la befana racconti e filastrocche

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la befana racconti e filastrocche
LA BEFANA
RACCONTI E FILASTROCCHE
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col vestito alla romana,
viva viva la Befana!
C’era una volta una befana distratta ed un poco inesperta che aveva smarrito
la sua scopa. Non che avesse poca memoria, niente affatto, soltanto era così
indaffarata che quell’anno proprio non trovava più la sua scopa. L’aveva
cercata ovunque: sotto il letto, in soffitta, in cantina. Il 30 agosto l’aveva
portata dal signore che revisionava scope magiche: le era costato una
fortuna….
Oltre non ricordava nulla. Aveva chiesto anche al suo segretario, il gatto
Romeo, ma aveva ricevuto in risposta un flebile miagolio mentre si stava
dedicando alla sua occupazione preferita: abbuffarsi di dolci e torroncini.
“Farai indigestione uno di questi giorni, golosone che non sei altro!” lo
rimproverò la vecchina, intenta a consultare alcuni libri nella speranza di
trovare qualche rimedio. “Come faccio! Come faccio! I bambini mi aspettano
ed io non ho un mezzo di trasporto adeguato per portare loro i regali.
Rimarranno delusi, vorranno bene solo più a Babbo Natale! Che guaio, che
guaio!”. Dalla finestra della sua cameretta, Leo aveva seguito tutta la scena
con il telescopio ricevuto in dono a Natale e che da giorni era puntato in
direzione di Calzastella, il paese della befana. Essendo un ragazzino molto
vispo ed intelligente, decise che la sfortunata andava aiutata ed iniziò ad
inviare messaggi a tutti i suoi amici: “S.O.S. Befana senza scopa, bambini
senza calze. Aiutiamola!!!”. Chi in bicicletta, chi sui pattini, chi addirittura sullo
slittino: i bambini risposero tutti all’appello di Leo ed ognuno mise a
disposizione di Happy Pifany, così si chiamava la befana, il proprio mezzo di
locomozione, per arrivare in tempo alla festa del 6 gennaio.
Gabbiano, amico fidato e suo consigliere personale, volò da lei e le raccontò
cosa stavano facendo i bambini, raccomandandosi di tenersi pronta e di
preparare i sacchi con le calze. “Quanto abbiamo da imparare dai piccoli”,
miagolò Romeo, intento a bere latte caldo dalla sua ciotola. Happy Pifany si
incipriò il naso ed indossò il suo vestito più bello, le scarpe rosse, il cappello a
punta e lo scialle di lana ben stretto sulle spalle: era pronta per
l’appuntamento con i suoi adorati bambini, e pure tanto emozionata. I primi
chilometri, tutti in discesa, li percorse in sella ad una bicicletta color amaranto
un tantino sgangherata ma si disse che mai si era divertita tanto! I sacchi con i
regali erano stati legati uno all’altro e trascinati da coloratissimi monopattini.
Al passaggio di quella allegra brigata, le persone uscirono dalle proprie case
per applaudire e commentare quel grande gesto di bontà dei bambini nei
confronti di quella simpatica vecchietta. “Penseranno che la stiamo aiutando
perché’ in cambio riceveremo i doni” pensò Leo all’improvviso.
E mentre decine e decine di visetti sorridenti gridavano i loro “urrà’” per la
befana, i ragazzi più grandi avevano già in mente un piano per concludere
degnamente quella straordinaria giornata. Giunti nei pressi del campetto da
pallone, Leo fece cenno di fermarsi. La befana si sedette a terra, slacciandosi i
pattini con i quali aveva coraggiosamente percorso l’ultimo tratto di strada e,
riprendendo fiato, disse: “Non ho parole per dirvi quello che provo in questo
istante: il vostro gesto sarà ricompensato con tanti bei giocattoli!” E così
dicendo si alzò per raggiungere, un po’ traballante, i tanti sacchi che erano
stati ammucchiati lì vicino. ” No, Happy cara, fermati” disse Leo, prendendola
per mano. “Io ed i miei amici abbiamo deciso che questa giornata deve
concludersi con un gesto di solidarietà nei confronti dei bambini meno
fortunati. Noi tutti abbiamo le case piene di giochi, troppi e a volte inutili,
mentre tanti altri bimbi non hanno nulla. Porteremo loro i tuoi doni, e sarà
così ogni 6 gennaio. Regaleremo un sorriso e un po’ di serenità”. E così fecero.
I bambini non solo dimostrarono di essere rispettosi e premurosi nei confronti
della befana, che fu nominata nonna di tutti, ma anche di possedere un cuore
grande così.
I grandi impararono che non necessariamente si aiuta il prossimo per avere in
cambio qualcosa! Happy Pifany non trovò mai la sua scopa: uno scherzo del
destino? Chi può dirlo. Sicuramente da quel giorno ebbe tanti amici e non fu
mai più sola. Infatti la sua casa divenne la meta di nonni che
accompagnavano i loro nipotini a giocare e a farle visita, sorseggiando il the
delle cinque e giocando allegramente a carte. Da allora il giorno dell’Epifania
divenne simbolo di bontà e Calzastella il paese della gioia.
La Befana aveva un carattere proprio originale: era una donna strana, un po’
stramba, ed era molto contenta di poter diventare invisibile. Infatti, si divertiva
molto quando puniva qualcuno senza essere vista. Dovendo sempre sapere
con la massima precisione chi punire e chi premiare, era costretta a conoscere
tutti i fatti degli altri. Così molti dicevano che fosse una vecchia impicciona,
curiosa e pettegola. La Befana era molto furba e lesta, nonostante fosse tanto
vecchia. Quanti anni veramente avesse nessuno lo ha mai saputo. Certo
doveva averne tantissimi, ma, nonostante i suoi fossero trecento o
quattrocento anni, era ancora molto forte, tenace e non era mai stanca.
C’era chi diceva che amasse molto le allegre compagnie, le feste e i balli e che
anzi fosse ancora una perfetta ballerina. La Befana era, nel medesimo tempo,
un po’ fata e un po’ strega. Da buona fata era generosa e affettuosissima con
i bambini buoni che cercava di premiare nel modo migliore. Da brutta strega,
quando doveva punire i bambini capricciosi, diventava brontolona, severa,
scorbutica e dispettosa. Ma pur se così terribile nel suo aspetto, la Befana,
salvo casi straordinari, usava sempre i suoi grandi poteri a fin di bene:
correggeva, educava e riprendeva i bambini, esortandoli al bene e al
comportamento esemplare.
Nonna Befana si vestiva con poveri abiti, come qualsiasi contadina. Il suo
colore preferito era il nero: portava una rozza sottana nera e una nera
camiciona di un cotone pesante che lei stessa aveva filato, tessuto, tagliato e
cucito. Sopra la camicia si metteva un corpetto nero ricamato a fiori dai colori
sgargianti e sulle spalle portava sempre uno scialletto di lana nera. In testa
aveva un gran fazzoletto nero, annodato sotto il mento, ma talvolta, invece
che il fazzoletto, portava un cappelaccio a punta, ovviamente nero.
La Befana aveva piedi grossi e nodosi: chissà quanti calli su quei piedi, a furia
di camminare e camminare! Calzava delle scarpe di cuoio grossolano e queste
scarpe, come dice la famosa filastrocca erano sempre rotte. Essendo così
vecchia la Befana portava gli occhiali e ne aveva di differenti tipi e modelli:
pince-nez, monocolo. Ma poi, in realtà ci vedeva benissimo anche senza
metterseli e li portava per vanità. Qualcuno ha scritto che la Befana, talvolta, si
rapava completamente i capelli, portava sopra la sua sottana nera un bel
grembiule giallo e sopra la camicia indossava un casacchino color dei limoni
acerbi. Qualcun altro assicura che la Befana fosse ricchissima e smorfiosetta,
un’elegantona che portava sui suoi abiti un corsetto di velluto tutto
tempestato di pietre preziose e fili d’argento. Aveva lunghi capelli color oro,
fermati da un bel pettine d’avorio e tanti boccoli che le scendevano sulle
spalle.
Assicurano anche che portasse sempre con sé un borsone di monete da
distribuire generosamente a tutti. Ma le persone che raccontavano quelle
cose, non sapevano che la vecchia e brutta Befana avesse il grande potere di
trasformarsi in tutto quello che voleva,anche in una bella ragazza in ghingheri.
E spesso si divertiva a trasformarsi in un uccello o in un insetto, per entrare
meglio nelle case, dove le piaceva stare a spiare le reazioni degli uomini ai
suoi movimenti, molto compiaciuta delle sue magie.
Molti si chiedevano, ma qual è il paese della Befana, da dove veniva? Molti
dicevano che venisse direttamente dall’inferno, dove abitava con altre
streghe. Dall’inferno, dicevano, la Befana usciva soltanto per venire sulla terra
la notte dell’Epifania. Altre persone dicevano invece che la Befana abitasse tra
le stelle, in un paese detto il paese di Befania, nel regno delle Befane. Qui la
Befana si riforniva di ricche provviste per i suoi doni.
Senza immaginare case infernali o case sulle stelle, c’era gente sicura che la
Befana se ne stesse tutto l’anno buona buona, nascosta nella cappa di un
camino. Ma quale camino fosse nessuno sapeva dirlo. In quella scura cappa la
Befana si riposava per le grandi fatiche della sua notte. Se ne stava ferma
ferma, piatta piatta contro i mattoni, con gli occhi sbarrati e lucentissimi nel
buio. Sembrava sveglia, ma in realtà era caduta in un pesante letargo. Tante
ragnatele l’avvolgevano, era tutta ricoperta di fuliggine e nelle fonde tasche
della sua gonna ospitava intere nidiate di pipistrelli. La maggior parte delle
persone assicurava che la Befana venisse dall’Oriente, che arrivasse da noi
dopo aver tanto viaggiato e dopo aver attraversato gli inospitali monti dell’
Albania. Chi abitava in riva al mare pensava che la Befana venisse dalle terre
che erano proprio di là dal mare, che erano terre, assicurano, ricchissime e
incantate.
C’è chi giura che ogni castello abbandonato e diroccato potesse essere la sua
casa segreta, specialmente se sorgeva in collina lontano da case e paesi.
Rinchiusa tra quelle mura cadenti, la Befana passava tutto l’anno a cucinare
dolci, fabbricare doni, impacchettare regali, infaticabile e indaffarata come
sempre. Una ragazza mi ha raccontato che la casa della Befana era talmente
lontana che, per andare e tornare la nostra povera amica impiegava un anno
intero, passando così tutto il suo tempo nel viaggio sulla scopa, senza mai
potersi riposare un attimo. Un libricino piccolo piccolo, con le pagine ingiallite
dal tempo, racconta che la Befana cattiva abitava sulla cima del monte
Fattucchio, in una casa molto misteriosa. Le tenevano compagnia un gattone
nero, una gallina spennacchiata e una vecchia mula. Il gattone nero rubava
per lei le più grasse pollastre dei vicini, la gallina spennacchiata la riforniva di
uova e la mula l’aiutava nel suo viaggio nella notte dell’Epifania.
La Befana, tutti i giorni dell’anno, col sole o con la neve, usciva di casa all’alba
e andava nel bosco a far legna. Mentre camminava faceva la calza con della
lana rossa e sembrava che quella calza non finisse mai. La sera tornava con
un fascio di legna sulla testa e con la calza in mano. Di notte la Befana
bruciava sul fuoco tutta la legna che aveva raccolto per produrre tizzi di
carbone e cenere. Chi guardava verso casa sua, ogni notte vedeva il
comignolo fumare come se fosse stato quello di un forno in pieno lavoro e la
finestra brillare nel buio al gran chiarore delle fiamme. La Befana faceva poi
raffreddare cenere e tizzi in cantina, poi riempiva una dopo l’altra tutte le
calze rosse e le legava in cima con uno spago. Di quelle calze avrebbe poi
riempito il suo carro quando, con la mula, si sarebbe messa in viaggio dopo
Natale.
Quando mancavano pochi giorni al 6 gennaio, la Befana, con la promessa dei
doni e con la minaccia del carbone, teneva in pugno tutti i bambini che
cercavano di essere più buoni e promettevano mari e monti ai loro genitori.
Per molti bimbi l’arrivo della Befana era anche un’occasione per fare un po’ i
conti con la propria coscienza: la vecchia Befana, severa anche se in fondo
molto buona, costringeva tutti a pensare a lungo al proprio modo di fare e
comportarsi e ingiungeva solennemente di correggere i propri difetti. Certi
bambini molto impazienti, fin dal giorno prima avrebbero voluto sapere
quello che la Befana avrebbe loro portato, ma saperlo con così tanto anticipo
era impossibile. Allora cercavano di prevederlo con degli oroscopi di loro
invenzione che si chiamavano “indovinelle”.
Andavano in cucina e spazzavano dalla cenere un angolo del focolare,
quando la legna messa ad ardere era ben scoppiettante. Poi adagiavano in
quell’angolo pulito, due foglie di ulivo bagnate di saliva, incrociandole l’una
sull’altra e dicevano: ”Indovina indovinello, che vieni una volta all’anno, dimmi
quello che ti comando”. Detto questo, quei bambini facevano tutte le
domande che desideravano fare; “Arriverà la Befana? Cosa porterà, dolci?
giocattoli? vestiti? Tante cose? poche? niente? Cenere e carbone?” Le foglie
appoggiate alla piastra rovente del focolare, ad un certo grado di calore
facevano un bel salto, con tanti scoppiettii: voleva senz’altro dire che la
Befana sarebbe stata generosa e avrebbe esaudito tutti i desideri espressi. Se
invece le foglie si muovevano piano piano, era segno che la Befana sarebbe
stata poco generosa e che non avrebbe esaudito tutti i desideri dei bambini.
Ma se le foglie fossero bruciate senza muoversi, certamente era segno che la
cenere e il carbone erano assicurati. I bambini fantasticavano molto sui doni
della Befana e domandavano sempre tutto quello che avevano desiderato
durante l’anno: bambole, trenini, cavalli a dondolo, tricicli e biciclette e spesso
chiedevano alla Befana cose che essa non poteva e non voleva concedere
loro. La Befana, come già sappiamo amava la semplicità ed era molto
parsimoniosa, non le piacevano gli sprechi e le esagerazioni. I doni che
preferiva fare erano cose povere, arance, mandarini, fichi secchi e castagne,
datteri, torroncini, melograni e uva passa, biscotti fatti in casa, specialmente
quelli a forma di uccellini, cavallucci, pupattole. Fra i suoi regali non
mancavano mai calzerotti colorati, guanti e sciarpe di lana calda: certo la
Befana doveva avere una memoria formidabile per ricordare, di anno in anno,
tutto quello di cui i suoi piccoli amici avevano bisogno. In un paesetto
sperduto in una stretta valle di montagna, la Befana portava ai bambini una
bella corona di castagne e mele, fatta proprio come le corone del rosario
delle nonne: al posto delle avemarie c’erano le mele, e al posto dei
padrenostri, c’erano le castagne. Invece del crocefisso c’era un’arancia o un
mandarino.
I bambini si mettevano quella corona al collo e cominciavano a mangiare. Ma
la nostra Vecchia sapeva bene quanto ai bambini piacessero i giocattoli e poi
amava tanto far felici gli altri. Così, oltre alle cose utili, ai dolci e ai frutti,
lasciava nella calza, quando poteva, anche alcuni giochi. Di paese in paese,
talvolta alla Befana piaceva fare qualcosa di speciale, di diverso. C’era un
piccolo villaggio dove ai bambini che ormai si erano fatti grandicelli, la Befana
lasciava tra i doni anche una patata o una cipolla. Con quel segno la Befana
voleva dire loro che ormai si erano fatti grandi e l’anno dopo non sarebbe più
tornata. La vigilia dell’Epifania, nelle grandi città frequentate dalla Befana,
venivano fatte delle fiere in suo onore, dei bei mercati pieni di bancarelle che
presentavano ogni ben di Dio, dolci, e giocattoli a non finire. I bambini che
avevano la fortuna di abitare in quelle città, andavano alla fiera con i loro
genitori e girando fra le bancarelle si facevano un’idea di quello che
avrebbero potuto chiedere alla Befana. In quei mercati, talvolta,
improvvisamente si vedeva passare una vecchiaccia un po’ stracciata che
sembrava scappare via, cercando di confondersi tra la folla. I bambini
intimoriti si rifugiavano nelle pieghe delle gonne delle loro mamme, per non
vedere. Era la Befana quella? Forse sì, rispondevano le mamme. Come mai
così in anticipo? Chissà! Tornati a casa un po’ spaventati da quella apparizione
inaspettata, i bambini promettevano di essere da allora in poi solamente
buoni e presa penna e calamaio scrivevano una bella letterina alla Befana,
piena di grandi promesse e con la richiesta di quei doni che avevano visto alla
fiera. Poi non restava che sperare che la Befana passasse a ritirare le loro
ordinazioni, per lasciare nelle calze il mattino dopo quanto era stato richiesto.
Chi, invece non aveva fiere e mercati dove andare, la letterina alla Befana
l’aveva spedita già da un pezzo.
La Befana di Giovanni Pascoli
Viene viene la Befana
vien dai monti a notte fonda.
Come è stanca! La circonda
neve, gelo e tramontana.
Viene viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce,
e la neve è il suo mantello
ed il gelo il suo pannello
ed il vento la sua voce.
Ha le mani al petto in croce.
E s’accosta piano piano
alla villa, al casolare,
a guardare, ad ascoltare
or più presso or più lontano.
Piano piano, piano piano.
Che c’è dentro questa villa?
Uno stropiccìo leggero.
Tutto è cheto, tutto è nero.
Un lumino passa e brilla.
Che c’è dentro questa villa?
Guarda e guarda…tre lettini
con tre bimbi a nanna, buoni.
guarda e guarda…ai capitoni
c’è tre calze lunghe e fini.
Oh! tre calze e tre lettini.
Il lumino brilla e scende,
e ne scricchiolan le scale;
il lumino brilla e sale,
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale? Chi mai scende?
Co’ suoi doni mamma è scesa,
sale con il suo sorriso.
Il lumino le arde in viso
come lampada di chiesa.
Co’ suoi doni mamma è scesa.
La Befana alla finestra
sente e vede, e s’allontana.
Passa con la tramontana,
passa per la via maestra,
trema ogni uscio, ogni finestra.
E che c’è nel casolare?
Un sospiro lungo e fioco.
Qualche lucciola di fuoco
brilla ancor nel focolare.
Ma che c’è nel casolare?
Guarda e guarda… tre strapunti
con tre bimbi a nanna, buoni.
Tra la cenere e i carboni
c’è tre zoccoli consunti.
Oh! tre scarpe e tre strapunti…
E la mamma veglia e fila
sospirando e singhiozzando,
e rimira a quando a quando
oh! quei tre zoccoli in fila…
Veglia e piange, piange e fila.
La Befana vede e sente;
fugge al monte, ch’è l’aurora.
Quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte.
Ciò che vede è ciò che vide:
c’è chi piange e c’è chi ride;
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sull’aspro monte.
Filastrocca della Befana
Ecco arriva la Befana
pettinata alla moderna:
ha una stella per lucerna
e la luna per cavai.
Uno stuolo di marziani
sopra un razzo caricati,
sono tutti affaccendati
i balocchi a preparar.
Hanno note lunghe lunghe
di bambini che son buoni:
sol per loro hanno doni
come premio di bontà.
E’ arrivata la Befana
E’ arrivata la Befana
coi balocchi pei bambini;
rimboccata ha la sottana
ed è scesa nei camini.
Ha trovato scarponcini
e calzini trasparenti,
li ha riempiti con dolcini
per far bimbi assai contenti.
Ogni cosa ha poi lasciato
con sveltezza e cuor contento:
nessun bimbo s’è svegliato
proprio allora in quel momento.
Risalita nei camini
è scappata in grande fretta.
La sognavano i bambini,
quella povera vecchietta!
Filastrocca per la Befana di Gianni Rodari
Viene viene la Befana
Da una terra assai lontana,
così lontana che non c’è…
la Befana, sai chi è?
La Befana viene viene,
se stai zitto la senti bene:
se stai zitto ti addormenti,
la Befana più non senti.
La Befana, poveretta,
si confonde per la fretta:
invece del treno che avevo ordinato
un po’ di carbone mi ha lasciato
Zitti zitti, presto a letto
Zitti, zitti presto a letto
la Befana è qui sul tetto,
sta guardando dal camino
se già dorme ogni bambino,
se la calza è ben appesa,
se la luce è ancora accesa!
Quando scende, appena è sola,
svelti, svelti sotto alle lenzuola!
Li chiudete o no quegli occhi!
Se non siete buoni niente dolci né balocchi,
solo cenere e carbone!
Quando è l’ora della Befana
Quando è l’ora, la Befana
alla scopa salta in groppa.
D’impazienza già trabocca:
l’alza su la tramontana,
fra le nuvole galoppa.
Ogni bimbo nel suo letto
fa l’ esame di coscienza:
maledice il capriccetto,
benedice l’ ubbidienza:
La mattina al primo raggio
si precipita al camino.
Un bel dono al bimbo saggio,
al cattivo un carboncino!
Arriva la Befana
Fate nanna, piccolini,
nei lettini
bianchi e belli come panna;
fate nanna!
Dal castello delle fate,
ch’ è lassù, lontan lontano
fra le nevi immacolate,
al camino vien, pian piano
la Befana, ricca e buona,
che vi dona
cavallucci, bamboline
e balocchi senza fine.
Glieli porta l’ asinello,
forte e bello,
che le orecchie ha lunghe assai:
se vi sente, o bimbi, guai!
Fate nanna, piccolini,
nei lettini
bianchi e belli come panna;
fate nanna! E’ tornata la befana
a cavallo di una scopa:
vola senza far rumore
nella notte nera nera
Sulle spalle ha tanti sacchi
e li posa sui camini
tira fuori sorridente
i regali per i bambini
Bambole e trenini
giostre e orsacchiotti,
dischi e grembiulini,
dolci e biscottini,
ma più bello ancora
essa sa donare
una grande gioia
che non si può scordare.
La Befana vien di Notte
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte,
col cappello alla romana,
viva viva la Befana!
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte,
e nessuno gliele ricuce,
la Befana é piena di brace.
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte,
se ne fa un altro paio
con la penna e il calamaio.
La Befana vien di notte
e ha le scarpe tutte rotte,
se ne compra un altro paio
per venire il 6 gennaio.
La Befana vien di notte
e ha le scarpe tutte rotte,
porta cenere e carbone,
pei monelli e i cattivoni,
ma ai piccini savi e buoni
porta chicche e ricchi doni.
Cara Befana
Mi hanno detto, cara Befana,
che tu riempi la calza di lana,
che tutti i bimbi, se stanno buoni,
da te ricevono ricchi doni.
Io buono sempre sono stato
ma un dono mai me lo hai portato.
Anche quest’anno nel calendario
tu passi proprio in perfetto orario,
ma ho paura, poveretto,
che tu viaggi in treno diretto;
un treno che salta tante stazioni
dove ci sono bimbi buoni.
Io questa lettera ti ho mandato
per farti prendere l’accellerato!
Oh cara Befana, prendi un trenino
che fermi a casa di ogni bambino,
che fermi alle case dei poveretti
con tanti doni e tanti confetti.
Voglio fare un regalo alla Befana
La Befana, cara vecchietta,
va all’antica, senza fretta.
Non prende mica l’aeroplano
per volare dal monte al piano,
si fida soltanto, la cara vecchina,
della sua scopa di saggina:
é così che poi succede
che la Befana…non si vede!
Ha fatto tardi tra i nuvoloni,
e molti restano senza doni!
Io quasi, nel mio buon cuore
vorrei regalarle un micromotore,
perché arrivi dappertutto
col tempo bello o col tempo brutto.
Un po’ di progresso e di velocità
per dare a tutti la felicità!
Viene Viene la Befana
Viene,viene la Befana
vien dai monti, é notta fonda,
come é stanca, e la circonda
neve , gelo e tramontana,
viene, viene la Befana.
Ha le mani al petto in croce
e la neve é il suo fardello,
il gelo il suo mantello
ed il vento la sua voce,
ha le mani al petto in croce.
Lei si accosta piano piano
alla villa e al casolare,
a guardare e ad osservare,
or più presso, or più lontano,
piano, piano, piano.
Che c’é dentro questa villa?
Guarda, guarda tre lettini
con tre bimbi a nanna buoni.
Guarda, guarda,
ai capitoni c’é tre calze lunghe e fini,
oh tre calze e tre lettini.
Un lumino brilla e sale
e ne scricchiolan le scale,
il lumino brilla e scende
e ne palpitan le tende.
Chi mai sale e chi mai scende?
Coi suoi doni mamma è scesa,
sale col suo sorriso
e il lumino le arde il viso
come lampada da chiesa.
Coi suoi doni mamma é scesa.
Ma che c’é nel casolare?
Guarda, guarda tre strapunti
con tre bimbi a nanna buoni
tra la cenere e i carboni,
c’é tre zoccoli consunti;
oh, tre scarpe e tre strapunti!
La Befana vede e sente,
fugge al monte che é l’aurora,
quella mamma piange ancora
su quei bimbi senza niente.
La Befana vede e sente.
La Befana sta sul monte,
ciò che vede e ciò che vide,
c’é chi piange e c’é chi ride,
essa ha nuvoli alla fronte,
mentre sta sul bianco monte.