Primo capitolo del libro

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Primo capitolo del libro
L’umano come donna
L’umano come donna
Un profilo
A costo di scandalizzare le partigiane di qualsiasi movimento di emancipazione della donna e di tutto ciò che va sotto questo nome, non si può fare
a meno di constatare quanto l’elemento femminile, già alle radici della vita,
si presenti come il meno sviluppato, il più indifferenziato, e proprio per
questo adempia al suo scopo precipuo.
La piccola cellula maschile, malgrado la sua piccola dimensione, anzi
proprio a causa di questa, appare sin dall’inizio come la cellula nata per
progredire insoddisfatta: si pone sempre nuovi obiettivi, si impone lavoro
nuovo; in breve, come l’elemento che si sviluppa tramite lo stimolo e il
bisogno, simile a una linea che avanza di continuo e della quale si ignora
dove possa arrivare. Al contrario l’ovulo femminile si inscrive in un cerchio
chiuso che non oltrepassa: a che scopo dovrebbe? È come se in esso, in
questa emanazione del suo sé, si trovasse nella propria dimora naturale e di
questa si circondasse; come se in un certo senso non avesse mai compiuto
gli ultimi passi che l’avrebbero portato al di fuori di sé, nell’ignoto, nel
vuoto, nelle mille vaghe possibilità dell’esistenza e della vita, come se
fosse unito ancor più direttamente al Tutto infinito ed eterno, ma anche più
profondamente legato al suo terreno d’origine.
Proprio per questo il femminile contiene in sé, già accennate in modo
elementare e primitivo, l’armonia più integra, la pienezza sferica più stabile,
la massima perfezione e completezza paghe di sé. Sono presenti, secondo
gli intenti più profondi della sua natura, un’autosufficienza e un’autonomia
che non sarebbe possibile conciliare con l’irrequietezza e l’inquietudine inces-
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sante di ciò che avidamente si spinge innanzi, sino ai limiti estremi, e che
divide e disperde con una violenza e uno slancio sempre più crescenti tutte
le sue energie in attività specializzate. Ciò che si raccoglie più rapidamente
nei suoi limiti può di fatto chiudersi in se stesso per arrivare a una bellezza più
grande e più armonica, e imprimere a tutto ciò che viene esternato il suo proprio carattere, pur restando intimamente legata alla vita dell’Essere Universale.
Qui il femminile, rispetto al maschile, si comporta come un nobile della
più antica ed elegante aristocrazia nel proprio castello e nei propri possedimenti in opposizione al nuovo ricco, padrone dell’avvenire e sicuro di
dominarlo: questi andrà molto più lontano, ma come prezzo di tale conquista
si vedrà sempre involare dinanzi gli ultimi ideali di bellezza e perfezione,
così come davanti al viaggiatore la linea dell’orizzonte, dove cielo e terra
sembrano fondersi, continua a retrocedere a un’inaccessibile distanza, nonostante egli cammini e cammini.
Sono due modi di vivere, due modi di portare al più alto livello di sviluppo
la vita, la quale, senza la divisione dei sessi, avrebbe dovuto restare al suo
livello più basso; è inutile discutere quale sia il più valido di questi due
modi o quale comporti il maggior dispiegamento di energie, se quello in cui
le energie si specializzano nella continua lotta del proprio superamento
oppure l’altro, in cui queste energie rifluiscono per così dire verso il
proprio centro, limitandosi quindi nei propri confini. Questi due mondi, che
diventano straordinariamente sempre più complessi man mano che procede
la loro evoluzione, non sono perciò concepibili come metà l’uno dell’altro,
come purtroppo avviene spesso causando gravi equivoci, come a esempio
l’accezione comune che fa del femminile il ricettacolo che si lascia passivamente riempire, e del maschile il suo contenuto attivamente creativo.
Quando si pensa all’atto mediante il quale, anche tra noi esseri umani, i
minuscoli citoplasmi maschili si uniscono a quelli femminili, quando si
pensa cioè all’atto sessuale in sé, risulta particolarmente evidente che la definizione popolare che fa di uno l’essere che genera e dell’altro l’essere che
riceve contiene un equivoco di fondo.
Come segno del loro sviluppo più maturo, in un certo senso come un
massimo di eccedenza che non trova più posto nel loro proprio sviluppo,
sia l’uomo che la donna secernono cellule dalla cui unione nasce un nuovo
embrione umano, il quale dunque contiene sia una particella del padre che
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una particella della madre. In questo caso l’ovulo della donna è sempre il
corpo più grande, mentre i molteplici spermatozoi maschili, dei quali uno o
due penetrano nell’uovo, sono l’elemento più mobile, e entrambi rappresentano ciascuno per la propria parte l’essenza vitale dei due sessi che hanno
partecipato alla loro formazione. Ma, a prescindere da questo contributo creativo equivalente e necessario a generare il figlio, si aggiunge, come un plus
del lavoro femminile in questo compito, il fatto che negli animali più evoluti
il figlio finisce di maturare nell’organismo materno. Dopo aver formato il
frutto dalla materia creatrice, maschile e femminile, il soggetto femminile è
ancora teatro della sua evoluzione ulteriore: il corpo della madre è come la
terra-madre, in cui è affondato il figlio-seme che si è formato, per poter
quindi germogliare alla vita dopo essere stato nutrito da lei.
Cade dunque l’immagine dell’uomo che genera e della donna che riceve:
una confusione, involontariamente consolidatasi nell’immaginario, tra il
luogo, il posto per così dire, dove si verifica la germinazione del figlio, e
gli elementi (maschili e femminili) di cui il figlio è composto. Anche la
circostanza, puramente spaziale, che durante l’amplesso il seme maschile
penetra nella donna e che essa lo riceve, favorisce un tale equivoco, mentre
in realtà il corpo della donna costituisce soltanto il luogo d’incontro per
ambo le parti. In verità l’ovulo, quanto a potere di fecondazione, non soltanto
è pari allo spermatozoo, ma sin dall’inizio si è sviluppato in sé dalla formazione di quella cellula germinale che in un primo tempo è stata il veicolo di
tutta la riproduzione ancora “asessuata”. In un certo senso esso rappresenta
l’elemento fondamentale dell’attività riproduttiva, che in quelle forme primitive bastava ancora a moltiplicarle, restringendosi e “segmentandosi” da
sé, finché in seguito, a causa della differenziazione provocata dal processo
evolutivo, si dimostrò necessaria la fusione di citoplasmi differenti, e questo elemento accessorio all’intero processo fu poi fornito dalle cellule
sessuali maschili.
Per il concetto di ovulo cade quindi la necessità della fecondazione, e per
distinguere il medesimo dalla cellula germinale anche dal punto di vista
fisiologico non rimane nessun criterio definitivo […] Ovaie e testicoli non
sono altro che gruppi di cellule provenienti dall’epitelio della cavità del corpo
o della pelle esterna, ma acquisiscono il carattere di organi sessuali con una
differenziazione più progredita soltanto per il contrasto delle cellule sessuali
di specie diversa e per la necessità della loro reciproca azione fecondante.
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Quando la cellula sessuale maschile [...] si stacca, anche nei casi in cui, per
analogia con gli organi sessuali femminili, la struttura dell’organo che produce
le cellule capaci di sviluppo è avanzata, è difficile stabilire se abbiamo a che
fare con un ceppo embrionale o con un animale che si riproduce in modo
asessuale, oppure con una ovaia e con una vera femmina, le cui uova possiedono la capacità di svilupparsi spontaneamente (Dott. Carl F. W. Claus, Tratti
fondamentali di zoologia).
L’ovulo maturo staccato, anche nei vertebrati, sin dall’inizio del processo
riproduttivo e anche senza una precedente fecondazione, mostra un siffatto
rinnovamento e riassetto del protoplasma, mentre la vescicola germinativa
si scioglie nel protoplasma […] Nella riproduzione asessuale questo processo
di rinnovamento può bastare a creare un nuovo organismo. Nella “riproduzione
sessuale” al restringimento dell’ovulo si aggiunge anche il processo della coniugazione o della copulazione di corpuscoli protoplasmatici diversi, mediante
il quale la capacità di sviluppo dell’ovulo, già stimolata dal restringimento,
raggiunge un’intensità sufficiente alla creazione di un nuovo organismo.
[…] Anche la fusione dei nuclei dei blastomeri derivati dalla segmentazione
(nell’uovo non fecondato) deve essere considerata come una coniugazione o
copulazione di diversi corpuscoli protoplasmatici, come una sorta di fecondazione, per cui la riproduzione sessuale sembra ancor più collegata a quella
asessuale. Anche l’uovo non fecondato attraversa le prime fasi dello sviluppo
(segmentazione) in modo regolare, e da questo risulta la grande importanza
del restringimento per l’ovulo […] Durante il restringimento della cellula la
sostanza, per quanto è evidente, rimane la stessa, ma si attua una sua nuova
disposizione, che è il momento decisivo nella formazione di ogni cellula.
Cito questo passo, con minime omissioni, dai noti Elementi fondamentali
della fisiologia dell’uomo di Johannes Ranke, soltanto per illustrare quanto
la concezione fisiologica dei fatti sia in contrasto con l’affermazione che
l’elemento femminile sia un’appendice passiva dell’elemento creativo maschile. Con uguale o anche maggior diritto, in luogo di questa affermazione, si
sarebbe potuto parlare della componente maschile come di quella più bisognosa di congiungimento, più bisognosa in assoluto, più dotata di abnegazione,
la quale viene consumata dall’egoismo femminile che l’accoglie come una
aggiunta positiva per il suo sviluppo; e anche in una trasposizione metaforica
nello psichico, a maggior diritto la psiche maschile si potrebbe riconoscere
nella sua dedizione altruistica a uno scopo al quale si unisce, e la psiche
femminile nella voluttuosa perseveranza in se stessa. Infatti che cosa c’è
alla base di questa sollecita dedizione, di questo essere consumato in forme
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sempre diverse, se non il maggior potere di differenziazione del maschile
rispetto al femminile? Tutta la storia dell’elemento maschile consiste in una
separazione e in una trasformazione continua dell’originario in funzioni
sempre più differenziate, e non è conciliabile con quella avidità della ripetizione creativa del proprio sé, del tenere unite tutte le forze all’interno della
propria produzione, che è tipico di tutto il femminile.
Virchow,43 in un punto dei suoi scritti dove parla delle cellule viventi
che in qualità di cellule madri (matrici) sono in grado di sviluppare nuove
cellule, osserva che “tutte le cellule destinate alle funzioni animali superiori
si dimostrano sterili oppure capaci di proliferare con molta riserva”. Mentre
le “cellule più amorfe” possiedono “una spiccata disposizione a produrre
nuove cellule”.
La minore differenziazione del femminile definisce nel contempo l’essenza
della sua energia creativa, e questo lo si può dimostrare sia nel fisico che
nello psichico. Questo principio femminile è il più autonomo dei due, per
questo deve perseverare nel suo essere, affinché l’altro, il maschile, da lì
possa andare cercando la sua strada nel cammino dell’evoluzione; è l’elemento
al quale l’altro, più differenziato, deve sempre riferirsi, nel quale deve immergersi per poter restare in vita.
Gli errori commessi quanto all’essenza del femminile rivelano in fondo
sempre lo stesso principio, sia che si sottolinei la dipendenza e la passività
femminili, per cui la donna è soltanto l’appendice dell’uomo, sia che si
sottolinei soprattutto l’elemento meramente materno nella donna; infatti
anche il materno, se concepito soltanto come immagine del ricevere passivo
– portare a compimento una gravidanza e partorire – autorizza le medesime
conclusioni sbagliate che si riscontrano dappertutto, persino tra le esponenti
di questa tendenza all’interno del problema femminile. Infatti queste, non
meno delle altre, tendono a ignorare che la donna è anzitutto e soprattutto
qualcosa di totalmente autonomo, che dà quanto l’uomo, e che per lei tutti
gli altri rapporti ne sono la conseguenza. L’unione dei sessi con tutto ciò
che comporta è l’incontro di due mondi, di per sé autonomi, l’uno dei quali
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Rudolf Virchow (Berlino 1821-1902), fisiopatologo tedesco. Contribuì all’elaborazione della
teoria cellulare fondata dai suoi colleghi T. Schwann e M. J. Schleiden. Partì dall’ipotesi della
cellula come sede della malattia, per arrivare a una sorta di vitalismo meccanico. Tale teoria
stimolò un approccio multidisciplinare allo studio della biologia. (N.d.T.)
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tende più alla concentrazione del suo sé, l’altro più alla specializzazione del
suo sé; questo li rende capaci, grazie a tale diversità, di dar vita insieme a
un terzo mondo molto complesso, e di completarsi e di accrescersi l’un
l’altro felicemente anche in tutte le manifestazioni della vita.
Per quanto riguarda l’esperienza materna, nell’ambito fisico, il fertile
contrasto tra le loro nature si manifesta in modo molto evidente e tipico. Da
un lato l’uomo, sebbene sia la parte più aggressiva e intraprendente, ha una
partecipazione solo parziale e momentanea all’intero processo, e la sua
azione consiste in un atto unico nel quale si dà tutto intero, poiché vive una
differenziazione progressiva di tutte le sue energie, che tendono a disperdersi
in prestazioni e attività singole; il suo valore consiste in quello che egli in
tal modo opera e sviluppa. La natura femminile, che in sé è rimasta unitaria,
si ferma e si attiene a ciò che, dopo aver assorbito in sé, ha identificato con
sé; essa completa la sua creazione non con attività singole e specifiche
rivolte a una meta esteriore, bensì concrescendo organicamente con quello
che crea, completandosi in qualche cosa che difficilmente si può ancora
chiamare un’azione, perché consiste nell’emanare e nel diffondere dalla sua
vita attiva e unitaria un’altra vita a sua volta attiva e unitaria.
Dunque, anche nell’esperienza materna, la donna resta il terreno di nutrizione del piccolo doppio germe che porta in sé, e lo lascia libero soltanto
quando non è più una parte, il frutto di un’azione, opera nata dall’esistenza
dei genitori, ma è diventato una vita umana autonoma, perfetta in sé e
capace a sua volta di riprodurne un’altra. Qui il materno è un simbolo della
psiche femminile in tutte le sue manifestazioni e in qualsiasi ambito, poiché
per essa l’essere e l’agire sono connessi molto più intimamente di quanto
possa avvenire nell’uomo, che procede sempre ricercando e dividendosi.
Infatti per essa agire e essere coincidono fino al punto che tutte le sue
azioni, prese l’una dopo l’altra, sono nient’altro che il grande involontario
atto di esistere, e la donna paga il suo tributo alla vita soltanto con quello
che è, non con quello che fa.
Questa differenza tra i sessi implica, in maniera latente, una singolare
duplicità nei loro reciproci rapporti: la donna è a un tempo più dipendente e
più indipendente dall’uomo che non viceversa. Quindi tra i due la donna è
di gran lunga l’essere umano più fisico: vive un contatto molto più diretto e
intimo con la propria natura, e in lei si evidenzia maggiormente rispetto
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all’uomo la realtà, poi valida anche per lui, che tutta la vita spirituale alla
fin fine non è che un’inflorescenza e una raffinata metamorfosi, nata dalla
grande radice sessuale di tutto l’esistente, una sessualità per così dire sublimata. Ma appunto per questo nella donna la vita sessuale, più che come
pulsione isolata, si manifesta in tutto l’essere fisico, la compenetra e la anima
tutta, è uguale alla somma delle manifestazioni della sua femminilità, e quindi
non ha bisogno di pervenire alla coscienza in modo localizzato e specifico,
come avviene nell’uomo.
Così si arriva all’apparente paradosso che la donna, grazie alla sua predisposizione sessuale, è, alla lettera, l’essere meno sensuale dei due. Quindi,
dal punto di vista psicologico, non è sbagliato considerarla, in questo campo,
con criteri di valutazione diversi da quelli usati per l’uomo. Nella donna
devono avvenire trasformazioni più profonde rispetto a quelle dell’uomo
perché a esempio apprenda una connessione così imprecisa, così inafferrabile,
tra il soddisfacimento sessuale e quello di tutto il resto del suo essere, come
è comune e frequente nell’uomo. L’uomo, che può avere un soddisfacimento
rozzo e momentaneo della sua sessualità senza nessun sensibile coinvolgimento del resto dei suoi sentimenti, fa uso a questo scopo – o fa un cattivo
uso, se proprio si vuole – della sua struttura fisica più fortemente differenziata,
cosa che gli rende possibile isolare un’attività in modo tale che tutto il resto
sembra non essere collegato con quell’atto.
Ciò che questo tipo di piacere ha di meccanico, per non dire di automatico,
proprio là dove la nostra sensibilità esigerebbe la presenza delle più intime e
ricche emozioni, conferisce al processo la sua sgradevolezza; una sgradevolezza che comunque è propria a tutti i passaggi e le fasi intermedie di ogni
sviluppo, come qualcosa di sproporzionato e disarmonico. La natura più
indifferenziata della donna, l’esigenza ancora viva in lei di una interazione
intima e intensa di tutte le pulsioni tra loro, assicura all’erotismo femminile
la sua più profonda bellezza: vive l’erotico in modo diverso, il suo corpo e
la sua psiche lo riflettono in modo differente; per questo dev’essere anche
giudicata in altro modo, quando questa bellezza non resta intatta.
Non è casuale che sia proprio la donna a essere così spesso risvegliata al
desiderio sessuale soltanto dalla prima esperienza amorosa, e che essa conosca
una pienezza tanto più ricca di possibilità da poter vivere il suo amore
anche al di fuori dell’esperienza sessuale; la cosiddetta “purezza” della donna
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è stata intesa a torto sempre e soltanto come categoria del tutto negativa,
che per gli spiriti liberi molto spesso ha avuto soltanto sapore di limitazione
artificiosa, di chiusura e di pregiudizio. In realtà la purezza possiede anche
un lato del tutto positivo, e cioè l’unità interiore, sorgente di felicità, che la
donna ha ancora in suo potere, mentre nell’uomo i diversi impulsi dell’anima
e dei sensi si allontanano autonomamente in direzioni sempre più differenziate, come altrettanti tentativi di trovare una strada nel futuro.
A causa di questa mancanza e di questo privilegio, nell’enorme accentuazione che il sessuale acquisisce proprio nella donna, nella più stretta
dipendenza da esso e nella più profonda connessione con esso, la donna
possiede comunque un più alto grado di autonomia nei confronti della pulsione sessuale isolata, e una maggior libertà nei confronti di tutto ciò che è
al di fuori del suo sé. La donna estrinseca dunque la ricchezza del sessuale
vivendolo costantemente nella struttura di tutto il suo essere, come qualcosa
su cui si aprono cento porte d’oro e verso cui portano cento vie gioiose e
solenni; vive una vita, elevata al di sopra di se stessa attraverso la sessualità,
non soltanto in senso strettamente specifico, ma nel senso più ampio e più
generale, anche al di fuori dell’esercizio particolare delle sue funzioni
prettamente femminili e materne. All’interno di queste funzioni lei trasforma
completamente il suo mondo, ma sempre in modo tale che dalla sessualità
del suo corpo rinasce una vita completa, un’esistenza totale in scala ridotta,
a partire dalla quale tutto ridiventa nuovo, infantile e innocente come all’inizio
dei tempi, come nel primo giorno della creazione.
Dal momento che avviene questo, poiché risplende sopra di lei quella
felicità particolare della verginità eterna e della maternità perenne, le parole
“purezza”, “castità” e simili non indicano soltanto qualcosa di negativo, ma
anche il pieno fulgore e la magnificenza compiuta in sé di un mondo che
noi consideriamo in modo troppo unilaterale, se lo vediamo sempre e soltanto con gli occhi dell’individuo sessualmente consapevole. Dal punto di
vista psicologico, l’unione tra la vergine e la madre è interiormente molto più
profonda di quanto possa apparire nel passaggio dalla vergine alla madre. Il
periodo di transizione fra le due fasi, anche quando non sfocia nella
maternità fisica, riceve la sua vita più segreta e più ardente da queste due
possibilità dell’essere fra le quali è sospesa. L’amore dell’uomo trova il suo
contenuto più profondo nella venerazione con la quale egli sente la donna
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circondata da questi due mondi misteriosi, che egli può soltanto intuire, ma
non esperire.
La struttura sessuale della donna è simile alla sua struttura psichica: il
positivo della sua vita non si può riconoscere con precisione, nella sua
interiore efficacia, come per le attività e le prestazioni dell’uomo, il cui
slancio rivolto all’esterno autorizza l’azione rispetto ai bisogni che vi corrispondono. Il fenomeno sessuale in sé è conosciuto fino a oggi soltanto in
modo unilaterale, solo nel suo funzionamento esteriore e dal punto di vista
fisiologico. Quanto agli effetti generati sull’anima, in tutto l’organismo umano,
si è fatta poca luce e solo di recente.
Ma alcuni dati di fatto perlomeno sono sicuri: nel nostro corpo, insieme
alle ghiandole a secrezione esterna, ne esistono alcune che sono state ignorate a lungo, prima che esami clinici rivelassero la loro secrezione interna, e
che di queste cosiddette ghiandole endocrine, dalle quali alcune sostanze
arrivano al sangue assumendo importanza per il metabolismo generale,
fanno parte anche le ghiandole sessuali. Esse (come il pancreas) possiedono
una secrezione doppia, sia interna che esterna, da cui risulta una serie di
fenomeni singolari: a esempio il mantenimento del carattere sessuale intatto
nel caso di una castrazione che annulla soltanto la funzionalità esterna, e in
donne private dell’apparato sessuale interno la guarigione dei disturbi
spesso gravi che ne derivano mediante l’assunzione di estrogeni, sotto forma
di medicinale, ecc. Inoltre, accanto all’importanza delle ghiandole genitali per
il fisico, sappiamo anche che sono molto importanti come tonico per tutto
l’organismo, e che, in un fisico sano, diventano un vero e proprio accumulatore
d’energia per il sistema nervoso. Anzi, non si esclude più l’ipotesi che, a
prescindere dalla loro funzione di tonico generale, le ghiandole sessuali
influenzino direttamente il cervello mediante il sistema nervoso periferico.
E nel vasto ambito dello psichico si comincia soltanto ora ad accumulare
esperienze sul rapporto tra fisico e psichico nella sessualità, per completare
i risultati puramente fisiologici dell’osservazione mediante l’esame e la
illustrazione delle molteplici possibilità psicologiche individuali; e in questo
caso la donna è prezioso materiale di ricerca. Quando a poco a poco si sarà
fatta più luce, ed essa si sarà concentrata in maniera più netta e permetterà
di intraprendere lavori più rigorosi, soltanto allora si chiariranno molti aspetti
della donna in quanto essere sessuale, nella sua totalità.
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