la befana racconti e filastrocche
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la befana racconti e filastrocche
LA BEFANA RACCONTI E FILASTROCCHE La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte col vestito alla romana, viva viva la Befana! C’era una volta una befana distratta ed un poco inesperta che aveva smarrito la sua scopa. Non che avesse poca memoria, niente affatto, soltanto era così indaffarata che quell’anno proprio non trovava più la sua scopa. L’aveva cercata ovunque: sotto il letto, in soffitta, in cantina. Il 30 agosto l’aveva portata dal signore che revisionava scope magiche: le era costato una fortuna…. Oltre non ricordava nulla. Aveva chiesto anche al suo segretario, il gatto Romeo, ma aveva ricevuto in risposta un flebile miagolio mentre si stava dedicando alla sua occupazione preferita: abbuffarsi di dolci e torroncini. “Farai indigestione uno di questi giorni, golosone che non sei altro!” lo rimproverò la vecchina, intenta a consultare alcuni libri nella speranza di trovare qualche rimedio. “Come faccio! Come faccio! I bambini mi aspettano ed io non ho un mezzo di trasporto adeguato per portare loro i regali. Rimarranno delusi, vorranno bene solo più a Babbo Natale! Che guaio, che guaio!”. Dalla finestra della sua cameretta, Leo aveva seguito tutta la scena con il telescopio ricevuto in dono a Natale e che da giorni era puntato in direzione di Calzastella, il paese della befana. Essendo un ragazzino molto vispo ed intelligente, decise che la sfortunata andava aiutata ed iniziò ad inviare messaggi a tutti i suoi amici: “S.O.S. Befana senza scopa, bambini senza calze. Aiutiamola!!!”. Chi in bicicletta, chi sui pattini, chi addirittura sullo slittino: i bambini risposero tutti all’appello di Leo ed ognuno mise a disposizione di Happy Pifany, così si chiamava la befana, il proprio mezzo di locomozione, per arrivare in tempo alla festa del 6 gennaio. Gabbiano, amico fidato e suo consigliere personale, volò da lei e le raccontò cosa stavano facendo i bambini, raccomandandosi di tenersi pronta e di preparare i sacchi con le calze. “Quanto abbiamo da imparare dai piccoli”, miagolò Romeo, intento a bere latte caldo dalla sua ciotola. Happy Pifany si incipriò il naso ed indossò il suo vestito più bello, le scarpe rosse, il cappello a punta e lo scialle di lana ben stretto sulle spalle: era pronta per l’appuntamento con i suoi adorati bambini, e pure tanto emozionata. I primi chilometri, tutti in discesa, li percorse in sella ad una bicicletta color amaranto un tantino sgangherata ma si disse che mai si era divertita tanto! I sacchi con i regali erano stati legati uno all’altro e trascinati da coloratissimi monopattini. Al passaggio di quella allegra brigata, le persone uscirono dalle proprie case per applaudire e commentare quel grande gesto di bontà dei bambini nei confronti di quella simpatica vecchietta. “Penseranno che la stiamo aiutando perché’ in cambio riceveremo i doni” pensò Leo all’improvviso. E mentre decine e decine di visetti sorridenti gridavano i loro “urrà’” per la befana, i ragazzi più grandi avevano già in mente un piano per concludere degnamente quella straordinaria giornata. Giunti nei pressi del campetto da pallone, Leo fece cenno di fermarsi. La befana si sedette a terra, slacciandosi i pattini con i quali aveva coraggiosamente percorso l’ultimo tratto di strada e, riprendendo fiato, disse: “Non ho parole per dirvi quello che provo in questo istante: il vostro gesto sarà ricompensato con tanti bei giocattoli!” E così dicendo si alzò per raggiungere, un po’ traballante, i tanti sacchi che erano stati ammucchiati lì vicino. ” No, Happy cara, fermati” disse Leo, prendendola per mano. “Io ed i miei amici abbiamo deciso che questa giornata deve concludersi con un gesto di solidarietà nei confronti dei bambini meno fortunati. Noi tutti abbiamo le case piene di giochi, troppi e a volte inutili, mentre tanti altri bimbi non hanno nulla. Porteremo loro i tuoi doni, e sarà così ogni 6 gennaio. Regaleremo un sorriso e un po’ di serenità”. E così fecero. I bambini non solo dimostrarono di essere rispettosi e premurosi nei confronti della befana, che fu nominata nonna di tutti, ma anche di possedere un cuore grande così. I grandi impararono che non necessariamente si aiuta il prossimo per avere in cambio qualcosa! Happy Pifany non trovò mai la sua scopa: uno scherzo del destino? Chi può dirlo. Sicuramente da quel giorno ebbe tanti amici e non fu mai più sola. Infatti la sua casa divenne la meta di nonni che accompagnavano i loro nipotini a giocare e a farle visita, sorseggiando il the delle cinque e giocando allegramente a carte. Da allora il giorno dell’Epifania divenne simbolo di bontà e Calzastella il paese della gioia. La Befana aveva un carattere proprio originale: era una donna strana, un po’ stramba, ed era molto contenta di poter diventare invisibile. Infatti, si divertiva molto quando puniva qualcuno senza essere vista. Dovendo sempre sapere con la massima precisione chi punire e chi premiare, era costretta a conoscere tutti i fatti degli altri. Così molti dicevano che fosse una vecchia impicciona, curiosa e pettegola. La Befana era molto furba e lesta, nonostante fosse tanto vecchia. Quanti anni veramente avesse nessuno lo ha mai saputo. Certo doveva averne tantissimi, ma, nonostante i suoi fossero trecento o quattrocento anni, era ancora molto forte, tenace e non era mai stanca. C’era chi diceva che amasse molto le allegre compagnie, le feste e i balli e che anzi fosse ancora una perfetta ballerina. La Befana era, nel medesimo tempo, un po’ fata e un po’ strega. Da buona fata era generosa e affettuosissima con i bambini buoni che cercava di premiare nel modo migliore. Da brutta strega, quando doveva punire i bambini capricciosi, diventava brontolona, severa, scorbutica e dispettosa. Ma pur se così terribile nel suo aspetto, la Befana, salvo casi straordinari, usava sempre i suoi grandi poteri a fin di bene: correggeva, educava e riprendeva i bambini, esortandoli al bene e al comportamento esemplare. Nonna Befana si vestiva con poveri abiti, come qualsiasi contadina. Il suo colore preferito era il nero: portava una rozza sottana nera e una nera camiciona di un cotone pesante che lei stessa aveva filato, tessuto, tagliato e cucito. Sopra la camicia si metteva un corpetto nero ricamato a fiori dai colori sgargianti e sulle spalle portava sempre uno scialletto di lana nera. In testa aveva un gran fazzoletto nero, annodato sotto il mento, ma talvolta, invece che il fazzoletto, portava un cappelaccio a punta, ovviamente nero. La Befana aveva piedi grossi e nodosi: chissà quanti calli su quei piedi, a furia di camminare e camminare! Calzava delle scarpe di cuoio grossolano e queste scarpe, come dice la famosa filastrocca erano sempre rotte. Essendo così vecchia la Befana portava gli occhiali e ne aveva di differenti tipi e modelli: pince-nez, monocolo. Ma poi, in realtà ci vedeva benissimo anche senza metterseli e li portava per vanità. Qualcuno ha scritto che la Befana, talvolta, si rapava completamente i capelli, portava sopra la sua sottana nera un bel grembiule giallo e sopra la camicia indossava un casacchino color dei limoni acerbi. Qualcun altro assicura che la Befana fosse ricchissima e smorfiosetta, un’elegantona che portava sui suoi abiti un corsetto di velluto tutto tempestato di pietre preziose e fili d’argento. Aveva lunghi capelli color oro, fermati da un bel pettine d’avorio e tanti boccoli che le scendevano sulle spalle. Assicurano anche che portasse sempre con sé un borsone di monete da distribuire generosamente a tutti. Ma le persone che raccontavano quelle cose, non sapevano che la vecchia e brutta Befana avesse il grande potere di trasformarsi in tutto quello che voleva,anche in una bella ragazza in ghingheri. E spesso si divertiva a trasformarsi in un uccello o in un insetto, per entrare meglio nelle case, dove le piaceva stare a spiare le reazioni degli uomini ai suoi movimenti, molto compiaciuta delle sue magie. Molti si chiedevano, ma qual è il paese della Befana, da dove veniva? Molti dicevano che venisse direttamente dall’inferno, dove abitava con altre streghe. Dall’inferno, dicevano, la Befana usciva soltanto per venire sulla terra la notte dell’Epifania. Altre persone dicevano invece che la Befana abitasse tra le stelle, in un paese detto il paese di Befania, nel regno delle Befane. Qui la Befana si riforniva di ricche provviste per i suoi doni. Senza immaginare case infernali o case sulle stelle, c’era gente sicura che la Befana se ne stesse tutto l’anno buona buona, nascosta nella cappa di un camino. Ma quale camino fosse nessuno sapeva dirlo. In quella scura cappa la Befana si riposava per le grandi fatiche della sua notte. Se ne stava ferma ferma, piatta piatta contro i mattoni, con gli occhi sbarrati e lucentissimi nel buio. Sembrava sveglia, ma in realtà era caduta in un pesante letargo. Tante ragnatele l’avvolgevano, era tutta ricoperta di fuliggine e nelle fonde tasche della sua gonna ospitava intere nidiate di pipistrelli. La maggior parte delle persone assicurava che la Befana venisse dall’Oriente, che arrivasse da noi dopo aver tanto viaggiato e dopo aver attraversato gli inospitali monti dell’ Albania. Chi abitava in riva al mare pensava che la Befana venisse dalle terre che erano proprio di là dal mare, che erano terre, assicurano, ricchissime e incantate. C’è chi giura che ogni castello abbandonato e diroccato potesse essere la sua casa segreta, specialmente se sorgeva in collina lontano da case e paesi. Rinchiusa tra quelle mura cadenti, la Befana passava tutto l’anno a cucinare dolci, fabbricare doni, impacchettare regali, infaticabile e indaffarata come sempre. Una ragazza mi ha raccontato che la casa della Befana era talmente lontana che, per andare e tornare la nostra povera amica impiegava un anno intero, passando così tutto il suo tempo nel viaggio sulla scopa, senza mai potersi riposare un attimo. Un libricino piccolo piccolo, con le pagine ingiallite dal tempo, racconta che la Befana cattiva abitava sulla cima del monte Fattucchio, in una casa molto misteriosa. Le tenevano compagnia un gattone nero, una gallina spennacchiata e una vecchia mula. Il gattone nero rubava per lei le più grasse pollastre dei vicini, la gallina spennacchiata la riforniva di uova e la mula l’aiutava nel suo viaggio nella notte dell’Epifania. La Befana, tutti i giorni dell’anno, col sole o con la neve, usciva di casa all’alba e andava nel bosco a far legna. Mentre camminava faceva la calza con della lana rossa e sembrava che quella calza non finisse mai. La sera tornava con un fascio di legna sulla testa e con la calza in mano. Di notte la Befana bruciava sul fuoco tutta la legna che aveva raccolto per produrre tizzi di carbone e cenere. Chi guardava verso casa sua, ogni notte vedeva il comignolo fumare come se fosse stato quello di un forno in pieno lavoro e la finestra brillare nel buio al gran chiarore delle fiamme. La Befana faceva poi raffreddare cenere e tizzi in cantina, poi riempiva una dopo l’altra tutte le calze rosse e le legava in cima con uno spago. Di quelle calze avrebbe poi riempito il suo carro quando, con la mula, si sarebbe messa in viaggio dopo Natale. Quando mancavano pochi giorni al 6 gennaio, la Befana, con la promessa dei doni e con la minaccia del carbone, teneva in pugno tutti i bambini che cercavano di essere più buoni e promettevano mari e monti ai loro genitori. Per molti bimbi l’arrivo della Befana era anche un’occasione per fare un po’ i conti con la propria coscienza: la vecchia Befana, severa anche se in fondo molto buona, costringeva tutti a pensare a lungo al proprio modo di fare e comportarsi e ingiungeva solennemente di correggere i propri difetti. Certi bambini molto impazienti, fin dal giorno prima avrebbero voluto sapere quello che la Befana avrebbe loro portato, ma saperlo con così tanto anticipo era impossibile. Allora cercavano di prevederlo con degli oroscopi di loro invenzione che si chiamavano “indovinelle”. Andavano in cucina e spazzavano dalla cenere un angolo del focolare, quando la legna messa ad ardere era ben scoppiettante. Poi adagiavano in quell’angolo pulito, due foglie di ulivo bagnate di saliva, incrociandole l’una sull’altra e dicevano: ”Indovina indovinello, che vieni una volta all’anno, dimmi quello che ti comando”. Detto questo, quei bambini facevano tutte le domande che desideravano fare; “Arriverà la Befana? Cosa porterà, dolci? giocattoli? vestiti? Tante cose? poche? niente? Cenere e carbone?” Le foglie appoggiate alla piastra rovente del focolare, ad un certo grado di calore facevano un bel salto, con tanti scoppiettii: voleva senz’altro dire che la Befana sarebbe stata generosa e avrebbe esaudito tutti i desideri espressi. Se invece le foglie si muovevano piano piano, era segno che la Befana sarebbe stata poco generosa e che non avrebbe esaudito tutti i desideri dei bambini. Ma se le foglie fossero bruciate senza muoversi, certamente era segno che la cenere e il carbone erano assicurati. I bambini fantasticavano molto sui doni della Befana e domandavano sempre tutto quello che avevano desiderato durante l’anno: bambole, trenini, cavalli a dondolo, tricicli e biciclette e spesso chiedevano alla Befana cose che essa non poteva e non voleva concedere loro. La Befana, come già sappiamo amava la semplicità ed era molto parsimoniosa, non le piacevano gli sprechi e le esagerazioni. I doni che preferiva fare erano cose povere, arance, mandarini, fichi secchi e castagne, datteri, torroncini, melograni e uva passa, biscotti fatti in casa, specialmente quelli a forma di uccellini, cavallucci, pupattole. Fra i suoi regali non mancavano mai calzerotti colorati, guanti e sciarpe di lana calda: certo la Befana doveva avere una memoria formidabile per ricordare, di anno in anno, tutto quello di cui i suoi piccoli amici avevano bisogno. In un paesetto sperduto in una stretta valle di montagna, la Befana portava ai bambini una bella corona di castagne e mele, fatta proprio come le corone del rosario delle nonne: al posto delle avemarie c’erano le mele, e al posto dei padrenostri, c’erano le castagne. Invece del crocefisso c’era un’arancia o un mandarino. I bambini si mettevano quella corona al collo e cominciavano a mangiare. Ma la nostra Vecchia sapeva bene quanto ai bambini piacessero i giocattoli e poi amava tanto far felici gli altri. Così, oltre alle cose utili, ai dolci e ai frutti, lasciava nella calza, quando poteva, anche alcuni giochi. Di paese in paese, talvolta alla Befana piaceva fare qualcosa di speciale, di diverso. C’era un piccolo villaggio dove ai bambini che ormai si erano fatti grandicelli, la Befana lasciava tra i doni anche una patata o una cipolla. Con quel segno la Befana voleva dire loro che ormai si erano fatti grandi e l’anno dopo non sarebbe più tornata. La vigilia dell’Epifania, nelle grandi città frequentate dalla Befana, venivano fatte delle fiere in suo onore, dei bei mercati pieni di bancarelle che presentavano ogni ben di Dio, dolci, e giocattoli a non finire. I bambini che avevano la fortuna di abitare in quelle città, andavano alla fiera con i loro genitori e girando fra le bancarelle si facevano un’idea di quello che avrebbero potuto chiedere alla Befana. In quei mercati, talvolta, improvvisamente si vedeva passare una vecchiaccia un po’ stracciata che sembrava scappare via, cercando di confondersi tra la folla. I bambini intimoriti si rifugiavano nelle pieghe delle gonne delle loro mamme, per non vedere. Era la Befana quella? Forse sì, rispondevano le mamme. Come mai così in anticipo? Chissà! Tornati a casa un po’ spaventati da quella apparizione inaspettata, i bambini promettevano di essere da allora in poi solamente buoni e presa penna e calamaio scrivevano una bella letterina alla Befana, piena di grandi promesse e con la richiesta di quei doni che avevano visto alla fiera. Poi non restava che sperare che la Befana passasse a ritirare le loro ordinazioni, per lasciare nelle calze il mattino dopo quanto era stato richiesto. Chi, invece non aveva fiere e mercati dove andare, la letterina alla Befana l’aveva spedita già da un pezzo. La Befana di Giovanni Pascoli Viene viene la Befana vien dai monti a notte fonda. Come è stanca! La circonda neve, gelo e tramontana. Viene viene la Befana. Ha le mani al petto in croce, e la neve è il suo mantello ed il gelo il suo pannello ed il vento la sua voce. Ha le mani al petto in croce. E s’accosta piano piano alla villa, al casolare, a guardare, ad ascoltare or più presso or più lontano. Piano piano, piano piano. Che c’è dentro questa villa? Uno stropiccìo leggero. Tutto è cheto, tutto è nero. Un lumino passa e brilla. Che c’è dentro questa villa? Guarda e guarda…tre lettini con tre bimbi a nanna, buoni. guarda e guarda…ai capitoni c’è tre calze lunghe e fini. Oh! tre calze e tre lettini. Il lumino brilla e scende, e ne scricchiolan le scale; il lumino brilla e sale, e ne palpitan le tende. Chi mai sale? Chi mai scende? Co’ suoi doni mamma è scesa, sale con il suo sorriso. Il lumino le arde in viso come lampada di chiesa. Co’ suoi doni mamma è scesa. La Befana alla finestra sente e vede, e s’allontana. Passa con la tramontana, passa per la via maestra, trema ogni uscio, ogni finestra. E che c’è nel casolare? Un sospiro lungo e fioco. Qualche lucciola di fuoco brilla ancor nel focolare. Ma che c’è nel casolare? Guarda e guarda… tre strapunti con tre bimbi a nanna, buoni. Tra la cenere e i carboni c’è tre zoccoli consunti. Oh! tre scarpe e tre strapunti… E la mamma veglia e fila sospirando e singhiozzando, e rimira a quando a quando oh! quei tre zoccoli in fila… Veglia e piange, piange e fila. La Befana vede e sente; fugge al monte, ch’è l’aurora. Quella mamma piange ancora su quei bimbi senza niente. La Befana vede e sente. La Befana sta sul monte. Ciò che vede è ciò che vide: c’è chi piange e c’è chi ride; essa ha nuvoli alla fronte, mentre sta sull’aspro monte. Filastrocca della Befana Ecco arriva la Befana pettinata alla moderna: ha una stella per lucerna e la luna per cavai. Uno stuolo di marziani sopra un razzo caricati, sono tutti affaccendati i balocchi a preparar. Hanno note lunghe lunghe di bambini che son buoni: sol per loro hanno doni come premio di bontà. E’ arrivata la Befana E’ arrivata la Befana coi balocchi pei bambini; rimboccata ha la sottana ed è scesa nei camini. Ha trovato scarponcini e calzini trasparenti, li ha riempiti con dolcini per far bimbi assai contenti. Ogni cosa ha poi lasciato con sveltezza e cuor contento: nessun bimbo s’è svegliato proprio allora in quel momento. Risalita nei camini è scappata in grande fretta. La sognavano i bambini, quella povera vecchietta! Filastrocca per la Befana di Gianni Rodari Viene viene la Befana Da una terra assai lontana, così lontana che non c’è… la Befana, sai chi è? La Befana viene viene, se stai zitto la senti bene: se stai zitto ti addormenti, la Befana più non senti. La Befana, poveretta, si confonde per la fretta: invece del treno che avevo ordinato un po’ di carbone mi ha lasciato Zitti zitti, presto a letto Zitti, zitti presto a letto la Befana è qui sul tetto, sta guardando dal camino se già dorme ogni bambino, se la calza è ben appesa, se la luce è ancora accesa! Quando scende, appena è sola, svelti, svelti sotto alle lenzuola! Li chiudete o no quegli occhi! Se non siete buoni niente dolci né balocchi, solo cenere e carbone! Quando è l’ora della Befana Quando è l’ora, la Befana alla scopa salta in groppa. D’impazienza già trabocca: l’alza su la tramontana, fra le nuvole galoppa. Ogni bimbo nel suo letto fa l’ esame di coscienza: maledice il capriccetto, benedice l’ ubbidienza: La mattina al primo raggio si precipita al camino. Un bel dono al bimbo saggio, al cattivo un carboncino! Arriva la Befana Fate nanna, piccolini, nei lettini bianchi e belli come panna; fate nanna! Dal castello delle fate, ch’ è lassù, lontan lontano fra le nevi immacolate, al camino vien, pian piano la Befana, ricca e buona, che vi dona cavallucci, bamboline e balocchi senza fine. Glieli porta l’ asinello, forte e bello, che le orecchie ha lunghe assai: se vi sente, o bimbi, guai! Fate nanna, piccolini, nei lettini bianchi e belli come panna; fate nanna! E’ tornata la befana a cavallo di una scopa: vola senza far rumore nella notte nera nera Sulle spalle ha tanti sacchi e li posa sui camini tira fuori sorridente i regali per i bambini Bambole e trenini giostre e orsacchiotti, dischi e grembiulini, dolci e biscottini, ma più bello ancora essa sa donare una grande gioia che non si può scordare. La Befana vien di Notte La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, col cappello alla romana, viva viva la Befana! La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, e nessuno gliele ricuce, la Befana é piena di brace. La Befana vien di notte con le scarpe tutte rotte, se ne fa un altro paio con la penna e il calamaio. La Befana vien di notte e ha le scarpe tutte rotte, se ne compra un altro paio per venire il 6 gennaio. La Befana vien di notte e ha le scarpe tutte rotte, porta cenere e carbone, pei monelli e i cattivoni, ma ai piccini savi e buoni porta chicche e ricchi doni. Cara Befana Mi hanno detto, cara Befana, che tu riempi la calza di lana, che tutti i bimbi, se stanno buoni, da te ricevono ricchi doni. Io buono sempre sono stato ma un dono mai me lo hai portato. Anche quest’anno nel calendario tu passi proprio in perfetto orario, ma ho paura, poveretto, che tu viaggi in treno diretto; un treno che salta tante stazioni dove ci sono bimbi buoni. Io questa lettera ti ho mandato per farti prendere l’accellerato! Oh cara Befana, prendi un trenino che fermi a casa di ogni bambino, che fermi alle case dei poveretti con tanti doni e tanti confetti. Voglio fare un regalo alla Befana La Befana, cara vecchietta, va all’antica, senza fretta. Non prende mica l’aeroplano per volare dal monte al piano, si fida soltanto, la cara vecchina, della sua scopa di saggina: é così che poi succede che la Befana…non si vede! Ha fatto tardi tra i nuvoloni, e molti restano senza doni! Io quasi, nel mio buon cuore vorrei regalarle un micromotore, perché arrivi dappertutto col tempo bello o col tempo brutto. Un po’ di progresso e di velocità per dare a tutti la felicità! Viene Viene la Befana Viene,viene la Befana vien dai monti, é notta fonda, come é stanca, e la circonda neve , gelo e tramontana, viene, viene la Befana. Ha le mani al petto in croce e la neve é il suo fardello, il gelo il suo mantello ed il vento la sua voce, ha le mani al petto in croce. Lei si accosta piano piano alla villa e al casolare, a guardare e ad osservare, or più presso, or più lontano, piano, piano, piano. Che c’é dentro questa villa? Guarda, guarda tre lettini con tre bimbi a nanna buoni. Guarda, guarda, ai capitoni c’é tre calze lunghe e fini, oh tre calze e tre lettini. Un lumino brilla e sale e ne scricchiolan le scale, il lumino brilla e scende e ne palpitan le tende. Chi mai sale e chi mai scende? Coi suoi doni mamma è scesa, sale col suo sorriso e il lumino le arde il viso come lampada da chiesa. Coi suoi doni mamma é scesa. Ma che c’é nel casolare? Guarda, guarda tre strapunti con tre bimbi a nanna buoni tra la cenere e i carboni, c’é tre zoccoli consunti; oh, tre scarpe e tre strapunti! La Befana vede e sente, fugge al monte che é l’aurora, quella mamma piange ancora su quei bimbi senza niente. La Befana vede e sente. La Befana sta sul monte, ciò che vede e ciò che vide, c’é chi piange e c’é chi ride, essa ha nuvoli alla fronte, mentre sta sul bianco monte.