dispensa METALLURGIA

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dispensa METALLURGIA
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LA METALLURGIA
Il primo metallo comune che l’uomo cominciò a lavorare è il rame nativo,
cioè il rame metallico che si trova allo stato naturale sotto forma di pepite.
L’uomo cominciò a lavorarlo già nel Neolitico (V - IV millennio a.C.),
utilizzando in un primo momento le stesse tecniche impiegate nella
lavorazione della selce: la percussione e il martellamento a freddo.
In seguito (nell’età del rame – III millennio a.C.) l’uomo scoprì che il rame
scaldato sul fuoco era più malleabile, e cominciò a lavorarlo tramite la
ripetizione delle operazioni di riscaldamento e battitura.
Solamente in un periodo successivo imparò che un altro modo per ricavare il
rame era quello di estrarlo dai suoi composti minerali per fusione, tramite un
procedimento molto complesso.
Dopo un certo tempo scoprì che fondendo dello stagno assieme al rame si
otteneva una lega, il bronzo, molto più resistente. Questa scoperta fu così
importante da dare il nome ad un lungo periodo, l’età del bronzo: siamo nel
II millennio a.C., dal 1800 al 1000 a.C.
In Trentino si nota uno sviluppo nella lavorazione del rame a partire dal 1400
- 1300 a.C. (nella media età del bronzo), probabilmente grazie all’influenza
delle popolazioni abitanti l’attuale Austria, dove questo minerale era lavorato
già da un paio di secoli.
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A CACCIA DI SCORIE!
I processi di lavorazione del rame in tutto il territorio del Trentino sono ben testimoniati dal
ritrovamento di numerosi scarti di fusione, le cosiddette scorie.
“Una scoria è un oggetto di colore nerastro e rugginoso, di varie
forme, e di dimensioni variabili dal centimetro ad un paio o più di
decimetri”
Durante una ricognizione di superficie (una “passeggiata” a caccia di
tracce sul terreno lasciate da attività dell’uomo nel passato), è molto facile trovare questi
scarti di fusione, grazie a due fattori: in primo luogo perchè un forno ne produceva in gran
quantità (pensate che un forno
dell’età del bronzo operante a
Solo un particolare tipo di
buon regime ne poteva produrre
fiore cresce senza difficoltà
quintali!); in secondo luogo in
in presenza di accumuli di scorie, la
quanto, poiché la vegetazione
Silene Inflata: la sua presenza
stenta a crescere lì dove si
abbondante, nei luoghi dove invece
trovano gli accumuli di scorie,
scarseggiano le altre piante, ci può
esse rimangono abbastanza
suggerire la probabile esistenza di un
visibili in superficie.
impianto per la prima lavorazione dei
minerali metalliferi.
Durante il secolo scorso sono state rinvenute molte scorie in diverse
località del Trentino: la presenza di ceramica preistorica, la cui
cronologia (età!) è ben definibile, in associazione ad esse, ha suggerito
una datazione all’età del bronzo recente e finale delle prime
attività metallurgiche che vennero svolte in Trentino.
In Trentino possiamo trovare soprattutto due tipi di scorie:
A scorie grezze: hanno un aspetto grossolano, una
forma bernoccoluta e la superficie irregolare (sono
probabilmente il prodotto della prima fusione);
A scorie piatte: hanno la forma di una lastra e la
superficie si presenta liscia (sono probabilmente il
prodotto delle fusioni successive);
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GLI ALTIPIANI DI LUSERNA, VEZZENA E
LAVARONE.
Sugli Altipiani di Luserna, Vezzena e Lavarone si trova una delle più straordinarie
concentrazioni, di tutta la tarda età del bronzo (XIII - X sec a.C.), di strutture per la
lavorazione del rame.
In particolare, in questa zona si effettuavano le operazioni di arrostimento primario e di
prima fusione dei minerali di rame, cioè quelle operazioni che permettevano di depurare il
minerale dai materiali di scarto e di giungere infine alla produzione di pani di rame (forme
di rame puro al 96%).
L’estrazione del minerale avveniva invece necessariamente altrove:
la zona degli Altipiani è caratterizzata infatti dall’assenza di
minerali cupriferi (di rame).
L’ipotesi più accreditata è che i minerali venissero estratti nel distretto metallifero dell’Alta
Valsugana, dove si trova una notevole quantità di giacimenti ricchi di rame (Calceranica,
Vetriolo, Val di Sella, Val di Fersina, Cinque Valli).
Una volta estratti, i minerali venivano trasportati nella zona degli Altipiani:
, soprattutto
qui si poteva infatti trovare una grande quantità di legname
faggio, con il quale si produceva, attraverso la realizzazione delle carbonaie, una buona
qualità di carbone, indispensabile per raggiungere le temperature necessarie ai processi
di fusione;
qui si potevano comodamente trovare anche i cosiddetti fondenti
(materiali
usati per facilitare la separazione delle scorie dal metallo), per esempio la selce o il
calcare, rocce di cui è costituito il sottosuolo dell’intero Altopiano;
la presenza di ampi pascoli
permetteva poi lo svolgimento
dell’alpeggio, di supporto all’attività metallurgica. Entrambe le attività (pastorizia e
metallurgia) venivano svolte durante il periodo estivo: erano quindi occupazioni stagionali.
I prodotti di malga (latte e derivati) erano molto ricchi di proteine, necessarie per
l’alimentazione di tutte le persone impegnate nel ciclo metallurgico (metallurghi, boscaioli,
carbonai, pastori, malghesi...). Inoltre il bestiame (costituito quasi esclusivamente da capre
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e pecore) veniva utilizzato per il trasporto dei minerali dal fondovalle verso i siti fusori degli
Altipiani;
infine, era di grande importanza la localizzazione del territorio al confine tra
il “mondo” veneto di pianura e quello retico alpino: il territorio dell’Altopiano di Luserna,
Lavarone e Vezzena era, allora come oggi, una zona “di cerniera”, di confine tra il Veneto
e il Trentino, tra la popolazione proto-retica e quella proto-veneta dell’età del bronzo, che
intessevano costanti rapporti commerciali per l’approvvigionamento di metallo (dal
momento che il Veneto è una regione in cui scarseggiano i giacimenti metalliferi).
DOVE SI TROVANO I SITI FUSORI ?
I luoghi dove sono stati rinvenuti questi impianti di lavorazione, in altre parole i cosiddetti
siti fusori, si trovano ad una quota di circa 1300 – 1400 metri s.l.m., l’altitudine ideale per
la crescita del faggio e per l’abbondanza di pascoli.
Sono localizzati in zone perlopiù pianeggianti, in prossimità di corsi d’acqua corrente o
pozze d’alpeggio (quest’ultime utilizzate per l’abbeveraggio delle vacche): l’acqua era
infatti indispensabile durante alcune fasi di lavorazione, soprattutto per la setacciatura dei
frammenti di minerale.
I siti fusori si collocano inoltre in prossimità di importanti nodi viari, al centro delle strade
che dall’Alta Valsugana portavano sugli Altipiani e delle vie di collegamento con la zona
pedemontana.
QUALCHE NOME...
Siti fusori sono stati trovati a Platz von Motze di Luserna, a Tezze di Luserna, a
Millegrobbe, a Malga Rivetta, a Malga Fratte, a Passo Vezzena, in Val Morta e in Val
Scura.
Sebesta e
Preuschen
sono due
ricercatori che
hanno studiato
le attività
metallurgiche
nella preistoria
dell’Altopiano
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In questa pianta sono
indicati i ritrovamenti
di siti con alta
concentrazione di
scorie!
QUALI ELEMENTI CI POSSONO ESSERE
UTILI PER IL NOSTRO STUDIO SULLA
METALLURGIA?
Per la ricostruzione del processo metallurgico ci possiamo basare su tre tipi di fonti:
¾ I REPERTI ARCHEOLOGICI. Sono una fonte
diretta, in quanto ogni reperto parla da sé: ci può
infatti fornire numerose informazioni circa il
materiale di cui è fatto, il tipo di attività umana che lo
ha prodotto, ecc... ;
Nel nostro caso sono importanti, oltre agli oggetti
finiti, le materie prime, i forni di fusione, gli attrezzi
usati, i residui della lavorazione (le scorie);
¾ LE FONTI SCRITTE. Sono fonti indirette, in quanto
l’autore ha scelto che cosa comunicare; la prima
trattazione sull’argomento è il Naturalis Historia di
Plinio il Vecchio ( I sec a.C.), ma la fonte più antica
che descrive le effettive operazioni eseguite dai
fabbri è il Diversarum artium schedala, un
manoscritto di un monaco del XII sec. di nome
Teofilo; dobbiamo stare però attenti perchè le
tecnologie si sviluppano nel tempo e subiscono
delle variazioni: non possiamo pensare che nel
Medioevo si usassero le stesse tecniche impiegate
in epoca preistorica.
¾ STUDI
ETNOARCHEOLOGICI.
Osservare i
metodi delle produzioni artigianali di popolazioni
viventi ancora secondo modi di vita “arcaici”, può
fornire numerose informazioni non solo riguardo agli
aspetti tecnologici delle diverse lavorazioni, ma
anche circa l’organizzazione del lavoro, il numero di
persone necessarie, o indicazioni su come veniva
usato un particolare oggetto, la cui forma a noi può
essere ignota.
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LA MATERIA PRIMA
IL RAME
Simbolo chimico: Cu
Punto di fusione: 1083 °C
Colore: rosso
È un metallo malleabile (significa che può essere facilmente ridotto in lamine) e duttile
(significa che si può facilmente ridurre in fili).
È un buon conduttore di calore ed elettricità.
Attenzione! Se viene esposto all’umidità si ricopre di una patina verdastra.
Il rame si trova in natura sotto forma di rame nativo o di minerale.
Il rame nativo contiene il 99,9% di rame: si può trovare all’interno di giacimenti sotto
forma di pepite;
I minerali cupriferi (che contengono rame) sono numerosi: i più conosciuti sono la
cuprite (che contiene l’89% di rame), l’azzurrite (55% di rame) e la malachite (58% di
rame).
Il minerale maggiormente usato per la produzione di metallo nel
Trentino nel corso delle epoche passate è però la calcopirite:
un minerale di colore giallo ottone contenente il 35% di rame,
che si trovava molto facilmente nei giacimenti dell’Alta
Valsugana.
calcopirite
LO STAGNO
Simbolo chimico: Sn
Punto di fusione: 231°C
Colore: bianco argenteo
È un metallo malleabile e duttile.
È molto resistente all’ossidazione e alla corrosione.
Lo stagno si ottiene soprattutto dalla cassiterite, un minerale diffuso in Inghilterra e in
Germania.
Lo stagno viene miscelato spesso con altri minerali a formare leghe, come il bronzo (lega
rame - stagno), l’ottone (lega rame - zinco - stagno) e il peltro (stagno al 95% - rame argento).
L’uomo scoprì la lega di bronzo intorno alla metà del terzo millennio a.C.: si accorse infatti
che aggiungendo una limitata percentuale di stagno (circa il 5-10%) al rame si otteneva un
metallo più resistente.
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IL CICLO METALLURGICO
1) ESTRAZIONE
I minerali di rame venivano estratti utilizzando un metodo chiamato arroventamento, che
consisteva nel surriscaldare con grandi fuochi la roccia contenente i minerali,
provocandone così la spaccatura.
Questo procedimento si basa sul fatto che il quarzo, al quale è
spesso associata la calcopirite (il minerale di rame maggiormente
utilizzato in Trentino), se sottoposto ad elevate temperature si dilata,
causando così la rottura della roccia che lo contiene.
Si procedeva in questo modo:
A) si accatastava la legna dove la vena metallifera affiorava in
superficie e poi si appiccava il fuoco;
B) si surriscaldava la roccia, poi si raffreddava con violenti getti
d’acqua fredda, in modo che si formassero più crepe, oppure si
aspettava che si raffreddasse lentamente;
C) la roccia crepata veniva poi percossa con attrezzi simili a
mazze e picconi. A volte si usavano dei cunei o delle zeppe di
legno: una volta bagnato infatti il legno si dilata e allarga le
fessure provocando la spaccatura della roccia;
D) i minerali frantumati venivano trasportati su slitte di legno o
all’interno di gerle di pelle e cuoio, oppure sul dorso di animali
(muli, cavalli, pecore);
E) si procedeva nuovamente con il surriscaldamento della
roccia, seguendo la vena metallifera e creando così delle gallerie,
che venivano sostenute da solide impalcature di legno (si creavano
così delle vere e proprie miniere estrattive).
La roccia crepata veniva
percossa con attrezzi simili
a mazze e picconi.
2) FRANTUMAZIONE
Il materiale così estratto veniva frantumato, per separare il minerale dalla ganga (materiale
sterile di scarto), tramite l’utilizzo di un’incudine e uno strumento percussore (un
semplice ciottolo di pietra dura levigato dall’acqua era un buon percussore).
Vi erano due tipi di incudini: una, chiamata “incudinella ad
ombelico”, era una lastra di pietra dura di forma più o meno
ovale che veniva utilizzata appoggiandola sulle ginocchia.
Per il continuo martellamento si consumava soprattutto
nella parte centrale, fino a quando non era più utilizzabile;
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percussore
incudine
a quel punto si girava e si lavorava sull’altra faccia, fino a quando anche questa si
deformava: la lastra assumeva così una forma con due conche al centro (due “ombelichi”),
una su ogni faccia.
Il secondo tipo di incudine era di dimensioni maggiori e pesava anche molto di più! Veniva
appoggiata su un piano e si lavorava stando in piedi. Anche queste incudini si
deformavano e venivano rigirate per sfruttare tutte le facce.
macinello
A questo punto i granelli di minerale, separati dalla pietra di
scarto, dovevano essere ridotti in farina finissima tramite l’utilizzo
di macine e macinelli, uguali a quelli che si utilizzavano per
frantumare i cereali, ma realizzati con una pietra più robusta.
Dalla forma concava che la macina assumeva a causa dell’usura
deriva il nome di “macina a sella”.
macina a sella
Se il macinello era di piccole dimensioni si prendeva con una
mano e si sfregava sulla macina disegnando dei cerchi. Se era
più grande si teneva con due mani e si faceva scorrere avanti e
indietro sulla macina: così, per azione di sfregamento, i granelli si
riducevano in farina.
Se il macinello era piccolo si prendeva
con una mano: sulla macina si
disegnavano dei cerchi.
Se il macinello era grande si teneva
con due mani e si macinava
spostandolo avanti e indietro.
3) ARRICCHIMENTO
La farina di minerale conteneva ancora della ganga, che
doveva essere scartata. Per separarla dai granelli di
minerale si sfruttava la setacciatura naturale dell’acqua
dei torrenti: la farina veniva versata in un ruscello; i granelli
di minerale si depositavano sul fondo, da dove venivano poi
raccolti, mentre la ganga, più leggera, veniva trascinata via
dalla corrente. In alcuni casi si usavano delle vasche di
legno e dei setacci.
granelli di
minerale
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ganga
Possiamo dunque riassumere queste prime fasi di lavorazione nel seguente schema:
4) ARROSTIMENTO
Questa ulteriore fase di lavorazione, chiamata arrostimento, serviva per eliminare lo zolfo
presente nel minerale: la calcopirite è infatti un solfuro doppio di rame e ferro, che doveva
essere trasformato, prima del processo di fusione, eliminando lo zolfo sotto forma di un
gas che si disperdeva facilmente nell’aria.
La farina di minerale veniva posta sopra uno strato di legna; si accendeva il fuoco e lo si
alimentava fino a che il processo non si concludeva, cioè quando finiva la fuoriuscita di
fumo nero con un forte odore di zolfo. Per questa operazione non erano necessarie alte
temperature: bastavano circa 400°C.
Lo zolfo veniva eliminato sotto forma
di un fumo nero, molto irritante per gli
occhi e i bronchi.
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5) PRIMA FUSIONE
I minerali arrostiti erano pronti per la prima
fusione: venivano collocati in un forno assieme a
del combustibile (carbone di legna, ottenuto nelle
apposite carbonaie) e a dei fondenti (per
esempio la selce o il calcare): l’uso del carbone
consentiva di raggiungere la temperatura
necessaria (900 - 1100°C), mentre l’aggiunta di
fondenti facilitava la separazione delle scorie.
arrostimento del minerale per
rimuovere la massa dello zolfo
prima fusione del minerale
arrostito (tramite l’uso di carbone
come combustibile)
metallina
(30% di rame)
scorie
arrostimento della metallina
forno
fusione della metallina con
carbone e silice
mantice
In questa fase, per alimentare il fuoco, si
immetteva aria nel forno utilizzando i soffioni
(tubi in terracotta a tronco di cono o a forma di L)
e i mantici, costituiti da ugelli (tubicini di
terracotta) collegati ad un sacco di pelle. Per
avere un flusso d’aria maggiore e continuo si
usavano due mantici.
metallina
(56% di rame)
scorie
arrostimento della metallina
fusione della metallina con
carbone
rame grezzo
(al 90%)
scorie
I mantici vengono compressi e sollevati in
modo alternato, in modo da garantire un
flusso continuo d’aria
Durante la fusione il rame si concentrava in una miscela chiamata metallina (dopo la
prima fusione la metallina conteneva dal 20% al 40% di rame) separandosi dalle scorie
(formate da materiale sterile e dai minerali inutili). Le scorie, più leggere, galleggiavano
sopra la metallina e al termine del processo, quando la temperatura si abbassava,
venivano eliminate.
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I processi di arrostimento e fusione
venivano ripetuti più volte, per espellere
più zolfo possibile ed eliminare le
scorie, fino a che si otteneva una
metallina contenente il 90% di rame.
Ricorda:
Ö dopo ogni fusione la percentuale
di rame nella metallina aumenta;
Ö ad ogni fusione vengono eliminati
composti inutili sottoforma di
scorie;
Il procedimento era lungo e complesso
proprio perchè si cercava di avere
meno scarto possibile!
Ö le scorie venivano recuperate e
sottoposte ad altri processi di
arrostimento e fusione.
Per vedere lo schema cha rappresenta i processi di fusione e arrostimento vai alla
pagina successiva!
6) RAFFINAMENTO
Il raffinamento serviva per eliminare le impurità che ancora erano contenute nel rame (in
particolare le tracce di minerali estranei, come ferro, nichel, arsenico, antimonio).
Il metallo veniva perciò fatto fondere lentamente, mescolandolo, e le scorie galleggianti
che si formavano venivano eliminate.
In questo modo si otteneva il rame raffinato, contenente più del 96% di rame
Il rame così ottenuto da questi numerosi e complessi processi veniva
commerciato in pani o lingotti, di peso variabile tra i 100 g e i 7 kg.
Questi pani erano pronti per essere fusi e colati in stampi per la
realizzazione di oggetti di rame o, tramite la miscelatura con lo stagno, di
bronzo.
I pani di rame potevano avere una forma piano- convessa, dovuta al
raffreddamento del metallo all’interno del catino della fornace, ma si
conoscono anche pani o lingotti “a piccone” e “a costola”.
lingotto “a
piccone”
pane di rame a
forma piano convessa
lingotti “a
costola”
Non ci sono per il momento attestazioni che l’ultimo processo, di colatura,
avvenisse sugli Altipiani di Luserna, Vezzena Lavarone; pare infatti che
qui venissero svolti principalmente tutti quei processi che servivano alla
produzione dei pani e dei lingotti di rame, cioè l’arrostimento e la fusione
primaria di cui abbiamo parlato.
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I FORNI
I primi forni per l’attività metallurgica erano rudimentali,
costituiti da una semplice fossa scavata nel terreno, nella
quale venivano collocati assieme i minerali e il carbone
(forni a pozzetto).
I forni che si utilizzavano in Trentino per estrarre il rame
dalla calcopirite erano più complessi, a causa della
maggiore laboriosità richiesta da questo minerale.
ugello del
mantice
minerale e
carbone
crogiolo
forno a pozzetto
Si costruivano i forni in zone leggermente sopraelevate rispetto al terreno circostante, e in
prossimità di corsi d’acqua.
Una volta scelto il luogo per la costruzione del forno, si cominciava a predisporre il
crogiolo, una conca più o meno profonda che aveva la funzione di raccogliere e
contenere il metallo fuso.
I crogioli si creavano sistemando, all’interno di una buca scavata nel terreno, uno strato di
sassi e scorie, e ricoprendo il tutto con una superficie di argilla battuta. Tutt’intorno veniva
sistemata una cintura di sassi, sui quali poi si potevano edificare le pareti del forno.
I crogioli avevano una struttura a conca per
raccogliere il minerale fuso; potevano avere una
forma di catino o una forma quadrangolare.
A volte si costruivano dei forni con il piano inclinato,
in modo da permettere la fuoriuscita ininterrotta del
minerale fuso. Innalzando poi la base del forno
sopra il livello del terreno, si facilitava la raccolta del
minerale fuso in conche esterne.
crogiolo
esterno
forno con piano inclinato e
crogiolo di raccolta esterno
I forni erano dotati di strutture murarie fuori terra, a camino o a cupola, per migliorare il
processo di fusione.
In questo modo era possibile, infatti, ammassare più carbone e minerale, evitare la
dispersione del calore e raggiungere così più alte temperature.
ugello del
mantice
parete di
sassi
cupola
ugello del
mantice
crogiolo
forno a camino
crogiolo
forno a cupola
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forno quadrangolare
Un importante sito fusorio si trova al passo del Redebus, in
località Acquafredda, dove è stata trovata una piazzola
fusoria con 9 forni di forma quadrangolare, ricavati in batteria
all’interno di un muro di recinzione.
Il recupero, durante lo scavo archeologico, di una quantità di
scorie pari a 1000 tonnellate (pensate un po’... il peso di un
migliaio di automobili dei nostri giorni!) ha fatto capire quanto
intensamente questo sito fusorio fosse stato utilizzato
nell’antichità e ha sottolineato la sua notevole importanza
nell’ambito delle attività metallurgiche che si svolgevano su
questi territori durante l’età del bronzo.
GLI ATTREZZI
ATTREZZI USATI PER L’ESTRAZIONE:
strumenti percotenti: mazze di pietra, picconi di legno, corno di cervo e selce; cunei e
zeppe di legno (di quercia, larice o faggio), rastrelli, pale ricavate da scapole bovine e
secchi di legno per la raccolta del materiale;
mazze di
pietra
rastrello
cunei di
legno
pala di
legno
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ATTREZZI USATI PER IL TRASPORTO DEL MINERALE:
slitte di legno, gerle di pelle e di cuoio;
gerla di
pelle
slitta
di legno
ATTREZZI USATI PER LA LAVORAZIONE DEL MINERALE:
incudini e strumenti percussori di pietra per la frantumazione, macine e macinelli di pietra
per la macinazione, setacci di vimini o pelle di montone per l’arricchimento;
incudine e
strumento
percussore
macina e
macinello
setaccio
ATTREZZI USATI PER LA FUSIONE:
soffioni e ugelli in terracotta, mantici composti di sacche di pelle animale, crogioli per
colare il metallo, pinze di legno;
crogioli
pinze di
legno
Soffione di
terracotta
mantice
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LA REALIZZAZIONE DEL PRODOTTO FINITO
FUSIONE DELLE LEGHE DI BRONZO
Il rame veniva posto in un crogiolo (un recipiente a forma
di ciotola, realizzato in terracotta o in pietra resistente al
calore) assieme ad una piccola quantità di stagno (circa il
5-10%): i due metalli, fusi dal calore del fuoco alimentato
dall’immissione d’aria tramite ugelli e mantici,
mescolandosi, formavano una lega, il bronzo, molto più
resistente del rame puro.
ugello
crogiolo
forno
mantice
PRODUZIONE DI OGGETTI FINITI
Il metallo fuso (rame o bronzo) veniva
colato dal crogiolo in stampi già predisposti,
che venivano creati in terracotta o in pietra
resistente al calore.
fusione con crogiolo
Lo stampo, chiamato matrice, poteva
essere costituito da un solo elemento
(stampo monovalve), sul quale era ricavata
in negativo la forma da riprodurre, oppure
da due elementi speculari che venivano
accostati (stampo bivalve).
Questa tecnica è detta “fusione con
matrice”.
Una volta raffreddato, l’oggetto in metallo
veniva levigato e rifinito con lime e
seghette, e a volte decorato con incisioni
tramite l’uso di alcuni strumenti, come bulini
e ceselli.
crogiolo
stampo
bivalve
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FUSIONE CON MATRICE MONOVALVE
(forma di fusione costituita da un solo elemento)
FUSIONE CON MATRICE BIVALVE
(utilizzando una forma costituita da due elementi simmetrici accostati)
Un’altra tecnica usata era quella della cera perduta: l’oggetto da produrre veniva
modellato in cera (1) e avvolto da un impasto di argilla (2); una volta che la terracotta si
era consolidata, si sottoponeva il contenitore a calore, in modo che la cera si sciogliesse e
colasse da un apposito foro (3). Lo spazio vuoto veniva poi riempito dal metallo fuso (4),
che prendeva così la forma dell’oggetto da produrre; quando il metallo si era raffreddato,
la forma veniva rotta (5) e l’oggetto veniva rifinito (6).
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LA VIA DEL RAME
I minerali di rame venivano estratti nel distretto metallifero dell’Alta Valsugana, dove, in
un primo momento (durante l’Eneolitico e l’antica età del bronzo) si praticava anche la
fusione dei minerali.
A partire dal bronzo recente e agli inizi del bronzo finale (XIII - XI sec a.C.) l’attività fusoria
si concentra in aree montane, al di sopra di 1000 metri di quota s.l.m. (Val dei Mocheni,
Tesino e Altipiani di Luserna, Vezzena e Lavarone). Questo spostamento sembra mirato,
oltre che all’approvvigionamento di legname, anche al controllo di importanti nodi viari.
Sugli Altipiani di Vezzena, Luserna e Lavarone i minerali subivano una prima fase di
lavorazione, volta alla produzione di pani di rame, che venivano commerciati con gli
abitanti delle regioni transalpine e con gli abitanti della pianura padano-veneta, in cambio
di prodotti alimentari e oggetti di artigianato specializzato (in metallo, ambra, osso e pasta
vitrea).
All’interno del flusso di scambi riguardante la pianura, un ruolo importante di intermediario
era svolto da alcuni siti, sull’Altopiano dei Sette Comuni Vicentini, ubicati in posizioni
strategiche sul ciglio delle scarpate di raccordo con la pianura (il villaggio del Bostel a
Rotzo, quello del Monte Corgnon a Lusiana).
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I pani di rame venivano commerciati con la pianura grazie al ruolo di tramite economico
svolto da villaggi situati sulle testate collinari agli sbocchi vallivi, cioè in posizione
strategica a controllo delle principali vie di transito sia di uomini sia di merce e bestiame
(Angarano - presso Bassano -, S.Lucia di Breganze, Caltrano).
Infine, il metallo perveniva in importanti centri produttivi e mercantili situati nella pianura
veronese e rodigina, dove veniva commerciato e scambiato con beni di prestigio (come
ambra e pasta vitrea).
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UN ESPERIMENTO DI ARCHEOMETALLURGIA!
1) IL FORNO: si costruisce il forno,
scavando una buca nel terreno e
ricoprendola di argilla refrattaria, cioè
resistente ad alte temperature
2) IL FUOCO:
si accende il fuoco usando il carbone di legna,
immettendo aria attraverso l’ugello in
terracotta con l’aiuto di due mantici in pelle
azionati in modo alternato
3) LA FUSIONE: si pone sui carboni ardenti
un crogiolo, in terracotta o in pietra,
contenente rame e stagno in quantità ben
calcolate
4) LE FORME DI FUSIONE:
si preriscaldano vicino al fuoco le forme di
fusione (in pietra o argilla refrattaria), che
possono essere composte da un solo elemento,
oppure da due elementi accostati
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5) LA COLATURA: con l’aiuto di una
pinza di ferro o un bastone di legno, si
versa il metallo fuso dal crogiolo nelle
forme di fusione già preparate, unendo
i due elementi con lacci di cuoio
6) GLI OGGETTI:
una volta che il metallo si è
raffreddato, si aprono le forme e si
estraggono gli oggetti. Si notano le
forme grezze, piene di sbaffi di
colature del bronzo
7) LA RIFINITURA: infine si
rifiniscono gli oggetti levigandoli su una
superficie dura (ottima è la pietra
arenaria), oppure tramite l’utilizzo di
lime e seghe
E FINALMENTE...
L’OGGETTO FINITO!!!
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