epatiti virali - Rotary Distretto 2050

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epatiti virali - Rotary Distretto 2050
Capitolo 8
Epatiti virali
L’epatite virale è un’infiammazione del fegato causata da virus. Ad oggi i principali
virus dell’epatite conosciuti sono: virus epatite A (HAV), virus epatite B (HBV), virus
epatite C (HCV). Ad essi si aggiungono i virus dell’epatite D (o delta) e dell’epatite E.
Nel 5%-10% dei casi la causa delle epatiti resta sconosciuta.
Il fegato (Fig. 1) è un organo vitale per il metabolismo di diverse sostanze nutritive,
filtra il sangue e aiuta a combattere altre infezioni. Quando il fegato è infiammato o
danneggiato, tutte le sue funzioni vengono meno. Anche l’abuso di alcol e l’uso di
farmaci e di sostanze tossiche possono causare un’epatite.
Epatite virale A
È una malattia infettiva causata dal virus HAV (Fig. 2). È presente in tutto il mondo,
specialmente dove le condizioni igienico-ambientali sono scadenti.
Come si trasmette?
Il virus viene eliminato con le feci e la malattia si trasmette con l’ingestione di acqua ed alimenti crudi o poco cotti e con l’utilizzo di oggetti contaminati dalle feci di
soggetti malati (via oro-fecale). Per tale motivo l’epatite A è diffusa in zone in cui si
consumano molluschi (ostriche, vongole o cozze), raccolti in acque contaminate,
e in quei paesi in cui l’igiene è scarsa. La contaminazione del cibo può avvenire
in qualunque momento: coltura, raccolta, preparazione del cibo e dopo la cottura.
L’epatite A può essere trasmessa dalle persone infette o dal personale assistenziale
che, dopo esser venuti a contatto con le feci contenenti il virus, toccano il cibo o
vari oggetti di uso domestico senza provvedere ad un’accurata igiene delle mani.
Con le trasfusioni solitamente il virus non è trasmesso.
Tutti possono contrarre l’infezione, ma, a maggior rischio sono: coloro che vivono
o lavorano a stretto contatto con persone infette; chi viaggia o vive in paesi in cui il
virus è più diffuso; chi ha rapporti sessuali con persone infette; i tossicodipendenti.
Contatti occasionali non sono da considerarsi eventi a rischio di contagio. Se la
malattia interessa un bambino o un neonato, tutti coloro che hanno giocato con lui
o sono venuti in contatto con i suoi pannolini potrebbero averla contratta.
Come si evita?
Il modo più sicuro per prevenire la malattia è la vaccinazione anti-epatite A, che
rende immuni per circa 20 anni sia i bambini che gli adulti.
La vaccinazione va somministrata ad una donna in gravidanza solo se è strettamente necessaria e si raccomanda cautela nelle donne che allattano.
La vaccinazione è particolarmente indicata per:
• coloro che, per motivi di lavoro o turismo, fanno viaggi internazionali;
• i bambini;
• il personale sanitario;
• il personale addetto alla manipolazione degli alimenti;
• il personale addetto alle acque di fognatura ed operatori ecologici;
• i soggetti che abusano di droghe iniettabili;
• i soggetti con numerosi partner sessuali.
L’infezione virale A può essere prevenuta adottando corretti comportamenti igienico-alimentari validi anche per prevenire altre malattie a trasmissione oro-fecale
(esempio: salmonellosi). Quindi, è consigliabile:
- non consumare frutti di mare crudi;
- lavare accuratamente le verdure prima di consumarle;
- lavare e sbucciare la frutta;
- conservare in frigorifero i cibi cotti se non vengono consumati subito;
- non bere acqua di pozzo (N.B. L’HAV può essere ucciso mediante clorazione
dell’acqua o bollitura della stessa per 10 minuti);
- curare scrupolosamente l’igiene personale, specie delle mani;
- rispettare scrupolosamente le norme igieniche nella manipolazione di cibi e bevande;
- proteggere gli alimenti dagli insetti.
Come si manifesta?
L’epatite A può rimanere asintomatica oppure, dopo un periodo di incubazione di
circa 15-60 giorni dal contagio, può manifestarsi con i seguenti sintomi: inappetenza e nausea; malessere generale; febbre; vomito e diarrea; dolore addominale.
Dopo qualche giorno può comparire un colorito giallo (ittero) della pelle e della parte
bianca degli occhi (sclere); le urine assumono una tonalità scura.
Il decorso della malattia è, generalmente, benigno e dura dalle 2 alle 10 settimane.
Dopo di che, si guarisce senza conseguenze (il tasso di mortalità per l’epatite A è
inferiore allo 0,5%. Può aumentare in soggetti anziani o debilitati). Dopo la guarigione si ha un’immunità permanente dal virus HAV.
Nel sangue rimane la presenza di anticorpi anti-virus dell’epatite A (anti-HAV), che
testimoniano l’avvenuta infezione e forniscono un’immunità permanente.
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite A (tramite la presenza di anticorpi anti-HAV) e per valutare la funzionalità del fegato.
Nelle donne in gravidanza l’epatite A ha solitamente un andamento benigno e non
comporta rischi per il feto.
La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HAV è molto frequente. In tale caso,
dopo gli opportuni controlli è possibile somministrare a scopo preventivo il vaccino
e le immunoglobuline specifiche (anticorpi) per l’HAV. Queste ultime danno un’immunizzazione immediata contro il virus, che dura, però, solo 3-6 mesi.
Epatite virale B
È una malattia infettiva causata dal virus HBV (Fig. 3). Il virus è presente in tutto il
mondo ma, è più diffuso nelle fasce di popolazione a basso livello socio-economico
dell’Africa e dell’Asia. Circa un quarto della popolazione mondiale, più di 2 miliardi
di persone, è stato contagiato dal virus dell’epatite B ed esistono attualmente circa
350 milioni di portatori cronici del virus.
Come si trasmette?
La malattia si trasmette venendo a contatto con liquidi biologici infetti, quali sangue
e suoi derivati, saliva, muco nasale, bile.
La trasmissione può avvenire anche durante la gravidanza da madre infetta al feto.
Nel I e II trimestre di gravidanza il rischio è basso; nel III trimestre è alto. Nel momento del parto e del post parto il rischio è molto alto. Il virus, se è presente in gran
quantità, può essere trasmesso al neonato pure attraverso il latte materno.
L’epatite B è 50-100 volte più infettiva dell’HIV tramite la via sessuale e il virus viene
trasmesso con il liquido seminale (sperma) o vaginale.
Poiché l’HBV resiste in ambienti esterni fino a 7 giorni, il contagio è possibile anche
mediante il semplice contatto con oggetti contaminati.
A maggior rischio sono: coloro che hanno rapporti sessuali con partner infetti o con
più partner; i tossicodipendenti; gli operatori sanitari; i bambini nati da madri infette;
coloro che vivono insieme a persone infette o coloro che hanno ricevuto molte trasfusioni (politrasfusi) o utilizzano emoderivati.
Si stima che il 2% dei soggetti sia infettato anche dal virus HIV (coinfezione) e
questo comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento del fegato.
Inoltre, un terzo dei pazienti può presentare coinfezione con virus Delta e/o con
virus HCV.
Come si previene?
La malattia può essere prevenuta con la vaccinazione antiepatite B, che conferisce
un’immunità per circa 8 anni. Un richiamo vaccinale prolunga l’immunità per altri 8
anni. Il vaccino antiepatite B è somministrato per via intramuscolare.
In Lombardia la vaccinazione è raccomandata e gratuita nel 3°, 5° e 11° mese di
vita. È compresa nel cosiddetto vaccino esavalente (anti-poliomielite; anti-difterite;
anti-tetano; anti-epatite B; anti-pertosse e anti-Haemophilus influenzae).
Ai nati da madri infette (HBsAg+) viene subito praticata la vaccinazione contemporaneamente alla somministrazione di immunoglobuline specifiche (anticorpi).
La vaccinazione è, pure, offerta gratuitamente a italiani e stranieri fino al compimento dei 18 anni di età. Dopo tale età, è disponibile gratuitamente per le seguenti
categorie di persone:
- conviventi e persone a contatto con soggetti HBsAg+;
- pazienti politrasfusi emofilici ed emodializzati (insufficienti renali cronici);
- soggetti affetti da epatopatia cronica;
- vittime di punture accidentali con aghi potenzialmente infetti;
- soggetti affetti da lesioni croniche della pelle delle mani (eczema, psoriasi);
- detenuti negli istituti di prevenzione e pena;
- soggetti con comportamenti sessuali a rischio (tossicodipendenti; persone dedite
alla prostituzione);
- ospiti di strutture comunitarie per malattie mentali;
- donatori di sangue e midollo;
- candidati a trapianto d’organo.
Esistono persone che, pur avendo effettuato una regolare vaccinazione, non producono anticorpi sufficienti a proteggerli da un’eventuale infezione. Restano, pertanto,
a rischio e devono attenersi alle precauzioni comportamentali sopra elencate.
Il contagio può, comunque, essere prevenuto, adottando comportamenti corretti,
quali:
- trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HBV);
- segnalare la propria condizione di portatore di epatite B (HBsAg+) in occasione
di cure mediche o dentistiche in modo da consentire l’attuazione di opportune
misure di prevenzione (guanti) e sterilizzazione;
- evitare rapporti sessuali a “rischio” (cioè con partner occasionali o affetti da epatite) o usare il preservativo;
- evitare lo scambio di siringhe usate;
- evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi,
taglia unghie, siringhe riutilizzabili;
- in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche
dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso;
- rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici
infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti.
Come si manifesta?
Quando una persona è colpita dal virus, può sviluppare un’infezione “acuta”, che
può essere asintomatica, cioè con un decorso breve e con pochi sintomi, oppure
richiedere il ricovero in ospedale. La forma acuta si sviluppa dopo un periodo di
incubazione di 60-180 giorni dall’infezione ed è presente nel sangue l’antigene Australia (HBsAg), che è una componente della particella virale.
I sintomi e segni nella fase acuta sono: inappetenza; malessere generale, febbre;
nausea e vomito; dolori addominali; comparsa di ittero cutaneo (30-50% negli adulti
e 10% nei bambini) con colorito giallo anche delle sclere (parte bianca dell’occhio);
urine scure.
Nella maggior parte dei casi la malattia guarisce, essendo il tasso di mortalità pari
a circa l’1%. Nel sangue rimane la presenza di anticorpi contro il virus dell’epatite B
(anti-HBV), che testimoniano la pregressa infezione.
Nel 5-10% dei pazienti infettati la malattia tende a cronicizzarsi sotto forma di epatite cronica persistente (benigna) oppure attiva (aggressiva). In tale caso il virus B è
presente nel sangue.
In questa fase della malattia la maggior parte dei pazienti è asintomatica e non sa di
poter essere ancora contagiosa. Altri possono lamentare ittero, malessere generale,
ingrandimento della milza (splenomegalia) e peggioramento della funzionalità epatica. Nel 20% dei casi l’epatite cronica può evolvere in cirrosi epatica (con deperimento e perdita di peso, macchie scure sulla pelle, arrossamento del palmo delle
mani e dei piedi, edemi alle gambe, ascite, ittero) (Fig. 4, 5) o causare l’insorgenza
di un tumore maligno del fegato (epatocarcinoma).
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite B (tramite la presenza di anticorpi anti-HBV) e per valutare la funzionalità del fegato.
La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a
rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HBV è molto frequente. È, così,
possibile una profilassi con immunoglobuline specifiche (anticorpi) abbinate a vaccino anti-HBV. La profilassi deve essere eseguita entro 48 ore dal presunto contagio.
Epatite virale C
È una malattia infettiva causata dal virus HCV, che è diffuso in tutto il mondo e può
colpire ogni fascia di età (Fig. 6). L’incidenza dell’epatite C è particolarmente alta in
alcuni stati dell’Africa e dell’Asia. Si stima che complessivamente i malati di epatite
C siano circa 130-170 milioni. Questa forma di epatite è quella che, oggi, viene più
facilmente riconosciuta nei soggetti politrasfusi e in coloro che, in passato, si sono
sottoposti a interventi chirurgici o a trattamenti odontoiatrici, quando ancora non
era stato identificato il virus HCV e non erano, quindi, disponibili efficaci mezzi di
prevenzione dal contagio.
Quando una persona si è infettata e sviluppa un’infezione acuta, può essere asintomatica o avere una sintomatologia simil-influenzale o richiedere addirittura un’ospedalizzazione per la gravità delle sue condizioni generali.
Come si trasmette?
Si contrae la malattia venendo a contatto con il sangue di un paziente infettato dal
virus C.
Circostanze che possono agevolare il contagio sono:
- rapporti sessuali non protetti da preservativo qualora sui genitali ci siano lesioni
sanguinanti (N.B. sperma e liquido vaginale non contengono l’HCV);
- incidente durante l’assistenza sanitaria a malati di epatite C: puntura con ago o
ferita con strumento tagliente sporchi di sangue infetto (N.B. Il rischio è maggiore
se la puntura o la ferita sono profonde. Il virus non passa attraverso la pelle integra);
- utilizzo di aghi o siringhe e di oggetti taglienti come lamette e forbicine, sporche
di sangue infetto;
- trasfusioni o trapianti d’organo.
La causa del contagio resta, comunque, sconosciuta in circa il 43% dei casi.
Durante la gravidanza, il rischio che la madre infetta trasmetta la malattia al feto
è molto basso (inferiore al 5%). Al contrario, la trasmissione della malattia può avvenire al momento del parto soprattutto se il virus è presente in grande quantità. Il
virus non è presente nel latte materno. Quindi, l’allattamento non è a rischio a meno
che sui capezzoli della madre non ci siano piccole lesioni (ragadi), che sanguinino.
Oggi a maggior rischio sono i tossicodipendenti.
Fino al 1992 anche i politrasfusi e gli emodializzati hanno fatto parte delle categorie
più a rischio a causa delle frequenti trasfusioni di sangue e/o di emoderivati (plasma, albumina, ecc.). A partire dal 1992 negli Stati Uniti sono iniziati precisi e severi
controlli. Di conseguenza, questo rischio oggi si è quasi azzerato, solo nei paesi
ad alto tenore di vita, grazie ai rigorosi controlli anti-infettivi imposti dalla legge sui
donatori di sangue e sugli emoderivati.
Si stima che l’epatite C coinfetti i pazienti portatori di HIV nel 30% circa dei casi.
Se si tratta di tossicodipendenti, la percentuale dei coinfetti arriva al 70%. La coinfezione HCV/HIV comporta un elevato rischio di morte per cattivo funzionamento
del fegato.
Come si previene?
Purtroppo, non esiste ancora un vaccino per prevenite l’infezione. L’epatite C può
essere prevenuta solo adottando comportamenti corretti quali:
- trasfondere sangue di donatori sani (non infettati da HCV);
- astenersi da rapporti sessuali a “rischio” (come per l’epatite B) o usare il preservativo;
- evitare lo scambio di siringhe usate;
- evitare lo scambio di oggetti personali quali spazzolino da denti, forbicine, rasoi,
taglia unghie, siringhe in vetro riutilizzabili;
- in caso di tatuaggi, di fori alle orecchie o in altre parti del corpo (piercing) e di pratiche estetiche, che prevedano l’uso di aghi, accertarsi delle condizioni igieniche
dei locali in cui si opera e pretendere l’impiego di aghi monouso;
- rispettare le norme previste per evitare il contatto con sangue e liquidi biologici
infetti qualora si sia operatori sanitari, che assistono pazienti infetti.
Come si manifesta?
Dopo un periodo di incubazione, che va dalle 2 settimane ai 6 mesi, l’epatite C si manifesta con una sintomatologia più sfumata e subdola di quella dell’epatite B. Essa
può essere rappresentata da: affaticamento; perdita di appetito; nausea; vomito;
cefalea; febbre; dolori addominali; ittero. Un decorso fulminante e fatale si osserva
assai raramente (0,1% dei casi). Spesso la malattia può cronicizzarsi (circa l’80-85%
degli individui infetti diventa portatore cronico del virus) ed evolvere nel 20-30% dei
casi verso gravi quadri clinici di malfunzionamento epatico (cirrosi epatica), favo-
rendo l’insorgenza di un tumore maligno nel fegato (epatocarcinoma).
L’alcol deve essere assolutamente eliminato nei soggetti portatori di virus C in
quanto è in grado di aumentare la replicazione del virus.
A volte capita che, facendo delle analisi del sangue per controllo, un soggetto scopra di essere positivo per gli anticorpi anti-HCV ma, non ricordi di aver mai avuto
l’epatite virale C. Ciò è possibile perché l’epatite virale C, frequentemente, può decorrere senza sintomi (circa 2/3 dei casi).
Cosa fare quando ci si ammala?
È importante ricorrere tempestivamente al medico, il quale prescriverà delle analisi del sangue per confermare la diagnosi di epatite C (tramite la presenza di anticorpi anti-HCV) e per valutare la funzionalità del fegato.
La guarigione completa è favorita da: riposo a letto; dieta leggera, ricca in zuccheri
e proteine, povera di grassi; astensione dall’alcol. Sono disponibili anche terapie
specifiche antivirali (interferone) di esclusiva competenza specialistica.
È prudente rivolgersi al medico anche quando si ha avuto un comportamento a
rischio o si proviene da Paesi dove l’infezione da HCV è molto frequente.
Fig. 2 - Virus HAV (immagine al microscopio
elettronico).
Fig. 1 - Apparato digerente umano
(1. fegato; 2. cistifellea; 3. pancreas;
4. stomaco; 5. duodeno; 6. milza; 7.
intestino tenue; 8. intestino crasso o
colon; 9. retto).
Fig. 3 - Virus HBV (immagine al microscopio
elettronico).
Fig. 4 - Fegato sano (1) e affetto da cirrosi (2).
Fig. 5 - Cirrosi epatica con ascite (accumulo
di acqua nella cavità addominale).
Fig. 6 - Virus HCV (immagine al
microscopio elettronico).