SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI L`ANTICA RICERCA DELLA
Transcript
SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI L`ANTICA RICERCA DELLA
Anno XXXIX - n. 3 - aprile 2009 ISSN.: 0391-6154 In caso di mancato recapito, rinviare all’Ufficio Postale di Vicenza per la restituzione al mittente che si impegna a corrispondere la tassa di spedizione. Direzione: Via delle Grazie, 12 - 36100 Vicenza - tel. 0444 324394 - e-mail: [email protected] - Direttore responsabile: Giuseppe Dal Ferro Mensile registrato al Tribunale di Vicenza n. 253 in data 27-11-1969 - Reg. ROC 11423 - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/2/2004 n. 46) - art. 1, comma 1 DCB Vicenza - Associato USPI - Stampa CTO/Vi - Abb. annuale 20,00 €; 3,00 € a copia SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI L’ANTICA RICERCA DELLA SALUTE La malattia ha sempre rappresentato per l’uomo un momento di crisi e ha riproposto i problemi di fondo della vita, della convivenza sociale, della religione. Essa interrompe la quotidianità, diventa fonte di insicurezza, pone in linea prioritaria i temi del significato delle cose. Da un lato mette in moto una ricerca della salute perduta attraverso le varie forme della medicina popolare ieri, quando le conoscenze erano scarse e mancavano i soldi per rivolgersi agli specialisti; oggi attraverso la consultazione spasmodica dei centri specializzati, in possesso di terapie sofisticate. Dall’altro la malattia stimola la solidarietà e la condivisione, interroga le religioni, talora si rivolge in ultima istanza alla magia pur di trovare la salute. Le Università degli adulti/anziani del Vicentino si sono proposte nell’anno 2008/2009 come ricerca sul costume il tema “Medicine e cure nel tempo”, per evidenziare il grande cambiamento avvenuto negli ultimi cinquant’anni nella sanità da forme di cure tradizionali, a volte magico-sacrali, dovute alla povertà e all’ignoranza, a cure specialistiche e tecniche assicurate a tutta la popolazione da parte dello Stato; dalla cura dei disabili e dei malati di mente nascosti in casa o reclusi nei manicomi, all’inserimento sociale e all’ospitalità in istituti protetti, sempre più specializzati. Nella ricerca si sono ricostruiti i differenti contesti sociali, le cure ricercate, le relazioni di mutuo aiuto; diversi modi di atteggiarsi delle persone nei confronti della trascendenza. I risultati riportati in sintesi costituiscono un interessante spaccato dell’evoluzione del costume in questi anni di rapida e profonda evoluzione culturale. Erano le donne un tempo, in particolare le madri, le nonne e le zie, ad accorgersi del pallore o del colorito eccessivo di qualche membro della famiglia e a misurare la temperatura corporea, quando il termometro era una rarità, appoggiando le labbra sulla fronte, ad accorgersi di sudori freddi, a controllare i battiti del polso. L’aspetto esteriore rilevava il primo sintomo di malattia: il pal- lore o rossore, le occhiaie, le mani fredde e sudate, il dormire poco, la stanchezza persistente, gli occhi lucidi o rossi, la lingua bianca (brutta), erano i primi segnali (Asiago). Rimedio iniziale, soprattutto per i bambini, era il letto caldo per qualche giorno, sicuri che in gran parte dei casi tutto si sarebbe risolto. Le attenzioni della mamma si moltiplicavano: “Da piccina - ricorda una RICERCA SULLE MEDICINE E CURE NEL TEMPO La ricerca delle Università adulti/anziani prosegue sulle medicine di un tempo: un altro contributo alla ricostruzione del costume sociale, che rischia altrimenti di andare perduto. Interessante lo spaccato emerso. corsista - se pioveva facevo di tutto per bagnarmi la testa e i piedi ed ammalarmi. Questo perché quando avevo la febbre la mamma improvvisava un letto per me nella stanza più calda della casa. Metteva dei cuscini morbidi su due sede e (…) mi coccolava” (Montecchio Maggiore). Con il perdurare del male, il primo consulto avveniva in famiglia; a volte si ricorreva all’esperienza di anziani vicini di casa (Longare), convinti che le cose fossero di poco conto (Caldogno). Nel caso di febbre alta, con i classici “sgrisoloni”, prolungata nel tempo, si ricorreva al farmacista, detto anche speziale, nel quale si riponeva tanta fiducia. Era questa una figura simpatica, che ascoltava, chiacchierava, dava sicurezza. Aveva sempre qualche polverina da fornire per tutte le evenienze in una cartina ben ripiegata (Marostica). La farmacia era un luogo che incuteva soggezione come una chiesa, con mille cassettini, vasi blu trasparenti, mortai allineati, pesagrammi (Thiene). Un asciugamano appeso Il termometro era una rarità (Thiene) e quindi ci si accontentava di cogliere ed interpretare i sintomi naturali. Dal medico si andava poco, solo dopo aver provato tutto, perché costava soldi e questi non c’erano. Il medico si recava in casa in bicicletta (Torri di Quartesolo) e dopo una visita accurata e qualche ricetta tranquillizzava, invitando ad attendere l’evoluzione della malattia (Breganze). Anche trovare il medico non era facile: a volte si andava a casa sua o nel suo ufficio, altre volte si lasciava la richiesta nell’unica bottega del paese, altre volte, se passava, si lasciava fuori dalla porta di casa una sedia con un asciugamano, in modo che al ritorno il medico entrasse (Sovizzo). Problemi sorgevano nel retribuire il medico, se non si apparteneva all’elenco dei poveri, per i quali provvedeva il comune. Chi non aveva soldi pagava la visita con qualche salame o con prodotti della terra (Sovizzo). Con la ricetta si andava dal farmacista. Il farmacista con il bilancino pesava, mescolava le varie sostanze e le confezionava in apposite cartine. Molti sono i racconti in proposito: dalle medicine “placebo” che guarivano; alla madre che prendeva le medicine avanzate, le quali avevano guarito la figlia; a un signore che nel 19301935 ha portato al medico l’urina perché la analizzasse e, avendo il medico richiesto di riportargli l’urina dopo un mese, arrivò con un carretto e una damigiana (Marostica). Il medico a volte si impegnava in salassi, in applicazione di sanguisughe, in estrazione di denti e perfino nell’estrazione di tonsille (Camisano Vicentino). Nonostante la gente ricorresse al medico solo in casi gravi, i medici avevano un gran lavoro, giorno e notte. Erano assunti dai comuni per assistere le persone iscritte nell’elenco dei poveri, ma di fatto prestavano la loro assistenza a tutti (Breganze). L’ospedale faceva paura: “Mio padre - scrive un corsista di Dueville - soffriva di calcoli renali e per fare due interventi (…) dovette vendere la casa che aveva ereditato da suo padre”. Il miracoloso tiraossi Per slogature, fratture, dolori muscolari, corde fuori posto, mal di schiena c’era il giustaossi o il tiraossi, il quale manipolava la parte dolorante e se necessario la fasciava con chiara d’uovo, farina gialla, stecche di legno (Thiene). Sua abilità era sistemare le ossa della schiena con le mani (Malo). Un corsista ricorda di esser andato da uno di essi, che lo fece sedere a cavalcioni di una sedia in cucina e, scoperta la schiena, percorse la spina dorsale con il pollice. A un certo punto disse: “Toso, qua c’è un anello fuori posto”. Praticò allora una leggera pressione e dopo due minuti il dolore scomparse (Lonigo). Per coloro che dovevano partorire c’era la levatrice. Spesso il ricorso nelle malattie era ai praticoni, sinonimo di botanici, i quali preparavano intrugli, creme, oli da bere o da spalmare, decotti (Sovizzo). Nella Val del Chiampo erano punto di riferimento il prete da Sprea (don Luigi Zocca) e Genoveffa (detta Efa) della Calvarina (Arzignano). C’erano anche guaritori che con il calore delle mani (pranoterapia) portavano beneficio ai dolori reumatici e al mal di schiena (Arzignano). Le diagnosi sofisticate Le cose oggi sono profondamente cambiate: medico, medicine ed ospedale sono gratuiti, alla portata di tutti. C’è la possibilità di accedere ad esami diagnostici sofisticati, ad interventi chirurgici specialistici quali i trapianti. L’igiene e l’informazione, diffuse capillarmente, hanno migliorato e prolungato la vita di tutti. Gli ambulatori sono superaffollati e il Pronto soccorso funziona 24 ore su 24. Ci si lamenta per le file agli sportelli e per le attese delle visite specialistiche (Creazzo). Il medico di base rischia di diventare un burocrate che, ancora prima che il paziente finisca di parlare, scrive la ricetta e invia ad esami clinici o a visite specialistiche (Montecchio Maggiore). Talvolta si ricorre ad esami clinici senza bisogno, forse in alcuni casi per un certo narcisismo o bisogno di rassicurazione (Malo). In caso di malattie gravi si è impauriti e si diventa pellegrini da uno specialista all’altro con i cosiddetti “viaggi della speranza” (Noventa Vicentina). GIUSEPPE DAL FERRO Pag. 2 REZZARA NOTIZIE SALASSI, POLVERINE E TIRAOSSI LE TESTIMONIANZE Bassano del Grappa - La casa, soprattutto quella rurale, era una piccola comunità, in cui ciascuno aveva il suo compito, lavorare nei campi, accudire agli animali domestici, sbrigare le faccende di casa, preparare il pranzo e la cena, sorvegliare i bambini piccoli. Le condizioni di vita non erano facili: in una società molto legata ai ritmi delle stagioni, più duro da passare era sicuramente l’inverno perché più facilmente si pativa la fame ed il freddo. I momenti di vita comunitaria erano molti: si pranzava e si cenava tutti insieme, si passavano le feste riuniti, si trascorrevano le sere a chiacchierare in casa, con i vicini o i parenti che portavano qualche novità.Nelle lunghe fredde sere invernali il luogo preferito per trascorrere il tempo era la stalla perché riscaldata dagli animali e si faceva filò. Le donne si dedicavano a lavori femminili, come il cucito, gli uomini riparavano attrezzi da lavoro o sedie e ceste. Quando non si parlava, si recitava il rosario o si raccontavano storie ai bambini. Anche i morosi si frequentavano a filò. Carmignano di Brenta - Ad ogni occasione mamme, nonne e zie sapevano dare i loro consigli su come fare. Vicini e conoscenti si adoperavano per punture e massaggi mettendo a disposizione le loro conoscenze. Un’altra figura era il giustaossi o farmacista che veniva consultato qualora non si riuscisse a guarire le persone con i propri metodi. Breganze - Questi giustaossi con abili movimenti delle mani cercavano di riportare nella loro sede legamenti ed ossa che si erano spostati, aiutandosi anche con unguenti e fasciature. Però, se era già avvenuta qualche frattura o non erano abili, potevano provocare anche qualche grave danno. Anche qualche padre era abile a curare le distorsioni dei figli fasciando stretti gli arti offesi usando una tavoletta di legno. Malo - I suggerimenti delle comari erano però insostituibili: esse consigliavano salassi e sanguete per il sangue carico, latte di puerpera o olio caldo da introdurre nell’orecchio in caso di otite (atten-zione però alla temperatura: troppo caldo può far danni al timpano), cotone imbevuto con grappa per il mal di denti, latte con grappa per l’influenza o, per i “dolori”, l’applicazione di vasetti di vetro (o bicchieri) scaldati sulla fiamma e applicati immediatamente sulla parte dolorante. Thiene - Esisteva un senso di pudore sia nel vivere che nel parlare della malattia. La malattia veniva vissuta con rassegnazione, in famiglia e tra adulti, poche volte i bambini conoscevano la situazione reale. Il paziente era curato quasi sempre a casa e poco o tanto tutti quelli che abitavano in casa erano coinvolti. Marostica - Si adoperava anche l’aqua de milissa, un infuso un po’ alcolico, per il mal di stomaco, le digestioni difficili o ingombri gastrici, ma anche per le nausee e il vomito. Si usava anche l’aglio bollito nel latte come vermifugo i vermi erano molto diffusi toccando la terra le uova si infilavano sotto le unghie. Si adoperavano infusi di erbe varie per curare le eruzioni cutanee dovute a malattie infettive dei bambini. Montecchio Maggiore - “Mia madre era sempre il primo medico; si accorgeva se avevamo un aspetto malaticcio e sapeva se per esempio non andavamo di corpo regolarmente. In casa nostra c’era un termometro per misurare la febbre, che veniva trattato come un oggetto prezioso, e prestato quando serviva a tutto il vicinato”. Camisano Vicentino Ottimo per ogni cura era la “mela chiodata”: cioè una mela sulla cui superficie erano infissi dei chiodi di ferro allo scopo di trasmettere le proprietà del metallo alla mela stessa. Lasciata là alcuni giorni perché fosse in grado di assorbire il ferro, poi si mangiava. Per il rachitismo o la presenza della classica fontanella sul cranio, venivano frantumate delle ossa fino a farne una polvere, poi questa polvere veniva diluita e quindi bevuta. Anche la panna e il burro mescolati allo zucchero aiutavano contro il rachitismo. Per rinforzare le persone gracili si usavano pure pane biscotto e vino con lo zucchero, il semolino e la panà; la carne di cavallo al sangue. Anche il fegato e il cervello del maiale venivano dati quali ricostituenti perché ricchi di ferro. La marsala all’uovo con i savoiardi veniva data anche ai bambini sempre in funzione ricostituente, così pure alle puerpere per aver una maggiore quantità di latte. Ottimo modo per irrobustirsi era camminare a piedi scalzi la mattina presto: l’aquaso (la rugiada) della notte aiutava. A settembre si faceva la cura dell’uva, mangiando parecchi grappoli d’uva al giorno, specie a digiuno (al mattino). Altro ricostituente era l’aloe mescolato con miele. Noventa Vicentina - Se i sintomi erano più seri e preoccupanti, si ricercava il medico, ma con parsimonia perché le visite bisognava pagarle. Il medico condotto solitamente era persona competente e fidata. Visitava con molta cura il paziente e dal suo aspetto (cera, occhi, lingua, motilità), dall’ascolto della respirazione, dalla risonanza del torace, dai battiti del cuore, dall’osservazione e palpazione delle parti doloranti, diagnosticava la natura del male, dava consigli, prescriveva diete e comportamenti, ordinava medicine. Se il caso era grave, tornava più volte a vedere il malato e, se necessario, lo faceva ricoverare in ospedale. Asiago - Una volta nelle famiglie per curare i malanni ricorrenti e più comuni si usavano i rimedi tramandati da generazione a generazione facendo largo uso soprattutto di prodotto locali ricavati dalle erbe,dalle piante e a volte dagli animali. Ai bambini che spesso erano gracili anche per insufficiente o inadeguata alimentazione, contro il rachitismo e per rinforzare la struttura ossea si davano in primavera dei ricostituenti naturali:uova fresche,spesso sbattute con zucchero e a volte con l’aggiunta di caffè o di marsala (vov casalingo). Contro il rachitismo si metteva in infusione un uovo intero nel succo di limone finché si Creazzo - “La nonna individuava immediatamente chi dei nipoti non stava bene: ispezionava la lingua, controllava gli occhi, guardava il colorito, toccava la fronte ed eventualmente misurava la febbre chiedeva se avevamo dolori di pancia o di altro genere. A seconda dei casi c’era la purga con l’olio di ricino, massaggi con olio canforato per i dolori articolari (botte, storta), polentine di semi di lino per il mal d’orecchi, tosse e catarro; impacchi di mollica di pane e latte caldo per gli orzaioli, gargarismi di succo di limone, sale e grappa per il mal di gola; macerato di foglie di malva per foruncoli o di borragine per punture d’insetti. Per tosse e catarro veniva fatto un infuso... per difficoltà respiratorie suffumigi di acqua bollente e bicarbonato”. scioglieva e poi lo si beveva. Molti bambini avevano i vermi intestinali per cui li si ornava di una collana di spicchi d’aglio o di canfora rigorosamente in numero dispari, salvo poi dover ricorrere ad un vermifugo a volte contenuto in un cioccolatino. Per ogni male, non solo infantile, il rimedio universale era l’olio di ricino, che serviva sia come purgante, almeno fino alla diffusione della magnesia e degli altri purganti farmaceutici, sia come propedeutico ad altre cure. Arzignano - C’era un erborista che veniva ad Arzignano, partendo in bicicletta da Castelgomberto, e faceva visita a persone che lo interpellavano, per esempio, se erano affette da insufficienza renale e alle quali consigliava di bere un decotto di cipolla rossa e barbe di granoturco. Bisogna attenersi al ciclo lunare. Si deve aspettare la luna dura. Solo così le foglie non imbruniscono, i succhi non si alterano e le radici non si sbriciolano. Lei sapeva preparare un unguento portentoso facendo infondere a caldo i fiori dell’achillea nell’olio di oliva e aggiungendo una certa quantità di cera d’api. Lonigo - Nella petrosa Zovencedo è vissuta dal 1880 al 1965 la signora Rosina Bonato, nota a tutti, e per largo raggio nel Basso Vicentino, con il nome di “Chechina” o “Fuina”. Era considerata una “stria” ed ebbe l’onore di un’intervista da parte del noto geologo e speleologo padre Giuseppe Perin. La Chechina preparava pozioni “miracolose” a base di erbe contro ogni sorta di mali. Ancora più famosi erano però erano i suoi “striossi” o “treni”, come li chiamava lei, destinati a liberare dal malocchio. Per queste sue proprietà “magiche” la sua fama si era diffusa e veniva chiamata da ogni parte, anche da Lonigo, e la sua paga era la “gaia” piena di ogni ben di dio grazie al successo del suo intervento. La memoria delle terapie di ieri • la cura dell’uva, al mattino, per due o tre settimane, fungeva da buon ricostituente; • l’infuso di camomilla aveva un’azione tranquillante e leniva i dolori mestruali; • il decotto di tarassaco (dente d leone o pisacan) si prendeva come disintossicante; • l’aglio crudo, assunto per bocca o legato al collo dei bambini sotto forma di collana di spicchi, veniva usato come vermifugo; • impacchi caldissimi di papéte de lin (cataplasma domestico) ammorbidivano il catarro bronchiale; • latte caldo con miele e inalazioni con vapori caldi di camomilla e bicarbonato curavano tosse e raffreddore; • l’orzaiolo era trattato con foglie di geranio; • ascessi e foruncoli con pomata di ittiolo; • le prime avvisaglie di raffreddore si smorzavano facendo il pediluvio in acqua bollente in cui erano stati sciolti sale, aceto e bicarbonato; • sulle scottature si interveniva con acqua fredda, per pulirle e raffreddarle e poi con una fasciatura con bende di bucato; • le foglie di datura stramonium (spuzzaòro), applicate sulla pelle e fasciate con bende eliminavano rapidamente le tumefazioni da traumi, espellendone i liquidi; • la pelle dei bambini, irritata e corrosa da pannolini e fasciature, tornava liscia e rosea in pochi giorni spalmandola di crema di cruschello bollita; • si combatteva il torcicollo con la borsa del ghiaccio e qualche pasticca di aspirina. REZZARA NOTIZIE Pag. 3 I SEGRETI CONTRO IL DOLORE NEL MANUALE DEI CONTADINI Per ogni guaio esisteva un impacco o un rimedio frutto della saggezza e dell’esperienza popolare. Si compravano al mercato occhiali usati. Un impacco per ogni dolore Il dolore è sintomo del malessere o di qualche malattia, ma è esso stesso un peso da sopportare e quindi oggetto di cura. Le mamme erano solite dire che “il medico dei dolori ga ancora da nassere”, come a dire che chi aveva male doveva tenerselo. Per curare il dolore, di qualche natura, si iniziava con l’infuso di camomilla e la borsa di acqua calda (Costabissara). Più che ricorrere ai farmaci, che per la quasi totalità delle persone erano troppo costosi, ci si affidava alle erbe, raccolte personalmente, soprattutto nei paesi di montagna, o acquistate a basso costo da uno speziale o da frati erboristi (Bassano del Grappa). Grappa e garofano Per il mal di denti si ricorreva ieri a sciacqui con la grappa e al classico chiodo di garofano inserito nella carie (Marostica). Talvolta si usava una patata tagliata a fette e posta sulla guancia dolorante o si masticavano foglie di tabacco (Breganze). L’igiene era molto scarsa; si usavano foglie di salvia appena raccolte per pulire i denti (Sovizzo). In caso di gonfiore si teneva in bocca una pallina di prezzemolo pestato o il “crosoto”, cioè cotone intinto di iodio sulla carie (Longare). La soluzione radicale era l’estrazione con uno spago o una tenaglia. Giravano per i paesi “cavadenti” che spesso erano anche barbieri girovaghi (Breganze). Raramente si ricorreva al medico e gli adulti rimanevano progressivamente sdentati. Chi poteva permetterselo si attrezzava di orribili dentiere o di denti ricoperti in metallo o in oro (Caldogno). Una patata grattugiata Anche gli occhi erano soggetti ad infiammazioni, a paterecci, rabìgoli (Breganze). La Le relazioni del presente numero sono state redatte da Giuseppe Dal Ferro cura era una pezza imbevuta di camomilla o l’applicazione di patata grattugiata. Qualcuno lavava gli occhi gonfi con erba de la madonna o bevevo una tisana di erbe de taiara (Sovizzo). Gli occhiali erano prerogativa dei farmacisti, dei medici e dei preti (Montecchio Maggiore). Tutt’al più alla domenica mattina si potevano acquistare un paio di occhiali fra le cose usate, dopo averli provati (Caldogno). Se la cataratta in alcuni casi annebbiava la vista, ciò era considerato un fatto fisiologico (Arzignano). Frequente era anche il mal d’orecchie, nel qual caso si usava immettere nell’orecchio alcune gocce di olio caldo o latte materno (Camisano Vicentino) o si spruzzava nell’orecchio decotto di fiori di sambuco (Sovizzo). Per la diminuzione dell’udito non c’erano molti rimedi: si doveva parlare più forte o si costruiva per il mal capitato un imbuto appoggiato all’orecchio che amplificava la voce (Arzignano). La sordità era accetta perché biologica (Creazzo). Per camminare, quando c’erano problemi agli arti inferiori, si ricorreva al bastone o alle stampelle, fabbricate in maniera pratica e rozza dal falegname del paese (Arzignano). Per gli invalidi non c’erano carrozzelle. Un corsista ricorda che il nonno veniva portato a messa con un carretto seduto su una sedia (Caldogno). Il mal di schiena a volte finiva per ripiegare in due le persone. Una zia, testimonia una corsista, era talmente ingobbita che quando morì si è dovuto spezzarle la schiena per metterla nella bara (Dueville). Spesso il mal di schiena era curato con il calore asciutto, ricavato da mattoni messi sul fuoco e poi accostati al luogo del dolore (Villaverla), oppure si riscaldava sulla stufa un sacchetto di cenere o sabbia da tenere sulla parte dolorante. Si usava invece il ghiaccio o l’acqua fredda per le botte (Asiago). I dolori articolari, a causa dei reumatismi, non mancavano. Un corsista ricorda una terapia usata con le punture delle api: un agricoltore applicava questi insetti sulle giunture o nei posti doloranti ed obbligava l’ape a pungere. Il veleno rilasciato aveva benefici effetti (Creazzo). Ogni dolore aveva qualche terapia propria: il mal di testa l’applicazione sulla nuca e sui polpacci di un impacco di cipolle crude; i calcoli renali l’acqua bollita di “erba cavallina” (Caldogno); il male ai piedi il grasso di animali, gli impacchi di acqua e sale, la chiara d’uovo e gli impacchi con erba verbena (Villaver- la); colpi e botte una moneta fredda o una lama; gli orzaioli impacchi di mollica e latte tiepido. Talvolta si arrivava a forme singolari, come l’uso dell’urina per disinfettare e il farsi leccare dal cane la ferita per averne sollievo e per cicatrizzarla (Caldogno). Specialisti per tutto Oggi ci sono specialisti per tutte le evenienze. Analgesici, occhiali, apparecchi acustici, protesi per il femore e il ginocchio. I trapianti hanno rivoluzionato la chirurgia e gli interventi a cuore aperto consentono di correggere gravi malformazioni (Marostica). La chirurgia ti rifà le ginocchia, il femore, ti riattacca un dito staccato (Breganze). La chirurgia estetica rifà il viso, toglie le rughe e il laser consente di sostituire il cristallino dell’occhio (Camisano Vicentino). Appena c’è un dolore si ricorre agli antidolorifici specifici (Dueville). Per gli occhi ci sono lenti di tutti i tipi, e per l’udito apparecchi invisibili. Lampade abbronzanti migliorano il proprio aspetto (Longare). Le cure odontoiatriche con gli impianti riescono a rifare la dentatura (Valdagno) e le cellule staminali possono ricostruire parti interne ed esterne del nostro organismo (Arzignano). Ci si chiede se ancora può esistere l’accettazione del senso del limite, dato che sembra possibile tutto all’uomo d’oggi. LE TESTIMONIANZE Longare - Per curare il dolore una volta c’erano poche medicine (la più usata era il chinino di stato), per cui si usavano prodotti naturali: erbe, semi, foglie e piante, mancando le possibilità economiche per visite specialistiche ed essendo anche pochi gli apparecchi e le protesi. L’infuso di camomilla era ed è antalgica, antinfiammatoria,sedativa e antispastica. Per il mal d’orecchi si versava dell’olio caldo dentro l’orecchio oppure un impacco di cipolla cruda a pezzetti posata sull’orecchio calmava il dolore, curava i geloni e la stitichezza; non esistevano apparecchi per l’udito. Risciacqui o impacchi di grappa erano efficaci per il mal di denti; alcuni usavano grattare una patata sopra il gonfiore dei denti, altri sul dente dolorante tenevano una “pallina” di prezzemolo pestato, foglie di salvia, chiodi di garofano o addirittura tabacco: qualche altro ricorda il crosoto cioè cotone intinto di iodio posto sulla carie. Per le scottature si metteva sulla ferita pomodoro e foglie di verza,oppure fiori di ipericum macerati nell’olio di oliva. Per i dolori di pancia si usava polpa di tamarindo o impacchi caldi. Valdagno - Per l’udito, sono state inventate protesi auricolari che risolvono la sordità. In odontoiatria esistono le più svariate soluzioni a tutti i problemi dentari e gengivali. Le guarigioni da molte malattie, inoltre, sono agevolate, anche, dal numero sempre maggiore di trapianti di quasi tutti gli organi del corpo umano, grazie a leggi che, più di un tempo, lo permettono e a donatori più numerosi. Arzignano - Chi aveva problemi agli arti inferiori, usava il bastone per camminare, oppure le stampelle, attrezzi fabbricati, in maniera molto semplice e pratica, dal falegname del paese. Un invalido di guerra, abitante a Restena, che aveva perso una gamba per l’esplosione di una granata, riuscì a costruirsi da solo la protesi, e, con quella, si mosse per tutta la vita. Il bastone era molto usato dalle persone anziane che, allora più di oggi, soffrivano di dolori e altre malattie alle gambe. C’è chi ricorda il bisnonno, novantenne, che usciva di casa sempre con il bastone, ma non portava occhiali, anche se non ci vedeva molto bene, perché diceva che “erano cose da Parroco e da Dottore”. Camisano Vicentino - C’era l’usanza, il 24 giugno, giorno di S. Giovanni, di bagnarsi gli occhi con la rugiada. Non c’erano visite oculistiche, gli occhiali si vendevano un po’ dappertutto e si provavano così senza particolari attenzioni. Ci si accorgeva a scuola se un bambino vedeva bene oppure no; questo anche per l’udito. In alcuni casi si metteva una lente con un forte ingrandimento solo su un occhio, mentre l’altro niente. C’erano molti tipi di occhiali, sempre rotti: si aggiustavano con l’acetone. Lo strabismo non era curato, così come la miopia che poi si recuperava in tarda età. Se si aveva male a un occhio, si metteva un fazzoletto di traverso. Caldogno - Le protesi erano molto rudimentali: fatte di ferro e cuoio per le braccia e le gambe, procuravano disagio, più che sostituire l’arto, aiutavano l’invalido ad arrangiarsi in qualche modo: Ricorda una corsista che, dopo un tempo adeguato per la cicatrizzazione e la riabilitazione del fisico, la persona acquistava un braccio artificiale sostenuta da cinghie che segavano l’altra spalla ed il cui peso era insopportabile. Pag. 4 REZZARA NOTIZIE cure antiche salutari CRESCIUTI AD OLIO DI RICINO E A LUMACHE CONTRO L’ULCERA Le medicine ricorrenti erano l’olio di ricino per rimedi all’imbarazzo di stomaco e al mal di pancia e l’olio di fegato di merluzzo per la debolezza primaverile, che richiedeva un rinforzo delle difese immunitarie (Marostica). L’olio di ricino era un vero “toccasana” per qualunque malattia, anche per le contusioni alle ginocchia in seguito ad una caduta in bicicletta (Marostica). Il problema per le madri era farlo ingoiare ai figli: chi lo prendeva con la birra, chi con il caffè. Nonostante fosse stato amalgamato, presentava lucidi occhi sulla superficie ed era repellente per il sapore (Caldogno). L’olio di fegato di merluzzo era pure ripugnante, anche se rinforzante e pieno di vitamine per i ragazzi e contro il diffuso rachitismo. “Facevo fare alla mia mamma - afferma una corsista - almeno tre giri attorno alla tavola della cucina, prima di ingoiare un cucchiaio di quella schifezza” (Breganze). Molte infezioni nascevano dalla poca igiene presente nelle abitazioni. Ricordiamo che solo sessant’anni fa i servizi e l’acqua corrente erano privilegio dei ricchi. “C’erano quattro bagni - afferma una corsista - per una ventina di famiglie e per lavarsi usavamo un catino o un mastello dove la mamma lavava i panni” (Costabissara) Salvia contro la bronchite Le malattie più ricorrenti erano quelle da raffreddamento, che si manifestavano d’inverno con febbre, tosse, mal di gola, dolori articolari e mal di testa (Bassano del Grappa). I rimedi più ricorrenti erano latte e grappa, papette di lino in caso di bronchite, profumi di salvia e fiori di camomilla o foglie di eucalipto (Caldogno). Abbastanza noto, presso le famiglie di campagna, era il bagno di fieno: coricarsi su un materasso molto morbido di fieno, preparato in casa, favoriva la sudorazione e calmava la tosse secca (Bassano del Grappa). Per depurare l’organismo si ricorreva all’acqua di “melissa”, infuso un po’ alcolico con erbe raccolte lungo gli argini del Brenta (Marostica), e a infusi di erbe raccolte nei campi (Carmignano di Brenta). Per i dolori delle ossa c’era l’immancabile grasso ricavato dalla mandibola del maiale, considerato miracoloso. In qualche luogo si riteneva che due castagne di ippocastano, tenute in tasca, avessero effetto contro la sinusite e allontanassero le tarme dalla lana. I raffreddori e la perdita della voce venivano curati con il vino cotto e con i profumi. Nel caso di dolori articolari si usava applicare foglie di verza sulle ginocchia fasciate con un panno e con lana di pecora che conte- Il mal d’orecchio guarito con il latte di puerpera. Per gli ascessi ecco la cera. nesse grasso medicamentoso (Carmignano di Brenta). I geloni (o buganze) erano molto diffusi e si diceva che la cura era camminare sulla neve scalzi. Il problema era quando si rompevano ed erano veramente dolorosi (Caldogno). In alcuni casi di curavano con l’urina (Valdagno). Come rinforzante c’erano le uova, usate in molti modi, sbattute con lo zucchero, bevute fresche o lasciate macerare col guscio nel succo di limone per un mese e poi bevute come liquore (Breganze). Ricostituente era anche la “mela chiodata”, cioè una mela sulla cui superficie erano infissi dei chiodi di ferro, allo scopo di trasmettere le proprietà del metallo alla mela stessa (Camisano Vicentino). Tonificanti erano considerati il miele, la carne di cavallo (Montecchio Maggiore), il vino e il caffè (Villaverla). Le bave dei corgnoi Alcuni disturbi avevano medicine e rimedi particolari, a volte curiosi. Alcuni ricordano come l’ulcera allo stomaco venisse curata ingoiando una lumaca viva, che con la sua bava prima di morire, avrebbe formato una pellicola impermeabile sulla ferita cicatrizzandola (Camisano Vicentino, Caldogno). La pressione alta del sangue si curava mangiando a freddo spicchi di aglio, bevendo acqua di tarassachi e con sanguisughe; la pressione bassa mangiando di più, utilizzando biscotti intinti nel vino rosso o nel marsala (Sovizzo). L’operazione “sanguete” era tutta particolare: venivano raccolte nei fossi e nelle acque paludose, o acquistate in farmacia; erano applicate sulla pelle affinché succhiassero il sangue e per Le sintesi chimiche facilitare l’operazione si metteva nel La medicina popopunto interessato lare oggi è del tutto un po’ di zucchero; spiantata da quella l’animaletto veniva scientifica. Le nuove ricoperto con un cure vedono l’utibicchiere finché non lizzo di farmaci di si attaccasse alla sintesi chimica (Carpelle; quando al mignano di Brenta) sanguisuga era ben e sono prescritte dai gonfia, si staccava medici in modo perda sola e la terapia sonalizzato. Vi sono era terminata (circa vaccini in quanti20 minuti) (Bassano tà, che prevengono del Grappa). Per le le malattie, alcuni infiammazioni alle di ampia diffusione dita o alle unghie si come quello antinusava l’ittiolo, per il fluenzale (Caldomal d’orecchio qualgno). che goccia d’olio Le allergie semd’oliva riscaldato o brano cresciute nel di latte di puerpera tempo ed hanno pos(Arzignano). I porri sibili terapie dopo talvolta crescevano “Peretta”, siringhe e vaschetta per la bollitura lunghe ed accurate sulle mani. Una corsista si ricorda di una cura per l’uso (Lonigo). Per le diagnosi. In ogni famiglia a base di un unguento che spine o schegge di legno, che c’è una piccola farmacia bruciava: sparivano ma poi si conficcavano specie nelle per i malanni più comuni ricrescevano (Costabissara). mani, si usava immergere più (Longare). Crescono i casi Nel caso di ascessi interni volte la parte interessata in di obesità per l’assunzione all’orecchio si usavano una soluzione satura di acqua esagerata di cibo; molti candele liquefatte, adattate calda e sale (Asiago). Per i ricorrono a vitamine e all’orecchio. Accendendo crepi sui piedi si pestava lo ad integratori anche senpoi dall’altro lato la can- sterco di cavallo per guarire; za necessità (Montecchio dela, giungeva all’interno qualcuno sostiene oggi che Maggiore). Aumentano le dell’orecchio il calore (Cal- era ilo veicolo più importante malattie dovute alla nutridel tetano (Costabissara). La zione come il diabete. Un dogno). Malattie infantili diffuse pulizia personale e di casa eccesso di informazione alla erano i vermi. Si provvedeva, era assai precaria. Le pulci televisione porta all’abuso prima ancora che con la ver- (“polse”) si nascondevano di farmaci (Arzignano). Gli micilina, con una corona di sui bordi delle coperte e di antibiotici hanno sconfitto aglio intorno al collo, oppure notte pungevano, succhian- molte malattie, anche se con aglio tritato, messo in una do il sangue. Negli armadi batteri e virus si sono ringarza, in modo da raccogliere c’erano scarafaggi e cimici. forzati (Noventa Vicentina). il succo da bere (Camisano Per disinfettare dai pidocchi Le stesse iniezioni sono a Vicentino). La parotite (mal i bambini che andavano in portate di tutti, già pronte del monton) si curava con lana colonia, si usava il petrolio con siringhe “usa e getta” appena tosata ancora sporca e si tagliavano i capelli (Co- (Vicenza). Si sono estese le cure termali e i centri del bedel grasso animale, da mettere stabissara). nessere abbinati a massaggi, attorno al collo, e la pertosse cambiando aria, possibil- Nella guerra a pulci bagni e fanghi. Si diffonde mente andando in montagna e pidocchi si usava il mito di rimanere sempre (Dueville). L’acne giovanile perfino il petrolio… giovani ed efficienti (Vicenza). Una certa diffusione, richiedeva una depurazione del sangue: “Sfogo de pele sa- oltre che la rasatura. anche se ancora limitata, hanno le terapie omeopatilute de le buele” (Caldogno). Fra le malattie causa che e la medicina orientale Come depurativo si usavano la radice del radicchio o la di morte si ricordano la (Caldogno); forse, qualcuno “dulcamara”, l’acqua degli tubercolosi, la difterite, la suggerisce, basterebbe resetticemia delle puerpere, la cuperare vecchie tradizioni spinaci cotti (Villaverla). leptospirosi (Noventa Vicen- ancora vive nella memoria di tina). In caso di tubercolosi tutti (Villaverla). Lo shiatsu Ragnatele sulle ferite gli ammalati venivano allon- giapponese, con stiramenti e Nel caso di ferite infette tanati da casa e ricoverati pressioni mirate, è praticato si applicavano foglie di in sanatori. Alla morte si in alcuni luoghi per riequipiantagione e per favorire bruciava il letto e i vestiti librare l’energia del corpo la cicatrizzazione si usava per eliminare ogni possi- (Breganze). Nessuno mette la resina degli alberi o la bile contagio (Montecchio in dubbio il progresso della buccia di cipolla (Valdagno). Maggiore). La tubercolosi medicina e la salute oggi Qualche corsista ricorda di faceva veramente paura e divenuta comune, anche se aver usato ragnatele avvolte chi era sospetto di averla si fa notare il pericolo degli direttamente sulla ferita, poi veniva emarginato. Qualcu- abusi, del diventare “malati ricoperta con garza (Sovizzo). no riferisce che qualche tu- immaginari” (Sovizzo), delLe storte, le “incalcade” era- bercolotico doveva portare l’abbandono delle soluzioni no guarite con fette di patata con sì un bicchiere di ferro naturali a certi problemi e con il rimedio miracoloso che si piegava e lo teneva attraverso il movimento, lo della “ganassa de mascio”, sempre in tasca se voleva sport, la dieta controllata (Carmignano di Brenta). appesa in ogni cantina, pronta bere (Costabissara). REZZARA NOTIZIE Pag. 5 cure antiche salutari COSÌ ADULTI E ANZIANI RICORDANO I TOCCASANA CONTRO LE MALATTIE LE TESTIMONIANZE Marostica - Per alcuni anni le medicine somministrate dal medico non erano sempre comprese e, soprattutto, non usate come si doveva, un esempio eclatante è l’impiego delle supposte che spesso venivano ingerite, con conseguente mal di stomaco e vomito oppure inserite nel posto giusto, ma con la carta stagnola dorata inclusa! Torri di Quartesolo - Bastava che la mamma dicesse “vado in farmacia a prenderti un’oncia di olio di ricino” perché balzassimo dalle coperte miracolati: nella storia della medicina l’olio di ricino è stato l’unico farmaco che guariva con l’odore, anzi con il ricordo dell’odore. Malo - I suggerimenti delle comari erano però insostituibili: esse consigliavano salassi e sanguete per il sangue carico, latte di puerpera o olio caldo da introdurre nell’orecchio in caso di otite (attenzione però alla temperatura: troppo caldo può far danni al timpano), cotone imbevuto con grappa per il mal di denti, latte con grappa per l’influenza o, per i “dolori”, l’applicazione di vasetti di vetro (o bicchieri) scaldati sulla fiamma e applicati immediatamente sulla parte dolorante. Sovizzo - Il termine praticone era sinonimo di botanico (che sarebbe l’erborista di oggi). Passava di casa in casa, per le contrade, oppure riceveva a casa sua. Si conosceva per sentito dire, come il giustaossi. Il praticone preparava intrugli, creme, oli da bere o da spalmare, decotti. Spesso i botanici erano religiosi, suore o frati, che erano gli unici che potevano aver studiato erboristeria. Praticone è una definizione spregiativa, in genere non si usava, si usava di preferenza la parola “botanico”. Schio - Mi ricordo che, come primo approccio terapeutico, c’erano le coccole, poi si ricorreva ai soliti rimedi: olio di ricino, latte caldo e miele, limonata, corraina, acqua più latte più grappa per il raffreddore; manna, impacchi con argilla bagnata per dolori articolari; impacchi di farina di lino per tosse e catarro; impacchi con midollo delle ossa del maiale per ematomi e botte varie; erba senna, melissa preparata con altre erbe, tipo: issopo, valeriana, menta e altre raccolte personalmente (ad esempio nei boschi della zona del Monte Cengio) nei mal di pancia. Caldogno - A causa delle insufficienti difese contro i rigori invernali, un inconveniente molto diffuso nel passato erano le buganze (geloni) che bisognava curare camminando sulla neve. Per curare la bronchite, si usava mettere la pelle di pecora conciata sopra la monega, come un telo per trattenere più calore e si riteneva che i vapori rilasciati dalla pelle avessero effetto balsamico. Per le tipiche malattie respiratorie da raffreddamento oltre alle pappette di lino si usavano i vapori con el ferumine del fen cioè quello che cade dal fieno lungo: semi, polveri, piccoli residui erbacei. Con lo stesso ingrediente venivano preparate le pappette. Le “papette di lino” si cucinavano secondo diverse ricette: si mettono i semi di lino in un pentolino e li si fa cuocere a fuoco moderato, mescolando e amalgamando bene il tutto con l’olio che fuoriesce dai semi durante la cottura, come una crema. Un volta spento il fuoco si ripone il tutto in un piccolo sacchetto di stoffa e lo si posiziona davanti o dietro il torace, con sopra la bolla di acqua calda per tenere costante il calore. Dueville - Era convinzione diffusa che le pustole, i brufoli, le eruzioni cutanee frequenti nei bambini e nei giovani fossero dovuti a costipazioni dell’intestino (basti pensare alle scorrerie a caccia di frutta, anche acerba, dovute alla fame) e che fossero necessarie per liberarsi prima (sfogo de pele salute de buele). In caso di stitichezza ostinata qualcuno assumeva anche la polvere da sparo che si trovava facilmente nelle case (serviva a preparare le cartucce). Montecchio Maggiore Alcune ricette da preparare “in cucina” erano consigliate come integrazione dell’alimentazione. La panà, ad esempio, era una crema morbida fatta con acqua in cui si faceva bollire del pane (spesso raffermo) fino ad ottenere una poltiglia alla quale, in un secondo momento, si aggiungevano burro, sale, formaggio e un uovo. La panà veniva somministrata ai convalescenti, agli anziani inappetenti e spesso anche ai lattanti per cominciare lo svezzamento. Il pamòjo invece, aveva la funzione di ricostituente. Era una miscela a base di latte, in cui venivano sciolti burro e sale ed in seguito aggiunti acqua bollente e formaggio. Arzignano - L’infuso di infiorescenze di tiglio, veniva usato per la cura di influenze, tossi e raffreddori. Una ricetta molto diffusa contro la perdita della voce consisteva nel far bollire per un quarto d’ora, in un litro d’acqua e mezzo di vino bianco, un pizzico di ciascuna delle seguenti erbe: piantaggine, erisimo, malva, rovo, eucalipto, paritaria e salvia, con l’aggiunta della carota. Contro l’insonnia veniva bevuta con zucchero, miele e limone. La salvia era ritenuta una vera erba sacra. Contro i dolori mestruali era molto efficace la maresina (amarella); le sue virtù terapeutiche sono note a chi non è più giovane che ricorda come questa erba venisse usata anche contro i vermi intestinali dei bambini, per combattere il mal di testa e per far aumentare il latte alle puerpere.Singolare era la pratica, dai risvolti occulti, da parte delle donne “prese da isterismo”, di orinare sopra un cespo di maresina fresca a scopo calmante. L’olio di merluzzo, invece, era la cura autunnale per i bambini gracili i quali lo odiavano per il suo sapore nauseabondo. Ma un ricostituente, per loro più accettabile, era un preparato di uova (guscio compreso) lasciate a macerare nel succo di limone per 15 giorni e poi bevuto dopo essere stato filtrato. Breganze - Per problemi intestinali e per le emorroidi si usavano anche i semi di lino; venivano messi in ammollo con l’acqua alla sera e al mattino si bevevano. Una cura più blanda per l’apparato digestivo e neuro-vegetativo era mangiare decotti di frutta. Per il mal di gola, causato dall’infiammazione delle tonsille, si usava il ghiaccio che si andava a prendere nelle ghiacciaie comunali, presenti in ogni paese. Il medico prescriveva in una ricetta il ghiaccio da prelevare che veniva poi consegnato dall’incaricato comunale che custodiva gelosamente la ghiacciaia. Questo edificio era spesso ricavato a ridosso di una collina per ricevere frescura ed ombra. Era costruita in mattoni, calce e sassi; alla base era posto uno scarico per l’acqua e alla sommità un capace foro per il riempimento. Da quel foro volontari e operai del Comune introducevano, dopo averlo trasportato con carretti, il ghiaccio naturale nella ghiacciaia, fino al riempimento. Il ghiaccio serviva per tenere al fresco carni e bibite ma soprattutto per questo scopo farmaceutico. Per il raffreddore e la sinusite si usavano impacchi di foglie di cavolo appoggiate alla fronte e tenute per tutta la notte. Lo scopo era di liberare le vie respiratorie, cosa che avveniva dopo una settimana o due. Si usavano anche i profumi fatti con il fieno rimasto sui fienili, contenente semi, fiori e foglie essiccate e profumate, messo a mollo in un pentolone di acqua bollente. L’ammalato copriva la testa con una grossa coperta e poi respirava questi vapori in modo vigoroso. Per la febbre alta si facevano impacchi con panni di lino inzuppati di acqua fredda. In caso appunto di ascessi, si facevano maturare con queste pappette e poi il medico arrivava ad inciderli. Longare - Ampio era poi il ricorso alle erbe e radici a scopo terapeutico. L’infuso di salvia si beveva per l’asma e la depressione; il finocchio selvatico per i disturbi digestivi e per le donne che allattavano; decotti di radici di gramigna per le infezioni urinarie; infuso di ortica con malva e tarassaco per la colite; midollo della mandibola (la ganassa) invecchiata di maiale spalmato su gonfiori, contusioni e artrosi; tisane di fiori di camomilla (raccolti ed essiccati) usate come calmanti per dolori intestinali e per impacchi contro le congiuntiviti; infuso di radici, fiori e foglie di malva per sfiammare le gengive;gusci d’uovo decomposti con succo di limone e zucchero come ricostituente del calcio; profumi con acqua bollente con ferume di fieno per l’asma; per il mal di denti una boccata di grappa sul punto dolorante; per il mal di pancia si beveva infuso di acqua di melissa; per l’otite dei bambini gocce di latte caldo di donna sull’orecchio. A volte si ricorreva al giustaossi per tirare le corde fuori posto. Lo speziale vendeva sanguisughe (o più spesso si raccoglievano dai fossi) da mettere sul collo o le spalle per ottenere il “salasso”, cioè il prelievo del “sangue grosso” del paziente contro l’ipertensione. Per dolori e artriti si scaldava un mattone e si posava sulla parte dolorante. Qualcuno annota che per disinfettare ferite lontano da casa (es. in campagna) si usava spesso l’urina. Vicenza, Bassano e Lonigo parlano delle cure alle fonti termali. A San Giorgio di Bassano fu studiato un percorso di vasche di sedimentazione che permetteva alla fine di ottenere un’acqua limpida, bella da vedere, incolore, trasparente, anche se rimaneva l’odore tipico dell’idrogeno solforato, assai simile a quello delle uova slosse (marce) che si diffondeva a qualche distanza. Al gusto l’acqua si faceva sentire leggermente salina ed epatica. Posta in bottiglie, si conservava limpida e inalterata per alcuni mesi. La notorietà della sorgente medicamentosa si deve anche ad una credenza popolare e cioè che potesse far passare la tosse canina, ossia la pertosse, contro la quale, anche alcuni medici, consigliavano alle mamme di fare una camminata di andata e ritorno lungo la riva del torrente Silan, fino alle acque di San Giorgio, percorrendo una carreggiata costeggiata da sambuchi, robinie, equiseti, ippocastani ed altri arbusti balsamici. Ecco che si formava addirittura una processione di mamme con carrozzine e bimbi a piedi per mano fino alle acque. Alle terme si faceva respirare ai piccoli le arie e si faceva bere, magari con qualche scappellotto, l’acqua odorosa di uova marce, ma tanto buona per la salute. Analogamente a Staro e a Recoaro. Pag. 6 REZZARA NOTIZIE emarginazione del disabile LA DISABILITÀ, UNA MALEDIZIONE DA NASCONDERE NEGLI ISTITUTI Isolamento totale e terapie costrittive contro tutto ciò che usciva dalla normalità. Cosa è cambiato dalla fine degli anni ’70 con la chiusura dei manicomi e la presenza degli handicappati a scuola. La cultura “povera” di una volta nel senso materiale ed etico del termine, aveva una considerazione molto bassa della disabilità. Un disabile, mentale o fisico, era un peso quasi insormontabile per la famiglia (Villaverla). Queste persone venivano nascoste in casa perché ci si vergognava della loro presenza e si arrivava a considerarle un castigo di Dio (Carmignano di Brenta). Di solito la persona disabile rimaneva in casa, nascosta in un angolo in cucina, nella stalla o sotto il portico (Camisano Vicentino). Spesso non venivano neppure registrati all’anagrafe (Arzignano). Si ricorda di un bambino messo sotto la “caponara” quando la madre si doveva assentare. Il ragazzo non si muoveva mai e a 30 anni è morto nella “caponara” (Caldogno). Il disabile non raramente era lasciato a se stesso, sporco. Una ragazza colpita da encefalite letargica era seduta affacciata alla finestra, immobile, con lo sguardo fisso nel vuoto; un ragazzino era seduto sulla porta di casa, si dondolava in continuazione, emettendo suoni inarticolati. Erano vittime di dileggio e di scherno da parte dei ragazzi (Creazzo). In casa passavano il giorno su un “caregoto” anche se adulti, vestiti da donna per le sommarie pulizie (Malo). Talvolta avevano una certa autonomia e giravano per il paese, costituendo “lo scemo del villaggio”, da tutti conosciuti, compatiti, a volte temuti. I genitori raccomandavano: “Non andare che c’è il matto” (Dueville). I disabili innocui venivano utilizzati per umili servizi, con qualche piccola mancia (Schio). Le tare ereditarie Ad aggravare la situazione era la convinzione che le tare fossero ereditarie e serpeggiava l’idea che queste malattie fossero “un castigo di Dio” per qualche colpa più o meno conosciuta, per cui tutta la famiglia era screditata, i fidanzamenti erano compromessi, l’ammissione all’esercito e l’entrare in una casa religiosa vietati (Breganze). Istituti specializzati per queste persone non c’erano o erano costosi. Il destino di molti era il manicomio, dove venivano rinchiusi rachitici, prostitute, malati di mente, alcolizzati. Per essi c’erano l’elettrochoc, la camicia di forza, catene e strumenti di detenzione. Ci si scandalizzava di certi comportamenti violenti, ma non ci si chiedeva quali cause li provocassero (Villaverla). Non raramente i manicomi si trasformavano in lager, con medici e infermieri che li trattavano male (Creazzo). Un familiare al manicomio faceva per la gente la famiglia “matta” (Sovizzo). La malattia mentale era considerata segno di malvagità: dei matti si diceva che erano “strià”, cioè indemoniati (Sovizzo). Negli anni ’60 si incominciò a servirsi dei psicofarmaci e si abbandonarono certe forme di detenzione forzate (Carmignano di Brenta), anche se si arrivò a un uso sconsiderato dei sedativi. I bambini ritardati trovarono ospitalità in istituti appositi, senza però migliorare (Thiene). Raramente i meno gravi (down e spastici) erano inseriti a scuola o frequentavano la parrocchia. Si ricorda un ritardato mentale nell’ultimo banca dell’aula, mai coinvolto nelle lezioni, in un banco particolare alto e a forma di gabbia, forse per evitare invadenze o per protezione dalle esternazioni dei compagni (Noventa Vicentina). Un disabile viveva l’emarginazione. Un po’ più rispetto si conservava in casa per le persone anziane colpite da demenza senile e dal morbo di Parkinson, forse per la memoria del bene che avevano fatto (Villaverla). Dal parto alla testa Più dolorosi erano alcuni casi come la depressione post-partum, che portava a “S. Felice” con l’espressione “dal parto alla testa” e di chi tornava dalla guerra “matto” o che diventava demente per le malattie veneree (Camisano Vicentino). I servizi territoriali, la chiusura dei manicomi con la legge Basaglia (1978), l’inserimento degli handicappati nella scuola, il diritto al lavoro, l’abbattimento delle barriere architettoniche hanno oggi cambiato radicalmente la cultura nei confronti dei disabili. La famiglia sopporta ancora il peso degli handicappati, ma è sostenuta da molti servizi sociali e soprattutto si è liberata dal marchio di infamia. Esistono comunità terapeutiche specializzate, day hospital, trasporti pubblici riservati, sostegni a domicilio (Breganze). Associazioni di volontariato si pongono a disposizione dei disabili per un lavoro di recupero sociale (Torri di Quartesolo). Molti disabili possono uscire e comunicare con gli altri a scuola e in luoghi pubblici. Carrozzelle provvedono a chi manca di ambulazione autonoma (Caldogno). C’è un nuovo rapporto con la diversità, senza paura, un riconoscimento a tutti del diritto di cittadinanza (Creazzo). Ciò è importante per le giovani vittime di incidenti stradali, costrette a disabilità perpetue (Creazzo). Per gli anziani ci sono le badanti, che provvedono con cure, evitando le varie forme di istituzionalizzazione (Schio). La chiusura dei manicomi Con la chiusura dei manicomi si è riscontrato che il 60% dei ricoverati erano alcolizzati o persone che non si sapeva dove collocare e Ricoverati nell’azienda agricola dell’ospedale psichiatrico di Montecchio Precalcino (anni ’70) che ora, con qualche cura specifica, sono divenute normali. Non tutto è risolto. Le famiglie sono oppresse talora da pesi insostenibili con un malato di mente in casa. Ci sono a volte pretese esagerate ed ostentazione del male. Nuove forme di emarginazione nascono dal benessere, per induzione come l’anoressia e la bulimia. Spaventa l’aumento dei suicidi nei giovani dovuti alla fragilità psicologica e all’ansia (Camisano Vicentino). La droga e l’alcolismo sono piaghe che si riaccendono e che pongono il bisogno di andare oltre ai servizi sociali per costruire una nuova cultura. LE TESTIMONIANZE Asiago - Una volta era considerata una vergogna partorire un figlio non perfettamente sano e quindi avere in famiglia una persona disabile era vissuto con grande disagio, come frutto di una colpa da espiare. Il problema veniva nascosto in casa il più possibile e spesso se ne veniva a conoscenza solo per caso. Dueville - “Nel mio paese, circa cinquant’anni fa, sono nati due bambini deformi e sono stati messi in istituto a Venezia e al Cottolengo di Torino e poi di Padova. Nessuno li ha più visti. Le famiglie si vergognavano. Non bisognava fare domande”. Altra testimonianza: “Se in una famiglia c’erano persone disabili restavano in casa anche per l’impossibilità di far loro vivere una vita sociale. Peggio ancora era per i malati di mente perché, oltre ai ‘manicomi’ non c’era alcun aiuto e così, piuttosto di esporsi, a volte si preferiva non far conoscere la situazione e si facevano grandi sacrifici, con tante sofferenze, per convivere con chi aveva problemi psichici”. Felice” per indicare l’ospedale psichiatrico. Questo tipo di malattia era vissuto come una “vergogna” dalla famiglia e come tale trattata. Malo - “Mangia a tradimento”: la frase brutale era riferita ai disabili che nelle famiglie erano presenti, ridotti tali dalla malnutrizione, da incidenti sul lavoro o nati con menomazioni. Erano tenuti in casa, spesso nascosti perché ci si vergognava; non andavano a scola (a che serviva?), non uscivano, spesso passavano la giornata sul “caregoto” anche da adulti. Anche i maschi erano spesso vestiti con le gonne, più pratiche per le sommarie pulizie. Caldogno - A Caldogno si ricorda un anziano deforme già da piccolo, piccolo con la gobba, pure è riuscito ad integrarsi nella comunità, a sposarsi, e ad avere un lavoro, faceva il falegname. Toccare la gobba significava portare fortuna e c’è chi ricorda che i ragazzi andavano a toccargliela. Vicenza - Le persone con ritardo psichico, demenza o forte disabilità in passato venivano tenute in casa, curate dai familiari e, a volte, nemmeno i vicini sapevano della loro presenza. Nei casi gravi in cui c’era un ricovero si sussurrava “ San Sovizzo - C’era però anche maggiore solidarietà di oggi: fra vicini ci si aiutava, appunto perché la malattia era una disgrazia e di fronte alla disgrazia, alla sfortuna, occorreva essere solidali. Spesso le mamme alla sera introducevano la preghiera con un’ “intenzione” e spesso l’intenzione era dedicata alla persona malata della famiglia accanto; il vicinato partecipava molto alla sofferenza dei vicini. REZZARA NOTIZIE Pag. 7 contro la solitudine LA SPERANZA DELLA GUARIGIONE E LA FEDE TAUMATURGICA In passato la sofferenza era vissuta nel chiuso delle mura domestiche. Una disgrazia metteva in crisi tutto: lavoro, famiglia, sopravvivenza (Carmignano di Brenta). L’ammalato però non restava solo, ma era circondato dai familiari. La nonna radunava tutti i nipoti attorno a una immagine sacra, accendeva una candela e tutti pregavano con gli occhi chiusi e le mani congiunte, in un atteggiamento concentrato e meditativo (Marostica). Un po’ alla volta anche nelle famiglie vicine si pregava, mentre gli uomini all’osteria cercavano di sdrammatizzare “come la xe rivà, la malattia la andarà anca via” (Torri di Quartesolo). Anche a scuola si pregava per il bambino ammalato e nei capitelli si faceva qualche novena (Camisano Vicentino). Il senso comunitario era grande fra i poveri (Caldogno). Di certe malattie, come la tubercolosi, non si pronunciava neppure il nome e si diceva “ha un brutto male” (Creazzo). Piccoli gesti di condivisione erano il portare al malato una bottiglia di vino speciale o un vaso di miele (Montecchio Maggiore). Credenze popolari facevano ritenere di poter essere soggetti a malefici o malocchio o di considerare le malattie frutto di maledizioni o di colpe passate (Villaverla). Si parlava allora di fattucchiere o di donne malvagie dalla nomea di streghe (Noventa Vicentina). Si bruciava allora una ciabatta per tenerle lontane (Caldogno). A Creazzo c’era una donna brutta, alta, magra, con gli occhi strabici, che aveva venduto l’anima al diavolo e si chiamava Gegia. Si diceva che nelle notti di luna piena incontrasse su un crocicchio di quattro strade le altre streghe e che fosse causa di fatture (Creazzo). Non mancava chi andava da cartomanti per ottenere responsi e ricette magiche (Sovizzo). Una corsista ricorda di essere stata vittima di un periodo di malanni e di incidenti a causa di una “fattura”, diagnosticata da una vicina. Per evitare ulteriori disgrazie prese il cuscino dal suo letto, lo portò in una notte di luna piena in un quadrivio di viottoli e lo bruciò a mezzanotte, recitando tre Pater noster e tre Ave Maria. Così si liberò (Creazzo). Si trattava, però, di casi eccezionali, spesso più raccontati che reali. Il prete benediva La pietà popolare Non tutte le famiglie però gradivano la propagazione delle loro disgrazie e vivevano la malattia con paura e vergogna, continuando a lavorare finché era possibile (Malo). Il prete andava nelle case, benediva, consolava, raccoglieva i segreti nascosti (Schio). In alcuni casi pubblici invitava dal pulpito alla preghiera comunitaria (Sovizzo). Al sacerdote si chiedeva di benedire i vestiti e il pane dell’ammalato e tutti si preoccupavano che non mancasse sull’acquasantiera di casa l’acqua benedetta (Montecchio Maggiore). Si pregava per la guarigione e per l’aiuto, in caso di gravità, per accettare la malattia (Torri di Quartesolo). Per le piccole malattie c’era il silenzio, per le gravi la condivisione e la preghiera comune (Camisano Vicentino). Si racconta di una mamma grave dopo aver partorito il decimo figlio e della nonna con i nove figli attorno al focolare in preghiera per ore (Creazzo). Il medico nei casi gravi diventava l’amico di casa, il sostegno, anche e soprattutto se la famiglia era povera (Montecchio Maggiore). Nei casi di malattia invece si moltiplicavano le forme di pietà popolare, di scapolari intessuti nei vestiti (Caldogno, Dueville); di pellegrinaggi ai santuari di Monte Berico, S. Antonio di Padova, Madonna della Corona (Creazzo); di voti molto impegnativi (Vicenza); di benedizioni, candele accese, reliquie (Malo). Dopo la guarigione c’erano gli ex voto da portare ai santuari, i bambini graziati da vestire da fratini o piccole suore, con il saio e la tonsura, per qualche tempo (Dueville). I familiari spesso poi andavano in pellegrinaggio a Monte Berico a piedi e “facevano le scalette in ginocchio” (Montecchio Maggiore). In fondo erano forme religiose di rifugio nei momenti difficili, carichi di speranza e di invocazione, in un tempo lontano, quando la gran parte della vita poteva contare soltanto sulla fede nella provvidenza. Le pratiche religiose erano perciò un vero aiuto per il superamento dei momenti difficili: se non avveniva la guarigione, si trovava comunque la forza di sopportare il male e di accettare la volontà di Dio (Asiago). LE TESTIMONIANZE Marostica - Per tenere lontane o per sconfiggere le malattie non c’erano solo le preghiere, magari stampate su cartoncini, che venivano inserite nei breviari religiosi o in amuleti e le medagliette portate al collo, ma anche gli “scapolari” che venivano fatti portare soprattutto dai bambini e recavano le effigi, per esempio, della Madonna del Carmine (o del Carmelo) a cui si raccomandavano, perchè venissero protetti dai pericoli più svariati e dalle tentazioni demoniache. L’orizzonte della morte Il mondo della malattia del passato oggi è irriconoscibile o meglio non esiste più. Traspare nella società secolarizzata una grande difficoltà ad accettare la sofferenza. La vita prolungata con le medicine e le cure ha cancellato dall’orizzonte umano la morte (Carmignano di Brenta). C’è un individualismo che porta tutti a pensare per sé (Marostica). La “privacy” esclude il coinvolgimento collettivo e la persona ammalata diventa un peso, un qualche cosa di estraneo, una realtà negativa da non ostentare ma da nascondere (Camisano Vicentino). “C’è molta riservatezza, senza curiosità, con un saluto aperto, senza invadere gli altri. Oggi la malattia si vive con più libertà; la vita è più libera per tutti e consente di superare più facilmente gli ostacoli” (Dueville). L’individualismo ci separa dagli altri, mentre alla televisioni al contrario si ostentano in piazza i propri sentimenti, forse per un bisogno inconscio di comunicare, di farsi ascoltare, mescolando finzione e realtà (Villaverla, Creazzo). La fede di un tempo è messa al secondo posto: prima viene la scienza, nella quale si nutre ogni speranza, e solo nei casi disperati si ricorre al guaritore (Malo). La sofferenza della malattia diventa così dramma interiore, con esiti tragici come la depressione (Camisano Vicentino). Apprezzabile è l’opera di associazioni di volontariato, di gruppi di “autoaiuto” (Longare), il soccorso delle badanti (Arzignano). Alcuni corsisti rivolgono un velato rimprovero alla famiglia, incapace di essere vicina ai più deboli, tendenzialmente protesa, per egoismo o per (continua a pag. 8) Torri di Quartesolo - Molti portavano in tasca santini votivi o li infilavano tra le coperte per impetrare la guarigione; spesso nonne e mamme costruivano altarini votivi in un angolo della casa con immagini e oggetti dedicati al proprio Santo o alla Madonna, accendevano candele e recitavano preghiere per la guarigione da malattie o scongiurare altre disgrazie. Camisano Vicentino - Ci si vestiva con il saio e il cordone del frate invocato fino a tre anni, qualcuno per 6 mesi a 6/7 anni per il periodo del voto doveva portarlo sempre; i voti si facevano comunemente, era un linguaggio abituale, chi portava il saio veniva rispettato, non deriso. Costabissara - Molte pratiche erano legate a superstizioni e credenze. In paese si raccontava che in una contrà ci fosse una strega. Un giorno la donna si recò a far visita ad una vicina di casa che aveva partorito da poco. Appena uscita, il bambino cominciò a piangere giorno e notte, a non mangiare più il latte dal seno della mamma, a non dormire più. Si diceva che il bimbo fosse stato stregato e le comari insegnarono alla mamma come fare: doveva far bollire alcuni fazzoletti, con il bollore il malocchio si sarebbe ritorto contro la strega provocandole dei forti dolori. Creazzo - La voce popolare sosteneva che se una persona trovava tre chiodi dentro il materasso, doveva fare molta attenzione perché se trovava il quarto voleva dire che era pronta la cassa da morto. Federe e materassi avevano due buchi ai lati, attraverso i quali con le mani si mettevano a posto gli “scartossi”, rivoltandoli. In realtà era facile che ci fossero corpi estranei nel materasso o nei guanciali perché erano fatti proprio con gli “scartossi” che venivano fatti asciugare fuori all’aperto, sull’aia dove era facile che si perdessero chiodi dai tanti attrezzi agricoli. Sovizzo - C’era in ogni contrada una donna che faceva le carte per predire il futuro. Era la stregona, da cui ci si recava anche per avere notizie sull’amore e sul futuro. In tempo di guerra si andava dalla stria con la foto del parente in guerra per sapere se sarebbe tornato o no, se era ancora in vita. La strega la si pagava con prodotti della terra, non in denaro. Si credeva anche nelle anguane, che però nessuno aveva mai visto ed erano le streghe del bosco personaggi positivi, che vivevano vicino ai torrenti. Erano diffuse molte superstizioni: il gatto nero portava sfortuna, il carro funebre che passava portava male a meno che non si toccasse un pezzo di ferro; non si doveva mai regalare un ago né un fazzoletto, perché portava pianto nella casa. Portava male spandere il sale e l’olio (anche perché erano beni di lusso) e non bisognava mai indicare con i dito una persona o un frutto, perché si “inibiava” cioè sarebbe andato a male il frutto e caduto in disgrazia la persona. Schio - Un tempo si pregava in comunità e, per guarire da certe malattie, si doveva passare per sette capitelli dicendo varie preghiere. Una volta si credeva molto di più nel beneficio anche fisico delle preghiere, delle benedizioni, dei voti, delle vesti... insomma si credeva nei miracoli! Pag. 8 REZZARA NOTIZIE PROVERBI SULLA SALUTE LA STORIA DEL PITÓCO Quando che nasse on pitòco,el vien ∫levà a stento a stento e co poco nutrimento. Quando ch’el ga na sèrta età, el va anca lu a laorar. E tra el vento che tira e la neve che che gela el pòro pitòco ∫e in braghe de tela. Quando che vien sabo, el va anca lu dal becàro a farse dare la carne par la doménega. Ma el becàro, quel birbon, el ghe dà carne de cavra e de molton. Quando ch’el pitòco sta male, el se redu∫e anca lu a l’ospedale, asistìo da le brave sorele che le ghe fassa su la pele. Rechiemetèrna par lu no se gh’in u∫a in sìma a la fossa: e ∫o ne la bu∫a. E basta che el Padreterno no el ghe daga anca l’inferno. LE FEMENE CO LE STA BEN Le fémene co le sta ben le ga mal de testa. EL SACO VÓDO El saco vòdo no sta in pìe. TI, BANBIN, SENTÀ SOL STRAME Ti, banbin, sentà sol strame, porta via la bruta fame, porta via la soferensa, l’ingiustissia e la violensa, e noàltri te prometémo che almanco on poco pì buni saremo. SURSUNCÒRDA EL ME CÒLO SE DESCÒRDA Si dicevano queste parole, muovendo contemporaneamente la testa, al Prefazio della messa per guarire il torcicollo. SANTA MI∫ERIA Santa mi∫eria che da l’om vegnìsti, dàme tanta forsa e inteleto ca me possa vestíre stando in leto. PAR VIVARE SENSA BILE Par vivare sensa bile ghe vóle na dona par canpanile. NO RESTA CHE DIRE AME Si incontra in frasi come questa: “Còssa vulìo ca fémo? Ame”. Oppure: “A sto punto no resta che dire ame”. Tali espressioni significano che di fronte alle disgrazie, all’irrimediabile, alla forza, non rimane che accettare, che rassegnarsi. DÈO GRÀSSIA L’espressione è frequente anche ora in frasi come questa: “Gèrimo, poaréti. Gnente magnar pan, senpre poénta. E Deò gràssia”. Oppure: “Qua i mestiéri va male. Dèo gràssia avere la salute”. Inoltre, in particolari situazioni di preoccupata attesa - malattie. Operazioni chirurgiche, occupazioni pericolose - quando l’evento si risolve bene, la gente, con un senso di sollievo e di riconoscenza, dice: Dèo gràssia. Fonte: Alla fine della messa il sacerdote diceva: -Ite, missa est -. Il popolo rispondeva: - Dèo gràssia. ED ANCORA Le peche de natura, se le porta in sepoltura. Xe megio fruar le scarpe che i ninzioi. El mal vien a cavalo, e po’ el va via a piè. El malà no ‘l magna gnente, e ‘l magna tuto. Co vien sera el malà se dispera. Falo de medico, volontà de Dio. Medego vecio e chirurgo zovene. La malinconia l’è n’altra malatia. QUOTA D’ABBONAMENTO La quota di abbonamento per il 2009, da versare sul c.c.p. 10256360 intestato a Istituto “Nicolò Rezzara”, contrà delle grazie 14, 36100 Vicenza è di € 20,00. A quanti invieranno una cifra significativa sarà inviata al più presto una pubblicazione delle nostre edizioni. 42° Convegno di studi internazionali promosso dall’Istituto Rezzara di Vicenza Contro la xenofobia, una nuova cultura Recoaro Terme, 11-13 settembre 2009 Venerdì 11 settembre ore 16 introduzione ai lavori prolusione: L’“altro”, un fratello intervento: Migrazioni e sviluppo delle civiltà nella storia Sabato 12 settembre ore 9 lezione: Globalizzazione e incontro/scontro tra i popoli lezione: Fenomeni sociali di xenofobia, di tolleranza e di integrazione ore 15 tavola rotonda: Radice dei conflitti 1. Immigrazione: aspetti economici, sociali e religiosi 2. Conflitti etnico-politici 3. Culture e pregiudizio 4. Religioni a confronto Domenica 13 settembre ore 9 1. intervento: Cultura dei diritti umani e politiche pluraliste 2. intervento: Percorsi formativi all’alterità 3. intervento: Ricerca di regole e valori condivisi Hanno già confermato la presenza: il card. Salvatore De Giorgi; i Vescovi mons. Cesare Nosiglia e mons. Agostino Marchetto; i proff. Antonio Papisca, Vincenzo Pace e Stefano Allievi, dell’Università di Padova; il prof. Ilvo Diamanti, dell’Università di Urbino; il prof. Felice Rizzi, dell’Università di Bergamo. LA SPERANZA DELLA GUARIGIONE (continua da pag. 7) necessità, a scaricare il peso del malato e del vecchio (Noventa Vicentina). In alcuni casi di disperazione si scatena la fantasia e ci si affida a personaggi senza scrupoli che approfittano della debolezza del malato e dei suoi familiari disposti a fare qualsiasi cosa pur di tentare la sopravvivenza. L’esito il più delle volte è solo una truffa colossale (Costabissara). In questo quadro i maghi e i cartomanti prosperano (Breganze, Vicenza), fanno pubblicità su televisioni e giornali (Torri di Quartesolo), approfittano della debolezza interiore degli infelici (Caldogno). Pellegrini e apparizioni Sono i surrogati di una religiosità in crisi o residuale (Villaverla), espressione di un dolore non più sopportato (Montecchio Maggiore). Dove permane la fede, anche debole, si moltiplicano i pellegrinaggi per cercare conforto nella malattia e nelle sofferenze. Molti gruppi di preghiera, all’interno dei quali si fanno preghiere di guarigione, offrono conforto e promuovono pellegrinaggi a luoghi di presunte apparizioni, come Poleo di Schio e Medjugorie (Breganze). Nelle chiese si accendono ceri (Dueville). Non mancano “sétte religiose” che illudono e coinvolgono persone psicologicamente deboli ad aderire ad esse per essere guarite o per avere un sostegno psicologico (Longare). La fragilità umana affiora in continuità, e la crisi profonda della malattia grave ripropone i temi profondi dell’esistenza. Fra ricerche magiche e superstizioni non raramente sboccia la fede, che si manifesta talvolta in una lotta con Dio e finisce per placarsi in un fiducioso abbandono. “5 PER MILLE” COME DESTINARLO Al momento della presentazione del modello Cud, 730 o Modello unico, il contribuente può decidere di destinare la quota del 5 per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche, relativa al periodo d’imposta 2008, mettendo la propria firma in uno degli appositi quattro riquadri che figurano sui modelli di dichiarazione. A tale riguardo va evidenziato che è consentita una sola scelta di destinazione e che il contribuente non si trova a pagare più tasse, ma a decidere come destinare una somma che comunque deve pagare. Oltre alla firma il contribuente può indicare il codice fiscale del soggetto al quale intende destinare direttamente la quota del 5 per mille. Noi vi proponiamo di assegnarla al Rezzara. La tua FIRMA e il nostro codice fiscale 00591900246 dona il 5 per mille a ISTITUTO CULTURALE DI SCIENZE SOCIALI NICOLÒ REZZARA con noi ci sei anche tu