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SUPERCONDUTTIVITÀ
A cura di: Andrea Sosso I.N.RI.M. (IEN)
Il fenomeno della superconduttività è stato osservato per la prima volta nel 1911 dal fisico
olandese Heike Kamerlingh Onnes dell'università de Leida, in un campione di mercurio.
Onnes notò che il campione, raffreddato alla temperatura dell’elio liquido, 4 gradi Kelvin,
(-452F, -269C), presentava una resistenza elettrica nulla. Nel 1911 Onnes vinse il premio
Nobel per le sue ricerche sulla superconduttività.
La successiva pietra miliare nella comprensione del comportamento della materia a temperature estremamente basse è stata, nel 1933, la scoperta, da parte di Walter Meissner e
Robert Ochsenfeld che un materiale superconduttore respinge un campo magnetico.
Un magnete che si muove vicino a un conduttore induce correnti elettriche nel conduttore.
Su questo principio funziona, per esempio, un generatore elettrico.
Ma, in un superconduttore le correnti indotte generano un secondo campo che rende nullo
al suo interno il campo magnetico totale, che invece può esistere in un materiale normale.
E’ questo secondo campo che respinge il magnete.
Questo fenomeno è conosciuto come diamagnetismo o anche come "l'effetto Meissner".
L'effetto Meissner è così forte che un magnete può essere levitato sopra un materiale
superconduttivo. (Vedi VIDEO approfondimenti)
Nei decenni successivi la ricerca ha portato alla scoperta di vari nuovi materiali superconduttori.
Nel 1941 il niobio-nitruro è risultato superconduttore a 16 K.
Nel 1953 furono osservate caratteristiche tipicamente superconduttive nel comportamento
del vanadio-silicio a 17.5 K.
Nel 1962 gli scienziati della Westinghouse svilupparono il primo filo superconduttore commerciale, usando una lega di niobio ed il titanio (NbTi).
Elettromagneti per acceleratori di particelle ad alta energia in niobio-titanio furono sviluppati già negli anni 60 nel laboratorio di Rutherford-Appleton nel Regno Unito e sono stati
impiegati per la prima volta in un acceleratore al Fermilab Tevatron negli Stati Uniti nel
1987.
La teoria della superconduttività, ormai universalmente accettata, è stata proposta nel
1957 dai fisici John Bardeen, Leon Cooper e John Schrieffer, ed è nota come teoria BCS.
Per questa scoperta i tre fisici hanno vinto il premio Nobel nel 1972.
La teoria, matematicamente molto complessa, ha spiegato il fenomeno della superconduttività alle temperature vicino all'assoluto zero per elementi e leghe semplici; tuttavia, a
più alte temperature e con alcuni superconduttori, la teoria BCS è inadeguata per spiegare
completamente come si possa verificare il fenomeno della superconduttività.
Un altro contributo teorico fondamentale è dovuto a Brian D. Josephson, un giovane ricercatore dell'università di Cambridge, il quale previde, nel 1962, che la corrente elettrica può
fluire fra due materiali superconduttori - anche quando sono separati da un non-superconduttore o da un isolante (giunzione Josephson).
La previsione successivamente è stata confermata. Questo fenomeno oggi è conosciuto
come "effetto Josephson" ed è applicato a vari dispositivi elettronici quali lo SQUID, un
dispositivo in grado di rivelare campi magnetici debolissimi.
Sull’effetto Josephson si basano anche i campioni attualmente utilizzati per le più accurate
misure di tensione elettrica, che sono realizzati collegando decine di migliaia di giunzioni.
A B.D. Josephson è stato assegnato, per la scoperta dell’effetto omonimo, il premio Nobel
per la fisica nel 1973.
Lo studio dei superconduttori, rappresenta a tutt’oggi una delle frontiere più avanzate e
interessanti della ricerca fisica, con ricadute di notevole interesse sia dal punto di vista
1
degli aspetti scientifici che per le applicazioni pratiche. Al momento attuale non si può dire
che tutti gli aspetti del fenomeno siano già stati esplorati e lo studio di nuove teorie che
spieghino il comportamento dei superconduttori coinvolge e interessa tuttora molti fisici e
scienziati in tutto il mondo.
Effetto Josephson
L'effetto Josephson è stato predetto nel 1962 dal fisico britannico Brian David Josephson
e si manifesta quando due materiali superconduttori sono separati da un isolante estremamente sottile (giunzione Josephson).
L’effetto di Josephson consiste essenzialmente in un flusso di corrente elettrica fra i due
materiali superconduttori, in cui i portatori di corrente sono costituiti da due elettroni
(coppia di Cooper).
Le peculiari caratteristiche di una giunzione Josephson sono spiegabili con la capacità
delle coppie di Cooper di mantenere il loro legame anche attraversando il materiale
isolante.
Dal punto di vista dei fenomeni elettrici macroscopici l’effetto Josephson si può osservare
come:
Effetto Josephson “in corrente continua”:
Senza tensione applicata alla giunzione, attraverso l'isolante può fluire una corrente
continua dovuta ad un fenomeno quantistico, l’effetto tunnel, in base al quale le coppie di
Cooper possono attraversare il materiale isolante anche con tensione elettrica nulla.
Esiste un valore di corrente massima al di là del quale si comincia a manifestare una
tensione.
La corrente massima che può attraversare la giunzione con tensione nulla è detta corrente
critica.
Effetto Josephson
“in corrente continua”:
Relazione tra la tensione
(asse orizzontale) e la
corrente (asse verticale)
ai capi di una giunzione.
In rosso è evidenziato
l’intervallo in cui il valore
assoluto della corrente
è minore del valore di
corrente critica e la
tensione ai capi della
giunzione è nulla.
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Effetto Josephson “in corrente alternata”:
Se alla giunzione viene applicata una tensione elettrica la giunzione Josephson genera
una corrente alternata la cui frequenza di oscillazione è data dal valore della tensione
applicata moltiplicata per il fattore
2e
h
dove e è la carica dell’elettrone e h è la costante di Planck. Entrambe sono costanti
fondamentali della fisica indipendenti dalle condizioni sperimentali.
Effetto Josephson
“in corrente alternata”:
Relazione tra la tensione
(asse orizzontale) e la
corrente (asse verticale)
ai capi di una giunzione.
In rosso sono evidenziati
gli intervalli di valore di
corrente (“gradini”) in cui
il valore della tensione
è costante e dipende
solamente dalla
frequenza del segnale
con cui la giunzione viene
irradiata.
Per le applicazioni come campione di tensione per la metrologia, la relazione tra tensione
e frequenza dell’effetto Josephson in corrente alternata, che è estremamente accurata (nei
limiti delle possibilità di rivelazione attuali è da considerarsi esatta) ha una importanza
fondamentale:
per mezzo di questa relazione è possibile effettuare una misurazione di tensione
elettrica, indirettamente, con una misurazione di frequenza.
Data l’elevatissima accuratezza con cui si può determinare la frequenza di oscillazione di
un segnale elettrico, in questo modo è possibile effettuare misure di tensione con
un’incertezza ridottissima (attualmente inferiore a una parte su un miliardo).
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Laboratorio del campione di
tensione Josephson presso l’IEN
Nella pratica sperimentale l’effetto Josephson “in corrente alternata” viene ottenuto con
una specie di “procedimento inverso”:
la giunzione viene irradiata da una sorgente a frequenza elevatissima, dell’ordine decine di
GHZ (1 GHz = 109 Hz) che forza attraverso la giunzione stessa una corrente alternata alla
stessa frequenza.
Conoscendo quindi il valore della frequenza della sorgente irraggiante si ottiene il valore
della tensione ai capi della giunzione con una semplice moltiplicazione per il termine: KJ
(costante di Josephson) dato da:
h
KJ =
2e
Attualmente le più accurate misure della carica dell’elettrone e della costante di Planck in
unità SI consentono di assegnare a KJ il valore:
483 597.9 GHz/V.
Ciò permette all’unità di tensione, il volt, di essere determinato in funzione dell’unità di
tempo, il secondo (ovvero “riferito al” secondo), che può essere realizzato con estrema
accuratezza.
In pratica il campione Josephson consente di trasferire alle misure di tensione elettrica
l’elevatissima accuratezza tipica dei campioni di tempo/frequenza.
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Gas elettronici bidimensionali
Un gas o strato elettronico bidimensionale, 2-DEG dall’inglese, è un insieme di elettroni
forzato a muoversi soltanto su un piano.
La possibilità di realizzare un tale strato all’interfaccia fra un semiconduttore ed un
isolante, o all’interfaccia fra due semiconduttori, suggerita verso la fine degli anni ‘50, fu
dimostrata sperimentalmente a metà degli anni ’60.
Inizialmente il gas elettronico bidimensionale fu ottenuto in transistor di silicio ad effetto di
campo (MOSFET), applicando una tensione positiva alla porta metallica (gate).
Successivamente si riuscì a formare lo strato alla superficie di separazione (interfaccia) fra
due diversi semiconduttori, tipicamente GaAs e AlGaAs, dispositivi noti come eterostrutture.
Qualità dei dispositivi e mobilità degli elettroni
Il termine “gas” suggerisce che gli elettroni dello strato hanno scarsa interazione con il
materiale nel quale sono immersi.
Ciò consente agli elettroni una elevata mobilità. Di qui l’interesse applicativo in particolare
delle eterostrutture, utilizzate per realizzare dispositivi elettronici veloci.
La formazione del gas elettronico bidimensionale è possibile solo in un materiale di elevata qualità e presso una interfaccia praticamente senza difetti.
Nel caso delle eterostrutture ciò si può ottenere utilizzando una tecnica di fabbricazione
detta crescita epitassiale, con la quale il materiale si accresce strato atomico per strato
atomico.
Gas elettronico bidimensionale in un MOSFET di
silicio
Gas elettronico bidimensionale in una eterostruttura
GaAs-AlGaAs
L’applicazione di una tensione positiva all’elettrodo
di alluminio richiama gli elettroni (-) verso l’interfaccia
con l’isolante (ossido di silicio). Il gas elettronico
si forma in un piano perpendicolare al disegno,
indicato dalla striscia gialla.
La conduzione avviene tra i terminali di source (S)
e drain (D), in contatto con il gas per mezzo dei
pozzetti n+.
La tensione (-V) regola la quantità di elettroni
disponibili.
Gli elettroni presenti in abbondanza nell’arseniuro di gallio
e alluminio (AlGaAs) che è drogato con atomi di silicio,
passano dalla parte dell’arseniuro di gallio (GaAs), ove
formano uno strato perpendicolare al disegno indicato
dalla striscia gialla. Lo spessore dello strato elettronico
-9
è dell’ordine di 10x10 m, lo spessore complessivo del
dispositivo non supera 0,5 mm.
I contatti sono ottenuti diffondendo atomi di germanio (Ge)
attraverso i diversi materiali fino a raggiungere lo strato
elettronico.
Il GaAs superficiale ha il solo scopo di facilitare la formazione
dei contatti.
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Effetto Hall
Nel 1879 Edwin Hall scoprì che, se si sottopone un conduttore percorso da corrente ad un
campo magnetico ad esso perpendicolare (densità di flusso B), il conduttore manifesta
oltre ad una tensione nella direzione della corrente, ancheuna tensione nella direzione
trasversale.
Questo fenomeno fu chiamato effetto Hall ed il rapporto fra tensione trasversale (VH) e
corrente (I) è la resistenza di Hall, la quale risulta proporzionale a B.
Schema del
dispositivo Hall
Effetto Hall Quantistico
Applicando un campo magnetico molto elevato (densità di flusso B dell'ordine di 10 tesla,
circa 100.000 volte il magnetismo terrestre) ad un dispositivo contenente un gas elettronico bidimensionale mantenuto ad una temperatura di pochi gradi kelvin, la resistenza
di Hall RH cessa di crescere in modo proporzionale al campo magnetico e tende ad
assumere valori discreti (quantizzazione).
Questi valori dipendono solo da costanti fondamentali secondo la relazione:
RH =
h
25812,807 #
=
2
i
i "e
ove h è la costante di Planck, e è la carica dell’elettrone e i è un numero intero.
!
La resistenza quantizzata di Hall costituisce quindi un campione naturale di resistenza.
L'accuratezza con cui è possibile riprodurre questo campione è migliore di 1x10-9 (una
parte su un miliardo).
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Seguendo le raccomandazioni del Comitato Consultivo di Elettricità, il nuovo modo di riprodurre l’unità di resistenza è entrato in vigore presso l’INRIM (all’epoca IEN), come
presso altri laboratori metrologici nazionali, il 1°gennaio 1990.
.La figura riporta l’andamento, in funzione del campo magnetico, della
resistenza di Hall RH = VH/I e della resistenza longitudinale RX = VX/I.
Si noti come con il diminuire della temperatura e l’aumentare di B aumenti
la definizione dei gradini di RH.
In corrispondenza ad essi la resistenza longitudinale tende a svanire, il
che significa che all’interno del dispositivo la conduzione avviene senza
dissipazione di energia
2
Un tipico criostato per misure di effetto Hall quantistico
La figura mostra un criostato per elio liquido per misure
di effetto Hall quantistico, fino a temperature di 1,6 K.
Il magnete supercoduttore fornisce una densità di flusso
magnetico fino a 12 T.
Il dispositivo, collocato al fondo di una barra portacampione,
viene collocato all’interno di un inserto a temperatura
variabile e viene a trovarsi esattamente al centro del
magnete.
Laboratorio INRIM per misure di effetto Hall quantistico
La stanza è schermata elettricamente e controllata in
temperatura entro circa 0,5 °C.
Le pompe da vuoto sono all’esterno della stanza e sono
utilizzate nella fase preparatoria al travaso dell’elio liquido
ed anche per portare la temperatura dell’elio sotto il suo
punto di ebollizione.
1
SET e Triangolo Metrologico
Anche se l’introduzione degli effetti quantistici ha fatto fare degli enormi passi avanti alla
scienza delle misure, facendo raggiungere all’accuratezza dei risultati livelli inimmaginabili
fino a pochi anni fa, la ricerca verso campioni sempre più sofisticati non si è certamente
arrestata.
Attualmente è in fase di sviluppo in parecchi laboratori metrologici nazionali una tecnica
che permette addirittura di “contare” gli elettroni (Single Electron Tunneling, abbreviato in
SET).
Se l’accuratezza del metodo verrà ulteriormente migliorata, si potranno definire tutte e tre
le grandezze della legge dell'Ohm (tensione, resistenza e corrente) in termini di effetti
basati sulla meccanica quantistica.
Un confronto diretto dei risultati ottenuti con i diversi metodi (triangolo metrologico) consentirà quindi di verificare la coerenza dei tre fenomeni:
un esperimento di importanza cruciale per la conoscenza e la verifica delle più avanzate
teorie fisiche attuali.
Equazione
dell’Effetto
Josephson
Corrente =
Carica dell’elettrone x
Numero di elettroni
al secondo (frequenza)
Frequenza
f
U = (h/2e) f
I=ef
Effetto
Josephson
U
Tensione elettrica
SET
Effetto Hall
Quantistico
U = (h/e2) I
Legge di OHM:
Tensione =
Corrente x Resistenza
2
I
Corrente elettrica