SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI L`ANTICA RICERCA DELLA

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SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI L`ANTICA RICERCA DELLA
Anno XXXIX - n. 3 - aprile 2009
ISSN.: 0391-6154
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SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI
L’ANTICA RICERCA DELLA SALUTE
La malattia ha sempre rappresentato per l’uomo un
momento di crisi e ha riproposto i problemi di fondo
della vita, della convivenza sociale, della religione. Essa
interrompe la quotidianità, diventa fonte di insicurezza,
pone in linea prioritaria i temi del significato delle cose.
Da un lato mette in moto una ricerca della salute perduta
attraverso le varie forme della medicina popolare ieri,
quando le conoscenze erano scarse e mancavano i soldi per
rivolgersi agli specialisti; oggi attraverso la consultazione
spasmodica dei centri specializzati, in possesso di terapie
sofisticate. Dall’altro la malattia stimola la solidarietà e
la condivisione, interroga le religioni, talora si rivolge in
ultima istanza alla magia pur di trovare la salute. Le Università degli adulti/anziani del Vicentino si sono proposte
nell’anno 2008/2009 come ricerca sul costume il tema
“Medicine e cure nel tempo”, per evidenziare il grande
cambiamento avvenuto negli ultimi cinquant’anni nella
sanità da forme di cure tradizionali, a volte magico-sacrali,
dovute alla povertà e all’ignoranza, a cure specialistiche
e tecniche assicurate a tutta la popolazione da parte dello
Stato; dalla cura dei disabili e dei malati di mente nascosti
in casa o reclusi nei manicomi, all’inserimento sociale e
all’ospitalità in istituti protetti, sempre più specializzati. Nella ricerca si sono ricostruiti i differenti contesti
sociali, le cure ricercate, le relazioni di mutuo aiuto; diversi modi di atteggiarsi delle persone nei confronti della
trascendenza. I risultati riportati in sintesi costituiscono
un interessante spaccato dell’evoluzione del costume in
questi anni di rapida e profonda evoluzione culturale.
Erano le donne un tempo,
in particolare le madri, le
nonne e le zie, ad accorgersi
del pallore o del colorito eccessivo di qualche membro
della famiglia e a misurare
la temperatura corporea,
quando il termometro era una
rarità, appoggiando le labbra
sulla fronte, ad accorgersi di
sudori freddi, a controllare i
battiti del polso. L’aspetto
esteriore rilevava il primo
sintomo di malattia: il pal-
lore o rossore, le occhiaie,
le mani fredde e sudate, il
dormire poco, la stanchezza
persistente, gli occhi lucidi
o rossi, la lingua bianca
(brutta), erano i primi segnali
(Asiago). Rimedio iniziale,
soprattutto per i bambini,
era il letto caldo per qualche
giorno, sicuri che in gran
parte dei casi tutto si sarebbe
risolto. Le attenzioni della
mamma si moltiplicavano:
“Da piccina - ricorda una
RICERCA SULLE MEDICINE
E CURE NEL TEMPO
La ricerca delle Università adulti/anziani prosegue sulle medicine di un
tempo: un altro contributo alla ricostruzione del costume sociale, che
rischia altrimenti di andare perduto. Interessante lo spaccato emerso.
corsista - se pioveva facevo
di tutto per bagnarmi la testa e
i piedi ed ammalarmi. Questo
perché quando avevo la febbre la mamma improvvisava
un letto per me nella stanza
più calda della casa. Metteva
dei cuscini morbidi su due
sede e (…) mi coccolava”
(Montecchio Maggiore).
Con il perdurare del male, il
primo consulto avveniva in
famiglia; a volte si ricorreva
all’esperienza di anziani
vicini di casa (Longare),
convinti che le cose fossero
di poco conto (Caldogno).
Nel caso di febbre alta,
con i classici “sgrisoloni”,
prolungata nel tempo, si
ricorreva al farmacista, detto
anche speziale, nel quale si
riponeva tanta fiducia. Era
questa una figura simpatica,
che ascoltava, chiacchierava, dava sicurezza. Aveva
sempre qualche polverina da
fornire per tutte le evenienze
in una cartina ben ripiegata
(Marostica). La farmacia
era un luogo che incuteva
soggezione come una chiesa,
con mille cassettini, vasi blu
trasparenti, mortai allineati,
pesagrammi (Thiene).
Un asciugamano appeso
Il termometro era una
rarità (Thiene) e quindi ci si
accontentava di cogliere ed
interpretare i sintomi naturali.
Dal medico si andava poco,
solo dopo aver provato tutto,
perché costava soldi e questi
non c’erano. Il medico si recava in casa in bicicletta (Torri
di Quartesolo) e dopo una visita accurata e qualche ricetta
tranquillizzava, invitando ad
attendere l’evoluzione della
malattia (Breganze). Anche
trovare il medico non era facile: a volte si andava a casa sua
o nel suo ufficio, altre volte si
lasciava la richiesta nell’unica bottega del paese, altre
volte, se passava, si lasciava
fuori dalla porta di casa una
sedia con un asciugamano, in
modo che al ritorno il medico
entrasse (Sovizzo). Problemi
sorgevano nel retribuire il
medico, se non si apparteneva
all’elenco dei poveri, per i
quali provvedeva il comune.
Chi non aveva soldi pagava
la visita con qualche salame
o con prodotti della terra (Sovizzo). Con la ricetta si andava
dal farmacista. Il farmacista
con il bilancino pesava, mescolava le varie sostanze e
le confezionava in apposite
cartine. Molti sono i racconti
in proposito: dalle medicine
“placebo” che guarivano;
alla madre che prendeva le
medicine avanzate, le quali
avevano guarito la figlia;
a un signore che nel 19301935 ha portato al medico
l’urina perché la analizzasse
e, avendo il medico richiesto
di riportargli l’urina dopo un
mese, arrivò con un carretto e
una damigiana (Marostica). Il
medico a volte si impegnava
in salassi, in applicazione di
sanguisughe, in estrazione di
denti e perfino nell’estrazione
di tonsille (Camisano Vicentino). Nonostante la gente
ricorresse al medico solo in
casi gravi, i medici avevano
un gran lavoro, giorno e notte.
Erano assunti dai comuni per
assistere le persone iscritte
nell’elenco dei poveri, ma
di fatto prestavano la loro
assistenza a tutti (Breganze).
L’ospedale faceva paura:
“Mio padre - scrive un corsista di Dueville - soffriva
di calcoli renali e per fare
due interventi (…) dovette
vendere la casa che aveva
ereditato da suo padre”.
Il miracoloso tiraossi
Per slogature, fratture, dolori muscolari, corde fuori
posto, mal di schiena c’era il
giustaossi o il tiraossi, il quale
manipolava la parte dolorante
e se necessario la fasciava con
chiara d’uovo, farina gialla,
stecche di legno (Thiene).
Sua abilità era sistemare le
ossa della schiena con le mani
(Malo). Un corsista ricorda di
esser andato da uno di essi, che
lo fece sedere a cavalcioni di
una sedia in cucina e, scoperta
la schiena, percorse la spina
dorsale con il pollice. A un
certo punto disse: “Toso, qua
c’è un anello fuori posto”.
Praticò allora una leggera
pressione e dopo due minuti
il dolore scomparse (Lonigo).
Per coloro che dovevano
partorire c’era la levatrice.
Spesso il ricorso nelle malattie
era ai praticoni, sinonimo di
botanici, i quali preparavano
intrugli, creme, oli da bere o
da spalmare, decotti (Sovizzo).
Nella Val del Chiampo erano
punto di riferimento il prete
da Sprea (don Luigi Zocca)
e Genoveffa (detta Efa) della
Calvarina (Arzignano). C’erano anche guaritori che con il
calore delle mani (pranoterapia) portavano beneficio ai
dolori reumatici e al mal di
schiena (Arzignano).
Le diagnosi sofisticate
Le cose oggi sono profondamente cambiate: medico,
medicine ed ospedale sono
gratuiti, alla portata di tutti.
C’è la possibilità di accedere
ad esami diagnostici sofisticati,
ad interventi chirurgici specialistici quali i trapianti. L’igiene
e l’informazione, diffuse capillarmente, hanno migliorato e
prolungato la vita di tutti. Gli
ambulatori sono superaffollati
e il Pronto soccorso funziona
24 ore su 24. Ci si lamenta
per le file agli sportelli e per le
attese delle visite specialistiche
(Creazzo). Il medico di base
rischia di diventare un burocrate che, ancora prima che
il paziente finisca di parlare,
scrive la ricetta e invia ad esami
clinici o a visite specialistiche
(Montecchio Maggiore). Talvolta si ricorre ad esami clinici
senza bisogno, forse in alcuni
casi per un certo narcisismo
o bisogno di rassicurazione
(Malo). In caso di malattie
gravi si è impauriti e si diventa
pellegrini da uno specialista
all’altro con i cosiddetti “viaggi della speranza” (Noventa
Vicentina).
GIUSEPPE DAL FERRO
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REZZARA NOTIZIE
SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI
LE TESTIMONIANZE
Bassano del Grappa - La
casa, soprattutto quella rurale, era una piccola comunità,
in cui ciascuno aveva il suo
compito, lavorare nei campi,
accudire agli animali domestici, sbrigare le faccende di
casa, preparare il pranzo e la
cena, sorvegliare i bambini
piccoli. Le condizioni di
vita non erano facili: in una
società molto legata ai ritmi
delle stagioni, più duro da
passare era sicuramente l’inverno perché più facilmente
si pativa la fame ed il freddo.
I momenti di vita comunitaria erano molti: si pranzava
e si cenava tutti insieme, si
passavano le feste riuniti, si
trascorrevano le sere a chiacchierare in casa, con i vicini
o i parenti che portavano
qualche novità.Nelle lunghe
fredde sere invernali il luogo
preferito per trascorrere il
tempo era la stalla perché
riscaldata dagli animali e si
faceva filò. Le donne si dedicavano a lavori femminili,
come il cucito, gli uomini
riparavano attrezzi da lavoro
o sedie e ceste. Quando non si
parlava, si recitava il rosario
o si raccontavano storie ai
bambini. Anche i morosi si
frequentavano a filò.
Carmignano di Brenta
- Ad ogni occasione mamme,
nonne e zie sapevano dare i
loro consigli su come fare.
Vicini e conoscenti si adoperavano per punture e massaggi mettendo a disposizione
le loro conoscenze. Un’altra
figura era il giustaossi o farmacista che veniva consultato
qualora non si riuscisse a
guarire le persone con i propri
metodi.
Breganze - Questi giustaossi con abili movimenti
delle mani cercavano di riportare nella loro sede legamenti
ed ossa che si erano spostati,
aiutandosi anche con unguenti e fasciature. Però, se era già
avvenuta qualche frattura o
non erano abili, potevano
provocare anche qualche
grave danno. Anche qualche
padre era abile a curare le
distorsioni dei figli fasciando
stretti gli arti offesi usando
una tavoletta di legno.
Malo - I suggerimenti
delle comari erano però
insostituibili: esse consigliavano salassi e sanguete
per il sangue carico, latte
di puerpera o olio caldo da
introdurre nell’orecchio in
caso di otite (atten-zione però
alla temperatura: troppo caldo
può far danni al timpano),
cotone imbevuto con grappa
per il mal di denti, latte con
grappa per l’influenza o, per
i “dolori”, l’applicazione di
vasetti di vetro (o bicchieri)
scaldati sulla fiamma e applicati immediatamente sulla
parte dolorante.
Thiene - Esisteva un senso
di pudore sia nel vivere che
nel parlare della malattia. La
malattia veniva vissuta con
rassegnazione, in famiglia
e tra adulti, poche volte i
bambini conoscevano la
situazione reale. Il paziente
era curato quasi sempre a
casa e poco o tanto tutti
quelli che abitavano in casa
erano coinvolti.
Marostica - Si adoperava
anche l’aqua de milissa, un
infuso un po’ alcolico, per il
mal di stomaco, le digestioni
difficili o ingombri gastrici,
ma anche per le nausee e
il vomito. Si usava anche
l’aglio bollito nel latte come
vermifugo i vermi erano
molto diffusi toccando la
terra le uova si infilavano
sotto le unghie. Si adoperavano infusi di erbe varie per
curare le eruzioni cutanee
dovute a malattie infettive
dei bambini.
Montecchio Maggiore
- “Mia madre era sempre il
primo medico; si accorgeva
se avevamo un aspetto malaticcio e sapeva se per esempio
non andavamo di corpo regolarmente. In casa nostra c’era
un termometro per misurare
la febbre, che veniva trattato
come un oggetto prezioso,
e prestato quando serviva a
tutto il vicinato”.
Camisano Vicentino Ottimo per ogni cura era la
“mela chiodata”: cioè una
mela sulla cui superficie
erano infissi dei chiodi di
ferro allo scopo di trasmettere le proprietà del metallo
alla mela stessa. Lasciata là
alcuni giorni perché fosse in
grado di assorbire il ferro, poi
si mangiava. Per il rachitismo
o la presenza della classica
fontanella sul cranio, venivano frantumate delle ossa fino
a farne una polvere, poi questa polvere veniva diluita e
quindi bevuta. Anche la panna e il burro mescolati allo
zucchero aiutavano contro
il rachitismo. Per rinforzare
le persone gracili si usavano
pure pane biscotto e vino con
lo zucchero, il semolino e la
panà; la carne di cavallo al
sangue. Anche il fegato e il
cervello del maiale venivano
dati quali ricostituenti perché
ricchi di ferro. La marsala all’uovo con i savoiardi veniva
data anche ai bambini sempre
in funzione ricostituente,
così pure alle puerpere per
aver una maggiore quantità
di latte. Ottimo modo per
irrobustirsi era camminare a
piedi scalzi la mattina presto:
l’aquaso (la rugiada) della
notte aiutava. A settembre
si faceva la cura dell’uva,
mangiando parecchi grappoli d’uva al giorno, specie
a digiuno (al mattino). Altro
ricostituente era l’aloe mescolato con miele.
Noventa Vicentina - Se
i sintomi erano più seri e
preoccupanti, si ricercava il
medico, ma con parsimonia
perché le visite bisognava
pagarle. Il medico condotto
solitamente era persona competente e fidata. Visitava con
molta cura il paziente e dal suo
aspetto (cera, occhi, lingua,
motilità), dall’ascolto della
respirazione, dalla risonanza
del torace, dai battiti del cuore, dall’osservazione e palpazione delle parti doloranti,
diagnosticava la natura del
male, dava consigli, prescriveva diete e comportamenti,
ordinava medicine. Se il caso
era grave, tornava più volte a
vedere il malato e, se necessario, lo faceva ricoverare in
ospedale.
Asiago - Una volta nelle
famiglie per curare i malanni
ricorrenti e più comuni si
usavano i rimedi tramandati
da generazione a generazione
facendo largo uso soprattutto
di prodotto locali ricavati
dalle erbe,dalle piante e a
volte dagli animali. Ai bambini che spesso erano gracili
anche per insufficiente o
inadeguata alimentazione,
contro il rachitismo e per
rinforzare la struttura ossea
si davano in primavera dei
ricostituenti naturali:uova
fresche,spesso sbattute con
zucchero e a volte con l’aggiunta di caffè o di marsala
(vov casalingo). Contro il
rachitismo si metteva in
infusione un uovo intero
nel succo di limone finché si
Creazzo - “La nonna individuava immediatamente
chi dei nipoti non stava bene:
ispezionava la lingua, controllava gli occhi, guardava
il colorito, toccava la fronte
ed eventualmente misurava la
febbre chiedeva se avevamo
dolori di pancia o di altro genere. A seconda dei casi c’era
la purga con l’olio di ricino,
massaggi con olio canforato
per i dolori articolari (botte,
storta), polentine di semi di
lino per il mal d’orecchi, tosse
e catarro; impacchi di mollica
di pane e latte caldo per gli
orzaioli, gargarismi di succo
di limone, sale e grappa per
il mal di gola; macerato di
foglie di malva per foruncoli
o di borragine per punture
d’insetti. Per tosse e catarro
veniva fatto un infuso... per
difficoltà respiratorie suffumigi di acqua bollente e
bicarbonato”.
scioglieva e poi
lo si beveva.
Molti bambini avevano i
vermi intestinali per cui li
si ornava di
una collana di
spicchi d’aglio
o di canfora
rigorosamente
in numero dispari, salvo poi
dover ricorrere
ad un vermifugo a volte
contenuto in un
cioccolatino.
Per ogni male,
non solo infantile, il rimedio
universale era
l’olio di ricino,
che serviva sia
come purgante, almeno fino
alla diffusione
della magnesia e degli altri
purganti farmaceutici, sia
come propedeutico ad altre
cure.
Arzignano - C’era un erborista che veniva ad Arzignano,
partendo in bicicletta da Castelgomberto, e faceva visita a
persone che lo interpellavano,
per esempio, se erano affette
da insufficienza renale e alle
quali consigliava di bere un
decotto di cipolla rossa e
barbe di granoturco.
Bisogna attenersi al ciclo
lunare. Si deve aspettare la
luna dura. Solo così le foglie
non imbruniscono, i succhi
non si alterano e le radici non
si sbriciolano. Lei sapeva preparare un unguento portentoso facendo infondere a caldo i
fiori dell’achillea nell’olio di
oliva e aggiungendo una certa
quantità di cera d’api.
Lonigo - Nella petrosa
Zovencedo è vissuta dal 1880
al 1965 la signora Rosina Bonato, nota a tutti, e per largo
raggio nel Basso Vicentino,
con il nome di “Chechina”
o “Fuina”. Era considerata
una “stria” ed ebbe l’onore
di un’intervista da parte del
noto geologo e speleologo
padre Giuseppe Perin. La
Chechina preparava pozioni
“miracolose” a base di erbe
contro ogni sorta di mali.
Ancora più famosi erano
però erano i suoi “striossi”
o “treni”, come li chiamava
lei, destinati a liberare dal
malocchio. Per queste sue
proprietà “magiche” la sua
fama si era diffusa e veniva
chiamata da ogni parte, anche
da Lonigo, e la sua paga era
la “gaia” piena di ogni ben di
dio grazie al successo del suo
intervento.
La memoria delle terapie di ieri
• la cura dell’uva, al mattino, per due o tre settimane, fungeva
da buon ricostituente;
• l’infuso di camomilla aveva un’azione tranquillante e leniva
i dolori mestruali;
• il decotto di tarassaco (dente d leone o pisacan) si prendeva
come disintossicante;
• l’aglio crudo, assunto per bocca o legato al collo dei bambini sotto forma di collana di spicchi, veniva usato come
vermifugo;
• impacchi caldissimi di papéte de lin (cataplasma domestico)
ammorbidivano il catarro bronchiale;
• latte caldo con miele e inalazioni con vapori caldi di camomilla e bicarbonato curavano tosse e raffreddore;
• l’orzaiolo era trattato con foglie di geranio;
• ascessi e foruncoli con pomata di ittiolo;
• le prime avvisaglie di raffreddore si smorzavano facendo
il pediluvio in acqua bollente in cui erano stati sciolti sale,
aceto e bicarbonato;
• sulle scottature si interveniva con acqua fredda, per pulirle e
raffreddarle e poi con una fasciatura con bende di bucato;
• le foglie di datura stramonium (spuzzaòro), applicate sulla
pelle e fasciate con bende eliminavano rapidamente le tumefazioni da traumi, espellendone i liquidi;
• la pelle dei bambini, irritata e corrosa da pannolini e fasciature,
tornava liscia e rosea in pochi giorni spalmandola di crema
di cruschello bollita;
• si combatteva il torcicollo con la borsa del ghiaccio e qualche
pasticca di aspirina.
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I SEGRETI CONTRO IL DOLORE
NEL MANUALE DEI CONTADINI
Per ogni guaio esisteva un impacco o un rimedio frutto della saggezza
e dell’esperienza popolare. Si compravano al mercato occhiali usati.
Un impacco
per ogni dolore
Il dolore è sintomo del malessere o di qualche malattia, ma è
esso stesso un peso da sopportare e quindi oggetto di cura. Le
mamme erano solite dire che “il
medico dei dolori ga ancora da
nassere”, come a dire che chi
aveva male doveva tenerselo.
Per curare il dolore, di qualche
natura, si iniziava con l’infuso
di camomilla e la borsa di
acqua calda (Costabissara).
Più che ricorrere ai farmaci,
che per la quasi totalità delle
persone erano troppo costosi,
ci si affidava alle erbe, raccolte
personalmente, soprattutto nei
paesi di montagna, o acquistate
a basso costo da uno speziale o
da frati erboristi (Bassano del
Grappa).
Grappa e garofano
Per il mal di denti si ricorreva ieri a sciacqui con la
grappa e al classico chiodo di
garofano inserito nella carie
(Marostica). Talvolta si usava
una patata tagliata a fette e
posta sulla guancia dolorante
o si masticavano foglie di tabacco (Breganze). L’igiene era
molto scarsa; si usavano foglie
di salvia appena raccolte per
pulire i denti (Sovizzo). In caso
di gonfiore si teneva in bocca
una pallina di prezzemolo
pestato o il “crosoto”, cioè
cotone intinto di iodio sulla
carie (Longare). La soluzione
radicale era l’estrazione con
uno spago o una tenaglia.
Giravano per i paesi “cavadenti” che spesso erano anche
barbieri girovaghi (Breganze).
Raramente si ricorreva al medico e gli adulti rimanevano
progressivamente sdentati.
Chi poteva permetterselo si
attrezzava di orribili dentiere
o di denti ricoperti in metallo
o in oro (Caldogno).
Una patata grattugiata
Anche gli occhi erano soggetti ad infiammazioni, a paterecci, rabìgoli (Breganze). La
Le relazioni del presente numero sono state
redatte da Giuseppe
Dal Ferro
cura era una pezza imbevuta
di camomilla o l’applicazione
di patata grattugiata. Qualcuno lavava gli occhi gonfi con
erba de la madonna o bevevo
una tisana di erbe de taiara
(Sovizzo). Gli occhiali erano
prerogativa dei farmacisti,
dei medici e dei preti (Montecchio Maggiore). Tutt’al
più alla domenica mattina si
potevano acquistare un paio
di occhiali fra le cose usate,
dopo averli provati (Caldogno). Se la cataratta in alcuni
casi annebbiava la vista, ciò
era considerato un fatto fisiologico (Arzignano).
Frequente era anche il mal
d’orecchie, nel qual caso si
usava immettere nell’orecchio alcune gocce di olio
caldo o latte materno (Camisano Vicentino) o si spruzzava
nell’orecchio decotto di fiori
di sambuco (Sovizzo). Per
la diminuzione dell’udito
non c’erano molti rimedi: si
doveva parlare più forte o si
costruiva per il mal capitato
un imbuto appoggiato all’orecchio che amplificava la
voce (Arzignano). La sordità
era accetta perché biologica
(Creazzo).
Per camminare, quando
c’erano problemi agli arti
inferiori, si ricorreva al bastone o alle stampelle, fabbricate in maniera pratica e
rozza dal falegname del paese
(Arzignano). Per gli invalidi
non c’erano carrozzelle. Un
corsista ricorda che il nonno
veniva portato a messa con un
carretto seduto su una sedia
(Caldogno). Il mal di schiena
a volte finiva per ripiegare
in due le persone. Una zia,
testimonia una corsista, era
talmente ingobbita che quando morì si è dovuto spezzarle
la schiena per metterla nella
bara (Dueville). Spesso il
mal di schiena era curato con
il calore asciutto, ricavato
da mattoni messi sul fuoco
e poi accostati al luogo del
dolore (Villaverla), oppure si
riscaldava sulla stufa un sacchetto di cenere o sabbia da
tenere sulla parte dolorante.
Si usava invece il ghiaccio
o l’acqua fredda per le botte
(Asiago).
I dolori articolari, a causa
dei reumatismi, non mancavano. Un corsista ricorda
una terapia usata con le punture delle api: un agricoltore
applicava questi insetti sulle
giunture o nei posti doloranti
ed obbligava l’ape a pungere.
Il veleno rilasciato aveva benefici effetti (Creazzo).
Ogni dolore aveva qualche
terapia propria: il mal di testa
l’applicazione sulla nuca e
sui polpacci di un impacco di
cipolle crude; i calcoli renali
l’acqua bollita di “erba cavallina” (Caldogno); il male ai
piedi il grasso di animali, gli
impacchi di acqua e sale, la
chiara d’uovo e gli impacchi
con erba verbena (Villaver-
la); colpi e botte una moneta
fredda o una lama; gli orzaioli
impacchi di mollica e latte
tiepido. Talvolta si arrivava
a forme singolari, come l’uso
dell’urina per disinfettare e il
farsi leccare dal cane la ferita
per averne sollievo e per cicatrizzarla (Caldogno).
Specialisti per tutto
Oggi ci sono specialisti per
tutte le evenienze. Analgesici,
occhiali, apparecchi acustici,
protesi per il femore e il
ginocchio. I trapianti hanno
rivoluzionato la chirurgia e gli
interventi a cuore aperto consentono di correggere gravi
malformazioni (Marostica).
La chirurgia ti rifà le ginocchia, il femore, ti riattacca un
dito staccato (Breganze). La
chirurgia estetica rifà il viso,
toglie le rughe e il laser consente di sostituire il cristallino dell’occhio (Camisano
Vicentino). Appena c’è un
dolore si ricorre agli antidolorifici specifici (Dueville).
Per gli occhi ci sono lenti di
tutti i tipi, e per l’udito apparecchi invisibili. Lampade
abbronzanti migliorano il
proprio aspetto (Longare).
Le cure odontoiatriche con
gli impianti riescono a rifare
la dentatura (Valdagno) e le
cellule staminali possono
ricostruire parti interne ed
esterne del nostro organismo
(Arzignano).
Ci si chiede se ancora può
esistere l’accettazione del
senso del limite, dato che
sembra possibile tutto all’uomo d’oggi.
LE TESTIMONIANZE
Longare - Per curare il
dolore una volta c’erano
poche medicine (la più usata era il chinino di stato),
per cui si usavano prodotti
naturali: erbe, semi, foglie
e piante, mancando le possibilità economiche per visite
specialistiche ed essendo
anche pochi gli apparecchi
e le protesi. L’infuso di camomilla era ed è antalgica,
antinfiammatoria,sedativa e
antispastica. Per il mal d’orecchi si versava dell’olio caldo
dentro l’orecchio oppure un
impacco di cipolla cruda a
pezzetti posata sull’orecchio
calmava il dolore, curava i
geloni e la stitichezza; non
esistevano apparecchi per
l’udito. Risciacqui o impacchi di grappa erano efficaci
per il mal di denti; alcuni
usavano grattare una patata
sopra il gonfiore dei denti,
altri sul dente dolorante
tenevano una “pallina” di
prezzemolo pestato, foglie
di salvia, chiodi di garofano
o addirittura tabacco: qualche
altro ricorda il crosoto cioè
cotone intinto di iodio posto
sulla carie. Per le scottature si
metteva sulla ferita pomodoro
e foglie di verza,oppure fiori
di ipericum macerati nell’olio
di oliva. Per i dolori di pancia
si usava polpa di tamarindo o
impacchi caldi.
Valdagno - Per l’udito,
sono state inventate protesi
auricolari che risolvono la
sordità. In odontoiatria esistono le più svariate soluzioni
a tutti i problemi dentari e
gengivali. Le guarigioni da
molte malattie, inoltre, sono
agevolate, anche, dal numero
sempre maggiore di trapianti
di quasi tutti gli organi del
corpo umano, grazie a leggi che, più di un tempo, lo
permettono e a donatori più
numerosi.
Arzignano - Chi aveva
problemi agli arti inferiori,
usava il bastone per camminare, oppure le stampelle,
attrezzi fabbricati, in maniera
molto semplice e pratica,
dal falegname del paese. Un
invalido di guerra, abitante a
Restena, che aveva perso una
gamba per l’esplosione di una
granata, riuscì a costruirsi da
solo la protesi, e, con quella,
si mosse per tutta la vita.
Il bastone era molto usato
dalle persone anziane che,
allora più di oggi, soffrivano
di dolori e altre malattie alle
gambe. C’è chi ricorda il
bisnonno, novantenne, che
usciva di casa sempre con il
bastone, ma non portava occhiali, anche se non ci vedeva
molto bene, perché
diceva che “erano
cose da Parroco e da
Dottore”.
Camisano Vicentino - C’era l’usanza,
il 24 giugno, giorno
di S. Giovanni, di
bagnarsi gli occhi
con la rugiada. Non
c’erano visite oculistiche, gli occhiali
si vendevano un
po’ dappertutto e
si provavano così
senza particolari
attenzioni. Ci si accorgeva a scuola
se un bambino vedeva bene
oppure no; questo anche per
l’udito. In alcuni casi si metteva una lente con un forte
ingrandimento solo su un
occhio, mentre l’altro niente.
C’erano molti tipi di occhiali,
sempre rotti: si aggiustavano
con l’acetone. Lo strabismo
non era curato, così come la
miopia che poi si recuperava
in tarda età. Se si aveva male
a un occhio, si metteva un
fazzoletto di traverso.
Caldogno - Le protesi erano molto rudimentali: fatte di
ferro e cuoio per le braccia e le
gambe, procuravano disagio,
più che sostituire l’arto, aiutavano l’invalido ad arrangiarsi
in qualche modo: Ricorda una
corsista che, dopo un tempo
adeguato per la cicatrizzazione e la riabilitazione del
fisico, la persona acquistava
un braccio artificiale sostenuta da cinghie che segavano
l’altra spalla ed il cui peso era
insopportabile.
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REZZARA NOTIZIE
cure antiche salutari
CRESCIUTI AD OLIO DI RICINO
E A LUMACHE CONTRO L’ULCERA
Le medicine ricorrenti erano l’olio di ricino per rimedi
all’imbarazzo di stomaco e al
mal di pancia e l’olio di fegato
di merluzzo per la debolezza
primaverile, che richiedeva
un rinforzo delle difese immunitarie (Marostica). L’olio
di ricino era un vero “toccasana” per qualunque malattia,
anche per le contusioni alle
ginocchia in seguito ad una
caduta in bicicletta (Marostica). Il problema per le madri
era farlo ingoiare ai figli: chi
lo prendeva con la birra, chi
con il caffè. Nonostante fosse
stato amalgamato, presentava
lucidi occhi sulla superficie
ed era repellente per il sapore (Caldogno). L’olio di
fegato di merluzzo era pure
ripugnante, anche se rinforzante e pieno di vitamine per
i ragazzi e contro il diffuso
rachitismo. “Facevo fare
alla mia mamma - afferma
una corsista - almeno tre
giri attorno alla tavola della
cucina, prima di ingoiare
un cucchiaio di quella schifezza” (Breganze). Molte
infezioni nascevano dalla
poca igiene presente nelle
abitazioni. Ricordiamo che
solo sessant’anni fa i servizi
e l’acqua corrente erano privilegio dei ricchi. “C’erano
quattro bagni - afferma una
corsista - per una ventina di
famiglie e per lavarsi usavamo un catino o un mastello
dove la mamma lavava i
panni” (Costabissara)
Salvia contro la bronchite
Le malattie più ricorrenti
erano quelle da raffreddamento, che si manifestavano
d’inverno con febbre, tosse,
mal di gola, dolori articolari
e mal di testa (Bassano del
Grappa). I rimedi più ricorrenti erano latte e grappa,
papette di lino in caso di
bronchite, profumi di salvia
e fiori di camomilla o foglie
di eucalipto (Caldogno).
Abbastanza noto, presso le
famiglie di campagna, era il
bagno di fieno: coricarsi su
un materasso molto morbido
di fieno, preparato in casa,
favoriva la sudorazione e calmava la tosse secca (Bassano
del Grappa). Per depurare
l’organismo si ricorreva all’acqua di “melissa”, infuso
un po’ alcolico con erbe
raccolte lungo gli argini del
Brenta (Marostica), e a infusi
di erbe raccolte nei campi
(Carmignano di Brenta). Per
i dolori delle ossa c’era l’immancabile grasso ricavato
dalla mandibola del maiale,
considerato miracoloso. In
qualche luogo si riteneva che
due castagne di ippocastano,
tenute in tasca, avessero
effetto contro la sinusite
e allontanassero le tarme
dalla lana. I raffreddori e la
perdita della voce venivano
curati con il vino cotto e con
i profumi. Nel caso di dolori
articolari si usava applicare
foglie di verza sulle ginocchia fasciate con un panno e
con lana di pecora che conte-
Il mal d’orecchio
guarito con il latte
di puerpera. Per gli
ascessi ecco la cera.
nesse grasso medicamentoso
(Carmignano di Brenta). I
geloni (o buganze) erano
molto diffusi e si diceva che
la cura era camminare sulla
neve scalzi. Il problema era
quando si rompevano ed
erano veramente dolorosi
(Caldogno). In alcuni casi
di curavano con l’urina
(Valdagno). Come rinforzante c’erano le uova, usate
in molti modi, sbattute con
lo zucchero, bevute fresche
o lasciate macerare col guscio nel succo di limone per
un mese e poi bevute come
liquore (Breganze). Ricostituente era anche la “mela
chiodata”, cioè una mela
sulla cui superficie erano
infissi dei chiodi di ferro, allo
scopo di trasmettere le proprietà del metallo alla mela
stessa (Camisano Vicentino).
Tonificanti erano considerati
il miele, la carne di cavallo
(Montecchio Maggiore), il
vino e il caffè (Villaverla).
Le bave dei corgnoi
Alcuni disturbi avevano
medicine e rimedi particolari, a volte curiosi. Alcuni
ricordano come l’ulcera
allo stomaco venisse curata
ingoiando una lumaca viva,
che con la sua bava prima di
morire, avrebbe formato una
pellicola impermeabile sulla
ferita cicatrizzandola (Camisano Vicentino, Caldogno).
La pressione alta del sangue
si curava mangiando a freddo
spicchi di aglio, bevendo
acqua di tarassachi e con
sanguisughe; la pressione
bassa mangiando di più,
utilizzando biscotti intinti nel
vino rosso o nel marsala (Sovizzo). L’operazione “sanguete” era tutta particolare:
venivano raccolte nei fossi
e nelle acque paludose, o
acquistate in farmacia; erano
applicate sulla pelle affinché
succhiassero il sangue e per
Le sintesi chimiche
facilitare l’operazione si metteva nel
La medicina popopunto interessato
lare oggi è del tutto
un po’ di zucchero;
spiantata da quella
l’animaletto veniva
scientifica. Le nuove
ricoperto con un
cure vedono l’utibicchiere finché non
lizzo di farmaci di
si attaccasse alla
sintesi chimica (Carpelle; quando al
mignano di Brenta)
sanguisuga era ben
e sono prescritte dai
gonfia, si staccava
medici in modo perda sola e la terapia
sonalizzato. Vi sono
era terminata (circa
vaccini in quanti20 minuti) (Bassano
tà, che prevengono
del Grappa). Per le
le malattie, alcuni
infiammazioni alle
di ampia diffusione
dita o alle unghie si
come quello antinusava l’ittiolo, per il
fluenzale (Caldomal d’orecchio qualgno).
che goccia d’olio
Le allergie semd’oliva riscaldato o
brano cresciute nel
di latte di puerpera
tempo ed hanno pos(Arzignano). I porri
sibili terapie dopo
talvolta crescevano “Peretta”, siringhe e vaschetta per la bollitura
lunghe ed accurate
sulle mani. Una corsista si ricorda di una cura per l’uso (Lonigo). Per le diagnosi. In ogni famiglia
a base di un unguento che spine o schegge di legno, che c’è una piccola farmacia
bruciava: sparivano ma poi si conficcavano specie nelle per i malanni più comuni
ricrescevano (Costabissara). mani, si usava immergere più (Longare). Crescono i casi
Nel caso di ascessi interni volte la parte interessata in di obesità per l’assunzione
all’orecchio si usavano una soluzione satura di acqua esagerata di cibo; molti
candele liquefatte, adattate calda e sale (Asiago). Per i ricorrono a vitamine e
all’orecchio. Accendendo crepi sui piedi si pestava lo ad integratori anche senpoi dall’altro lato la can- sterco di cavallo per guarire; za necessità (Montecchio
dela, giungeva all’interno qualcuno sostiene oggi che Maggiore). Aumentano le
dell’orecchio il calore (Cal- era ilo veicolo più importante malattie dovute alla nutridel tetano (Costabissara). La zione come il diabete. Un
dogno).
Malattie infantili diffuse pulizia personale e di casa eccesso di informazione alla
erano i vermi. Si provvedeva, era assai precaria. Le pulci televisione porta all’abuso
prima ancora che con la ver- (“polse”) si nascondevano di farmaci (Arzignano). Gli
micilina, con una corona di sui bordi delle coperte e di antibiotici hanno sconfitto
aglio intorno al collo, oppure notte pungevano, succhian- molte malattie, anche se
con aglio tritato, messo in una do il sangue. Negli armadi batteri e virus si sono ringarza, in modo da raccogliere c’erano scarafaggi e cimici. forzati (Noventa Vicentina).
il succo da bere (Camisano Per disinfettare dai pidocchi Le stesse iniezioni sono a
Vicentino). La parotite (mal i bambini che andavano in portate di tutti, già pronte
del monton) si curava con lana colonia, si usava il petrolio con siringhe “usa e getta”
appena tosata ancora sporca e si tagliavano i capelli (Co- (Vicenza). Si sono estese le
cure termali e i centri del bedel grasso animale, da mettere stabissara).
nessere abbinati a massaggi,
attorno al collo, e la pertosse
cambiando aria, possibil- Nella guerra a pulci bagni e fanghi. Si diffonde
mente andando in montagna e pidocchi si usava il mito di rimanere sempre
(Dueville). L’acne giovanile perfino il petrolio… giovani ed efficienti (Vicenza). Una certa diffusione,
richiedeva una depurazione
del sangue: “Sfogo de pele sa- oltre che la rasatura. anche se ancora limitata,
hanno le terapie omeopatilute de le buele” (Caldogno).
Fra le malattie causa che e la medicina orientale
Come depurativo si usavano
la radice del radicchio o la di morte si ricordano la (Caldogno); forse, qualcuno
“dulcamara”, l’acqua degli tubercolosi, la difterite, la suggerisce, basterebbe resetticemia delle puerpere, la cuperare vecchie tradizioni
spinaci cotti (Villaverla).
leptospirosi (Noventa Vicen- ancora vive nella memoria di
tina). In caso di tubercolosi tutti (Villaverla). Lo shiatsu
Ragnatele sulle ferite
gli ammalati venivano allon- giapponese, con stiramenti e
Nel caso di ferite infette tanati da casa e ricoverati pressioni mirate, è praticato
si applicavano foglie di in sanatori. Alla morte si in alcuni luoghi per riequipiantagione e per favorire bruciava il letto e i vestiti librare l’energia del corpo
la cicatrizzazione si usava per eliminare ogni possi- (Breganze). Nessuno mette
la resina degli alberi o la bile contagio (Montecchio in dubbio il progresso della
buccia di cipolla (Valdagno). Maggiore). La tubercolosi medicina e la salute oggi
Qualche corsista ricorda di faceva veramente paura e divenuta comune, anche se
aver usato ragnatele avvolte chi era sospetto di averla si fa notare il pericolo degli
direttamente sulla ferita, poi veniva emarginato. Qualcu- abusi, del diventare “malati
ricoperta con garza (Sovizzo). no riferisce che qualche tu- immaginari” (Sovizzo), delLe storte, le “incalcade” era- bercolotico doveva portare l’abbandono delle soluzioni
no guarite con fette di patata con sì un bicchiere di ferro naturali a certi problemi
e con il rimedio miracoloso che si piegava e lo teneva attraverso il movimento, lo
della “ganassa de mascio”, sempre in tasca se voleva sport, la dieta controllata
(Carmignano di Brenta).
appesa in ogni cantina, pronta bere (Costabissara).
REZZARA NOTIZIE
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cure antiche salutari
COSÌ ADULTI E ANZIANI RICORDANO
I TOCCASANA CONTRO LE MALATTIE
LE TESTIMONIANZE
Marostica - Per alcuni anni
le medicine somministrate
dal medico non erano sempre
comprese e, soprattutto, non
usate come si doveva, un
esempio eclatante è l’impiego
delle supposte che spesso
venivano ingerite, con conseguente mal di stomaco e
vomito oppure inserite nel
posto giusto, ma con la carta
stagnola dorata inclusa!
Torri di Quartesolo - Bastava che la mamma dicesse
“vado in farmacia a prenderti
un’oncia di olio di ricino”
perché balzassimo dalle coperte miracolati: nella storia
della medicina l’olio di ricino
è stato l’unico farmaco che
guariva con l’odore, anzi con
il ricordo dell’odore.
Malo - I suggerimenti
delle comari erano però
insostituibili: esse consigliavano salassi e sanguete
per il sangue carico, latte
di puerpera o olio caldo da
introdurre nell’orecchio in
caso di otite (attenzione però
alla temperatura: troppo caldo
può far danni al timpano),
cotone imbevuto con grappa
per il mal di denti, latte con
grappa per l’influenza o, per
i “dolori”, l’applicazione di
vasetti di vetro (o bicchieri)
scaldati sulla fiamma e applicati immediatamente sulla
parte dolorante.
Sovizzo - Il termine praticone era sinonimo di botanico
(che sarebbe l’erborista di
oggi). Passava di casa in
casa, per le contrade, oppure
riceveva a casa sua. Si conosceva per sentito dire, come
il giustaossi. Il praticone
preparava intrugli, creme,
oli da bere o da spalmare, decotti. Spesso i botanici erano
religiosi, suore o frati, che
erano gli unici che potevano
aver studiato erboristeria.
Praticone è una definizione
spregiativa, in genere non si
usava, si usava di preferenza
la parola “botanico”.
Schio - Mi ricordo che,
come primo approccio terapeutico, c’erano le coccole,
poi si ricorreva ai soliti rimedi: olio di ricino, latte caldo e
miele, limonata, corraina, acqua più latte più grappa per il
raffreddore; manna, impacchi
con argilla bagnata per dolori
articolari; impacchi di farina
di lino per tosse e catarro;
impacchi con midollo delle
ossa del maiale per ematomi
e botte varie; erba senna, melissa preparata con altre erbe,
tipo: issopo, valeriana, menta
e altre raccolte personalmente
(ad esempio nei boschi della
zona del Monte Cengio) nei
mal di pancia.
Caldogno - A causa delle
insufficienti difese contro i
rigori invernali, un inconveniente molto diffuso nel
passato erano le buganze
(geloni) che bisognava curare
camminando sulla neve. Per
curare la bronchite, si usava
mettere la pelle di pecora
conciata sopra la monega,
come un telo per trattenere
più calore e si riteneva che
i vapori rilasciati dalla pelle
avessero effetto balsamico.
Per le tipiche malattie respiratorie da raffreddamento oltre
alle pappette di lino si usavano i vapori con el ferumine
del fen cioè quello che cade
dal fieno lungo: semi, polveri,
piccoli residui erbacei. Con lo
stesso ingrediente venivano
preparate le pappette. Le “papette di lino” si cucinavano
secondo diverse ricette: si
mettono i semi di lino in un
pentolino e li si fa cuocere a
fuoco moderato, mescolando
e amalgamando bene il tutto
con l’olio che fuoriesce dai
semi durante la cottura, come
una crema. Un volta spento il
fuoco si ripone il tutto in un
piccolo sacchetto di stoffa
e lo si posiziona davanti o
dietro il torace, con sopra la
bolla di acqua calda per tenere
costante il calore.
Dueville - Era convinzione diffusa che le pustole, i
brufoli, le eruzioni cutanee
frequenti nei bambini e nei
giovani fossero dovuti a
costipazioni dell’intestino
(basti pensare alle scorrerie a
caccia di frutta, anche acerba,
dovute alla fame) e che fossero necessarie per liberarsi
prima (sfogo de pele salute de
buele). In caso di stitichezza
ostinata qualcuno assumeva
anche la polvere da sparo che
si trovava facilmente nelle
case (serviva a preparare le
cartucce).
Montecchio Maggiore Alcune ricette da preparare
“in cucina” erano consigliate
come integrazione dell’alimentazione. La panà, ad
esempio, era una crema
morbida fatta con acqua
in cui si faceva bollire del
pane (spesso raffermo) fino
ad ottenere una poltiglia
alla quale, in un secondo momento, si
aggiungevano burro,
sale, formaggio e un
uovo. La panà veniva somministrata ai
convalescenti, agli
anziani inappetenti e
spesso anche ai lattanti per cominciare
lo svezzamento. Il
pamòjo invece, aveva la funzione di ricostituente. Era una
miscela a base di latte, in cui
venivano sciolti burro e sale
ed in seguito aggiunti acqua
bollente e formaggio.
Arzignano - L’infuso di
infiorescenze di tiglio, veniva
usato per la cura di influenze,
tossi e raffreddori. Una ricetta
molto diffusa contro la perdita
della voce consisteva nel far
bollire per un quarto d’ora,
in un litro d’acqua e mezzo
di vino bianco, un pizzico di
ciascuna delle seguenti erbe:
piantaggine, erisimo, malva,
rovo, eucalipto, paritaria e
salvia, con l’aggiunta della
carota. Contro l’insonnia
veniva bevuta con zucchero,
miele e limone. La salvia era
ritenuta una vera erba sacra.
Contro i dolori mestruali era
molto efficace la maresina
(amarella); le sue virtù terapeutiche sono note a chi non
è più giovane che ricorda
come questa erba venisse
usata anche contro i vermi
intestinali dei bambini, per
combattere il mal di testa e
per far aumentare il latte alle
puerpere.Singolare era la
pratica, dai risvolti occulti,
da parte delle donne “prese
da isterismo”, di orinare sopra
un cespo di maresina fresca
a scopo calmante. L’olio di
merluzzo, invece, era la cura
autunnale per i bambini gracili i quali lo odiavano per il
suo sapore nauseabondo. Ma
un ricostituente, per loro più
accettabile, era un preparato
di uova (guscio compreso)
lasciate a macerare nel succo di limone per 15 giorni e
poi bevuto dopo essere stato
filtrato.
Breganze - Per problemi
intestinali e per le emorroidi
si usavano anche i semi di
lino; venivano messi in ammollo con l’acqua alla sera e
al mattino si bevevano. Una
cura più blanda per l’apparato
digestivo e neuro-vegetativo
era mangiare decotti di frutta.
Per il mal di gola, causato
dall’infiammazione delle
tonsille, si usava il ghiaccio
che si andava a prendere
nelle ghiacciaie comunali,
presenti in ogni paese. Il
medico prescriveva in una
ricetta il ghiaccio da prelevare
che veniva poi consegnato
dall’incaricato comunale
che custodiva gelosamente
la ghiacciaia. Questo edificio
era spesso ricavato a ridosso
di una collina per ricevere
frescura ed ombra. Era costruita in mattoni, calce e
sassi; alla base era posto uno
scarico per l’acqua e alla
sommità un capace foro per
il riempimento. Da quel foro
volontari e operai del Comune
introducevano, dopo averlo
trasportato con carretti, il
ghiaccio naturale nella ghiacciaia, fino al riempimento. Il
ghiaccio serviva per tenere
al fresco carni e bibite ma
soprattutto per questo scopo
farmaceutico. Per il raffreddore e la sinusite si usavano
impacchi di foglie di cavolo
appoggiate alla fronte e tenute
per tutta la notte. Lo scopo era
di liberare le vie respiratorie,
cosa che avveniva dopo una
settimana o due. Si usavano
anche i profumi fatti con
il fieno rimasto sui fienili,
contenente semi, fiori e foglie
essiccate e profumate, messo
a mollo in un pentolone di
acqua bollente. L’ammalato
copriva la testa con una grossa
coperta e poi respirava questi
vapori in modo vigoroso. Per
la febbre alta si facevano
impacchi con panni di lino
inzuppati di acqua fredda. In
caso appunto di ascessi, si
facevano maturare con queste pappette e poi il medico
arrivava ad inciderli.
Longare - Ampio era poi
il ricorso alle erbe e radici a
scopo terapeutico. L’infuso di
salvia si beveva per l’asma e
la depressione; il finocchio
selvatico per i disturbi digestivi e per le donne che
allattavano; decotti di radici
di gramigna per le infezioni
urinarie; infuso di ortica con
malva e tarassaco per la colite; midollo della mandibola
(la ganassa) invecchiata di
maiale spalmato su gonfiori,
contusioni e artrosi; tisane di
fiori di camomilla (raccolti ed
essiccati) usate come calmanti per dolori intestinali e per
impacchi contro le congiuntiviti; infuso di radici, fiori e
foglie di malva per sfiammare
le gengive;gusci d’uovo decomposti con succo di limone
e zucchero come ricostituente
del calcio; profumi con acqua
bollente con ferume di fieno
per l’asma; per il mal di denti
una boccata di grappa sul
punto dolorante; per il mal
di pancia si beveva infuso di
acqua di melissa; per l’otite
dei bambini gocce di latte
caldo di donna sull’orecchio.
A volte si ricorreva al giustaossi per tirare le corde fuori
posto. Lo speziale vendeva
sanguisughe (o più spesso si
raccoglievano dai fossi) da
mettere sul collo o le spalle
per ottenere il “salasso”,
cioè il prelievo del “sangue
grosso” del paziente contro
l’ipertensione. Per dolori e
artriti si scaldava un mattone
e si posava sulla parte dolorante. Qualcuno annota che
per disinfettare ferite lontano
da casa (es. in campagna) si
usava spesso l’urina.
Vicenza, Bassano e Lonigo parlano delle cure alle fonti
termali. A San Giorgio di Bassano fu studiato un percorso
di vasche di sedimentazione
che permetteva alla fine di
ottenere un’acqua limpida,
bella da vedere, incolore, trasparente, anche se rimaneva
l’odore tipico dell’idrogeno
solforato, assai simile a quello
delle uova slosse (marce)
che si diffondeva a qualche
distanza. Al gusto l’acqua si
faceva sentire leggermente
salina ed epatica. Posta in bottiglie, si conservava limpida
e inalterata per alcuni mesi.
La notorietà della sorgente
medicamentosa si deve anche
ad una credenza popolare e
cioè che potesse far passare la
tosse canina, ossia la pertosse,
contro la quale, anche alcuni
medici, consigliavano alle
mamme di fare una camminata di andata e ritorno lungo
la riva del torrente Silan, fino
alle acque di San Giorgio,
percorrendo una carreggiata
costeggiata da sambuchi, robinie, equiseti, ippocastani ed
altri arbusti balsamici. Ecco
che si formava addirittura una
processione di mamme con
carrozzine e bimbi a piedi
per mano fino alle acque. Alle
terme si faceva respirare ai
piccoli le arie e si faceva bere,
magari con qualche scappellotto, l’acqua odorosa di uova
marce, ma tanto buona per la
salute. Analogamente a Staro
e a Recoaro.
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REZZARA NOTIZIE
emarginazione del disabile
LA DISABILITÀ, UNA MALEDIZIONE
DA NASCONDERE NEGLI ISTITUTI
Isolamento totale e terapie costrittive contro tutto ciò che usciva dalla normalità. Cosa è cambiato dalla fine degli anni ’70 con la
chiusura dei manicomi e la presenza degli handicappati a scuola.
La cultura “povera” di una
volta nel senso materiale ed
etico del termine, aveva una
considerazione molto bassa
della disabilità. Un disabile,
mentale o fisico, era un peso
quasi insormontabile per la
famiglia (Villaverla). Queste
persone venivano nascoste in
casa perché ci si vergognava
della loro presenza e si arrivava a considerarle un castigo di
Dio (Carmignano di Brenta).
Di solito la persona disabile
rimaneva in casa, nascosta
in un angolo in cucina, nella
stalla o sotto il portico (Camisano Vicentino). Spesso non
venivano neppure registrati
all’anagrafe (Arzignano). Si
ricorda di un bambino messo
sotto la “caponara” quando la
madre si doveva assentare. Il
ragazzo non si muoveva mai e
a 30 anni è morto nella “caponara” (Caldogno). Il disabile
non raramente era lasciato a
se stesso, sporco. Una ragazza
colpita da encefalite letargica
era seduta affacciata alla finestra, immobile, con lo sguardo
fisso nel vuoto; un ragazzino
era seduto sulla porta di casa,
si dondolava in continuazione,
emettendo suoni inarticolati.
Erano vittime di dileggio e di
scherno da parte dei ragazzi
(Creazzo). In casa passavano
il giorno su un “caregoto”
anche se adulti, vestiti da
donna per le sommarie pulizie
(Malo). Talvolta avevano una
certa autonomia e giravano
per il paese, costituendo “lo
scemo del villaggio”, da tutti
conosciuti, compatiti, a volte
temuti. I genitori raccomandavano: “Non andare che c’è
il matto” (Dueville). I disabili
innocui venivano utilizzati
per umili servizi, con qualche
piccola mancia (Schio).
Le tare ereditarie
Ad aggravare la situazione
era la convinzione che le tare
fossero ereditarie e serpeggiava l’idea che queste malattie
fossero “un castigo di Dio”
per qualche colpa più o meno
conosciuta, per cui tutta la famiglia era screditata, i fidanzamenti erano compromessi,
l’ammissione all’esercito e
l’entrare in una casa religiosa
vietati (Breganze).
Istituti specializzati per
queste persone non c’erano
o erano costosi. Il destino di
molti era il manicomio, dove
venivano rinchiusi rachitici,
prostitute, malati di mente,
alcolizzati. Per essi c’erano
l’elettrochoc, la camicia di
forza, catene e strumenti di
detenzione. Ci si scandalizzava di certi comportamenti
violenti, ma non ci si chiedeva
quali cause li provocassero
(Villaverla). Non raramente
i manicomi si trasformavano
in lager, con medici e infermieri che li trattavano male
(Creazzo). Un familiare al
manicomio faceva per la gente
la famiglia “matta” (Sovizzo).
La malattia mentale era considerata segno di malvagità:
dei matti si diceva che erano
“strià”, cioè indemoniati
(Sovizzo).
Negli anni ’60 si incominciò a servirsi dei psicofarmaci
e si abbandonarono certe
forme di detenzione forzate
(Carmignano di Brenta),
anche se si arrivò a un uso
sconsiderato dei sedativi. I
bambini ritardati trovarono
ospitalità in istituti appositi,
senza però migliorare (Thiene). Raramente i meno gravi
(down e spastici) erano inseriti a scuola o frequentavano
la parrocchia. Si ricorda un
ritardato mentale nell’ultimo
banca dell’aula, mai coinvolto nelle lezioni, in un banco
particolare alto e a forma
di gabbia, forse per evitare
invadenze o per protezione
dalle esternazioni dei compagni (Noventa Vicentina).
Un disabile viveva l’emarginazione. Un po’ più rispetto
si conservava in casa per le
persone anziane colpite da
demenza senile e dal morbo
di Parkinson, forse per la memoria del bene che avevano
fatto (Villaverla).
Dal parto alla testa
Più dolorosi erano alcuni
casi come la depressione
post-partum, che portava a
“S. Felice” con l’espressione
“dal parto alla testa” e di chi
tornava dalla guerra “matto” o
che diventava demente per le
malattie veneree (Camisano
Vicentino).
I servizi territoriali, la
chiusura dei manicomi con la
legge Basaglia (1978), l’inserimento degli handicappati
nella scuola, il diritto al lavoro, l’abbattimento delle barriere architettoniche hanno
oggi cambiato radicalmente
la cultura nei confronti dei
disabili. La famiglia sopporta
ancora il peso degli handicappati, ma è sostenuta da molti
servizi sociali e soprattutto si
è liberata dal marchio di infamia. Esistono comunità terapeutiche specializzate, day
hospital, trasporti pubblici
riservati, sostegni a domicilio
(Breganze). Associazioni di
volontariato si pongono a
disposizione dei disabili per
un lavoro di recupero sociale
(Torri di Quartesolo). Molti
disabili possono uscire e
comunicare con gli altri a
scuola e in luoghi pubblici.
Carrozzelle provvedono a
chi manca di ambulazione
autonoma (Caldogno). C’è
un nuovo rapporto con la
diversità, senza paura, un
riconoscimento a tutti del
diritto di cittadinanza (Creazzo). Ciò è importante per le
giovani vittime di incidenti
stradali, costrette a disabilità
perpetue (Creazzo). Per gli
anziani ci sono le badanti,
che provvedono con cure,
evitando le varie forme di istituzionalizzazione (Schio).
La chiusura dei manicomi
Con la chiusura dei manicomi si è riscontrato che
il 60% dei ricoverati erano
alcolizzati o persone che non
si sapeva dove collocare e
Ricoverati nell’azienda agricola dell’ospedale psichiatrico di
Montecchio Precalcino (anni ’70)
che ora, con qualche cura
specifica, sono divenute
normali. Non tutto è risolto.
Le famiglie sono oppresse
talora da pesi insostenibili
con un malato di mente in
casa. Ci sono a volte pretese
esagerate ed ostentazione
del male. Nuove forme di
emarginazione nascono dal
benessere, per induzione
come l’anoressia e la bulimia. Spaventa l’aumento dei
suicidi nei giovani dovuti
alla fragilità psicologica e
all’ansia (Camisano Vicentino). La droga e l’alcolismo sono piaghe che si
riaccendono e che pongono
il bisogno di andare oltre ai
servizi sociali per costruire
una nuova cultura.
LE TESTIMONIANZE
Asiago - Una volta era
considerata una vergogna
partorire un figlio non perfettamente sano e quindi
avere in famiglia una persona disabile era vissuto con
grande disagio, come frutto
di una colpa da espiare. Il
problema veniva nascosto in
casa il più possibile e spesso
se ne veniva a conoscenza
solo per caso.
Dueville - “Nel mio paese,
circa cinquant’anni fa, sono
nati due bambini deformi e
sono stati messi in istituto a
Venezia e al Cottolengo di Torino e poi di Padova. Nessuno
li ha più visti. Le famiglie si
vergognavano. Non bisognava fare domande”. Altra
testimonianza: “Se in una
famiglia c’erano persone disabili restavano in casa anche
per l’impossibilità di far loro
vivere una vita sociale. Peggio
ancora era per i malati di mente
perché, oltre ai ‘manicomi’
non c’era alcun aiuto e così,
piuttosto di esporsi, a volte si
preferiva non far conoscere la
situazione e si facevano grandi
sacrifici, con tante sofferenze,
per convivere con chi aveva
problemi psichici”.
Felice” per indicare l’ospedale
psichiatrico. Questo tipo di
malattia era vissuto come una
“vergogna” dalla famiglia e
come tale trattata.
Malo - “Mangia a tradimento”: la frase brutale era
riferita ai disabili che nelle
famiglie erano presenti, ridotti tali dalla malnutrizione, da
incidenti sul lavoro o nati con
menomazioni. Erano tenuti in
casa, spesso nascosti perché ci
si vergognava; non andavano
a scola (a che serviva?), non
uscivano, spesso passavano
la giornata sul “caregoto”
anche da adulti. Anche i maschi erano spesso vestiti con
le gonne, più pratiche per le
sommarie pulizie.
Caldogno - A Caldogno si
ricorda un anziano deforme già
da piccolo, piccolo con la gobba, pure è riuscito ad integrarsi
nella comunità, a sposarsi, e
ad avere un lavoro, faceva il
falegname. Toccare la gobba
significava portare fortuna e
c’è chi ricorda che i ragazzi
andavano a toccargliela.
Vicenza - Le persone con ritardo psichico, demenza o forte
disabilità in passato venivano
tenute in casa, curate dai familiari e, a volte, nemmeno i vicini
sapevano della loro presenza.
Nei casi gravi in cui c’era un
ricovero si sussurrava “ San
Sovizzo - C’era però anche
maggiore solidarietà di oggi:
fra vicini ci si aiutava, appunto
perché la malattia era una disgrazia e di fronte alla disgrazia,
alla sfortuna, occorreva essere
solidali. Spesso le mamme alla
sera introducevano la preghiera
con un’ “intenzione” e spesso
l’intenzione era dedicata alla
persona malata della famiglia
accanto; il vicinato partecipava molto alla sofferenza dei
vicini.
REZZARA NOTIZIE
Pag. 7
contro la solitudine
LA SPERANZA DELLA GUARIGIONE
E LA FEDE TAUMATURGICA
In passato la sofferenza era
vissuta nel chiuso delle mura
domestiche. Una disgrazia
metteva in crisi tutto: lavoro, famiglia, sopravvivenza
(Carmignano di Brenta).
L’ammalato però non restava
solo, ma era circondato dai
familiari. La nonna radunava
tutti i nipoti attorno a una
immagine sacra, accendeva
una candela e tutti pregavano con gli occhi chiusi
e le mani congiunte, in un
atteggiamento concentrato
e meditativo (Marostica).
Un po’ alla volta anche nelle
famiglie vicine si pregava,
mentre gli uomini all’osteria
cercavano di sdrammatizzare
“come la xe rivà, la malattia
la andarà anca via” (Torri di
Quartesolo). Anche a scuola
si pregava per il bambino
ammalato e nei capitelli si
faceva qualche novena (Camisano Vicentino). Il senso
comunitario era grande fra i
poveri (Caldogno). Di certe
malattie, come la tubercolosi,
non si pronunciava neppure il nome e si diceva “ha
un brutto male” (Creazzo).
Piccoli gesti di condivisione
erano il portare al malato una
bottiglia di vino speciale o un
vaso di miele (Montecchio
Maggiore).
Credenze popolari facevano
ritenere di poter essere soggetti a malefici o malocchio
o di considerare le malattie
frutto di maledizioni o di
colpe passate (Villaverla). Si
parlava allora di fattucchiere
o di donne malvagie dalla
nomea di streghe (Noventa
Vicentina). Si bruciava allora
una ciabatta per tenerle lontane (Caldogno). A Creazzo
c’era una donna brutta, alta,
magra, con gli occhi strabici,
che aveva venduto l’anima al
diavolo e si chiamava Gegia.
Si diceva che nelle notti di
luna piena incontrasse su un
crocicchio di quattro strade le
altre streghe e che fosse causa
di fatture (Creazzo). Non
mancava chi andava da cartomanti per ottenere responsi e
ricette magiche (Sovizzo). Una
corsista ricorda di essere stata
vittima di un periodo di malanni e di incidenti a causa di
una “fattura”, diagnosticata da
una vicina. Per evitare ulteriori
disgrazie prese il cuscino dal
suo letto, lo portò in una notte
di luna piena in un quadrivio di
viottoli e lo bruciò a mezzanotte, recitando tre Pater noster
e tre Ave Maria. Così si liberò
(Creazzo). Si trattava, però, di
casi eccezionali, spesso più
raccontati che reali.
Il prete benediva
La pietà popolare
Non tutte le famiglie però
gradivano la propagazione
delle loro disgrazie e vivevano la malattia con paura
e vergogna, continuando a
lavorare finché era possibile
(Malo). Il prete andava nelle
case, benediva, consolava,
raccoglieva i segreti nascosti (Schio). In alcuni casi
pubblici invitava dal pulpito
alla preghiera comunitaria
(Sovizzo). Al sacerdote si
chiedeva di benedire i vestiti
e il pane dell’ammalato e tutti
si preoccupavano che non
mancasse sull’acquasantiera
di casa l’acqua benedetta
(Montecchio Maggiore). Si
pregava per la guarigione e
per l’aiuto, in caso di gravità,
per accettare la malattia (Torri
di Quartesolo). Per le piccole
malattie c’era il silenzio, per
le gravi la condivisione e la
preghiera comune (Camisano
Vicentino). Si racconta di una
mamma grave dopo aver partorito il decimo figlio e della
nonna con i nove figli attorno
al focolare in preghiera per
ore (Creazzo). Il medico nei
casi gravi diventava l’amico
di casa, il sostegno, anche
e soprattutto se la famiglia
era povera (Montecchio
Maggiore).
Nei casi di malattia invece
si moltiplicavano le forme di
pietà popolare, di scapolari
intessuti nei vestiti (Caldogno,
Dueville); di pellegrinaggi ai
santuari di Monte Berico, S.
Antonio di Padova, Madonna
della Corona (Creazzo); di voti
molto impegnativi (Vicenza);
di benedizioni, candele accese, reliquie (Malo). Dopo
la guarigione c’erano gli ex
voto da portare ai santuari, i
bambini graziati da vestire da
fratini o piccole suore, con il
saio e la tonsura, per qualche
tempo (Dueville). I familiari
spesso poi andavano in pellegrinaggio a Monte Berico a
piedi e “facevano le scalette
in ginocchio” (Montecchio
Maggiore). In fondo erano
forme religiose di rifugio nei
momenti difficili, carichi di
speranza e di invocazione, in
un tempo lontano, quando la
gran parte della vita poteva
contare soltanto sulla fede
nella provvidenza. Le pratiche religiose erano perciò un
vero aiuto per il superamento
dei momenti difficili: se non
avveniva la guarigione, si
trovava comunque la forza
di sopportare il male e di
accettare la volontà di Dio
(Asiago).
LE TESTIMONIANZE
Marostica - Per tenere lontane o per sconfiggere le
malattie non c’erano solo le preghiere, magari stampate
su cartoncini, che venivano inserite nei breviari religiosi
o in amuleti e le medagliette portate al collo, ma anche
gli “scapolari” che venivano fatti portare soprattutto dai
bambini e recavano le effigi, per esempio, della Madonna
del Carmine (o del Carmelo) a cui si raccomandavano,
perchè venissero protetti dai pericoli più svariati e dalle
tentazioni demoniache.
L’orizzonte della morte
Il mondo della malattia del
passato oggi è irriconoscibile
o meglio non esiste più. Traspare nella società secolarizzata una grande difficoltà ad
accettare la sofferenza. La
vita prolungata con le medicine e le cure ha cancellato dall’orizzonte umano la morte
(Carmignano di Brenta). C’è
un individualismo che porta
tutti a pensare per sé (Marostica). La “privacy” esclude
il coinvolgimento collettivo e
la persona ammalata diventa
un peso, un qualche cosa di
estraneo, una realtà negativa
da non ostentare ma da nascondere (Camisano Vicentino). “C’è molta riservatezza,
senza curiosità, con un saluto
aperto, senza invadere gli
altri. Oggi la malattia si vive
con più libertà; la vita è più
libera per tutti e consente di
superare più facilmente gli
ostacoli” (Dueville). L’individualismo ci separa dagli
altri, mentre alla televisioni al
contrario si ostentano in piazza i propri sentimenti, forse
per un bisogno inconscio di
comunicare, di farsi ascoltare,
mescolando finzione e realtà
(Villaverla, Creazzo). La
fede di un tempo è messa al
secondo posto: prima viene
la scienza, nella quale si
nutre ogni speranza, e solo
nei casi disperati si ricorre al
guaritore (Malo). La sofferenza della malattia diventa
così dramma interiore, con
esiti tragici come la depressione (Camisano Vicentino).
Apprezzabile è l’opera di
associazioni di volontariato, di gruppi di “autoaiuto”
(Longare), il soccorso delle
badanti (Arzignano). Alcuni
corsisti rivolgono un velato
rimprovero alla famiglia,
incapace di essere vicina ai
più deboli, tendenzialmente
protesa, per egoismo o per
(continua a pag. 8)
Torri di Quartesolo - Molti portavano in tasca santini
votivi o li infilavano tra le coperte per impetrare la guarigione; spesso nonne e mamme costruivano altarini votivi
in un angolo della casa con immagini e oggetti dedicati
al proprio Santo o alla Madonna, accendevano candele
e recitavano preghiere per la guarigione da malattie o
scongiurare altre disgrazie.
Camisano Vicentino - Ci si vestiva con il saio e il
cordone del frate invocato fino a tre anni, qualcuno per
6 mesi a 6/7 anni per il periodo del voto doveva portarlo
sempre; i voti si facevano comunemente, era un linguaggio abituale, chi portava il saio veniva rispettato,
non deriso.
Costabissara - Molte pratiche erano legate a superstizioni e credenze. In paese si raccontava che in una
contrà ci fosse una strega. Un giorno la donna si recò
a far visita ad una vicina di casa che aveva partorito da
poco. Appena uscita, il bambino cominciò a piangere
giorno e notte, a non mangiare più il latte dal seno della
mamma, a non dormire più. Si diceva che il bimbo fosse
stato stregato e le comari insegnarono alla mamma come
fare: doveva far bollire alcuni fazzoletti, con il bollore il
malocchio si sarebbe ritorto contro la strega provocandole
dei forti dolori.
Creazzo - La voce popolare sosteneva che se una
persona trovava tre chiodi dentro il materasso, doveva
fare molta attenzione perché se trovava il quarto voleva
dire che era pronta la cassa da morto. Federe e materassi avevano due buchi ai lati, attraverso i quali con le
mani si mettevano a posto gli “scartossi”, rivoltandoli.
In realtà era facile che ci fossero corpi estranei nel materasso o nei guanciali perché erano fatti proprio con gli
“scartossi” che venivano fatti asciugare fuori all’aperto,
sull’aia dove era facile che si perdessero chiodi dai tanti
attrezzi agricoli.
Sovizzo - C’era in ogni contrada una donna che faceva
le carte per predire il futuro. Era la stregona, da cui ci si
recava anche per avere notizie sull’amore e sul futuro. In
tempo di guerra si andava dalla stria con la foto del parente
in guerra per sapere se sarebbe tornato o no, se era ancora
in vita. La strega la si pagava con prodotti della terra, non in
denaro. Si credeva anche nelle anguane, che però nessuno
aveva mai visto ed erano le streghe del bosco personaggi
positivi, che vivevano vicino ai torrenti. Erano diffuse molte
superstizioni: il gatto nero portava sfortuna, il carro funebre
che passava portava male a meno che non si toccasse un
pezzo di ferro; non si doveva mai regalare un ago né un
fazzoletto, perché portava pianto nella casa. Portava male
spandere il sale e l’olio (anche perché erano beni di lusso)
e non bisognava mai indicare con i dito una persona o un
frutto, perché si “inibiava” cioè sarebbe andato a male il
frutto e caduto in disgrazia la persona.
Schio - Un tempo si pregava in comunità e, per guarire
da certe malattie, si doveva passare per sette capitelli
dicendo varie preghiere. Una volta si credeva molto
di più nel beneficio anche fisico delle preghiere, delle
benedizioni, dei voti, delle vesti... insomma si credeva
nei miracoli!
Pag. 8
REZZARA NOTIZIE
PROVERBI SULLA SALUTE
LA STORIA DEL PITÓCO
Quando che nasse on pitòco,el vien ∫levà a stento a stento e
co poco nutrimento.
Quando ch’el ga na sèrta età, el va anca lu a laorar. E tra
el vento che tira e la neve che che gela el pòro pitòco ∫e in
braghe de tela.
Quando che vien sabo, el va anca lu dal becàro a farse dare
la carne par la doménega. Ma el becàro, quel birbon, el ghe
dà carne de cavra e de molton.
Quando ch’el pitòco sta male, el se redu∫e anca lu a l’ospedale,
asistìo da le brave sorele che le ghe fassa su la pele.
Rechiemetèrna par lu no se gh’in u∫a in sìma a la fossa: e ∫o
ne la bu∫a.
E basta che el Padreterno no el ghe daga anca l’inferno.
LE FEMENE CO LE STA BEN
Le fémene co le sta ben le ga mal de testa.
EL SACO VÓDO
El saco vòdo no sta in pìe.
TI, BANBIN, SENTÀ SOL STRAME
Ti, banbin, sentà sol strame, porta via la bruta fame, porta via
la soferensa, l’ingiustissia e la violensa, e noàltri te prometémo
che almanco on poco pì buni saremo.
SURSUNCÒRDA EL ME CÒLO SE DESCÒRDA
Si dicevano queste parole, muovendo contemporaneamente la
testa, al Prefazio della messa per guarire il torcicollo.
SANTA MI∫ERIA
Santa mi∫eria che da l’om vegnìsti, dàme tanta forsa e inteleto
ca me possa vestíre stando in leto.
PAR VIVARE SENSA BILE
Par vivare sensa bile ghe vóle na dona par canpanile.
NO RESTA CHE DIRE AME
Si incontra in frasi come questa: “Còssa vulìo ca fémo? Ame”.
Oppure: “A sto punto no resta che dire ame”. Tali espressioni
significano che di fronte alle disgrazie, all’irrimediabile, alla
forza, non rimane che accettare, che rassegnarsi.
DÈO GRÀSSIA
L’espressione è frequente anche ora in frasi come questa:
“Gèrimo, poaréti. Gnente magnar pan, senpre poénta. E Deò
gràssia”. Oppure: “Qua i mestiéri va male. Dèo gràssia avere
la salute”. Inoltre, in particolari situazioni di preoccupata attesa
- malattie. Operazioni chirurgiche, occupazioni pericolose
- quando l’evento si risolve bene, la gente, con un senso di
sollievo e di riconoscenza, dice: Dèo gràssia.
Fonte: Alla fine della messa il sacerdote diceva: -Ite, missa
est -. Il popolo rispondeva: - Dèo gràssia.
ED ANCORA
Le peche de natura, se le porta in sepoltura.
Xe megio fruar le scarpe che i ninzioi.
El mal vien a cavalo, e po’ el va via a piè.
El malà no ‘l magna gnente, e ‘l magna tuto.
Co vien sera el malà se dispera.
Falo de medico, volontà de Dio.
Medego vecio e chirurgo zovene.
La malinconia l’è n’altra malatia.
QUOTA D’ABBONAMENTO
La quota di abbonamento per il 2009, da versare sul
c.c.p. 10256360 intestato a Istituto “Nicolò Rezzara”,
contrà delle grazie 14, 36100 Vicenza è di € 20,00. A
quanti invieranno una cifra significativa sarà inviata
al più presto una pubblicazione delle nostre edizioni.
42° Convegno di studi internazionali promosso dall’Istituto Rezzara di Vicenza
Contro la xenofobia, una nuova cultura
Recoaro Terme, 11-13 settembre 2009
Venerdì 11 settembre
ore 16
introduzione ai lavori
prolusione: L’“altro”, un fratello
intervento: Migrazioni e sviluppo delle civiltà nella storia
Sabato 12 settembre
ore 9
lezione: Globalizzazione e incontro/scontro tra i popoli
lezione: Fenomeni sociali di xenofobia, di tolleranza e di integrazione
ore 15
tavola rotonda: Radice dei conflitti
1. Immigrazione: aspetti economici, sociali e religiosi
2. Conflitti etnico-politici
3. Culture e pregiudizio
4. Religioni a confronto
Domenica 13 settembre
ore 9
1. intervento: Cultura dei diritti umani e politiche pluraliste
2. intervento: Percorsi formativi all’alterità
3. intervento: Ricerca di regole e valori condivisi
Hanno già confermato la presenza: il card. Salvatore De Giorgi; i Vescovi mons. Cesare
Nosiglia e mons. Agostino Marchetto; i proff. Antonio Papisca, Vincenzo Pace e Stefano
Allievi, dell’Università di Padova; il prof. Ilvo Diamanti, dell’Università di Urbino; il
prof. Felice Rizzi, dell’Università di Bergamo.
LA SPERANZA DELLA GUARIGIONE
(continua da pag. 7)
necessità, a scaricare il peso
del malato e del vecchio
(Noventa Vicentina). In alcuni
casi di disperazione si scatena la fantasia e ci si affida a
personaggi senza scrupoli che
approfittano della debolezza
del malato e dei suoi familiari
disposti a fare qualsiasi cosa
pur di tentare la sopravvivenza. L’esito il più delle volte
è solo una truffa colossale
(Costabissara). In questo
quadro i maghi e i cartomanti
prosperano (Breganze, Vicenza), fanno pubblicità su
televisioni e giornali (Torri
di Quartesolo), approfittano
della debolezza interiore degli infelici (Caldogno).
Pellegrini e apparizioni
Sono i surrogati di una
religiosità in crisi o residuale
(Villaverla), espressione di
un dolore non più sopportato
(Montecchio Maggiore). Dove
permane la fede, anche debole,
si moltiplicano i pellegrinaggi
per cercare conforto nella malattia e nelle sofferenze. Molti
gruppi di preghiera, all’interno
dei quali si fanno preghiere di
guarigione, offrono conforto e
promuovono pellegrinaggi a
luoghi di presunte apparizioni,
come Poleo di Schio e Medjugorie (Breganze). Nelle chiese
si accendono ceri (Dueville).
Non mancano “sétte religiose”
che illudono e coinvolgono persone psicologicamente deboli
ad aderire ad esse per essere
guarite o per avere un sostegno
psicologico (Longare).
La fragilità umana affiora in
continuità, e la crisi profonda
della malattia grave ripropone
i temi profondi dell’esistenza. Fra ricerche magiche e
superstizioni non raramente
sboccia la fede, che si manifesta talvolta in una lotta con
Dio e finisce per placarsi in un
fiducioso abbandono.
“5 PER MILLE” COME DESTINARLO
Al momento della presentazione del modello Cud, 730 o Modello unico, il contribuente
può decidere di destinare la quota del 5 per mille della propria imposta sul reddito delle
persone fisiche, relativa al periodo d’imposta 2008, mettendo la propria firma in uno
degli appositi quattro riquadri che figurano sui modelli di dichiarazione. A tale riguardo
va evidenziato che è consentita una sola scelta di destinazione e che il contribuente non
si trova a pagare più tasse, ma a decidere come destinare una somma che comunque
deve pagare. Oltre alla firma il contribuente può indicare il codice fiscale del soggetto
al quale intende destinare direttamente la quota del 5 per mille. Noi vi proponiamo di
assegnarla al Rezzara.
La tua FIRMA e il nostro codice fiscale 00591900246
dona il 5 per mille a
ISTITUTO CULTURALE DI SCIENZE SOCIALI
NICOLÒ REZZARA
con noi ci sei anche tu