edizione speciale - parigi sotto attacco

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edizione speciale - parigi sotto attacco
EDIZIONE SPECIALE - PARIGI SOTTO ATTACCO
IL GIOCO DEL SILENZIO
Solo tre giorni fa, siamo venuti a conoscenza delle varie e programmate stragi perpetrate a Parigi nel giro di
poche ore. Tutti noi abbiamo seguito le dirette televisive, osservando il numero delle vittime che continuava
a salire di bilancio in bilancio. Quando le vicissitudini
della vita quotidiana di ognuno di noi, però, hanno iniziato a richiamare la nostra presenza, sicuramente la
nostra attenzione non si è scostata dalla capitale francese. C’era e c’è tuttora un richiamo fortissimo, un grido
di domanda senza risposta, una pace che non si riesce
più a trovare.
Perché 129 persone sono dovute morire?
Quando, come amici, ci siamo ritrovati a capire cosa
avrebbe dovuto fare Arrow davanti a una situazione
così drammatica, necessariamente sono tornate alla
memoria alcune frasi che il direttore della Stampa, Mario Calabresi, scrisse in un suo articolo nel 2010.
“Esiste un gesto antico di pietà, che è quello di coprire il
corpo di chi è morto in un luogo pubblico. Lo si fa con un
lenzuolo bianco, una coperta, un qualunque indumento che
protegga almeno il volto e il busto di chi ha perso la vita rimanendo esposto su un marciapiede, in mezzo alla strada, su
una spiaggia o in un campo. (...) Non serve soltanto a proteggere i morti dallo sguardo dei vivi ma anche noi stessi, i vivi,
dalla vista della morte. È il limite del pudore, del rispetto, è
il simbolo della compassione e della capacità di fermarsi.” Di
tutte le reazioni che si sono susseguite dopo “l’undici
settembre europeo”, forse quella più malsana è stata il
diffondersi a macchia d’olio di commenti e opinini che,
ideologizzando su quanto appena accaduto, andavano
a sollevare queste 129 lenzuola bianche. Quale differenza passa tra “Allah Akhbar” e “Pray for Paris”, in fondo? Entrambe sono solo parole, così come quelle cinquecentonove che state leggendo in questo momento.
Davvero delle emozioni si nascondono dentro queste
formalità sociali? Davvero la rabbia, il grido di vendetta, di pseudo-giustizia divina, trovano una loro degna
espressione nelle urla dei miliziani dell’Isis? Davvero
la compassione e la vicinanza alle vittime e al popolo
francese possono passare semplicemente attraverso degli hashtag condivisi sui social network?
Continuava Calabresi nel suo articolo: “Credo che esista
una sostanziale differenza tra il riportare un fatto, il raccontarlo mettendolo nel suo contesto esatto o invece nel gettarlo
in faccia a chi ascolta senza alcuna mediazione. E’ in quella
differenza che è nato il giornalismo, che ha trovato un senso
e una ragione d’esistere.”
È quello che ci siamo sentiti di fare noi. Preparare solo
un articolo di cronaca, aspettando che ci sia il tempo e
il modo opportuno per andare a cercare ogni sfaccettatura di questo gigantesco dramma. Considerando sia
la strage di Parigi che l’incidente aereo in Egitto, non
volevamo andare a sollevare altre lenzuola. Nell’immediato, davanti all’insopprimibile senso di dolore e
di smarrimento, non c’è risposta più vera del silenzio.
Il silenzio di chi ha pietà. Il silenzio pieno di pietà che
distingue dalle barbarie dello Stato Islamico ciò che ancora resiste dell’Occidente.
di Dario Bonati, V Scientifico
LA STORIA DELLA CARNEFICINA
Ore 21:20. Stade de France, Saint-Denis, poco lontano da Parigi. Ore 21:25. Rue Bichat, quartiere della
Republique. Ore 21:40. Bataclan, Boulevard Voltaire,
XI arrondissement.
Ore 21:20. È il momento in cui a Parigi si scatena l’inferno. D’improvviso vicino al ristorante Carillon qualcosa
scoppia. Pochissimi minuti prima allo Stade de France le grida dei tifosi per la partita Francia – Germania
vengono sovrastate dal rombo di un’esplosione. Passa
un quarto d’ora e un boato scuote le mura del teatro
Bataclan, dove è in corso il concerto di una band rock,
gli Eagles of death metal.
sala e con un’altra raffica falcidiano i primi spettatori. La folla avanza, cercando di allontanarsi dai kalashnikov, costretta a calpestare i cadaveri sperando di
avere salva la vita. La musica cessa e rimangono solo le
urla del pubblico a mischiarsi con le sventagliate delle
armi semiautomatiche: i terroristi infatti hanno iniziato
la loro opera di massacro e raccolta di ostaggi. Le teste di cuoio francesi accorrono e, dopo una brevissima
trattativa, fanno irruzione nella sala: uccidono uno dei
terroristi, ma non possono impedire l’esplosione degli
altri due. Al termine del blitz rimangono a terra più di
80 cadaveri e una quantità innumerevole di feriti.
LO STADE DE FRANCE
LA REPUBLIQUE
IL TEATRO BATACLAN
L’ultimo bilancio provvisorio è di 129 morti e 352 feriti.
Per ore il sangue e i frammenti di vetro per strada si
mischiano con le prime corone di fiori.
Basta pochissimo tempo per scoprire che non si tratta né di fumogeni, né di petardi, né di fughe di gas:
il presidente francese François Hollande viene allontanato dallo stadio dalle forze di sicurezza e si reca al
dicastero dell’Interno per conferire con il ministro Bernard Cazeneuve. I cancelli dello stadio vengono chiusi,
mentre all’esterno risuonano altre due esplosioni. Alla
riapertura il computo dei morti si ferma fortunatamente ad un solo passante, poche decine i feriti. Solo sabato mattina si scopre che il primo terrorista, munito
di biglietto, aveva tentato di entrare nello stadio, ma
era stato fermato dalle forze di sicurezza, alle quali fu
tuttavia impossibile impedirne l’esplosione. Le stesse
forze di sicurezza che, scegliendo di non interrompere
la partita, hanno salvato le vite di migliaia di spettatori,
evitando la carneficina dei successivi due kamikaze.
Tre terroristi con una scarica di colpi uccidono gli uomini della sicurezza all’entrata. Fanno irruzione nella
È tra le vie circostanti a Place de la Republique che si
consuma la terza fase dell’attentato: un uomo apre il
fuoco contro Le petite Cambodge, un ristorante cambogiano, uccidendo quindici persone e ferendone dieci.
Pochissimi minuti dopo si scatena un altro attacco ad
un bar e ad un ristorante italiano nelle vicinanze: cinque persone si accasciano a terra senza potersi più rialzare.
Bastano quattro minuti e nel caffè la Belle Epoque ha inizio una nuova carneficina: anche qui una sequenza di
colpi di kalashnikov uccide diciannove persone. Il massacro si conclude al ristorante Comptoir Voltaire, dove il
terrorista si fa esplodere, ferendo in modo grave una
cameriera.
di Davide Carrara, IV Scientifico
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