all’erta e avrebbe attaccato volentieri Bizet, sempre che lui scendesse dalla ragazza. Beatrice accompagnò la ragazza con Bizet a incontrare Violetta. Liberò il gattino nella stanza della micia e lei gli soffiò contro e anche Bizet, quando fu per terra iniziò il rituale di 25 guerra. Dopo un po’ che i due gatti si arruffavano, Violetta attaccò Bizet e i due gatti sfoderarono gli artigli. La vicina e Beatrice vollero separarli subito ma non servì, dopo poco i due gattini interruppero la lotta e si fissarono negli occhi strofinandosi i nasini per sentire il loro odore e allora Bizet che aveva riportato un morso, lieve, alla zampa iniziò a parlarle con un unico miagolio corto dicendo una frase intera: << Dove sei nata? Io a Madonna Di Campiglio, in montagna >>. Il gattino iniziò a credere che quella era la sua sorella randagia, “la gattina bianca” che era il nome di quando era randagia, ella gli rispose: << Anch’io, quanti fratelli avevi? Io cinque: uno nero, una tigrata, uno grigio, uno rosso ed io. La mia mamma era una bella gatta nera con gli occhi verdi che ci ha scacciati e due dei miei fratelli li ha presi la cameriera: quello nero e quella tigrata >>. Il gattino rosso si ravvivò: << Sorella cara, sono della tua famiglia! Tu eri quella che sei andata a dormire nel tetto della casa e non sei più tornata. Hai trovato una bella casa con Artù! Il gattino grigio è morto! >>. La sorella, Violetta, saltò addosso a Bizet e si rotolarono insieme felici per tutto il tappeto e, al posto di combattere, iniziarono a giocare e leccarsi felici. 26 11 Capitolo: Intanto i due… Intanto il gattino nero e quella tigrata, erano cresciuti insieme. La gatta si chiamava Molly e il gatto nero Romeo. Vivevano in una casa normale con un tetto di legno, due poltrone, due lettini, un bagno, una cucinetta e un piccolo salottino con la televisione. La cameriera dava i pasti ai gatti e dava solo una mezz’ora di coccole ai due gatti perché doveva sempre lavorare. I due gatti tutto il tempo, giocavano insieme divertendosi come matti e graffiando divani. I due gatti non avevano cucce ma, di giorno, dormivano sempre sul secondo lettino vuoto, accanto a quello dove di notte dormiva la cameriera. I due gatti erano cresciuti un sacco, quello nero, aveva un manto liscissimo e occhi verdi e aveva nove mesi, mentre quella tigrata otto e mezzo (quindi Bizet sette mesi e mezzo e Violetta sei e mezzo), aveva anch’essa un pelo liscissimo e tigrato e grossi occhi nocciola. La cameriera non li aveva sterilizzati e quindi i due gatti volevano soddisfare i bisogni della natura. Era un giorno di sole, Romeo saltò sul lettino dove Molly si stava leccando le zampe. Dalla finestra filtravano raggi di sole riscaldando la gatta che si stiracchiò. Romeo si sedette vicino a Molly e le disse: << Ei bambola tiriamo su famiglia, ok? >>. Molly si girò e fissò intensamente il gatto rispondendo: << Vai piano bello >>. Il gatto nero allora si avvicinò a lei e si mise a corteggiarla girandole intorno e miagolando con voce impastata. Così lei accettò e fecero famiglia. Alla fine Romeo leccò la gatta e così, solo quando la cameriera portò per far fare dei controlli dal veterinario Molly, scoprì che essa era in cinta. E alle parole del veterinario sorrise e disse: << Me l’hanno fatta sotto il naso questi birichini. Può vedere quanti cuccioli avrà? >>. Il veterinario si grattò 27 il mento e poi disse: << Per adesso no. Dovrebbe partorire fra un mese >>. La cameriera se ne andò e sospirò pensando a chi avrebbe dato i cuccioli. Passò un mese. La cameriera era fuori dalla casa a lavorare all’hotel. Era mattina piena quando la gatta fece un miagolio straziante e lungo. Romeo stava riposando e quando entrò in camera da letto trovò Molly appoggiata al cuscino. Così nacquero i quattro cuccioli: una nera uguale al padre, uno uguale alla madre, una cucciolina tigrata, con gli occhi verdi e la punta della coda nera e un maschio nero, con gli occhi marroni e una zampa tigrata. Tutti i piccoli si avvicinarono alle mammelle della madre e crebbero in fretta. Quando ebbero un mese, uno lo dettero ad Emilia che era l’amica della cameriera, una a Giulio che era un barista che lavorava nello stesso posto della cameriera e uno lo diedero a una signora di nome Clarissa che era una cameriera anche lei. L’ultimo cucciolo che era la femmina tigrata, con gli occhi verdi e la punta della coda nera lo tennero. La madre l’aveva scacciata quindi la gattina si trovò da sé il territorio: il bagno, dove adorava stare nella doccia e nel lavandino. Il territorio del padre invece era in salotto e quello della gatta: nella camera da letto. La cameriera in seguito, comprò nuove cose per la gattina che chiamò: Diana. 28 12 Capitolo: Violetta non c’è più Era una bella giornata calda, il cielo era così azzurro che nemmeno i colori della tavolozza potevano copiarlo, i piccioni volavano sui tetti disturbando la quiete con lo sbattere di ali. Nessuno era in casa al quarto piano. Erano tutti usciti per passeggiare mentre invece Angela, Beatrice e la nonna di tutte e due, erano andate a portare Artù dal veterinario. In casa c’era solo Violetta che stava riposando e la donna delle pulizie. La donna aprì la finestra della sala dove Violetta stava riposando. Dalla finestra, penetravano i raggi del sole, quindi Violetta si alzò e uscì dalla finestra sdraiandosi sul davanzale, così che i raggi del sole la riscaldavano di più. A un certo punto si svegliò sentendo un pigolio e vide un uccellino posato anch’esso sul davanzale che circondava tutta la casa, poco lontano dal corpo della micia. Allora lei aprì un occhio e una vena di caccia la spinse a cacciare. Fece finta di dormire e si avvicinò di soppiatto al passerotto mentre esso non la guardava. A un certo punto fece un balzo ma atterrò su un altro punto del davanzale, ma l’uccello non l’aveva preso ed esso era volato sul tetto. Allora la gatta che era randagia e sapeva come arrampicarsi su un tetto, riuscì a scalare saltando su davanzali e poi superò il quinto piano e arrivò al tetto. L’uccello pareva piacesse vedere la gatta che faticava per raggiungerlo, ma quando vide che Violetta era agilissima nell’arrampicarsi volò in un tetto vicino. Così la gatta saltò, tetto per tetto per prendere l’uccello e, si era scordata di tutte le altre cose, in quel momento il suo unico pensiero era “prendere l’uccello”. Salì di tetto in tetto e alla fine, l’uccello scese da un tetto e camminò in mezzo a un giardino. Anche la gatta lo seguì e camminò nell’erba. Il passero però volò via e, a quel punto la gatta si sedette nell’erba. Adesso la sua testa aveva un altro pensiero “mi sono persa”. Provò a cercare le sue tracce, e le trovò. Ma il tempo era arrabbiato con lei e si mise a piovere così che la gatta, non 29 avendo marchiato con urine i tetti ma con i polpastrelli, non ritrovò più la strada di casa. Si sentì col cuore vuoto, triste e stanco. Si acquattò dietro un albero e si mise a piangere. Grosse lacrime scivolavano per terra, la gatta si riprese quasi subito dicendosi “non piangere, le lacrime bagnano la mia stima”. La pioggia non la bagnava, ma si sentiva scoperta ai pericoli della città. Quindi si arrampicò sull’albero nel primo ramo ed ebbe la fortuna di trovare un nido con tre uova, così che se le mangiò. Si addormentò esausta e tormentata da brutti sogni. Intanto al quarto piano regnava l’ansia. La povera Beatrice non vedendo la sua gatta bianca, si mise a piangere. Artù era anch’esso molto triste ma scoprì una traccia, l’odore di Violetta sul davanzale, ma poi non trovò nessun’altra traccia perché aveva piovuto. Anche Bizet venne a conoscenza della perdita di Violetta dalla sua padrona che l’aveva saputo dalla madre delle ragazze. Al quarto piano, la famiglia si dette da fare a creare cartelloni appiccicandoci le foto di Violetta e stampandone almeno cinquanta. Beatrice ed Angelica, accompagnate dal padre, passarono nelle strade di tutta la città appiccicandoci i cartelloni con su scritto: Gatta persa: Sei mesi e mezzo, Europea bianca con occhi azzurri. 30 Se la trovate, vi preghiamo di chiamare al numero ecc… Tutta la famiglia era triste e con il cuore rotto. Bizet, quando seppe che Violetta era scappata, si sentì in vena di scappare e andarla a cercare. Preparò il piano della fuga, quel giorno stesso di pomeriggio quando la sua padrona sarebbe andata a passeggiare. Così spiegò il piano anche a Kelly che sembrò molto triste e diede tante leccate sulla testa del gatto, quello fu il saluto del cane, Bizet la salutò strofinandosi con tale forza contro di lei che sembrava scorticarle il pelo. Il saluto alla padrona, fu ancora più commovente, gli si avvicinò facendo le fusa, si strofinò fortissimo contro la mano e le gambe della padrona e le salì in braccio strofinandosi tutto e, quando la ragazza si chinò verso il gatto per dargli un bacio sulla guancia, lui non si fece baciare la guancia ma la bocca e, mentre lei lo baciava, lui le leccò le labbra e la ragazza sospirò – birichino – e si pulì la bocca con la manica del vestito. Così, quel pomeriggio, uscì dalla finestra salutato da Kelly che gli disse: << Ti prego, torna presto bimbo mio >>. Kelly, infatti aveva adottato fin da cucciolo Bizet come se fosse la sua mamma e infatti il gatto le rispose: << Tornerò presto… mamma >>. Bizet diede un ultimo bacio a Kelly e uscì fuori dalla finestra. Si arrampicò sui tetti e ne saltò uno dopo l’altro. La cagna lo guardò dalla finestra e disse: << Non dovevo lasciarti >>. Aveva paura di uscire dalla finestra quindi non uscì e, il gatto da lontano le miagolò: << Non ti scorderò mai, tornerò presto… aspettami sempre >>. Intanto Violetta si era svegliata e non sapeva tornare a casa. Non c’era niente ad aiutarla. Salì sui tetti e cercò di tornare a casa, saltò tetto per tetto ma al posto di avvicinarsi a casa si allontanò sempre di più senza saperlo. Alla fine pensò “mi staranno cercando. Forse facevo meglio a rimanere dov’ero”. Scese dai tetti. Al posto di avvicinarsi, si era allontanata notevolmente dal Duomo e, accortasi risaltò sui tetti seguendo la madonna. Purtroppo la superò un’altra volta e tornò indietro. Decise di scendere dai 31 tetti e si ritrovò in mezzo alla strada. Grosse macchine le correvano addosso e lei le schivò tutte a parte una, era una macchina nera che veniva nello stesso tempo di un’altra grigia, Violetta schivò quella grigia ma quella nera, ahimè le schiacciò una zampa anteriore. La gattina miagolò sia per il dolore, sia per la tristezza. Così si fratturò una zampina e uscì subito di strada correndo a tre zampe. Quando giunse al marciapiede, camminò a tre zampe tirando su sempre la zampina anteriore di destra. Così facendo camminò per tutti i tetti, senza vedere il Duomo, perché adesso cercava solo cibo. Così camminò nelle strade e a un certo punto sentì un odorino stuzzichevole, di prosciutto e carne. Così venne condotta dal naso in macelleria. Il macellaio la vide e disse: << Bella micina hai fame? Tieni questo pezzo di manzo, te lo taglio a fettine e ci mischio un po’ di prosciutto stagionato. Tieni >>. Mise su un fazzolettino la carne e il prosciutto tagliati a fette e li mise vicino a sé. Così che la gatta mangiò tranquillamente e poi se ne andò. Quando uscì dalla macelleria risalì sui tetti ma, si era allontanata troppo, quindi non vide più il Duomo. 32 13 Capitolo: Un aiutante Intanto Bizet camminava lentamente come una pantera sui tetti. Era affamato e stava cercando qualche uccello da mangiare. Così trovò un grosso piccione che stava beccando del pane per terra. Bizet spiccò un lungo salto e bloccò il piccione che quando vide chi l’aveva preso si mise a blaterare: << Non mi mangiare… per favore, posso aiutarti se hai bisogno di aiuto. Io volo in alto così che potrò aiutarti a trovare cibo o ciò che vuoi. Per favore… >>. Bizet ci pensò su, poi rispose: << Va bene… ma come potrò sapere che quando ti lascerò tu non scapperai? >>. L’uccello ci pensò su e poi disse: << Lo giuro sul mio cuore e se scapperò mi ucciderò >>. Bizet accennò e lo lasciò libero allora il piccione disse: << Cosa ti devo cercare? >>. Il gatto si sedette e disse: << Devo cercare una gatta bianca con gli occhi azzurri. Si chiama Violetta >>. Il piccione sorrise e disse: << Oh, è una fidanzata? >>. Il gatto si arrabbiò e rispose: << No, è un’amica e adesso fatti gli affari tuoi. La dobbiamo cercare insieme. Non sarai tu, il primo a vedere la mia sorella >>. << Ok, ok. Come ti chiami? Io mi chiamo Jon >>. Rispose il piccione. << Io Bizet. Adesso cercami qualcosa da mangiare per favore. Io ti aspetto qua >>. Disse Bizet. Il piccione volò nella città e sorvolò un parco. Si fermò in una strada e camminò verso una macelleria. Entrò volando e rubò un bel pezzo di carne. Il macellaio prese per la coda il piccione e gli strappò un po’ di piume, ma l’uccello riuscì a tenere ben saldo il pezzo di carne. Lo portò da Bizet e glielo lasciò ai piedi. Bizet si mise a mangiare e poi disse: << Cer33 cami un covo protetto dove dormire, per favore >>. Jon volò e arrivò in un parco dove trovò una conca perfetta dietro un albero protetto da un cespuglio. Tornò da Bizet e gli disse – seguimi –, il gatto lo seguì camminando svelto. Attraversò una strada e salì sui tetti delle case seguendo Jon. Scese dall’ultimo tetto con mattonelle rosso sangue e si ritrovò in mezzo all’erba di un parco. Il piccione lo condusse nel covo nascosto e Bizet si fece un varco in mezzo al cespuglio arrivando a capolinea in una conca bella riscaldata. Il gatto ordinò a Jon: << Svegliami quando cade il sole e il cielo è arancione. Per adesso puoi mangiare un poco e torna qua a mezzogiorno >>. Jon volò via e girò per i tetti per cercare dell’altro cibo. Intanto Violetta stava riposando anch’essa, in una stradina con ai lati, in fila indiana degli alberi. Stava dormendo su un ramo di un albero rilassandosi all’ombra delle foglie. Jon tornò nel parco e si posò sull’erba dicendo: << Sveglia, svegliati. È mezzogiorno >>. Dopo poco uscì dal cespuglio Bizet e si stiracchiò dicendo: << Grazie, è mezzogiorno in punto. Molto bene e adesso il mio piano è di uscire dal parco e allontanarci per la città. Indicami le vie con meno gente, io ti seguirò >>. Il piccione si alzò in volo e Bizet lo seguì mentre esso usciva dal parco. Così percorsero cinque chilometri girando in strade solitarie e parchi, ma non si allontanarono mai in periferia perché Bizet pensò: “Violetta, semmai andrà verso il Duomo. Quindi non dobbiamo allontanarci troppo”. Dopo altri tre chilometri, riposarono e tornarono verso il centro. 34 14 Capitolo: Il randagio Jon e il gatto percorsero altri quattro chilometri e incontrarono un cane randagio. Un bastardino che girava nella strada triste e sperduto. Bizet si fermò, saltò sul muretto così che, se il cane voleva rincorrerlo non avrebbe potuto e disse: << Cane, se conosci questa città, farò ciò che tu vorrai! Parola di Bizet >>. Il cane si girò dicendo – chi è che parla? – e vide il gatto sul muricciolo. Saltò con le zampe anteriori sul muro dicendo: << Eccome se la conosco questa città! Ci vivo da cinque anni. In cambio voglio solo cibo >>. Bizet disse: << Va bene. Sto cercando una gatta bianca con gli occhi azzurri che si chiama Violetta. Si è persa nella città. Quando scenderò, però non m’ inseguirai >>. Il cane scodinzolò per dire di sì e il gatto scese dal muretto. Il cane disse: << Mi chiamo Roger e sono affamato, cercami del cibo >>. Il gatto disse al piccione: << Cerca un altro pezzo di carne >>. Il piccione ritornò dopo poco e quando Roger finì di mangiare disse: << Vi porto nelle strade vicino al centro, ok? >>. Il gatto miagolò come per dire – sì – e Jon e Bizet seguirono Roger in tutte le stradine. La gente che li vedeva sorrideva dicendo: << Che contrasto della natura! Il piccione che segue il gatto, il micio che non mangia l’uccello e segue il cane e il cane che non insegue il gatto >>. Il gruppetto camminò in tutte le strade della città passando in quelle più solitarie. Il gatto disse: << Roger, sai dove ci troviamo di preciso? >>. Il cane si guardò intorno e disse: << Ci stiamo allontanando notevolmente dal centro della città. Direi di non avvicinarsi troppo alla periferia >>. Una 35 notte, Bizet chiese a Roger la storia della sua vita e lui iniziò mentre stava masticando un pezzo di carne: << Vivevo in un negozio. Era un tempo molto triste perché mi avevano allontanato troppo presto da mia madre. Quando un giorno un ragazzo mi prese e mi portò a casa sua. Era buono, gentile ma sua madre doveva trasferirsi con lui. E visto che era ancora piccolo e non poteva vivere da solo, un giorno mi abbandonò in strada. Piangeva tanto e mi abbracciò fortissimo cercando di tenermi ma, sua madre era dietro di lui e lo trascinò dal braccio fino alla macchina mentre lui diceva fra le lacrime: “Roger, non te ne andare, seguimi. Ti prego mamma lasciami, Roger!”. Provai a seguire la macchina e mi fermai a metà viaggio. Qui a Milano. Però ho deciso di perdonare le donne e gli umani ma, il mio padrone, mi manca un sacco… troppo >>. Camminarono per sei giorni e sei notti attraversando un parco dove dei cani stavano giocando. Annusarono l’aria e un bulldog disse: << Lo sentite anche voi questo odore… è un gatto >>. Un labrador nero disse: << Eccolo là, inseguiamolo >>. I cani si gettarono alla rincorsa di Bizet che disse al piccione: << Distrai i cani. E tu Roger, affronta quelli che non si distrarranno dal piccione >>. Rimasero tre cani che non seguirono il piccione: un pastore tedesco, un meticcio e un bulldog. Il pastore tedesco si batté contro Roger e il meticcio e il bulldog andarono verso il gatto. Bizet si gonfiò così tanto da sembrare grosso quanto il pastore tedesco e soffiò contro gli avversari. Il bulldog si spaventò e scappò ma, il meticcio si mise a ringhiare di fronte al gatto. Il cane attaccò e Bizet fece un balzo in aria atterrando sulla schiena del cane che si buttò a terra. Il gatto sfoderò gli artigli e graffiò il collo del meticcio. Intanto il padrone del pastore tedesco l’aveva preso dal collare chiamando l’accalappia cani e Roger s’era fiondato sul meticcio in aiuto di Bizet. Il meticcio batté la ritirata correndo dal suo padrone che stava anch’esso correndo verso esso ma era troppo lento. Il piccione volò verso i due animali e i tre scapparono. L’accalappia cani era arrivato e i tre scapparono velocissimi ma la macchina si fermò davanti ai tre. Quando cercarono di prendere il cane che ringhiava esasperato. Il gatto saltò addosso al signore che minacciava Roger e il piccione beccò in testa il secondo uomo che stava acchiappando una sacca. Così i tre scapparono al via del gatto e la scamparono bella. 36 15 Capitolo: L’incontro con Gred Era passato un mese e mezzo, Violetta aveva sette mesi e mezzo (quindi Bizet otto) Era un anno strano a Milano, il tempo mutava in continuazione: vennero tre giorni di sole, dopo una settimana di freddo polare, un pomeriggio di pioggia e alla fine neve. Violetta era sdraiata sul tetto di una casa e si stava leccando le zampe anteriori pensando: “da sola come sono, non riuscirò mai a tornare indietro. Questo non è un paese piccolo dove ogni strada porta nello stesso punto come in montagna… non c’è un gatto nei dintorni che mi aiuti”. Quando a un tratto venne una folata di vento e il pelo lungo e morbido della gatta si mosse come un onda, il sole si oscurò e si mise a nevicare. Dal cielo scendevano piccoli fiocchi di neve gelati. La gatta aveva sete, non beveva da un giorno e allora si dissetò con la neve. La conosceva perché in montagna era tutto coperto. Immaginò la sua mamma nera, come un puntino in mezzo a un mare di bianco, poi alla sua padrona, alla sua casa, alla madonna sul Duomo con i capelli dorati nascosti da fiocchi di neve che sembravano fiori, ad Artù che guardava alla finestra e infine a Bizet. Lì il pensiero si fermò e si chiese cosa in quel momento stesse facendo. Si scosse molto tempo dopo dai suoi pensieri per guardare un milione di fiocchi bianchi candidi che ricoprivano la città e lei stessa. Si alzò e si scrollò per non soffocare sotto mezzo metro di neve e si sedette. 37 Guardò il cielo credendo che ci fosse il sole che le avrebbe illuminato la strada, ma invece il cielo era grigio. Credeva che fosse nebbia, invece erano tutti i fiocchi che grigi e bianchi coprivano l’azzurro del cielo. Violetta aveva freddo, la sua pelliccia non bastava per riscaldarsi e allora scese dal tetto. Camminò per le strade vedendo la gente che, vestita con giacche nere e marroni, con sciarpe, cappelli, guanti e ombrello allungavano il passo per tornare a casa. Ben presto gli abitanti della città non si avvidero ad uscire dalle case e le strade furono tutte sgombre. Le uniche persone in strada si rifugiavano nei bar e nei negozi. Violetta si sdraiò in un angolo della strada riparata da una grossa coperta verde, disabitata. Quando si svegliò si ritrovò coperta dalla massiccia e calda coperta verde e vicina ad un barbone che dormiva. Era notte fonda e non nevicava più, ma si capiva che aveva nevicato dalle strade bianche e grigie. Violetta uscì dal copertone e andò alla ricerca di un parco dove trovare qualche d’uno che le dicesse la via per tornare a casa. Camminò poco perché giunse ad un parco. Era bellissimo quel parco, l’erba era verde scuro e la cima era coperta di neve candida e ghiacciata. Sembrava un tappeto verde e bianco. Gli alberi erano coperti di neve, e solo il tronco rimaneva senza. Il parco era disabitato, non doveva essere stato molto bello senza neve, perché non era curato. Violetta girò l’angolo in cerca di cibo e trovò un muro incrostato da pipì dei barboni, sotto c’era una strada che andava in discesa verso un garage. Violetta annusò: odore di gatto selvatico. Camminò sui bordi della strada e vi trovò pezzi di carne ancora buona e altri rimasugli di cibo. Alla fine sentì un rumore sopra di sé e alzò gli occhi: sul tetto della sudicia casa, c’era un grosso gatto randagio grigio metallo. Piegò la testa mostrando begli occhi verdi e disse: << Cia bambola, che ci fai qua? Sei di casa nevvero? >>. Violetta, non conosceva il carattere dei gatti randagi perché se n’era scordata e arrossì in poco sotto il pelo bianco delle guance, vergognosamente fece dei passi indietro e rispose: << Buona sera anche a lei… mi chiamo Violetta >>. Il gatto grigio si scusò: << Che nome affascinante bambola. Mi scusi, non mi sono presentato, io mi chiamo Gred e ho nove mesi >>. Anche Violetta spiegò quanti mesi aveva. Il gatto scese dal tetto e disse: << Che ci fa una bambola incantevole come lei, qui e per di più così giovane? >>. Violetta si sedette compostamente e disse tristemente, con una voce quasi velata dalle lacrime: << Mi sono persa… la mia casa è al centro. Mi può aiutare ad arrivare al Duomo? >>. Gred pensò un attimo e prontissimo rispose: 38 Certo signorita, ma è meglio se lei mangi un poco prima >>. Così l’accompagnò nel parco innevato e salì su di un albero. Da un ramo buttò un pezzo di carne fresca dicendo: << Qui vive n’a vecchina buona, buona che mi da sempre pezzi di cibo >>. Violetta si sedette vicino alla carne e Gred scese dall’albero con un balzo dal ramo più basso. Quando atterrò, sprofondò nella neve lasciando le sue grosse impronte. Così iniziarono a mangiare e Gred disse: << Tenga questa parte >>. Dividendo con l’artiglio la carne, diede la metà più grande a Violetta e mentre mangiava la sua piccola metà diceva: << Racconta come ti sei persa >>. Così Violetta, mentre mangiava raccontava, e quand’ebbe finito si sedette e continuò a raccontare la storia che il lettore già conosce. Alla fine del racconto Gred disse: << Vieni bambola, qui ho un covo meraviglioso! >>. Così Gred accompagnò la gatta sul tetto della casa sudicia e la portò in un posto nascosto su un grosso davanzale della finestra. Lì c’era un grosso spazio dove riposare, visto che si stava facendo giorno. Mentre i due gatti dormivano, all’alba venne una folata di vento gelido e la neve si ghiacciò. Violetta si svegliò per il freddo polare e lo disse a Gred, che gli si avvicinò accerchiandola col suo corpo formando una ciambella con al centro Violetta. Il pomeriggio Gred si mise in cammino con Violetta e uscirono dal parco innevato dicendo: << Ti sei allontanata un bel po’ da casa bambola. Bisognerà prendere la strada opposta >>. Così attraversarono due parchi, il secondo era Guastalla e percorsero un altro tratto di strada, ma poi tornarono nel parco. Gred allungò la strada di nascosto perché voleva stare più tempo con Violetta. Un giorno dove finalmente era sbucato il sole, Gred chiese alla gatta: << Violetta… >>. La gatta lo interruppe dicendo: << Finalmente non mi chiami bambola >>. Lo disse perché voleva sentire il suo nome che non sentiva da giorni e anche perché non sapeva cosa doveva dire Gred. Esso riprese: << Violetta, vuoi accoppiarmi? >>. La gatta sorrise credendo di aver capito male, ma poi tornando a ciò che aveva detto Gred, si gonfiò e disse: << Come! No, mi dispiace Gred, ma tu sei solo il mio amico >>. Gred pareva non aver capito e poi strepitò: << Se la pensi così va bene. Ma vattene, via dal mio territorio >>. Violetta capì che non era il momento di scusarsi perché esso si era gonfiato e soffiava, così corse via, sotto una siepe, poi ne uscì senza farsi vedere e si nascose dietro un albero così che, se Gred l’avrebbe seguita sotto la siepe, non l’avrebbe trovata. Quando sbucò da dietro l’albero, per vedere se il gatto c’era << 39 ancora non lo vide, e sospirò, annusò l’aria: niente, allora camminò nel parco pensando a cosa doveva fare. 16 Capitolo: Il ritrovamento di Violetta Era un giorno di sole, le strade erano tutte belle pulite dall’acqua della neve sciolta e pochi gruppetti di neve grigia che sembrava carbone era rimasto. Violetta aveva appena sonnecchiato nascosta da un sacco della spazzatura. Si alzò stiracchiandosi e si mise in cammino. Stava camminando nella strada perché era uscita dal parco, quando un anziano signore si fermò davanti a lei, la prese dalla collottola e se la accoccolò nella giacca marrone. Violetta era parecchio turbata, sfoderò gli artigli ma poi non graffiò il vecchio perché sentì che era una persona buona. Così il signore portò in macchina Violetta, la chiuse in una gabbia e arrivò ad una casa. Quando varcò la porta, teneva con una mano il trasportino dove dentro c’era la gatta che muoveva a scatti rabbiosi la coda. Il signore lasciò libera Violetta in una stanza, con sorpresa della gatta, trovò nella casa molti altri mici bonari e sonnacchiosi, ma anche giocherelloni, allegri e territoriali. Cinque gatti si avvicinarono a Violetta, erano: un persiano nero con gli occhi gialli, due orientali: uno bianco e rosso e una bianca, un norvegese e un gatto nudo. Ben presto arrivò anche un altro gatto, un grosso bengala territoriale e allegro. Vedendo un nuovo gatto nel suo territorio disse: << E lei chi è? >>. Violetta spiegò ciò che era accaduto e il bengala disse: << Qua dovrai seguire delle regole, Violetta. Siamo in dieci qui in casa, più tre cuccioli. Dovrai presentarti a tutti e cercarti un 40 territorio. Ti avverto, ne sono rimasti pochi. Adesso seguimi e ti farò conoscere i membri di qua >>. Violetta si sedette senza fare un passo e disse: << Io non starò qui per molto, ho una famiglia io. Mi sono solamente persa >>. Il bengala disse: << Per adesso stai qui. Poi scapperai quando vorrai >>. L’anziano arrivò nella stanza dicendo rivolto al bengala: << Tiger questa è una nuova arrivata, trattala bene >>. Tiger portò Violetta nelle stanze dove c’erano i gatti e se dormivano li svegliava con un forte miagolio. I gatti quando si accorgevano della nuova arrivata si sedevano tutti guardandola. C’erano: il bengala, il persiano, i due orientali, il gatto nudo, il norvegese, due curl rossi, un singapura, un exotic shortair crema e un siamese. I cuccioli erano: due curl con le orecchie piegate entrambi di colore rosso che dovevano avere pressoché due mesi e un orientale bianco e rosso di quattro mesi. Violetta conobbe tutti i nomi dei gatti e si trovò come territorio un divano in pelle bianca. L’anziano portava a orari giusti un piattino di cibo e ne dava uno a ogni gatto. Passarono altri tre giorni dove Bizet, Roger e Jon percorsero molti chilometri. In cerca della gatta che intanto viveva nella casa che era vicina al Duomo. Così la trovarono che era un giorno nebbioso, camminavano velocemente quando Roger sentì una traccia: odore di gatto. L’annusò Bizet ed esclamò – è Violetta! – il gatto seguì la traccia e arrivò sul balcone della finestra. La finestra era aperta, Bizet fece intrusione nel territorio di diversi gatti. Vide Violetta che era sul divano a lustrarsi il pelo. Bizet miagolò: << Violetta, sono io Bizet! >>. La gatta girò lo sguardo attorno a sé quando vide Bizet, il piccione e il cane che stava poggiato con le zampe alla finestra così che si vedeva la faccia e disse: << Ma come, mi cercavi? Finalmente ti rivedo. Perché c’è un piccione e un cane con te? >>. Bizet disse: << è grazie a loro che ti ritrovo. Sono i miei aiutanti, il cane si chiama Roger e il piccione Jon. Adesso che ci siamo ritrovai, Jon penserà al cibo e Roger ci condurrà al Duomo >>. Bizet stava per saltare sul divano dalla sorella ma Tiger spiccò un salto e lo afferrò mentre anche Bizet era in aria. Si rotolarono a terra con gli artigli sfoderati. Bizet era diventato ferocissimo, non voleva che un gatto gli disturbasse il suo arrivo tanto felice. Roger uggiolò. Violetta spiccò un balzo sulla schiena di Tiger ma che le diede un calcio con le zampe posteriori mandandola sotto il divano. Bizet era ancora più feroce. Morse l’avversario e riuscì a finirlo perché con una botta, il gatto era svenuto. Bizet corse a vedere come stava Violetta che era un po’ stordita ma sempre in piedi. La gatta gli disse preoccupata: 41 Andiamo prima che tutti i nove gatti ci saltino addosso! Via! >>. Bizet uscì in strada da Roger, aveva riportato un morso alla zampa e dei graffi. Liberi di incontrarsi, i due gatti si strofinarono l’uno contro l’altro facendo le fusa, la gatta leccò la zampa di Bizet dicendo: << Sei ferito! Andiamo lentamente, non faticare >>. Roger li portò fino al parco Guastalla mentre Bizet si appoggiava zoppicante con la zampa sanguinante a Violetta. Dopo poco Roger disse: << Siete molto vicini all’arrivo nella vostra casa. Domani dovremmo arrivare. Non so voi ma io ho fame! >>. Jon disse – subito – e volò portando un pezzo di pane e tre di carne. Il pane lo mangiò il piccione e la carne i tre. Bizet disse: << Adesso invece dobbiamo tornare a casa. Raccontami la tua storia, dove sei andata? Cos’hai fatto? >>. Violetta si sedette, si leccò una zampa e disse al gatto: << Mi sono persa perché ho seguito un uccello nel davanzale. Mi sono ritrovata in un giardinetto e mi son detta “mi sono persa”, ho ritrovato la mia traccia, ma si è messo a piovere e non l’ho più trovata. Sono salita sui tetti ma, ahimè il Duomo si vede ma non riuscivo a riconoscere la casa. Mi sono persa, mi sono allontanata dal centro e non riuscivo più a vedere il Duomo. Ho trovato in un parco un gatto grigio. Lui mi ha aiutata ad avvicinarmi un po’ al centro della città. Si chiamava Gred, si comportava come un gentil gatto… anche troppo, un giorno mi disse “ti vuoi accoppiare?”, io mi gonfiai tutta e gli dissi un chiaro NO, lui ci rimase male e mi allontanò dal suo territorio, così ho iniziato il lungo viaggio, un anziano mi ha preso e portato nel gattile che hai visto. Il capo era quello che hai steso, si chiamava Tiger >>. Bizet che stava ribollendo di gelosia e rabbia contro Gred, rispose: << Brava Violetta, non dovevi accettarlo quel Gred perché era randagio >>. Violetta ripose impettita e con sguardo furbo: << Ma i randagi, sono sempre più romantici dei gatti casalinghi >>. Bizet non rispose e finì di mangiare lentamente. Dopo mangiato, i tre, si avviarono a casa e camminarono molto. Roger disse tristemente: << Adesso vi lascio. Vi accompagno fino in piazza e tra poco addio >>. Così Violetta si arrampicò sul tetto e rivide il Duomo. Scese e disse: << Si vede il Duomo finalmente. Siamo arrivati! >>. Violetta era talmente felice che fece un forte miagolio che rimbombò nella città. Così il cane li accompagnò in piazza dicendo: << Qui è dove c’è la tua famiglia. Che porta è? >>. Bizet camminò nella piazza e girò fra i portoni annusandoli, si fermò davanti a un portone marrone scuro dicendo: << 42 Ecco, questo è il nostro portone Violetta >>. Roger disse: << Adesso vi devo salutare. Addio. Bizet, mi mancherai! >>. Il gatto lo interruppe dicendo: << No, no, no. Stai qua e ti adottiamo. In casa mia c’è un’altra cagna! I padroni non ci sono ancora, aspetta con noi >>. Così arrivò pomeriggio e a un certo punto videro la padrona di Bizet che veniva con il fidanzato. Quando vide il gruppo gridò: << Bizet, Violetta! >>. Quando li raggiunse, li prese entrambi in braccio. Bizet disse a Jon in lingua gattesca: << Arrivederci e grazie dell’aiuto >>. Il piccione disse: << Grazie a te che mi hai risparmiato la vita! >>. La padrona di Bizet, quando vide il cane esclamò stupita: << E questo chi è? Un amico? >>. Bizet miagolò come per dire di sì e si strusciò contro la mano della padrona, ma poi smise di fare le fusa e fece gli occhi tristi come per dirgli “adotta il cane”. La ragazza capì e disse: << Vuoi che adottiamo questo cane? >>. Bizet riattaccò con le fusa e la ragazza rivolta al cane disse: << Vieni con noi. Sei il benvenuto a casa >>. Il cane le leccò le mani e la ragazza disse al fidanzato: << Porta Violetta dai vicini e bada a Bizet, ho visto che ha una zampa ferita, curala. Io vado a portare dal veterinario questo cane >>. La ragazza prese il cane in braccio perché era di taglia piccola e lo portò al garage, entrò e prese la macchina rossa. Caricò il cane e partì per andare dal veterinario. << Mentre la ragazza era in macchina col cane gli disse: << Vuoi che ti chiamo Thor? Che faccia che fai, ok no… Rupert, che uggiolio, all’ora Roger. Ok Roger >>. Il cane si era messo a scodinzolare. Il fidanzato della ragazza, portò Violetta dai vicini, bussò alla porta e venne ad aprire Beatrice. Quando vide la sua gatta urlò: << Violetta! Grazie signore, grazie! >>. Così arrivò la madre delle ragazzine e volle sapere la storia di Violetta. Così il ragazzo si sedette al tavolo con Bizet sulle ginocchia. Artù corse a vedere cos’era successo e si strofinò con gran forza contro Violetta che lo salutò con una leccata. Quando il fidanzato uscì dalla casa dei vicini. Portò Bizet al suo territorio e quando entrò Kelly corse incontro al fidanzato abbaiando di gioia. Bizet saltò giù dalle braccia del ragazzo e si fiondò al fianco della sua “mamma cagna”. Si leccarono molto e si strofinarono con i nasini e la schiena, Bizet raccontò la sua avventura, e quando ebbe finito aggiunse: << … E il cane Roger verrà a vivere da noi! >>. Kelly era felice perché, dal racconto di Bizet aveva capito che era un cane che ha protetto il suo “bambino” da un pastore tedesco. Così che quando arrivò Roger, pulito e vaccinato, anche Bizet era bello pulito perché era stato sciacquato col guanto profumato dal ragazzo e con 43 la zampa bendata. Kelly venne incontro a Roger e si presentò scodinzolando, Roger disse: << E lei bella cagna, deve essere Kelly. Bizet mi ha parlato di lei, è molto bella come mi aveva raccontato il gatto >>. Kelly si vergognò un poco, guardò Bizet come per dire “ma cosa gli hai detto!” e disse a Roger: << Grazie signore, veramente Bizet non doveva esagerare… ma grazie >>. In realtà Bizet non aveva detto niente a Roger della cagna, solo che si chiamava Kelly, così capì che Roger era già innamorato. Quando il cane si allontanò, il gatto si avvicinò a Kelly e le disse: << In realtà gli ho detto solo il tuo nome, tu gli piaci mamma >>. Kelly era molto sorpresa e volle conoscere la storia di Roger. Così che quella sera, mentre Roger mangiava, raccontava anche la storia della sua vita a Kelly. Così il salotto fu pieno di cose, ci furono cose per gatto e per due cani. 17 Capitolo: Che successe alla madre di Violetta e Bizet? Intanto, abbiamo lasciato Fiammella (la gatta nera con gli occhi verdi madre di Bizet, Violetta, Romeo e Molly) all’hotel in montagna di Madonna Di Campiglio che scacciava i piccoli micini di un mese. La separazione era avvenuta troppo presto, di solito avviene a tre mesi, ma la madre gatta era randagia e, anche se amava immensamente i piccoli era molto egoista e dovendo procurare cibo per sé e i cuccioli, dovendoli addestrare e ripulire il covo, non ce la faceva più e in un giorno brutto come quello, li aveva scacciati. Negli ultimi mesi, era vissuta tutta sola nel covo vicino all’hotel, poi la cameriera aveva cercato di prenderla e portarla a casa sua insieme a Molly e Romeo ed il loro piccolo ma essa era scappata. Così, da quel giorno non tornò più all’hotel perché si annoiava a vivere lì non avendo niente da fare. La gatta andò in tutte le strade del paese, non le conosceva tutte ma voleva perdersi trovando qualche altro compare con cui fare una nuova vita. Così un giorno, si ritrovò in una strada davanti a un muricciolo, dove sopra c’erano sette gatti randagi e ben pasciuti: uno grigio, che era quello che aveva soffiato contro Bizet quando gli era morto il fratellino e non trovava la sorella, uno rosso e bianco, una bianca, una rossa, una grigia, uno bianco e nero con un orecchio flagellato 44 ed un gattone tigrato. I maschi chiesero: << Che ci fa qui? >>. La gatta rispose: << Voglio vivere una vita movimentata >>. I gatti dissero: << Hai trovato il posto giusto, noi abbiamo una casa disabitata dove facciamo sempre festa ballando. Oggi è un giorno di festa >>. Così Fiammella seguì i sette gatti che camminavano uno a fianco all’altro formando delle coppie di una femmina e un maschio. L’ultimo maschio rimasto era quello bianco e nero che camminò a fianco a Fiammella. Scavalcarono il muricciolo di mattoni rossi e giunsero ad una casa con un muro grigio e sopra una finestra aperta con sotto un balcone bianco. Saltarono sul balcone e poi entrarono nella finestra aperta della casa disabitata. Dentro c’erano solo due stanze. una grigia ed una bianca. La stanza grigia era quella dove i gatti facevano i bisogni perché c’era un vaso di terra rotto e la terra faceva da ghiaia, la stanza bianca invece conteneva un tappeto rosso sciupato ed un ipood acceso che suonava una musica rock. Dentro la stanza c’era uno zingaro che dormiva avvolto da una pulita coperta. L’ipood era acceso e faceva una musica rok. Così i gatti uno per uno entrarono nella stanza bianca. La musica finì e quando iniziò una nuova, i gatti si misero a “ballare”. Fiammella si mise a ballare con il gatto nero e bianco che si chiamava Rupert. C’erano altre tre femmine che ballavano in coppia con gli ultimi tre maschi. I gatti si misero a ballare muovendo la coda e incrociando le zampe, spiccando salti in alto e ricadendo sul compagno che doveva alzarsi sulle zampe posteriori e afferrare con quelle anteriori la compagna abbracciandola e ricadere a quattro zampe per poi rifare le stesse pose. Fu una sera strepitosa per Fiammella e si fece un nuovo hobby: il ballo. Così Fiammella visse in quella casa fino alla sua morte. Scoprì che nella casa c’era una cucciolata di otto cuccioli e anch’essa ben presto si accoppiò con il gatto nero e bianco di nome Rupert che aveva anch’esso occhi verdi e fece tre cuccioli: una femmina bianca, uno nero e una bianca e nera. Scoprì ben presto che tutte le femmine aiutavano le madri delle cucciolate ad allevare i loro piccoli così che, svezzati non li scacciavano come di consuetudine ma si aggiungevano al gruppo. Così Fiammella riuscì a sopravvivere senza scacciare i cuccioli, e scoprì che avere un aiuto nella loro cura era molto più semplice, così che senza fare sforzi amava e accudiva i piccoli. Una notte Rupert le si avvicinò e gli si sedette dietro mentre lei era sdraiata ad arco con i cuccioli che ciucciavano e dormivano beatamente. Ormai erano già passati un po’ di giorni e i piccoli avevano iniziato a fare le fusa, anche la madre faceva le fusa e 45 anche Rupert. Ben presto tutti gli altri e la casa pareva esplodere di fusa. Lo zingaro pensava sia a se sia ai suoi gatti e portava sempre tre cosciotti di prosciutto rubati non so dove. A notte fonda, i gatti smisero di fare le fusa, e mentre i cuccioli dormivano uno dei gatti chiese: << Fiammella, sei qui da giorni e con feste e cose del genere non hai ancora raccontato la tua storia. Oggi è il giorno delle proprie storie e la prima sei tu. Ne ascolteremo solo quattro oggi: tu, Vanessa (la gatta bianca), Rupert e Zanna Rossa (il gatto grigio) >>. Così Fiammella raccontò la sua storia mentre leccava i piccoli e Rupert le leccò la testa sussurrandole all’orecchio: << Non è colpa tua se i tuoi piccoli li hai abbandonati troppo presto >>, erano solo parole di conforto perché il lettore non sa che la legge suprema delle madri gatte è: MAI ABBANDONARE I PICCOLI PRIMA DI TRE MESI E MEZZO e MAI NON AMARE E AIUTARE I PROPRI PICCOLI. Poi fu la volta di Vanessa: << Io non ero randagia. Sono nata in una casa e la mia mamma era Persiana, solo che mio padre era un randagio. Così nacqui senza essere di razza. La mia padrona voleva che io fossi di razza, ma ahimè ero l’unica cucciola. Fu un tale colpo per lei e mia madre che aveva il carattere uguale a quello della padrona, che mi scacciò di casa*. Così crebbi in questa città e mi trovò questa banda. Da quel giorno crebbi felice e incontrai il mio amore >>. Qui leccò il gatto bianco e rosso. Poi toccò a Rupert che leccandosi la zampa disse: Io vengo da Roma. Vivevo in un allevamento quando un giorno un signore mi rapì e mi portò in un paesino vicino a qui. Poi mi regalò a sua figlia e io scappai. Arrivai qui e mi adottò una vecchietta. Era bello vivere da lei, ma aveva un bassotto cattivissimo che era geloso e mi voleva scacciare da casa. Così un giorno dovetti lottare con lui e lo ferii gravemente. Non volevo e piansi per tutto il pomeriggio vicino al corpo del cane. Quando arrivò la vecchietta guardò il bassotto ormai morto, le lacrime offuscavano il suo volto. Mi guardò e con voce tagliente mi disse solo: “come hai potuto…io mi fidavo di te. Vattene” la fissai e mostrai il mio orecchio che il cane aveva flagellato. La vecchia pianse lacrime anche per me e furono le più grosse ma, non mi curò e prese una scopa. Con quella mi scacciò ed io con l’orecchio lacerato, lasciai la sua casa piena di morte: col bassotto morto e sanguinante e la goccia di sangue del mio orecchio caduto nel suo foulard. Quella goccia la mia padrona non la lavò perché mi amava e lo vidi quando tornai a casa sua. Tornai da lei << 46 otto volte ma mi scacciava sempre. Un giorno tornai in casa, ma la trovai morta sul letto per infarto. Fui il primo a vederla morta. Ben presto arrivarono i nipoti che fecero distruggere la casa e presero tutti i soldi. Così arrivai qua. Io amavo quella vecchia >>. Fiammella lo consolò leccandolo ma esso la respinse non per farle del male, ma per la tristezza che stava reprimendo. Poi fu la volta di Zanna Rossa, si sedette al centro del gruppo e si leccò le zampe pensando che così si sarebbe ricordato la sua avventura. Le prime parole che gli uscirono di bocca furono: << Io sono nato randagio. Girovago in queste strade da anni e il mio nome lo si deve alle mie imprese sanguinarie >>. *Anche ciò che ha fatto la madre di Vanessa, è fuori dalla prima legge delle madri feline: mai abbandonare il piccolo troppo presto Zanna Rossa si mise a sognare a bocca aperta perché essendo sanguinario, i ricordi di sangue gli piacevano immensamente e ne era fiero perché il lettore sa che una persona cattiva è fiera delle sue imprese brutali. Iniziò: Vivo qua da anni e anni ci resterò. Sono stato preso da un signore che mi voleva in casa sua perché aveva bisogno di un essere su cui sfogarsi. Io non glielo permisi, selvatico com’ero, un giorno mi arrampicai su di un armadio e saltai dall’alto mentre entrava rosso in faccia di rabbia per cose che gli erano successe fuori di casa, gli saltai sulle spalle sfregiandogli la camicia e le orecchie, facendogli provare il dolore che aveva fatto a me. Scappai dalla finestra con gli artigli zuppi di sangue, scappai sulle montagne ed una lince, attratta dall’odore di sangue dei miei artigli, mi bloccò la strada. Ero così felice di aver battuto un uomo che non volevo che una stupida lince mi bloccasse il cammino. Gli saltai sul collo senza avviso, senza il soffio che predice la guerra. Gli sfregiai l’orecchio ed essa mi morse il collo, guardate (si spostò la pelliccia del collo con la lingua e mostrò una grossa cicatrice) poi scappai, ma la lince mi seguì, era troppo tardi, ero in paese. Stetti un paio di mese a riprendermi e ragionare quando vidi un gattino rosso sedersi vicino a me… (Fiammella non sapeva che il gattino rosso s’era fermato davanti a quel gatto, subito dopo che gli era morto il fratello perché era grigio come esso). Il gatto tigrato interruppe dicendo: << L’hai ucciso? >>. Gregor riprese: << Non mi batto con i piccoli, gli ho soffiato contro. Poi sono entrato spinto dalla fame in questa casa e ho rubato parecchia carne. Finché vi ho incontrati >>. << 47 Il lettore ormai ha capito che Zanna Rossa, quel “rossa” significava che aveva fatto sanguinare molti esseri viventi con i denti ormai bianchi e che era un gattaccio che manco Dio lo perdonerebbe. Tutto il gruppo dei gatti rimase di choc alla fine del racconto, molti dissero – finisce così? – altri – come! – o ancora – che storia entusiasmante - ed un esclamazione da parte delle femmine. Si è capito che quel gruppo di gatti ragionavano in modo cupo, oltre ad avere un padrone zingaro e permettevano persino che i cuccioli ascoltassero quella storia terribile. 18 Capitolo: Periodo d’accoppiamento Era un Sabato di Giugno. Fuori il cielo era così azzurro che sembrava il mare dopo la marea. Le strade erano bagnate dalla neve ormai completamente sciolta e brillava alla luce dell’immenso sole oro. Erano le quindici di pomeriggio e la gente era tranquilla seduta alle sedie del bar, i giovani mangiavano gelato e i bambini giocavano a calcio nei parchi oppure con i loro cani. Quando Beatrice volle far accoppiare Violetta con Bizet. Pregò la madre che accettò ed Angelica sorrise felicemente. Così Beatrice ne parlò con la padrona di Bizet che accettò. Così che un giorno portarono Bizet dalla gatta e lo rinchiusero in quel territorio. Dopo due giorni Bizet si era accoppiato, era stato nel territorio della gatta per due giorni e aveva usato la lettiera della gatta e mangiato dalla ciotola di Violetta insieme a lei. Per convincere Violetta aveva solo detto: << Ero cotto di te già da quando eravamo randagi. Abbiamo percorso molte avventure insieme ed è giusto che i nostri corpi si congiungano >>. Violetta si sedette, si leccò la zampa e la spalmò nell’orecchio sciacquandoselo, anche lei era tutta lavata e portava un collare oro, mentre Bizet di diamanti. La micia poi guardò fisso 48 Bizet e disse: << Ahi ragione. Abbiamo percorso molte avventure insieme e anch’io ero un po’ innamorata di te. Va bene >>. Così si erano accoppiati. In una giornata fresca, con un bel sole rosso, di pomeriggio nel mese di Agosto nacquero sette cuccioli: una femmina rossa con gli occhi azzurri che chiamarono Rosetta, un maschio bianco con gli occhi verdi che chiamarono Aramis, un maschio bianco e rosso con gli occhi azzurri che chiamarono Artù, una femmina nera con gli occhi azzurri che non aveva ripreso né dalla madre né dal padre ma dalla madre nera dei suoi due genitori che si chiamava Atina, una femmina color champagne che si chiamava India e una femmina bianca con gli occhi azzurri che chiamarono Vaniglia. Così Artù aiutò anch’esso Violetta nell’allevamento dei cuccioli (questa volta nati nello stesso giorno) come un babysitter. La prima gattina, Rosetta, la prese la vicina e il suo territorio fu la cucina. Vaniglia, Aramis e Artù li tennero la famiglia ma Atina e India vennero regalate a delle amiche della madre di Angelica e Beatrice e Atina a una compagna di scuola di Beatrice. Anche Kelly presto fece i cuccioli con Roger il diciassette Agosto. Tre cucciolini belli e cicciotti. Uno uguale alla madre e una uguale al padre. L’ultimo un misto fra i due. Vendettero tutti i cuccioli di cane a parte l’ultimo, quello misto che chiamarono Thor. Quando i cuccioli di Violetta crebbero e compirono tre mesi, era ormai la notte di Natale e lo spirito buono e sincero di Dio, girava fra i cuori degli animali e degli umani purificandoli. Dalla finestra del quarto piano, si vedeva il Duomo con la Madonna oro con i capelli, il vestito e il velo coperti da grossi fiocchi di neve. Nevicava e le case erano tutte illuminate. Dentro le case i bambini pregavano alle finestre il Signore, altri mangiavano, altri sistemavano il presepe ed altri ancora guardavano l’albero di Natale, che quella sera sarebbe stato pieno di regali. I gatti erano tutti in salotto per la riunione di famiglia, Bizet, Rosetta, Kelly, Roger e il loro cucciolo erano presenti perché erano stati portati giù da Violetta per far incontrare la famiglia. Erano nel territorio di Artù, c’era un lungo tappeto verde, rosso e oro, le grosse finestre brillavano alla luce della luna, a destra della stanza c’era una scrivania di legno con pile di carte da lavoro sopra e al centro un cero che brillava e illuminava un quarto della stanza, il resto brillava dalla luce della luna, a sinistra della stanza, in un angolino c’era l’albero di natale che con i fili elettrici accesi 49 di molti colori, illuminava un altro quarto della stanza ed era abbellito dalle palle colorate che Angelica e Beatrice avevano messo, sotto aveva già i regali, a fianco il presepe enorme con una pecora per terra fatta cadere da uno dei piccoli di Violetta. Si misero tutti in un cerchio aperto insieme ad Artù, tutti seduti. Al centro c’era Violetta con Bizet che aveva la zampa guarita e la fascia non l’aveva più, la gatta disse: << Quando sono nata ero randagia. Avevo una madre nera con gli occhi verdi ed eravamo in cinque, io la quinta e il terzo vostro padre…ecc. >>. E continuò a raccontare la storia che il lettore sa. Così che i piccoli ascoltarono tutta la notte il racconto di Violetta. Vaniglia aveva il carattere uguale alla madre ed era uguale ad essa anche del fisico e del colore. Aramis aveva il carattere del padre ed anche Artù. Rosetta invece era agile, furba e bella come la madre e intelligente come il padre. Mentre Violetta raccontava, tutti ascoltavano attenti mentre il cucciolo di Kelly e Roger che si chiamava Thor, stava mordicchiando l’angolo di un regalo che stava sotto l’albero di Natale. In quell’ora, era nato il Signore che perdonò tutti i peccati della famiglia. 50 INDICE: 1 capitolo: i cuccioli nati 2 capitolo: i cuccioli crescono 3 capitolo: la curiosità 4 capitolo: l’allontanamento 5 capitolo: meno uno 6 capitolo: la perdita 7 capitolo: la cattiva signora 8 capitolo: la fuga 9 capitolo: l’arrivo 10 capitolo: una scoperta entusiasmante 11 capitolo: intanto i due… 12 capitolo: violetta non c’è più 13 capitolo: un aiutante 14 capitolo: il randagio 15 capitolo: l’incontro con Gred 16 capitolo: il ritrovamento di Violetta 17 capitolo: che successe alla madre di Violetta e Bizet? 18 capitolo: periodo d’accoppiamento pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. pag. 51