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1756 - 2006
250 anni
dall’A alla Z
a cura di Sergio Garbato
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Better - than Music! For I - who heard it -
È meglio - della Musica! Perché io - che l’ascoltai -
I was used - to the Birds - before -
Ero avezza - agli Uccelli - prima -
This - was different - ‘Twas Translation -
Questo - era diverso - era la Traduzione -
Of all tunes I knew - and more -
Di tutti i motivi che conoscevo - e ancora di più -
‘Twas’nt contained - like other stanza -
Non era circoscritta - come una qualsiasi strofa -
No one could play it - the second time -
Nessuno potrebbe suonarla – un’altra volta -
But the Composer - perfect Mozart -
Ma il Compositore - perfetto Mozart -
Perish with him - that keyless Rhyme!
Morì con lei - quella Rima senza chiave!
Emily Dickinson
L’addio di Mozart alla cugina in un bersaglio di legno dipinto nel 1777
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A duecentocinquant’anni dalla nascita, Wolfgang Amadé Mozart, come amava firmarsi, appare più
vivo che mai e per celebrare questo suo anniversario ci sono manifestazioni in tutto il mondo. Anche
il Polesine vuole fare la sua parte e ha scelto una fitta rassegna concertistica e una serie di incontri e
conferenze che coinvolgeranno numerosi centri e che troveranno ulteriore riscontro nella presente
pubblicazione. Una pubblicazione che, nell’impossibilità di essere esaustiva, cerca di dare senso e vita
al miracolo mozartiano attraverso immagini e parole chiave che si organizzano come un piccolo dizionario. Un modo, insomma, per inseguire un musicista che dalla nascita fino alla morte prematura e
ancora misteriosa sfugge alle definizioni e alle etichette. Mozart, si sa, è il mito di una eterna giovinezza che rinasce ad ogni generazione. È anche per questo che abbiamo puntato proprio su docenti
e giovani strumentisti e cantanti, che provengono dal Conservatorio F. Venezze di Rovigo e che si
apprestano a diventare gli interpreti e i maestri di un futuro ormai imminente. Quanto al pubblico,
speriamo vivamente che accorra numeroso alle diverse manifestazioni previste da questa rassegna.
Nell’occasione ringraziamo per l’ospitalità e la convergenza di intenti i comuni coinvolti e il
Conservatorio rodigino per la valida collaborazione.
Laura Negri
Assessore alla cultura e al turismo della Provincia di Rovigo
Provincia e Conservatorio “F.Venezze” di Rovigo uniti per la musica. Questa è la volontà che muove, in
stretta collaborazione, amministrazione e scuola per moltiplicare le occasioni di incontro con la cultura
musicale, rendendola fruibile capillarmente anche nei piccoli centri periferici, troppo spesso in sofferenza per distratte politiche di emarginazione. Nessuno è specificamente responsabile, ma nel momento in
cui non operiamo lo siamo inevitabilmente tutti, ognuno nel proprio ruolo. E’ omissione colpevole,
soprattutto per chi più sa, lasciare che l’ottusa ordinarietà di un’esistenza, in cui siamo per lo più
costretti a ripeterci in comportamenti omologati al consumismo e all’utilitarismo, prevalga e lasci scomparire nel degrado le presenze, ancora visibili nel territorio, di una cultura sociale passata e più incline
alla ricerca di senso. Si tratta, allora, di permettere alle nuove generazioni di inserirsi nel solco della tradizione culturale, per farne consapevolmente il punto di partenza per una nuova e personale produzione. Nulla di meglio, per cominciare, della commemorazione dei 250 anni dalla nascita di W. A. Mozart.
Sono previste venti serate, in cui gruppi di giovani musicisti e docenti del nostro Conservatorio, in formazioni cameristiche, attingeranno al vasto repertorio musicale del compositore per farcene conoscere
significativi esempi, che diventeranno anche spunto a possibili e ulteriori conoscenze. Preziosa, nella
attuazione del nostro progetto, la sensibilità e la disponibilità dei Sindaci delle comunità periferiche che
vorranno predisporre l’ospitalità non mancando di prevedere anticipatamente una opportuna informazione pubblica; un ringraziamento anticipato, quindi, a tutti loro, e l’assicurazione che da parte nostra
la volontà di costruire assieme per la cultura e la civiltà è ferma e convinta.
Ilario Bellinazzi
Presidente del Conservatorio“F. Venezze”
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Mozart in un ritratto di Barbara Krafft, 1819 (particolare)
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FESTIVAL MOZART 2006
Sabato 23 settembre ore 21 - STIENTA, Chiesa di S.
Stefano: Concerto “Quartetti per archi e fiati”
Giovedì 28 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia
dei Concordi: Conferenza su F. Busoni a cura di Luca Paccagnella
Sabato 30 settembre ore 21 - BERGANTINO,
Auditorium Comunale: Concerto “Quartetti per archi e fiati”
Giovedì 5 ottobre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei
Concordi: Conferenza su B. Bartok a cura di Vincenzo Soravia
Sabato 7 ottobre ore 21 - LUSIA, Chiesa dei SS. Vito e
Modesto: Concerto “Le Sonate da Chiesa”
Giovedì 12 ottobre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei
Concordi: Conferenza su D. Sostakovic a cura di Carlo de Pirro
Sabato 14 ottobre ore 21 - COSTA, Chiesa di S. Giovanni:
Concerto “Fratello e sorella”
Domenica 15 ottobre ore 21 - POLESELLA, Chiesa
della Beata Vergine Maria del Rosario:
Concerto”Quartetti per archi e fiati”
Martedì 24 ottobre ore 17 - ROVIGO, Conservatorio
“F. Venezze”: “Simposio-Gioco di maschere”
Sabato 18 novembre ore 21 - CENESELLI,
Chiesa Arcipretale dell’Annunciazione di Maria:
Concerto“Trio e Quintetto”
Sabato2 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,
Abbazia della Vangadizza: Conferenza su W. A. Mozart
a cura di Carlo De Pirro
Martedì 5 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,
Abbazia della Vangadizza: Conferenza su R. Schumann
a cura di Sergio Garbato
Giovedì 7 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,
Abbazia della Vangadizza: Conferenza su F. Busoni
a cura di Luca Paccagnella
Venerdì 8 dicembre ore 21 - LENDINARA,
Teatro Ballarin: CONCERTO DI CHIUSURA
Sabato 16 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,
Abbazia della Vangadizza: Conferenza su B. Bartok
a cura di Vincenzo Soravia
Mercoledì 20 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,
Abbazia della Vangadizza: Conferenza su D. Sostakovic
Martedì 25 aprile ore 21 – ROVIGO, Chiesa di S.
Francesco: CONCERTO INAUGURALE
Sabato 6 maggio ore 21 - FICAROLO, Sala CastagnariCalza: Concerto “Trio e Quintetto”
Sabato 13 maggio ore 21 - CASTELNOVO BARIANO,
Chiesa di S. Antonio da Padova: Concerto “Fratello e Sorella”
Sabato 20 maggio ore 21 - OCCHIOBELLO, Chiesa di S.
Lorenzo martire: Concerto “Trio e Quintetto”
Giovedì 1 giugno ore 21 - MELARA, Chiesa di S. Materno
Vescovo: Concerto “Mozart-Salieri”
Domenica 4 giugno ore 21 - CEREGNANO, Chiesa di S.
Martino Vescovo: Concerto “Mozart-Salieri”
Venerdì 9 giugno ore 21 - ROVIGO, Duomo:
Concerto “Mozart-Salieri”
Sabato 10 giugno ore 21 - CRESPINO, Teatro
Parrocchiale: “Il giro di Mozart in 15 meraviglie“
Venerdì 16 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa
Badoer: Conferenza su W. A. Mozart a cura di Carlo De Pirro
Domenica 18 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa
Badoer: Conferenza su R. Schumann a cura di Sergio Garbato
Martedì 20 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa
Badoer: Conferenza su F. Busoni a cura di Luca Paccagnella
Sabato 24 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa
Badoer: Conferenza su Bela Bartok a cura di Vincenzo Soravia
Sabato 24 giugno ore 21 - VILLADOSE, Chiesa di S.
Leonardo Abate: Concerto “Fratello e Sorella”
Sabato 1 luglio ore 21 - LOREO, Chiesa di S. Maria
Assunta: Concerto “Le sonate da chiesa”
Sabato 8 luglio ore 21 - SALARA, Chiesa di S. Valentino:
Concerto “Quartetti per archi e fiati”
Sabato 2 settembre ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa
Badoer: Concerto “Quartetti per archi e fiati”
Giovedì 14 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei
Concordi: Conferenza su W.A. Mozart a cura di Carlo De Pirro
Martedì 19 settembre ore 17 - ROVIGO, Conservatorio
“F. Venezze”: “Lezione concerto e seminario sui lieder”
Giovedì 21 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei
Concordi: Conferenza su R. Schumann a cura di Sergio Garbato
Iniziativa: “Mozart dalla A alla Z” un percorso multimediale
in via di definizione.
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CONCERTO INAGURALE
ROVIGO - CHIESA DI S. FRANCESCO
25 aprile 2006 ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
SINFONIA CONCERTANTE
in mi bemolle magg. KV 364 per violino, viola e orchestra
Allegro maestoso, Andante, Presto
Violino Marco Rogliano, viola Tommaso Poggi
CONCERTO in la maggiore KV 622 per clarinetto e orchestra
Allegro, Adagio, Rondò, Allegro
Clarinetto Alessandro Travaglini
SINFONIA n° 40 in sol minore KV 550
Molto Allegro, Andante, Minuetto (Allegro), Allegro Assai
ORCHESTRA DA CAMERA DEL CONSERVATORIO “F. VENEZZE”
Direttore Luca Paccagnella
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6 maggio - Ficarolo - Sala Calza ore 21.00
20 maggio - Occhiobello - Chiesa di S. Lorenzo martire ore 21.00
18 novembre - Ceneselli - Chiesa dell’Annunciazione di Maria ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
TRIO in mi bemolle maggiore “kegelstatt” K498
per pianoforte, clarinetto e viola
Andante, Minuetto, Rondeau. Allegretto
QUINTETTO in mi bemolle maggiore K452
per pianoforte, oboe, clarinetto, fagotto, corno
Largo.allegro moderato, Larghetto, Rondò.allegro moderato
Ensemble del Conservatorio
oboe Fabrizio Oriano, clarinetto Alessandro Travaglini,
fagotto Stefano Sopranzi, Corno Daniele Bianchi,
viola Tommaso Poggi, pianoforte Giuseppe Fagnocchi
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13 maggio - Castelnovo Bariano - Chiesa di S. Antonio da Padova ore 21.00
17 giugno - Villadose - Chiesa S. Leonardo Abate ore 21.00
14 ottobre - Costa - Chiesa S. Giovanni ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
FRATELLO E SORELLA
Minuetto e trio KV 1 per pianoforte solo
Sonata in Do maggiore KV 6 (Parigi, Gennaio1764)
Allegro, Andante, Minuetto I, Minuetto II, Allegro molto
Sonata in Sol maggiore KV 301 (293a) (Mannheim, Febbraio 1778)
Allegro con spirito, Allegro
Sonata in Mi minore KV 304 (300c) (Parigi, estate 1778)
Allegro, Tempo di Minuetto
Sonata in La maggiore KV 526 (Vienna, Agosto 1787)
Allegro molto, Andante, Presto
Violino Alessandro Fagiuoli,
Pianoforte Alessia Toffanin
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1 giugno - Melara - Chiesa S. Materno Vescovo ore 21.00
4 giugno - Ceregnano - Chiesa S. Martino Vescovo ore 21.00
9 giugno - Rovigo - Duomo ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
SINFONIA n° 41 in do magg. “JUPITER” K 551
Allegro vivace, Andante cantabile,
Minuetto (Allegretto), Molto Allegro
A. SALIERI
(1750-1825)
REQUIEM per soli, coro e orchestra
Maestro del coro Giorgio Mazzucato
Orchestra del coro “F. Venezze” di Rovigo
Direttore Silvia Massarelli
1 luglio - Loreo - Chiesa S. Maria Assunta ore 21.00
7 ottobre - Lusia - Chiesa SS. Vito e Modesto ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
SONATE DA CHIESA per 2 violini, basso e organo
Ensemble del Conservatorio
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8 luglio - Salara - Chiesa di S. Valentino ore 21.00
2 settembre - Fratta - Villa Badoer ore 21.00
30 settembre - Bergantino - Auditorium ore 21.00
15 ottobre - Polesella - Chiesa della B. Vergine Maria del Rosario ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
QUARTETTI E QUINTETTI PER ARCHI E FIATI
Quartetto in do maggiore K 171, per flauto e archi
Quartetto in fa maggiore K 370, per oboe e archi
Quartetto in re maggiore K 285, per flauto e archi
Quintetto in la maggiore K 581, per clarinetto e archi
Ensemble del Conservatorio
flauto Gabriella Melli, oboe Fabrizio Oriani,
clarinetto Daniele Scala, violini Alessandro Fagiuoli, Lia Tiso
viola Federico Maria Fabbris, violoncello Luca Simoncini
Rovigo - 24 ottobre Conservatorio “F. Venezze” ore 17.00
SIMPOSIO Ovvero “ELOGIO ALL’AMORE”
“Gioco di maschere” in un atto
Liberamente tratto da Platone, ricordando W. A. Mozart
nel suo 250° anniversario della nascita.
a cura dei Musici Ludentis
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CONCERTO DI CHIUSURA
LENDINARA - TEATRO BALLARIN
8 dicembre 2006 ore 21.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
CONCERTO in do maggiore K 299 per flauto e arpa
Allegro, Andantino, Allegro
Flauto Gabriella Melli, Arpa Alessandra Targa
ARIA “Per questa bella mano” per basso, contrabbasso obbligato
e orchestra K 584
RECITATIVO e ARIA “Che io mi scordi di te”, “Non temer amato bene”
per soprano, pianoforte obbligato e orchestra K 505
CONCERTO in mi bemolle magg per due pianoforte e orchestra K 365
Allegro, Andante, Rondeau (Allegro)
Soprano Gabriella Munari
Pianoforte Gabriella Silvestrini e Paolo Ballarin
Orchestra da camera del Conservatorio “F. Venezze”
Direttore Luca Paccagnella
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Giovedì 27 aprile - Conservatorio “F. Venezze”
Salone dei Concerti ore 17.00
W. A. MOZART
(1756-1791)
LEZIONE CONCERTO E SEMINARIO SUI LIEDER
Una giornata di studio con le classi di Musica vocale da camera (Elisabetta
Lombardi) e di Armonia e contrappunto (Carlo De Pirro) per una giornata di studio
dedicata alla liederistica mozartiana.
PROGRAMMA:
Das Veilchen (Goethe)
Abendempfindung (Dichter unbekannt)
Als Luise die Briefe (von Baumberg)
Dans un bois solitaire (Dichter unbekannt)
Ridente la calma (Dichter unbekannt)
Gesellenreise ( Freimaurerlied, Dichter unbekannt)
An Chlöe (Jacobi)
Das Lied der Trennung (Schmidt)
Der Zauberer (Weiße)
Sehnsucht nach dem Frühling (Overbeck)
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ANNIVERSARI
Ciclo di conferenze
CONCERTO DI
CHIUSURA
LENDINARA- TEATRO BALLARIN
25 aprile 2006 ore
21.00
Sabato 10 giugno ore 21 - CRESPINO, Teatro Parrocchiale:
IL GIRO DI MOZART IN 15 MERAVIGLIE (250 anni dalla nascita)
teatro conferenza a cura di Carlo De Pirro e Stefano Patarino.
Venerdì 16 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa Badoer:
IL GIRO DI MOZART IN 15 MERAVIGLIE (250 anni dalla nascita)
teatro conferenza a cura di Carlo De Pirro e Stefano Patarino.
Domenica 18 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa Badoer:
R. SCHUMANN (150 anni dalla morte) a cura di Sergio Garbato
Martedì 20 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa Badoer:
F. BUSONI (140 anni dalla nascita) a cura di Luca Paccagnella
Sabato 24 giugno ore 21 - FRATTA POLESINE, Villa Badoer:
BELA BARTOK (125 anni dalla nascita) a cura di Vincenzo Soravia
W. A. MOZART Giovedì 14 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei Concordi:
(1756-1791)
IL GIRO DI MOZART IN 15 MERAVIGLIE (250 anni dalla nascita)
teatro conferenza a cura di Carlo De Pirro e Stefano Patarino.
Giovedì 21 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei Concordi:
R. SCHUMANN (150 anni dalla morte) a cura di Sergio Garbato
Giovedì 28 settembre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei Concordi:
F. BUSONI (140 anni dalla nascita) a cura di Luca Paccagnella
Giovedì 5 ottobre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei Concordi:
BELA BARTOK (125 anni dalla nascita) a cura di Vincenzo Soravia
Giovedì 12 ottobre ore 17.30 - ROVIGO, Accademia dei Concordi:
D. SHOSTAKOVICH (100 anni dalla nascita) a cura di Carlo de Pirro
CONCERTO in do
maggiore K 299
per flauto e arpa
Allegro, Andantino,
Allegro
Flauto Gabriella
Melli, Arpa
Alessandra Targa Sabato2 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE, Abbazia della Vangadizza:
ARIA “Per questa
bella mano” per
basso, contrabbasso obbligato
e orchestra K 584
RECITATIVO e ARIA
“Che io mi scordi
IL GIRO DI MOZART IN 15 MERAVIGLIE (250 anni dalla nascita)
teatro conferenza a cura di Carlo De Pirro e Stefano Patarino.
Martedì 5 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,Abbazia della Vangadizza:
R. SCHUMANN (150 anni dalla morte) a cura di Sergio Garbato
Giovedì 7 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,Abbazia della Vangadizza:
F. BUSONI (140 anni dalla nascita) a cura di Luca Paccagnella
Sabato 16 dicembre ore 21 - BADIA POLESINE,Abbazia della Vangadizza:
BELA BARTOK (125 anni dalla nascita) a cura di Vincenzo Soravia
Mercoledì 20 dicembre ore 21- BADIA POLESINE,Abbazia dellaVangadizza:
D. SHOSTAKOVICH (100 anni dalla nascita) a cura di Carlo de Pirro
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CRONOLOGIA BIOGRAFICA
Mozart al tavolo di lavoro della sua casa nei dintorni di Vienna in una stampa colorata a mano del primo Ottocento
1756 - Johannes Crhysostomus Wolfgangus Theophilus (Amadeus) Mozart nasce il 27
gennaio a Salisburgo, dal musicista Johann Georg Leopold e da sua moglie Anna Maria
Pertl. È l’ultimo di sette figli, dei quali, oltre Wolfgang, è sopravvissuta solamente Anna
Maria, detta Nannerl.
1761 - A questo periodo risale la prima composizione mozartiana: il Minuetto e trio per
pianoforte K 1.
1762 - Tournée a Monaco e a Vienna di Leopold Mozart con i due figli prodigio Wolfgang
e Nannerl.
1763 - In giugno ha inizio il lungo viaggio della famiglia Mozart attraverso l’Europa. Un
viaggio che si concluderà ben tre anni e mezzo dopo, nel novembre del 1766.
Accompagnati dal padre, Wolfgang e Nannerl si esibiscono a Parigi, Londra e in numerose altre città della Germania, della Francia, del Belgio, e della Svizzera. Durante i quindici
mesi del soggiorno londinese, Wolfgang conoscerà e frequenterà il compositore Johann
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Christian Bach e comporrà la sua prima Sinfonia in mi bemolle magg. K.16.
1767 - Il 13 maggio viene rappresentata a Salisburgo la prima composizione teatrale di
Mozart: Apollo e Giacinto, commedia in latino per musica K.38. Viaggio a Vienna e a Brno
fino al gennaio del 1769.
1768 - Concerto a Vienna per l’imperatrice Maria Teresa e l’imperatore Giuseppe II.
Composizione dell’operina Bastiano e Bastiana K.46b che verrà rappresentata nel teatro
all’aperto del dottor Mesmer.
1769 - Prima rappresentazione a Salisburgo dell’opera La finta semplice, composta nell’estate dell’anno precedente. Mozart viene nominato terzo maestro dei concerti alla corte
di Salisburgo (incarico che non prevede alcuna retribuzione). Il 13 dicembre ha inizio il
primo viaggio in Italia in compagnia del padre. Il viaggio si protrarrà fino al dicembre del
1771, con un breve rientro a Salisburgo nell’estate dello stesso anno.
1770 - A Bologna, durante un soggiorno di poco più di un paio di mesi, Mozart studia
con padre Martini, il più autorevole maestro di contrappunto del tempo e ottiene il diploma dell’ Accademia Filarmonica.
1772 - Il giovane compositore, che ormai gode di una fama internazionale e che ha al suo
attivo una produzione già ragguardevole, viene nominato maestro dei concerti alla corte
salisburghese (con retribuzione). In ottobre inizia l’ultimo viaggio in Italia in compagnia
del padre. A Milano, verrà rappresentato il dramma per musica Lucio Silla K.135.
1773 - Ritorno a Salisburgo in marzo. Soggiorno di un paio di mesi a Vienna, dove
Wolfgang tiene diversi concerti nel giardino del dottor Mesmer.
1774 - Intensa attività compositiva e soggiorno a Monaco con il padre fino al marzo dell’
anno seguente.
1777 - Composizione del Concerto in mi bemolle magg. per pianoforte e orchestra K.271.
In settembre, partenza per Parigi con la madre: un viaggio che prevede soste e soggiorni
in alcune città tedesche. Ad Augusta conosce la cugina Maria Anna Thekla (Bäsle) con cui
intreccia una relazione affettuosa. A Mannheim si ferma per quattro mesi e mezzo, stabilendo numerosi contatti con i musicisti di corte, tra cui Cannabich. Il tentativo di trovare
un impiego musicale a Mannheim non dà alcun frutto.
1778 - A Mannheim, Mozart conosce la cantante Aloysia Weber, con la quale trascorre
alcuni giorni alla corte della principessa Caroline Nassau Weilburg. Lasciata la città tedesca, il musicista e sua madre raggiungono Parigi in marzo. Qui, viene eseguita la Sinfonia
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in re magg. K.300a “Pariser“. Nel frattempo, la madre si è ammalata e muore il 3 luglio.
Mozart lascia la capitale francese verso la fine di settembre e a Natale arriva a Monaco,
dove prende alloggio presso la famiglia Weber.
1779 - Proposta di matrimonio ad Aloysia Weber, che la respinge. Ritorno a Salisburgo,
dove Mozart riprende il suo servizio di maestro dei concerti e organista presso la corte
dell’arcivescovo Geronimo Colloredo. Composizione della Messa in do magg. K.317,
Krönungsmesse.
1781 - Prima esecuzione a Monaco dell’opera Idomeneo re di Creta K.366. Composizione
di altri concerti per pianoforte, del Quintetto per fiati in mi bemolle magg. K.452 e del
Quartetto in si bemolle magg. K.458 “Jagd-Quartett“.
In giugno, Mozart rassegna le sue dimissioni dal servizio dell’arcivescovo al conte Arco,
che durante un alterco lo caccia con un calcio nel sedere
1782 - In luglio prima rappresentazione di Die Entführung aus dem Serail K. 384 al
Burgtheater. Durante la vita di Mozart, quest'opera è il suo maggior successo teatrale a
Vienna. In agosto, Mozart si sposa con Constanze Weber nella cattedrale di Santo Stefano
a Vienna.
1783 - In giugno nasce Raymund Leopold, primo figlio di Mozart, ma morirà appena due
mesi dopo.
1784 - Si sposa la sorella Nannerl. Nasce il secondo figlio, Carl Thomas (che morirà a
Milano nel 1858). Affiliazione alla loggia massonica “Zur Wohlthatigkeit” .
1785 - Concerti pubblici e accademie.Vita mondana. Soggiorno, presso il figlio, di Leopold
Mozart, che si affilia anche lui alla massoneria e poi riparte per Salisburgo. Composizione
dei Concerti per pianoforte in re min. K.466, in do magg. K.467, in mi bemolle magg. K.
482, del Quartetto con pianoforte in sol min. K. 478, della Musica funebre massonica
K.479a. Pubblicazione dei Sei Quartetti K.387, 421, 428, 458, 464, 465 (dedicati ad
Haydn, con il quale c’è stima reciproca).
1786 - Composizione dei Concerti per pianoforte in la magg. K.488, in do min. K.491 e
in do magg. K.503, dei Quartetti in mi bemolle magg. K.493 e in re magg. K. 499 e della
Prager-Sinfonie K. 504.
Prima rappresentazione al Burgtheater di Vienna dell’opera Le nozze di Figaro K.492, che
otterrà un successo effimero, per imporsi soltanto l’anno dopo a Praga. Nasce un terzo
figlio, Johann Thomas Leopold, che vivrà però solo un mese.
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1787 - Viaggio trionfale a Praga con la moglie. A Salisburgo, in maggio, all’età di 68 anni,
muore Leopold Mozart.
Composizione dei Quintetti per archi in do magg. K.515 e in sol min. K.516, di Ein musikalischer Spass K.522 e della Eine kleine Nachtmusik K.525. Ritorno a Praga, nuova rappresentazione delle Nozze di Figaro e debutto dell’opera Don Giovanni K.527. Dopo il
ritorno a Vienna, nasce la figlia Theresia, che tuttavia morirà l’anno seguente.
1788 - Nonostante i successi e l’intensa produzione, i problemi finanziari di Mozart,
anche a causa della cattiva gestione domestica, si aggravano. Composizione del Concerto
per pianoforte in re magg. K.537 e delle Sinfonie in mi bemolle magg. K.543, in sol min.
K.550 e in do magg. K.551 “Jupiter-Sinfonie“.
1789 - Viaggi a Praga, Dresda, Lipsia, Berlino, nella vana speranza di ottenere qualche
incarico. Malattia di Constanze, che si reca a Baden per le cure termali. Una quinta figlia,
Anna Maria, muore dopo un’ora. Composizione del Quartetto in re magg. K.575 e del
Quintetto per clarinetto in la magg. K.581.
1790 - I problemi economici si aggravano ulteriormente.Vani i tentativi di procurarsi allievi e di pagare i debiti, nonostante le richieste di aiuto ai fratelli massoni. Prima rappresentazione al Burgtheater di Vienna dell’opera Così fan tutte K.588. Composizione dei
Quartetti in si bemolle K.589 e in fa magg. K.593. Nuovo soggiorno di Constanze a Baden
per le cure termali. Lunga tournée fra settembre e novembre, sarà l’ultima, con concerti
in numerose città tedesche.
1791 - Il 4 marzo, nel corso di un’accademia, Mozart suona per l’ultima volta in pubblico, eseguendo il Concerto per pianoforte in si bemolle magg. K. 595. In luglio nasce il
figlio Franz Xaver Wolfgang e in settembre prima esecuzione, al Nationaltheater di Praga,
dell’opera La clemenza di Tito K. 621, con la direzione dello stesso Mozart. Alla fine del
mese, prima esecuzione al Theater auf der Wieden di Vienna, del Flauto magico K.620.
Composizione del Concerto per clarinetto in la magg. K. 622. Un intermediario del
conte Walsegg zu Stuppach commissiona a Mozart un Requiem, circostanza che influisce negativamente sulla sua fantasia. E il Requiem K.626 resterà incompiuto. Il 20
novembre, infatti, Mozart si ammala ed è costretto a letto. Morirà il 5 dicembre all’una
di notte e sarà sepolto il giorno successivo in una misera fossa. Sconosciute le cause
della morte del compositore, che si spense a soli trentacinque anni.
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Ritratto idealizzato di Mozart in una litografia colorata di Julius Schmid, 1900
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AMADEUS un ritratto contraddittorio
Non so scrivere in versi e non sono poeta.
Non so ordinare le forme a regola d’arte
e creare effetti di luce e di ombra e non sono pittore.
Non so neppure esprimere i miei sentimenti e i miei pensieri
con i gesti o con la pantomima, non sono un danzatore.
Ma so fare tutto questo con i suoni, perché sono un musicista.
Lettera al padre dell’8 novembre 1777
È forse la difficoltà insuperabile di spiegarci l’artista che ci spinge a frugare nella biografia e nello “stile di vita“ dell’uomo, in cerca di una risposta che finisce quasi sempre per essere deludente. Non bastano le lettere, i ritratti, i diari quando ci sono, le
testimonianze dei contemporanei: qualcosa non quadra mai e si finisce, inevitabilmente per imbattersi nelle nebbie del mito o, al contrario, nella frustrazione
della banalità.
In questo senso, Mozart, come Shakespeare e come Molière, appare più enigmatico di
molti altri, disperso in aneddoti facili e contraddittori, racconti imprecisi e una “normalità“ mai paga di se stessa.
Ecco, la risata a singhiozzo la sensibilità a fior di pelle, il bisogno d’amore e di riconoscimenti, le fantasie e i capricci, la memoria da elefante, la smania per le volgarità, la
passione per i numeri e i giochi di parole ma anche il bigliardo, la raffinatezza, la cultura, il gusto per l’arte, l’amore per la natura e la conoscenza delle lingue.
Un’immagine attendibile di Mozart non può essere dunque che la somma di tanti elementi diversi, che stentano a stare insieme ma danno conto delle molte sfaccettature
di una sola personalità. Ecco i ritratti dell’età adulta (pochi gli autentici però) che non
si assomigliano fra loro: il bel gentiluomo anonimo di un piccolo dipinto firmato da
Giuseppe Grassi e quel volto che ci ha lasciato il cognato Joseph Lange, in cui si coglie
nella fissità dei lineamenti qualcosa di tragico ed inespresso, ben confermato da un
disegno dello stesso periodo (siamo nel 1789, due anni prima della morte) di una pittrice di talento, Doris Stock. Quel naso troppo carnoso e imponente, gli occhi sporgen-
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ti, la fronte schiacciata non rimandano solo ai lineamenti della madre, ma testimoniano un indubbio degrado fisico, di cui non sappiamo se Mozart avesse sentore. E ancora il recente riconoscimento di lui nel personaggio effigiato nel 1790 dal pittore di
corte Johann Georg Edlinger e conservato alla Gemäldegalerie di Berlino: l’ultimo
ritratto di Mozart, che trova buon riscontro in certe osservazioni del citato Lange:
“Stando alla conversazione e anche al comportamento, non si sarebbe mai potuto credere che Mozart fosse un grand’uomo. Non solo parlava di ogni cosa senza ordine e
senza fine, ma faceva battute di ogni tipo, che non sempre giungevano gradite.
Sembrava che non riflettesse e addirittura che non pensasse a nulla. Forse nascondeva volutamente la tensione interiore sotto una maschera di frivolezze, appetiti smodati, sregolatezze”. Ma proprio quando dava spazio alla sregolatezza quotidiana, parallelamente scriveva le sue opere immortali. Anche se dell’immortalità, stando alle lettere e alle testimonianze, non doveva importargli più di tanto.
Il cantante Michael Kelly che gli era stato amico lo ricordava “notevolmente piccolo,
magro e smunto, con una rigogliosa capigliatura bionda che esibiva con fierezza e incipriava”. La testa era grossa e i grandi occhi azzurri e miopi erano un po’ sporgenti e
con le occhiaie, le mani piccole anch’esse che non stavano mai ferme. E c’era quella
malformazione congenita dell’orecchio sinistro che consisteva in un appittimento del
padiglione e che veniva nascosta sotto i capelli. Ludwig Tieck che l’aveva incontrato a
Berlino nel 1789, parla di un “personaggio dall’aspetto insignificante in redingote grigia“. Il fatto è che il miracolo mozartiano risiede nell’universalità di una musica che ci
parla di noi e ci immerge nel mistero del nostro essere. Un mistero che continua a
celarci l’uomo e a parlarci di un compositore che, per dirla con Wilhelm Dilthey, “non
è venuto per mettere ordine nel mondo, ma per esprimere musicalmente ciò che è“.
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ANNAMARIA
Nome fatidico delle donne di casa Mozart. Così si chiamava la nonna paterna e così
anche la madre. Con un piccolo ritocco, Maria Anna poi ribattezzata col diminutivo
Nannerl, era il nome la sorella e Maria Anna Tecla quello dell’amata cuginetta destinaria di certe divertenti letterine intessute di coprolalia.
Se poco sappiamo della nonna, Anna Maria Sulzer, moglie di Johann Georg, molte
notizie ci sono pervenute sulla madre Anna Maria, nata Pertl il giorno di Natale del
1720 a St. Gilgen, uno di quei paesini che si incontrano lungo la strada che, tra colline e fitte foreste, porta da Salisburgo a Dürnstein, costeggiando i laghi cobalto del
Salzkammergut. Sposò Leopold Mozart nel 1747 dopo un lungo fidanzamento, come
ricordò il marito nel giorno delle nozze d’argento: “Sono passati, credo, venticinque
anni da quando ci è venuta la felice idea di sposarci. Quest’idea, veramente, l’avevamo già da molti anni. Le cose ben fatte richiedono tempo“. Una anonima immagine
del 1770, ripresa una decina di anni dopo, quando era già morta, da Johann Nepomuk
della Croce nel celebre ritratto di tutta la famiglia, la rappresenta in età matura, con
uno sguardo severo che in vita forse non ebbe, dato il suo carattere gioviale e una proverbiale allegria che contagiava i congiunti e compensava certa cupezza del marito.
C’era l’affetto per il coniuge e per i figli, la trepidazione per il piccolo e sbadato
Wolfgang, che un poco le assomigliava. Era sicuramente una donna semplice, tutta
presa dalla casa e dalla famiglia, di poca cultura, stando all’ortografia scalcinatissima
e alla rozzezza espressiva, ma con il gusto, allora piuttosto diffuso, per i giochi verbali infiorati di scherzose scurrilità (“addio ben mio stai bene, tirati il culo in bocca, ti
auguro buona notte, caca in letto da schiantarlo“).
Proprio per questo ci sembra singolare che sia stata proprio lei ad accompagnare il
figlio in quel viaggio che si rivelò importantissimo per la biografia del compositore ma
poco significativo per la sua carriera e che lo portò prima a Monaco e ad Augusta, poi
a Mannheim e infine a Parigi. Nel corso di quel viaggio la madre non si mostra quasi
mai all’altezza delle aspettative del marito e del figlio: non era in grado di seguire e
proteggere fino in fondo quest’ultimo e anzi occultava al coniuge lontano l’intempe-
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ranza e la superficialità di un giovane di ventidue anni che la lasciava sola per gran
parte del giorno. Il soggiorno parigino fu fallimentare e addirittura si concluse con la
morte abbastanza improvvisa nella asfittica stanzetta in cui trascorreva gran parte del
suo tempo della stessa Anna Maria il 3 luglio 1778. Una malattia che resta per noi
sostanzialmente oscura, forse un’infezione intestinale, che se la portò via in pochi
giorni. Se nelle lettere il dolore non traspare più di tanto, basta ascoltare il drammatico secondo movimento della Sonata Kv 310, composta proprio in quei giorni, per
avvertire sentimenti più profondi. La madre venne sepolta nella vicina chiesa di SaintEustache, come ci avverte una piccola epigrafe commemoriativa.
La famiglia Mozart in un olio di Johann Nepomuk Della Croce, 1781
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BACH, HAENDEL E IL CONTRAPPUNTO
Era stato il barone Gottfried Bernhard van Swieten a portare a Vienna una sorta di nuovo
culto per le opere di Johann Sebastian Bach, che a quasi trent’anni dalla morte conosceva
ancora una sorta di purgatorio della memoria da cui sarebbe uscito solamente con la riscoperta della sua opera da parte di Mendelssohn. Figlio del medico personale dell’imperatrice Maria Teresa, diplomatico prestigioso e grande appassionato di musica, van Swieten
aveva scoperto alcune composizioni di Bach su suggerimento di Federico il grande mentre
era ambasciatore a Berlino e si era talmente entusiasmato da acquistare manoscritti e
prime edizioni a stampa, fino a commissionare sei sinfonie al figlio del grande musicista,
Carl Philipp Emanuel. Al suo ritorno a Vienna, per far conoscere le opere bachiane, il barone aveva organizzato dei concerti che avevano luogo nella sua casa di Reingasse e che di
fatto erano riservati ai soli musicisti, che ascoltavano ed eseguivano Bach, ma anche
Haendel. Tra questi c’era Mozart che si era da poco insediato nella capitale austriaca. E
l’entusiasmo del padrone di casa si era impadronito anche di Mozart, che aveva sommamente apprezzato L’arte della fuga, i Preludi e fughe del Clavicembalo ben temperato e le
Sonate in trio per organo, inducendolo a rivolgersi al padre per avere altra musica: “Vado
tutte le domeniche a mezzogiorno a casa del barone van Swieten, dove si esegue solamente Haendel e Bach. Sto mettendo insieme una collezione di fughe proprio di Haendel e
Bach, sia di Johann Sebastian che dei figli Emanuel e Friedmann“.
È vero che l’arte del contrappunto non era sconosciuta a Mozart, che già vent’anni prima
aveva studiato il Gradus ad Parnassum di Fux, per poi ricevere lezioni da Padre Martini a
Bologna nel corso del viaggio in Italia. E ancora, c’era la tradizione salisburghese di servirsi obbligatoriamente dello stile fugato nella musica religiosa. Per non dire della scoperta di
Haendel a Londra, quando aveva appena otto anni.
L’opera di Bach, dunque, più che una scoperta del contrappunto e dello stile fugato fu la
presa di coscienza di un linguaggio e di un procedimento compositivo.
Moltissimi sono gli esempi di scrittura contrappuntistica nell’opera di Mozart, sia negli
esercizi in canone, che nelle elaborazioni di opere di Bach, con la trascrizione per quartetto d’archi di cinque fughe a quattro voci dal Clavicembalo ben temperato. Per non dire
della revisione del Messiah di Haendel e di tante pagine di musica sacra.
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Interno della cosiddetta "Casa Camesina" a Vienna, dove Mozart abitò con la moglie e i figli dal 1784 al 1788
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CASA
Due le abitazioni di Mozart negli anni di Salisburgo.
Prima l’appartamento in cui era nato nella Getreidegasse, che però si dimostrò presto
insufficiente e angusto per le nuove esigenze della famiglia. Solo nell’autunno del
1773, con le nuove entrate nel bilancio familiare costituite dalle lezioni di pianoforte
di Nannerl e dallo stipendio che Wolfgang aveva da poco cominciato a percepire come
konzertmeister, sarà possibile un trasloco in un appartamento un po’ più grande, in
quella che veniva allora denominata la casa del maestro di danza, sulla Markplatz.
Un’abitazione definitiva per Leopold, che qui resterà fino alla morte.
Non meno di tredici, invece, gli indirizzi di Mozart negli anni viennesi, testimoni per
più di verso della sua carriera.
Dapprima, ma solo per pochi mesi, un paio di stanze nella casa della spada rossa, dove
la famiglia Mozart aveva alloggiato per qualche giorno nel 1768. Poi, nel dicembre del
1782, un grande appartamento nella Wipplingerstrasse di proprietà del barone
Wetzlar, che però lo rivuole libero dopo soli tre mesi, costringendo i coniugi Mozart a
trovare una soluzione di emergenza, fino a quando, nel gennaio 1784, vanno ad abitare in un appartamento abbastanza elegante nel Graben, di proprietà di un amico
libraio ed editore Johann Thomas von Trattner, che all’occorrenza mette a disposizione anche un salone del primo piano per i concerti.
Nel settembre dello stesso anno, nuovo trasloco in una dimora ancora più lussuosa,
nella cosiddetta “Casa Camesina“ (oggi Casa di Figaro) nella Schulerstrasse.
Impossibilitato a pagare un affitto tanto alto, il musicista si trasferirà con la famiglia
nel 1788 in una casa di periferia con un giardinetto e infine, nel settembre del 1790 in
un appartamento poco luminoso di cinque stanze nella Rauhensteingasse e sarà questa la sua ultima dimora terrena.
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CINEMA dalla biografia all’opera
Non sono pochi i film dedicati alla figura di Mozart e alle sue opere. Pochi sono però
quelli che sono passati nelle sale cinematografiche italiane.
Non è mai arrivato in Italia, per esempio, il primo film mozartiano: Sinfonia di amore
e morte, che il regista russo Vjaceslav Turzanskij in collaborazione con Sergej Jurjev
girò nel 1914, prendendo spunto dal “microdramma“ in versi di Puskin Mozart e
Salieri. Nei panni del Salisburghese c’era Aleksandr Gejrot. Non era arrivato neppure un successivo film girato nel 1920 dal regista Otto Kreissler, con un titolo che ben
esprime la leggerezza quasi operettistica di certo cinema austriaco del tempo:
Mozarts Leben, Lieben und Leiden e cioè vita, amori e pene, con una bambina interprete del musicista fanciullo.
Nel 1936, apparve invece sugli schermi nostrani con il semplice titolo Mozart (ma
l’originale suonava Whom the Gods Love) del regista inglese Basil Dean con Stephen Maggard protagonista e una colonna sonora che includeva brani dal Flauto
magico e dalle Nozze di Figaro eseguiti nientemeno che dalla London Philarmonic
Orchestra diretta da Sir Thomas Beecham.
Al 1940 risale un patetico film italiano, firmato da Carmine Gallone, Melodie eterne, con un improbabile Gino Cervi nei panni del musicista.
Al regista viennese Karl Hartl, dobbiamo ben due film mozartiani, anche questi passati in Italia: Wem die Gotter lieben, ribattezzato Angeli senza felicità, del 1941, che
è una rievocazione dei giorni estremi di Mozart (interpretato da Hans Holt) e, nel
1955, Reich mir dir Hand, mein Leben (Tendimi la mano, vita mia), e cioè un fantasioso ultimo amore mozartiano a colori con quell’Oskar Werner, che avremmo poi
ritrovato in Jules e Jim e Farenheit 451 di Truffaut. Non è mai arrivato sugli schermi
italiani, invece, Mozart: appunti di una giovinezza (Mozart: Aufzeichnungen einer
Jugend) realizzato nel 1976 dal tedesco Klaus Kirschner e applaudito al Festival di
Berlino. Il film, che si basa sull’epistolario mozartiano e documenti del tempo, traccia in poco meno di quattro ore un attendibile e mobile ritratto del musicista.
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Una scena del film Amadeus, girato da Milos Forman nel 1984
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Non diremo delle numerose trasposizioni cinematografiche delle opere mozartiane,
ma non possiamo esimerci dal citare due straordinarie incursioni in quell’ambito,
che hanno ottenuto notevole interesse e successo, ma purtroppo non hanno trovato eredi. Si tratta di un poetico Flauto magico cantato in svedese e rivisitato nel
1974 da Igmar Bergman nel ricostruito teatrino di Dortlom e di un favoloso Don
Giovanni sullo sfondo del paesaggio veneto girato da Joseph Losey nel 1980, con un
perfetto Ruggero Raimondi nel ruolo del titolo e un cast d’eccezione. Al Flauto magico è dedicato anche un bellissimo e raffinato cartone animato della durata di poco
meno di un’ora, realizzato in quegli stessi anni da Emanuele Luzzati e Giulio
Giannini.
Al 1981 risale Mozart una onesta biografia televisiva in sei puntate, arrivata anche
sui teleschermi italiani, diretta dal regista francese Marcel Bluwal con Christoph
Bantzer nei panni del musicista e Michel Bouquet in quelli del padre.
Due anni dopo, un film tedesco sulla morte misteriosa del musicista: Vergesst
Mozart (Dimenticare Mozart) di Slavo Luther.
Nel 1984, a un Mozart quattordicenne e al suo soggiorno con il padre nel 1770 in
una villa della campagna bolognese è dedicato Noi tre di Pupi Avati, con Christopher
Davidson, Dario Parisini, Barbara Rebeschini, Gianni Cavina, Lino Capolicchio, Carlo
Delle Piane e Ida Di Benedetto.
In quello stesso 1984 arriva il film di successo e di cassetta, destinato ad accendere
tra le polemiche nuovo interesse sulla biografia, più che sull’opera, di Mozart: Amadeus di Milos Forman, con uno scatenato Tom Hulce nel ruolo del musicista e un bravissimo F. Murray Abraham in quello di Salieri. Il film è tratto dalla altrettanto celebre e omonima commedia di Peter Shaffer che aveva spopolato sui palcoscenici
europei e americani. Qui Mozart è raccontato da Salieri, che è il vero ma occulto protagonista della commedia e del film.
Infine, è uscito nel gennaio 2006 In search of Mozart di Phil Grabsky che, attraverso la musica e la corrispondenza e soprattutto le interviste a numerosi interpreti
odierni, segue le tracce del compositore cercando di restituirne l’intatta e misteriosa grandezza.
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CONSTANZE moglie e vedova
“Non brutta, ma neanche troppo bella: tutta la sua bellezza consiste in due piccoli
occhi neri e in una bella figura. Non ha spirito, ma abbastanza sano buon senso per
poter adempiere ai suoi doveri di moglie e madre“. Una descrizione (e per quanto
riguarda l’aspetto fisico avvalorata dai ritratti che ci sono pervenuti) poco esaltante,
per insinuare, senza dire, come Mozart era solito fare con il padre quando voleva qualcosa, l’intenzione di sposarsi con la giovane Constanze Weber, che aveva sei anni
meno di lui. Tanto più che Constanze, come Aloysia e un’altra sorella, Josepha, non
godeva proprio di una reputazione “specchiata”. Nei primi mesi di libertà a Vienna, il
giovane musicista era andato ad alloggiare in casa della signora Weber che, rimasta
vedova e con tre figlie da sposare, faceva l’affittacamere. Qualcosa, in quei giorni,
doveva essere successo, se la signora Weber aveva preteso da Mozart una sorta di
“riparazione” e quest’ultimo doveva avere intravisto, magari sventatamente, la
possibilità di farsi una famiglia, che avrebbe sancito ulteriormente la sua autonomia
dal padre. Eppure, come ha suggerito Enzo Siciliano, “quella ragazza indolente, d’una
fatuità priva di respiro, meccanica negli affetti, certo non adulta, incline a stordirsi con
trasporti che sconfinavano nell’impazienza erotica degli adolescenti, fu la moglie che
sapeva dominarlo con tolleranza”. Tra i due vi fu sempre, come lasciano intendere le
lettere, una intesa sensuale, ma anche una certa complicità nella vita quotidiana, quella che si stabilische tra due persone sostanzialmente impreparate alla vita. Si aggiunga che Constanze era dotata di una bella voce di soprano e che musicalmente non
doveva poi essere sprovveduta se adorava le fughe di Bach. La presunta mediocrità di
Constanze, che diventerà adulta non come moglie, ma come vedova, trovava riscontro
nella futilità degli atteggiamenti esteriori di Mozart, in quel suo desiderio, una volta
lasciate le carte e la tastiera e le prove in teatro, di vivere in superficie. Naturalmente
non mancarono incomprensioni e gelosie, strazianti sono certi velati rimproveri e certe
preoccupate raccomandazioni che Mozart rivolge alla moglie che, in una villeggiatura
terapeutica a Baden non disdegna la corte di qualche bellimbusto e non manca il
sospetto di una relazione tra Constanze e l’allievo Süssmayr entro le mura domesti-
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che. Ma sono incrinature che non intaccano in profondità un matrimonio che funzionò per nove anni e che fu allietato da due amatissimi figli (altri quattro non erano
sopravvissuti che pochi giorni), che vissero un’esistenza mediocre un poco schiacciati
dall’ombra del padre. C’è anche una Constanze vedova Mozart, che dimostra un insospettato senso per gli affari e sei anni dopo la morte del musicista torna ad accasarsi
con il diplomatico danese Georg Nikolaus Nissen (ma lo sposerà soltanto nel 1809).
Alla vedova dobbiamo sicuramente la salvaguardia della memoria di Mozart e di
molte delle sue opere sulle quali seppe esercitare il diritto d’autore. Constanze sopravvisse al musicista quasi cinquant’anni e si spense a Salisburgo, dove aveva finito per
stabilirsi, nel 1842. I suoi ricordi, veri o presunti, sono alla base delle prime due biografie di Mozart, una delle quali scritta dallo stesso Nissen.
Constanze Mozart in un ritratto a olio di Joseph Lange, 1782
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CONCERTI
Particolarmente congeniale al genio mozartiano appare la forma concertante, alla quale
il compositore molto sacrifica e quasi sempre con esiti straordinari, contribuendo, più
ancora che nelle sinfonie, alla evoluzione della scrittura orchestrale, così come a quella
strumentale. All’orchestra, infatti, Mozart conferisce una sorprendente ricchezza timbrica,
considerandola un armonico insieme di voci singole, cui dare, di volta in volta, opportuno
risalto, grazie anche al dialogo con lo strumento solista. E proprio nel rapporto tra solista
e orchestra si preciserà sempre più una trama contrappuntistica, che contribuisce alla
emancipazione delle diverse voci. Il ruolo di solista, oltre al pianoforte, coinvolge tutti gli
altri strumenti, dei quali viene considerata anche l’evoluzione tecnica. Nell’arco di una
attività compositiva che inizia prestissimo per arrestarsi solamente alla vigilia della morte,
Mozart modifica e fissa modi e regole. Il concerto mozartiano si articolerà in tre movimenti. Il primo, un allegro in forma sonata con doppia esposizione del tema (subito l’orchestra e poi il solista) e successivo sviluppo, cadenza e coda finale; il secondo, sovente un
andante e talora un adagio, si presenta in forma di lied (ABA) o di variazioni, affidando al
solista, accompagnato in genere solamente dagli archi, una melodia particolarmente
espressiva; il terzo, in forma di rondò, si apre con il tema enunciato dal solista e poi ripreso dall’orchestra e prevede una cadenza. Nell’evoluzione stilistica, il concerto finirà per
avvicinarsi sempre più all’altro polo della vocazione mozartiana, l’opera. Ecco una sorta
di drammatizzazione della struttura, che si allea con la densità dell’invenzione melodica
e uno sviluppo della narrazione, al punto che qualcuno ha potuto definire i concerti delle
“opere senza parole“ Ventisette i concerti per pianoforte e orchestra e soprattutto, a partire dal Kv 271 detto “Jeunehomme“ del 1777 fino al Kv 595 del gennaio 1791 , tutti
capolavori, caratterizzati da una sorta di pragmatismo compositivo, nel senso che Mozart
si adattava alle orchestre che aveva a disposizione, così come ai mezzi tecnici ed espressivi dei solisti e perfino alla evoluzione tecnica degli strumenti. Nel concerto per pianoforte e orchestra Mozart ha modo di privilegiare sia il suo talento compositivo che quello di
interprete e virtuoso, perché proprio attraverso queste sue opere che vengono presentate nel corso di accademie con sottoscrizioni da parte del pubblico stesso, si guadagna da
vivere. Cinque (o sei) i concerti per violino e orchestra: una prima incursione nel 1773 con
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il Concerto Kv 207, seguito, appena due anni dopo, da altri quattro, rispettivamente Kv
211, Kv 216, Kv 218 e Kv 219. Pagine composte su sollecitazione dei violinisti dell’orchestra di Salisburgo, con privilegio di una grande espressività melodica e gusto di un’orchestrazione in continuo divenire. Dietro a questi concerti, si intravede il sorriso del violinista
Antonio Brunetti esecutore di questi lavori e dedicatario del Kv 219 e di alcuni movimenti alternativi scritti da Mozart su sua espressa richiesta.
Né manca una sinfonia concertante Kv 364 che prevede anche la presenza della viola,
strumento, quest’ultimo, che Mozart prediligeva anche come esecutore.
Numerosi i concerti per fiati, sollecitati in gran parte da strumentisti e da dilettanti.
Quattro i concerti per corno, composti tutti negli anni viennesi, vale a dire nella maturità,
per un grande virtuoso (che però cominciava a declinare) come Joseph Leutgeb, che di
Mozart fu amico carissimo, come comprovano le dediche scherzose. A completare il panorama ci sono un Concerto giovanile per fagotto e orchestra Kv 191, un successivo Concerto
per oboe in do magg. Kv 314 (di cui venne predisposta anche una versione per flauto), un
Concerto per flauto Kv 313, il più noto Concerto per flauto e arpa Kv 299 per il duca di
Guines e sua figlia e, finalmente, il Concerto per clarinetto Kv 622, pagina suprema.
Concerto settecentesco a Zurigo in quadro di autore anonimo.
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DA PONTE
Qui come poeta abbiamo un certo abate Da Ponte. Ora è terribilmente occupato
con le correzioni in teatro e deve scrivere per obligo un libretto per Salieri;
prima di due mesi non sarà pronto. Mi ha promesso di scrivermene uno nuovo;
ma chissà se potrà - o vorrà – mantenere la parola.
Mozart al padre il 7 maggio 1783
La collaborazione tra Mozart e il librettista veneto Lorenzo Da Ponte è una di quelle rare
e felici coincidenze delle quali si compiace talora il destino e che diventano subito
momenti irrinunciabili della storia dell'umanità. Una collaborazione che si è protratta,
a fasi alterne, per cinque anni e che è contrassegnata da tre capolavori del teatro musicale di tutti i tempi.
Dalle avare dichiarazioni dei due protagonisti non possiamo ricavare molto: ciascuno
faceva la propria vita e affrontava ogni giorno, con diverso animo, problemi analoghi, barcamenandosi nella Vienna del tempo, scontrandosi con invidie e abili intrighi, affrontando le vanità e le bizze dei teatranti, i pregiudizi dei potenti, correndo di qua e di là ininterrottamente. Ma trovando poi, nel lavoro e nella creazione comune, intese e complicità, stimoli e ritmi compositivi che laceravano la coltre di indiffe-renza e superficialità.
Di qualche anno più anziano di Mozart (era nato nel ghetto di Ceneda, oggi Vittorio
Veneto, nel 1749 da famiglia israelita), Lorenzo Da Ponte, dopo una giovinezza tempestosa e affannata, era giunto a Vienna nei primi giorni del 1782, appena nove mesi
dopo l'insediamento del musicista nella capitale austriaca. Qui, grazie alla sua versatilità e all'interessamento del compositore di corte Antonio Salieri cui era stato raccomandato, era riuscito a diventare “poeta dei teatri imperiali“, iniziando una fortunata
e frenetica attività di librettista.
Mozart lo aveva incontrato, nel 1783, in casa del barone Wetzlar. Ma la collaborazione
inizierà due anni più tardi, quando, nel 1785, il musicista, come ricorderà Da Ponte
molto tempo dopo, “mi chiese se potessi ricavare agevolmente un'opera da una commedia di Beaumarchais, Le mariage de Figaro. Mi piacque molto il suggerimento e gli
promisi di scrivereci sopra un libretto... Mi misi dunque all'opera e, con la rapidità con
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Lorenzo Da Ponte anziano in una incisione colorata a mano di Michele Pekinino, 1820
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cui io scrivevo le parole, Mozzart (sic) le metteva in musica. In capo a sei settimane
tutto era a posto“. La nascita delle Nozze di Figaro è tutta qua: poche righe delle
Memorie di Da Ponte. Un parallelo procedere del testo poetico e della musica, una
naturale germinazione e un equilibrio delle risorse creative, lasciando vivere e cantare
personaggi che un altro aveva portato sul palcoscenico. L'opera andò in scena il 10
maggio 1786 al Burgtheater di Vienna con buon successo, mentre a Praga, dove era
stata ripresa dalla compagnia Bondini, fu un trionfo, tanto che a Mozart venne commissionato un nuovo lavoro per la stagione del 1787. Per il soggetto, la scelta cadde su
quello che era alla base di un' opera che aveva appena ottenuto gran successo a
Venezia e nei maggiori teatri italiani: il Convitato di pietra di Bertati e Cazzaniga.
Il libretto, racconta Da Ponte, fu scritto in una specie di tour de force contemporaneamente a quelli dell’Arbore di Diana per Martini e del Tarare per Salieri. Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni andò in scena, con grandissimo successo, la sera del 29 ottobre 1787 al Nationaltheater di Praga. Il terzo e ultimo atto del sodalizio Mozart-Salieri,
Così fan tutte, era stato suggerito dallo stesso imperatore Giuseppe II. L'opera andò in
scena il 26 gennaio 1790, al Burgtheater di Vienna, ma venne tolta dal cartellone dopo
solo quattro repliche per la morte improvvisa del sovrano e la conseguente proclamazione del lutto nazionale. La scomparsa di Giuseppe II segnerà anche il definitivo declino di Mozart, mentre Da Ponte, a causa di alcune beghe e di uno scandalo amoroso, fu
costretto a lasciare Vienna in quello stesso 1790. Se per il musicista si apriva l'ultimo e
triste capitolo della sua rapida esistenza, per Da Ponte iniziava invece una nuova avventura Si recò a Trieste, dove si innamorò di una ragazza inglese, con cui andò a Parigi e
poi a Londra per tredici anni scrivendo libretti per musicisti di second'ordine. Nel 1805
emigrò in America e visse per lo più a New York come insegnante di lingue, per un certo
periodo addirittura come professore al Columbia College. Da Nancy ebbe quattro figli.
Morì quasi novantenne nel 1838. Ma, curiosamente, i suoi funerali dovevano rappresentare una sorta di epilogo del suo sodalizio con Mozart: nel corso della cerimonia
venne eseguito quel Miserere di Allegri, che il musicista bambino aveva trascritto a
memoria, dopo averlo ascoltato nella Cappella Sistina a Roma.
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DONNE
Si sono versati fiumi d’inchiostro sulla sessualità e sulla tendenza all’erotismo e alla
coprolalia di Mozart. Fortunatamente, in quell’inchiostro, Mozart non ci è mai annegato.
In lui, come ebbe a scrivere al padre nel dicembre del 1781, “la natura si manifesta
come in chiunque altro, e forse maggiormente che in certi colossi“.
Niente di più. Tutto il resto è desumibile dalle famigerate lettere alla cuginetta, in cui
il turpiloquio, l’erotismo e l’allusione diventano gioco quasi esclusivamente verbale e
testimoniano semmai una assoluta disinvoltura nei confronti delle cose del sesso.
Lasciando da parte una favoleggiata e precoce relazione con una bella fornaia salisburghese, di cui si è sempre saputo poco o niente, non sono poi molte le donne che
hanno accompagnato i giorni terreni di Mozart.
Certo, la madre: un contraltare amoroso e caldo alla severità e alla moralità borghese
del padre. Forse anche una complice: per debolezza e compiacenza, comprensione e
troppo amore, verso quel figlio che le assomigliava in tante cose.
E poi la cuginetta, Maria Anna Thekla, soprannominata Bäsle, figlia di uno zio tipografo di Augusta. È lei che lo accompagna nella sua prima iniziazione amorosa (e forse
erotica). “Confermo, scrive il giovane musicista, che la nostra Bäsle è bella, saggia,
simpatica, svelta, divertente... È vero, noi due andiamo proprio bene insieme, perché
anche lei è un po’ briccona“. Sì, Mozart ha ventidue anni e queste parole autorizzano
qualche ipotesi. Non si può comunque affermare che la Bäsle sia stata il primo amore.
Questo ha semmai i lineamenti di Aloysia Weber, la futura cognata.
Aveva sedici anni, quando il musicista la conobbe e le diede lezioni di canto. Si trattò
sicuramente di amore, ricambiato solo con qualche civetteria. Forse sulla ragazza,
come ha osservato Wolfgang Hildesheimer, il musicista “esercitava troppo poca attrazione fisica. Ma è per lo meno dubbio che da questa delusione egli non si sia più ripreso vita natural durante“.
Appare, a questo punto, per lo meno curioso ma non privo di significato il fatto che,
qualche anno dopo la sua mancata relazione con Aloysia, Mozart abbia sposato
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Constanze una delle sorelle più giovani della
ragazza. E tra i due vi fu sempre, come lasciano intendere le lettere, una intesa sensuale,
ma anche quella complicità quotidiana, che
si stabilisce tra due persone sostanzialmente impreparate alla vita.
Non mancarono gli amori extraconiugali,
fuggitivi, nati e conclusi sovente durante le
prove di un’opera e favoriti, oltre che dalle
floride grazie di una cantante, dalla libertà
di costumi che regnava dietro le quinte dei
teatri. Poteva anche trattarsi dell’infatuazione
di una fanciulla per il suo maestro di pianoforte:
parole sottovoce, sguardi lunghi e furtivi, mani che
La cantante anglo-italiana Nancy Storace
si sfiorano... forse qualcosa di più.
in una stampa colorata settecentesca
Tra le molte donne che si affacciarono nella vita di
Mozart, non si può dimenticare la cantante di origine anglo-italiana Nancy Storace,
giunta a Vienna con il fratello Stephen nel 1783 a soli diciott’anni e prima interprete
di Susanna nelle Nozze di Figaro. Poco si sa e molto si può immaginare, ma c’è una
pagina che trasuda amore e intesa.
Si tratta dell’aria da concerto Ch’io mi scordi di te Kv 505 per soprano, pianoforte e
orchestra, composta nel 1787 (alla vigilia del ritorno della ragazza in Inghilterra) e
dedicata da Mozart a “Mademoiselle Storace et moi“. Mozart continuò a scrivere alla
ragazza, che tuttavia, alla sua morte (ventisei anni dopo quella del musicista), si premurò di bruciare tutte le lettere.
Resta da dire di Maria Theresia von Trattner, che era la moglie di uno stampatore viennese, che a sua volta sarebbe stato il padrino di tre figli di Mozart. Maria Theresia è la
dedicataria della Sonata Kv 457 e della relativa Fantasia Kv 475, che però furono scritte dopo la presunta rottura determinata dalla gelosia di Constanze.
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ENFANT PRODIGE
Finché durava la musica, era tutto musica;
solo quando finiva, si tornava a scorgere il bambino.
Maria Anna Mozart
La figura dell’enfant prodige si incarna in Mozart, diventandone in un certo senso il
mito fondante: un bimbo favorito dagli dei, dotato come nessun altro, genio allo stato
puro. Da qui il destino di un eterno fanciullo, cui non è permesso di crescere e diventare uomo, a dispetto della realtà e dell’evidenza stessa.
Così, Mozart è un bambino diverso dagli altri, non soltanto per quel suo particolare
modo di pensare e agire in musica, ma anche perché la vita che fa lo allontana dai giochi comuni, dalle amicizie di strada, dai primi ingenui stupori. Viene, fin dalla più tenera età, educato a comportarsi da adulto. Un adulto in miniatura, un poco ridicolo e un
poco grottesco con la sua parrucca incipriata, lo spadino, l’uniforme di gala che gli
aveva regalato l’imperatrice Maria Theresia (che era poi quella “smessa“ da suo figlio
Maximilian Franz), così come ce lo ha rappresentato il pittore Pietro Lorenzoni nel
1763 e come, in quello stesso anno, lo vide Goethe quattordicenne a Francoforte: “un
ometto con lo spadino“. Un adulto in miniatura, che divide i suoi giorni tra studio,
composizione e viaggi. Tournée continue e spossanti, con il padre e la sorella, talora
anche la madre, toccando i maggiori e non disdegnando i minori centri europei, per la
gioia e lo stupore dei principi e delle corti, dei blasonati e degli agiati borghesi, che
dappertutto si assomigliano. Enfant prodige da esibire al cembalo insieme alla sorella, ma anche un precocissimo compositore, autore della sua prima sinfonia a nove anni
e di un’opera lirica già a undici, capace di riscrivere a memoria la melodia e il contrappunto “impossibile” del Miserere di Allegri e di superare senza difficoltà i difficili
esami dell’Accademia Filarmonica di Bologna.
La sorella Nannerl, che gli era maggiore di circa cinque anni, così lo ricorda appena un
paio d’anni dopo la morte: “Era piccolo, magro, pallido e la sua fisionomia non rivelava niente di straordinario. Il suo corpo era perpetuamente in movimento, doveva sem-
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Mozart al cembalo con il padre e la sorella in un acquerello di Carmontelle
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pre giocherellare con le mani e con i piedi. Era appassionato di biliardo e abitualmente ne aveva uno in casa, sul quale giocava per distrarsi. Anche il suo volto cambiava
sempre; esprimeva i suoi stati d’animo in cui le facoltà inferiori - una delle quali era
l’immaginazione, che gli consentì di diventare l’incantatore che tutti conoscono - prevalevano nettamente su quelle superiori“.
È l’ingannevole ritratto dell’eterno bambino che Mozart rimase per la sua famiglia,
malaccorto e incapace, fuori dall’ambito musicale, di adeguarsi alle responsabilità che
l’età adulta comportava. Ben diversa era la realtà, ma il peso di questo pregiudizio,
che percorre tutta la corrispondenza con il padre, crucciò il musicista, che aveva
davanti agli occhi lo spettro della miseria.
Tuttavia, l’enfant prodige aveva presto afferrato il senso della creazione e della poesia musicale, riuscendo a raggiungere quella semplicità che cela e supera nell’espressione qualsiasi elaborazione. Una spontaneità che racchiudeva una grande precisione
e una estrema accuratezza compositiva. Lo aveva capito subito già il grande Haydn,
che rivolgendosi a Leopold aveva detto : “Ve lo dico davanti a Dio, onestamente,
vostro figlio è il più grande compositore che io conosca, ha gusto e grande scienza
della composizione“. E dunque, come ha osservato Arthur Schnabel, “non la quantità
delle note, ma la loro disarmante qualità“.
Tra le righe di una vecchia lettera, il padre aveva osservato: “la tua espressione era
così compunta che molte persone di senno, considerando il tuo talento così precocemente sbocciato e il tuo atteggiamento, sempre serio e pensieroso, temevano che non
saresti vissuto a lungo“. E a lungo, certo, Mozart non visse (ma non morì più giovane
di tanti altri musicisti), vittima dello strano gioco del destino che già quando aveva
appena dieci anni aveva ispirato al dottor Tissot queste parole: “la sua conoscenza
della musica è straordinaria, ma se non fosse un musicista, probabilmente sarebbe un
bimbo del tutto normale“. Ecco, il suo era stato un destino che gli aveva impedito di
essere normale, di essere cioè come tutti gli altri.
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EPISTOLARIO
Le lettere non risolvono tutti i misteri di questo genio enigmatico,
ma avvertiamo, qua e là, un soffio, un’allusione, un’espressione,
che ci lasciano intravedere la bontà e i sentimenti di un uomo incomparabile.
Hermann Hesse
Sulla figura e sull’opera di Mozart ci sono migliaia di volumi, ma, paradossalmente, chi ha
scritto meglio di chiunque altro è stato proprio lui. E lo ha fatto in centinaia di lettere
dirette a familiari, conoscenti e altri corrispondenti nell’arco di poco più di venticinque
anni. Le lettere costituiscono una straordinaria testimonianza che ha pochi uguali sulla
formazione e sull’attività artistica e creativa di un musicista, fra i maggiori di tutti i tempi.
Se poi consideriamo l’epistolario completo, che comprende più o meno 1200 lettere della
famiglia Mozart, alle quali se ne devono aggiungere altre quattrocento della moglie e
della sorella dopo la morte del musicista, ci troveremo fra le mani un documento di rara
ampiezza e inestimabile ricchezza, che permette di autentificare e datare molte opere,
conoscere il metodo di lavoro e la poetica, problemi di esecuzione e vita musicale della
seconda metà del Settecento. Per non dire della vita sociale, con i problemi quotidiani di
una famiglia di medio reddito in provincia e nella capitale, le luci dei grandi salotti e delle
corti europee, gli affitti e gli arredi, i viaggi, i mezzi di trasporto, le locande, la massoneria e mille altri particolari.A offrirci questa mole di lettere (ma molte altre non ci sono pervenute), che sono raccolte in sette volumi pubblicati tra il 1962 e il 1975 dalla
Internationale Stiffung Mozarteum (se ne annuncia la prossima traduzione, probabilmente parziale, in lingua italiana), non sono soltanto i frequenti viaggi che a fasi alterne separarono per lunghi mesi i membri della famiglia, ma anche la buona disposizione di Mozart
a scrivere, spesso per scacciare la noia o mitigare la solitudine. E c’è poi un singolare
talento che si rivela nel piacere della lingua (non solo il tedesco, ma anche il francese e
l’italiano) e delle sue risorse lessicali e sintattiche, nei giochi di parole, nel non-sense, nella
parodia e nell’invenzione verbale, nella capacità di raccontare e di ricreare dei dialoghi
che diventano piccole scene teatrali e ancora nel gusto di certe poesiole scalcinate e sala-
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ci e nella sovrana trasgressione della forma epistolare, soprattutto nei divertiti e improvvisi congedi e perfino nella firma che viene continuamente rivoltata.
Molto hanno sconcertato le letterine alla cuginetta Maria Anna Thekla (la Bäsle) per la
salacità del linguaggio e una sorta di coprolalia. Ne diamo un solo esempio, facendo presente che giochi verbali di questo tipo erano assai in uso nell’Austria di quel tempo e non
scandalizzavano nessuno, anzi... “Buona notte, cara la mia ragazza, cachi nel letto finché
non si scassa, stia chiotta chiotta e stiri il culo fino alla bocca... Nel frattempo stia bene.
Ahi, il mio culo brucia come il fuoco! Che vorrà mai dire? Forse è la merda che vuole uscire? Sì, sì, merda, ti riconosco, ti vedo, ti sento... e...cos’è? Possibile? O dei! Orecchio mio,
non m’inganni? No, è proprio così. Che suono lungo e triste“. Ma ci sono anche le lettere al padre, specialmente quelle in cui annuncia qualcosa che al genitore risulterà spiacevole, in un gioco ambiguo di dichiarazioni e immediate ritrattazioni, che dovevano mettere immediatamente sull’avviso il diffidente Leopold. Di grande precisione, al contrario,
le lettere in cui parla di musica e musicisti, manifestando una sicurezza di giudizio che
nulla può scalfire.
Ben diverso, infine, il tono di molte lettere dell’ultimo anno di vita, con struggenti solitudini e piccole gelosie, confessioni di infelicità, paure e soprattutto richieste reiterate di prestiti e aiuti economici a qualche fratello massone.
Le ultime righe di una lettera autografa di Mozart del 1791
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FIATI
Anche ciò che è leggero può essere grande,
se scritto in uno stile scorrevole e facile e se,
allo stesso tempo, si basa su una solida composizione.
Leopold Mozart al figlio il 13 agosto 1788
La carriera di Mozart, accanto alle opere di grande impegno, era costellata di committenze che si volgevano piuttosto a un genere che veniva considerato “leggero“ e occasionale. Si tratta di quelle Harmonienmusik, che grazie all’impiego prevalente di strumenti a fiato, potevano avvenire all’aperto, in parchi e giardini di dimore patrizie, ma
anche nelle piazze, perché vi partecipavano, assieme a strumentisti professionisti,
bravi dilettanti e magari elementi della servitù. Le occasioni erano molte e svariate,
specialmente nozze e genetliaci illustri, festeggiamenti di visitatori e ospiti di riguardo, cerimonie pubbliche e accademiche. Ecco allora l’orchestrina di fiati con un repertorio di cassazioni e divertimenti, serenate e notturni. Le denominazioni sono quasi
interscambiabili e la tonalità è festosa, in maggiore. Musica d’intrattenimento, dunque, alla quale Mozart sacrificò di frequente e volentieri, a partire dalla prima giovinezza fino agli ultimi anni viennesi, sovente respirando in queste pagine il gusto della
sperimentazione e il gioco dei timbri, ma anche consegnando non di rado veri e propri capolavori.
Ecco due Divertimenti fratelli nell’organico strumentale (coppie di oboi, clarinetti,
corni inglesi, corni e fagotti) e nella struttura dei cinque movimenti, quello in mi
bemolle maggiore Kv 166 e quello in si bemolle maggiore Kv 186, composti entrambi
nel 1773, al ritorno a Salisburgo dopo il soggiorno milanese, dove avevano forse trovato la loro prima origine. Al primissimo periodo viennese, appartiene la Serenata in
mi bemolle maggiore Kv 375 per due clarinetti, due corni e due fagotti, che in un
secondo momento si arricchirono di due oboi. Sempre cinque movimenti disposti
secondo una sapiente simmetria. È lo stesso Mozart a parlarcene in una lettera al
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padre (3 novembre 1781): “Scrissi questa musica il giorno di Santa Teresa per la
cognata di Herr von Hickel, pittore di corte, in casa del quale venne eseguita per la
prima volta. I sei esecutori erano poveri diavoli, che però suonavano abbastanza bene
insieme... Ma la ragione principale che mi spinse a comporre questa serenata fu quella di far sentire qualcosa di mio a Herr von Strack valletto di camera imperiale, che si
reca ogni giorno in casa Hickel; la scrissi quindi con cura particolare e ottenne grande
successo”.
La Serenata notturna in do minore K. 388 risale all’anno dopo. Una pagina che non
sembra certo ispirata al genere galante e tanto meno dedicata alla musa della rapidità, anche se a questo proposito il compositore non aveva mancato di scrivere al padre
sul finire del luglio 1782: “ho dovuto comporre una Musica Notturna in fretta e furia,
fortunatamente per soli strumenti a fiato”. Ma la Serenata, composta per il principe
von Lichtenstein, era nata nel segno dello studio recente di Bach e di Händel, privilegiando strutture rigorose e sapienza contrappuntistica, cui danno insoliti accenti i particolari impasti timbrici. Un capolavoro in cui una sorta di austerità sfocia in una lieve
drammaticità e in un “palpito di malinconia pensosa e contemplativa” come ha osservato Bernhardt Paumgartner.
Della Serenata in si bemolle magg. per dodici strumenti a fiato e contrabbasso Kv 361,
detta (ma da chi?) “Gran Partita”, nulla si sa sulla data di composizione e sull’occasione che ne sollecitò la nascita. Un recente esame della filigrana del manoscritto ha
permesso di situarne la composizione negli anni 1781-82, ma la prima esecuzione
appare alquanto successiva, visto che si trattava quasi certamente di quella annunciata dal Wienerblättchen il 23 marzo 1784 al Burgtheater di Vienna, con la partecipazione al corno di bassetto di Anton Stadler. Nulla vieta, allora, di dare qualche credito ad
una vecchia tradizione, secondo la quale, in origine, la Serenata sarebbe stata in parte
eseguita nell’agosto del 1782 nel corso del banchetto nuziale di Mozart e Costanze
Weber e successivamente ripresa e sviluppata nella versione che ben conosciamo. Si
spiegherebbe, così, il ricorso agli strumenti a fiato, la scelta della struttura a suite tipica della Serenata, il gusto per certi temi e forse anche quell’accordo di Mi bemolle
maggiore che diventa il cuore dell’intera composizione. Probabilmente successivo
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sarebbe allora quell’adagio di lirica tensione e di infinite sfumature timbriche, con
oboe e clarinetto e corno di bassetto secondi insieme al fagotto che, nella continua
ripetizione di una cellula ritmica, fanno da contraltare alle effusioni canore quasi
metastasiane delle prime parti. È così che la varietà delle combinazioni strumentali
diventa straordinaria ricchezza timbrica e graduale conquista della luce, proponendoci contemporaneamente le due facce dell’illuminismo: quella aperta e sorridente della
razionalità e quella notturna e corrucciata dell’esoterismo. Se i timbri scuri rimandano
ad inquietudini e presagi angoscianti, quelli più brillanti rivitalizzano il contesto con lo
spirito popolare e l’umorismo delle “harmonienmusik”.
La serenata di Karl Spitzweg
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GASTRONOMIA
Diversamente da quanto si potrebbe immaginare accompagnando Don Giovanni fra pranzi e cene, feste e banchetti, il rapporto di Mozart con il cibo era per lo più ispirato a una certa moderazione, che aveva le sue origini
nell’educazione paterna, ma era anche frutto dell’esperienza e dei numerosi viaggi. Ciò non significa che la sobrietà fosse una regola costante,
ma piuttosto che l’eccesso e la golosità erano infrazioni, frequenti o contenute a seconda
dei periodi, alla misura della consuetudine. Sfogliando l’epistolario, veniamo a sapere che
gli piacevano in sommo grado il cappone e il fagiano allo spiedo con contorno possibilmente a base di cavoli, ma anche la lingua di manzo bollita e servita con salse piccanti, un
piatto tipico della Salisburgo di quel tempo. I soggiorni parigini gli avevano favorito il gusto
per qualche raffinatezza, come era il caso delle ostriche annaffiate con champagne e i gelati. Nell’ultimo anno di vita, la frequentazione di Schikaneder, che era notoriamente dedito
alle gozzoviglie, aveva trovato complemento in allegre cene in locali della periferia a base
di storione e costolette di maiale, generosamente annaffiate con vino della Mosella.
Al musicista si ispirano i ”Salzburger Mozartkugeln”, letteralmente le ”palle di Mozart”,
create intorno al 1884 da Paul Fürst e ampiamente imitate e contraffatte da molti pasticceri di Salisburgo, fino alla produzione su scala industriale. La versione originale artigiana
prevede un cuore di cacao con nocciole in una palla di marzapane intinta nel cioccolato.
Va da sé che le ”palle” devono essere tutte uguali e avvolte in carta dorata con l’effigie
un poco idealizzata del musicista. Un cioccolatino omologo, secondo l’accigliato Adorno,
alla mercificazione della musica di Mozart.
Esistono, naturalmente, le torte Mozart. Quella che veniva preparata nella casa salisburghese del musicista si basava su una ricetta analoga a questa: amalgamare burro, tuorli
d’uovo e zucchero fino ad ottenere una crema omogenea, cui aggiungere poi rhum, caffé,
cacao in polvere, scorza di limone grattugiata e caffelatte. Infine, incorporare della farina
setacciata con lievito, alternandola agli albumi montati a neve, in modo da tenere la pasta
sempre morbida. Versare il composto in una teglia e passarlo in forno. Una volta che è raffreddata, tagliarla a metà, bagnare con del marsala e farcire con marmellata di albicocche.
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ITALIA seconda patria del giovane Mozart
In nessun altro paese ho ricevuto tanti onori,
in nessun altro luogo ho goduto di tanta considerazione come in Italia...
In Italia, dove vivono i più grandi maestri, non si parla che di Mozart.
W. A. Mozart a suo padre in data 11 ottobre 1777
L’Italia era considerata, ancora nel Settecento, una tappa d’obbligo per ogni compositore che nutrisse ambizioni internazionali e che volesse perfezionare il proprio sapere.
L’Italia era la patria della musica, o meglio ancora dell’opera. C’erano numerosi
Conservatori che mantenevano intatto il loro prestigio, i teatri, le Accademie, alcuni dei
maggiori centri musicali di tutta Europa e infine personaggi di grande fama e cultura.
Poiché un viaggio in Italia, a quei tempi, prevedeva un lungo soggiorno e poiché tale
viaggio si rendeva indispensabile per consolidare la fama e accrescere il prestigio del
piccolo Mozart, il padre si preoccupò di avere una “licenza” da parte dell’arcivescovo
di Salisburgo. Il quale concesse un anno e anticipò lo stipendio, così che in parte le
spese fossero coperte. Leopold Mozart si procurò poi diverse lettere di raccomandazione e di presentazione.
Padre e figlio, che aveva allora quattordici anni, partirono il 13 dicembre 1769.
Una settimana dopo passavano il Brennero e alla vigilia di Natale erano a Rovereto.
Qui, il piccolo musicista tenne il suo primo concerto nel palazzo del barone Todeschi,
ottenendo successo. Qualche giorno dopo, i due salisburghesi avevano già raggiunto
Verona, dove sarebbero rimasti due settimane. Concerti, esecuzioni all’organo, serate
all’opera, tutto contribuiva all’affermazione di Mozart. Dopo una sosta a Mantova e
una a Cremona, padre e figlio giunsero il 23 gennaio 1770 a Milano, dove il ragazzo
fu apprezzato dal sinfonista G. B. Sammartini e ottenne la protezione del conte di
Firmian, ministro plenipotenziario dell’Austria. Il successo fu tale, che al termine di
concerti e accademie, Mozart ricevette l’incarico di comporre un’opera, Mitridate re
del Ponto, per la successiva stagione del Teatro Ducale. A Firenze, dove arrivò alla fine
di marzo e rimase circa una settimana, altri successi alla corte del granduca Leopoldo
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di Toscana, destinato a diventare imperatore d’Asburgo alla morte del fratello
Giuseppe II. A Roma, i due Mozart giunsero durante la settimana santa, si verificò il
famoso episodio del Miserere di Allegri, “apprezzato a tal punto che ai musici della
Cappella Sistina è proibito sotto pena di scomunica di portarne via anche una sola
parte, o di copiarla o darla a chicchessia”. Il piccolo Mozart, dopo averlo ascoltato una
sola volta, lo riscrisse per intero, tale e quale. Ancora Roma, dopo una sosta a Napoli,
durante il viaggio di ritorno, altri onori e l’ordine cavalleresco dello Speron d’oro, che
venne conferito al Quirinale da Papa Clemente XVI in persona. Poi il soggiorno a
Bologna, tra luglio e ottobre, in parte trascorso nella villa di campagna del conte Pallavicini, dove Mozart poté preparare il fortunato esame per essere ammesso
all’Accademia di Bologna, titolo di grande prestigio in tutta Europa e utilissimo per
diventare Kapellmeister. Ma soprattutto l’incontro con il massimo conoscitore di contrappunto, il celebre padre G. B. Martini, che per il giovane musicista sarebbe rimasto
per molto tempo un punto di riferimento. Poi, il 26 dicembre, a Milano, il successo del
Mitridate e le lodi di Parini: “Il giovane maestro di Cappella, che non oltrepassa l’età
di quindici anni, studia il bello della natura e ce lo rappresenta adorno delle più rare
grazie musicali”.
A Salisburgo padre e figlio rientrarono il 28 marzo del 1771, con un bilancio assai positivo: il viaggio aveva dato i suoi frutti. Ma l’11 agosto, i due ripartirono per Milano,
per preparare la Festa o serenata teatrale commissionata per le nozze dell’arciduca
Ferdinando, su libretto dello stesso Parini. Ma nonostante il successo, l’arciduca venne
sconsigliato dalla madre, l’imperatrice Maria Theresia, di assumere Mozart al suo servizio. Anche se aveva ottenuto una nuova scrittura per l’anno seguente, il musicista
aveva visto ormai sfumare le sue speranze di rimanere in Italia. Così, quando il 26
dicembre 1772 il pubblico milanese al termine della rappresentazione del Lucio Silla,
applaudì il giovane Mozart, si trattò più di un congedo che di un successo e il 12 marzo
1773, quando padre e figlio ripassarono il Brennero, fu per l’ultima volta.
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Il palazzo della Mercanzia a Bologna in una stampa settecentesca
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JACQUIN amicizia con clarinetto e corno di bassetto
Un salotto più domestico e amichevole per i giovani,
riservato a chiacchiere, musica, scherzi e piccoli giochi di società.
Caroline Pichler
A metà degli anni Ottanta del Settecento, erano celebri le serate che ogni mercoledì il barone Nikolaus Joseph von Jacquin, celebre botanico e professore di chimica all’Università di
Vienna e autorevole fratello massonico, organizzava nel suo palazzo denominato
”Rennweg”, nei pressi del giardino botanico. Vi partecipavano intellettuali e artisti fra i più
importanti della Vienna illuminista e non si parlava solamente di scienza e filosofia, ma
anche si facevano giochi di società e si praticava la musica e ai più alti livelli. Fra gli ospiti del barone, c’erano il clarinettista Anton Stadler e Mozart che spesso era in compagnia
della moglie e che era assai legato ai figli del padrone di casa, la giovanissima Franziska
alla quale dava lezioni di pianoforte e Gottfried, portato per la musica e dotato di una bella
voce. Stando alle testimonianze di Caroline Pichler, dimenticata autrice di romanzi sentimentali, Mozart ha trascorso ore felici e dilettose in casa Jacquin, improvvisando e suonando liberamente per un pubblico di amici. Il fatto, poi, che alcuni di questi amici fossero tra i maggiori virtuosi di clarinetto e corno di bassetto della Vienna del tempo, vale a
dire i fratelli Stadler, ma anche David e Springer, la dice lunga sullo sperimentalismo di
certe composizioni. E giusto in quegli anni, Mozart esplorò le potenzialità del corno di bassetto, verificandone le diverse associazioni sonore. Non c’è soltanto la serie di Notturni Kv
437 e 439 per tre voci, due clarinetti o tre corni di bassetto, ma anche un gruppo di cinque
Divertimenti per lo stesso organico (ma senza le voci) Kv 439b, tutte pagine dedicate o
donate al giovane Gottfried. Ore felici, rubate al lavoro e all’angoscia dei giorni. Fu il caso
anche, nell’estate del 1786, del più noto Trio per pianoforte, clarinetto e viola Kv 498,
datato 5 agosto e denominato “Trio dei birilli”. Pare, infatti, che sia stato abbozzato proprio durante una pomeridiana partita ai birilli all’aperto ed eseguito la sera stessa con
Stadler al clarinetto, Franziska von Jacquin al pianoforte e Mozart alla viola. Un tenero
omaggio all’amicizia nella rinuncia al virtuosismo e al contrasto dei movimenti.
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K come Köchel
Non è certo misteriosa e tanto meno kafkiana la ”K” che precede il numero d’opera
delle composizioni di Mozart. La lettera non è altro che l’iniziale del cognome di colui
che catalogò per primo tutte le opere del musicista. Stiamo parlando di Ludwig Alois
Friedrich von Köchel nel 1862, che, nel 1862, pubblicò il “Catalogo cronologico-tematico di tutte le opere di Wolfgang Amadé Mozart”. E per la prima volta si potè avere
una quadro completo (o quasi) dell’intera opera mozartiana. Per la verità, già Mozart
ci aveva provato, con il “Verzeichniss aller meiner Werke” (Catalogo di tutti i miei lavori), vale a dire un taccuino manoscritto di una trentina di pagine con tutti gli appunti
e le partiture delle 145 opere opere composte fra il febbraio del 1784 e il dicembre del
1791, oggi custodito nella British Library, che lo ha messo in rete in versione digitale
con 75 introduzioni musicali. Successivamente, la vedova Constanze e diversi tra i suoi
amici avevano tentato di mettere ordine tra le numerose opere sparse, manoscritte e
Concerto settecentesco in un disegno acquerellato di Zotti
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pubblicate, con l’intento di separare le composizioni autentiche da quelle spurie. Ma
per più di mezzo secolo quei tentativi diedero solamente risultati frammentari.
Ben altra cosa è, ovviamente, il catalogo di Koechel, che sarebbe stato rivisto e completato negli anni Cinquanta da Alfred Einstein e pubblicato in varie edizioni, sempre
aggiornato alle più recenti conoscenze musicologiche. Gli aggiornamenti nella
sequenza delle opere non vengono tenuti in considerazione dall’industria musicale,
che finora si attiene alla numerazione originaria preceduta dalla sigla “KV” (Köchel
Verzeichnis-Catalogo Köchel).
Il catalogo registra complessivamente 626 opere di Mozart che con le ulteriori
aggiunte arrivano a non meno di 754, tra cui 25 lavori teatrali, 19 messe per soli coro
e orchestra, più 8 litanie e vespri, 39 mottetti, 10 cantate e il Requiem in re minore
rimasto interrotto, 71 arie con accompagnamento orchestrale e 41 melodie, 51 sinfonie (ma ce ne rimangono complete 41), molte cassazioni e divertimenti per vari strumenti e serenate per piccola orchestra, 51 concerti per vari strumenti solisti, 23 sonate per pianoforte di cui 5 a quattro mani e un gran numero di variazioni e piccoli pezzi,
43 sonate per violino e pianoforte, 8 trii e 32 quartetti, 10 quintetti di cui 2 per strumenti a fiato. Insomma, un’opera talmente vasta, che ci vorrebbe più di un anno per
eseguirla tutta e che pochissimi hanno ascoltato o letto per intero.
Ludwig Alois Friedrich von Köchel, che era nato nel 1800 a Stein an der Donau, si era
laureato in giurisprudenza a Vienna, ma aveva presto manifestato un grande interesse anche per le scienze naturali. Era soprattutto un uomo di notevole cultura e di
straordinaria versatilità. Come appassionato musicologo e musicista arrivò a cimentarsi anche con la composizione ed ebbe legami di amicizia e stima con Schubert e
Brahms. Come scienziato si interessò con importanti risultati di problemi di geologia
e di botanica, né mancò, da vero uomo del suo stempo, di occuparsi di pedagogia e di
letteratura. Visse prevalentemente a Salisburgo e a Vienna, dove morì nel 1877.
Il suo nome resta legato indissolubimente a quello di Mozart, del quale non si limitò
a compilare il catalogo, in un’epoca in cui mancavano strumenti di ricerca adeguati,
ma collezionò anche numerosi manoscritti. Oltre a quello mozartiano, Köchel compilò
un catalogo delle opere di Johann Joseph Fux.
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LEOPOLD l’ombra del padre
Ho sempre creduto che tu debba considerarmi
il tuo migliore amico più che un padre, in quanto
hai cento prove che nella mia vita mi sono curato
più della tua felicità e del tuo piacere che dei miei.
Leopold Mozart al figlio in data 20 luglio 1778
Wolfgang Amadé Mozart è impensabile, almeno fino ai ventidue anni, senza la sua famiglia. Una famiglia che egli finì per fagocitare, attraendo nell’ orbita della propria fama
ogni altra individualità. Così, Leopold Mozart è passato alla storia quasi soltanto per
essere stato il padre di Wolfgang. Un padre discusso e ambiguo, considerato, secondo i
casi e i tempi, un genitore autoritario e oppressivo, oppure, all’opposto, un educatore
scrupoloso e lungimirante, talora addirittura geniale. La verità, probabilmente, sta nel
mezzo. E tuttavia, quest’uomo, magro e di statura assai modesta, alquanto arrogante,
attento al proprio utile e parsimonioso, solitario e critico verso i propri colleghi, ma anche
marito affettuoso e padre coscienzioso, quest’uomo, fino ad un certo momento della sua
vita, quello che coincide, appunto, con la nascita del figlio, ebbe una reputazione solida
e seguì una carriera ben precisa, quella di tanti altri musicisti attivi intorno alla metà del
Settecento, dotati di ottimo mestiere, capacità didattiche e buona cultura.
Era nato nel 1719 ad Augusta, in una famiglia di tradizioni artigiane. Non aveva però
seguito le orme del padre, rilegatore di libri, perché, dopo avere frequentato il ginnasio
e il liceo presso i Gesuiti della sua città (ricevendo anche la prima istruzione musicale),
aveva preferito iscriversi all’Università di teologia di Salisburgo. Una volta giunto nella
città austriaca, aveva però optato per i corsi di filosofia e giurisprudenza, mantenendosi agli studi con delle lezioni di musica. Ma gli studi durano poco: in capo a due anni,
Leopold Mozart viene cacciato dall’università per scarsa frequenza. Trova, allora, un
primo impiego, come cameriere e musico, presso la famiglia del conte Thurn und Taxis,
che aveva l’appalto dei servizi postali dell’impero. Nel 1743 è violinista nell’orchestra del
Principe Arcivescovo di Salisburgo, Sigmund von Schrattenbach. Qui inizia la sua carrie-
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Leopold Mozart in un ritratto di P. A. Lorenzoni, 1765
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ra di musicista, lenta ma tenace. Diventa presto anche insegnante di violino, poi, nel
1757, compositore di corte e, cinque anni dopo, vice Kapellmeister, penultimo gradino di
quella scala, che però non avrà più il tempo di salire. Infatti, nel 1756, “il dì 27 gennaio,
alle otto di sera, la mia consorte ha dato felicemente alla luce un maschietto”.
Quella nascita, che precedeva di pochi mesi la pubblicazione del suo “Metodo per lo studio del violino”, doveva cambiare radicalmente la sua esistenza. Leopold Mozart, dopo
avere impartito i primi rudimenti musicali al figlio, ne aveva subito intuito il genio e
aveva deciso di mettere al suo servizio ambizioni, volontà, capacità e cultura. La carriera di enfant-prodige, lo studio severo e continuo, le massacranti tournée in Europa riuscirono infatti a strappare al provincialismo di Salisburgo e all’anonimato il piccolo
Wolfgang, a schiudergli quegli orizzonti artistici e musicali che ne stimolarono l’originalità e le straordinarie capacità mimetiche e innovative al tempo stesso.
È anche per questo che Wolfgang Amadé Mozart deve molto della sua grandezza al
padre. Il quale, una volta che il figlio si prese la sua libertà, scegliendo di fare l’artista a
Vienna senza livrea, continuò la sua tranquilla e mediocre esistenza salisburghese, con
quel breve e luminoso intervallo a Vienna nel 1785 che gli permise di toccare con mano
la celebrità di Wolfgang e quella morte solitaria che lo colse due anni dopo.
Natura morta con violino di Jean Baptiste Audry
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LIBRI
In questa bibliografia si indica: una scelta di volumi di riferimento disponibili in italiano
sulla vita e sulle opere di Mozart; alcune antologie di lettere tradotte in italiano e l’edizione completa dei libretti delle opere.
LA VITA E LE OPERE
HERMANN ABERT, Mozart, 3 voll., Milano, Il Saggiatore, 1984-1986
GIOVANNI CARLI BALLO LAROBERTO PARENTI, Mozart, Milano, Rusconi, 1990
LIDIA BRAMANI, Mozart massone e rivoluzionario, Milano, Bruno Mondadori, 2005
PIERO BUSCAROLI, La morte di Mozart, Milano, Rizzoli, 1996
PIERO BUSCAROLI, Al servizio dell’imperatore. Come Giuseppe II spinse Mozart alla
rovina, Assisi, 2006
PAOLO CATTELAN, Mozart. Un mese a Venezia, Venezia, Marsilio, 2000
SERGIO DURANTE (a cura di), Mozart, Bologna, Il Mulino, 1991
JOSEPH HEINZ EIBL, Mozart: cronaca di una vita, Milano, Ricordi, 1991
ALFRED EINSTEIN, Mozart: il carattere e l’opera, Milano, Ricordi, 1951
NORBERT ELIAS, Mozart. Sociologia di un genio, Bologna, Il Mulino, 1990
DANILO FARAVELLI, Wolfgang Amadeus Mozart, Roma, Editori Riuniti, 1989
GERNOT GRUBER, La fortuna di Mozart, Torino, Einaudi, 1987
WOLFGANG HILDESHEIMER, Mozart, Firenze, Sansoni, 1980
CHRISTIAN JACQ, Il romanzo di Mozart. Il Maestro segreto, Cairo Publishing, 2006
STEFAN KUNZE, Il teatro di Mozart, Venezia, Marsilio, 1990
PAOLO LANAPOPPI, Lorenzo Da Ponte, Venezia, Marsilio 1992
FLORIAN LANGEGGER, Mozart padre e figlio, Milano, Mondadori, 1982
PIETRO MELOGRANI, WAM, Bari, Laterza, 2003
MASSIMO MILA, Mozart. Saggi 1941-1987, Torino, Einaudi, 2006
MASSIMO MILA, Lettura delle ”Nozze di Figaro”, Torino, Einaudi, 1979
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MASSIMO MILA, Lettura del ”Don Giovanni”, Torino, Einaudi, 1988
MASSIMO MILA, Lettura del ”Flauto magico”, Torino, Einaudi, 1989
ERNESTO NAPOLITANO, Mozart: verso il Requiem. Frammenti di felicità e morte, Torino,
Einaudi, 2004
MICHEL PAROUTY, Mozart prediletto degli dei, Parigi, Universale Electa/Gallimard, 1992
BERNHARDT PAUMGARTNER, Mozart, Torino, Einaudi, 1945
AMEDEO POGGI E EDGAR VALLORA, Mozart. Signori, il catalogo è questo!, Torino,
Einaudi, 1991
PIERO RATTALINO, Vita di Wolfgango Amadeo Mozart scritta da lui medesimo, Milano,
Il Saggiatore, 2005
HOWARD C. ROBBINS LANDON, Mozart. Gli anni d’oro, 1781-1791, Milano, Garzanti, 1989
HOWARD C. ROBBINS LANDON, 1791. L’ultimo anno di Mozart, Milano, Garzanti, 1989
STANLEY SADIE, Mozart, MilanoFirenze, Ricordi-Giunti, 1987
STANLEY SADIE, Wolfgang Amadeus Mozart. Gli anni salisburghesi 1756-1781, Milano,
Bompiani, 2006
ERIC-EMMANUEL SCHMITT, La mia storia con Mozart (con CD Audio), Roma, e/o, 2005
ENZO SICILIANO, I bei momenti, Milano, Mondadori, 1997
MAYNARD SOLOMON, Mozart, Milano, Mondadori, 1996
LUCIANO STERPELLONE, Mozart tra medici e medicine, Cinisello Balsamo, Edizioni
Paoline, 1991
JACQUES TOURNIER, L’ultimo dei Mozart. Il figlio di Wolfgang Amadeus, Roma, E/O, 2006
LE LETTERE E I LIBRETTI
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Lettere, a cura di Elisa Ranucci, Milano, Guanda, 1981
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Lettere alla cugina, a cura di Juliane Vogel, Milano, Es, 1991
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Tutti i libretti, a cura di Marco Beghelli, Milano,
Garzanti, 1991
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Tutti i libretti, a cura di Piero Mioli, Milano, Newton
Compton, 2006
WOLFGANG AMADEUS MOZART, Tutti i testi delle composizioni vocali a cura di Marco
Murara e Bruno Bianco, Marco Valerio Ed., 2 volumi, 2006
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MASSONERIA
Il 14 dicembre 1784 Mozart aderisce alla massoneria e viene inziato con il grado di
apprendista nella loggia viennese ”die Wohltatigkeit”. Appena tre settimane dopo, il
7 gennaio 1785, ha già raggiunto il secondo grado, quello di compagno, su richiesta
della sua loggia e con le cerimonie in uso in un’altra loggia viennese detta ”Zur wahren Eintracht”. Non è invece nota la data della sua promozione a Maestro, ma presumibilmente avviene intorno al 22 aprile 1785 e nello stesso periodo suo padre Leopold
viene ammesso nella loggia del figlio, dove in breve tempo supererà i tre gradi della
conoscenza.
Lo spirito massonico, del resto, era presente in Mozart da molto tempo, come testimoniato dal suo amore per libertà e l’uguaglianza, dal desiderio di un lavoro comune e
di un’amicizia fraterna. Tutti caratteri ben presenti nel pensiero massonico di fine
Settecento, in cui accanto agli ideali di libertà, armonia, lealtà e pacifismo, si incontravano le teorie alchemiche e la volontà di influenzare in senso liberale il dispostismo
illuminato dei sovrani. Non solo il pensiero, ma anche gli esponenti della massoneria
viennese e soprattutto i cosiddetti Illuminati di Baviera (che sarebbero stati perseguitati dalla polizia segreta) influenzarono l’atteggiamento di Mozart: Sonnenfels, van
Swieten, Blumauer, Born, Wieland, Pezzl, Mesmer e Ziegenhahen. E Mozart aveva contatti con l’intellighenzia più progressista e più aperta del suo tempo, in particolare con
personaggi del mondo medico, giuridico, politico.
Sono numerose e talora evidenti le influenze massoniche nell’opera mozartiana, alcune in filigrana e altre in modo molto più evidente e diretto. L’incontro tra sovrannaturale e naturale presente in Don Giovanni era un tema squisitamente massonico. In
Così fan tutte, lo scambio delle coppie (che sarà ripreso da Goethe nelle Affinità elettive) è tipico del linguaggio alchemico praticato dai massoni e il trattamento medico
con calamita proposto si riconnette direttamente a Mesmer. Nella Clemenza di Tito,
opera commissionata da massoni, viene descritto un despota illuminato come garante di una giustizia scritta e uguale per tutti.
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Tra le pagine dichiaratamente legate alla massoneria, e se ne contano non meno di
undici, è opportuno rilevare la cantata per tenore, coro maschile e orchestra Die
Maurerfreude K 471, eseguita il 24 aprile 1785 in onore del Gran Maestro Ignaz van
Born. C’è poi la Maurrische Trauermusik (Musica funebre massonica) K 477 destinata
alla commomeroazione dei fratelli defunti e composta in occasione della morte del
duca Giorgio Augusto di Meclemburgo-Strelitz, imperial regio maggior generale. E c’è,
infine, Il Flauto magico K 620, che si può leggere come una vera e propria opera di
difesa e glorificazione della massoneria, piena di riferimenti e di evidenze.
Cerimonia di ammissione in una loggia massonica viennese in un quadro di Ignaz Unterberger,
1784 (il primo a destra è probabilmente Mozart con Schikaneder)
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MORTE leggenda e verità
La vita era pur sì bella, lo carriera s’apriva sotto auspici tanto fortunati,
ma non si può cangiar il proprio destino. Nessuno misura i propri giorni,
bisogna rassegnarsi, sarà quel che piacerà alla provvidenza, termino;
ecco il mio canto funebre, non devo lasciarlo imperfetto.
Mozart in italiano a un destinatario sconosciuto settembre 1791
Il 1790 era stato un anno difficile per Mozart, quello che aveva segnato la sua definitiva eclissi come musicista a Vienna. Era stato un anno di angoscia e disperazione, fra
debiti e continue richieste di prestiti, assenza di committenze e rarefazione dell’attività compositiva. Ma anche solitudine e gelosie per la moglie che si trovava a Baden per
curarsi una infezione a un piede e teneva un comportamento “leggero”.
L’anno seguente, tuttavia, le cose avevano cominciato a riassestarsi. C’era stato un
netto miglioramento delle condizioni economiche, con una ripresa intensa dell’attività compositiva, culminata nella commissione di ben due lavori teatrali: Il Flauto magico e La clemenza di Tito, che avrebbe dovuto andare in scena per i festeggiamenti previsti per l’incoronazione nella capitale boema dell’imperatore Leopoldo II.
A parte qualche malinconia e il riaffacciarsi, talora, di uno stato depressivo, cui subito
faceva seguito un febbrile entusiasmo, niente lasciava presumere che il 1791 sarebbe
stato l’epilogo prematuro della vita di Mozart.
In luglio, quando il musicista era ormai avanti con la composizione del Flauto magico
(che avrebbe dovuto andare in scena alla fine di settembre), come racconta la prima
biografia mozartiana, quella di Franz Xaver Niemetschek (pubblicata nel 1798 e basata in gran parte su notizie di prima mano fornite da Constanze vedova Mozart), “un
messaggero sconosciuto gli consegnò una lettera senza firma, piena di adulazione, in
cui gli si chiedeva di voler comporre una Messa da morto”. Proprio da questa misteriosa visita e da questa strana committenza nasce la cupa leggenda che avvolge la
morte di Mozart. Un mese dopo, verso la fine di agosto, Mozart, insieme con la moglie
e l’allievo Süssmayr, si reca a Praga per allestire La clemenza di Tito. A Vienna, il musi
cista è di ritorno verso la metà di settembre e il resto del mese è occupato dal com
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Cenotafio di Mozart in una incisione di Johann Adolf Rossmässler, 1794
pletamento e dalle prove del Flauto magico, che va in scena, diretto dallo stesso
Mozart, il 30, ottenendo un successo che, ad ogni replica, si fa più entusiasta. A Mozart
restano appena due mesi di vita, ma la sua attività non rallenta: compone un Concerto
per clarinetto per l’amico Anton Stadler e una Piccola cantata massonica per la consacrazione del nuovo “tempio” della Loggia “Speranza incoronata”, che dirigerà il 18
novembre. Sarà la sua ultima apparizione pubblica. La composizione del Requiem
andava a rilento e aveva sul musicista un effetto deleterio. E fino agli ultimi giorni,
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senza potersi quasi alzare dal letto, Mozart continuò a lavorarci, dettando agli allievi
e agli amici le note, gonfiando le gote per intonarne le parti.
Mozart morì poco meno di un’ora dopo la mezzanotte di lunedì 5 dicembre 1791, assistito dalla cognata e dalla moglie e dal medico che gli aveva praticato degli impacchi
gelidi (che probabilmente affrettarono la fine). Era rimasto lucido fino a due ore prima.
Il Requiem incompiuto e la morte, tutto sommato, improvvisa e non ben spiegata
hanno contribuito ad alimentare numerose voci e addirittura la leggenda romantica
dell’avvelenamento, individuando in Antonio Salieri, musicista di corte e per molti
versi rivale artistico, il possibile assassino.
Quanto all’avvelenamento, esso venne escluso persino dalla vedova di Mozart (ma
non, anni dopo, dal figlio Franz Xaver) e praticamente da tutti i biografi. È ormai certo
che il musicista morì per una affezione acuta, diagnosticata come febbre miliare e rispondente semmai a una insufficienza renale o a una febbre reumatoide. Date le pessime condizioni economiche, su suggerimento di qualcuno, la vedova Mozart ritenne
opportuno provvedere ad un funerale per evitare una rapida decomposizione.
“Intorno alle 14.30 la salma di Mozart venne portata fuori della abitazione nella
Rauhensteingasse, deposta sul carro funebre pronto in strada, e condotta quindi a
Santo Stefano, dov’era in attesa il corteo funebre... Al termine della cerimonia, il breve
corteo tornò fuori, dove il carro funebre era in attesa di portare la bara nell’estremo
viaggio al Cimitero di San Marco”. Nessuno accompagnò Mozart per quell’ora di strada che separava il duomo di Santo Stefano dal Cimitero, nonostante il tempo (diversamente da quanto vuole la leggenda) quel giorno fosse particolarmente mite.
Nessuno, per molto tempo, si preoccupò di sapere dove fosse stato temporaneamente sepolto. “Nessuno, ha scritto Wolfgang Hildesheimer, intuì che venivano portati alla
tomba i resti mortali di uno spirito indicibilmente grande, regalo immeritato per l’umanità, nel quale la natura ha prodotto un eccezionale, forse irripetibile, ad ogni modo
mai ripetuto, capolavoro”.
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MUSICA RELIGIOSA
”La nostra musica di chiesa è assai differente di quella d’Italia, poiché una messa... non
deve durare più di tre quarti d’ora. Ciò vale anche per le messe più solenni, quando dice
la messa il Principe stesso”. Così, nel 1776, il ventenne Mozart scriveva a Padre Martini
da Salisburgo, puntando l’accento su quella stringatezza dei tempi delle liturgie che
Hieronymus Colloredo aveva imposto al cerimoniale religioso. Ecco, allora, tutta una
serie di “Messe brevi”, in cui la necessaria ”brevità” impone di non soffermarsi più di
tanto sugli spunti offerti dai testi sacri, ricorrendo a quello ”stile misto” che contaminava la severità del contrappunto con la disinvoltura della musica profana. Se si pone
mente al fatto che la maggior parte della musica religiosa mozartiana appartiene al
periodo salisburghese, con una produzione di ben quindici messe tra il 1768 e il 1780,
sarà possibile rendersi conto di un’occasione perduta, perché Mozart, credente distratto
e massone convinto, sapeva trovare fervore e autentico trasporto religioso nella musica,
come ben testimoniano alcune pagine altissime. E nel campo della musica sacra Mozart
ebbe la possibilità di praticare quasi tutte le forme, dalla messa al requiem e all’oratorio, dal mottetto all’offertorio e ai vespri, ma anche all’antifona e alle litanie, un ambito
vastissimo, tenuto conto che si restringe, con poche eccezioni, a soli dodici anni di attività. E, come è stato detto, ”l’idea del sacro secondo Mozart avverte la risonanza “profana” di certe pagine ricche di tensioni intime o drammatiche, come il senso di sacralità
e di bellezza sovrannaturale propria di opere non destinate ad argomenti religiosi. Nel
Mozart sacro c’è sempre un po’ di profano, di carnale forse, e nel Mozart profano rifluisce spesso un’onda di suggestione sacra”. Ed è forse per questo carattere, che, nelle
messe specialmente, c’è la ricerca dell’espressività più compiuta e una tensione che
nasce dalla volontà di illustrare il testo liturgico di base. C’è anche il richiamo alla tradizione, che non è solo quella praticata a Salisburgo da Michael Haydn e Johann Ernst
Eberlin, ma anche quella italiana propugnata da Padre Martini. Fra i capolavori, la Messa
dell’Incoronazione Kv 317 e la Missa Solemnis Kv 337, così come i due Vespri Kv 321 e
339 e soprattutto lo splendido Kyrie Kv 341. Nei successivi anni viennesi, quando la produzione sacra appare assai rarefatta, ci sono ancora due capolavori: la grande Messa in
do minore Kv 427/417a e il più famoso Requiem Kv 626, entrambe opere incompiute.
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NANNERL la sorella
Se il giovane e insofferente Wolfgang Amadé avesse datto retta senza fare di testa sua
alle reprimende e ai consigli paterni sarebbe forse diventato come la sorella Maria Anna
Walburga, nata a Salisburgo il 30 luglio 1751, quartogenita di Leopold Mozart e di Anna
Maria Pertl, ma unica sopravvissuta, con il fratello, di sette figli. Musicalmente precoce
quanto il piccolo Wolfgang, a cinque anni già si esibiva al cembalo nei salotti patrizi,
spesso improvvisando su un tema cantato o addirittura su una parola o sui rumori che
la circondavano. In casa la chiamavano “Nannerl” e presto cominciò a presentarsi in
coppia con il fratello nelle maggiori città dell’Europa di allora. Poi, poco per volta, Maria
Anna passò in secondo piano e già al tempo degli ultimi viaggi in Italia cominciò a dare
lezioni di cembalo e cessò di presentarsi insieme a Wolfgang, che ormai cercava di affermarsi specialmente come compositore. Durante l’infanzia e la prima adolescenza, i due
fratelli condivisero quasi tutto e rimasero in stretta confidenza, legati da un affetto profondo e sincero. Ma quando Wolfgang contro la volontà paterna si stabilì a Vienna e
soprattutto sposò Constanze Weber, i legami si allentarono sempre di più, anche se non
si spezzarono mai del tutto. Dopo la morte della madre, Nannerl aveva definitivamente
assunto anche la direzione della casa, finendo per lasciare il controllo della sua vita al
padre, che pensò bene di allontanare tutti i corteggiatori che di tanto in tanto si facevano vivi, anche quel Franz Armand d’Ippold, direttore del Collegium Virgilianum di
Salisburgo, che aveva chiesto la mano della ragazza, che ormai si avviava ai trent’anni.
Nonostante amasse profondamente la figlia e ne fosse ricambiato, l’uomo, che pure era
titolato, non aveva un reddito tale da indurre Leopold Mozart ad acconsentire; o più
semplicemente il padre aveva timore di restare solo. Nannerl deperì e si ammalò, ma non
servì a nulla, il padre rimase irremovibile e a nulla valsero le offerte di aiuto del fratello:
col tempo, l’amore si intiepidì in amicizia.
Nell’agosto del 1784, Nannerl sposò il barone e consigliere di corte Johann Baptist von
Berchtold zu Sonnenburg, che aveva quindici anni più di lei ed era vedovo con cinque
figli. Fu un matrimonio di convenienza e la donna si trasferì a Sankt Gilgen, il paese
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natale della madre, dove il marito era amministratore giudiziario. Mise al mondo tre figli,
di cui solo il primo, Leopold Alois Pantaleon sopravvisse e venne affidato al nonno di cui
portava il nome. Dopo la morte del marito, nel 1801, tornò a Salisburgo, dove condusse
una vita tranquilla continuando a dare lezioni di pianoforte, senza mai incontrare la
cognata che abitava poco lontano. Divenuta cieca nel 1820, morì il 29 ottobre 1829. Del
fratello, con cui i rapporti avevano finito per interrompersi poco dopo la morte del padre,
lasciò detto che era stato un sommo musicista, ma che non era mai cresciuto.
Nannerl al tempo del suo matrimonio in un ritratto di artista anonimo
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OPERA una grande vocazione
Basta infatti che io senta parlare di un’opera, che sia a teatro,
che senta cantare... e già sono completamente fuori di me.
W. A. Mozart al padre 1’11 ottobre 1777
A scorrere lo sterminato catalogo mozartiano, i titoli che si riferiscono al teatro musicale non sono poi molti (ventisette in tutto) e i capolavori ancora meno. Diversi anche
i lavori incompiuti (come non succedeva di frequente nell’attività del musicista).
Eppure la vocazione teatrale di Mozart fu precocissima e imperiosa, presente in ogni
fase della sua parabola creativa. Il fatto è che l’opera prevedeva un teatro in attività
e le conseguenti committenze. E, in questo senso, fino a quando Mozart fu alle dipendenze dell’arcivescovo di Salisburgo le occasioni si presentarono raramente, sia
perché i suoi compiti si limitavano precipuamente alla composizione di musica sacra
e strumentale, sia perché il teatro della città natale funzionava poco, fino a chiudere
del tutto i battenti nel 1775. Pertanto, nell’attività teatrale di Mozart, appare necessario stabilire due periodi: il primo va dal 1767 alla composizione dell’Idomeneo (1781),
mentre il secondo corrisponde al decennio viennese e comprende cinque capolavori
assoluti. Se il primo periodo corrisponde, grosso modo, al solo cimentarsi con i diversi generi dell’opera, il secondo rappresenta la scoperta di un percorso stilistico e di una
strada che rinnova il modo stesso di intendere il teatro musicale.
I primi lavori nascono, per lo più, da occasioni poco importanti e talora quasi private.
Un intermezzo, Apollo et Hyacinthus, che il musicista appena dodicenne compone nel
1767 per una recita di studenti all’Università di Salisburgo, indica, insieme con il parallelo “singspiel” in un atto Bastien und Bastienne (rappresentato, pare, nel settembre
del 1768 nella casa viennese di Franz Anton Mesmer, il famoso medico maestro dell’ipnosi), l’esordio. Al 1768-69 appartiene un’opera in tre atti, su libretto di Marco
Coltellini desunto da Goldoni, La finta semplice, rappresentata nel Palazzo
Arcivescovile di Salisburgo. Poi ci sono le opere commissionate dal Teatro Ducale di
Milano: Mitridate re del Ponto, su un libretto desunto dalla traduzione italiana di Pa-
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rini di una tragedia di Racine (1770), la serenata teatrale in due atti per le nozze dell’arciduca Ferdinando d’Asburgo, Ascanio in Alba (1771) su libretto dello stesso
Giuseppe Parini e Lucio Silla (1772) su un testo un poco rimaneggiato di Metastasio.
All’interno di questo trittico, si pone anche la serenata drammatica in un atto, composta forse per celebrare l’insediamento di Hieronymus Colloredo nell’arcivescovado di
Salisburgo: Il sogno di Scipione (1772), sempre su testo di Metastasio.
Nei nove anni che precedono il definitivo trasferimento a Vienna, Mozart scriverà altre
quattro opere, affrontando tutti i generi allora frequentati del teatro musicale: l’opera
buffa con La finta giardiniera (1775) su libretto di Ranieri de’ Calzabigi e andata in
scena al Teatro di corte di Monaco con un certo successo; il dramma per musica Il re
pastore (1775) ancora su libretto di Metastasio per una rappresentazione nel Palazzo
Arcivescovile di Salisburgo; l’incompiuto “singspiel” Zaide (1779), previsto per una
compagnia che operava a Salisburgo e lasciato perdere quando questa compagnia se
ne andò; infine ldomeneo re di Creta (1781) composta, su libretto di Giambattista
Varisco e soggetto di Crébillon, per il Teatro di corte di Monaco. Proprio con
l’Idomeneo, “la più bella opera seria del Settecento”, come ha scritto Massimo Mila,
Mozart si congedava dall’ossequio alle formule precostituite e si avviava verso la strada del rinnovamento e della assoluta originalità.
Ad una nuova definizione stilistica ed espressiva del teatro musicale di questo ultimo
scorcio del secolo, non è estraneo il particolare clima di Vienna, dove l’opera era tenuta in grande considerazione. Mozart interverrà dapprima nel “singspiel”, l’opera in lingua tedesca che alternava parti cantate a parti recitate, caldeggiata da Giuseppe II. Si
tratterà di un capolavoro: Il ratto dal serraglio (1782), su libretto di Johann Gottlieb
Stephanie il giovane. Sarà Goethe a cogliere per primo la geniale commistione di elementi (il popolaresco, la sublimazione del singspiel, la vena melodica italiana, il gusto
farsesco di origine francese) che sostanzia quest’opera. Seguono altri due lavori teatrali, entrambi incompiuti, L’oca del Cairo (1783) e Lo sposo deluso (1783), entrambi
presto abbandonati dall’ autore per l’impossibilità di trame opere soddisfacenti. Un
altro “singspiel”, sempre su libretto di Stephanie il giovane, scritto per una singolare
serata che lo vide opposto al compositore di corte Antonio Salieri, L’impresario teatrale, segna nel 1786 il ritorno di Mozart al teatro musicale. Subito dopo sarà la volta de
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Le nozze di Figaro, che inaugura la felice collaborazione con Lorenzo Da Ponte, che
vedrà poco dopo Don Giovanni e Così fan tutte.
L’ultimo anno di vita, il 1791, sarà contrassegnato da altri due lavori teatrali, che dopo
l’intermezzo della trilogia buffa o giocosa nata dalla collaborazione con Da Ponte,
vedrà un ritorno al “singspiel” e all’opera seria. Entrambe le opere andranno in scena
in settembre. A Praga, per l’incoronazione di Leopoldo a re di Boemia, sarà rappresentata La clemenza di Tito, su libretto di Caterino Mazzolà da Metastasio, un’opera seria
che, ad onta dei molti pregi, non si spinge oltre gli orizzonti già indicati da Mozart con
i capolavori precedenti.
Diversamente, il Flauto magico, andato in scena al Theater auf der Wieden di Vienna
la sera del 30 settembre 1791, costituisce un nuovo traguardo del teatro musicale, al
punto da essere quasi un unicum irripetibile. Favola, allegoria massonica, eterna rappresentazione dei moti contrastanti dell’anima, testamento morale e musicale, estremo anelito verso la luce, il Flauto magico è questo ed altro ancora.
Bozzetto di Alessandro Sanquirico per L’opera “La clemenza di Tito” di Mozart , La Scala 1819
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PIANOFORTE
Preferirei, per così dire, trascurare il pianoforte piuttosto che la composizione,
perché il pianoforte, per me, è soltanto un accessorio; ma, sia ringraziato Iddio,
un accessorio ben forte”.
Lettera al padre
Aduso fin dall’infanzia a servirsi di più strumenti per le sue esibizioni davanti al pubblico delle corti europee, Mozart aveva imparato presto e probabilmente da autodidatta a suonare il clavicembalo e il clavicordo, ma il suo interesse finì per orientarsi sul
pianoforte, che stava prendendo sempre più piede e che veniva continuamente perfezionato. Il pianoforte permetteva, infatti, di ottenere maggiore volume sonoro e una
notevole espressività. La scelta divenne definitiva quando, nel 1777, Mozart ebbe l’opportunità di provare ad Augusta i pianoforti costruiti da Johann Andreas Stein, che
offrivano una apprezzabile sonorità e un timbro sottile e penetrante. Stein aveva perfezionato la meccanica dei famosi strumenti costruiti dalla ditta Silbermann (presso la
quale aveva lavorato come operaio), aggiungendo uno scappamento (che permetteva
il rapido ricadere indietro dei martelletti) e degli smorzatori. E proprio questo aveva
entusiasmato Mozart, che nel pianoforte di Stein aveva avuto la percezione di grandi
possibilità espressive, grazie a una nuova sonorità e a straordinarie risorse timbriche,
come aveva scritto subito al padre. Di questo testimonia anche una lettera della madre
da Mannheim del 28 dicembre dello stesso anno: ”Wolfgang suona ora in modo del
tutto diverso da quello che usava a Salisburgo, perché qui ci sono pianoforti, su cui
suona tanto straordinariamente bene che tutti dicono di non aver mai ascoltato niente di meglio”.
Il pianoforte divenne, dunque, lo strumento prediletto di Mozart, quello a cui avrebbe
affidato non soltanto le confessioni più intime e la ricerca sonora, ma anche la sopravvivenza economica e la ricerca del successo nella Vienna dell’ultimo Settecento.
Proprio pochi mesi dopo il suo arrivo a Vienna, alla vigilia di Natale del 1781, ebbe
luogo la celebre gara che lo vide opposto a Muzio Clementi, già affermato come pia-
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nista. Una gara combinata all’ultimo momento dall’imperatore Giuseppe II per i suoi
ospiti i granduchi Paolo di Russia e sua moglie, ma all’insaputa dei due contendenti.
Così, Mozart racconta l’incontro: ”Cominciò Clementi, che dapprima improvvisò e poi
eseguì una sonata. L’imperatore poi si volse a me: “Allons, fuoco”. Io improvvisai e
suonai delle variazioni. La Granduchessa ci propose alcune sonate di Paisiello (disgraziatamente copiate da lui stesso), di cui io dovetti suonare gli allegri e Clementi gli
andanti e i rondò. Scegliemmo poi un tema da quelli e lo sviluppammo su due pianoforti”. In seguito Mozart diede giudizi poco generosi nei confronti del rivale, ma certo
è che il tema principale della Sonata in si bemolle magg.op. 47 n. 2 che Clementi
aveva suonato quella sera, lo si ritrova nella overture del Flauto magico. Quanto a
Clementi, che all’antagonista sarebbe sopravvissuto quarant’anni, avrebbe sempre
parlato bene di Mozart e addirittura trascritto diverse composizioni, tra cui la Sinfonia
in sol minore Kv.550 per flauto, violino, violoncello e pianoforte e la Fuga dal Requiem
per organo.
A Vienna, il pianoforte, grazie alle lezioni e alle accademie pubbliche, avrebbe costituito per diverso tempo la maggiore fonte di reddito per Mozart. Le lezioni erano ben
pagate e offrivano al musicista la possibilità di entrare nelle case patrizie e farsi relazioni. Ma meglio ancora erano le accademie che avevano pubblico numeroso e pagante. A queste accademie e a occasioni analoghe Mozart dedicò, negli anni che vanno
dal 1781 al 1786, ben diciotto dei suoi ventisette concerti per pianoforte e orchestra.
Un’attività spasmodica, che è stata raffigurata dal padre durante il suo soggiorno
viennese a casa del figlio: ”Ogni giorno un concerto, e sempre studiare e scrivere musica... è impossibile descrivere tutto, l’agitazione, il putiferio: da quando mi trovo qui, il
pianoforte di tuo fratello è stato trasportato almeno dodici volte da casa al teatro o in
altre case. Si è fatto costruire un grande Fortepiano con un pedale che sta sotto lo strumento ed è tre spanne più lungo e straordinariamente pesante”. In quel tempo, infatti, Mozart aveva ormai optato per i pianoforti che Anton Walter costruiva nel suo laboratorio viennese aperto nel 1780.
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Mozart alla tastiera in una stampa ottocentesca
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QUARTETTI E QUINTETTI
Il consistente e importante corpus cameristico di Mozart, che ha sacrificato a ogni
genere e a ogni formazione strumentale, disseminando ogni volta dei capolavori, trova
il suo punto più alto nei ventisei (a tener conto anche dei Divertimenti Kv 136-138)
quartetti e nei sei quintetti per archi. Opere che attraversano più di vent’anni della
breve esistenza del musicista, documentandone compiutamente l’ispirazione e l’evoluzione musicale. Dai primi tentativi nel 1770 ai lavori estremi degli anni 1790-1791 possiamo seguire la parabola crescente dell’appropriazione di una maestria linguistica e
stilistica di una modernità sconvolgente. Un percorso che, per dirla con Antoine
Mignon, “al di là del divino Mozart, genio facile e senza merito, ci mostra quel lavoratore infaticabile, assimilatore brillante e creatore formidabile e visionario che non è
stato, ma è diventato“.
I quartetti per archi della maturità sono anche la testimonianza degli stretti rapporti
con Haydn e di una stima vicendevole da cui traspare una sorta di collaborazione ideale. Mozart dedicò al collega più anziano ben sei quartetti (Kv 387, Kv 421, Kv 428, Kv
458, Kv 464 e Kv 465) composti tra il 1782 e il 1785, proprio prendendo le mosse dall’op. 33 di Haydn e cioè da quella “nuova e speciale maniera” che era culminata nell’ugual risalto alle quattro voci dell’organico che avevano la possibilità di colloquiare in
modo paritetico. Si sa per certo che nel 1785 i due musicisti erano in stretta intimità,
tanto da darsi del tu e si incontravano in casa dei fratelli Storace, per parlare di musica ed eseguire insieme pagine cameristiche, come quando suonarono, con la collaborazione di Dittersdorf e Vanhal, alcuni dei recenti quartetti mozartiani per farli sentire al
padre del compositore in visita a Vienna nel 1785.
Nella sintesi stilistica dei quartetti mozartiani non convergono solamente l’eredità
galante e quella colta, ma anche un contrappunto libero che è frutto dell’appropriazione di quello bachiano e una nuova attenzione al lavoro tematico. Con i tre quartetti
cosiddetti “prussiani“ (per via della commissione di Friedrich Wilhelm II di Prussia),
composti fra la tarda primavera del 1789 e quella del 1790, Mozart porta a compimen-
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to la sua “rivoluzione“cameristica che si proietta fino alle soglie del XX secolo. Una
“rivoluzione“ che trova adeguato e sottile riscontro nei quattro Quintetti per archi (Kv
515, Kv 516, Kv 593 e Kv 614) dell’ultima stagione compositiva. Il quintetto mozartiano prevede il raddoppio della viola, piuttosto che del violoncello. E questo, forse, perché al musicista che della viola era virtuoso permetteva di collocare lo strumento amato
al centro della trama, esaltando così le voci intermedie. Gli ultimi Quintetti, dunque,
rappresentano il vertice della produzione cameristica.
Quartetti e quintetti rispondevano anche a una pratica comune a quel tempo, che consisteva nel sostituire il primo violino con uno strumento a fiato. Ecco, così i Quartetti per
flauto e archi Kv 285 risalenti al soggiorno a Mannheim e Kv 298 che contengono qualche pagina sublime e quello con l’oboe Kv 370 scritto a Monaco all’inizio del fatidico
anno 1781. Ma ci sono anche i due splendidi Quartetti per archi e pianoforte Kv 478 e
Kv 493, che sono in miracoloso equilibrio tra la formazione cameristica e il genere concertante. In effetti, come ha osservato Harry Halbbreich, “la parte pianistica è tanto difficile, virtuosistica e attiva quanto quella di un concerto, mentre gli archi sono molto più
di un accompagnamento, sia che si uniscano in un vero e proprio tutti, sia che diventino solisti, conferendo tensione all’elaborazione contrappuntistica“, alternando dramma e lirismo. A proposito del Quintetto per piano e fiati Kv 452 del 1784, in una lettera al padre, Mozart parla di “un’opera che ha ottenuto una montagna di applausi e che
ritengo sia il lavoro migliore scritto fino ad oggi. È composto da un oboe, un clarinetto,
un corno, un fagotto e un pianoforte“.
Era una formazione inedita, che metteva insieme fiati e pianoforte e che Mozart padroneggiava perfettamente, come testimonia il largo introduttivo in cui ogni strumento
mostra subito una sua individualità e indipendenza dagli altri, ma stabilendo nel contempo un perfetto dialogo concertante. Si tratta in un certo senso di un concerto da
camera, con risultati artistici ed espressivi, che nessuno dopo Mozart ha più eguagliato. Non da meno sono i due quintetti per fiato solista (corno e clarinetto) e archi Kv 407
e Kv 581, quest’ultimo capolavoro assoluto.
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REQUIEM
L’oscura identità di un inusuale committente, la coincidenza tra la composizione di un’opera, rimasta appunto interrotta, e la prematura scomparsa del musicista hanno finito per
avvolgere il Requiem di Mozart in un’aura di leggenda e di mistero. Dopo più di due secoli, il Requiem continua a incontrare favore e popolarità su un appannato sfondo di polemiche e diatribe fra musicologi e studiosi e interpreti, che si interrogano (e si rispondono) su
quanta parte abbia avuto il mediocre e vituperato Franz Xaver Süssmayr nel completamento dell’opera del maestro e di conseguenza sulla autenticità stessa della composizione.
Qualche anno dopo la morte di Mozart, Franz Xaver Niemetschek nella prima biografia
mozartiana, pubblicata nel 1798 e basata in gran parte su notizie di prima mano fornite
dalla vedova, aveva raccontato come “un messaggero sconosciuto avesse consegnato al
al musicista una lettera senza firma, piena di adulazione, in cui gli si chiedeva di comporre una Messa da morto, in quanto tempo e a quale prezzo... Egli aveva risposto che avrebben composto il Requiem per una certa somma e che non poteva fissare esattamente la
data del compimento... Poco tempo dopo il messaggero era riapparso e aveva portato non
soltanto il compenso richiesto, ma dato che le esigenze di Mozart erano modeste, la promessa di un notevole supplemento da consegnarsi alla fine del lavoro”. Misteriosa, è vero,
la committenza del Requiem, ma spiegabilissima. A Mozart, in quella fine di luglio del
1791, si era presentato tale Franz Anton Leitgeb, il cui aspetto emaciato non era certo rassicurante, per conto del conte Franz von Walsegg zu Stuppach. Era quest’ultimo un personaggio piuttosto curioso, grande appassionato di musica e compositore dilettante di musica, che comprava, senza rivelare la propria identità, musiche di altri, che poi faceva icopiare e passare per sue. Anche il Requiem mozartiano era dunque destinato a diventare una
delle opere che Walsegg faceva eseguire nella sua dimora come lavori propri. L’occasione
di una messa funebre era stata suggerita dalla repentina e dolorosa scomparsa della
moglie ventunenne del conte.
E difatti nel dicembre 1793 Walsegg diresse la “prima esecuzione” della “sua” messa da
requiem nella chiesa di Wiener Neustadt e due mesi dopo, in occasione del terzo anniver-
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sario della scomparsa della giovane moglie ci fu una nuova esecuzione. Ma a quell’epoca
Constanze Mozart aveva già fatto eseguire quella stessa messa da requiem, sotto la direzione di Gottfried Van Swieten in una versione completata dagli allievi del marito, Joseph
Eybler (che era intervenuto direttamente sul manoscritto del maestro) e Süssmayr. A quest’ultimo si deve il completamento delle sezioni che vanno dal Lacrymosa fino alla fine
dell’Offertorio e poi il Sanctus, il Benedictus e l’Agnus Dei. Ma quasi certamente ciò avvenne in gran parte su schizzi o indicazioni di Mozart. Alla cui mano sono in sostanza ascrivibili l’Introito e il Kyrie e, in un diverso grado di elaborazione, anche le sei sezioni della
Sequenza, dal Dies irae al Lacrymosa (che si interrompe dopo appena otto misure) e le due
dell’Offertorio, per le quali aveva appuntato tutte le parti vocali e il basso continuo, lasciando anche alcune disposizioni per l’orchestrazione. Ma quello che conta è l’evidenza della
musica, l’alone di mistero e trascendenza che circonda ogni parte di un Requiem che è
straordinaria sintesi di aspirazioni umanissime e slancio religioso, vocalità lirica e ombrosi
colori massonici e somma sapienza contrappuntistica. Così, ogni esecuzione, più che riproporre enigmi e contraddizioni, si apre sulle inquietudini metafisiche di un capolavoro in cui
l’esilio dal paradiso diventa profonda nostalgia per il mondo.
Mozart compone il Requiem sul letto di morte in un quadro di William James Grant, 1857
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SALIERI
Alle sei sono andato a prendere Salieri e la Cavalieri con la carrozza
e li ho condotti in palco a teatro. Non puoi credere come sono stati gentili
e quanto sia piaciuto tutto, la mia musica, ma anche il libretto, e l’insieme.
Mozart alla moglie nella sua ultima lettera
Più d’uno ha giurato di averlo visto al funerale, tutto vestito di nero, con un cappello
in testa e la sciarpa stretta intorno al volto, intento a ripararsi con un ombrellaccio
strappazzato dal vento, per poi sparire per strada senza neanche arrivare al cimitero,
come tutti gli altri del resto. E presto, come in un’opera buffa dalle tinte brune, aveva
cominciato a perseguitarlo una stora inverosimile con i crismi della verità millantata
in una conversazione, sentita da chissà chi e ripresa per celia e tracotanza, fino a trasformarla in un alto e robusto castello di chiacchiere e pettegolezzi postumi pronti a
rigenerarsi da un secolo all’altro. Così, al povero Antonio Salieri, che, ai suoi tempi,
aveva goduto di gran favore e reputazione, era capitato addosso l’infamante e infondato sospetto di avere spento con il veleno il genio di Mozart. Per invidia, si insinuò,
gelosia e chissà che altro.
Ma passati due secoli e finalmente impallidito, se non proprio cancellato, il marchio di
infamia, Antonio Salieri si fa ancora fatica a riscoprirlo e ritrovarlo nei cartelloni dei
teatri e nei programmi dei concerti. Pochi, infatti, gli studiosi che gli hanno dedicato
interesse e cure e ancora più rarefatti gli assidui dei teatri che tornano a rimormorare
il suo nome. Tanto che oggi conosciamo di lui una fetta ancora esigua della produzione teatrale, poco di quella strumentale e niente, o quasi, di quella sacra.
Antonio Salieri era nato a Legnago nel 1750, ma la città del successo, della fama e
degli onori sarebbe stata Vienna. E nella Vienna di Mozart e di Haydn, nel giro di poco
tempo, questo abilissimo carrierista, che dalla sua aveva anche il talento, aveva saputo brigare e ottenere cariche e prebende, fino a diventare il più alto e potente funzionario musicale della corte imperiale e uno degli apostoli, insieme a Metastasio e alla
sua cerchia, dell’opera italiana. Anzi, con il lento declino dell’opera italiana a Vienna
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si identificò sempre più il
destino di questo musicista,
che pure aveva saputo cogliere riconoscimenti e allori (in
più di un caso meritati) anche
nelle altre capitali europee,
magari approfittando della
benevolenza di un’autorità
indiscussa come il cavalier
Gluck. Il declino del fervido
operista e la pensione si riscattarono nell’attività di insegnante stimatissimo, di cui si
ricordarono con deferenza,
uno dopo l’altro, Beethoven,
Schubert, Liszt e perfino uno
dei figli di Mozart. Gli ultimi
anni furono tristi, oscurati
dalla depressione piuttosto
che dalla follia, come è stato
detto. L’ombra gigantesca di
Mozart e il romanzo del suo
Il compositore Antonio Salieri in un ritratto di Joseph Willibrod Mähler
avvelenamento si erano ormai
impadroniti del suo destino. Morì nel 1825, agli albori del romanticismo e già in vista
del Biedermeier. Tra le sue opere più importanti: Armida (1771), La secchia rapita
(1772), La Fiera di Venezia (1772) per l’inaugurazione del teatro milanese della
Cannobiana, La locandiera (1773), L’Europa riconosciuta (1778) per l’inaugurazione
della Scala, Les Danaïdes (1784), La grotta di Trofonio (1786), Prima la musica poi le
parole (1786), Tarare (1787), Falstaff (1799), Annibale in Capua (1801) per l’inaugurazione del Teatro Nuovo di Trieste.
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SALISBURGO
Salisburgo non è luogo che si addica al mio talento!
In primo luogo perché i musicisti non godono di considerazione,
e in secondo luogo perché non è possibile ascoltare nulla:
non esiste teatro, non si rappresentano opere.
Mozart all’abate Bellinger il 7 agosto 1778
Wolfgang Amadeus Mozart era nato nel 1756, al tempo cioè della guerra dei sette
anni (1756-63), tra Austria e Prussia, in una casa della Getreidegasse.
Città che aveva conosciuto il suo massimo splendore tra il XVI e il XVII secolo,
Salisburgo era, in quella seconda metà del Settecento, la sede secolare ed ecclesiastica di un piccolo principato, retto da un arcivescovo, eletto a sua volta dal capitolo
vescovile. Vi si svolgeva una vita, tutto sommato, provinciale, soprattutto a paragone
con i vicini e maggiori centri europei. Vita pigra, con svariate occasioni mondane e religiose, ma chiusa in una gerarchia e in una ritualità fini a se stesse. Una città che nei
confronti del giovanissimo e fortunato musicista non si mostrò sorda, ma neppure
troppo entusiasta: piccole invidie, rivalità, impicci, mentalità, tutto congiurava a confinare Mozart in un onorevole ma piccolo ruolo, che non soddisfaceva delle ambizioni
che andavano crescendo con l’età e la scoperta delle proprie possibilità.
E ben se ne era reso conto, il padre Leopold Mozart: “Dovrei forse fermarmi a
Salisburgo nella speranza e nella vana attesa di una miglior sorte? Dovrei lasciare che
Wolfgang diventi grande e che mi si prenda per il naso, me e i miei figli, fintanto che
il peso degli anni non mi consentirà più di viaggiare e Wolfgang avrà raggiunto quell’
età e quella crescita, che impoveriranno i suoi meriti agli occhi del pubblico?”.
Salisburgo è dunque la città da cui spiccare il volo. A reggerne le sorti, quando nasce
Wolfgang Amadé, è l’arcivescovo Sigismund von Schrattenbach, che di Mozart e della
sua famiglia si era dimostrato accorto protettore, rilasciando i permessi per le tournée
frequenti nelle quali il giovanissimo musicista e il padre erano impegnati: quasi dieci
anni di viaggi. Poi, nel 1772, con la morte di questi e la successione dell’ energico
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La casa natale di Mozart a Salisburgo in una stampa del primo Ottocento
Hieronymus Colloredo al potere del principato, le cose cambiano. Colloredo impone un
regime più austero, che colpisce anche l’attività musicale (il vecchio teatro di
Salisburgo chiuderà i battenti nel 1775), nonostante proprio in quel periodo sia Mozart
che il padre avessero ricevuto un appannaggio maggiore che avrebbe permesso alla
famiglia di traslocare nella più comoda e grande dimora sulla Markt-Platz (oggi
Hannibal Platz) nel 1773.
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Con il nuovo arcivescovo le tournée si faranno sempre più difficili, ogni volta, per strappare un permesso, sarà una lotta, un’umiliazione. La città si farà sempre più stretta.
Ecco, in una lettera al padre da Monaco (8 gennaio 1779) una ennesima attestazione
di insofferenza: “Le giuro sul mio onore che Salisburgo e i suoi abitanti (mi riferisco ai
salisburghesi di nascita) proprio non li posso soffrire; detesto la loro lingua e le loro
abitudini di vita”. Dopo molte avvisaglie (compresa la perdita del posto di violinista al
momento della partenza per Parigi e la riassunzione come organista al ritorno dal
viaggio) si arriverà alla rottura, con Mozart che porta esasperato per la terza volta le
sue dimissioni all’arcivescovo e il suo alterco con il conte Arco che lo caccerà definitivamente con un calcio nel sedere. Ed ecco l’irremovibilità di Mozart, in una delle tante
lettere al padre dove dà conto degli avvenimenti: “Per accontentarla, Padre mio carissimo, sacrificherei la mia felicità, la mia salute, la mia stessa vita, ma il mio onore così la penso e altrettanto dovrebbe essere per lei - viene prima di tutto”.
Ma più che l’onore, era la libertà, la speranza, la fiducia che le sue doti sarebbero state
riconosciute e meglio apprezzate. I riconoscimenti salisburghesi saranno praticamente postumi (a Salisburgo tornerà e di gran scappata solo una volta nei dieci anni che
gli restano da vivere) e interessati. Il culto mozartiano che si celebra da circa un secolo è soprattutto industria e turismo.
Panorama di Salisburgo nel 1791
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SALUTE E MALATTIE
Il suo corpo non ebbe una crescita normale mentre si sviluppava.
Per tutta la vita rimase debole e di salute cagionevole.
Jean-Baptiste Suard
Che cos’era la buona salute per un uomo ancora giovane sul finire del Settecento?
Difficile stabilirlo in assoluto. Certo è che Mozart, dopo una adolescenza e una giovinezza trascorse in giro per l’Europa e una vita spesa a piene mani, non avrebbe dovuto passarsela poi tanto bene. L’epistolario ci racconta con fedeltà malattie e convalescenze, diagnosi e rimedi di ogni specie e guarigioni non sempre definitive. Ma quel
che sappiamo non è sufficiente per dirci con certezza quali gravi affezioni avessero
finito per portare Mozart alla tomba prematuramente. È certo, dato che lo riferisce la
sorella, che nel 1767 avesse contratto a Olmütz, durante un’epidemia, il vaiolo e che
gliene fossero rimasti i segni. Con minor sicurezza si può invece parlare di una febbre
endemica tifoidea che aveva colpito sia Nannerl che il piccolo Wolfgang nel 1765
durante un soggiorno all’Aja. Nel ragazzo, ma anche nell’adulto, saranno frequenti le
infezioni alla vie respiratorie e i disturbi bronchiali, le anemie e le coliche violente
accompagnate da vomito e perfino delle febbri di origine reumatoide e forse un’epatite virale, per non dire di fortissimi mal di denti. Si tratta, tuttavia, di affezioni piuttosto comuni e ampiamente diffuse ai tempi di Mozart, che possono avere progressivamente debilitato un fisico, sovente messo a dura prova da uno stile di vita poco regolare. Ma non di più. Più interessante l’ipotesi di una malattia renale, contratta intorno
al 1784, dalla quale non sarebbe mai guarito del tutto e che potrebbe essere stata tra
le cause della sua morte prematura. Tanto più se, come stabilito da diversi studiosi, l’origine dell’insufficienza renale fosse da ricercare nelle ricorrenti infezioni streptococciche della gola e della pelle. E insieme con la nefrite, depressioni e instabilità emotiva,
ipertensione, svenimenti e, ovviamente, uremia. È invece da scartare, diversamente da
quanto ipotizzato in passato, la sifilide.
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SCHIKANEDER l’impresario tuttofare
Quando è iniziata l’aria di Papageno, sono salito sul palcoscenico con il carillon,
perché oggi avevo voglia di suonarlo io stesso. E così ho fatto uno scherzetto.
Proprio nel punto in cui Schikaneder fa una pausa, ho suonato un arpeggio;
lui si è spaventato, ha guardato fra le quinte e mi ha visto. Ma, quando la pausa
ha avuto luogo una seconda volta, non l’ho più fatto; così si è bloccato e non voleva
più continuare. Ho indovinato il suo proposito e ho suonato un altro accordo; allora
ha dato una botta al carillon esclamando: chiudi il becco!, e tutti hanno riso. Dopo questo
scherzo, il pubblico si è accorto per la prima volta che non è lui a suonare lo strumento.
Mozart, lettera alla moglie dell’8 ottobre 1791
Mezzo genio e mezzo imbroglione, Johann Joseph Schickeneder, o meglio Emanuel
Schikaneder come aveva scelto di ribattezzarsi ancora adolescente, riuniva bizzarramente in sé attitudini e competenze, che facevano di lui un attore popolare che fra i primi
aveva interpretato i personaggi shakespeariani in Austria e un commediografo bislacco,
un librettista ingegnoso e un regista creativo. Se il sospetto di millanteria era ineliminabile, appariva con altrettanta evidenza la sua abilità, una conoscenza degli uomini e
delle cose del mondo, frutto forse del lungo apprendistato in paesi e città di Germania,
Austria e Svezia, con compagnie girovaghe, che non dovevano essere tanto diverse da
quelle che Goethe aveva descritto, proprio in quegli anni, nella Missione teatrale di
Wilhelm Meister.
Figlio di un domestico di Ratisbona, era nato nel 1751, si era presto fatto conoscere
come attore e cantante (ma anche violinista), e anche autore di operette e commedie,
diventando nel contempo un vulcanico capocomico. Per la verità, Schikaneder era un
uomo senza tanti scrupoli: donnaiolo e puttaniere, con particolarissima predilezione per
le attrici più giovani e inesperte, bevitore e mangiatore fuori dalla norma, espansivo e
gagliardo, barzellettiere e nottambulo. Ma a guadagnargli la fama di dissoluto sarebbe
stata specialmente la vita matrimoniale, affollata di amanti per entrambi i coniugi. Una
fama talmente equivoca che aveva provocato una sospensione mai più revocata dalla
loggia massonica di Regensburg. Nel 1780, insieme alla sua compagnia, Schikaneder
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aveva fatto una tappa invernale a Salisburgo, dove era stato accolto benevolmente dalla
famiglia Mozart e fra l’attore-impresario e il ventiquattrenne musicista si era stabilita
una naturale complicità, tanto più che la compagnia di Schikaneder aveva in repertorio
il dramma Thamos re d’Egitto del barone Tobias Philipp von Gebler, con musiche di scena
dello stesso Mozart. Quattro anni dopo, ottenuto l’appalto del Kärntnertortheater a
Vienna, Schikaneder aveva curato, forse su suggerimento dell’imperatore, la prima ripresa del Ratto dal serraglio. Nella primavera del 1789, era ritornato a stabilirsi a Vienna,
richiamatovi dalla ex moglie, per assumere insieme a questa la gestione dell’imperiale e
regio teatro privilegiato del Freihaus auf der Wieden e rilanciarlo con operette e spettacoli che lasciavano il pubblico senza fiato per la varietà e la perfezione degli effetti speciali, grazie a un palcoscenico trapuntato di botole e provvisto di macchine prodigiose,
ma soprattutto alla lunga esperienza di uno che era maestro nel dirigere le masse e
regolare l’intervento di animali. L’anno successivo, Schikaneder, che voleva aprire le
porte del suo teatro all’opera tedesca, divenne l’ispiratore e l’indispensabile collaboratore del Flauto magico, nel quale interpretò con grande successo il ruolo di Papageno.
La composizione del Flauto magico procedeva di pari passo con la stesura del libretto,
che veniva quasi improvvisato su un canovaccio in una ludica invenzione collettiva. La
sera, nella casa dei coniugi Gerl oppure nel chioschetto di legno accanto al teatro,
Schikaneder spiegava la scena, già immaginando gli effetti, sciorinava versi e battute e
a turno si interveniva per aggiustare o aggiungere. Gran parte della compagnia era presente a quelle «sedute» e niente era impossibile. Per Schikaneder c’era bisogno di un
personaggio inusitato, buffo e simpatico, adatto ad una voce vagamente baritonale. Ecco
un uomo-uccello, con un nome onomatopeico e uno strumento insolito, il glockenspiel.
Per la giovane e solleticante Barbara Gerl, che a Mozart non lesinava fascino e grazie,
c’era una parte straordinaria, giocosa e seria ad un tempo. In quello stesso teatro, nel
1805, Schikaneder portò in scena il Fidelio di Beethoven, ma due anni dopo lasciò definitivamente il Theater an der Wien, continuando ancora per qualche tempo la sua attività, ma con modesti risultati. Rovinato dalla svalutazione monetaria del 1811, accettò la
direzione del teatro di Pest, ma venne colpito da amnesia e dopo pochi mesi morì a
Vienna nel 1812, dove era tornato nel frattempo.
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Schikaneder nel costume di Papageno in una stampa del 1791
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SINFONIE E SONATE
Ricchissimo e musicalmente lussureggiante, il corpus delle Sinfonie mozartiane resta,
a dispetto dello straordinario successo e della enorme diffusione di alcune pagine,
sostanzialmente sconosciuto. Più in là di quattro o cinque lavori non si va, il resto è
un territorio per addetti ai lavori.
Eppure, si tratta un corpus che, tra Sinfonie compiute e opere rimaste allo stato di
abbozzo o non portate a termine, arriva a 64 numeri del catalogo più aggiornato.
Lungo e acidentato il cammino percorso nell’arco di venticinque anni, quelli che
vanno dalla prima Sinfonia Kv 16, composta a Londra sul finire del 1764 da quello
che era ancora un bimbo, sia pure di eccezionale ingegno, e l’ultima, in do magg. Kv
551, tanto grandiosa e solenne che l’impresario Johann Peter Salomon denominò felicemente Jupiter.
Partito dai modelli che predominavano nei primi anni Sessanta del Settecento, vale a
dire gli italiani con Giovanni Battista Sammartini in testa, ma anche la scuola sinfonica viennese e, ancora, quello stile internazionale che trovava realizzazione in
Johann Christian Bach. Come dire la cantabilità derivata dall’opera buffa e la varietà
dei temi e dei ritmi che si scioglievano nei tre movimenti della Sinfonia all’italiana,
ma nel contempo la concezione tematica più unitaria e più ricca di espressione nei
quattro movimenti tradizionali della scuola austriaca. Ma, gradualmente, nelle mani
di Mozart, la sinfonia si trasforma completamente, specialmente nella struttura interna e nella perfetta fusione dei due stili, come già si avverte nel 1773, con lavori in
cui, come ha osservato Massimo Mila, ”per la prima volta Mozart riesce a padroneggiare pienamente l’ideale sinfonico viennese, senza che venga minimamente scalfita la bellezza sensuale del materiale tematico e la sua inconfondibile originalità”.
Rinnovamento, certo, ma senza mai recidere il legame con la Tradizione.
E allora, come accade nei lavori più importanti, che sono anche i più noti, vale a dire
quelli che corrono dal 1782 al maestoso gruppo delle tre del 1788 (Kv 543, Kv 550 e
Kv 551) e che sono contrassegnati da quei titoli che danno conto della predilezione
del pubblico e degli editori (Haffner Kv 385, Linz Kv 425, Praga Kv 504), lo spirito ori-
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ginale dell’opera buffa, vale a dire il gusto dell’invenzione melodica e ritmica, si
incontra e si fonde con la sapiente elaborazione contrappuntistica e la capacità di
combinare e sovrapporre frammenti tematici.
Tre cicli per le 18 Sonate per pianoforte di Mozart. Cicli che, ad eccezione del primo,
non sono poi tanto unitari: le sonate salisburghesi (Kv 279-284); quelle dei viaggi
(Kv 309-311, 330-333); le sonate viennesi (Kv 457, 533, 546, 570 & 576). Nel 1774,
Mozart, che già si era cimentato con piccole composizioni pianistiche che talora
richiedevano l’appoggio del violino, torna a dedicarsi alla composizione di sonate,
così da avere a disposizione un repertorio per le sue tournée, rivolgendosi nel contempo a un pubblico di dilettanti, capaci però di destreggiarsi nell’esecuzione. Uno
dei modelli è sicuramente Haydn, ma c’è anche un privilegio dello spirito francese.
Il ciclo successivo delle Sonate composte durante il viaggio a Parigi, trova il suo
momento più alto in quella Kv 310 in la min. di straordinaria pregnanza espressiva
e di incontenibile drammaticità, strettamente legata alla morte della madre.
Le tre Sonate composte subito dopo tra il 1778 e il 1779 testimoniano la definitiva
assimiliazione del cosiddetto stile galante, ma anche un passo in avanti nel completo dominio della scrittura pianistica, come avviene nella Sonata KV 333, ricca di cromatismi e di ritmi incalzanti. Cinque anni, nel 1784, con la Sonata Kv 457, scrive uno
dei suoi capolavori drammatici e già preromantici, che non mancherà di influenzare
Beethoven. Ma con la Sonata Kv 533 (1788) assistiamo al ritorno di una concezione estetica che vede nel pianoforte una architettura musicale purissima. Se la
Sonata Kv 545, amabilissima e tutta giocata sulle sfumature e le sottigliezze del
colore torna a rivolgersi ai dilettanti, le due successiva si indirizzano ad una espressività che richiede dita esperte e grande sensibilità. Soprattutto la Sonata Kv 576
(1789) sembra rifarsi addirittura allo stile della toccata barocca, per volgersi, dopo
un intermezzo lento e meditativo, alla libera canteabilità dell’opera.
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STADLER e il clarinetto
Ci sono musicisti che legano il loro nome per l’eternità ad uno strumento, al loro strumento. È il caso Anton Paul Stadler maestro insuperato, se mai ce ne fu uno, del clarinetto e del corno di bassetto, dedicatario o ispiratore di tutte le opere di Mozart per
questo strumento, come sarebbe accaduto un secolo dopo a Richard von Mühlfeld con
Johannes Brahms.
Intorno al 1770, Stadler, appena diciassettenne, era già al servizio insieme con il fratello Johann del principe Galitzin e una decina di anni dopo li troviamo entrambi nell’orchestra del principe Carl Joseph von Palm. Nel 1780 Anton si sposa con Francisca
Bichler, che nel giro di dieci anni gli darà altrettanti figli. Non fu però solamente la
numerosa prole la causa delle continue difficoltà economiche della famiglia, inseguita
costantemente dai creditori: Stadler aveva, per così dire, le mani bucate ed era noto per
non pagare i debiti.
”Suonavamo il corno di bassetto, specialmente in trio con H.Griesbacher, ma anche in
duo e come solisti nei concerti. Potevamo inoltre, con il clarinetto e l’oboe, o, appunto,
il corno di bassetto, suonare in un ottetto di fiati, con splendidi risultati. All’occorrenza
potevamo sostituire gli oboisti e anche suonare il violino e la viola”. In questa lettera
del novembre 1781 i fratelli offrono il riscontro di una attività tanto intensa quanto
multiforme. E proprio nel marzo di quello stesso anno Mozart era andato a vivere a
Vienna, dove, nel 1783, i due clarinettisti, su istanza dello stesso imperatore Giuseppe
II, entrano a far parte della Harmonie Imperiale che era un ottetto di fiati. A partire dal
1784, il nome di Mozart e quello di Anton Stadler figureranno sempre più l’uno accanto all’altro. E non solo in musica, visto che entrambi erano entrati nella massoneria e
nella cerchia del barone Nikolaus Joseph von Jacquin.
Al nome di Stadler, sono legati, oltre al Trio dei Birilli e ai Duetti composti proprio in
casa Jacquin, il Quintetto Kv 581 e il Concerto per clarinetto KV 622, capolavori della
estrema maturità mozartiana, che hanno fra loro molti punti di contatto, non ultimo
quello dell’esplorazione come mai era stato fatto prima delle possibilità espressive
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dello strumento, la pienezza
sonora e la forza del canto.
Quintetto e Concerto sono
connotati da rimandi e allusioni, simboli e significati occulti.
C’è il riferimento alla massoneria con il bagaglio di cifre e
segni esoterici e tonalità particolari come mi bemolle e la
maggiore appunto. C’è la traccia di una situazione di difficoltà, fatta di incomprensione e
solitudine e ristrettezze economiche. E dunque la malinconia
sottile che percorre ogni nota è
ampiamente giustificata e
soprattutto non è l’ombra
indecisa di un sogno, ma di
una confessione, in una delicatissima atmosfera notturna, in
cui la voce del clarinetto si alza
sull’accompagnamento degli
archi in sordina. Se il Quintetto
risale al 1789, il Concerto, che
è l’ultimo lavoro di genere concertante composto da Mozart,
è dell’ottobre 1791, anche se
pare che fosse stato concepito,
almeno in parte, per corno di
bassetto qualche tempo prima.
Silhouette di Anton Stadler
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TRILOGIA ITALIANA
A guardarle con l’occhio di oggi, si potrebbe finire per credere che le opere della cosiddetta trilogia italiana dovessero avere, per qualche tempo, coabitato nella sensibilità
e nella fantasia del musicista. Quasi a stabilire una sorta di “genius loci” dell’anima
mozartiana, al punto che un’opera avrebbe risposto all’altra, richiamandola e implicandola, secondo un unico disegno che si definiva e caratterizzava di giorno in giorno, senza tappe intermedie o uno sviluppo vero e proprio, ma piuttosto declinando
misteriosamente le circostanze di quella quotidianità, nella quale trapelavano certi
indizi inquietanti e forse anche inesplicabili, forse i segni confusi di un sogno, che, sia
pure per un momento, avrebbero conferito senso a vincoli profondi e vocazioni oscure, impulsi irrefrenabili e sentimenti radicati, nel gioco capriccioso delle affinità e delle
repulsioni che alimentano le apparenze dell’esistenza.
Certo è che ritrovarsele sui palcoscenici di Vienna e di Praga tutte e tre, una dietro l’altra, si fa più evidente il filo di una sottile complicità, che non è solo quella che mette
felicemente insieme un musicista e librettista, fra loro diversissimi, ma anche gli ambigui suggerimenti e le complicate strategie dell’imperatore Giuseppe II.
Ecco, dunque, un parallelo procedere del testo poetico e della musica, una naturale
germinazione e un equilibrio delle risorse creative, lasciando vivere e cantare personaggi che un altro aveva portato sul palcoscenico. Ecco, nel 1785, Le nozze di Figaro,
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sulla traccia di un libretto calcolatissimo,“inesauribile, come ha scritto Bernhard
Paumgartner, è la ricchezza, la plasticità, la vivezza dei disegni musicali, la varietà formale di queste pagine, sempre ottenuta con una rigorosa economia di mezzi. Sulla trasparente tavolozza orchestrale si levano le linee vocali, ora ben individualizzate e
distinte, ora fuse in spirituale comunione. Tutte le possibilità dell’espressione vocale
sono valorizzate ed esaurite: dal tono lieve di conversazione a quello intensamente
drammatico o dolcemente espansivo ed arioso... In quella intensa vita collettiva ogni
individuo tende a mettersi anche maggiormente in evidenza per differenziarsi dagli
altri”. Mozart riscrive musicalmente la vicenda un nobilastro arrogante, che trascura
la moglie per correre dietro a tutte le ragazze dei dintorni, fino a cercare di possedere la cameriera Susanna, proprio nello stesso giorno in cui deve sposare Figaro, il suo
cameriere. E in questa stessa e “folle giornata“, tutti i personaggi rispondono, a modo
loro, a un profondo bisogno d’amore, sia esso il semplice desiderio sessuale (il conte
o Cherubino), o invece la nostalgia di una felicità ormai perduta (la contessa), o piuttosto la poesia maliziosa degli affetti familiari (la coppia di Figaro e Susanna). Ne consegue che Le nozze di Figaro sono innanzi tutto un dramma di emozioni e sentimenti, mai però insidiati da un giudizio morale: amore, sesso, gelosia, ira, riscatto di classe, orgoglio aristocratico, malinconia, gioco, leggerezza.
Una metafora della ricerca della felicità, ha suggerito Massimo Mila, cui farà seguito
l’impossibilità d’amare di Don Giovanni, il cui piacere si consuma nell’attesa. Attesa
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trepidante della “preda”, attesa paga di trasgressione, attesa spasmodica di un
impossibile appagamento, attesa consapevole ma non rassegnata del castigo. Don
Giovanni è, al tempo stesso, radice che affonda nell’inconscio collettivo ed essenza del
teatro, fascino del travestimento e di una eterna ed inquieta giovinezza, che è poi
appagamento sempre dilazionato. Sia Mozart che Da Ponte non erano sostanzialmente dei libertini, ma la linfa cui attinsero tra l’estate e il febbrile autunno del 1787 era
proprio quella. La perenne giovinezza di Don Giovanni si riscontra specialmente in una
chiave stilistica che riposa su una straordinaria fluidità teatrale, così come su certa
generosa baldanza che esalta la componente vitalistica e seduttiva, all’insegna dell’esasperata arroganza dell’eros che è maschera della trasgressione. La cifra musicale del
personaggio risiede sia in certa sensualità melodica del fraseggio, sia nel ritmo inarrestabile, che però, nei momenti del corteggiamento e della seduzione si coagula, sia
pure per un momento. E, fin dall’inizio, si allunga, misteriosa e allusiva, l’ombra della
morte, ambiguo e profondo vincolo che associa Don Giovanni al mondo dei defunti,
ma anche all’immaginario mozartiano di quel momento.
Poco si sa della nascita di Così fan tutte, ultimo e intenso atto della collaborazione fra
Mozart e Da Ponte. Il soggetto, si dice, era stato suggerito ai due dallo stesso imperatore Giuseppe Il e l’opera fu scritta in poco più o poco meno di un mese, il dicembre
1789, e completata nel gennaio dell’anno seguente.
Qui, non conta più la verosimiglianza dell’intreccio e delle situazioni, ma le possibilità
combinatorie delle coppie, le deformazioni continue, il meccanismo galante. Ne consegue una perfetta geometria delle vicende, tutto un gioco di simmetrie, di incroci e
rimandi, dove si stenta a distinguere l’emozione vera da quella fittizia. Un modo, questo, di dichiarare la vera e propria struttura teatrale del lavoro. Così, i due albanesi
sono la maschera di Ferrando e Guglielmo, ma questi ultimi non sono niente più che
due manichini che si adeguano alla convenzione teatrale, come del resto le loro due
fidanzate, che al di là di labili parvenze si comportano proprio secondo la parte che
era stata loro assegnata dal regista della commedia, Don Alfonso. E anche questo,
secondo gli schemi del teatro settecentesco, è stereotipo, come la servetta Despina,
che trova sicuramente, e i suoi travestimenti stanno proprio a dimostrare i suoi ascen-
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denti nella commedia dell’arte. Spetterà a Mozart animare queste marionette in balia
del meccanicismo di una luce musicale, luce fissa anch’essa però. Basta dare un’occhiata alla distribuzione dei pezzi chiusi, per notare immediatamente come le arie solistiche, per esempio, siano in rapporto di due a tre rispetto ai brani di assieme. Avremo
così dodici (sei per atto) arie solistiche e diciotto di assieme.
In questo gioco di specchi, che talora diventano pericolosamente deformanti, la musica ha libero modo di espandersi, finendo per prevalere su situazioni e personaggi,
senza peraltro negarli mai ed anzi potenziandone la presenza.
I riferimenti musicali saranno specialmente all’opera buffa e all’opera seria, riportate
però in un contesto che si fa straniante.
E ancora, nella musica e attraverso la musica, viene riproposto quel profumo vagamente erotico, piuttosto che libertino, nel quale Mozart aveva consumato giovinezza
e maturità. Ma anche questa volta in modo complesso, attraverso la definitiva riduzione a mera forma del rococò e con una sottile quanto profonda vena di malinconia, che
stabilisce come le cose, nel tempo, sempre più si distanziano da chi le vive, cui altro
non resta che una suprema indifferenza.
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TURCHERIE
All’inizio c’è l’esorcizzazione di una paura turca, che aveva le sue radici nell’angoscia
e nel terrore che, l’ultima volta nel 1683, derivavano dal pericolo di una conquista
ottomana di Vienna e dell’Europa cristiana stessa. Nella elaborazione dell’immaginario, tutto quello che è turco si rapporta all'oriente più vicino, ma anche a una cultura
"altra", rappresentabile e interpretabile attraverso la categoria dell’esotico, vale a dire
un colore locale palesemente artificiale e teatrale, che scivola con estrema naturalezza nella sensualità, così come nella caricatura e nell’umorismo. E se già nel 1686, ad
Amburgo, va in scena un primo “Turken-Singspiel”, non si contano, nel corso di tutto
il Settecento, le marce e i rondò "alla turca" Sul piano più strettamente culturale, c’è
un diverso modo di avvicinarsi al turco ed è quello di Nathan il saggio di Lessing,
dell’Ifigenia in Tauride di Goethe (ma anche e soprattutto Il divano ocidentale-orientale) e del Pellegrino della Mecca di Gluck, in cui si configura la nobiltà e la magnanimità del sultano.
In Mozart c’è la visibile traccia di tutte queste tendenze: il comico e il colore esotico,
la saggezza e la moralità, ma anche la possibilità di un dialogo fra due culture.
Ecco il "Rondò alla turca" del Concerto per violino Kv 219 e la celeberrima "Marcia
turca" dalla Sonata Kv 331, così come il ricorso nell’orchestrazione a timpani, triangolo, trombe, flautini e piatti per imitare le bande degli Giannizzeri. C’è d’altro canto
quella Zaide, rimasta incompiuta nel 1780, che è l’antecedente "serio" de Il ratto dal
serraglio che costituisce la sintesi dei diversi elementi in un approdo artistico di straordinaria efficacia espressiva.
Per data e luogo, Il ratto dal serraglio (Die Entführung aus dem Serail), nato da una
commissione dell’Imperatore Giuseppe II, è significativamente legato al nuovo Mozart
degli anni viennesi, coincidendo con il matrimonio e l’affrancamento da Salisburgo,
ma anche il confronto con il genere nazionale del Singspiel, tanto da costituire il primo
esito maturo della produzione teatrale mozartiana e diventare il titolo più rappresentato durante la vita del compositore. La convergenza del soggetto con le proprie vicen-
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de biografiche, indusse il musicista a una vera e propria immedesimazione, al punto
che l’ardente Constanze e il trepido Belmonte possono anche essere intesi come un
travestimento musicale e una incarnazione dell’eros mozartiano nell’alternanza di
desiderio e tenerezza repressa. Nelle pieghe di una ingenua e manierata favola orientaleggiante, Mozart aveva dunque incontrato i fantasmi del quotidiano, dando forma
e respiro agli affetti frustrati e alle illusioni, non senza sacrificare al gusto per la turquerie. Nasce anche da qui la particolarissima scrittura dell’opera, la perfetta definizione dei caratteri e la naturale liquidazione della pesante eredità dell’opera buffa e,
per converso, il superamento della tradizione popolareggiante del Singspiel.
L’argomento e il libretto di Johann Gottlieb Stephanie derivavano da un dramma di
Christoph Friedrich Bretzenner che avrebbe imbastito una polemica per l’uso che si era
fatto del suo Belmont und Kostanz. Mozart rimase impegnato nella composizione per
circa un anno, dal 30 luglio 1781 al 29 maggio 1782 e l’opera andò in scena il 16 luglio
dello stesso 1782 al Burgtheater di Vienna con un successo tale da essere ripresa altre
quaranta volte durante la vita del musicista.
Il ratto dal serraglio, che pure presenta una straordinaria invenzione melodica con
grandi arie e perfetti momenti di insieme, vive soprattutto in una dialettica di farsa e
dramma, che elimina i confini tra i generi e fa sì che i personaggi "seri" siano accompagnati dai loro riscontri "buffi". Così, i due protagonisti hanno una tessitura prevalentemente centrale per rilevarne il lato patetico, ma trovano la loro parodia nei due
maliziosi servi e in quella straordinaria caricatura della stupidità e della collera che è
Osmin, che viene temperato dal saggio Selim, che non è neppure un cantante ma un
attore. Anche lo sviluppo dell’azione si gioca nel trascorrere dal buffo al serio, dal
comico al tragico, per sconfinare in quella dimensione rarefatta e simbolica che ritroveremo nove anni più tardi nel Flauto magico.
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Donna in costume orientale di Liotard
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UMILIAZIONI
Le umiliazioni cominciarono presto, per Mozart, e furono tanto più acute in quanto il
musicista aveva coscienza della propria superiorità fin da ragazzino. Le umiliazioni
erano quelle di suonare per i potenti e cioè esibirsi per il loro piacere e plauso distratto come una bestia da circo. Significava aspettare il proprio turno con i servi invidiosi
e insolenti, suonare tra chiacchiere e risate, essere remunerato con piccoli presenti che
poi erano sempre gli stessi: tabacchiere d’oro o d’argento, medaglie, miniature, anelli, spadini, vestitini smessi dai pargoli reali. Tutte gratifiche che spesso non compensavano le spese sostenute per i viaggi, le fatiche, le apprensioni e le anticamere. Il fatto
è, che a quei tempi, i musicisti facevano spesso parte della servitù ed erano tenuti a
svolgere le loro mansioni secondo l’arbitrio del potente di turno. Una situazione che si
esasperò, quando l’arcivescovo Colloredo impose restrizioni e infastiditi dinieghi alle
tournée europee del giovane musicista. Andarsene per qualche tempo diventava sempre più difficile. Non fu difficile, dato il carattere un poco altezzoso di Mozart e l’irritabilità dell’arcivescovo e dei suoi sottoposti, arrivare alla rottura. E qui arriva il conte
Arco, gran maestro delle cucine (e dunque della servitù) e di fatto capo del personale.
Sempre più insofferente per una ennesima umiliazione da parte del Colloredo, a
Vienna, Mozart consegnò una lettera di dimissioni al conte Arco, che la rifiutò ed anzi
avvertì Leopold a Salisburgo, convocando il compositore inutilmente. Finalmente i due
si incontrarono, ma non se ne fece. Quando Mozart seppe che il conte non aveva inoltrato le sue dimissioni, ne nacque un violento alterco, che si concluse con la cacciata
del musicista con un calcio nel sedere. E per quel calcio, il conte Arco è passato alla
storia, portandosi dietro tutta l’ottusità salisburghese e del suo arcivescovo.
Le umiliazioni non finirono lì, perché poi arrivarono le lunghe anticamere e le promesse non mantenute dell’imperatore, la disaffezione del pubblico viennese, le frequenti
richieste di prestiti a qualche fratello massone che concedeva meno di quanto serviva,
le cabale e le malevolenze dell’establishement musicale, l’ipocrisia di Salieri e da ultimo il funerale di terza classe.
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Mozart a Berlino nel 1789 in un’acquatinta di Franz Hagi
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VIAGGI
Se non si viaggia - e questo vale almeno per gli
artisti e gli uomini di scienza - si resta dei poveri incapaci.
W. A. Mozart al padre l’11 settembre 1778
Diciotto viaggi, di varia lunghezza e durata, con un percorso complessivo che oggi potremmo
stabilire intorno ai 27.000 chilometri, hanno costellato la breve e movimentata esistenza di
Wolfgang Amadé Mozart. Due soltanto i periodi di relativa calma: i primi sei anni di vita a
Salisburgo (1756-1762) e l’estremo decennio viennese (1781-1791), che fu tuttavia punteggiato di spostamenti e di intensi soggiorni altrove.
In compagnia del padre e degli altri familiari, talvolta con qualche amico e la presenza di un servitore, Mozart viaggiava soprattutto in diligenza, meno spesso in carrozza e assai più raramente in battello, affrontando strade scomode e dal fondo sconnesso, sovente impraticabili per la
pioggia e il fango, correndo incontro a molti pericoli (non ultimo quello rappresentato dai briganti che infestavano soprattutto l’Italia), rischiando di ammalarsi (come del resto avvenne con
una certa frequenza) e dovendo adattarsi a tappe forzose. C’era, è vero, una certa attenzione
nella scelta di alberghi e locande, c’erano gli onori, le lusinghe, i soggiorni in dimore patrizie, ma
era pur sempre una vita frenetica e spossante. Tanto più se si pensa che questi viaggi venivano
intrapresi allo scopo di far conoscere e affermare il talento e le capacità del giovane musicista,
così che i soggiorni si risolvevano, il più delle volte, in continui concerti e accademie pubbliche,
allestimenti teatrali, presentazione di nuove composizioni.
Lontano da casa, Mozart scrisse, più o meno, 115 lavori di vario impegno e importanza, vale a
dire un quinto della sua intera produzione (secondo il gusto della statistica: un capolavoro ogni
250 chilometri).
Un elenco dei viaggi, con le relative tappe e soggiorni, può dare la pallida percezione di quanto fosse convulsa la vita di un musicista sempre in movimento: 12 gennaio-febbraio 1762:
Monaco; 18 settembre 1762 - 5 gennaio 1763: Vienna; 9 giugno 1763 - 29 novembre 1766:
grande viaggio in Europa (Monaco, Augusta, Francoforte, Colonia, Aquisgrana, Bruxelles, Parigi,
Londra, L’Aja, Anversa, Rotterdam, Amsterdam, Utrecht, Parigi, Digione, Lione, Losanna Zurigo);
11 dicembre 1767 - 5 gennaio 1769: Vienna; 13 dicembre 1769 - 28 marzo 1771: primo viaggio
in Italia (Bolzano, Trento, Rovereto, Verona, Mantova, Cremona, Milano, Lodi, Parma, Bologna.
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città e località toccate da Mozart nel corso dei suoi viaggi
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Firenze, Roma, Capua, Napoli, Roma, Civita Castellana, Temi, Spoleto, Foligno, Loreto, Ancona,
Senigallia, Pesaro, Rimini, Forh~ [mola, Bologna, Milano, Torino, Brescia, Verona. Venezia,
Padova, Vicenza, Verona); 13 agosto - 15 dicembre 1771: secondo viaggio in Italia (Bressanone,
Bolzano, Rovereto, Ala, Verona, Brescia, Milano, Verona); 24 ottobre 1772 - 13 marzo 1773: terzo
viaggio in Italia (Bressanone, Bolzano, Trenta, Rovereto, Ala, Verona, Brescia, Milano); 14 luglio
- 26 settembre 1773: Vienna; 6 dicembre 1774 - 7 marzo 1775: Monaco; 30 ottobre 1777 marzo 1778: Mannheim; 23 marzo 26 settembre 1778: Parigi; 5 novembre 1780 - 10 marzo
1781: Monaco; fine luglio - novembre 1783: da Vienna a Salisburgo; 8 gennaio - febbraio 1787:
primo viaggio a Praga; 1 ottobre - novembre 1787: secondo viaggio a Praga; 8 aprile - 4 giugno
1789: Berlino; settembre - novembre 1790: Francoforte;25 agosto - settembre 1791: terzo viaggio a Praga.
Di tanti soggiorni e spostamenti, alcuni ebbero rilevante importanza, sia sul piano formativo che
su quello biografico. Parigi rappresentò un momento cruciale. Il primo soggiorno, nel 1763, insieme con tutta la famiglia, fu un trionfo: il bambino prodigio si esibì nei maggiori salotti e a
Versailles alla presenza di Luigi XV. Il terzo soggiorno, nel 1778, fu, all’ opposto, assai sfortunato: nella capitale francese si era recato con la sola compagnia della madre, ma non aveva avuto
il successo sperato ed anzi, proprio la madre amatissima gli era morta fra le braccia. Anche
Londra, dove si era recato con la famiglia dopo il primo soggiorno parigino, nel 1764, si era rivelata come uno dei luoghi del successo europeo di Mozart bambino: concerti in presenza del re
Giorgio III e della regina Sofia Carlotta; conoscenza del più giovane figlio di J.S.Bach, Johann
Christian. Mannheim e Praga sono le due città della felicità. Nella prima, Mozart si era recato
nell’ottobre del 1777, insieme con la madre (importante tappa del viaggio a Parigi), e vi si era
trattenuto, nonostante gli inviti del padre alla partenza, fino al marzo dell’anno seguente. Nella
città dove fioriva il singspiel, Mozart, ormai ventunenne, ha modo di frequentare la casa del
musicista Christian Cannabich. Frequenta la casa di Franz Fridolin Weber, modesto musicista ma
soprattutto padre di quattro figlie, tra cui Aloysia della quale il giovane si innamora invano e
Constanze, che diventerà sua moglie qualche anno dopo. A Praga, Mozart arriva, per la prima
volta, nel gennaio del 1787, per assistere ad una trionfale rappresentazione delle Nozze di
Figaro, cui faranno seguito concerti, inviti nei salotti patrizi della città e la commissione di una
nuova opera da rappresentarsi al Teatro Tyl, sempre in quell’anno. Ed ecco il secondo viaggio in
ottobre, per l’allestimento del Don Giovanni. L’ultimo viaggio a Praga precede di qualche mese
la morte prematura. A richiamare Mozart nella amata città: l’allestimento della Clemenza di Tito,
in occasione dell’incoronazione dell’imperatore Leopoldo II a re di Boemia.
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Mozart in un ritratto eseguito da Edlinger nel 1790 identificato di recente: è l’ultima immagine che ci è
pervenuta del musicista
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VIENNA
Dopo lo ”storico” calcio nel sedere, con cui il conte Arco, camerlengo di Hieronymus
Colloredo, lo aveva definitivamente allontanato dal servizio presso l’arcivescovo di
Salisburgo, Mozart aveva deciso di restare a Vienna come libero artista, nonostante le
pressanti e preoccupate rimostranze epistolari del padre. Qui, egli trascorrerà, sia pure
con episodiche assenze, gli ultimi dieci anni della sua esistenza, costruendo, giorno
dopo giorno, la propria fortuna. Una fortuna che conoscerà alti e bassi, una lenta e
tenace ascesa e un declino inarrestabile che, tuttavia, negli ultimi mesi di vita, stava
per volgersi a un nuovo e ulteriore successo.
L’inizio della libera attività di musicista, nell’estate del 1781, non aveva trovato un
momento particolarmente propizio, in quanto le famiglie aristocratiche erano in campagna a trascorrere la villeggiatura. Ma cinque mesi dopo, proprio il giorno di Natale,
Vienna: il Graben come appariva nel Settecento
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Mozart ha l’occasione di esibirsi, nel corso di una singolare contesa alla tastiera con
l’agguerritissimo Muzio Clementi, davanti all’imperatore. La carriera di Mozart coinciderà singolarmente con l’opera e la figura di Giuseppe II, avverso al clero e ai nobili
che si opponevano alla sua azione politica, ma disponibile con gli artisti, secondo una
sorta di strategia culturale che culminava nel teatro.
Così, in una lettera alla sorella del febbraio 1782, Mozart descrive le sue giornate:
“Una persona che non ha un soldo di entrate sicure in una città come questa ha da
pensare e da lavorare a sufficienza, giorno e notte... Alle sei del mattino sono sempre
già in piedi e alle sette vestito di tutto punto. Scrivo fino alle nove e da quell’ora all’una ho le lezioni. Poi mangio, a meno che non sia invitato da qualche parte, e in tal caso
si pranza alle due e anche alle tre, come oggi e domani, dalla contessa Zichy e dalla
contessa Thun. Prima delle cinque o delle sei di sera non posso lavorare. E spesso c’è
un concerto ad impedirmelo, altrimenti scrivo fino alle nove. Poi vado a casa della mia
cara Constanze, dove però molte volte il piacere di vederci è amareggiato dai pungenti discorsi di sua madre... Alle dieci e mezza o alle undici torno a casa. Poiché a causa
di eventuali concerti, ma anche perché non so se mi chiameranno da qualche parte,
non posso contare sulla sera per comporre e finisco per farlo un poco prima di andare a letto, soprattutto quando rientro a casa presto. Così spesso resto a scrivere fino
all’una. E alle sei sono di nuovo in piedi”. Tenuto conto di certe inevitabili esagerazioni che avevano lo scopo di tranquillizzare il sempre troppo vigile padre, le giornate
viennesi non dovevano essere molto diverse e neppure lo sarebbero state in seguito.
Presto le occasioni e gli allestimenti teatrali avrebbero occupato altro tempo.
Restavano comunque le serati musicali con gli amici, le domeniche a casa del barone
von Swieten, il gioco e la vita di società.
Nel luglio del 1782, il grande successo di un’opera “tedesca” commissionata dall’imperatare, Il ratto dal serraglio, consacrò Mozart anche come autore per il teatro. Un
mese dopo, il matrimonio con Constanze Weber, avversato non tanto velatamente da
Salisburgo. Sarà una continua, anche se non clamorosa ascesa, nella vita musicale
viennese. I concerti per sottoscrizione e abbonamento nei teatri pubblici e nelle sale,
le serate di musica nelle case patrizie. Fino a quel 1786 che vide il trionfo delle Nozze
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di Figaro al Burgtheater. E parallelamente un’attività compositiva che ha del prodigioso, sia sul piano della quantità, sia su quello della qualità. Poi, il declino, che corrisponde agli anni che vanno dal 1787 al 1790. Come aveva profetizzato il conte Arco, erano
mutati il gusto e l’interesse dei viennesi. Nel 1790, il musicista appare assillato da problemi finanziari e affoga nei debiti. La salute peggiora e di pari passo, l’attività compositiva si fa meno intensa. Tanto più che Mozart era sempre vissuto al di sopra delle
proprie possibilità, né la moglie era una accorta amministratrice. Tuttavia, le difficoltà
economiche non significano la povertà. Mozart, nei suoi dieci anni viennesi, aveva
guadagnato più di tanti altri musicisti suoi colleghi. Lo stesso incarico di Kammermusikus (che lo vincolava poi a scrivere alcune danze per le feste e i balli mascherati
di corte) gli fruttava uno stipendio pari a circa ottomila euro di oggi.
Il vecchio Burtheater di Vienna
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VIOLINO
Proprio in quello stesso 1756 che aveva salutato la nascita di suo figlio Johannes
Chrysostomus Wolfgangus Teophilus, Leopold Mozart aveva dato alle stampe del
”Saggio di un metodo approfondito del violino” che avrebbe perpetuato, sia pure in
minore, anche il suo nome. E tuttavia quel libro destinato a durare non fu un auspicio,
perché il figlio, pur diventando un maestro nell’arte dell’arco, avrebbe preferito la tastiera del pianoforte e al violino solista avrebbe dedicato solamente alcuni squarci della sua
opera, vale a dire cinque (o sei) concerti giovanili, una sinfonia concertante che prevede
anche la presenza della viola e una quarantina di sonate, nella maggior parte delle quali,
però, è il pianoforte ad avere la meglio, secondo le usanze del tempo. Il fatto è che il violino nel tempo di Mozart non è più lo strumento principe che aveva ispirato gli esiti più
maturi del barocco, da Corelli a Vivaldi e Veracini. Non è che i violinisti avessero appeso
al chiodo lo strumento, c’era ancora l’eco di Tartini, Geminiani e Nardini, ma non era più
l’età dell’oro. Ma proprio a questi maestri avrebbe guardato attentamente il Mozart
diciassettenne, konzertmeister dell’orchestra della Cappella arcivescovile di Salisburgo,
quando si accinse, su richiesta di qualche bravo strumentista locale, alla composizione
del suo primo Concerto per violino e orchestra in si bemolle magg. Kv 207 già in stile
galante. Due anni dopo, nel 1775, al ritorno da Monaco, Mozart, probabilmente ancora
su richiesta dei musici dell’orchestra arcivescovile, sfornò altri quattro concerti, quello in
re magg. Kv 211 che molto si apparenta al precedente e la splendida triade che va da
quello in sol magg. Kv 216 a quelli in re magg. Kv 218 e la magg. Kv 219. Pagine tutte
di grande espressività melodica e connotate dal gusto di un’orchestrazione in continuo
divenire. Se il fascino cantabile fa la parte del leone, non mancano sicuramente episodi
di segno diverso a caratterizzare i movimenti finali. Dietro a questi concerti, come del
resto ad alcune delle sonate coeve, si intravede il sorriso del violinista Antonio Brunetti
primo e vivace esecutore di questi lavori e dedicatario del Kv 219 e di alcuni movimenti
alternativi scritti da Mozart su sua espressa richiesta. Quanto alle Sonate, esse attraversano quasi tutta l’attività compositiva di Mozart, dal 1764 al 1788, testimoniandone l’evoluzione stilistica ed espressiva, ma anche l’affrancamento del violino dal primato del
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pianoforte. Se le prime, scritte per clavicembalo con accompagnamento di violino, sono
composizioni di circostanza, le ultime sono capolavori assoluti che diventano il fondamento della sonata moderna. Protagonista allora diventa il dialogo fra i due strumenti,
in una attenzione completamente nuova alle possibilità espressive offerte dalle diverse
combinazioni timbriche. Fra le numerose e talora bellissime Sonate per violino e pianoforte, vale la pena di rilevare quella in si bemolle magg. Kv 454, composta nel 1784 per
una nota solista italiana, la mantovana Regina Strinasacchi, che tenne un concerto di
passaggio a Vienna al Kaertnertor-Theater. In quell’occasione Mozart si esibì accanto alla
giovane violinista improvvisando letteralmente la parte del pianoforte, che era stata solamente annotata allo stato di abbozzo. Se ne accorsero numerosi spettatori, compreso
l’imperatore. Come ha scritto Fanilo Faravelli, “in un’epoca in cui il sonatismo galante
ancora durava fatica a superare la tendenza alla monarchica asimmetria di un’eloquenza dialogico-strumentale sbilanciata a favore di un solista accompagnato o di una tastiera ingentilita dalle sottolineature di uno strumento melodico intercambiabile (violino
sostituibile da flauto traverso o oboe), Mozart avrebbe dovuto aspettare il 1784 della sua
superba sonata Kv 454 per dimostrare quali livelli di perfezione potessero raggiungere
due solisti impegnati in una conversazione musicale ormai ineccepibilmente paritetica“.
Il violino di Mozart
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WEBER una madre e quattro sorelle
Mozart provava un grande affetto per nostra madre ed era ricambiato.
Per questo veniva sempre più di frequente a trovarci,
portandoci spesso pacchetti con del caffè e dello zucchero,
che consegnava alla nostra buona madre, dicendole: Mamma, ecco una piccola colazione.
E lei era felice come un bimbo.
Sophia Heibl nata Weber
Le case della famiglia Weber, prima a Mannheim, poi a Monaco e infine a Vienna, corrispondono ciascuna a una tappa fondamentale e in un caso addirittura a una svolta
nella biografia mozartiana. Una famiglia numerosa e strettamente connessa alla musica quella dei Weber. Il padre è Franz Fridolin, che dopo qualche studio diritto, si è sistemato (si fa per dire) a Mannheim come copista, suggeritore e occasionale cantante nel
teatro di corte. Il celebre compositore Carl Maria von Weber era figlio di un fratello di
Fridolin, che dal canto suo aveva sposato Maria Caecilia Stamm nel 1756, che gli
aveva dato quattro figli, Josepha, Aloysia, Konstanze e Sophie e anche un maschio
Johann Nepomuk. Insomma, una famiglia numerosa con qualche problema economico che induceva la scaltra madre a puntare su una possibile fortuna delle figlie, dotate per il canto e la musica. In particolare Josepha e specialmente Aloysia.
Mozart conobbe la famiglia Weber durante il suo soggiorno a Mannheim tra l’autunno 1777 e la primavera 1778. Questa piccola e privilegiata capitale della musica, poteva contare su un’orchestra fra le migliori d’Europa diretta da Christian Cannabich e su
un gruppo di ottimi strumentisti, ma anche su validi compositori (quella che dal 1771
venne definita ”scuola di Mannheim”) e su un’attività concertistica pubblica e privata intensissima e qualificata. Ad alcune di queste ”accademie” prese parte anche il
ventunenne Mozart, che di Cannabich divenne buon amico e maestro di pianoforte
della dotatissima figlia Rose. Fu proprio durante queste accademie che Mozart si innamorò della Aloysia, che aveva una splendida voce e la capacità, a dispetto dei suoi
sedici anni, di usarla al meglio. E ben lo testimoniano le numerose e temerarie arie da
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Aloysia Lange interprete di Zemira in un quadro di Johann Baptist Lampi, 1784
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concerto che il giovane compose per la cantante. Il desiderio era dunque quello di una
tournée in Italia con Aloysia, che stando a Mozart avrebbe deciso la sua fortuna. Un
progetto decisamente avversato dal padre Leopold, che obbligò il figlio al disastroso
viaggio a Parigi. Al ritorno, Mozart ancora innamoratissimo passa da Monaco, dove nel
frattempo la famiglia Weber aveva traslocato per seguire Aloysia che aveva ottenuto
una scrittura in teatro. Una Aloysia che al suo corteggiatore ormai non pensava più,
respingendo le sue profferte recisamente. Amore e delusione, che il musicista, si dice,
aveva esorcizzato al piano, con una serie di variazioni su ”Leccami il culo, ragazza”.
Aloysia avrebbe in seguito sposato il versatile attore Joseph Lange (uno dei primi
interpreti di Amleto), al quale avrebbe dato sei figli e dal quale si sarebbe separata nel
1785. Fu tuttavia una delle cantanti più apprezzate della Vienna del suo tempo e
straordinaria interprete di Donna Anna nel Don Giovanni. In tarda età, alla domanda
perché non avesse sposato Mozart, disse: ”non avevo capito chi fosse. Mi sembrava
un ometto”.
A Vienna, l’anno seguente, quando dopo il licenziamento dalla corte di Salisburgo
stava per intraprendere una carriera di libero artista, Mozart trovò un alloggio provvisorio in un appartamento del palazzo ”Occhio di Dio” sulla Petersplatz, dove, guarda
caso!, Caecilia Weber, dopo la morte del marito e il matrimonio di Aloysia, teneva pensione. E sarà il turno di Constanze, che entra nel cuore e nei sensi di Mozart. Si dice
che dietro questo innamoramento ci sia stato lo zampino della madre, che riuscì a farsi
firmare una impegno capestro (come aveva già fatto con l’attore Joseph Lange che
aveva sposato Aloysia).
Le altre due sorelle seguirono a loro volta una carriera teatrale. La prima, Josepha, ottima cantante, anche se pare non fosse molto espressiva, fu la prima interprete della
Regina della Notte nel Flauto magico. L’ultima, Sophie, divenne invece attrice al
Burgtheater e fu una delle persone più vicine a Mozart nei giorni della malattia mortale.
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ZAUBERFLÖTE
Noi che non sappiamo niente - e fa lo stesso Del futuro, possiamo, almeno, predire
Che tra due secoli le folle
(Che vivano in cubi di nylon sospesi in aria,
Che pratichino il matrimonio di gruppo o si nutrano con tubi)
Si accalcheranno (assurde le loro acconciature, ridicolo il loro abbigliamento)
E pagheranno moneta sonante, per quanto strana,
Per sentire Sarastro che tuona dietro la sua barba,
I fini conoscitori approveranno se sarà limpido
Il fa alto della Regina della notte.
Wystan H. Auden Metalogo per «Il Flauto Magico»
Non sorprende più di tanto che Il flauto magico, nato dalle ceneri di uno sgangherato
«singspiel» e dai futili bagliori di una giovinezza che indugia ancora prima di stingere
nei colori della maturità, sia anche un viaggio sconvolgente nelle profonde radici dell’immaginario, tra i fantasmi dell’inconscio e folte siepi di metafore. E insomma il nero specchio di una fiaba, la cui tenebra misteriosa si infittisce di risonanze e rimandi, sguardi
perduti e immagini labirintiche, indovinelli e litoti. Una strada all’ombra degli archetipi,
lungo la quale si sarebbe incamminato anche Goethe, di lì a poco, con quel piccolo capolavoro che è Das Märschen e una divertita ripresa del Flauto magico, per la quale non
trovò mai, diversamente da Schikaneder, il suo musicista. E forse proprio agli elementi
esoterici del dramma si potrebbe risalire per dare conto della luce massonica che rischiara gran parte del Flauto magico. Massoneria che si colora dei Misteri degli egizi e delle
teorie di Ignaz von Born (morto improvvisamente proprio in quei giorni), autorità indiscussa dell’illuminismo austriaco e gran maestro della loggia viennese «Alla vera
Concordia», alla quale era iscritto Mozart. Ma il rapporto tra le fonti e la loro realizzazione in un libretto che non risparmia sulle incongruenze, la dialettica tra fiaba esoterica e massoneria, il gusto per lo spettacolo ad effetto e la sostanza ideologica, tutto questo sta in piedi, è il caso di dirlo?, solo in grazia della musica, che raddrizza ogni stortura, colma vuoti e smussa spigoli, assicurando all’opera l’immortalità. Una musica prende il via con tre accordi solenni e fatali e subito scivola inquieta fra pericoli e false appa-
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renze, personaggi che celano la loro vera natura. È la musica a definire i personaggi. Ma
a questo concorre anche il timbro della loro voce, il gusto di accoppiarli nei duetti e
riunirli negli insiemi. L’azione è affidata più che altro al parlato. Quasi tutte le prove dell’iniziazione, per esempio, sono solamente descritte. Gli ambienti, invece, vengono connotati musicalmente, dalle tenebre trionfanti di stelle del Regno della Notte alla ieraticità dei sacerdoti nel regno di Sarastro.La sera di venerdì 30 settembre 1791, Il flauto
magico, che era compiuto ormai da qualche giorno, andò in scena al Theater auf der
Wieden e, come recitava la locandina, “per rispetto del grazioso e inclito pubblico e per
amicizia verso l’autore del testo, il signor Mozard (sic) dirigerà oggi di persona l’orchestra“. Il successo fu travolgente e si protrasse in quello stesso teatro per ben 233 recite,
per poi diffondersi dovunque, ammaliando il pubblico e affascinando poeti e artisti e
intellettuali. Mozart fece appena in tempo ad assaporarne gli inizi sempre più incoraggianti: poco più di due mesi dopo, il 5 dicembre, lasciava prematuramente questo
mondo, secondo il disegno di un destino che ancora oggi troviamo misterioso.
La regina della notte in un bozzetto di Simon Quaglio, 1818
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Paul Klee: Don Giovanni
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