Marco Deriu Università di Parma, Ass. Maschile Plurale

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Marco Deriu Università di Parma, Ass. Maschile Plurale
Marco Deriu
Università di Parma, Ass. Maschile Plurale
 Appello rivolto agli uomini
“La violenza contro le donne ci riguarda. Prendiamo parola come uomini” (2006).  Nascita dell’Associazione nazionale “Maschile plurale” (2007) www.maschileplurale.it
Le nostre attività:
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Promozione di incontri e dibattiti,
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Articoli sui giornali e libri per animare il dibattito pubblico,
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Promozione di attività nelle scuole,
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Prima manifestazione di uomini contro la violenza (Roma 2009)
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Collaborazioni con Centri antiviolenza,
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Promozione di una “Campagna di comunicazione” rivolta ad uomini.
Collaborazioni con progetti di ascolto e trattamento per uomini violenti.
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 L.D.V. Liberiamoci Dalla Violenza
Centro di accompagnamento alla violenza per uomini.
(Modena, 2011)
 Ricerca sugli autori di violenza (2010‐2011)
‐Una quindicina di interviste a uomini violenti
‐Focus group con operatori e operatrici delle istituzioni
 1.La violenza maschile: anatomia di una rimozione
 2.La novità del panorama attuale in Italia: il lavoro con gli uomini.
PAUSA
 3.Il Centro LDV e le sue caratteristiche
 4.Gli autori di violenze: l’ascolto del rimosso
 L’informazione: mass media e giornalisti
 L’opinione pubblica e la comunicazione sociale
 Gli operatori e i professionisti (maschi)
 La politica e le istituzioni
 Riuscire a vedere la maschilità come problema
o questione da mettere in discussione.
 Riuscire a vedere la maschilità come campo di conflitti dinamico e quindi di possibile cambiamento (individuale, culturale e sociale)
 Riuscire a vedere la maschilità come risorsa
per il lavoro di prevenzione e contrasto della violenza.
 Carcere di Bollate a Milano (2006) –
Centro Italiano per la promozione della mediazione
 Sportello telefonico per l’ascolto del disagio maschile (2009) – Prov. di Torino, Il cerchio degli uomini
 Centro di Ascolto uomini Maltrattanti (CAM) di Firenze (2009)
 Caritas di Bolzano, Servizio di Consulenza per uomini e dal 2011 Training Antiviolenza
 Liberiamoci dalla violenza (LDV) Modena, dal 2011.
 Altri progetti appena avviati: Ferrara, Forlì, Rovereto, Bergamo, Roma
 Il rischio di commercializzazione
 Il rischio della competizione
 Il rischio della medicalizzazione
 Il rischio della istituzionalizzazione
 il linguaggio
 gli autori di questa violenza
 le possibili radici
 le dinamiche interpersonali  i processi sociali e culturali più ampi ALLE DONNE….
A SE STESSI…
ALLE ISTITUZIONI

come effetto e riproposizione di un’esperienza traumatica, o come espressione di una patologia individuale;

come forma di comportamento appreso e interiorizzato, attraverso la socializzazione; 
come espressione identitaria, in quanto modalità espressiva socioculturale della maschilità o virilità; (anche come adesione a dinamiche collettive o di gruppo);

come strumento di controllo e potere sugli altri ed in particolare sulle persone importanti.

come reazione distruttiva ad un senso di inadeguatezza e impotenza a fronte di scacchi relazionali.
 «Il diniego può non essere questione né di dire la verità, né di mentire intenzionalmente. L’affermazione non è del tutto deliberata e lo status di “conoscenza” della verità non è del tutto chiaro. Sembrano esistere stati mentali, o, addirittura, intere culture, in cui noi sappiamo e allo stesso tempo non sappiamo. [….] I gruppi dominanti sembrano misteriosamente capaci di escludere o ignorare l’ingiustizia e la sofferenza che li circonda» (Stanley Cohen)
 Riconoscere di aver commesso il fatto ma spinti da ragioni o contingenze esterne alla propria volontà
«Io non ho scusanti e mi devo curare. Ma il suo comportamento mi feriva talmente tanto. Se tu sai che io non riesco più a trattenere la calma e ti alzo le mani, perché vuoi arrivare a questo? Mancanza di rispetto, bugie, falsità. Lei mi metteva sempre alla prova. Perché così io mi sarei preso la colpa e me ne sarei andato. Portandomi alla disperazione…».
«La signora mi ha buttato dietro dei profumi. Avevamo litigato per le solite cose. Io sono corso e l’ho strattonata. Siamo finiti sul letto e poi per terra. Poi lei ha chiamato i carabinieri».
 Riconoscere di aver commesso il fatto ma spinti da ragioni o contingenze esterne alla propria volontà
«Io non ho scusanti e mi devo curare. Ma il suo comportamento mi feriva talmente tanto. Se tu sai che io non riesco più a trattenere la calma e ti alzo le mani, perché vuoi arrivare a questo? Mancanza di rispetto, bugie, falsità. Lei mi metteva sempre alla prova. Perché così io mi sarei preso la colpa e me ne sarei andato. Portandomi alla disperazione…».
«Io mai nella mia vita… C’era stato un episodio. Per difendermi la colpii al labbro. Lei era convinta che la tradissi. […] è nata come una forma di violenza. La mia è stata una difesa. Forse una difesa più forte. Non mi sarei mai permesso. Non mi è mai capitato».  Riconoscere il fatto ma operare una distinzione tra atti e reali intenzioni. “Non volevo fare male, mai fatto. Lei è caduta. Io avevo coltello ma non volevo fare male. Volevo i soldi…”.  Non hai pensato che le facevi paura con il coltello? “Non volevo farle del male, ma… io sapevo, lei non sapeva”.  Riconoscere di aver commesso un qualche fatto ma omettere una descrizione e un riconoscimento completo dell’evento
“Io l’ho baciata [fa segno sulla guancia] e poi l’ho salutata”, “Ho preso la faccia e l’ho baciata”.  Perché l’hai baciata? “Lei voleva giocare…”.  Riconoscere di aver commesso l’atto o gli atti ma diminuirne il significato e la portata, ovvero la gravità del fatto.
«Sono arrivato a casa e le ho dato 2,3,4 sberle. Perché ero tornato a casa. Ero uscito il sabato mattina e sono tornato alle 10 di sera. Dovevamo andare in una pizzeria e non sono tornato. Cosa dovevo rispondere? Ero in torto…». «Lei lesioni non ce ne ha. Io non sono violento».
«I referti medici parlavano di una ferita all’orecchio destro e una perforazione all’orecchio sinistro. Ma se io gli davo uno schiaffone, con i miei 130 kg ne rimaneva ben poco».  Riconoscere un fatto ma affermare che si tratta di un caso isolato ed eccezionale.
«Solo li e poi un’altra volta nel 2007 ma non granché. Non mi ricordo. Prima di sposarmi, per gelosia. Lei era troppo gelosa. Sai la donna com’é… Abbiamo litigato». «Con la prima moglie. C’è stato un episodio. Una volta. Una discussione. Io non mi ricordo…».
 Dichiararsi completamente estraneo ai fatti, o dichiarare inesistenti i fatti. “Lei è riuscita a spaccarsi un vetro in testa e ha accusato me”. “Io posso dire che la violenza è brutta. Una donna mi ha fatto del male a me. Io non l’ho mai fatto. Ma l’ho subita”.
l’intensità della negazione è la contropartita esatta del grado e della profondità dell’angoscia prodotti dalla negazione stessa
(Il cuore vigile)
 «[quella persona] mi ha messo un bollino come uomo violento. Mi accusa ancora di più […] Il bollino di uomo violento: lo sono, lo sono stato, ma diamo un’opportunità, aiutiamolo a curare e ricostruire la famiglia».
 «Non penso di essere questo mostro come mi ha disegnato lei. Non penso che sia stata terrorizzata da me».
 «Sono cose che odio. Non ho parole. Chi fa del male a una ragazza o a un bimbo. Questi soggetti devono essere controllati o rinchiusi».
 «Quando sono arrivato qui una dottoressa mi ha detto: “sei in una sezione un po’…” Io le ho detto: “ho un percorso ben preciso. Reati comuni, truffa, furti. Tutta una vita”».
 «Sono in buona fede. Credo di essere innocente. Se ho sbagliato pago».
 «Se mi accorgo che sono colpevole vado di là e mi ammazzo. Però mettermi in una sezione come questa e considerarmi già colpevole. Io ho fatto carcere ma per furto…»

«Non voglio aspettare i servizi sociali che mi mettano in mano a un carnefice. Voglio vedere se ho la possibilità di curarmi». “Mi sento nervoso, ferito, sottovalutato. Non è la vera causa. Non so dire il vero perché…”
 “Non so come spiegarmelo neanch’io. Di solito quando bevevo”. “Mi piaceva bere per nervosismo”.
 “Non si litiga mai per le cose grosse, ma per le stronzate. È un accumulo”.
 “Al di là della parola siamo animali. Il cane quando non può più ringhiare apre la bocca e se non viene capito morde. Se non c’è più riscontro col dialogo…. Sono cose della natura umana”.
 “Un muro… il vedere che non si riesce a oltrepassare. Un muro per dire che non c’è più comprensione. Che non si riesce ad arrivare un punto di incontro. Vedere un blocco, un problema serio che dall’altra parte però non c’era la motivazione forte per risolverlo, per abbattere questo muro, correggersi e andare avanti”. 
 «Io mi conosco. Conosco la mia forza. Mi prendevano in giro per la mia forza. Ho questo “dono”. Posso avere questo dono una volta?».
 «La prima volta a 14 anni a Palermo. Due persone avevano dato fastidio a mia sorella. Lei aveva 13 anni. L’avevano importunata. Gli ho detto di lasciarla stare e poi una parola lui e una io…».
 «Lei è andata con un mio amico. Per me è morta la. Il mio amico ha passato dei brutti momenti. L’ho schiacciato con una macchina in un muro. C’erano altre regole. Non si toccava la donna dell’amico quando è in prigione»
 «In una rissa ho dato un pugno a un ragazzo davanti a una discoteca a Rimini. Lui ha aggredito un mio amico e io ho picchiato lui. C’erano delle ragazze. Poi è saltato fuori che abbiamo palpeggiato la sua ragazza».
 «Ci sono uomini che si ubriacano come maiali, che si drogano e picchiano. Non ci hanno le palle di litigare con altri uomini e lo fanno con le donne».  «L’uomo è uomo, la donna è donna. La parità ok, ma come stira una donna non può stirare un uomo e come porta a casa la carretta l’uomo… Quando i ruoli cominciano a invertirsi… La donna deve impegnarsi nelle faccende di casa, nella conduzione della famiglia. Se vuole andare a lavorare va a lavorare. Ma può stare a casa, ci posso pensare io. […] Certi io oggi mi trovo a fare il padre ma anche la pappina. [però] in natura è così: il padre porta il becchime, ma chi lo mette in bocca è la madre. Forse questo si è perso. Ma non sono maschilista».