leggi il libro on-line - La chiave dei due mondi

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Ludovica Viganò
La vita di un gatto randagio
La mia storia:
Nata il 26 febbraio 2002 a Milano. Pubblicato il libro nel
quando l’ha
scritto aveva nove anni e mezzo. Vive in Piazza Fontana *** vive con un
gatto un Exotic Shortair crema tabby di nome Artù.
Ho voluto scrivere un libro che parla di gatti perché, ogni volta che
leggevo un libro con un personaggio animale, erano sempre cani. Quindi
io che ho un gatto e li conosco, ho scritto un libro con personaggi i gatti e
ho messo un po’ delle loro abitudini e poi aggiungendoci anche un po’ di
fantasia.
In allevamento quando aveva 2 mesi
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Dedicato al mio gatto Artù e alle persone
che hanno accolto sotto il proprio
tetto un’animale randagio o non.
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INTRODUZIONE
A Madonna Di Campiglio viveva una gatta che partorì cinque cuccioli ma,
un giorno due di essi vennero presi da una cameriera.
I cuccioli rimasti in tre vagarono nella città senza meta e un giorno uno di
essi trovò famiglia e rimasti in due, uno morì e rimase un cucciolo.
Un giorno una donna lo trovò e lo portò in città ed esso scappò perché la
donna lo picchiava ed era cattiva, incontrando la strada della sua vita e
rincontrando sua sorella creduta morta. Ma essa si perse e allora il gattino
si prese il compito di andarla a cercare e si fece due amici che lo aiutarono
nell’avventura.
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1 Capitolo: I cuccioli nati
Una gatta nera si stava leccando il pelo, si trovava sul tetto di un hotel nel
paesino in montagna di Madonna Di Campiglio. Il cielo stava calando, di
qua e di là c’erano mucchi di neve bianca e grigia, la gatta si era appena
accoppiata quindi doveva cercare un covo da preparare per l’arrivo dei
cuccioli che sarebbero nati. La micia stava pensando che covo scegliere,
scese dalle mattonelle di legno del tetto, saltò su un terrazzo dell’hotel,
scivolò fino ad un altro terrazzo e ben presto arrivò a terra, nella strada
innevata. A destra c’era una discesa che portava a un parcheggio con sopra
un tetto di legno sorretto da quattro pali. La gatta passeggiò nel portico
dell’hotel davanti a una panchina dove c’era una vecchia signora che
sorrise. Sgattaiolò dietro l’angolo dell’hotel verso le cucine dove c’era una
finestra da dove si vedevano i piatti sui tavolini e i cuochi che si davano da
fare; in quell’angolo sbarrato da un muro, a destra c’era la pattumiera e a
sinistra delle assi spezzate per terra e una pala appoggiata a un muro. La
gatta si diresse verso le assi di legno, un po’ appoggiate al muro e un po’
per terra. Si nascose dietro di esse, dove c’era una conca innevata. La gatta
nera si mise a scavare la neve buttandola fuori dal suo covo e vi spalmò un
po’ del suo odore nella, ormai, sua tana e vi trovò anche delle foglie nel
terreno. Quindi camminò verso i bidoni di spazzatura, vi si attaccò ai bordi
facendoli rovesciare, si staccò ed ispezionò la pattumiera trovando gli
scarti del bollito. La gatta pensò “oggi la cena è abbondante, finalmente”.
La micia afferrò il bollito e ne mangiò un poco, il resto lo sotterrò sotto
terra nel suo covo e si addormentò.
Passarono un po’ di mesi nel quale la gatta si era indaffarata ad allargare il
territorio per i cuccioli che sarebbero nati e a pulirlo dalla neve fresca.
Un giorno di questi, la gatta, dopo essere entrata dalla finestra, ed essere
riuscita col suo sguardo con gli occhi verdi a farsi amici i cuochi e farsi
dare un cibo sostanzioso, tornò nel suo covo con le voglie in movimento.
Si sdraiò e per il dolore graffiò il terreno. Dopo un paio di minuti, a fianco
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ad essa c’era un cucciolo. Nero e cicciotto. Dopo un paio di mesi (ho
voluto inventare che la cucciolata la fa in un paio di mesi, ma non è reale
perché gli animali partoriscono tutti i cuccioli in un giorno), accanto ad
essa, c’erano cinque cuccioli: uno nero, che era un maschio ed era nato
per primo, un'altra tigrata nata per seconda, un altro grigio nato per terzo,
un altro rosso con disegnini bianchi nel pelo (come il colore dell’ Exotic
Shortair crema tabby) con una linguetta rosa, ruvida e calda che si leccava
cortissimi baffetti nato per quarto, un'altra bianca nata per’ultima. La gatta
li leccò tutti e cinque e i piccolini si avvicinarono alle mammelle per
poppare. Era un giorno di Ottobre, un freddo pungente spingeva i piccoli a
farli avvicinare al pelo della madre che ne teneva due grossi come il suo
muso fra le zampe e gli altri con la testolina che uscivano dalle cosce
attaccati al pelo della madre.
Il lettore in questa spiegazione dei cuccioli messi in questa posizione dirà:
“non è vero, di solito i piccoli stanno ad arco vicini alla pancia della
mamma”, infatti è vero, ho voluto mettere un po’ di mio.
Ogni ora qualche cucciolo usciva da sotto il pelo e andava a ciucciare il
latte, ogni gattino aveva la sua mammella e anche con gli occhi chiusi la
riconoscevano perché ci avevano spalmato il loro odore.
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2 Capitolo: I cuccioli crescono
I gattini crescevano, aprirono gli occhi, impararono a saltare quando la
finestra era aperta e ad entrare nella cucina chiedendo il cibo al cuoco
Giorgio che era l’unico che di nascosto dava alla famigliola pezzi di cibo.
La madre insegnò loro anche a prendere topi che ce n’erano pochissimi ed
uccelli presenti soprattutto in piazza. Insegnò ad arrampicarsi sugli alberi
dove uno alla volta salirono su un albero. La madre si fermò sul primo
ramo e i gattini, obbedienti la seguirono: prima il micino nero, poi quello
tigrato, quello grigio e la micina bianca. Ma il gattino rosso era troppo
curioso e gli piaceva arrampicarsi limando i suoi minuscoli artiglietti. Così
giunse al terzo ramo e la mamma che l’aveva visto salì a prenderlo, mentre
il piccino faceva il suo miagolio lungo e straziante che fanno i gattini
cuccioli quando credono di non poter riuscire a fare qualcosa, in questo
caso scendere. La madre lo raggiunse e lo prese dalla collottola molto
delicatamente. Gli artigli dei gatti sono fatti solo in una direzione quindi la
gatta non scese dal fusto dell’albero ma saltò nel secondo ramo
attaccandosi con gli artigli e poi mollò la presa cadendo sulle quattro
zampe nel primo ramo. Il micino s’era preso paura e la madre lo guardava
severamente. Quando la madre saltò giù dall’albero mostrando ai piccoli il
movimento e com’era riuscita a cadere sulle quattro zampe, la gattina
tigrata che era la più veloce nel correre saltò giù senza paura e così il
micino nero, il più grande e ciccione perché mangiava più degli altri e che
inoltre gli piaceva la gattina sua sorella tigrata quindi la seguì, il gattino
grigio che era il più gracile fece un salto e per miracolo non atterrò
addosso alla madre che elegantemente si spostò indignata, il gattino rosso,
il più forte fece un salto perfetto. La gattina bianca che era la più piccola,
carina ed agile, non ebbe il coraggio di saltare, si sdraiò sul ramo, si leccò
nervosamente la zampa studiando attentamente la profondità che la
distanziava da terra, si sedette e saltò. La mamma insegnò ai piccoli anche
a salire sui tetti e, la notte era un bel passatempo per i piccoli che si
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allontanavano dalla madre e poi tornavano dopo una bella passeggiata sul
tetto di mattonelle di legno.
Nelle ultime settimane il colore degli occhi si stabilizzò a tutti, il micino
nero aveva gli occhi verdi come la madre, la gattina tigrata marroni, il
micino rosso gialli - verdi, quello grigio gialli e la gattina bianca azzurri
blu, non era quel tipo di azzurro ghiaccio, gelido e freddo ma espressivi e
dolci.
I piccoli erano molto vivaci e giocavano insieme. Ormai tutti i cuochi e
anche il metre e i camerieri erano a conoscenza dei gattini e nella giornata
lasciavano quasi sempre la finestra aperta e la notte buttavano pezzi di cibo
nella neve. Un giorno una cameriera uscì dalla finestra e trovando il covo
della gatta vi mise una coperta e trovò anche i micini che aspettavano la
mamma. Si arruffarono ma quando videro il viso conoscente, si fecero
anche accarezzare. Dopo aver osservato in giro cercando con lo sguardo la
gatta che non appariva, la cameriera rientrò nella finestra e rimase lì ad
osservare per pochi secondi e la mamma gatta apparve ed entrò nel suo
nascondiglio. Il metre entrò in cucina e chiamò la cameriera dicendole:
<< su, corri a sistemare i tavoli numero otto, dodici, diciassette e quello del
presidente! >>. La cameriera sparì e il metre prima di uscire dalla cucina,
osservò la tana dei gatti e vide il maglione.
Intanto i piccoli crescevano e ben presto, quando tutti avrebbero compiuto
un mese la madre li avrebbe lasciati da soli e li avrebbe scacciati dalla
conca che era il suo territorio.
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3 Capitolo: La curiosità
Un giorno che nevicava di brutto e i cuochi non avevano lanciato il cibo, la
cucciolata si allontanò per cercare altro cibo perché quello sotterrato non
c’era per tutti ma bastava solo per la madre. Il gattino rosso salì come tutte
le sere sul tetto e senza farsi vedere, saltò agilmente sui terrazzi e i tetti di
mattonelle di legno in cerca di cibo. Saltò in un terrazzo del terzo piano e
si acciambellò bello protetto dalla neve. Dopo un po’ si svegliò sentendosi
accarezzato, si girò e vide una signora con i capelli rossi -marroni, le
guance piene e vestita di nero e grigio. Per lui era la prima volta conoscere
un’altra signora che non era vestita né da cuoca né da cameriera e non
aveva odore che conoscesse. Il micino spaventato balzò sul terrazzo e salì
sul tetto. La signora corse nella camera delle sue nipotine, perché era una
zia, e le avvertì di ciò che aveva visto. Così le due ragazzine con un
piattino di prosciutto a pezzetti, salirono nella camera della zia.
Intanto il gattino era tornato sul terrazzo, la porta che conduceva alla
camera da letto era aperta, il gattino si fece un sacco di coraggio vedendo
nuove cose, camminò nella soglia che confinava con il terrazzo e il parquet
della camera, poi il micino si fece altro coraggio e con la sua intelligenza
sopraffina capì che: le tende, il letto, i comodini, il pavimento e le porte
erano oggetti senza vita come il terreno dove camminava, pensò che quello
era un territorio occupato da un umano che adesso non c’era e che al posto
di proteggere il suo territorio se n’era andato. Il gattino si avvicinò al
parquet molto spaventato, si tranquillizzò e saltò sul letto. Si sdraiò, era
morbidissimo quel covo pensò, ma i suoi pensieri furono interrotti presto
da un rumore, la porta s’aprì e il gattino pensò “ l’umano di questo
territorio starà venendo con altri umani per aiutarmi a scacciare”. Scese dal
letto e saltò sul terrazzo ma non se ne andò. Entrarono due ragazzine, il
gattino era la prima volta che vedeva umani cuccioli, si avvicinarono al
parquet, molto lentamente per non far scappare il gatto ma esso saltò giù e
si ritrovò su un altro terrazzo. Le ragazzine se ne erano andate lasciando il
piattino di prosciutto sul davanzale della finestra. Il gatto affamato,
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sentendo odore di cibo, fece la camminata di tutti i terrazzi e alla fine salì
in un ultimo terrazzo molto più grosso dove c’era una scala che portava al
terzo piano e il gatto risaltò in tutti i terrazzi fino a quello col prosciutto,
saltò sul davanzale, diede un’ occhiata vicino a se senza vedere nessuno e
allora iniziò a mangiare e leccare il piattino.
Quando tornò dalla madre non le disse niente del nascondiglio del cibo.
Quella notte la donna non dormì mai perché era allergica al gatto e starnutì
sempre immaginando che il gatto era di sicuro salito sul letto.
Tutta la notte i gattini si divertirono però a pancia vuota a parte il gattino
rosso che svelò il segreto solo alla gattina bianca che non ne fece parola. E
il giorno dopo i gattini mangiarono i grossi pezzi di carne datagli dai
cuochi. La mattina dormirono e il pomeriggio iniziò a nevicare con grossi
fiocchi di neve e i cuochi diedero poco cibo che mangiarono solo il gattino
nero, quella tigrata e pochissimo quello grigio perché veniva sempre
scacciato. Il gattino rosso e quella bianca sparirono e andarono a mangiare
il prosciutto che la donna aveva rimesso sul davanzale.
Ma questo successe solo per quattro giorni perché dopo nevicò un sacco e
non fu possibile mangiare il prosciutto salendo fino al terzo piano.
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4 Capitolo: L’allontanamento
Era giunto il giorno che la mamma volle allontanarli dal suo territorio.
Era un giorno brutto, nevicava come sempre, il cielo era tutto bianco e il
vento sferzava contro gli alberi tanto che a un certo punto fece cadere per
terra un asse che quasi andava addosso alla gattina tigrata che accorta fece
uno schizzo a destra. I gattini avevano tutti due mesi. Di mattina uscì dalla
finestra la cameriera che aveva messo la coperta nel territorio della gatta
che aveva chiamato Fiammella, si avvicinò quando c’era la madre e prese
un gattino della cucciolata, quello nero che non si fece prendere e quando
la cameriera capì che il micio voleva anche la gattina tigrata perché
stavano attaccati l’uno all’altra, la cameriera li prese tutti e due in braccio,
anche se la femmina che più le piaceva era quella bianca con un pelo
magnifico. Fiammella, la gatta madre non protesse i cuccioli e li lasciò
prendere e portar via, non era preoccupata perché conosceva quella signora
e sapeva che era buona e li avrebbe curati e amati.
I tre mici rimasti, il pomeriggio vennero scacciati dalla mamma in modo
spaventoso, Fiammella si era gonfiata soffiando contro i piccoli. Prima che
tutti i gattini scappassero, la gattina bianca prese un grosso pezzo di cibo
che aveva lanciato il cuoco quella mattina ma che nessuno l’aveva ancora
mangiato. La gatta nera si arrabbiò un sacco e corse dietro i piccoli per un
tratto di strada ma poi tornò indietro. I piccoli corsero via passando davanti
a delle persone che passavano sotto il portico tornando all’hotel. I gattini
salirono nel tetto dell’hotel e tornarono al terzo piano trovando il
prosciutto. Il gattino rosso non voleva svelare anche al gatto grigio del
prosciutto ma la gattina bianca lo contraddisse. Purtroppo quella notte la
mamma che voleva proteggere il suo territorio salì su tutti i piani dell’hotel
e i gattini vedendola scesero velocemente senza farsi vedere e scapparono
nel paese che era tutto buio, ma avevano fatto in tempo a mangiare la
carne presa e il prosciutto. Salirono sul tetto di un’altra casa: nevicava; si
affacciarono alla finestra e videro un Persiano di colore rosso di nove
mesi, sdraiato sul letto che si leccava le zampe, quando vide altri gatti sul
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davanzale della finestra, soffiò ma poi si avvicinò ai tre europei. Era la
prima volta che quel gatto vedeva altri mici di razza diversa. Iniziò una
conversazione, il gattino grigio chiese: << Come si chiama lei? >>.
<< Artù e voi tre? >> Disse Artù
<< Non abbiamo nomi >> Risposero in coro
<< Siete randagi? La mia donna qualche volta me ne parla, perché siete lì
fuori al freddo? >> Disse Artù
<< Noi dobbiamo lottare per vivere, fortunato lei signore che ha una casa e
una donna che gli da il cibo e la fa dormire sul letto >> Disse la gattina
<< Non è vero che è buona con me >> Disse Artù
<< Perché ? >> Chiese il gattino rosso incuriosito
<<Voglio avere un tiragraffi più grande di quello che ho, poi voglio avere
una nuova cuccia. E lei mi ha portato qui, io non vivo qui, il mio territorio
è una grande dimora a Milano, ed è proprio al centro in Piazza Fontana
*** e dalla mia finestra si vede la madonnina! >> Disse Artù
<< Ma signore, lei ha tutto perché si lamenta? I gatti come noi non abbiamo
niente di ciò che tu dici e se l’avessimo, almeno una casa o un grande
territorio saremmo devoti per tutta la vita a quella persona! Tu hai tutto
eppure… >> Disse la gattina
<< Lo sapete gattini, mi avete fatto ragionare e siete molto saggi, grazie
della vostra lezione e se volete vi presenterò alla mia donna ma, non credo
che vi prenderà. Sapete lei è molto ricca ed adora i gatti ma i suoi genitori
non le farebbero mai prendere un altro gatto randagio >> Disse Artù
<< Ma è un cucciolo di umani? >> Disse il gattino grigio
<< Sì ed è più buona degli adulti >> Disse Artù
<< Noi li vediamo ma ci fidiamo solo degli adulti! I bambini che
conosciamo cercano sempre di strangolarci e toccarci! >> Disse il gattino
grigio
<< Non tutti i cuccioli d’umani sono saggi, ci sono quelli troppo piccoli che
solo un gatto adulto pieno di pazienza ci sa ragionare. Altri grandi che
odiano i gatti ed adorano i cani, altri che hanno l’età della mia, ma che
sono stupidi, si sente il carattere del cucciolo d’uomo, io ho sentito
sicurezza e saggezza in quella “bambina”. Così si chiamano i cuccioli
d’uomo >> Disse Artù
<< Grazie di ciò che ci hai insegnato! >> Dissero i tre micini
<< Anch’io ve ne sono grato, grazie di ciò che avete detto. Dormite qui sul
terrazzo >> Disse Artù.
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I gattini ringraziarono e si addormentarono nascosti dietro il trasportino di
Artù. I gattini non fecero colazione e il gattone fece di tutto per riuscire a
far aprire la finestra alla padrona per dare un po’ del suo cibo ai gattini. La
bambina aveva nove anni, aveva i capelli rossi e ricci e gli occhi verdi,
portava occhiali rosa ed era molto snella. Finalmente all’ora di pranzo una
donna si mise a pulire la stanza, era la nonna della bambina che aprì la
finestra. Quando se ne andò, Artù prese un po’ di cibo e lo buttò nel
terrazzo dove i tre gattini mangiarono tutto, erano fegatini di cavia con
pezzetti di salmone e riso. Mangiarono tutto ed Artù l’invitò ad entrare. I
gattini erano stupiti, non avevano mai visto un gatto che non proteggeva il
proprio territorio, entrarono ed al gatto grigio gli scapparono i bisognini.
Disse: << Dove si fanno i bisogni? >> Il gatto li condusse nella lettiera,
mostrò come si faceva scavando, facendo e ricoprendo e ben presto il
gattino grigio scavò, fece pipì e ricoprì e Artù disse: << Così si fa in casa,
questo oggetto si chiama lettiera >>.
Quel giorno i gattini fecero un bel sonnellino al sole in terrazzo e vennero
svegliati qualche volta da Artù che saltava dalla finestra al terrazzo
dicendo: << Tenete un po’ di cibo >>.
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5 Capitolo: Meno uno
I tre gattini seguirono questo tran-tran per tre giorni, ma al quarto, la
bambina curiosa di vedere perché Artù era dimagrito e portava in terrazzo
il cibo, lo seguì con lo sguardo e scoprì i tre gattini. Fuori stava
passeggiando la madre e il padre della bambina. I tre gattini randagi,
avevano un orecchio più sviluppato di quello domestico e sentirono i passi
della bambina silenziosi come quelli di un gatto. A un certo punto,
lasciarono il cibo mezzo finito e saltarono giù dal terrazzo, il gattino
grigio, meno agile e il più magro, fece uno strappo alla spalla e impettito si
sedette e si mise a leccare il punto ferito come se niente fosse successo
(perché se no, rovinava la stima felina). Quella notte fu gelida e i tre gattini
videro che Artù di notte era chiuso in salotto. Così quando il micione li
vide, corse da loro e spinse la porta del terrazzo con la zampina, perché
non si chiudeva mai bene. Così i tre mici, quella notte fecero baldoria
finché si poté e hai primi rumori scapparono via. Fuori nevicava e il
cambiamento del clima, dal caldo del salotto al freddo di fuori, fece
sobbalzare il gattino grigio. Quel giorno, verso mezzogiorno nevicava e
Artù non portò ai tre mici il cibo, per non rendere sospetti alla padroncina.
I gattini si cercarono un posto dove dormire. La gattina bianca salì sul tetto
della casa, si scrollò e scese verso la tettoia, si lasciò scivolare e si ritrovò
su un mucchio di neve, posto su un lungo e spazioso balcone. Scavò nella
neve scacciando quel che poté. Guardò dentro la camera da letto, per
vedere se c’era qualcuno e non essendoci nessuno si addormentò, al
coperto dai grossi fiocchi di neve che cadevano a migliaia.
Venne svegliata verso le tre del pomeriggio, l’orario in cui la bambina si
coricava in camera sua a leggere con Artù, si sentì toccare e una
sensazione piacevole la travolse, si mise perciò a fare le fusa, ma quando si
ricordò nel punto dove dormiva, si svegliò subito e vide un viso da
bambina, molto bello che le sorrideva, con capelli ricci, rossi e saggi occhi
verdi. Cercò di scappare ma, la ragazzina l’aveva presa in braccio. La
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gattina sentì una sensazione molto rilassante e capì l’animo della bambina:
felice. Tornò in se e fece un forte miagolio che fece eco nella vallata.
Intanto i due gattini non avevano sentito il miagolio della sorella e
dormivano indisturbati.
La gattina sfoderò gli artigli, graffiò più volte le mani della bambina e le
morse le dita. La bambina, dolorante lasciò il gatto sul letto e subito
accorse Artù capendo che la sua amata padroncina era ferita e soffiò contro
la gattina bianca, gonfiandosi tutto. La gattina presa alla sprovvista si
arruffò. La bambina chiamò il padre e la madre, il padre corse a prendere
la scopa per scacciare la gattina bianca, la madre portò la bambina a
disinfettare le ferite. I due gatti si scontrarono e vinse la randagia che non
uccise il gattone perché erano amici e gli disse: << Senti, non voglio lottare.
Noi due siamo amici e non è colpa mia se la tua padroncina mi ha chiuso
in questa stanza! >>. La gatta fece alzare Artù che era per terra ma non
aveva riportato ferite. Il gattone le disse: << senti, noi oggi partiamo e
torniamo a Milano, dove c’è il mio secondo territorio. Puoi prendere altre
stanze visto che non ho tutta la casa. Vivi con noi, non avevi detto che era
bruttissimo vivere fuori? Sopporta il viaggio, comportati bene davanti agli
adulti cercando di farti accettare e poi, è fatta. Fai la bella vita! >>
La gattina ci pensò su poi accettò e seguì Artù in bagno dalla padrona
ferita, lui le saltò sulle ginocchia facendo le fusa e disse un’ultima cosa
alla gattina prima che il padre della bambina, presa la scopa non le desse
una botta: << Se vuoi vivere qui, non devi affezionarti alla mia padrona.
Scegli un altro della famiglia che sia il tuo servo! >>. Poi il padre diede una
scopata alla gatta che si rifugiò dietro il water. La sorella di quattordici
anni della bambina dai capelli rossi, protesse la gattina e l’accarezzò, poi la
prese in braccio e disse: << Visto che è buono questo gatto? Portiamolo con
noi. Vi prego… >> La ragazza, anch’essa con i capelli rossi e gli occhi
marroni, avvicinò il gatto al padre e la gatta gli leccò il dito. Così i genitori
l’accettarono. Adesso rimanevano i nonni che, come sempre accettarono
dopo una leccata. Artù informò la gatta che quella che mi aveva protetto si
chiamava Beatrice e la sua padroncina Angelica ma che lui la chiamava
“mamma”. Così la famiglia si organizzò e chiuse la gatta in un altro
trasportino.
Il viaggio fu molto lungo e tutto il tempo la gattina nervosa si girava e
rigirava nel trasportino, miagolando e tirando fuori gli artigli.
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Alla fine arrivarono e Beatrice prese appuntamento dal veterinario dove
fece fare i vaccini alla gatta, la fece controllare e così seppe che era una
femmina.
La gattina non era stata sempre brava col veterinario e un bel morso,
l’aveva fatto rigar dritto. Così il veterinario con il secondo morso iniziò ad
odiare la gattina che faceva la brava solo con la famiglia ed Artù.
Nei giorni seguenti la gattina aveva compiuto tre mesi, l’avevano lavata,
mangiava cose di lusso in altre ciotoline nuove, prese per lei, faceva i
bisogni nella lettiera, una nuova, e il suo territorio era in un’altra stanza: la
stanza della lettura ed aveva anche un nuovo tiragraffi. La gattina la
chiamarono Violetta. Le prime notti miagolò pochissimo perché si sentiva
sola e voleva scatenarsi. La notte infatti la lasciavano andare nel territorio
di Artù spostando solo la sua lettiera e mettendola nel territorio dell’altro
gatto in caso di bisogno.
Artù era castrato e quindi non poteva accoppiarsi.
La mattina richiudevano Violetta nel suo territorio e, di pomeriggio poté
dormire vicino alla padrona che leggeva nella sua camera.
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6 Capitolo: La perdita
I due gattini che ormai avevano compiuto quattro mesi (essendo più grandi
della sorella di un mese), era da un pezzo che non cercavano la sorella,
l’avevano cercata per una settimana e ormai vagavano dispersi nella città.
Rubavano cibo dai bidoni della spazzatura e cambiavano sempre territori.
Non tornarono mai indietro dalla loro madre e le videro di tutte i colori:
una volta il gattino rosso aveva incontrato un cagnone e il povero micino
aveva corso velocissimo verso un tetto della casa con il cane alle calcagna,
che mentre si stava arrampicando rischiò di farsi mordere la coda e, venne
ben presto raggiunto dal gattino grigio, quando ormai il cane se n’era
andato. Il gattino grigio era sempre più debole e magro e sembrava essere
morto quando dormiva. I due batterono nevicate che coprivano il
pavimento di trenta centimetri, pioggia, la scarpa di un signore che era
caduta dalla finestra perché voleva zittire i due gatti mentre rubavano il
suo pollo dalla finestra del primo piano, ma anche spassi come: attaccarsi
alla coperta appesa al terrazzo e cadere su un chilo di neve o, rincorrere
per mezza piazza un cagnolino cucciolo piccolissimo.
Ma un giorno di questi mentre nevicava tanto, i due si addormentarono
uno vicino all’altro sotto la neve e, quando li sommerse del tutto, il gattino
rosso si svegliò e si scrollò. Scavò nella montagna di neve per svegliare il
fratello e lo trovò sdraiato. Un corpo inerte e gelido coperto dalla neve,
con gli occhi aperti e la lingua di fuori. Il gattino lo chiamò – svegliati
amico mio, dobbiamo andare. Svegliati, svegliati su – ma anche il piccolo
gattino aveva capito che il cielo aveva richiamato a sé il fratello per
arrivare a Dio. Il piccolo gattino camminò a lungo, senza una meta, col
cuore distrutto. Incontrò un gatto grigio adulto e si ricordò di suo fratello
ma, quel gatto quando lo vide gli soffiò contro e il gattino scappò via. Non
sapeva dove andare e percorse una montagna, nascosto fra gli alberi senza
mai uscirne per andare nella pista dove le persone sciavano. Qualche volta
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osservava gli sciatori molto attentamente, un giorno, fattosi coraggio, di
sera vide un pub ancora aperto ma, c’era solo la signora che vendeva che
quando lo vide disse: << Oh povero micino. Di solito a me non piacciono i
gatti ma, tieni >> Porse al gattino una salsiccia appena cotta. Il micino
corse a nascondersi in mezzo ai pini ma, poi si fece coraggio, l’odorino era
troppo stuzzichevole quindi fece capolino con il testino e andò a mangiare
la salsiccia. Il pub chiuse e la signora se ne andò salutando il micino e
chiese al gatto delle nevi che, passava in quel momento di darle un
passaggio.
Così era la vita del gattino che girava senza meta sempre triste, col cuore
pieno di asprezza contro la madre che li aveva allontanati e tristezza per la
perdita dei suoi fratelli, la morte improvvisa che era la prima che vedeva e
la sparizione della sua amata sorellina. Così crebbe col cuore pieno di
amarezza e compì cinque mesi. Era Aprile.
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7 Capitolo: La cattiva signora
Grossi fiocchi di neve cadevano nel paese ricoprendo strade e tetti. Il
gattino si incamminò in paese, noncurante dei cani che gli abbagliavano
ringhianti fermati dal collare. Incontrò un bambino che disse – mamma
guarda, guarda c’è un gattino! – il micino si volse verso egli ma poi
continuò a camminare. Fece il giro del lago nascondendosi alla vista della
gente quando, a un certo punto, vide una signora bassa, cicciona, con
lunghi e ricci capelli biondi che teneva per mano una bambina uguale a lei
ma meno ciccia, gli occhi del gatto erano attratti da quella signora, forse
perché era la più brutta che non avesse mai visto. La bambina lo notò e
disse: << Guarda, c’è un gatto! Lo voglio, lo voglio, lo voglio >> La madre
cercò di farla ragionare ma ai capricci della bambina accennò e
velocissima, cosa che non sembrava poter fare, afferrò per la collottola il
gatto che iniziò a soffiare e sfoderare gli artigli ma non poteva girarsi
come fa la testa della civetta. Così la signora portò il povero micino per la
collottola per tutto il giro del lago tornando in piazza. La signora aveva gli
occhi tutti puntati su di se e chi non la vedeva, si girava verso di lei
sentendo i miagolii lunghi e continui che faceva il povero micio. La
bambina sorrideva e canticchiava – ho un micio, ho un micio cattivo – un
signore mosso a pietà si avvicinò alla signora chiedendole cosa ne avrebbe
fatto di quel gatto e la signora rispose solo – lo vuole mia figlia – e poi si
girò nervosamente e si ficcò il povero gatto nel giubbotto fermandolo ben
bene così che non dava all’occhio ma, i miagolii del gattino si sentivano lo
stesso. La signora ficcò la mano sotto il giubbotto e diede una botta al
gatto che svenne.
Il gattino si ritrovò in una casa addobbata e di gran classe. Era in braccio a
una bambina che lo stava ficcando in una vasca d’acqua e senza ascoltare i
miagolii di protesta e schivando gli artigli, lavò per bene il micio e alla
fine, dopo averlo imbacuccato in un asciugamano e strizzato come una
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salvietta, il micio ne uscì bello e ordinato. La bimba gli lavò i denti a forza
e poi gli mise in testa un fiocco azzurro. Il gattino finalmente poté dormire
sul letto ma venne svegliato dalla bimba perché ci voleva giocare e il gatto
stravolto perché era giorno pieno si nascose in mezzo al letto così che,
quando la bambina si mise a piangere, la scopa della madre non lo poté
toccare e si fece una bella dormita. Quando si svegliò era stato toccato da
una scarpa quindi uscì e la bambina lo prese dicendo: << Cattivo gatto, c’è
la pappa! >> Finalmente il gatto poté mangiare cose decenti ma ben presto
venne picchiato perché aveva graffiato il divano. Così la signora lo
picchiava sempre e il micio non vedeva l’ora di andarsene ma, le finestre e
le porte erano sempre chiuse.
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8 Capitolo: La fuga
Meno male la signora doveva tornare a Lecco un paesino vicino a Milano
così che quel giorno si presentò la fuga.
Le due donne entrarono in macchina, la bambina dietro con il gatto, misero
una musica rok ad altissimo volume e il povero gatto fu costretto ad
ascoltarla. La macchina partì e salutò Madonna Di Campiglio per andare in
un altro paese. Il viaggio durò abbastanza, il gatto si aggirava
nervosamente nella macchina senza mai arrampicarsi sulle gambe della
bambina. A un certo punto, si sedette e guardò il finestrino dalla parte
della bambina, la bimba aveva caldo quindi aveva aperto il finestrino,
anche quello dalla sua parte era aperto ma, così poco che non ci passava.
Provò a saltarci per vedere se scivolava e venne preso dalla bambina che
non voleva che scappasse così gli chiuse il finestrino. Il viaggio era lungo,
la donna tarchiata guidava velocissima e il gattino vedeva sfrecciare dalla
finestra strade e montagne innevate.
A un certo punto del viaggio, mentre erano quasi arrivati, il gattino decise
che era l’ora della fuga, saltò sulle ginocchia della bambina che disse
seccata: << Finalmente ti sei accorto che le mie ginocchia sono più morbide
gattaccio. Ho scelto il nome per te Gattaccio! >> Non finì la parola che il
gattino era saltato fuori dalla finestra e gli era caduto il fiocco azzurro, la
bambina lo afferrò per la coda e, il gattino ancora in aria la morse e saltò
giù dalla macchina. La bambina urlò alla madre: << Ferma la macchina! >>
La madre si fermò troppo tardi perché sfrecciando così tanto non poté fare
di meglio. Gattaccio che era ormai il nome del povero micino, roteò in
mezzo alla strada e quasi non venne schiacciato da una macchina. Si
ritrovò nell’erba e riuscì a spostarsi in tempo prima che una macchina gli
schiacciasse una zampa. Gattaccio camminò sull’erba leccandosi la coda
poi si mise a seguire una macchina dove il colore l’aveva incuriosito, era
una macchina rossa che andava veloce, non era ancora arrivata al punto
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dove c’era il gatto così che lui ebbe il tempo di saltarci sopra. Il micino
scivolò giù dal tetto della macchina e scivolò giù, si attaccò al finestrino e
vide che dentro c’era una signora bionda, molto carina e con gli occhi
azzurri vicina a un uomo moro, al volante c’era un altro signore. Quei due
signori, uno era un amico, l’altro il fidanzato della ragazza. La ragazza
bionda vide il gatto e disse: << Prendi quel gatto! >> Il ragazzo preso alla
sprovvista si girò e afferrò da sotto le ascelle il micino che si lasciò
toccare. Il ragazzo lo posò sulle ginocchia della ragazza che se nel caso
Gattaccio graffiasse aveva una borsa, così che avrebbe graffiato la borsa e
non lei. Il gattino non graffiò perché era abituato agli umani e la ragazza
sorrise dicendo: << Che ci fai qui gattino? Sei troppo pulito per essere un
randagio, sei scappato? >> Il gattino fece un’espressione spaventata e la
ragazza continuò: << Sai come ti chiamerò, Bizet. Come gli Aristogatti >>.
Il ragazzo al guidante chiese: << Di che colore è il micio? >>. Il ragazzo
vicino alla signorina disse che era rosso e molto carino. Così il gattino
stette in macchina per l’ultimo tratto di strada e la macchina entrò a
Milano. Continuò fino ad arrivare al centro della città, davanti a un portone
di legno. I tre ragazzi uscirono dalla macchina e la signora prese il gattino
che si fece fare di tutto come una vera bambola. La ragazza varcò il
portone insieme al suo fidanzato e salutò l’amico che accarezzò il gattino
che si lasciava mettere dentro il giubbotto della ragazza. Così i due ragazzi
entrarono in un atrio dove in un angolo c’erano le scale, nell’altro
l’ascensore. La ragazza entrò con il fidanzato e il gatto, nell’ascensore.
C’erano cinque piani dove in due c’erano degli uffici, in un altro la
famiglia della ragazza, nel piano dopo dei vicini con un gatto e l’ultimo
piano della ragazza. Salirono quindi al quinto piano e la ragazza salutò con
un bacio il fidanzato e gli disse di andare a prendere il necessario per
Bizet. Era una casa ben sistemata e di gran lusso, era alla moderna, piena
di cose nuove e, quando la ragazza aprì la porta venne incontro al gattino
una cagnetta.
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9 Capitolo: L’arrivo
La cagnetta fece un sacco di feste alla ragazza e leccandola tutta ma, poi
sentendo l’odore del gatto si sedette e fissò la padrona che le disse:
<< Kelly, ho trovato questo gattino. Non essere gelosa è un cucciolino,
fagli da mamma >>. A quelle parole Kelly si sbloccò e continuò a fare le
feste. Intanto il gattino si era rifugiato dentro il cappotto, la ragazza lo
posò per terra e Kelly con molto contegno gli diede una leccata e lo annusò
per poco sotto il sedere. Il gattino indispettito si allontanò e si mise a
osservare la casa: tappeto, pavimento, tavolo, divano, letto. Girò per tutte
le stanze seguito da Kelly che sembrava gli facesse da guida
accompagnandolo per tutta la casa.
Il gattino saltò nel letto della ragazza ma per Kelly era troppo e lo scacciò
così che il micino si nascose sotto il letto. La signora lo chiuse in una
grande stanza dove c’erano tutte le cose del cane. Stava venendo sera, e
dopo un ora venne il fidanzato con le cose di Bizet: una bellissima lettiera
dove Bizet corse subito a farci i bisogni, una morbida cuccia con tendine,
che sembrava un trono, tre ciotole nuove di porcellana: una per l’acqua,
una dei croccantini e l’altra del cibo; un piccolo tiragraffi e gli
immancabili giochi. Così la stanza enorme che era il salotto, fu piena di
cose per cani e per gatti.
Il gattino, appena arrivato, fece i bisogni ed ispezionò, quello che ormai
era il suo territorio. All’ora di cena la ragazza mise una porzione nella
ciotola di Bizet che, anche se non sapeva mangiare da una ciotola, ci provò
e riuscì sporcandosi dai baffi alle orecchie. Allora Kelly quando ebbe
finito di mangiare leccò tutto il micino ripulendolo per bene. Il gattino di
sera si sentiva un po’ sperduto ed era stanco dell’arrivo, quindi quella notte
voleva dormire, però, non sapeva dove, quindi vedendo Kelly che riposava
nella sua cuccia, le si avvicinò alla pancia. La cagna si allontanò
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indispettita ma poi, nella notte, il gattino le si riavvicinò e lei fece finta di
niente.
La mattina dopo il gattino si svegliò stiracchiandosi tutto e vide che Kelly
stava già mangiando, quindi andò a vedere se la sua ciotola era piena.
Mangiò di buon gusto e bevve un po’ d’acqua. Fece i bisogni e dopo poco
venne la signora che doveva portare fuori Kelly. Quando tornò accarezzò
per un ora Bizet che iniziò a fare le fusa, le sue prime fusa davanti agli
umani. Di pomeriggio la signora portò il gattino a farlo vedere dal
veterinario e Bizet si stufò un poco ma fece il bravo.
Passarono un po’ di giorni nel quale Bizet imparò a fare i pisolini nella sua
cuccia e di pomeriggio, quando dormiva Kelly che faceva i pisolini
pomeridiani, dormiva vicino ad essa e di notte si scatenava
silenziosamente.
Insomma Bizet che era randagio adesso se la passa spassosamente. Adesso
aveva orari per la pappa e le sue ore di coccole, odiava farsi spazzolare ma
faceva il bravo e si faceva lavare gli occhi
Intanto anche Violetta (la gattina bianca) era arrivata a Milano da un pezzo
e la casa dove stava era addobbata all’antica, piena di quadri e tappeti di
grande importanza e lusso, lampadari di cristallo e divani in pelle (l’esatto
contrario della casa di Bizet: molto moderna, lussuosa e all’ avanguardia).
La gattina aveva una stanza grande e piena di quadri con un tappeto, un
divano e una bella finestra. Agli angoli c’erano tre bauli chiusi pieni di
giochi di Angelica. La stanza di Artù era a fianco a quella di Violetta e si
vedeva la madonnina del Duomo dalla finestra. Questa famiglia viveva in
una casa al quarto piano. Violetta se la spassava e aveva anche lei le sue
cose portate dalla montagna, di sera Beatrice lasciava la porta aperta che
portava al territorio di Artù così che i due gatti giocavano insieme. Violetta
mangiava negli stessi orari di Artù ed anch’essa aveva una bella ora e
mezza di coccole, si faceva spazzolare e lavare gli occhi. Anche lei da
randagia, adesso aveva trovato una famiglia.
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10 Capitolo: Una scoperta entusiasmante
Il giorno dopo, Angelica (la padrona di Artù), incontrò la vicina del quinto
piano che era la padrona di Bizet. Quindi si mise a parlare con essa
dicendo: << Lo sa signorina che noi abbiamo preso un altro gatto?
L’abbiamo trovato a Madonna Di Campiglio, era randagia. È bellissima,
ha il pelo bianco e gli occhi blu. Ha quattro mesi e mezzo >>. Anche la
ragazza disse ad Angelica: << Lo sa signorina Angelica che anch’io ho
adottato un randagio, era sul tetto della mia macchina, è scivolato, si è
aggrappato al finestrino e io l’ho preso. Il mio è un maschio, ho visto
subito che non era un gatto comune sa, è un campione. È un gattino di
cinque mesi, rosso con gli occhi gialli, si chiama Bizet >>. La bambina
disse: << La mia l’ho trovata che dormiva sul davanzale della mia finestra,
si chiama Violetta. Possiamo farli incontrare? >>. La ragazza ci pensò un
secondo poi disse: << Sì, posso portarlo per poco a casa tua. Chiedi prima a
tua mamma o papà >>. La bambina le disse – aspetta -, entrò in casa e
chiese alla madre: << Può venire la nostra vicina a bere il tè con il suo
nuovo gatto oggi pomeriggio?, li facciamo incontrare! >>. La madre accettò
e la bambina tornò in pianerottolo dalla vicina dicendo che poteva venire.
Poi la ragazza prese l’ascensore e uscì a fare una passeggiata con il suo
fidanzato. Tornò all’ora di pranzo e dette da mangiare a Bizet e a Kelly.
Accarezzò tutti e due. Dopo prese Bizet e lo portò al quarto piano dai
vicini. Suonò il campanello e disse chi era, così la madre delle bambine la
fece entrare. Bizet iniziava ad allarmarsi, subito Artù venne a vedere chi
era venuto e soffiò, quindi Angelica gli disse: << Stai buono, è solo un
cucciolino! >>. Artù era sempre all’erta e avrebbe attaccato volentieri Bizet,
sempre che lui scendesse dalla ragazza. Beatrice accompagnò la ragazza
con Bizet a incontrare Violetta. Liberò il gattino nella stanza della micia e
lei gli soffiò contro e anche Bizet, quando fu per terra iniziò il rituale di
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guerra. Dopo un po’ che i due gatti si arruffavano, Violetta attaccò Bizet e
i due gatti sfoderarono gli artigli. La vicina e Beatrice vollero separarli
subito ma non servì, dopo poco i due gattini interruppero la lotta e si
fissarono negli occhi strofinandosi i nasini per sentire il loro odore e allora
Bizet che aveva riportato un morso, lieve, alla zampa iniziò a parlarle con
un unico miagolio corto dicendo una frase intera: << Dove sei nata? Io a
Madonna Di Campiglio, in montagna >>. Il gattino iniziò a credere che
quella era la sua sorella randagia, “la gattina bianca” che era il nome di
quando era randagia, ella gli rispose: << Anch’io, quanti fratelli avevi? Io
cinque: uno nero, una tigrata, uno grigio, uno rosso ed io. La mia mamma
era una bella gatta nera con gli occhi verdi che ci ha scacciati e due dei
miei fratelli li ha presi la cameriera: quello nero e quella tigrata >>. Il
gattino rosso si ravvivò: << Sorella cara, sono della tua famiglia! Tu eri
quella che sei andata a dormire nel tetto della casa e non sei più tornata.
Hai trovato una bella casa con Artù! Il gattino grigio è morto! >>. La
sorella, Violetta, saltò addosso a Bizet e si rotolarono insieme felici per
tutto il tappeto e, al posto di combattere, iniziarono a giocare e leccarsi
felici.
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11 Capitolo: Intanto i due…
Intanto il gattino nero e quella tigrata, erano cresciuti insieme. La gatta si
chiamava Molly e il gatto nero Romeo. Vivevano in una casa normale con
un tetto di legno, due poltrone, due lettini, un bagno, una cucinetta e un
piccolo salottino con la televisione. La cameriera dava i pasti ai gatti e
dava solo una mezz’ora di coccole ai due gatti perché doveva sempre
lavorare. I due gatti tutto il tempo, giocavano insieme divertendosi come
matti e graffiando divani. I due gatti non avevano cucce ma, di giorno,
dormivano sempre sul secondo lettino vuoto, accanto a quello dove di
notte dormiva la cameriera.
I due gatti erano cresciuti un sacco, quello nero, aveva un manto liscissimo
e occhi verdi e aveva nove mesi, mentre quella tigrata otto e mezzo (quindi
Bizet sette mesi e mezzo e Violetta sei e mezzo), aveva anch’essa un pelo
liscissimo e tigrato e grossi occhi nocciola. La cameriera non li aveva
sterilizzati e quindi i due gatti volevano soddisfare i bisogni della natura.
Era un giorno di sole, Romeo saltò sul lettino dove Molly si stava leccando
le zampe. Dalla finestra filtravano raggi di sole riscaldando la gatta che si
stiracchiò. Romeo si sedette vicino a Molly e le disse: << Ei bambola
tiriamo su famiglia, ok? >>. Molly si girò e fissò intensamente il gatto
rispondendo: << Vai piano bello >>. Il gatto nero allora si avvicinò a lei e si
mise a corteggiarla girandole intorno e miagolando con voce impastata.
Così lei accettò e fecero famiglia.
Alla fine Romeo leccò la gatta e così, solo quando la cameriera portò per
far fare dei controlli dal veterinario Molly, scoprì che essa era in cinta. E
alle parole del veterinario sorrise e disse: << Me l’hanno fatta sotto il naso
questi birichini. Può vedere quanti cuccioli avrà? >>. Il veterinario si grattò
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il mento e poi disse: << Per adesso no. Dovrebbe partorire fra un mese >>.
La cameriera se ne andò e sospirò pensando a chi avrebbe dato i cuccioli.
Passò un mese. La cameriera era fuori dalla casa a lavorare all’hotel. Era
mattina piena quando la gatta fece un miagolio straziante e lungo. Romeo
stava riposando e quando entrò in camera da letto trovò Molly appoggiata
al cuscino.
Così nacquero i quattro cuccioli: una nera uguale al padre, uno uguale alla
madre, una cucciolina tigrata, con gli occhi verdi e la punta della coda nera
e un maschio nero, con gli occhi marroni e una zampa tigrata. Tutti i
piccoli si avvicinarono alle mammelle della madre e crebbero in fretta.
Quando ebbero un mese, uno lo dettero ad Emilia che era l’amica della
cameriera, una a Giulio che era un barista che lavorava nello stesso posto
della cameriera e uno lo diedero a una signora di nome Clarissa che era
una cameriera anche lei. L’ultimo cucciolo che era la femmina tigrata, con
gli occhi verdi e la punta della coda nera lo tennero. La madre l’aveva
scacciata quindi la gattina si trovò da sé il territorio: il bagno, dove
adorava stare nella doccia e nel lavandino. Il territorio del padre invece era
in salotto e quello della gatta: nella camera da letto.
La cameriera in seguito, comprò nuove cose per la gattina che chiamò:
Diana.
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12 Capitolo: Violetta non c’è più
Era una bella giornata calda, il cielo era così azzurro che nemmeno i colori
della tavolozza potevano copiarlo, i piccioni volavano sui tetti disturbando
la quiete con lo sbattere di ali. Nessuno era in casa al quarto piano. Erano
tutti usciti per passeggiare mentre invece Angela, Beatrice e la nonna di
tutte e due, erano andate a portare Artù dal veterinario. In casa c’era solo
Violetta che stava riposando e la donna delle pulizie. La donna aprì la
finestra della sala dove Violetta stava riposando.
Dalla finestra, penetravano i raggi del sole, quindi Violetta si alzò e uscì
dalla finestra sdraiandosi sul davanzale, così che i raggi del sole la
riscaldavano di più. A un certo punto si svegliò sentendo un pigolio e vide
un uccellino posato anch’esso sul davanzale che circondava tutta la casa,
poco lontano dal corpo della micia. Allora lei aprì un occhio e una vena di
caccia la spinse a cacciare. Fece finta di dormire e si avvicinò di soppiatto
al passerotto mentre esso non la guardava. A un certo punto fece un balzo
ma atterrò su un altro punto del davanzale, ma l’uccello non l’aveva preso
ed esso era volato sul tetto. Allora la gatta che era randagia e sapeva come
arrampicarsi su un tetto, riuscì a scalare saltando su davanzali e poi superò
il quinto piano e arrivò al tetto. L’uccello pareva piacesse vedere la gatta
che faticava per raggiungerlo, ma quando vide che Violetta era agilissima
nell’arrampicarsi volò in un tetto vicino. Così la gatta saltò, tetto per tetto
per prendere l’uccello e, si era scordata di tutte le altre cose, in quel
momento il suo unico pensiero era “prendere l’uccello”. Salì di tetto in
tetto e alla fine, l’uccello scese da un tetto e camminò in mezzo a un
giardino. Anche la gatta lo seguì e camminò nell’erba. Il passero però volò
via e, a quel punto la gatta si sedette nell’erba. Adesso la sua testa aveva
un altro pensiero “mi sono persa”. Provò a cercare le sue tracce, e le trovò.
Ma il tempo era arrabbiato con lei e si mise a piovere così che la gatta, non
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avendo marchiato con urine i tetti ma con i polpastrelli, non ritrovò più la
strada di casa. Si sentì col cuore vuoto, triste e stanco. Si acquattò dietro
un albero e si mise a piangere. Grosse lacrime scivolavano per terra, la
gatta si riprese quasi subito dicendosi “non piangere, le lacrime bagnano la
mia stima”. La pioggia non la bagnava, ma si sentiva scoperta ai pericoli
della città. Quindi si arrampicò sull’albero nel primo ramo ed ebbe la
fortuna di trovare un nido con tre uova, così che se le mangiò. Si
addormentò esausta e tormentata da brutti sogni.
Intanto al quarto piano regnava l’ansia. La povera Beatrice non vedendo la
sua gatta bianca, si mise a piangere. Artù era anch’esso molto triste ma
scoprì una traccia, l’odore di Violetta sul davanzale, ma poi non trovò
nessun’altra traccia perché aveva piovuto. Anche Bizet venne a
conoscenza della perdita di Violetta dalla sua padrona che l’aveva saputo
dalla madre delle ragazze. Al quarto piano, la famiglia si dette da fare a
creare cartelloni appiccicandoci le foto di Violetta e stampandone almeno
cinquanta. Beatrice ed Angelica, accompagnate dal padre, passarono nelle
strade di tutta la città appiccicandoci i cartelloni con su scritto:
Gatta persa:
Sei mesi e mezzo,
Europea bianca con occhi azzurri.
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Se la trovate, vi preghiamo di chiamare al numero ecc…
Tutta la famiglia era triste e con il cuore rotto. Bizet, quando seppe che
Violetta era scappata, si sentì in vena di scappare e andarla a cercare.
Preparò il piano della fuga, quel giorno stesso di pomeriggio quando la sua
padrona sarebbe andata a passeggiare. Così spiegò il piano anche a Kelly
che sembrò molto triste e diede tante leccate sulla testa del gatto, quello fu
il saluto del cane, Bizet la salutò strofinandosi con tale forza contro di lei
che sembrava scorticarle il pelo. Il saluto alla padrona, fu ancora più
commovente, gli si avvicinò facendo le fusa, si strofinò fortissimo contro
la mano e le gambe della padrona e le salì in braccio strofinandosi tutto e,
quando la ragazza si chinò verso il gatto per dargli un bacio sulla guancia,
lui non si fece baciare la guancia ma la bocca e, mentre lei lo baciava, lui
le leccò le labbra e la ragazza sospirò – birichino – e si pulì la bocca con la
manica del vestito. Così, quel pomeriggio, uscì dalla finestra salutato da
Kelly che gli disse: << Ti prego, torna presto bimbo mio >>. Kelly, infatti
aveva adottato fin da cucciolo Bizet come se fosse la sua mamma e infatti
il gatto le rispose: << Tornerò presto… mamma >>. Bizet diede un ultimo
bacio a Kelly e uscì fuori dalla finestra. Si arrampicò sui tetti e ne saltò
uno dopo l’altro. La cagna lo guardò dalla finestra e disse: << Non dovevo
lasciarti >>. Aveva paura di uscire dalla finestra quindi non uscì e, il gatto
da lontano le miagolò: << Non ti scorderò mai, tornerò presto… aspettami
sempre >>.
Intanto Violetta si era svegliata e non sapeva tornare a casa. Non c’era
niente ad aiutarla. Salì sui tetti e cercò di tornare a casa, saltò tetto per tetto
ma al posto di avvicinarsi a casa si allontanò sempre di più senza saperlo.
Alla fine pensò “mi staranno cercando. Forse facevo meglio a rimanere
dov’ero”. Scese dai tetti. Al posto di avvicinarsi, si era allontanata
notevolmente dal Duomo e, accortasi risaltò sui tetti seguendo la madonna.
Purtroppo la superò un’altra volta e tornò indietro. Decise di scendere dai
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tetti e si ritrovò in mezzo alla strada. Grosse macchine le correvano
addosso e lei le schivò tutte a parte una, era una macchina nera che veniva
nello stesso tempo di un’altra grigia, Violetta schivò quella grigia ma
quella nera, ahimè le schiacciò una zampa anteriore. La gattina miagolò sia
per il dolore, sia per la tristezza. Così si fratturò una zampina e uscì subito
di strada correndo a tre zampe. Quando giunse al marciapiede, camminò a
tre zampe tirando su sempre la zampina anteriore di destra. Così facendo
camminò per tutti i tetti, senza vedere il Duomo, perché adesso cercava
solo cibo. Così camminò nelle strade e a un certo punto sentì un odorino
stuzzichevole, di prosciutto e carne. Così venne condotta dal naso in
macelleria. Il macellaio la vide e disse: << Bella micina hai fame? Tieni
questo pezzo di manzo, te lo taglio a fettine e ci mischio un po’ di
prosciutto stagionato. Tieni >>. Mise su un fazzolettino la carne e il
prosciutto tagliati a fette e li mise vicino a sé. Così che la gatta mangiò
tranquillamente e poi se ne andò. Quando uscì dalla macelleria risalì sui
tetti ma, si era allontanata troppo, quindi non vide più il Duomo.
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13 Capitolo: Un aiutante
Intanto Bizet camminava lentamente come una pantera sui tetti. Era
affamato e stava cercando qualche uccello da mangiare. Così trovò un
grosso piccione che stava beccando del pane per terra. Bizet spiccò un
lungo salto e bloccò il piccione che quando vide chi l’aveva preso si mise a
blaterare: << Non mi mangiare… per favore, posso aiutarti se hai bisogno
di aiuto. Io volo in alto così che potrò aiutarti a trovare cibo o ciò che vuoi.
Per favore… >>. Bizet ci pensò su, poi rispose: << Va bene… ma come
potrò sapere che quando ti lascerò tu non scapperai? >>. L’uccello ci pensò
su e poi disse: << Lo giuro sul mio cuore e se scapperò mi ucciderò >>.
Bizet accennò e lo lasciò libero allora il piccione disse: << Cosa ti devo
cercare? >>. Il gatto si sedette e disse: << Devo cercare una gatta bianca con
gli occhi azzurri. Si chiama Violetta >>. Il piccione sorrise e disse: << Oh, è
una fidanzata? >>. Il gatto si arrabbiò e rispose: << No, è un’amica e adesso
fatti gli affari tuoi. La dobbiamo cercare insieme. Non sarai tu, il primo a
vedere la mia sorella >>.
<< Ok, ok. Come ti chiami? Io mi chiamo Jon >>. Rispose il piccione.
<< Io Bizet. Adesso cercami qualcosa da mangiare per favore. Io ti aspetto
qua >>. Disse Bizet.
Il piccione volò nella città e sorvolò un parco. Si fermò in una strada e
camminò verso una macelleria. Entrò volando e rubò un bel pezzo di
carne. Il macellaio prese per la coda il piccione e gli strappò un po’ di
piume, ma l’uccello riuscì a tenere ben saldo il pezzo di carne. Lo portò da
Bizet e glielo lasciò ai piedi. Bizet si mise a mangiare e poi disse: << Cer33
cami un covo protetto dove dormire, per favore >>. Jon volò e arrivò in un
parco dove trovò una conca perfetta dietro un albero protetto da un
cespuglio. Tornò da Bizet e gli disse – seguimi –, il gatto lo seguì
camminando svelto. Attraversò una strada e salì sui tetti delle case
seguendo Jon. Scese dall’ultimo tetto con mattonelle rosso sangue e si
ritrovò in mezzo all’erba di un parco. Il piccione lo condusse nel covo
nascosto e Bizet si fece un varco in mezzo al cespuglio arrivando a
capolinea in una conca bella riscaldata. Il gatto ordinò a Jon: << Svegliami
quando cade il sole e il cielo è arancione. Per adesso puoi mangiare un
poco e torna qua a mezzogiorno >>. Jon volò via e girò per i tetti per
cercare dell’altro cibo.
Intanto Violetta stava riposando anch’essa, in una stradina con ai lati, in
fila indiana degli alberi. Stava dormendo su un ramo di un albero
rilassandosi all’ombra delle foglie.
Jon tornò nel parco e si posò sull’erba dicendo: << Sveglia, svegliati. È
mezzogiorno >>. Dopo poco uscì dal cespuglio Bizet e si stiracchiò
dicendo: << Grazie, è mezzogiorno in punto. Molto bene e adesso il mio
piano è di uscire dal parco e allontanarci per la città. Indicami le vie con
meno gente, io ti seguirò >>. Il piccione si alzò in volo e Bizet lo seguì
mentre esso usciva dal parco. Così percorsero cinque chilometri girando in
strade solitarie e parchi, ma non si allontanarono mai in periferia perché
Bizet pensò: “Violetta, semmai andrà verso il Duomo. Quindi non
dobbiamo allontanarci troppo”. Dopo altri tre chilometri, riposarono e
tornarono verso il centro.
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14 Capitolo: Il randagio
Jon e il gatto percorsero altri quattro chilometri e incontrarono un cane
randagio. Un bastardino che girava nella strada triste e sperduto. Bizet si
fermò, saltò sul muretto così che, se il cane voleva rincorrerlo non avrebbe
potuto e disse: << Cane, se conosci questa città, farò ciò che tu vorrai!
Parola di Bizet >>. Il cane si girò dicendo – chi è che parla? – e vide il gatto
sul muricciolo. Saltò con le zampe anteriori sul muro dicendo: << Eccome
se la conosco questa città! Ci vivo da cinque anni. In cambio voglio solo
cibo >>. Bizet disse: << Va bene. Sto cercando una gatta bianca con gli
occhi azzurri che si chiama Violetta. Si è persa nella città. Quando
scenderò, però non m’ inseguirai >>. Il cane scodinzolò per dire di sì e il
gatto scese dal muretto. Il cane disse: << Mi chiamo Roger e sono
affamato, cercami del cibo >>. Il gatto disse al piccione: << Cerca un altro
pezzo di carne >>. Il piccione ritornò dopo poco e quando Roger finì di
mangiare disse: << Vi porto nelle strade vicino al centro, ok? >>. Il gatto
miagolò come per dire – sì – e Jon e Bizet seguirono Roger in tutte le
stradine. La gente che li vedeva sorrideva dicendo: << Che contrasto della
natura! Il piccione che segue il gatto, il micio che non mangia l’uccello e
segue il cane e il cane che non insegue il gatto >>.
Il gruppetto camminò in tutte le strade della città passando in quelle più
solitarie. Il gatto disse: << Roger, sai dove ci troviamo di preciso? >>. Il
cane si guardò intorno e disse: << Ci stiamo allontanando notevolmente dal
centro della città. Direi di non avvicinarsi troppo alla periferia >>. Una
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notte, Bizet chiese a Roger la storia della sua vita e lui iniziò mentre stava
masticando un pezzo di carne:
<< Vivevo in un negozio. Era un tempo molto triste perché mi avevano
allontanato troppo presto da mia madre. Quando un giorno un ragazzo mi
prese e mi portò a casa sua. Era buono, gentile ma sua madre doveva
trasferirsi con lui. E visto che era ancora piccolo e non poteva vivere da
solo, un giorno mi abbandonò in strada. Piangeva tanto e mi abbracciò
fortissimo cercando di tenermi ma, sua madre era dietro di lui e lo trascinò
dal braccio fino alla macchina mentre lui diceva fra le lacrime: “Roger,
non te ne andare, seguimi. Ti prego mamma lasciami, Roger!”. Provai a
seguire la macchina e mi fermai a metà viaggio. Qui a Milano. Però ho
deciso di perdonare le donne e gli umani ma, il mio padrone, mi manca un
sacco… troppo >>.
Camminarono per sei giorni e sei notti attraversando un parco dove dei
cani stavano giocando. Annusarono l’aria e un bulldog disse: << Lo sentite
anche voi questo odore… è un gatto >>. Un labrador nero disse: << Eccolo
là, inseguiamolo >>. I cani si gettarono alla rincorsa di Bizet che disse al
piccione: << Distrai i cani. E tu Roger, affronta quelli che non si
distrarranno dal piccione >>. Rimasero tre cani che non seguirono il
piccione: un pastore tedesco, un meticcio e un bulldog. Il pastore tedesco
si batté contro Roger e il meticcio e il bulldog andarono verso il gatto.
Bizet si gonfiò così tanto da sembrare grosso quanto il pastore tedesco e
soffiò contro gli avversari. Il bulldog si spaventò e scappò ma, il meticcio
si mise a ringhiare di fronte al gatto. Il cane attaccò e Bizet fece un balzo
in aria atterrando sulla schiena del cane che si buttò a terra. Il gatto sfoderò
gli artigli e graffiò il collo del meticcio. Intanto il padrone del pastore
tedesco l’aveva preso dal collare chiamando l’accalappia cani e Roger
s’era fiondato sul meticcio in aiuto di Bizet. Il meticcio batté la ritirata
correndo dal suo padrone che stava anch’esso correndo verso esso ma era
troppo lento. Il piccione volò verso i due animali e i tre scapparono.
L’accalappia cani era arrivato e i tre scapparono velocissimi ma la
macchina si fermò davanti ai tre. Quando cercarono di prendere il cane che
ringhiava esasperato. Il gatto saltò addosso al signore che minacciava
Roger e il piccione beccò in testa il secondo uomo che stava acchiappando
una sacca. Così i tre scapparono al via del gatto e la scamparono bella.
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15 Capitolo: L’incontro con Gred
Era passato un mese e mezzo, Violetta aveva sette mesi e mezzo (quindi
Bizet otto)
Era un anno strano a Milano, il tempo mutava in continuazione: vennero
tre giorni di sole, dopo una settimana di freddo polare, un pomeriggio di
pioggia e alla fine neve.
Violetta era sdraiata sul tetto di una casa e si stava leccando le zampe
anteriori pensando: “da sola come sono, non riuscirò mai a tornare
indietro. Questo non è un paese piccolo dove ogni strada porta nello stesso
punto come in montagna… non c’è un gatto nei dintorni che mi aiuti”.
Quando a un tratto venne una folata di vento e il pelo lungo e morbido
della gatta si mosse come un onda, il sole si oscurò e si mise a nevicare.
Dal cielo scendevano piccoli fiocchi di neve gelati. La gatta aveva sete,
non beveva da un giorno e allora si dissetò con la neve. La conosceva
perché in montagna era tutto coperto. Immaginò la sua mamma nera, come
un puntino in mezzo a un mare di bianco, poi alla sua padrona, alla sua
casa, alla madonna sul Duomo con i capelli dorati nascosti da fiocchi di
neve che sembravano fiori, ad Artù che guardava alla finestra e infine a
Bizet. Lì il pensiero si fermò e si chiese cosa in quel momento stesse
facendo. Si scosse molto tempo dopo dai suoi pensieri per guardare un
milione di fiocchi bianchi candidi che ricoprivano la città e lei stessa. Si
alzò e si scrollò per non soffocare sotto mezzo metro di neve e si sedette.
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Guardò il cielo credendo che ci fosse il sole che le avrebbe illuminato la
strada, ma invece il cielo era grigio. Credeva che fosse nebbia, invece
erano tutti i fiocchi che grigi e bianchi coprivano l’azzurro del cielo.
Violetta aveva freddo, la sua pelliccia non bastava per riscaldarsi e allora
scese dal tetto. Camminò per le strade vedendo la gente che, vestita con
giacche nere e marroni, con sciarpe, cappelli, guanti e ombrello
allungavano il passo per tornare a casa. Ben presto gli abitanti della città
non si avvidero ad uscire dalle case e le strade furono tutte sgombre. Le
uniche persone in strada si rifugiavano nei bar e nei negozi. Violetta si
sdraiò in un angolo della strada riparata da una grossa coperta verde,
disabitata. Quando si svegliò si ritrovò coperta dalla massiccia e calda
coperta verde e vicina ad un barbone che dormiva. Era notte fonda e non
nevicava più, ma si capiva che aveva nevicato dalle strade bianche e
grigie.
Violetta uscì dal copertone e andò alla ricerca di un parco dove trovare
qualche d’uno che le dicesse la via per tornare a casa. Camminò poco
perché giunse ad un parco. Era bellissimo quel parco, l’erba era verde
scuro e la cima era coperta di neve candida e ghiacciata. Sembrava un
tappeto verde e bianco. Gli alberi erano coperti di neve, e solo il tronco
rimaneva senza. Il parco era disabitato, non doveva essere stato molto
bello senza neve, perché non era curato. Violetta girò l’angolo in cerca di
cibo e trovò un muro incrostato da pipì dei barboni, sotto c’era una strada
che andava in discesa verso un garage. Violetta annusò: odore di gatto
selvatico. Camminò sui bordi della strada e vi trovò pezzi di carne ancora
buona e altri rimasugli di cibo. Alla fine sentì un rumore sopra di sé e alzò
gli occhi: sul tetto della sudicia casa, c’era un grosso gatto randagio grigio
metallo. Piegò la testa mostrando begli occhi verdi e disse: << Cia bambola,
che ci fai qua? Sei di casa nevvero? >>. Violetta, non conosceva il carattere
dei gatti randagi perché se n’era scordata e arrossì in poco sotto il pelo
bianco delle guance, vergognosamente fece dei passi indietro e rispose:
<< Buona sera anche a lei… mi chiamo Violetta >>. Il gatto grigio si scusò:
<< Che nome affascinante bambola. Mi scusi, non mi sono presentato, io
mi chiamo Gred e ho nove mesi >>. Anche Violetta spiegò quanti mesi
aveva. Il gatto scese dal tetto e disse: << Che ci fa una bambola incantevole
come lei, qui e per di più così giovane? >>. Violetta si sedette
compostamente e disse tristemente, con una voce quasi velata dalle
lacrime: << Mi sono persa… la mia casa è al centro. Mi può aiutare ad
arrivare al Duomo? >>. Gred pensò un attimo e prontissimo rispose:
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Certo signorita, ma è meglio se lei mangi un poco prima >>. Così
l’accompagnò nel parco innevato e salì su di un albero. Da un ramo buttò
un pezzo di carne fresca dicendo: << Qui vive n’a vecchina buona, buona
che mi da sempre pezzi di cibo >>. Violetta si sedette vicino alla carne e
Gred scese dall’albero con un balzo dal ramo più basso. Quando atterrò,
sprofondò nella neve lasciando le sue grosse impronte. Così iniziarono a
mangiare e Gred disse: << Tenga questa parte >>. Dividendo con l’artiglio la
carne, diede la metà più grande a Violetta e mentre mangiava la sua
piccola metà diceva: << Racconta come ti sei persa >>. Così Violetta,
mentre mangiava raccontava, e quand’ebbe finito si sedette e continuò a
raccontare la storia che il lettore già conosce.
Alla fine del racconto Gred disse: << Vieni bambola, qui ho un covo
meraviglioso! >>. Così Gred accompagnò la gatta sul tetto della casa
sudicia e la portò in un posto nascosto su un grosso davanzale della
finestra. Lì c’era un grosso spazio dove riposare, visto che si stava facendo
giorno. Mentre i due gatti dormivano, all’alba venne una folata di vento
gelido e la neve si ghiacciò. Violetta si svegliò per il freddo polare e lo
disse a Gred, che gli si avvicinò accerchiandola col suo corpo formando
una ciambella con al centro Violetta.
Il pomeriggio Gred si mise in cammino con Violetta e uscirono dal parco
innevato dicendo: << Ti sei allontanata un bel po’ da casa bambola.
Bisognerà prendere la strada opposta >>. Così attraversarono due parchi, il
secondo era Guastalla e percorsero un altro tratto di strada, ma poi
tornarono nel parco. Gred allungò la strada di nascosto perché voleva stare
più tempo con Violetta. Un giorno dove finalmente era sbucato il sole,
Gred chiese alla gatta: << Violetta… >>. La gatta lo interruppe dicendo:
<< Finalmente non mi chiami bambola >>. Lo disse perché voleva sentire il
suo nome che non sentiva da giorni e anche perché non sapeva cosa
doveva dire Gred. Esso riprese: << Violetta, vuoi accoppiarmi? >>. La gatta
sorrise credendo di aver capito male, ma poi tornando a ciò che aveva
detto Gred, si gonfiò e disse: << Come! No, mi dispiace Gred, ma tu sei
solo il mio amico >>. Gred pareva non aver capito e poi strepitò: << Se la
pensi così va bene. Ma vattene, via dal mio territorio >>. Violetta capì che
non era il momento di scusarsi perché esso si era gonfiato e soffiava, così
corse via, sotto una siepe, poi ne uscì senza farsi vedere e si nascose dietro
un albero così che, se Gred l’avrebbe seguita sotto la siepe, non l’avrebbe
trovata. Quando sbucò da dietro l’albero, per vedere se il gatto c’era
<<
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ancora non lo vide, e sospirò, annusò l’aria: niente, allora camminò nel
parco pensando a cosa doveva fare.
16 Capitolo: Il ritrovamento di Violetta
Era un giorno di sole, le strade erano tutte belle pulite dall’acqua della
neve sciolta e pochi gruppetti di neve grigia che sembrava carbone era
rimasto. Violetta aveva appena sonnecchiato nascosta da un sacco della
spazzatura. Si alzò stiracchiandosi e si mise in cammino. Stava
camminando nella strada perché era uscita dal parco, quando un anziano
signore si fermò davanti a lei, la prese dalla collottola e se la accoccolò
nella giacca marrone. Violetta era parecchio turbata, sfoderò gli artigli ma
poi non graffiò il vecchio perché sentì che era una persona buona. Così il
signore portò in macchina Violetta, la chiuse in una gabbia e arrivò ad una
casa. Quando varcò la porta, teneva con una mano il trasportino dove
dentro c’era la gatta che muoveva a scatti rabbiosi la coda. Il signore lasciò
libera Violetta in una stanza, con sorpresa della gatta, trovò nella casa
molti altri mici bonari e sonnacchiosi, ma anche giocherelloni, allegri e
territoriali. Cinque gatti si avvicinarono a Violetta, erano: un persiano nero
con gli occhi gialli, due orientali: uno bianco e rosso e una bianca, un
norvegese e un gatto nudo. Ben presto arrivò anche un altro gatto, un
grosso bengala territoriale e allegro. Vedendo un nuovo gatto nel suo
territorio disse: << E lei chi è? >>. Violetta spiegò ciò che era accaduto e il
bengala disse: << Qua dovrai seguire delle regole, Violetta. Siamo in dieci
qui in casa, più tre cuccioli. Dovrai presentarti a tutti e cercarti un
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territorio. Ti avverto, ne sono rimasti pochi. Adesso seguimi e ti farò
conoscere i membri di qua >>. Violetta si sedette senza fare un passo e
disse: << Io non starò qui per molto, ho una famiglia io. Mi sono solamente
persa >>. Il bengala disse: << Per adesso stai qui. Poi scapperai quando
vorrai >>. L’anziano arrivò nella stanza dicendo rivolto al bengala: << Tiger
questa è una nuova arrivata, trattala bene >>. Tiger portò Violetta nelle
stanze dove c’erano i gatti e se dormivano li svegliava con un forte
miagolio. I gatti quando si accorgevano della nuova arrivata si sedevano
tutti guardandola. C’erano: il bengala, il persiano, i due orientali, il gatto
nudo, il norvegese, due curl rossi, un singapura, un exotic shortair crema e
un siamese. I cuccioli erano: due curl con le orecchie piegate entrambi di
colore rosso che dovevano avere pressoché due mesi e un orientale bianco
e rosso di quattro mesi. Violetta conobbe tutti i nomi dei gatti e si trovò
come territorio un divano in pelle bianca. L’anziano portava a orari giusti
un piattino di cibo e ne dava uno a ogni gatto.
Passarono altri tre giorni dove Bizet, Roger e Jon percorsero molti
chilometri. In cerca della gatta che intanto viveva nella casa che era vicina
al Duomo. Così la trovarono che era un giorno nebbioso, camminavano
velocemente quando Roger sentì una traccia: odore di gatto. L’annusò
Bizet ed esclamò – è Violetta! – il gatto seguì la traccia e arrivò sul
balcone della finestra. La finestra era aperta, Bizet fece intrusione nel
territorio di diversi gatti. Vide Violetta che era sul divano a lustrarsi il
pelo. Bizet miagolò: << Violetta, sono io Bizet! >>. La gatta girò lo sguardo
attorno a sé quando vide Bizet, il piccione e il cane che stava poggiato con
le zampe alla finestra così che si vedeva la faccia e disse: << Ma come, mi
cercavi? Finalmente ti rivedo. Perché c’è un piccione e un cane con te? >>.
Bizet disse: << è grazie a loro che ti ritrovo. Sono i miei aiutanti, il cane si
chiama Roger e il piccione Jon. Adesso che ci siamo ritrovai, Jon penserà
al cibo e Roger ci condurrà al Duomo >>. Bizet stava per saltare sul divano
dalla sorella ma Tiger spiccò un salto e lo afferrò mentre anche Bizet era in
aria. Si rotolarono a terra con gli artigli sfoderati. Bizet era diventato
ferocissimo, non voleva che un gatto gli disturbasse il suo arrivo tanto
felice. Roger uggiolò. Violetta spiccò un balzo sulla schiena di Tiger ma
che le diede un calcio con le zampe posteriori mandandola sotto il divano.
Bizet era ancora più feroce. Morse l’avversario e riuscì a finirlo perché con
una botta, il gatto era svenuto. Bizet corse a vedere come stava Violetta
che era un po’ stordita ma sempre in piedi. La gatta gli disse preoccupata:
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Andiamo prima che tutti i nove gatti ci saltino addosso! Via! >>. Bizet
uscì in strada da Roger, aveva riportato un morso alla zampa e dei graffi.
Liberi di incontrarsi, i due gatti si strofinarono l’uno contro l’altro facendo
le fusa, la gatta leccò la zampa di Bizet dicendo: << Sei ferito! Andiamo
lentamente, non faticare >>. Roger li portò fino al parco Guastalla mentre
Bizet si appoggiava zoppicante con la zampa sanguinante a Violetta.
Dopo poco Roger disse: << Siete molto vicini all’arrivo nella vostra casa.
Domani dovremmo arrivare. Non so voi ma io ho fame! >>. Jon disse –
subito – e volò portando un pezzo di pane e tre di carne. Il pane lo mangiò
il piccione e la carne i tre. Bizet disse: << Adesso invece dobbiamo tornare
a casa. Raccontami la tua storia, dove sei andata? Cos’hai fatto? >>.
Violetta si sedette, si leccò una zampa e disse al gatto: << Mi sono persa
perché ho seguito un uccello nel davanzale. Mi sono ritrovata in un
giardinetto e mi son detta “mi sono persa”, ho ritrovato la mia traccia, ma
si è messo a piovere e non l’ho più trovata. Sono salita sui tetti ma, ahimè
il Duomo si vede ma non riuscivo a riconoscere la casa. Mi sono persa, mi
sono allontanata dal centro e non riuscivo più a vedere il Duomo. Ho
trovato in un parco un gatto grigio. Lui mi ha aiutata ad avvicinarmi un po’
al centro della città. Si chiamava Gred, si comportava come un gentil
gatto… anche troppo, un giorno mi disse “ti vuoi accoppiare?”, io mi
gonfiai tutta e gli dissi un chiaro NO, lui ci rimase male e mi allontanò dal
suo territorio, così ho iniziato il lungo viaggio, un anziano mi ha preso e
portato nel gattile che hai visto. Il capo era quello che hai steso, si
chiamava Tiger >>. Bizet che stava ribollendo di gelosia e rabbia contro
Gred, rispose:
<< Brava Violetta, non dovevi accettarlo quel Gred perché era randagio >>.
Violetta ripose impettita e con sguardo furbo: << Ma i randagi, sono
sempre più romantici dei gatti casalinghi >>. Bizet non rispose e finì di
mangiare lentamente. Dopo mangiato, i tre, si avviarono a casa e
camminarono molto. Roger disse tristemente: << Adesso vi lascio. Vi
accompagno fino in piazza e tra poco addio >>. Così Violetta si arrampicò
sul tetto e rivide il Duomo. Scese e disse: << Si vede il Duomo finalmente.
Siamo arrivati! >>. Violetta era talmente felice che fece un forte miagolio
che rimbombò nella città. Così il cane li accompagnò in piazza dicendo:
<< Qui è dove c’è la tua famiglia. Che porta è? >>. Bizet camminò nella
piazza e girò fra i portoni annusandoli, si fermò davanti a un portone
marrone scuro dicendo:
<<
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Ecco, questo è il nostro portone Violetta >>. Roger disse: << Adesso vi
devo salutare. Addio. Bizet, mi mancherai! >>. Il gatto lo interruppe
dicendo: << No, no, no. Stai qua e ti adottiamo. In casa mia c’è un’altra
cagna! I padroni non ci sono ancora, aspetta con noi >>. Così arrivò
pomeriggio e a un certo punto videro la padrona di Bizet che veniva con il
fidanzato. Quando vide il gruppo gridò: << Bizet, Violetta! >>. Quando li
raggiunse, li prese entrambi in braccio. Bizet disse a Jon in lingua gattesca:
<< Arrivederci e grazie dell’aiuto >>. Il piccione disse: << Grazie a te che mi
hai risparmiato la vita! >>. La padrona di Bizet, quando vide il cane
esclamò stupita: << E questo chi è? Un amico? >>. Bizet miagolò come per
dire di sì e si strusciò contro la mano della padrona, ma poi smise di fare le
fusa e fece gli occhi tristi come per dirgli “adotta il cane”. La ragazza capì
e disse: << Vuoi che adottiamo questo cane? >>. Bizet riattaccò con le fusa e
la ragazza rivolta al cane disse: << Vieni con noi. Sei il benvenuto a casa >>.
Il cane le leccò le mani e la ragazza disse al fidanzato: << Porta Violetta dai
vicini e bada a Bizet, ho visto che ha una zampa ferita, curala. Io vado a
portare dal veterinario questo cane >>. La ragazza prese il cane in braccio
perché era di taglia piccola e lo portò al garage, entrò e prese la macchina
rossa. Caricò il cane e partì per andare dal veterinario.
<<
Mentre la ragazza era in macchina col cane gli disse: << Vuoi che ti chiamo
Thor? Che faccia che fai, ok no… Rupert, che uggiolio, all’ora Roger. Ok
Roger >>. Il cane si era messo a scodinzolare.
Il fidanzato della ragazza, portò Violetta dai vicini, bussò alla porta e
venne ad aprire Beatrice. Quando vide la sua gatta urlò: << Violetta! Grazie
signore, grazie! >>. Così arrivò la madre delle ragazzine e volle sapere la
storia di Violetta. Così il ragazzo si sedette al tavolo con Bizet sulle
ginocchia. Artù corse a vedere cos’era successo e si strofinò con gran forza
contro Violetta che lo salutò con una leccata. Quando il fidanzato uscì
dalla casa dei vicini. Portò Bizet al suo territorio e quando entrò Kelly
corse incontro al fidanzato abbaiando di gioia. Bizet saltò giù dalle braccia
del ragazzo e si fiondò al fianco della sua “mamma cagna”. Si leccarono
molto e si strofinarono con i nasini e la schiena, Bizet raccontò la sua
avventura, e quando ebbe finito aggiunse: << … E il cane Roger verrà a
vivere da noi! >>. Kelly era felice perché, dal racconto di Bizet aveva capito
che era un cane che ha protetto il suo “bambino” da un pastore tedesco.
Così che quando arrivò Roger, pulito e vaccinato, anche Bizet era bello
pulito perché era stato sciacquato col guanto profumato dal ragazzo e con
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la zampa bendata. Kelly venne incontro a Roger e si presentò
scodinzolando, Roger disse: << E lei bella cagna, deve essere Kelly. Bizet
mi ha parlato di lei, è molto bella come mi aveva raccontato il gatto >>.
Kelly si vergognò un poco, guardò Bizet come per dire “ma cosa gli hai
detto!” e disse a Roger: << Grazie signore, veramente Bizet non doveva
esagerare… ma grazie >>. In realtà Bizet non aveva detto niente a Roger
della cagna, solo che si chiamava Kelly, così capì che Roger era già
innamorato. Quando il cane si allontanò, il gatto si avvicinò a Kelly e le
disse: << In realtà gli ho detto solo il tuo nome, tu gli piaci mamma >>.
Kelly era molto sorpresa e volle conoscere la storia di Roger. Così che
quella sera, mentre Roger mangiava, raccontava anche la storia della sua
vita a Kelly.
Così il salotto fu pieno di cose, ci furono cose per gatto e per due cani.
17 Capitolo: Che successe alla madre di Violetta e Bizet?
Intanto, abbiamo lasciato Fiammella (la gatta nera con gli occhi verdi
madre di Bizet, Violetta, Romeo e Molly) all’hotel in montagna di
Madonna Di Campiglio che scacciava i piccoli micini di un mese. La
separazione era avvenuta troppo presto, di solito avviene a tre mesi, ma la
madre gatta era randagia e, anche se amava immensamente i piccoli era
molto egoista e dovendo procurare cibo per sé e i cuccioli, dovendoli
addestrare e ripulire il covo, non ce la faceva più e in un giorno brutto
come quello, li aveva scacciati. Negli ultimi mesi, era vissuta tutta sola nel
covo vicino all’hotel, poi la cameriera aveva cercato di prenderla e portarla
a casa sua insieme a Molly e Romeo ed il loro piccolo ma essa era
scappata. Così, da quel giorno non tornò più all’hotel perché si annoiava a
vivere lì non avendo niente da fare. La gatta andò in tutte le strade del
paese, non le conosceva tutte ma voleva perdersi trovando qualche altro
compare con cui fare una nuova vita. Così un giorno, si ritrovò in una
strada davanti a un muricciolo, dove sopra c’erano sette gatti randagi e ben
pasciuti: uno grigio, che era quello che aveva soffiato contro Bizet quando
gli era morto il fratellino e non trovava la sorella, uno rosso e bianco, una
bianca, una rossa, una grigia, uno bianco e nero con un orecchio flagellato
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ed un gattone tigrato. I maschi chiesero: << Che ci fa qui? >>. La gatta
rispose:
<< Voglio vivere una vita movimentata >>. I gatti dissero: << Hai trovato il
posto giusto, noi abbiamo una casa disabitata dove facciamo sempre festa
ballando. Oggi è un giorno di festa >>. Così Fiammella seguì i sette gatti
che camminavano uno a fianco all’altro formando delle coppie di una
femmina e un maschio. L’ultimo maschio rimasto era quello bianco e nero
che camminò a fianco a Fiammella. Scavalcarono il muricciolo di mattoni
rossi e giunsero ad una casa con un muro grigio e sopra una finestra aperta
con sotto un balcone bianco. Saltarono sul balcone e poi entrarono nella
finestra aperta della casa disabitata. Dentro c’erano solo due stanze. una
grigia ed una bianca. La stanza grigia era quella dove i gatti facevano i
bisogni perché c’era un vaso di terra rotto e la terra faceva da ghiaia, la
stanza bianca invece conteneva un tappeto rosso sciupato ed un ipood
acceso che suonava una musica rock. Dentro la stanza c’era uno zingaro
che dormiva avvolto da una pulita coperta. L’ipood era acceso e faceva
una musica rok. Così i gatti uno per uno entrarono nella stanza bianca. La
musica finì e quando iniziò una nuova, i gatti si misero a “ballare”.
Fiammella si mise a ballare con il gatto nero e bianco che si chiamava
Rupert. C’erano altre tre femmine che ballavano in coppia con gli ultimi
tre maschi. I gatti si misero a ballare muovendo la coda e incrociando le
zampe, spiccando salti in alto e ricadendo sul compagno che doveva
alzarsi sulle zampe posteriori e afferrare con quelle anteriori la compagna
abbracciandola e ricadere a quattro zampe per poi rifare le stesse pose. Fu
una sera strepitosa per Fiammella e si fece un nuovo hobby: il ballo.
Così Fiammella visse in quella casa fino alla sua morte.
Scoprì che nella casa c’era una cucciolata di otto cuccioli e anch’essa ben
presto si accoppiò con il gatto nero e bianco di nome Rupert che aveva
anch’esso occhi verdi e fece tre cuccioli: una femmina bianca, uno nero e
una bianca e nera. Scoprì ben presto che tutte le femmine aiutavano le
madri delle cucciolate ad allevare i loro piccoli così che, svezzati non li
scacciavano come di consuetudine ma si aggiungevano al gruppo. Così
Fiammella riuscì a sopravvivere senza scacciare i cuccioli, e scoprì che
avere un aiuto nella loro cura era molto più semplice, così che senza fare
sforzi amava e accudiva i piccoli. Una notte Rupert le si avvicinò e gli si
sedette dietro mentre lei era sdraiata ad arco con i cuccioli che ciucciavano
e dormivano beatamente. Ormai erano già passati un po’ di giorni e i
piccoli avevano iniziato a fare le fusa, anche la madre faceva le fusa e
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anche Rupert. Ben presto tutti gli altri e la casa pareva esplodere di fusa.
Lo zingaro pensava sia a se sia ai suoi gatti e portava sempre tre cosciotti
di prosciutto rubati non so dove. A notte fonda, i gatti smisero di fare le
fusa, e mentre i cuccioli dormivano uno dei gatti chiese: << Fiammella, sei
qui da giorni e con feste e cose del genere non hai ancora raccontato la tua
storia. Oggi è il giorno delle proprie storie e la prima sei tu. Ne
ascolteremo solo quattro oggi: tu, Vanessa (la gatta bianca), Rupert e
Zanna Rossa (il gatto grigio) >>. Così Fiammella raccontò la sua storia
mentre leccava i piccoli e Rupert le leccò la testa sussurrandole
all’orecchio: << Non è colpa tua se i tuoi piccoli li hai abbandonati troppo
presto >>, erano solo parole di conforto perché il lettore non sa che la legge
suprema delle madri gatte è: MAI ABBANDONARE I PICCOLI
PRIMA DI TRE MESI E MEZZO e MAI NON AMARE E AIUTARE
I PROPRI PICCOLI. Poi fu la volta di Vanessa:
<< Io non ero randagia. Sono nata in una casa e la mia mamma era
Persiana, solo che mio padre era un randagio. Così nacqui senza essere
di razza. La mia padrona voleva che io fossi di razza, ma ahimè ero
l’unica cucciola. Fu un tale colpo per lei e mia madre che aveva il
carattere uguale a quello della padrona, che mi scacciò di casa*. Così
crebbi in questa città e mi trovò questa banda. Da quel giorno crebbi
felice e incontrai il mio amore >>.
Qui leccò il gatto bianco e rosso. Poi toccò a Rupert che leccandosi la
zampa disse:
Io vengo da Roma. Vivevo in un allevamento quando un giorno un
signore mi rapì e mi portò in un paesino vicino a qui. Poi mi regalò a sua
figlia e io scappai. Arrivai qui e mi adottò una vecchietta. Era bello vivere
da lei, ma aveva un bassotto cattivissimo che era geloso e mi voleva
scacciare da casa. Così un giorno dovetti lottare con lui e lo ferii
gravemente. Non volevo e piansi per tutto il pomeriggio vicino al corpo
del cane. Quando arrivò la vecchietta guardò il bassotto ormai morto, le
lacrime offuscavano il suo volto. Mi guardò e con voce tagliente mi disse
solo: “come hai potuto…io mi fidavo di te. Vattene” la fissai e mostrai il
mio orecchio che il cane aveva flagellato. La vecchia pianse lacrime
anche per me e furono le più grosse ma, non mi curò e prese una scopa.
Con quella mi scacciò ed io con l’orecchio lacerato, lasciai la sua casa
piena di morte: col bassotto morto e sanguinante e la goccia di sangue del
mio orecchio caduto nel suo foulard. Quella goccia la mia padrona non la
lavò perché mi amava e lo vidi quando tornai a casa sua. Tornai da lei
<<
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otto volte ma mi scacciava sempre. Un giorno tornai in casa, ma la trovai
morta sul letto per infarto. Fui il primo a vederla morta. Ben presto
arrivarono i nipoti che fecero distruggere la casa e presero tutti i soldi.
Così arrivai qua. Io amavo quella vecchia >>.
Fiammella lo consolò leccandolo ma esso la respinse non per farle del
male, ma per la tristezza che stava reprimendo.
Poi fu la volta di Zanna Rossa, si sedette al centro del gruppo e si leccò le
zampe pensando che così si sarebbe ricordato la sua avventura. Le prime
parole che gli uscirono di bocca furono:
<< Io sono nato randagio. Girovago in queste strade da anni e il mio nome
lo si deve alle mie imprese sanguinarie >>.
*Anche ciò che ha fatto la madre di Vanessa, è fuori dalla prima legge delle madri feline: mai
abbandonare il piccolo troppo presto
Zanna Rossa si mise a sognare a bocca aperta perché essendo sanguinario,
i ricordi di sangue gli piacevano immensamente e ne era fiero perché il
lettore sa che una persona cattiva è fiera delle sue imprese brutali. Iniziò:
Vivo qua da anni e anni ci resterò. Sono stato preso da un signore che
mi voleva in casa sua perché aveva bisogno di un essere su cui sfogarsi. Io
non glielo permisi, selvatico com’ero, un giorno mi arrampicai su di un
armadio e saltai dall’alto mentre entrava rosso in faccia di rabbia per
cose che gli erano successe fuori di casa, gli saltai sulle spalle
sfregiandogli la camicia e le orecchie, facendogli provare il dolore che
aveva fatto a me. Scappai dalla finestra con gli artigli zuppi di sangue,
scappai sulle montagne ed una lince, attratta dall’odore di sangue dei
miei artigli, mi bloccò la strada. Ero così felice di aver battuto un uomo
che non volevo che una stupida lince mi bloccasse il cammino. Gli saltai
sul collo senza avviso, senza il soffio che predice la guerra. Gli sfregiai
l’orecchio ed essa mi morse il collo, guardate (si spostò la pelliccia del
collo con la lingua e mostrò una grossa cicatrice) poi scappai, ma la lince
mi seguì, era troppo tardi, ero in paese. Stetti un paio di mese a
riprendermi e ragionare quando vidi un gattino rosso sedersi vicino a
me… (Fiammella non sapeva che il gattino rosso s’era fermato davanti a
quel gatto, subito dopo che gli era morto il fratello perché era grigio come
esso). Il gatto tigrato interruppe dicendo: << L’hai ucciso? >>. Gregor
riprese: << Non mi batto con i piccoli, gli ho soffiato contro. Poi sono
entrato spinto dalla fame in questa casa e ho rubato parecchia carne.
Finché vi ho incontrati >>.
<<
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Il lettore ormai ha capito che Zanna Rossa, quel “rossa” significava che
aveva fatto sanguinare molti esseri viventi con i denti ormai bianchi e che
era un gattaccio che manco Dio lo perdonerebbe. Tutto il gruppo dei gatti
rimase di choc alla fine del racconto, molti dissero – finisce così? – altri –
come! – o ancora – che storia entusiasmante - ed un esclamazione da parte
delle femmine.
Si è capito che quel gruppo di gatti ragionavano in modo cupo, oltre ad
avere un padrone zingaro e permettevano persino che i cuccioli
ascoltassero quella storia terribile.
18 Capitolo: Periodo d’accoppiamento
Era un Sabato di Giugno. Fuori il cielo era così azzurro che sembrava il
mare dopo la marea. Le strade erano bagnate dalla neve ormai
completamente sciolta e brillava alla luce dell’immenso sole oro. Erano le
quindici di pomeriggio e la gente era tranquilla seduta alle sedie del bar, i
giovani mangiavano gelato e i bambini giocavano a calcio nei parchi
oppure con i loro cani.
Quando Beatrice volle far accoppiare Violetta con Bizet. Pregò la madre
che accettò ed Angelica sorrise felicemente. Così Beatrice ne parlò con la
padrona di Bizet che accettò. Così che un giorno portarono Bizet dalla
gatta e lo rinchiusero in quel territorio. Dopo due giorni Bizet si era
accoppiato, era stato nel territorio della gatta per due giorni e aveva usato
la lettiera della gatta e mangiato dalla ciotola di Violetta insieme a lei. Per
convincere Violetta aveva solo detto: << Ero cotto di te già da quando
eravamo randagi. Abbiamo percorso molte avventure insieme ed è giusto
che i nostri corpi si congiungano >>. Violetta si sedette, si leccò la zampa e
la spalmò nell’orecchio sciacquandoselo, anche lei era tutta lavata e
portava un collare oro, mentre Bizet di diamanti. La micia poi guardò fisso
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Bizet e disse: << Ahi ragione. Abbiamo percorso molte avventure insieme e
anch’io ero un po’ innamorata di te. Va bene >>. Così si erano accoppiati.
In una giornata fresca, con un bel sole rosso, di pomeriggio nel mese di
Agosto nacquero sette cuccioli: una femmina rossa con gli occhi azzurri
che chiamarono Rosetta, un maschio bianco con gli occhi verdi che
chiamarono Aramis, un maschio bianco e rosso con gli occhi azzurri che
chiamarono Artù, una femmina nera con gli occhi azzurri che non aveva
ripreso né dalla madre né dal padre ma dalla madre nera dei suoi due
genitori che si chiamava Atina, una femmina color champagne che si
chiamava India e una femmina bianca con gli occhi azzurri che
chiamarono Vaniglia. Così Artù aiutò anch’esso Violetta nell’allevamento
dei cuccioli (questa volta nati nello stesso giorno) come un babysitter. La
prima gattina, Rosetta, la prese la vicina e il suo territorio fu la cucina.
Vaniglia, Aramis e Artù li tennero la famiglia ma Atina e India vennero
regalate a delle amiche della madre di Angelica e Beatrice e Atina a una
compagna di scuola di Beatrice.
Anche Kelly presto fece i cuccioli con Roger il diciassette Agosto. Tre
cucciolini belli e cicciotti. Uno uguale alla madre e una uguale al padre.
L’ultimo un misto fra i due. Vendettero tutti i cuccioli di cane a parte
l’ultimo, quello misto che chiamarono Thor.
Quando i cuccioli di Violetta crebbero e compirono tre mesi, era ormai la
notte di Natale e lo spirito buono e sincero di Dio, girava fra i cuori degli
animali e degli umani purificandoli. Dalla finestra del quarto piano, si
vedeva il Duomo con la Madonna oro con i capelli, il vestito e il velo
coperti da grossi fiocchi di neve. Nevicava e le case erano tutte illuminate.
Dentro le case i bambini pregavano alle finestre il Signore, altri
mangiavano, altri sistemavano il presepe ed altri ancora guardavano
l’albero di Natale, che quella sera sarebbe stato pieno di regali.
I gatti erano tutti in salotto per la riunione di famiglia, Bizet, Rosetta,
Kelly, Roger e il loro cucciolo erano presenti perché erano stati portati giù
da Violetta per far incontrare la famiglia. Erano nel territorio di Artù, c’era
un lungo tappeto verde, rosso e oro, le grosse finestre brillavano alla luce
della luna, a destra della stanza c’era una scrivania di legno con pile di
carte da lavoro sopra e al centro un cero che brillava e illuminava un
quarto della stanza, il resto brillava dalla luce della luna, a sinistra della
stanza, in un angolino c’era l’albero di natale che con i fili elettrici accesi
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di molti colori, illuminava un altro quarto della stanza ed era abbellito
dalle palle colorate che Angelica e Beatrice avevano messo, sotto aveva
già i regali, a fianco il presepe enorme con una pecora per terra fatta
cadere da uno dei piccoli di Violetta.
Si misero tutti in un cerchio aperto insieme ad Artù, tutti seduti. Al centro
c’era Violetta con Bizet che aveva la zampa guarita e la fascia non l’aveva
più, la gatta disse:
<< Quando sono nata ero randagia. Avevo una madre nera con gli occhi
verdi ed eravamo in cinque, io la quinta e il terzo vostro padre…ecc. >>. E
continuò a raccontare la storia che il lettore sa. Così che i piccoli
ascoltarono tutta la notte il racconto di Violetta. Vaniglia aveva il carattere
uguale alla madre ed era uguale ad essa anche del fisico e del colore.
Aramis aveva il carattere del padre ed anche Artù. Rosetta invece era agile,
furba e bella come la madre e intelligente come il padre.
Mentre Violetta raccontava, tutti ascoltavano attenti mentre il cucciolo di
Kelly e Roger che si chiamava Thor, stava mordicchiando l’angolo di un
regalo che stava sotto l’albero di Natale.
In quell’ora, era nato il Signore che perdonò tutti i peccati della famiglia.
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INDICE:
1 capitolo: i cuccioli nati
2 capitolo: i cuccioli crescono
3 capitolo: la curiosità
4 capitolo: l’allontanamento
5 capitolo: meno uno
6 capitolo: la perdita
7 capitolo: la cattiva signora
8 capitolo: la fuga
9 capitolo: l’arrivo
10 capitolo: una scoperta entusiasmante
11 capitolo: intanto i due…
12 capitolo: violetta non c’è più
13 capitolo: un aiutante
14 capitolo: il randagio
15 capitolo: l’incontro con Gred
16 capitolo: il ritrovamento di Violetta
17 capitolo: che successe alla madre di Violetta e Bizet?
18 capitolo: periodo d’accoppiamento
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