Non ce ne accorgiamo, ma comunichiamo tra noi anche

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Non ce ne accorgiamo, ma comunichiamo tra noi anche
L’ANNO DELLA CHIMICA
Deborah Blum ha vinto il premio Pulitzer nel 1992 e di recente ha pubblicato Poisoner’s
Handbook: Murder and the Birth of Forensic Medicine in Jazz Age New York. Ha incontrato
i feromoni osservando suo padre, un entomologo, che li estraeva dalle formiche.
bioCHIMICA
Il profumo
dei pensieri
Non ce ne accorgiamo, ma comunichiamo tra noi anche
con segnali di natura chimica, come le api e gli uccelli
la questione a dottorandi presenti al seminario, i quali scommisero che non avrebbe
trovato dati a sostegno dell’affermazione.
Tornata al Wellesley College, illustrò il problema alla sua tutor, Patricia Sampson, che
le disse: accetta la scommessa, fai la tua ricerca e dimostra se hai ragione o torto.
Tre anni dopo, era ormai dottoranda,
McClintock pubblicò su «Nature» un articolo, dal titolo Menstrual Synchrony and
Suppression, in cui descrisse un effetto interessante osservato in 135 residenti degli
studentati del Wellesley durante un anno
accademico. In questo arco di tempo i cicli mestruali cambiavano, specialmente tra
donne che passavano molto tempo insieme.
Le mestruazioni diventavano sempre più
sincrone, con maggiore sovrapposizione
per i momenti di inizio e di fine del ciclo.
Oggi il concetto della sincronizzazione
mestruale umana è noto come «effetto McClintock». Ma l’idea che ha continuato ispirare la sua ricerca, alla base di un campo di
studi ancora molto attivo, è che questa mi-
steriosa sincronia, questa rete di collaborazione riproduttiva, è causata da messaggi
chimici scambiati tra donne: l’idea che gli
esseri umani, come molte altre specie, comunicano tra loro con segnali chimici.
È stato più difficile del previsto isolare le
specifiche molecole di segnalazione e tracciarne gli effetti sul corpo e sulla mente,
come invece hanno fatto con precisione gli
entomologi per innumerevoli feromoni degli insetti. Ma nei quarant’anni successivi
alla scoperta di McClintock si è disegnata
una mappa dell’influenza delle segnalazioni chimiche su un vasto spettro di comportamenti umani. Non solo sincronizziamo i
nostri cicli riproduttivi, ma possiamo riconoscere i parenti, rispondere allo stress degli altri e reagire ai loro stati d’animo, come
la paura, la tristezza, o «non stasera, tesoro», riconoscendo le molecole che vengono
secrete. Via via che conosciamo questa rete di interazioni umane, stiamo valicando
un confine arbitrario che divideva gli esseri
umani dal mondo naturale.
In breve
Molti indizi suggeriscono che gli
esseri umani si scambiano
inconsciamente messaggi chimici
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che aiutano a sincronizzare il ciclo
mestruale, a trasmettere stati emotivi
come stress o paura e altro ancora.
Questi segnali potrebbero essere
simili ai feromoni trovati in centinaia
di specie animali, tra cui i mammiferi.
La ricerca punta a isolare i composti
secreti dalle persone e a decifrarne
gli effetti fisiologici e psicologici.
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Sisismolent vullum ilit lortie magnis nonsed dolore cor iriustie
a carriera scientifica di
Martha McClintock è iniziata per un capriccio di
gioventù e, ricorda, per un
episodio ridicolo. Era l’estate 1968, e come studentessa del Wellesley College era
a un workshop al Jackson Laboratory, nel
Maine. Durante un pranzo, alcuni ricercatori affermati discutevano del fatto che i topi sembrano sincronizzare i cicli ovarici.
La ventenne McClintock, seduta lì accanto,
se ne uscì con qualcosa tipo: «Beh, nulla di
strano! Succede anche alle donne».
«Non ricordo le parole esatte», dice ora,
rilassata e divertita nel suo laboratorio
dell’Università di Chicago. «Ma tutti si girarono a guardarmi». È facile immaginarla in
quel momento lontano: lo stesso sguardo
diretto, lo stesso viso amichevole e gli stessi capelli mossi. Ma la tavolata non rimase
incantata dalla risposta: le dissero che non
sapeva di che cosa stava parlando.
Per nulla intimidita, McClintock sollevò
Illustrazione di Noma Bar
L
di Deborah Blum
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Le Scienze 65
L’ANNO DELLA CHIMICA
L’affascinante idea che gli animali si
scambino indizi chimici invisibili ha una
lunga e illustre storia, almeno per le altre
specie. I Greci parlavano entusiasti della
possibilità che una cagna in calore potesse produrre qualche misteriosa secrezione
capace di spingere i maschi a un’ansimante
frenesia. Osservando molte specie odorose,
Charles Darwin ipotizzò che i segnali chimici fossero parte del processo di selezione
sessuale. Alla fine dell’Ottocento il naturalista francese Jean-Henri Fabre si arrovellava
per il canto delle sirene chimiche che causava determinati voli negli insetti alati.
Ma solo nel 1959 la ricerca prese un certo abbrivio. Quell’anno Adolf Butenandt,
premio Nobel per la chimica, isolò e analizzò un composto rilasciato dalle femmine dei bachi da seta per attrarre i maschi.
Butenandt sezionò gli insetti ed estrasse la
molecola dalle minuscole ghiandole. Ne
raccolse abbastanza per poterne ricostruire
la struttura molecolare con la cristallografia a raggi X: chiamò il composto «bombicolo», dal nome latino del baco da seta.
Era il primo feromone, anche se il nome ancora non esisteva. Poco dopo due
colleghi di Butenandt, il biochimico tedesco Peter Karlson e l’entomologo svizzero
Martin Lüscher coniarono il termine usando due termini greci: pherein (trasportare)
e horman (stimolare). Il feromone fu quindi definito come una molecola che veicola
messaggi chimici tra individui della stessa
specie, attiva già in quantità molto piccole ben al di sotto della soglia olfattiva cosciente. Quando è rilasciato da un individuo di una specie e ricevuto da un altro,
scrivevano i due studiosi, il feromone produce un effetto misurabile, «una reazione
specifica, per esempio un particolare comportamento o un processo di sviluppo».
Da allora negli insetti è stato osservato
un incredibile spettro di feromoni: la categoria meglio conosciuta e definita di molecole di segnalazione chimica scambiate tra
gli animali. Oltre al baco da seta, sono stati
identificati feromoni in: coleotteri scolitidi,
Trichoplusia ni (una farfalla), termiti, formiche tagliafoglie, afidi e api. Secondo un
rapporto della National Academy of Sciences del 2009, gli entomologi «hanno decifrato il codice della comunicazione attraverso i feromoni in oltre 1600 insetti». E i
feromoni vanno oltre l’attrazione per l’accoppiamento: sono segnali d’allarme, identificano i membri della famiglia, alterano
l’umore, modificano le relazioni.
Già alla fine degli anni ottanta si era os-
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servato che i feromoni influenzano altri
gruppi di organismi oltre agli insetti: aragoste, pesci, alghe, lieviti, ciliati, batteri e
così via. Mentre cresceva questa scienza
della comunicazione chimica, a cui fu dato
il nome più formale di «semiochimica» (dal
greco semion, segnale), la ricerca si estese
ai mammiferi. Da subito chi se ne occupava incontrò la resistenza dei colleghi.
«Negli anni settanta e ottanta ti criticavano ferocemente se dicevi “feromone dei
mammiferi”», ricorda Milos Novotny, direttore dell’Institute for Pheromone Research
dell’Università dell’Indiana. «Dicevano:
“non esiste una cosa del genere, i mammiferi non sono insetti, sono troppo evoluti e
complessi per reagire a un feromone”».
Ma alla metà degli anni ottanta Novotny non solo aveva identificato nei topi un
feromone capace di regolare l’aggressività tra i maschi, ma lo aveva anche sintetizzato. Gli stessi composti erano stati osservati in ratti, criceti, conigli e scoiattoli.
Mentre la lista cresceva, diventava evidente che i feromoni dei mammiferi erano simili, se non identici, a quelli degli insetti.
Un esempio molto citato è il lavoro della
biochimica (scomparsa nel 2006) della Oregon Health and Science University, L.E.L.
Bets Rasmussen: nel 1996 aveva dimostrato che un feromone sessuale prodotto dalle
femmine degli elefanti asiatici è chimicamente identico a quello usato, sempre allo
stesso scopo, da oltre un centinaio di specie di falene.
Martha McClintock aveva proposto
un’ipotesi simile nel suo pionieristico saggio del 1971 sulla sincronia mestruale.
«Forse – aveva scritto – almeno un feromone di una donna influenza il ritmo dei cicli
mestruali di altre donne».
Un paesaggio olfattivo
Oggi McClintock ha 63 anni: è seduta in
una stanzetta soleggiata occupata da computer, schedari, scaffali di provette e fiale e bastoncini odorosi, che contribuiscono a un sottile odore dolciastro, e da un
dottorando, David Kern (che dice: «Gli altri studenti passerebbero sul mio cadavere
per essere in questa stanza»). Il laboratorio
di McClintock è all’Institute for Mind and
Biology dll’Università di Chicago, di cui è
fondatrice e direttrice. Indossa una giacca
a scacchi su una camicia con un disegno
colorato, e riflette su una domanda: quanta strada ha fatto la semiochimica da quel
giorno di quarant’anni fa? È stata provata
la comunicazione chimica tra esseri umani,
dice, e «il nostro scopo è identificare i com-
posti. Poi potremo affinare la conoscenza
del loro ruolo fondamentale».
Il compito è tutt’altro che facile. Si stima che l’odore del corpo umano sia dovuto
a circa 120 composti. Gran parte di queste
molecole si trovano in una soluzione acquosa prodotta dalle ghiandole sudoripare
o sono rilasciate dalle ghiandole apocrine (o
dell’odore), nei bulbi oleosi dei follicoli piliferi. Le ghiandole apocrine hanno la maggiore concentrazione sotto le ascelle, intorno ai capezzoli e nelle regioni genitali.
È un paesaggio complicato e, come sottolinea Johan Lundström del Monell Chemical Senses Center di Philadelphia, è reso
ancora più complesso dall’uso che facciamo di quelli che gli scienziati chiamano composti esogeni: saponi, deodoranti
e profumi. Lundström però ancora si stupisce della capacità del nostro cervello di
districarsi in questo labirinto chimico. Gli
studi di neuroimaging condotti nel suo laboratorio hanno rilevato una risposta più
rapida del 20 per cento nella reazione a segnali chimici umani noti rispetto a molecole simili trovate altrove nell’ambiente. «Il
cervello sa sempre quando sta sentendo un
odore del corpo», dice Lundström.
Questa abilità è già attiva nell’infanzia.
Diversi studi hanno dimostrato che, come accade negli animali, madri e figli sono
strettamente sintonizzati sui rispettivi odori. Questa conoscenza odorosa è così precisa che i bambini addirittura preferiscono le parti dei vestiti portati dalla madre (e
solo da lei) che sono a contatto con il sudore. Questo riconoscimento, inoltre, è più
forte nei bambini allattati al seno rispetto a
quelli nutriti con il latte artificiale.
«Stiamo ancora identificando le molecole influenti», spiega Lundström. «Non credo che abbiamo a che fare con un singolo composto, ma con una serie di molecole
che possono essere importanti in momenti
diversi». I feromoni lavorano sotto traccia,
sostiene, e influenzano, ma non necessariamente controllano, diversi comportamenti.
«Se li confrontiamo con gli aspetti sociali,
potrebbero essere meno importanti degli ovvi modi in cui comunichiamo», dice Lund­
ström. Ma, aggiunge, probabilmente questa capacità ha aiutato la sopravvivenza nel
corso dell’evoluzione, mantenendoci maggiormente sintonizzati gli uni con gli altri.
La psicologa Denise Chen della Rice
University sostiene inoltre che questa sensibilità chimica sia legata a vantaggi evolutivi. Per i suoi studi raccoglie campioni di
odori da persone che assistono a film horror. Sotto le ascelle degli spettatori vengo-
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L’androstadienone, uno steroide,
è un promettente candidato al titolo
di feromone umano: è stato dimostrato
che influenza le capacità cognitive, gli
ormoni dello stress e le risposte emotive.
di Rehovot, in Israele, guidato dallo psicologo Noam Sobel, ha pubblicato in gennaio un articolo in cui riferiva che gli uomini che annusano lacrime emotive di donna
sono meno interessati sessualmente rispetto a quelli che annusano una soluzione salina. Sobel ha trovato una risposta fisica
diretta a questo chemiosegnale: un piccolo ma misurabile calo del livello di testosterone. Il segnale potrebbe essere evoluto per
significare minore fertilità, come durante
le mestruazioni. Più in generale la scoperta
potrebbe aiutare a spiegare il pianto, comportamento peculiare della nostra specie.
Scienza dura
Illustrazione di Brown Bird Design
Chimica del regno animale
no messe garze per raccogliere il sudore rilasciato nei momenti di paura. Poi le garze
sono messe sotto il naso di volontari. Per
avere un confronto, Chen ha raccolto il sudore anche da persone che guardano commedie o film neutri, come i documentari.
Uno dei suoi primi esperimenti ha dimostrato che i soggetti distinguevano se
lo spettatore era impaurito o felice nel momento in cui veniva prodotto il sudore. Le
scelte dei soggetti erano esatte più spesso
di quanto sarebbe accaduto in base al caso,
e in particolare erano corrette per il sudore
indotto dalla paura. Lo studio è proseguito,
descrivendo l’intensificazione della risposta
di allarme seguita all’esposizione del sudore
da paura: i soggetti erano più inclini a vedere la paura sul viso degli altri. Addirittura
l’esposizione al sudore da paura migliorava le prestazioni cognitive: nei test di associazione verbale che includevano parole riguardanti il pericolo, le donne che avevano
odorato il sudore da paura reagivano meglio di quelle esposte a sudori neutrali. «Se
annusi la paura, sei più veloce a riconoscere parole di paura», spiega Chen.
In uno studio in corso di pubblicazione,
lei e Wen Zhou dell’Accademia delle scienze cinese hanno confrontato le reazioni
delle coppie di lungo corso con quelli delle coppie di formazione più recente. I risultati hanno mostrato che, come ci si poteva
aspettare, maggiore è il tempo trascorso insieme migliore è la capacità di interpretare
le informazioni di paura o felicità che sembrano codificate nel sudore. «Spero che il
pubblico legga in questi studi che la comprensione dell’olfatto è importante per capire noi stessi», dice Chen.
Intanto si accumulano le prove che la
percezione inconscia dei profumi influenza diversi comportamenti umani, da quelli
cognitivi a quelli sessuali. Per esempio, un
gruppo del Weizmann Institute of Science
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Ora uno degli obiettivi principali è identificare le molecole fondamentali per la comunicazione dei messaggi, e capire meglio
come il corpo riconosce e reagisce a questi
segnali. George Preti, chimico del Monell,
ha delineato un progetto di ricerca che include l’identificazione di questi messaggeri
con analisi delle secrezioni del sudore e
apocrine e lo studio dei livelli ormonali in soggetti che annusano queste molecole. «Dobbiamo ancora identificare i segnali
precisi che portano l’informazione – conferma Lundström – e se vogliamo solide
basi è quello di cui abbiamo bisogno».
Anche McClintock pensa sia una priorità. Negli ultimi anni si è concentrata sulla
costruzione di un ritratto dettagliato di uno
dei più potenti chemiosegnali conosciuti,
uno composto steroideo detto androstadienone. La scienziata pensa che questa piccola molecola sia abbastanza potente da
essere definita un feromone umano: è una
piccola molecola che agisce come segnale
chimico all’interno della specie e influenza fisiologia e comportamento. Negli anni
diversi laboratori, tra cui quelli di McClintock e Lundström, hanno scoperto che questo composto causa effetti misurabili sulla
cognizione, può alterare i livelli di ormoni dello stress come il cortisolo e provoca
cambiamenti nelle risposte emotive.
Un recente studio di McClintock e della sua collega Suma Jacob dell’Università
dell’Illinois a Chicago ha esplorato la capacità dell’androstadienone di alterare l’umore. Mescolando tracce di androstadieno-
ne con glicole propilenico, e coprendo ogni
eventuale odore con olio di chiodi di garofano, hanno esposto un gruppo di soggetti alla miscela con il composto, e un altro
gruppo al solo solvente. Ai volontari era
chiesto di annusare tamponi di garza, avendoli solo informati della partecipazione a
uno studio sull’olfatto. Tutti dovevano poi
riempire un lungo e noioso questionario.
I soggetti esposti all’androstadienone
sono rimasti molto più allegri per i 15-20
minuti del test. Uno studio successivo ha
ripetuto il test, usando anche tecniche di
imaging cerebrale. Le immagini hanno mostrato che le regioni del cervello associate
con attenzione, emozione ed elaborazione
visiva erano più attive nei soggetti esposti al chemiosegnale. Per McClintock è un
classico effetto da feromone, simile a quelli
su cui speculava già decenni fa.
Tuttavia, sia lei sia gli altri studiosi continuano a parlare con molta cautela di feromoni «putativi». Gli esseri umani sono complessi, e ogni legame causale tra specifiche
molecole e cambiamenti nel comportamento è difficile da dimostrare con certezza. In
realtà, nessuno può dire con certezza quale
molecola sia responsabile della sincronizzazione dei cicli mestruali. Anche il fenomeno in sé si è rivelato piuttosto elusivo: è stato confermato da numerosi studi successivi,
ma contraddetto da altri, e ancora non è accettato da tutta la comunità scientifica.
Gran parte del dibattito si è concentrata
su ciò che è sincronizzato: forse il momento
dell’ovulazione, forse la lunghezza del ciclo.
Una rassegna dei dati sugli esseri umani a
partire dagli anni novanta, fatta da Leonard
e Aron Weller della Bar-Ilan University, in
Israele, ha osservato che la sincronia a volte
c’è e a volte no. «Se esiste – scrive Leonard
Weller – di certo non è diffusa».
McClintock concorda sul fatto che l’effetto è più sottile di quanto pensasse all’inizio. Ma crede anche che le critiche manchino il punto più importante: dall’epoca del
suo studio si sono accumulate sempre più
prove della comunicazione chimica tra esseri umani. E non è una sorpresa che la nostra messaggeria chimica si stia rivelando
intricata quanto le altre forme di comunicazione umana.
n
per approfondire
Menstrual Synchrony and Suppression. McClintock M., in «Nature», Vol. 229, pp. 244-245, 22 gennaio 1971.
Pheromones and Animal Behavior: Communication by Smell and Taste. Wyatt T.D., Cambridge University
Press, 2003.
Insect Pheromones: Mastering Communication to Control Pests. Patlak M. e altri, National Academy of
Sciences, 2009.
Fifty Years of Pheromones. Wyatt T.D., in «Nature», Vol. 457, pp. 262-263, 15 gennaio 2009.
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