- Tu cancro. Io donna
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- Tu cancro. Io donna
A tu per tu con Noemi Intervista a Noemi Meneguzzo, curatrice della mostra (I parte) Abbiamo appuntamento a casa sua. Ad accogliermi sono due occhi vivaci che fanno capolino dietro a un paio di lenti piccole e rotonde. Mi invita a entrare. La osservo, non vista: capelli rasati, jeans e canotta. E un sorriso inatteso, costante, quasi disarmante. In ogni angolo della casa, minuscola ed essenziale, immagini che la ritraggono, foto di mani, di piedi, di sinuose linee femminili che si mescolano a depliant della mostra. Ci accomodiamo sul sofà e cominciamo a chiacchierare. Chi è Noemi? Una donna di trentanove anni, insegnante, laureata in filosofia. Una “cancer survivor”, che negli Stati Uniti, dove ho vissuto, indica chi ha il cancro, sa di averlo, ed è ancora vivo. Ed essere ancora viva per me significa mettermi alla prova, osare, giocare, provocare... Cosa significa per una donna ammalarsi di cancro? Ammalarsi di cancro mette in evidenza la fragilità della vita e costringe a pensare ai propri valori, a rifondarli ogni giorno, a confrontarsi con le proprie priorità. Ci si chiede “perché a me?”, “il mio Dio esiste?”. Ma c’è anche un’altra questione. C’è una frase di Terzani, nel suo libro Un altro giro di giostra, che continuo a sentire mia, che dice: “Il chirurgo quanti pezzi poteva togliere dal mio corpo senza che scomparissi anch’io?”. Terzani affronta la questione della propria identità attraverso i cambiamenti del corpo e questo è un punto cruciale per una donna che, a causa delle cure, si trova a essere privata, anche se spesso solo momentaneamente, di quelle caratteristiche che “la” definiscono per antonomasia: il seno, i capelli... Una donna deve, allora, intraprendere un percorso che la porta in prima battuta a ri-conoscer-si, in secondo luogo a farsi ri-conoscere dagli altri “nonostante” i nuovi tratti. Si tratta di riscoprire la propria femminilità e di “gridarla” forte. Con uno sguardo. Con una camminata. Con molta ironia. Lo specchio: amico o nemico? Osservatore implacabile dei nostri cambiamenti: i capelli che cadono, i peli che si diradano, le unghie che anneriscono, il viso che si gonfia, la pelle che si macchia. Lo specchio ci guarda quando ci trucchiamo per camuffare i nostri occhi glabri. Vede lo scorrere delle nostre lacrime. E’ lo specchio che scrutiamo con attenzione per capire se la protesi nel reggiseno si muove o se la parrucca si gonfia sulla sommità del capo, o se il foulard scopre troppo la fronte. Specchio, amico o nemico….. Dipende dall’umore e dalla nostra capacità di usarlo come “osservatore” e non come “giudice”. Per me lo specchio è stato un “riflesso dell’anima”, quasi la voce della mia dimensione autentica, nel momento in cui mi sono osservata mentre mi provavo una parrucca e ho avuto la conferma che mi sentivo ridicola, anche se magari non lo sembravo. Dal 6 al 21 ottobre allestirai la mostra fotografica “Tu cancro Io donna. Ammalarsi di femminilità”. Cosa dovrà aspettarsi il visitatore? Più che una mostra fotografica la definirei una “trama di immagini”. Trama perchè evidenzia i fili che percorrono la mia vita, le relazioni con il mio corpo, con i luoghi e gli oggetti che “frequento”, con gli altri. Trama perchè assieme a me è tessuta da tante altre persone, che ringrazio, che gratuitamente hanno dato il loro sostegno all’iniziativa, ognuno mettendo a disposizione le proprie competenze. La “trama di immagini” non è un artifizio estetico, l’obiettivo dell’evento non è l’esibizione di un virtuosismo fotografico, anche se questo non toglie la qualità del lavoro dei fotografi, che si sono resi “strumento” della mia trama e hanno messo le proprie competenze al servizio delle mie idee. Un vero esempio di umiltà. E di grande entusiasmo. Il visitatore farà un percorso assieme a me. Con gli occhi, con il cuore e poi con la testa.