Le norme in materia di separazione dei genitori e affidamento

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Le norme in materia di separazione dei genitori e affidamento
A SSO C I A Z I O N E I TA L I A N A
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A VV O C A TI
PER LA
F A M I G LI A
E PER I
M I N O RI
Le norme in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli
introdotte dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54 1
Avv. Milena Pini
Presidente AIAF Lombardia
Direttore della Rivista dell’AIAF
E’ noto che l’AIAF ha assunto sin dall’inizio una posizione critica rispetto alle diverse proposte di legge relative
all’affidamento condiviso, palesemente viziate da una impostazione che poneva al centro le rivendicazioni degli
adulti, ed in particolare del movimento dei padri separati, anziché i diritti dei minori e le responsabilità dei genitori.
L’AIAF ha peraltro assunto durante il dibattito legislativo sull’affidamento dei figli una posizione di critica
costruttiva, affermando di essere d’accordo con il principio della bigenitorialità, non sottraendosi al confronto con
chi sosteneva la legge, e giungendo persino a proporre – a tutti i parlamentari senza alcuna distinzione partitica –
degli emendamenti legislativi, nell’estremo tentativo di evitare il varo di una legge che già si preannunciava come
lacunosa, di difficile interpretazione ed applicazione, e persino pericolosa, essendo palese la potenzialità di
accentuare la conflittualità genitoriale anziché mediarla.
La legge 8 febbraio 2006 n. 54 che ne è scaturita ha confermato queste nostre preoccupazioni, prevalendo gli
aspetti negativi su quelli positivi dell’affermazione del principio dell’affidamento ad entrambi i genitori, dei criteri
per l’applicazione del principio di proporzionalità nella determinazione del mantenimento, degli accertamenti
patrimoniali a cura della Polizia Tributaria, della equiparazione del figlio maggiorenne portatore di handicap grave
al figlio minorenne in tutte le disposizioni della legge.
Manca nello spirito e nella sostanza della legge 54/06 un’impostazione che privilegi la responsabilità dei genitori, i
diritti soggettivi dei figli, lo sviluppo della responsabilizzazione genitoriale da ricercarsi nel miglioramento della
relazione con l’altro genitore anzichè nella delega al giudice in un ambito giudiziario e contenzioso.
E’ peraltro interessante rilevare la maggioritaria posizione critica nei confronti di questa legge da parte degli
avvocati e dei magistrati, e mi riferisco non solo a coloro che si occupano abitualmente di questa materia, e che con
l’esperienza hanno maturato una formazione che privilegia la gestione del conflitto familiare nell’ottica della
conciliazione e della mediazione.
E’ positivo rilevare che questa “cultura” della gestione del conflitto familiare che tende alla conciliazione – sia in
sede stragiudiziale che giudiziale - è ormai un metodo di lavoro – e un “valore” - acquisito dagli avvocati, a lungo
accusati di essere i fomentatori del contenzioso coniugale per fini economici.
Contro il nostro stesso interesse economico, oggi siamo preoccupati per le conseguenze negative che la legge 54/06
può provocare, in termini di aumento della conflittualità coniugale e genitoriale, di incremento del contenzioso
giudiziario e peggioramento dell’organizzazione giudiziaria, di rottura di equilibri economici e sociali nel nostro
Paese che potrebbe essere causata da un radicale mutamento dell’impostazione degli assetti economici tra i coniugi
e i genitori separati, inerenti il contributo al mantenimento dei figli e del coniuge, e l’assegnazione della casa
coniugale.
Preoccupazione che cresce quando di fronte a interpretazioni e riflessioni di avvocati e magistrati improntate ai
principi della mediazione del conflitto, e quindi anche alla cautela nel dar applicazione alle norme di questa legge,
si leggono in questi giorni – in particolare su una delle più importanti riviste giuridiche (Guida Al Diritto del Sole
24 Ore n. 11/06) - posizioni di due noti giuristi improntate alla più estrema interpretazione della legge 54/06,
secondo le teorie dell’Associazione Crescere Insieme (al cui presidente prof. Maglietta viene affidato l’editoriale
del numero della rivista!) corredate da bozze di atti che possono definirsi, per il loro contenuto, un vero e proprio
incitamento al conflitto, oltre che la negazione del buon senso e dello spirito conciliativo, prima ancora che
aberrazioni giuridiche. Venendo all’esame della legge 54/06, al fine di darne pratica applicazione, è necessario
enucleare le diverse disposizioni e problematiche.
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Intervento tenuto all’incontro di studio promosso dall’AIAF Lombardia, dall’Ordine degli Avvocati di Varese e dalla
Presidenza del Tribunale di Varese, il 24.3.06 a Varese, e all’incontro di studio promosso dall’Associazione GeA in
collaborazione con l’AIAF Lombardia a Milano il 4.4.06
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Indice
1. L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
A. IL PRINCIPIO DI BIGENITORIALITA’ - L’AFFIDAMENTO CONDIVISO - IL COLLOCAMENTO
B. L’ESERCIZIO DELLA POTESTA’
C. IL MANTENIMENTO DEI RAPPORTI CON GLI ASCENDENTI E I PARENTI
D. L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO
2. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI
A. MANTENIMENTO IN VIA DIRETTA O A MEZZO ASSEGNO PERIODICO
B. CRITERI DI ADEGUAMENTO DELL’ASSEGNO
C. ACCERTAMENTO A MEZZO DELLA POLIZIA TRIBUTARIA
D. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI E PORTATORI DI HANDICAP
3. L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
A. I CRITERI DELL’ASSEGNAZIONE
B. LA TRASCRIZIONE DEL PROVVEDIMENTO
C. IL CAMBIAMENTO DI RESIDENZA
4. I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
A. I PROVVEDIMENTI RELATIVI ALL’AFFIDAMENTO E LA MOTIVAZIONE
B. L’ASSUNZIONE DEI MEZZI DI PROVA IN SEDE PRESIDENZIALE e L’AUDIZIONE DEL MINORE
5. LA MEDIAZIONE FAMILIARE
6. GLI ACCORDI DI SEPARAZIONE CONSENSUALE
7. L’ACCORDO SULLE DECISIONI DI MAGGIORE INTERESSE PER I FIGLI E L’INTERVENTO DEL
GIUDICE
8. IL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI EX ART. 708 C.P.C.
9. LA MODIFICA DEL PROVVEDIMENTO DI AFFIDAMENTO
10. LA REVISIONE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
11. MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
A. LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE IN ORDINE ALL’ESERCIZIO DELLA POTESTÀ GENITORIALE O DELLE
MODALITÀ DELL’AFFIDAMENTO E INADEMPIMENTO DEGLI OBBLIGHI DA PARTE DEL GENITORE
B. LA COMPETENZA
C. L’APPLICABILITA’ AI PROCEDIMENTI RELATIVI AI FIGLI NATURALI
1. L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
Legge 8 febbraio 2006, n. 54 "Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento
condiviso dei figli"
Art. 1. - (Modifiche al codice civile)
1. L’articolo 155 del codice civile è sostituito dal seguente:
Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli).
1. Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un
rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da
entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo
genitoriale.
2. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale
dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e
materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i
genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non
contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento
relativo alla prole.
3. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle
capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è
rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può
stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
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……….
Art. 155-bis. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso
1. Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con
provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
A. IL PRINCIPIO DI BIGENITORIALITA’ - L’AFFIDAMENTO CONDIVISO - IL COLLOCAMENTO
La legge si richiama all’interesse del minore, affermando l’esistenza di un suo diritto alla bigenitorialità, e
cioè a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, a ricevere cura,
educazione e istruzione da entrambi, e impone al giudice di valutare prioritariamente la possibilità che i
figli minori restino affidati a entrambi i genitori.
La legge non dà una precisa definizione dell’affidamento condiviso, né di quello esclusivo (che non è più
connotato dall’esercizio esclusivo della potestà), e non fa più menzione dell’affidamento congiunto e
dell’affidamento alternato che erano previsti dal comma 2 dell’art. 6 legge 1.12.1970 n. 898 e
dell’affidamento ai terzi, qualora vi sia impossibilità di affidamento ai genitori.
Nel testo non viene indicato come debba essere regolato l’affidamento condiviso, né dove i figli debbano
risiedere; la previsione che il giudice determina i tempi e le modalità della presenza dei figli presso
ciascun genitore dà però la sgradevole sensazione che la finalità non sia quella di condividere la
responsabilità di essere genitori, bensì di spartirsi un potere.
La norma, così come tutta la legge 54/06, si ispira ad un criterio di spartizione più che di condivisione,
sia per quanto attiene le relazioni personali, affettive e di comunicazione, che le questioni economiche, e
ciò comporterà maggiori difficoltà nella ricerca di un accordo tra i genitori. Anche lo strumento della
mediazione familiare non sembra agevolato dal contesto di rigide disposizioni della legge che non
favoriscono tra le parti la fiducia e la collaborazione reciproca, bensì il controllo e la rivendicazione di
propri autonomi spazi.
Questa errata impostazione non può che provocare provvedimenti giudiziari precisi e specifici rispetto
ad ogni questione attinente i rapporti personali ed economici delle parti, sicuramente meno elastici e
generici che in precedenza.
Si è pertanto costretti ad auspicare che il giudice precisi sempre presso quale genitore debba essere
collocato il minore, così come la regolamentazione degli incontri del genitore non convivente con
figli, in modo più o meno elastico a seconda dei casi.
Analogamente il giudice dovrà determinare i periodi più o meno lunghi che i figli trascorreranno
presso l’uno e l’altro genitore, tenendo conto della loro età e delle loro esigenze, e tenendo altresì
presente le esperienze negative per i figli e le conseguenti posizioni critiche degli psicologi che sono
emerse in passato sull’affidamento alternato (stante l’esigenza per un minore di avere precisi punti
di riferimento, anche abitativi).
A proposito di collocamento e di affidamento alternato, non si può quindi che criticare decisamente
l’impostazione che ritiene applicabile quale primaria regola generale l’affidamento alternato dei figli (ad
esempio per un mese presso l’uno e l’altro genitore alternativamente), con la conseguenza di ritenere
necessario un “ricorso contro l’affidamento alternato” per ottenere lo stabile collocamento del minore
presso un genitore. La bozza di un simile ricorso pubblicata da Guida Al Diritto n. 11/06 p. 28 è un
insulto al buon senso, e si auspica che giudici e colleghi non seguano una tale demenziale impostazione,
onde evitare a minori, di varie fasce di età, probabili disturbi nello sviluppo psico-fisico.
B. L’ESERCIZIO DELLA POTESTA’
Il comma 3 del novellato art 155 c.c. afferma che la potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori,
i quali devono assumere di comune accordo le decisioni di maggiore interesse per i figli relative
all’istruzione, all’educazione e alla salute, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle
aspirazioni dei figli.
Ciò fa ritenere che la legge sottolinei una distinzione tra affidamento dei figli minori ed esercizio della
potestà, in quanto sia nell’ipotesi di affidamento ad entrambi i genitori che nell’ipotesi di
affidamento ad uno solo dei genitori è stato posto il principio che “la potestà genitoriale è esercitata
da entrambi i genitori” e solo “limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria
amministrazione il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente”.
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La legge quindi esclude in ogni caso l’esercizio esclusivo della potestà in capo ad un genitore.
E’ invece possibile l’esercizio disgiunto della potestà esercitato dai due genitori.
La legge fa riferimento a “questioni di ordinaria amministrazione”, e potrebbe essere intesa sia nel senso
di una ripartizione tra ordinaria (spettante ad un genitore) e straordinaria amministrazione (spettante ad
entrambi), che nel senso di ripartire l’ordinaria amministrazione per tipologia di intervento (scuola,
salute,sport, etc.).
Vi è già chi puntualizza che “una delle più grandi novità dell’affidamento condiviso rispetto
all’affidamento congiunto è proprio la possibilità di stabilire l’esercizio separato della potestà per
affrontare tutte quelle situazioni in cui la mancanza di collaborazione renderebbe difficoltoso l’esercizio
congiunto della potestà. .. Proprio nell’ordinaria amministrazione ciascun genitore potrà gestire il
figlio senza le interferenze dell’altro, come avviene con l’affidamento esclusivo…” (Maglietta, Guida
Al Diritto n. 11/06, p. 12).
Tale previsione normativa è l’affermaziome contraria della collaborazione genitoriale, ed è comunque
giuridicamente anomala se si tiene presente che ai sensi dell’art. 316 c.c. la titolarità della potestà spetta come normale regola - congiuntamente ai due genitori ed è esercitata di comune accordo da entrambi.
Tale principio importa che tutte le decisioni riguardanti la prole e che attuano il contenuto della potestà
vanno prese d’accordo e non è ammissibile una decisione disgiunta, anche se l’attuazione concreta delle
decisioni può essere curata da uno solo dei genitori, sempre che si rispettino le scelte concordate. In caso
di contrasto il 3° comma dell’art. 316 c.c. prevede la possibilità che sulle questioni di particolare
importanza ciascuno dei coniugi ricorra al Giudice Tutelare, il quale suggerisce le determinazioni che
ritiene più utili e, se il contrasto permane, attribuisce il potere di decisione a quello dei genitori che nel
singolo caso ritiene il più idoneo a curare l’interesse del figlio.
L’art. 317, comma 2, c.c. stabilisce poi che quando i figli vengono affidati ad uno dei genitori a seguito
della separazione, la potestà comune dei genitori non cessa, e l’esercizio della potestà è regolato secondo
l’art. 155 c.c.. .
Con la legge 54/06 è ora pacifico che la separazione non incide sull’esercizio della potestà, in quanto
non determina mai la concentrazione dell’esercizio della potestà su un unico genitore, ma può solo
eventualmente produrre, ove il Giudice lo ritenga opportuno, l’esercizio separato della potestà su
questioni di ordinaria amministrazione, anche al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 317 c.c.
(allontanamento, incapacità o altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio
della potestà), valendo in tutti gli altri casi i principi affermati in via generale dall’art. 316 c.c., che
assume, pertanto, una portata generale.
La distinzione tra affidamento del figlio minore ad uno o ad entrambi i genitori ed esercizio della
potestà genitoriale da parte di entrambi i genitori in ogni caso, fa ritenere che il provvedimento di
affidamento assuma un significato diverso da quello che aveva in precedenza, finendo
sostanzialmente per coincidere con il collocamento del minore presso l’uno o l’altro genitore.
E’ infine da rilevare che la legge 54/06 fa venir meno la previsione dell’art. 317 bis 2 comma c.c.,
laddove si afferma, nel caso della filiazione naturale, che “... se i genitori non convivono l’esercizio
della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ...”.
Ne consegue che l’esercizio della potestà sui figli naturali, in qualsiasi caso, è ora regolamentato
dall’art. 155 c.c. come novellato dalla legge 54/06.
C. IL MANTENIMENTO DEI RAPPORTI CON GLI ASCENDENTI E I PARENTI
I problemi che possono emergere si pongono soprattutto sotto un profilo “relazionale”, più che giuridico,
ben sapendo quanto “contano” le rispettive famiglie al momento della separazione dei coniugi.
Il riconoscimento del diritto dei minori di conservare “rapporti significativi” con gli ascendenti e con i
parenti di ciascun ramo genitoriale non sembra infatti comportare una legittimazione attiva da parte di
costoro, tale da rendere ammissibile un loro intervento nel procedimento di separazione o divorzio.
Solo i genitori sono legittimati a far valere in giudizio questo diritto del minore, e si ritiene opportuno che
il giudice assuma provvedimenti, in relazione a richieste di tempi di visita riservati alle famiglie d’origine
dei due genitori, tenendo conto, nello specifico caso, delle relazioni affettive tra il minore e queste.
E’ infatti da tener presente che secondo quanto disposto dalla legge 54/06 la suddivisione del tempo che i
figli trascorreranno presso l’uno e l’altro genitore non sembra più essere connotata dalla personale
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presenza del genitore, potendo questi – nello spirito della legge – delegare la cura e gestione dei figli che
gli sono affidati per un determinato periodo ai propri ascendenti o persino ai propri parenti.
Ma ci si chiede: fino a quale grado di parentela? il giudice dovrà effettuare a priori una verifica circa la
sussistenza o meno dei rapporti affettivi significativi? Il giudice potrà, una volta accertato che tali rapporti
affettivi di fatto sono inesistenti o non graditi al minore, limitare tali frequentazioni?
Come già si è detto, si ritiene opportuno che il giudice accerti lo stato delle relazioni affettive dei minori
con gli ascendenti e i parenti, ed in caso di conflittualità accesa tra i genitori che fa ritenere che tale
conflittualità sussista anche rispetto alle famiglie d’origine, disponga opportuni provvedimenti di
eventuale limitazione delle visite, o di interventi di sostegno e verifica dei servizi sociali, o suggerisca una
mediazione familiare allargata alle famiglie d’origine.
D. L’AFFIDAMENTO ESCLUSIVO
L’affidamento condiviso non è obbligatorio né automatico, bensì oggetto di valutazione da parte del
giudice, che rispetto al passato deve però ora motivare la scelta dell’affidamento esclusivo ad un
genitore, che potrà essere disposto qualora si ritenga che l’affidamento all’altro sia contrario
all’interesse del minore. Tale contrarietà non potrà però essere individuata in una normale
conflittualità tra i genitori, come prima accadeva, e dovrà essere individuata in fatti e
comportamenti specifici che per la loro gravità sconsiglino l’affidamento condiviso.
Il Giudice dovrà comunque, come criterio principale, adottare i provvedimenti relativi alla prole con
esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di questa, valutando fatti e comportamenti dei
genitori che possono far ritenere preferibile l’affidamento esclusivo. L’accertamento di tali fatti e
comportamenti potrà avvenire anche in sede di udienza presidenziale, e ne consegue che gli atti
introduttivi del giudizio dovranno contenere una precisa, completa e documentata esposizione della
situazione familiare e coniugale (al contrario di quanto dispone la legge 80/05).
La decisione di disporre l’affidamento esclusivo può anche spettare d’ufficio al giudice, non essendo
necessaria l’istanza del genitore, laddove se ne ravvisi la necessità o opportunità.
La domanda di affidamento esclusivo potrà inoltre essere formulata in qualsiasi momento, laddove
emerga la necessità di intervenire per disciplinare in modo diverso le modalità di affidamento o
dell’esercizio della potestà.
2. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI
Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli).
…………
4. Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al
mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la
corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da
determinare considerando:
1) le attuali esigenze del figlio;
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle
parti o dal giudice.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente
documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto
della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
A. MANTENIMENTO IN VIA DIRETTA O A MEZZO ASSEGNO PERIODICO
Dal tenore letterale del comma 4 dell’art. 155 c.c. si rileva l’obbligo dei genitori al mantenimento dei
figli, ma il giudice stabilisce la corresponsione dell’assegno periodico solo ove necessario, al fine di
realizzare il principio di proporzionalità, che è riferito al reddito di ciascun genitore e tiene conto
dei seguenti criteri indicati dalla norma:
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1) le attuali esigenze del figlio (fermo restando quanto disposto dall’art. 30 Cost. e 147 c.c.);
2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore (potrà comportare, laddove disposto un assegno
periodico di mantenimento, una riduzione dell’importo o la sospensione del pagamento durante i periodi
trascorsi con il genitore presso cui il figlio non vive abitualmente, ad esempio durante le vacanze estive o
invernali);
4) le risorse economiche di entrambi i genitori;
5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore (si potrà far
riferimento al valore del lavoro casalingo, laddove concordato in costanza di convivenza ex art. 144 c.c.;
alla scelta del lavoro parti time per meglio curare e seguire i figli, in considerazione della loro diversa età;
all’esigenza della spesa di una collaboratrice domestica o di una baby sitter, considerato le esigenze del
minore e il tenore di vita pregresso; etc.).
La norma non precisa come vadano suddivisi tra i genitori gli oneri del mantenimento, in caso di
contributo in via diretta, né a quale criterio si debba attenere il giudice nel determinare il
contributo (anche se va rilevato a tale proposito che non sono stati modificati gli artt. 147 e 148 c.c.).
Tenendo però presente che la perequazione aveva un senso nei precedenti progetti di legge che
prevedevano la divisione degli oneri economici tra i genitori per capitoli di spesa con una integrazione per
il genitore più debole al fine di consentirgli il pagamento delle spese a suo carico, e che nella legge 54/06
questa previsione non esiste più e le modalità di suddivisione degli oneri non sono regolate, di
conseguenza l’assegno dovrebbe svolgere la medesima funzione che ha sempre avuto sino ad oggi.
Si dovrà quindi tenere presente quanto disposto dall’art. 30 Cost. e dall’art. 147 c.c. circa il dovere dei
genitori di provvedere al mantenimento, istruzione ed educazione della prole, e quindi di far fronte a una
molteplicità di esigenze dei figli, non riconducibili al solo obbligo alimentare ma inevitabilmente estese
all'aspetto abitativo, scolastico, sportivo, sanitario, sociale, all'assistenza morale e materiale, all'adeguata
predisposizione, fin quando la loro età lo richieda, di una stabile organizzazione domestica, idonea a
rispondere a tutte le necessità di cura ed educazione.
Ne consegue che i criteri elencati nel comma 4 dell’art. 155 c.c. devono essere considerati dei parametri
di riferimento destinati ad integrare e non certamente a sostituire quelli di cui agli artt. 147 e 148 c.c..
Conservano, pertanto, piena validità i principi giurisprudenziali sin qui elaborati, con specifico
riferimento alla rilevanza della complessiva situazione patrimoniale dei genitori (ogni forma di reddito,
compresi gli utili derivanti da investimenti di capitali e dal valore intrinseco degli immobili anche se
improduttivi); e viceversa all’irrilevanza della mancata occupazione lavorativa del genitore ai fini della
contribuzione al mantenimento dei figli dovendosi tenere conto della complessiva situazione patrimoniale
dell’obbligato, etc.
Laddove il giudice disporrà il mantenimento diretto da parte di ciascun genitore dovranno essere ben
precisate le tipologie di spese ordinarie e straordinarie che spetteranno all’uno e all’altro, e dovrà
anche essere prevista una disposizione che legittima il genitore che effettua una spesa che sarebbe
spettata all’altro, inadempiente, al recupero di detto importo. Potrebbe essere stabilito un tempo
massimo, dai dieci ai trenta giorni, per effettuare una determinata spesa nell’interesse del figlio, trascorso
il quale se il genitore rimane inadempiente, l’altro è legittimato a procedere in sua vece.
Dovrà ugualmente essere effettuato un controllo da parte del giudice sulle domande del genitore tese
ad avere con sè i figli per un periodo di tempo molto lungo durante l’estate, affinchè tale domanda
non costituisca solo un pretesto per la riduzione dell’assegno o la sospensione del versamento durante tale
periodo. Ad esempio si ritiene opportuno che il genitore espliciti il suo impegno a far trascorrere, laddove
le disponibilità economiche lo consentano, al figlio un periodo in un luogo di vacanza, con la sua
presenza, almeno per la maggior parte di detto periodo.
Le difficoltà di gestione pratica del sistema del mantenimento diretto del figlio, qui solo accennate
ma che appaiono già sin d’ora evidenti, fanno ritenere opportuno il proseguimento della modalità
di corresponsione periodica del mantenimento per dodici mensilità.
Dovranno in ogni caso essere elencate nel provvedimento le diverse tipologie di spese straordinarie
che i genitori dovranno dividere a metà, in termini di suddivisione dell’importo o di capitoli di
spesa.
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Quanto alla previsione del mantenimento dei figli regolamentato mediante accordi sottoscritti dalle
parti secondo modalità che non rispettino il principio di proporzionalità, occorrerà un’attento controllo da
parte del giudice e del PM, stante la necessità di salvaguardare in ogni caso l’interesse dei minori, e
quindi una conseguente limitata autonomia dei genitori in materia.
La giurisprudenza ha, in proposito, affermato che è nulla la rinuncia all’assegno di mantenimento dei figli
anche se maggiorenni e, più in generale, che il Giudice non è vincolato all’accordo dei coniugi o ad una
loro domanda, ma è titolare di un potere dovere di determinare la misura del contributo a tutela dei
minori.
Il Giudice prenderà atto degli accordi intervenuti tra i genitori solo se non sono contrari ai diritti
dei figli, ex art. 30 Cost. e 147 c.c.
B. CRITERI DI ADEGUAMENTO DELL’ASSEGNO
L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti
o dal giudice.
Quanto ai parametri diversi dagli indici ISTAT per l’adeguamento dell’assegno, in passato la
giurisprudenza di legittimità aveva affermato il principio secondo cui, nel fissare la misura dell'assegno di
mantenimento relativo ai figli ed a carico del coniuge divorziato non affidatario degli stessi, non fosse
consentita l'adozione di criteri che potessero determinare, in concreto, adeguamenti automatici annuali di
minore entità rispetto a quelli conseguibili attraverso l'applicazione degli indici monetari ISTAT, quale,
ad esempio, l'aggancio all'incremento delle retribuzioni del coniuge obbligato (Cass. 3.11.1994 n. 9047).
La nuova formulazione normativa non sembra che superi tale principio, poiché la necessità di
salvaguardare in ogni caso l’interesse dei figli impone di escludere criteri di adeguamento
automatico meno vantaggiosi per il beneficiario di quello legislativamente determinato.
C. ACCERTAMENTO A MEZZO DELLA POLIZIA TRIBUTARIA
L’art. 155 comma 4 c.c. prevede che qualora le informazioni di carattere economico fornite dai genitori
non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui
redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.
Viene quindi riconosciuta la possibilità di svolgere indagini anche su beni intestati a soggetti diversi
(familiari, conviventi, soci, etc.).
L’accertamento viene quindi ora disposto per legge anche nel caso della separazione personale; sarà
disposto dal giudice istruttore, in quanto l’art. 155 sexies c.c. prevede la possibilità che il presidente
assuma mezzi di prova solo in funzione dei provvedimenti relativi ai figli.
Il problema – ad oggi non risolto – è il contenuto dell’accertamento, nonchè la disponibilità della Polizia
tributaria ad effettuare accertamenti non solo documentali, facilmente accessibili anche per la parte, bensì
su indici significativi del tenore di vita.
D. IL MANTENIMENTO DEI FIGLI MAGGIORENNI E PORTATORI DI HANDICAP
Art. 155-quinquies. – (Disposizioni in favore dei figli maggiorenni).
Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti
economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del
giudice, è versato direttamente all’avente diritto.
Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio
1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.
La norma riconferma il costante orientamento della Cassazione, che ha sin qui ribadito che l'obbligo dei
genitori di concorrere tra loro, secondo le regole di cui all'art. 148 c.c., al mantenimento dei figli non
cessa automaticamente con il raggiungimento, da parte di questi, della maggiore età, ma persiste finché il
figlio stesso non abbia raggiunto l'indipendenza economica (o sia stato avviato ad attività lavorativa con
concreta prospettiva di indipendenza economica), ovvero finché non sia provato che, posto nelle concrete
condizioni per poter addivenire alla autosufficienza economica, egli non ne abbia, poi, tratto profitto per
sua colpa.
L’art. 155 quinquies c.c. prevede però come regola principale che l’assegno sia versato direttamente al
figlio, salva diversa determinazione del giudice.
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In precedenza, il coniuge separato o divorziato era legittimato ad ottenere iure proprio dall'altro coniuge
un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente e non ancora in grado di
procurarsi autonomi mezzi di sostentamento. Conseguentemente, si riteneva anche che l’obbligo di
corresponsione dell’assegno in favore del coniuge affidatario a titolo di contributo per il mantenimento
dei figli non cessasse con il conseguimento della maggiore età da parte dei figli. Si era, anzi, osservato
che il diritto a percepire gli assegni di mantenimento riconosciuti, in sede di separazione, con sentenze
passate in giudicato, avrebbe potuto essere modificato o estinguersi, solo attraverso la procedura prevista
dall'art. 710 c.p.c. con la conseguenza che la raggiunta maggiore età del figlio e la raggiunta
autosufficienza economica del medesimo non sono condizioni sufficienti a legittimare, ipso fatto, in
mancanza di un accertamento giudiziale, la mancata corresponsione dell'assegno (Cass. civ., sez. I,
04.04.2005, n. 6975).
La nuova normativa, viceversa, pur non eliminando la possibilità per il Giudice di disporre che il
versamento dell’assegno venga effettuato in favore del coniuge, ha eliminato il precedente automatismo
ed ha introdotto un diverso meccanismo di portata generale che non sembra, comunque, far venir meno la
legittimazione del coniuge a richiedere in giudizio l’assegno per il mantenimento dei figli maggiorenni.
Sembra corretto distinguere tra legittimazione del coniuge a far valere nel giudizio di separazione e
divorzio la carenza di indipendenza economica del figlio maggiorenne convivente al fine di far porre a
carico del genitore non convivente un contributo al suo mantenimento, e modalità di versamento
dell’assegno, direttamente al figlio.
In ogni caso la norma non prevede una legittimazione del figlio in via esclusiva, nè un intervento
diretto del figlio nel procedimento, così che non sembra necessario abbandonare le linee tracciate
dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Da tener presente che secondo una diversa interpretazione (M. Finocchiaro, su Guida Al Diritto n. 11/06,
p. 41-42) non vi sarebbe alcun dubbio che ora l’obbligo del genitore cessi ope legis al momento del
raggiungimento della maggiore età del figlio, il quale è esclusivamente legittimato a far valere le proprie
pretese, anche in giudizio. Richiamandosi all’art. 81 cpc (“Fuori dei casi espressamente previsti dalla
legge nessuno può far valere nel processo in nome proprio un diritto altrui”) M. Finocchiaro nega che in
tale ipotesi il genitore convivente con il figlio non autonomo abbia legittimazione a promuovere il
giudizio e a richiedere l’assegno. Lo stesso Autore ritiene possibile solo un giudizio autonomo (dal
procedimento di separazione e divorzio) promosso direttamente dal figlio (contro uno o entrambi i
genitori?).
Non si ritiene condivisibile una tale interpretazione della norma, fondata su una palese sfiducia del
genitore onerato del contributo nei confronti del genitore con il quale il figlio convive, e che induce a
sviluppare sentimenti e relazioni negative tra le parti e i figli, oltre ad avere una valenza diseducativa per
costoro..
3. L’ASSEGNAZIONE DELLA CASA CONIUGALE
Art. 155-quater. – (Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza).
Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori,
considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel
caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more
uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono
trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643.
Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il
mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei
provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici.
A. I CRITERI DELL’ASSEGNAZIONE
L’assegnazione è disposta tenendo conto dell’interesse dei figli, ma è svincolata dall’affidamento.
La norma ha già suscitato molte critiche perché l’interesse dei figli viene sacrificato a quello del genitore
non convivente, dato che il diritto all’assegnazione della casa coniugale viene meno quando l’altro
genitore non abiti più stabilmente nella casa o vi abiti con un nuovo compagno o con un nuovo marito:
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disposizione che inquina sin dall’origine l’interesse protetto e che modifica, quindi, il concetto stesso di
assegnazione nel prevalente interesse del figlio anche in assenza di conviventi e di nuovi mariti.
L’automatismo stabilito dalla nuova legge impedisce peraltro qualsiasi valutazione delle concrete
circostanze del caso e fa sorgere seri dubbi di costituzionalità.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori,
considerato l’eventuale titolo di proprietà; si è così ribadito che l’assegnazione della casa coniugale ha
un valore economico e può diventare anche strumento a garanzia di un equilibrio delle condizioni
economiche dei coniugi. In ogni caso già in passato si teneva conto dell’assegnazione della casa
coniugale (specie se in comproprietà o in proprietà esclusiva del genitore non assegnatario) ai fini della
determinazione del contributo al mantenimento della prole.
Non può tacersi peraltro che le disposizioni di natura economica previste dalla legge 54/06 circa il
mantenimento dei figli e l’assegnazione della casa coniugale, potrebbero comportare un
significativo aumento delle domande di riconoscimento dell’assegno di mantenimento da parte del
coniuge economicamente più debole, ovvero la donna.
Se si tiene presente che nell’ultimo decennio si era assistito ad una tendenza che vedeva la diminuzione
delle domande di assegno di mantenimento da parte del coniuge economicamente più debole, compensate
da equi assegni a favore dei figli e dall’assegnazione della casa coniugale, è evidente che la nuova legge
rischia di innescare pericolose involuzioni negli equilibri sociali ed economici del nostro Paese.
B. LA TRASCRIZIONE DEL PROVVEDIMENTO
Quanto alla trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa, il richiamo dell’art. 2643 c.c. e
non più all’art. 1599, nonostante l’orientamento giurisprudenziale sin qui elaborato, comporta che
l’opponibilità ai terzi (in caso di alienazione del bene a loro favore) non possa essere neppure novennale
ove il diritto non sia stato trascritto, mentre nel conflitto tra l’assegnatario e l’eventuale terzo acquirente è
destinato a prevalere colui che abbia anteriormente provveduto a trascrivere il proprio titolo.
Occorrerà quindi trascrivere sempre il provvedimento di assegnazione della casa, specie ove
l’immobile assegnato sia di proprietà esclusiva dell’altro, al fine della opponibilità del
provvedimento ai terzi in tutti i casi, anche limitatamente al periodo di nove anni.
C. IL CAMBIAMENTO DI RESIDENZA
L’art. 155 quater, secondo comma, c.c. prevede che nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza
o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità
dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli
economici.
Anche in passato era possibile instaurare un giudizio di modifica, laddove si verificavano nuove
situazioni di fatto. La scelta di dare rilievo a tali circostanze, soprattutto con una previsione di
“condanna economica”, fa parte della “filosofia” di questa legge, fondata sulla rivendicazione di
spazi di potere di un coniuge sull’altro.
E’ una delle questioni che probabilmente creerà un incremento del contenzioso.
4. I PROVVEDIMENTI DEL GIUDICE
«Art. 155. – (Provvedimenti riguardo ai figli)
……….
2. Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale
dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e
materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i
genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro
presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve
contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non
contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento
relativo alla prole.
3. La potestà genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli
relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle
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capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è
rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può
stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.
4. ….. il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare
il principio di proporzionalità, da determinare considerando:……..
…………
6.
Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente
documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto
della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi».
«Art. 155-bis. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso).
Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con
provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.
Art. 155-sexies. – (Poteri del giudice e ascolto del minore).
Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può
assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio
minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare
l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti,
tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse
morale e materiale dei figli».
A. I PROVVEDIMENTI RELATIVI ALL’AFFIDAMENTO E LA MOTIVAZIONE
Essendosi ribaltato il sistema dell’affidamento, la ricaduta immediata sarà quella di un maggiore obbligo
di motivazione.
Ci si chiede se la motivazione sia sempre necessaria, o solo quando si effettua la scelta dell’affidamento
esclusivo.
Al riguardo va tenuta presente la facoltà delle parti di reclamare i provvedimenti ex art. 708 cpc, e
quindi si rende conseguentemente necessario che il giudice laddove provveda sul contrasto di
domande relative all’affidamento dei figli, motivi sempre il provvedimento che assume, che si tratti
di affidamento ad entrambi o ad uno solo dei genitori.
B. L’ASSUNZIONE DEI MEZZI DI PROVA IN SEDE PRESIDENZIALE e L’AUDIZIONE DEL
MINORE
L’art. 155 sexies c.c. prevede la possibilità per il presidente di assumere mezzi di prova anche prima
dell’emanazione dei provvedimenti provvisori relativi solo ai figli, e ciò sia su istanza di parte che
d’ufficio.
Lo stesso articolo prevede l’audizione del figlio ultradodicenne e di età anche inferiore purché
dotato di discernimento, ma nonostante l’uso del verbo “dispone” tale audizione è da ritenersi
necessaria solo laddove, nei procedimenti contenziosi, si verifichi un contrasto tra i genitori, circa
l’affidamento o il collocamento o le modalità di incontro con il genitore, e non come regola.
Qualora si dovesse intendere la norma come rigida applicazione delle Convenzioni internazionali (già la
Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20.12.1989 ratificata dalla legge 26.05.1991 n. 176
e la Convenzione Europea di Strasburgo del 19.04.1996 sull’esercizio dei diritti dei bambini avevano
affermato il carattere doveroso di sentire l’opinione del minore che sia capace di discernimento su ogni
questione che lo riguardi) e prevedere sempre e in ogni caso l’audizione del minore, sorgeranno rilevanti
problemi di natura organizzativa degli uffici giudiziari, attualmente non idonei per tali incombenti.
L’ascolto del minore prevede infatti tempi, logistica e modalità di ascolto che devono garantire la
serenità dello stesso minore, e nel contempo devono comportare oggettività e utilità delle risultanze
dell’audizione.
L’AIAF Lombardia sta predisponendo, insieme alla Camera Minorile di Milano, una bozza di protocollo
d’intesa con i magistrati, che porterà alla loro attenzione, così come a conoscenza di tutti i Colleghi, per
un confronto ed una comune intesa sulle modalità operative.
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L’AIAF è comunque contraria a che i minori vengano sentiti dai servizi sociali o da mediatori
familiari, e ritiene che l’audizione possa avvenire solo da parte dello stesso giudice o da CTU dallo
stesso delegato.
5. LA MEDIAZIONE FAMILIARE
L’art. 155 sexies, secondo comma, c.c. inserisce la mediazione familiare nell’impianto normativo della
separazione e del divorzio, nonchè nei procedimenti di affidamento dei figli naturali.
Qualora ritenuta utile e condivisa da entrambi i coniugi, la mediazione familiare potrà anche essere
disposta in sede di udienza presidenziale; occorrerà però che il Presidente tenga presente il caso specifico
e l’eventuale particolare urgenza di provvedimenti, nell’interesse degli stessi figli.
Resta da verificare nella pratica se vi sarà o meno un incremento del ricorso alla mediazione familiare, in
quali fasi del giudizio, con quali modalità di invio da parte del giudice e degli avvocati, e con quali
risultati.
Non si può nascondere che la mediazione familiare viene inserita in un contesto giudiziario che la legge
54/06 ha reso più rigido e contenzioso, e nelle intenzioni dei “padri” di questa legge sembra divenuta
soprattutto uno strumento per costringere l’altro genitore ad accettare quanto ivi “obbligatoriamente”
prescritto in termini di affidamento condiviso (o meglio alternato) e di mantenimento diretto dei figli
(vedasi editoriale di Maglietta sul Guida Al Diritto n.11/06).
6. GLI ACCORDI DI SEPARAZIONE CONSENSUALE
La legge 54/06 recita che il giudice “prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi
intervenuti tra i genitori “.
Ci si chiede quindi se sia ammissibile un accordo tra le parti che preveda l’affidamento esclusivo ad un
genitore, o altre prescrizioni contrarie o diverse a quanto disposto dalla legge 54/06.
Ad esempio già una parte della dottrina (che si auspica rimanga minoritaria) sostiene che “non saranno
omologabili eventuali accordi tra i genitori prevedenti il divieto di far frequentare al minore i parenti
dell’uno o dell’altro genitore” né potranno essere inibite le richieste di ascendenti e parenti di avere
rapporti significativi con i nipoti (M.Finocchiaro, Guida al Diritto, “Non omologabili gli accordi che
escludono i nonni”, n. 11/06, p. 27).
L’autonomia negoziale dei coniugi-genitori deve però essere salvaguardata e non si ritiene legittimo
un controllo del Collegio o del PM in sede di omologa, che possa imporre alle parti differenti
soluzioni, fatti salvi i casi in cui gli accordi siano palesemente contrari all’interesse del minore o
all’ordine pubblico.
Sarà però necessario, o quanto meno opportuno, specificare nella premessa del ricorso di
separazione consensuale o di divorzio congiunto, e del conseguente verbale ex art. 711 cpc come
nella sentenza di divorzio che recepisce l’accordo delle parti:
*il motivo per cui, nell’interesse del minore, si opta per l’affidamento esclusivo e dare atto che l’altro
genitore era a conoscenza di quanto disposto dalla legge 54/06
* il motivo per cui, nell’interesse del minore, si opta per l’esercizio disgiunto della potestà sulle questioni
di ordinaria amministrazione
*l’eventuale motivo, nell’interesse del minore, che induce a limitare o a vietare le frequentazioni di
ascendenti e parenti
*il motivo che induce a scegliere la corresponsione di un assegno periodico per 12 (o altre) mensilità
anziché il mantenimento diretto.
Tali premesse motivate saranno comunque opportune per evitare successive strumentali richieste di
modifica.
In conclusione, riassumendo sul punto dell’affidamento e dell’esercizio della potestà, si tenga presente
che l’accordo di separazione consensuale potrà prevedere :
• l’affidamento condiviso dei figli con esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori
• l’affidamento condiviso dei figli con esercizio della potestà da parte di un solo genitore sulle
questioni di ordinaria amministrazione (fermo restando l’esercizio congiunto sulle questioni di
straordinaria amministrazione)
11
•
•
l’affidamento esclusivo dei figli ad un solo genitore, con esercizio della potestà da parte di
entrambi i genitori
l’affidamento esclusivo dei figli ad un solo genitore, con esercizio della potestà da parte dello
stesso genitore sulle questioni di ordinaria amministrazione (fermo restando l’esercizio congiunto
sulle questioni di straordinaria amministrazione)
7. L’ACCORDO SULLE DECISIONI DI MAGGIORE INTERESSE PER I FIGLI E
L’INTERVENTO DEL GIUDICE
Se i genitori sono in disaccordo sulle questioni di rilevante interesse per i figli relative all’istruzione,
all’educazione e alla salute, la decisione è rimessa al giudice. Sembra che l’intervento del giudice sia
previsto limitatamente a queste sole questioni di straordinaria amministrazione, mentre quelle di ordinaria
amministrazione sono lasciate ai genitori, o al genitore (nel caso di esercizio disgiunto della potestà).
La costante necessità di ricorrere al giudice contrasta con la ricerca del dialogo, della mediazione; la legge
54/06 sostituisce la responsabilità dei genitori con la delega al giudice, in tal modo deresponsabilizzando
le parti.
Il rischio è quello di una devoluzione al giudice delle scelte relative alla scuola pubblica o privata, della
frequentazione o meno della catechesi, o di corsi sportivi o di hobby, etc., investendo così il giudice più
sotto il profilo umano che tecnico.
Per limitare il proliferare di controversie su tali questioni è necessario trovare al più presto un comune
orientamento, per individuare le voci che effettivamente sono da considerarsi rimesse alla valutazione del
giudice.
8. IL RECLAMO AVVERSO I PROVVEDIMENTI EX ART. 708 C.P.C.
Art. 2. (Modifiche al codice di procedura civile)
1. Dopo il terzo comma dell’articolo 708 del codice di procedura civile, è aggiunto il seguente:
«Contro i provvedimenti di cui al terzo comma si può proporre reclamo con ricorso alla corte d’appello
che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci
giorni dalla notificazione del provvedimento».
La norma pone indubbi problemi di coordinamento con la novella del procedimento di separazione e di
divorzio introdotta dalla legge n. 80/2005 e delle sue successive modificazioni del dicembre scorso,
entrata in vigore il 1° marzo.
La legge 54/06 prevede sia la reclamabilità dei provvedimenti ex art. 708 cpc, che la modifica degli stessi,
sia la revisione in qualsiasi momento degli accordi e delle disposizioni in materia.
E’ dunque prevista e quasi sollecitata la possibilità di modifica degli assetti relativi all’affidamento e alle
questioni economiche.
Quanto al reclamo alla Corte d’Appello i problemi sono connessi al breve termine previsto (10 giorni
dalla notifica dell’ordinanza ad istanza di una parte) e alla difficoltà di far fronte ad un numero di
controversie che a livello distrettuale si preannuncia molto gravoso.
Il reclamo non comporta una sospensione del procedimento di primo grado, e non è esclusa la possibilità
di richiedere contemporaneamente una modifica al GI (senza che vi sia necessità di un mutamento nelle
circostanze) che diverrà la regola qualora il provvedimento della Corte dovesse tardare.
Sulla questione si registra un primo orientamento della Corte d’Appello di Milano (relazione della
Dott. Servetti del 17.2.06 all’incontro di studio promosso da UNICOST) per cui :
“- solo i provvedimenti presidenziali sono suscettibili di reclamo in Corte;
- dopo l’esperimento del reclamo e l’eventuale nuovo assestamento della regolamentazione interinale
così realizzato, ogni modifica ulteriore risulterà di competenza del GI;
- questi nuovi provvedimenti del G.I. non saranno soggetti a reclamo;
- il GI può intervenire a modificare i provvedimenti interinali anche dopo il passaggio degli stessi al
riesame della Corte, ma solo per fatti nuovi o alla luce di nuove emergenze processuali e probatorie,
dato che diversamente l’esperimento del mezzo di impugnazione verrebbe ad essere inutile e i suoi effetti
ad essere, anche in tempi brevi, del tutto vanificati.
12
Il termine per il reclamo è di 10 gg., il che ben si pone in sintonia con l’art. 739 c.p.c., ma la legge fa
riferimento alla “notificazione” dell’ordinanza, il che presuppone una notifica ad istanza di parte: forse
non era questo ciò che il legislatore aveva in mente, ma è difficile superare il dettato normativo e ritenere
che il termine decadenziale decorra dalla data di emanazione dell’ordinanza “in udienza” o dalla sua
comunicazione, anche in forma integrale, ad opera della cancelleria.
Si presenterà, allora, sempre più frequente il ricorso alla notificazione (di un provvedimento che,
peraltro, già può essere ben conosciuto dalla parte e dal suo difensore, ove reso in udienza e finanche
sottoscritto) al solo fine di provocarne la stabilità per effetto dell’inutile decorrenza del termine breve di
impugnazione.
Si pone, tuttavia, il problema di quello che può accadere ove nessuna delle due parti assuma l’iniziativa
della notificazione, così che il termine iniziale non inizia a decorrere: penso che, seguendo questa
ricostruzione, il reclamo non sarà più esperibile una volta che il giudice istruttore sia intervenuto a
modificare o comunque a riesaminare l’ordinanza presidenziale, in quanto il titolo originario è stato così
sostituito e non è più pertinente il richiamo all’art. 708 terzo comma, con l’effetto che resterà, solo ed
invece, operante la disciplina dell’art. 709 ultimo comma.
Resta, indubbiamente, l’anomalia di una facoltà di impugnazione per così dire “sospesa” e anche per
non breve tempo, senza alcuna possibilità di stabilizzazione del regime interinale.
Mi domando, allora, se non sia ipotizzabile una soluzione che consenta – laddove entrambi i coniugi
siano già costituiti in giudizio nella fase presidenziale attraverso difensore munito di procura – di far
loro sottoscrivere il verbale contenente l’ordinanza presidenziale ai fini di attestare non solo (come
ovvio) un “presa visione” ma anche una rinuncia alla notificazione (posto che, fra l’altro, una
comunicazione a cura della cancelleria non dovrà in questi casi mai essere effettuata): il vantaggio
sarebbe – a mio avviso non solo per gli uffici giudiziari ma anche per le parti – di far decorrere da quella
data i dieci gg. per il reclamo e conseguire, quindi, ben più velocemente o la rivisitazione ad opera del
giudice di secondo grado o l’assestamento del regime interinale con la sola possibilità di riesame e
modifica da parte del giudice istruttore. “
9. LA MODIFICA DEL PROVVEDIMENTO DI AFFIDAMENTO
Art. 155-bis. – (Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso
……..
2. Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono
le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento
esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo
comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il
comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare
nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.
La norma afferma il principio che alla domanda di affidamento esclusivo, manifestamente infondata,
proposta da un genitore consegue una sanzione: la condanna dello stesso genitore ai sensi dell’art. 96 cpc
per lite temeraria.
Si sottende inoltre, come minaccia, la possibilità che il giudice possa assumere provvedimenti
nell’interesse dei figli, limitativi nei confronti di quel genitore.
Il tenore letterale e il contenuto della norma non sono condivisibili. Nell’ambito di un procedimento di
separazione o divorzio la diversità delle posizioni delle parti è, entro certi limiti, normale, e risponde
all’interesse dei figli un attento e approfondito accertamento della situazione familiare e delle capacità
educative dei genitori.
La minaccia della modifica dei provvedimenti relativi all’affidamento dei figli non aveva trovato
frequente e positiva applicazione neppure quando era stata introdotta dalla legge 74/87.
10. LA REVISIONE DELLE DISPOSIZIONI CONCERNENTI L’AFFIDAMENTO DEI FIGLI
Art. 155-ter. – (Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli).
I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento
dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla
misura e alla modalità del contributo.
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Sulla questione è stato osservato che “nasceranno senza dubbio problemi di coordinamento con l’art.
710 c.p.c. (che non è stato toccato dalla recente Riforma processuale e comunque prevede che le parti
possano sempre chiedere la modificazione dei provvedimenti….) e, in principalità, quello di accertare se
per chiedere la revisione sia necessario un mutamento nella situazione originaria o sia, invece, sempre
possibile sottoporre nuovamente la questione all’esame del giudice: si tratterà, quindi, di ben presto
stabilire in sede applicativa se questa nuova previsione consenta ancora di richiedere, al fine di
intervenire in via modificativa, un mutamento della situazione di fatto rispetto a quella in essere al tempo
dell’originaria regolamentazione.
Se un tentativo di coordinamento deve essere fatto, potrebbe ipotizzarsi che per la modifica delle
condizioni relative alla prole non è necessario alcun mutamento delle circostanze, che rimane invece
indispensabile ove si discuta, ad es., di assegno di mantenimento o di divorzio per il coniuge.
Egualmente percorribile sarebbe la strada di equiparare il sempre utilizzato nell’art. 710 alla dizione in
qualsiasi momento oggi prevista dal 2° co. in esame e così confermare l’interpretazione
giurisprudenziale consolidata.” (relazione Dott. Servetti del 17.2.06 all’incontro promosso da
UNICOST)
Art. 4. - (Disposizioni finali)
1. Nei casi in cui il decreto di omologa dei patti di separazione consensuale, la sentenza di separazione
giudiziale, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio sia già stata
emessa alla data di entrata in vigore della presente legge, ciascuno dei genitori può richiedere, nei modi
previsti dall’articolo 710 del codice di procedura civile o dall’articolo 9 della legge 1º dicembre 1970,
n. 898, e successive modificazioni, l’applicazione delle disposizioni della presente legge.
……..
11. MODIFICHE AL CODICE DI PROCEDURA CIVILE
A. LA SOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE IN ORDINE ALL’ESERCIZIO DELLA POTESTÀ
GENITORIALE O DELLE MODALITÀ DELL’AFFIDAMENTO E INADEMPIMENTO DEGLI
OBBLIGHI DA PARTE DEL GENITORE
Art. 2. - (Modifiche al codice di procedura civile)
…….
2. Dopo l’articolo 709-bis del codice di procedura civile, è inserito il seguente:
«Art. 709-ter. – (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni).
2. A seguito del ricorso, il giudice convoca le parti e adotta i provvedimenti opportuni. In caso di gravi
inadempienze o di atti che comunque arrechino pregiudizio al minore od ostacolino il corretto
svolgimento delle modalità dell’affidamento, può modificare i provvedimenti in vigore e può, anche
congiuntamente:
1) ammonire il genitore inadempiente;
2) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti del minore;
3) disporre il risarcimento dei danni, a carico di uno dei genitori, nei confronti dell’altro;
4) condannare il genitore inadempiente al pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria,
da un minimo di 75 euro a un massimo di 5.000 euro a favore della Cassa delle ammende.
I provvedimenti assunti dal giudice del procedimento sono impugnabili nei modi ordinari».
L’art. 709 ter cpc prevede che laddove vi sia una controversia circa le modalità dell’affidamento o
l’esercizio della potestà, o le “decisioni di maggiore interesse” per i figli, si possa proporre un ricorso al
giudice (giudice istruttore) avanti al quale pende il procedimento di separazione o divorzio, o, se il
procedimento si è già concluso, avanti il tribunale (trattasi di procedimento camerale) ove il minore
risiede.
L’oggetto del procedimento è limitato alle controversie relative ai figli, e quindi sono escluse le
controversie di natura economica (ma la norma dovrebbe a mio parere comprendere anche il caso
dell’inadempimento del mantenimento diretto, quale esplicitazione dell’affidamento condiviso).
14
La finalità del procedimento è quella di :
•
•
•
•
sottoporre al controllo del giudice istruttore/tribunale riunito in camera di consiglio il
comportamento del genitore, inadempiente o che reca pregiudizio al figlio: l’art. 709 ter cpc
sembra quindi aver sostituito l’art. 337 c.c. che demandava al GT la vigilanza sull’osservanza
delle condizioni inerenti l’esercizio della potestà genitoriale
ottenere dal giudice istruttore/tribunale riunito in camera di consiglio un provvedimento che
consenta l’esecuzione del provvedimento relativo ai figli (si tratterebbe secondo alcuni – G.
Finocchiaro – di esecuzione indiretta attraverso l’adozione di misure coercitive)
ottenere dal giudice istruttore/tribunale riunito in camera di consiglio un eventuale provvedimento
di modifica del precedente provvedimento in vigore (nel caso si tratti di un provvedimento
presidenziale ex art. 708 cpc, abbiamo in questo caso un ulteriore strumento di modifica)
ottenere dal giudice istruttore/tribunale riunito in camera di consiglio un provvedimento
sanzionatorio (ammonizione – sanzione pecuniaria) o di risarcimento del danno patito
Il procedimento ex art. 709 ter cpc sembra porsi in modo autonomo e distinto dal procedimento ex art.
710 cpc, ma non è ancora chiaro se si debba (tesi di G. Finocchiaro, in Guida Al diritto, n. 11/06, p. 5864) o meno ritenere che il procedimento ex art. 709 ter cpc si sia sostituito a quello ex art. 710 cpc.(che
comunque rimane per la modifica dei provvedimenti di natura economica).
Anche in questa norma prevale l’aspetto sanzionatorio, mentre quello risarcitorio non risulta di facile
comprensione.
Il contenuto e la gravità dell’inadempimento dovranno essere accertati con riferimento al caso specifico,
ed in particolare, al fine del risarcimento del danno dovrà essere provato, secondo i principi generali, il
comportamento illecito del genitore e il nesso di causalità con il conseguente danno ingiusto.
Quanto ai diversi provvedimenti previsti, non si comprende l’utilità pratica dell’ammonizione del
genitore, se non forse come minacciosa premessa alla misura del risarcimento danni in caso di
perseveranza del comportamento inadempiente. Quanto previsto può peraltro essere applicato
congiuntamente.
Infine è da tenere presente che sono già emerse posizioni che ritengono che tali provvedimenti possano
essere emessi dal T.M. nella regolamentazione dei rapporti tra genitori naturali (in tal senso si sono
espresse la Dott. M.C. Gatto, Cons. della Corte d’Appello di Milano all’incontro promosso dall’AIAF
Lombardia il 3.3.06, e la Dott. G. Servetti,Cons. della Corte d’Appello di Milano, all’incontro promosso
da Unicost).
B. LA COMPETENZA
Art. 2. - (Modifiche al codice di procedura civile)
…….
2. Dopo l’articolo 709-bis del codice di procedura civile, è inserito il seguente:
«Art. 709-ter. – (Soluzione delle controversie e provvedimenti in caso di inadempienze o violazioni).
1. Per la soluzione delle controversie insorte tra i genitori in ordine all’esercizio della potestà genitoriale
o delle modalità dell’affidamento è competente il giudice del procedimento in corso. Per i procedimenti
di cui all’articolo 710 è competente il tribunale del luogo di residenza del minore.
…….
C. L’APPLICABILITA’ AI PROCEDIMENTI RELATIVI AI FIGLI NATURALI
Art. 4. - (Disposizioni finali)
……..
2. Le disposizioni della presente legge si applicano anche in caso di scioglimento, di cessazione degli
effetti civili o di nullità del matrimonio, nonchè ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati.
La legge 54/06 si applica anche alle controversie tra genitori naturali, che - non essendo stato
modificato l’art. 38 disp. att. c.c. - rimangono di competenza del tribunale per i minorenni.
Le disposizioni normative in materia di affidamento, collocamento, esercizio della potestà, soluzione
delle controversie insorte sull’esecuzione dei provvedimenti relativi ai figli, comportano però l’immediata
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e piena attuazione da parte dei tribunali per i minorenni dei principi del giusto processo nei procedimenti
camerali: rispetto del contraddittorio e del diritto di difesa, nonché assunzione dei mezzi di prova che si
renderanno necessari, etc.
La legge ha fatto ancor più emergere lo storico conflitto di competenza tra il T.O. e il T.M., e già si sono
manifestate due opposte tesi: l’una teorizza che spetti al T.M. occuparsi anche delle questioni economiche
delle coppie di fatto, l’altra ritiene al contrario che il T.O. debba occuparsi dell’affidamento dei figli
naturali.
L’AIAF da anni sollecita tale ultima soluzione in sede legislativa, con l’istituzione di sezioni specializzate
in materia di famiglia e minori presso ogni tribunale, cui demandare tutta la materia civile che riguarda i
minori. Non risulta però che la legge 54/06 abbia apportato alcuna modifica in tal senso, e quindi le
competenze del T.M. e del T.O. rimangono invariate rispetto al passato.
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