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TURCHIA|ITALIA
Storia di un interscambio culturale
L’Ambasciata Turca a Roma
Costantinopoli
è uno dei nomi dell'odierna città di
Istanbul, sulle rive del Bosforo, maggior centro urbano della
Turchia.
Fu l’imperatore Costantino ad iniziare la ricostruzione
della città di Bisanzio che in suo onore fu ribattezzata
Costantinopoli, dove l’imperatore pose la sede ufficiale
dell’impero nel 330.
Il nome Costantinopoli fu in particolare tenuto dalla città
nel periodo intercorrente tra la rifondazione e la conquista
da parte del sultano ottomano Maometto II.
Durante tale periodo la città fu una delle capitali
dell'Impero romano (anni 330-395) e capitale dell'Impero
romano d'Oriente o Impero bizantino (anni 395-1204 e 12611453) e dell'Impero Latino (anni 1204-1261). Il nome rimase
comunque in uso presso gli Occidentali anche durante
l'Impero ottomano, sino alla caduta di Costantinopoli nel
1453.
L’imperatore Costantino
Il 29 maggio 1453 gli ottomani di Maometto II dilagano in
Costantinopoli saccheggiando e massacrando. I vincitori
entrano nella basilica di Santa Sofia e la trasformano subito
in moschea. In Hagia Sophia (in greco: Aγία Σοφία; in
turco: Ayasofya; italianizzato in basilica di Santa Sofia o
basilica della Santa Sapienza) è una basilica, nonché
principale monumento di Istanbul; fu una sede patriarcale,
poi una moschea ed è ora un museo. Nota per la sua
gigantesca cupola, apice dell'architettura bizantina, fu
terminata nel 537.
Il primo edificio viene iniziato da Costantino come
cattedrale della nuova capitale, ma alla morte
dell'Imperatore nel 337, la chiesa era ancora in costruzione,
venendo consacrata solo nel 360, al tempo di Costanzo II,
dal patriarca Eudossio.
Dopo un incendio fu riedificata da Teodosio II, e
riconsacrata nel 415. Di nuovo incendiata in seguito alla
rivolta di Nika, scoppiata contro l'imperatore Giustiniano I
nel 532, venne in seguito ricostruita in forme ancora più
grandiose dallo stesso Giustiniano. Della basilica teodosiana
sussiste ancora un piccolo edificio circolare laterale, la
sacrestia.
La caduta della millenaria capitale dell'Impero Romano
d'Oriente provoca un'impressione fortissima: la terra, che
da quel momento inizia a chiamarsi Turchia, era stata
patria delle più fiorenti comunità e vestigia cristiane.
Fin dai tempi dell’impero bizantino ( 395-1453) quando la
città di Costantinopoli cambiò il suo nome in Bisanzio, i
rapporti con l’Italia erano buoni e la stessa cosa si verificò
quando in Anatolia arrivarono i Turchi. Nonostante diverse
guerre nel Mediterraneo, vi furono delle buone relazioni
con le repubbliche marinare di Pisa, Genova e Venezia,
che in quell’epoca erano gli stati indipendenti dell’Italia.
Durante l’Impero Ottomano (durato 500 anni) i rapporti
culturali e commerciali tra l’Italia e la Turchia divennero
più forti. Tali rapporti iniziarono nel 1381
con la
Repubblica marinara di Venezia e si ampliarono quando gli
Ottomani iniziarono a noleggiare imbarcazioni veneziane e
genovesi per viaggiare verso l’Europa. Grazie all’indulgenza
e alla politica dell’Impero Ottomano,
i commercianti dell’Est poterono viaggiare verso l’Europa.
Meravigliosi tappeti dell’Anatolia ornavano i palazzi di
Firenze, mentre i banchieri italiani svolgevano la loro
attività in Anatolia.
I rapporti divennero ancora più forti durante il regno del
Sultano Mehmet II ( Fatih- il Conquistatore) con il quale il
Granducato di Toscana firmò il “Trattato per la
estradizione reciproca.” grazie al quale il Sultano ebbe la
possibilità di estradare in Italia un fiorentino fuggito ad
Istanbul in seguito alla ribellione contro la famiglia de’
Medici e l’omicidio di Lorenzo de’ Medici. Il Sultano fu il
primo che chiamò a Palazzo il pittore Giovanni Bellini
(Venezia, 1430 circa – Venezia, 1516) per far eseguire il suo
ritratto.
Mehmet II , ritratto di Giovanni Bellini
(1432-1481)
Roma: Castel Sant’Angelo
Durante il regno del Sultano Mehmet II l’Impero Ottomano
ebbe la sua massima espansione e il suo massimo
splendore. Tra il XV e il XVIII secolo, nel Mediterraneo,
l’Impero Ottomano e la Repubblica di Venezia entrarono
nella storia come due superpotenze: uno in rappresentanza
dell’Est Musulmano e l’altra dell’Ovest Cattolico. Entrambi
gli Stati, che alternavano le collaborazioni con i conflitti, si
impegnavano per avere il controllo sul Mediterraneo.
I Turchi entrarono realmente in Italia con la presa della
fortezza di Otranto nel 1480 che allora era sotto il dominio
del Regno di Napoli. Dopo la morte di Mehmet II,
nell’ambito degli scontri tra i suoi figli, Beyazit II e Cem,
per assumere il poter, Beyazit richiamò in
patria il
conquistatore della fortezza, Gedik Ahmet Pascia. La
contesa tra i due fratelli per la successione si concluse con
la morte di Beyazit a Napoli e la fine del Sultano Cem che
concluse la sua vita in prigione a Castel Sant’Angelo a
Roma.
Anche successivamente, durante i periodi del Sultano
Kanuni Süleyman (Solimano il Magnifico) e di Mahmut II,
si stabilirono tra Italia e Turchia buoni rapporti politici,
giuridici, commerciali e culturali e nel XVI secoli il Doge
della Repubblica di Venezia, Andrea Gritti, ebbe relazioni
strette con il Sultano
Solimano il Magnifico e negli
ambienti del palazzo Ottomano.
Solimano il Magnifico
Andrea Gritti (1455-1538) fu il settantasettesimo doge
della Repubblica di Venezia. Educato dal nonno, che lo
condusse con se durante le numerose ambascerie che compì
per la Repubblica in vari paesi europei. Trentenne si
trasferì a Costantinopoli dove oltre a curare i proprio
commerci divenne un importante informatore della
Repubblica. Per questo venne imprigionato nel 1499, ma
grazie alla propria amicizia col Visir, riuscì ad evitare
l'esecuzione. Venne rilasciato dopo alcuni anni e svolse un
importante ruolo nei negoziati di pace fra il Sultano e
Venezia.
Lettera di Solimano al Doge Andrea Gritti, 1527
riportata
ne "I Diarii" del cronista veneziano Marino
Sanudo:
Imperator delli Imperatori.
Re incoronato sopra li omeni che sono sulla faza della
terra.
Ombra di Dio sopra le due terre ferme.
Imperador del mar bianco e del mar negro
e della Romania e dell'Anatolia e del paese della Grecia
Mahmut II
e della Caramania e del Dulcadir e del Diarbechir
e del Dirnaizan e de Damasco et Aleppo e del Cayro
e sacrosanto Hyerusalem e della sublime Mecca e
reverenda Medina
e de Zidde e de Gemen e de molti altri paesi.
Solimano il Magnifico con l'elmo delle
quattro corone degli orefici veneziani,
1535
E’ straordinario il fatto che nel 1571 l’Ambasciatore di
Venezia continuò a risiedere ad Istanbul anche durante la
battaglia di Lepanto.
La battaglia di Lepanto è lo storico scontro avvenuto il 7
ottobre 1571 tra le flotte musulmane dell'Impero ottomano
e della cristiana Lega Santa che riuniva forze navali di
Venezia, della Spagna (con Napoli e Sicilia), di Roma, di
Genova, dei Cavalieri di Malta e del Ducato di Savoia,
federate sotto le insegne pontificie. La battaglia
si
concluse con una schiacciante vittoria delle forze alleate,
guidate da Don Giovanni d'Austria, su quelle ottomane di
Mehmet Alì Pascià, che perse la vita nello scontro.
Tiziano: Ritratto di Andrea Gritti.
Paolo Veronese:
La Battaglia di Lepanto.
Anche se ci sono stati periodicamente contrasti ,l’impero
Ottomano ha tenuto le sue porte aperte verso gli Italiani e
gli Europei. Gli Ambasciatori di Venezia hanno potuto
esercitare in libertà ed esistono ancora delle Chiese a
dimostrazione che i rappresentanti dei Papi, specialmente i
sacerdoti italiani, si erano stabiliti in Turchia e tali chiese
rappresentano un segno della tolleranza della Turchia.
Anche i prigionieri catturati reciprocamente durante le
guerre nel periodo degli Ottomani non furono considerati
come tali e il più delle volte si stabilirono in queste terre.
All’Ambasciatore di Venezia che doveva stabilmente
risiedere ad Istanbul,in base a un trattato del 1479, fu dato
anche il potere di processare i cittadini di Venezia residenti
nello Stato dell’Impero Ottomano.
Nel periodo del Sultano Mahmut II, molti italiani
appartenenti a vari ambiti, come ufficiali, musicisti e
medici trovarono nello Stato Ottomano una seconda patria.
L’invito che, nel 1821, il Sultano Mahmut II rivolse al
maestro Giuseppe Donizetti (fratello del famoso
compositore italiano Gaetano Donizetti) per dirigere
l’Orchestra Imperiale (Muzika-ý Hümayun) e l’arrivo,
insieme a lui, di diversi musicisti italiani ad Istanbul,
costituì l’esempio di tale avvenimento.
Giuseppe Donizetti “Pascià”
Il maestro Donizetti ha diretto tale Orchestra per 28 anni,
fino alla sua morte, preparando anche le basi per l’attuale
orchestra sinfonica di Istanbul.
Dopo Donizetti,che è stato premiato da parte del Sultano,
con il titolo di “Pascià”, l’Orchestra è stata diretta da
italiani fra i quali Angelo Mariani (1821-1921), Pisano e
Callisto Guatelli.
Nei teatri di Istanbul spesso sono state presentate le opere
italiane,specialmente quelle di Giuseppe Verdi. Il Teatro
Francese, che si trova a Galatasaray è il primo Palazzo di
opera e teatro cha ha aperto le sue porte al popolo durante
il periodo Ottomano. Questo palazzo fu costruito nel 1839
da parte di un Veneziano di nome Giustiniani. Il secondo
teatro che si trova a Pera, fu costruito nel 1841-42 da un
giocoliere italiano di nome “Bosco” prendendone il nome.
La prima opera messa in scena nel 1842 fu “Belisario” di
Donizetti. Nel 1844 fu messa in scena “Lucrezia Borgia”( il
nome della figlia del Papa Alessandro Borgia che tenne
prigioniero il Sultano Cem).
Angelo Mariani
Molti pittori e architetti italiani hanno creato opere d’arte
ad Istanbul. Un’opera su rilievo “Sceicco Zafir Küllye” è
dell’architetto Raimondo D’Aronco che arrivò ad Istanbul
nel 1896, incaricato dal Sultano di restaurare monumenti
antichi. Numerosi altri architetti e ingegneri restaurarono
molti palazzi di Istanbul e di Izmir e nel periodo della
Repubblica di Turchia un altro italiano Pietro Cannonica
divenne famoso con i busti di Atatürk.
Busto di Ataturk eseguito da Pietro
Cannonica
Un altro artista italiano, il pittore Fausto Zonaro venne
nominato pittore del Palazzo reale da parte di Abdulhamit
II. Arrivato a d Istanbul nel 1891, Zonaro vi rimase 20 anni e
nel 1911 ritornò a Sanremo a causa della guerra tra la
Turchia e l’Italia. Zonaro disegnò anche delle opere per
ornare il libro di “poesie turche” di Mahment Emin Yurdakul
pubblicato nel 1899. Un altro pittore italiano da ricordare
fu Leonardo Mango che andò ad Istanbul nel 1883, quando
venne costruita la Scuola di belle Arti (Sanay-i Nefise) e vi
rimase fino alla sua morte (1927). Mango fu anche un
insegnante dell’Accademia.
La lingua italiana è stata acquisita dal popolo di Istanbul e
nella terminologia della marina, della musica, del
commercio e nel linguaggio bancario; inoltre molte parole
italiane sono entrate a far parte del linguaggio giornaliero.
Fausto Zonaro: Il sultano Mehmet
IN ITALIA SI INCONTRANO MOLTI SEGNI DEL RAPPORTO
TURCHIA – ITALIA
Un ristorante di Otranto porta il nome di Pascià Gedik
Ahmet
tristemente legato alla battaglia di Otranto del
1480, quando l’ esercito ottomano attaccò la cittadina
allora appartenente agli Aragonesi. Al termine della
Fausto Zonaro: Le due rive battaglia, il 14 agosto 1480 furono decapitati sul colle della
Minerva 800 otrantini che si erano rifiutati di rinnegare la
religione cristiana: sono ricordati come i Beati martiri di
Otranto, le cui reliquie sono custodite nella cattedrale del
paese.
Il Fondaco dei Turchi a Venezia
Questo palazzo in stile veneto-bizantino sul Canal Grande e
oggi sede del Museo di Storia Naturale, è uno dei più antichi
della città. Fu infatti edificato nel 1227 ma completamente
ricostruito tra il 1858 e il 1869, anche se su tipologia
architettonica dell’edificio precedente e utilizzando gli
stessi materiali.
Il Fondaco dei Turchi a Venezia
Fu fatto costruire dalla famiglia Pesaro (per questo è anche
conosciuto come Cà Calmieri Pesaro) che poi lo vendette
agli Estensi, sino ad essere destinato nel 1621 ai turchi, che
lo tennero fino al 1838.
All’interno venivano depositate le merci ed effettuate le
contrattazioni; inoltre furono costruiti un bazar e, secondo
le tradizioni turche, una piccola moschea e dei bagni turchi.
In questo fondaco, con un porticato al piano terra di
derivazione tardo romana e con una ripetizione di archi
allungati di tradizione bizantina sulla facciata, il piano
abitabile era soltanto uno.
Questo edificio, su cui vigilava una speciale magistratura
che si occupava di non far entrare donne e giovani cristiani
e che badava alla consegna da parte dei mercanti turchi
delle loro armi e del loro denaro, era aperto e chiuso a
seconda che Venezia al momento si trovasse in guerra o
meno contro la Turchia.
Il Codex Cumanicus
I Cumani furono una popolazione nomade parlante una
delle lingue turche. Essi, attraversate le pianure dell'Asia
centrale, si stanziarono dapprima attorno al Mar Caspio, da
dove poi raggiunsero, attorno al X secolo, attraverso le
pianure russe ed ucraine meridionali, le pianure del basso
Danubio, devastando poi l'Ungheria.
Il Codex cumanicus, vocabolario trilingue, latino-persianocumano (conservato nella Biblioteca marciana di Venezia),
testimonia che la loro lingua era affine a quella dei
Peceneghi, una popolazione nomade, di ceppo turco, delle
steppe dell'Asia Centrale. Tale lingua si mantenne per
alcuni secoli in Ungheria, dove però risulta essere estinta
già nel XVIII secolo
Il Codex Cumanicus
Festa di Turchia a Moena
Il rione Turchia è uno degli angoli più caratteristici di
Moena un paesino in Val di Fassa nel Trentino. Dal 7 al 8 si
respira l’atmosfera della leggenda di Turchia, che deve il
suo nome ad un rifugiato turco...
Questo personaggio, tanto caro all’immaginario collettivo
degli abitanti di Moena, era uno dei circa trecentomila
soldati dell’armata turca che nel 1683 assediò per la
seconda volta la capitale austriaca (il primo assedio risale al
1529). Narra la leggenda che egli fu catturato, ma che poi
riuscì a fuggire alla prigionia degli imperiali e che, dopo un
lungo girovagare e innumerevoli peripezie, giunse a Moena
ormai allo stremo delle forze, dove venne generosamente
soccorso. Colpito e commosso dall’altruismo della gente
locale, il turco decise di fermarsi definitivamente nel
delizioso paesino e andò ad abitare proprio in quel rione,
detto allora genericamente "Ischiazza" (toponimo comune a
tutto il Trentino ad indicare un luogo paludoso).
Per la prima volta fonti storiche citano il toponimo "alla
turca" nel 1827, mentre la forma "Turchia" fa la sua prima
comparsa nel 1861; nel 1876 si fa riferimento alla "contrada
detta Turchia".
Resta comunque il fatto che, passeggiando per le stradine
ed i vicoli del rione, villeggianti e turisti restino di stucco
nel trovarsi di fronte ad una fontana pubblica sormontata
dall’immagine di un turco, con tanto di barba, turbante e
mezzaluna.
O nel vedere la targa stradale che segnala via Damiano
Chiesa, con l’aggiunta della parola "Turchia". O nel
sorprendere, tra i vari affreschi che abbelliscono le facciate
delle case, un dipinto che ritrae un sultano con servi e
mogli, ed un altro in cui si vede una coppia turca su un
tappeto circondata da rigogliose palme.
La tradizione "turca" è talmente sentita che gli abitanti del
rione la onorano in vari modi. C’è la folkloristica sfilata,
organizzata durante il periodo di carnevale, di sultani,
haremine e giannizzeri: un tripudio di suoni, costumi e
colori con cui si vuole rinnovare il ricordo delle leggendarie
origini del rione.
Le donne locali si tramutano in donne turche con i volti
coperti da veli, i pantaloni a sbuffo e le babbucce con
punte rivolte all’insù; gli uomini si trasformano in sultani,
visir, soldati e sfoggiano costumi che, almeno nelle
intenzioni, riecheggiano quelli dei connazionali dell’antico
fondatore del rione Turchia.
C’è poi l’usanza della "bastia" che è tipica di tutta la valle
ladina di Fassa. E che consiste in questo: lo sposo "forest"
(per qualificarlo tale basta anche che egli sia di un rione
diverso da quello della sposa) non può lasciare la casa della
sposa (qui si usa che lo sposo, con i suoi parenti, si rechi a
casa della sposa per avviarsi poi tutti e due insieme e in
corteo verso la chiesa) prima di aver pagato un "pedaggio"
consistente, come da tradizione, in cibo e bevande
simboleggianti "il prezzo della sposa".
Ogni paese fassano e ogni rione interpreta a proprio
piacimento questa vecchia usanza: nel rione Turchia ciò
avviene, ovviamente, "alla turca".