Il vertice sul clima di Parigi 2

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Il vertice sul clima di Parigi 2
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 6 DICEMBRE 2015
La sfida del clima
Terra madre da salvare
Il monito
Cop21, il summit
Bergamo
L’intervista
«Meno auto e cemento
Papa Francesco: il clima La conferenza di Parigi
è un bene di tutti per tutti in 10 domande e 10 risposte per salvare il territorio»
«Dall’Everest vediamo
i ghiacciai in scioglimento»
Il clima è un «bene comune». È «di tutti e per
tutti». È l’affermazione, abbastanza perentoria
e che non ammette repliche, di Papa Francesco
contenuta nell’enciclica «Laudato si’»
Una guida sintetica sul summit di Parigi dedicato al clima, per capire di cosa si tratta nel
concreto, perché il Cop21 è così importante e
soprattutto qual è la posta in gioco
Paolo Longaretti, vice presidente provinciale
di Legambiente ed ex imprenditore: basta con
i piani regolatori dissennati, bisogna investire
sulla mobilità dolce per difendere il territorio»
Agostino Da Polenza, presidente del Comitato
EvK2Cnr: monitoriamo ciò che sta succedendo
sull’Everest e assistiamo a un aumento delle temperature che in alta montagna è maggiore
BOBBIO A PAGINA 10
ANFOSSI A PAGINA 11
RAVIZZA A PAGINA 12
L. ARRIGHETTI A PAGINA 13
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L’ECO DI BERGAMO
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DOMENICA 6 DICEMBRE 2015
La sfida del clima
Il monito
«CLIMA, BENE COMUNE
È DI TUTTI E PER TUTTI»
Dopo la pubblicazione dell’enciclica «Laudato si’» il Papa ha affrontato più volte
le questioni in discussione al Cop21: «Nei Paesi ricchi si spreca l’acqua a livelli inauditi»
ALBERTO BOBBIO
l clima è un «bene comune».
È «di tutti e per tutti». L’affermazione, abbastanza perentoria e che non ammette repliche, di Papa Francesco contenuta nell’enciclica «Laudato si’»
giustifica la preoccupazione di
Bergoglio e della Santa Sede per
la buona riuscita della Conferenza di Parigi.
Dalla sua pubblicazione in poi
il Pontefice ha più volte affrontato le questioni in discussione
al summit Cop21, incoraggiando
i delegati e i capi di Stato a lavorare bene e alacremente.
L’ultima volta lo ha fatto in Kenya parlando alla sede dell’Onu
per l’Africa a Nairobi con un discorso nel quale ha chiesto di
adottare un accordo globale, ma
soprattutto «trasformativo»,
nel senso che porti alla trasformazioni delle politiche sul clima, perché esse hanno conseguenze sulla lotta alla povertà e
quindi sulla dignità delle persone. È quella che si chiama, in
linguaggio tecnico, adozione di
un modello circolare di politica
economica, dove tutto è legato
nel bene e nel male. Sono tre i
pilastri di un accordo globale
I
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virtuoso, secondo il pensiero di
Jorge Mario Bergoglio.
Il primo si fonda sulla convinzione che i disastri climatici
hanno un impatto drammatico
sui più poveri e provocano spostamenti di popolazioni, abbandono delle terre e ingolfamento
nelle periferie già poverissime
e sovraffollate delle grandi metropoli. Si tratta dei cosiddetti
«profughi climatici», non riconosciuti da nessun governo e
che invece il Papa spiega essere
il prodotto più tragico di quella
«globalizzazione dell’indifferenza», che ritiene le questioni
climatiche non prioritarie. Il secondo pilastro è più tecnico. Individua le modalità e i contenuti. Nell’enciclica c’è un preciso
appello a ridurre «drasticamente» nei prossimi anni «l’emissione di anidride carbonica e di
altri gas altamente inquinanti».
Non detta quote, né entra in
questioni troppo specifiche.
Il Segretario di Stato vaticano
Pietro Parolin, parlando il giorno dell’apertura di Cop21 ha
precisato che l’auspicio è di andare «verso un’economia a basso
contenuto di carbonio» e di promuovere «le energie rinnovabili». L’organismo che raccoglie
tutte le conferenze episcopali
dell’Europa è più risoluto e, in
documento di dieci proposte per
Parigi, sostiene l’urgenza di
«porre fine all’era dei combustibili fossili, eliminandone gradualmente le emissioni, comprese quelle militari e fornendo
a tutti l’accesso alle energie rinnovabili a prezzi accessibili».
Il terzo pilastro della analisi di
Bergoglio riguarda il futuro,
perché il summit è solo un tappa
di un processo più lungo che
deve considerare non solo strumenti tecnici, ma anche educativi per nuovi stili di vita. Il Papa
nell’enciclica afferma che si
tratta di una «grande sfida culturale, spirituale ed educativa
che implicherà lunghi processi
di rigenerazione».
Se la Conferenza di Parigi non
ne terrà conto, cioè non riterrà
questo punto cruciale e si fermerà solo a pochi aggiustamenti
tecnici, necessari, ma non sufficienti, sarà destinata al fallimento. La novità dell’enciclica
sta nell’affermazione che la lotta
ai cambiamenti climatici non è
tanto un problema scientifico,
ma etico.
In pratica Bergoglio smaschera
l’illusione che la sola forza delle
argomentazioni scientifiche sia
sufficiente ai governi per convincersi dei cambiamenti da fare. Ma non è così, avvisa il Papa,
e per questo chiede di parlare
direttamente alle coscienze delle persone, seguendo il suo
esempio di leader che parla alla
gente e che ne è anzi diventato
la coscienza inquieta. Nell’enciclica il Papa Francesco affronta
tutti gli argomenti sensibili di
Parigi. Ecco i principali.
Clima
Il riscaldamento del sistema climatico è «preoccupante». Si alza
il livello del mare, si scatenano
sempre di più «eventi meteorologico estremi». La responsabilità è delle emissioni dei «gas
serra dovuti alle attività umane
e su un modello di sviluppo basato sull’uso intensivo di combustibili fossili». Il riscaldamento ha effetti sul ciclo del carbonio e, denuncia il Papa, incide
sulla disponibilità di acqua potabile, fonti di energia, produzione agricola, biodiversità che
rischia l’estinzione. E se s’innalza il mare a causa dello scioglimento dei ghiacci rischia un
quarto della popolazione mondiale.
Combustibili
Il Papa chiede di sostituire quelli fossili con «fonti di energie
alternative», sviluppando le
«rinnovabili» e «tecnologie adeguate di accumulazione». Inoltre invita a migliorare «l’efficienza energetica» degli edifici.
Tuttavia lamenta che «queste
buone pratiche sono lontane dal
diventare generali».
Acqua
Le risorse si stanno esaurendo
e anche l’acqua pulita e potabile,
con la domanda che supera l’offerta. Il Papa è preoccupato della
povertà di «acqua pubblica» soprattutto in Africa. Nei Paesi
ricchi c’è «l’abitudine a sprecare
e buttare» l’acqua a «livelli inauditi» e ad inquinarla con detergenti e prodotti chimici scaricati
nei fiumi, nei laghi e nel mare.
C’è infine la tendenza a «privatizzare l’acqua», trasformandola
«in merce soggetta alle leggi del
mercato». Invece l’accesso all’acqua «è un diritto umano essenziale, fondamentale e universale». Negarlo significa «negare il diritto alla vita». Bergoglio teme scenari drammatici:
«È prevedibile che il controllo
dell’acqua da parte di grandi im-
prese mondiali si trasformi in
una delle principali fonti di conflitto di questo secolo».
Foreste
Perdere i grandi polmoni del
pianeta come l’Amazzonia o il
bacino fluviale del Congo «colmi
di biodiversità» significa rompere il «delicato equilibrio del
pianeta». E non si può ignorare
che dietro alle coltivazioni intensive vi sono spesso «enormi
interessi economici internazionali». I governi non possono delegare «il dovere di preservare
l’ambiente e le risorse naturali
del proprio Paese». Va preservata anche la biodiversità degli
oceani e delle barriere coralline,
sempre più minacciate.
Rifiuti
Sono troppi i rifiuti prodotti,
soprattutto troppi quelle non
biodegradabili: «La terra è un
immenso deposito di immondizia». Il Papa invita a ripensare
all’intero sistema e di imparare
dalla natura che riutilizza rifiuti
e scorie: «Moderare il consumo,
massimizzare l’efficienza dello
sfruttamento, riutilizzare e riciclare».
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L’ECO DI BERGAMO
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DOMENICA 6 DICEMBRE 2015
La sfida del clima
Ilvertice
COP21, IL SUMMIT DI PARIGI
IN 10 DOMANDE E 10 RISPOSTE
Perché si chiama Cop21? Quali sono gli effetti del surriscaldamento della Terra? Che cosa significa «carbon free»?
Realisticamente è possibile che dal vertice in corso esca un accordo concreto, davvero risolutivo sul clima?
FRANCESCO ANFOSSI
cco alcune domande e risposte sul summit di Parigi dedicato al clima, per
capire di cosa si tratta nel
concreto e soprattutto qual è la
posta in gioco.
E
Che cos’è la Conferenza sul clima e
perché si chiama Cop21?
Cop è l’acronimo di Conferenza
delle Parti (in inglese Conference of Parties), un evento che si
tiene ogni anno, da oltre vent’anni, nell’ambito della Convenzione quadro dell’Onu sui
cambiamenti climatici del Pianeta Terra. A Parigi, nella blindatissima struttura del Parco
esposizioni dell’aeroporto di Le
Bourget, si sta tenendo la ventunesima Cop, che si svolgerà fino
all’11 dicembre attraverso una
serie quasi infinita di colloqui,
incontri e commissioni tecniche e diplomatiche. Da qui la
definizione di Cop21.
Che cos’è la Convenzione quadro sui
cambiamenti climatici?
Si tratta di un trattato ambientale sottoscritto dagli Stati aderenti alle Nazioni Unite al Summit della Terra di Rio de Janeiro
del 1992, in vigore dal 1994 e
ratificato da 195 Paesi, più
l’Unione europea. Il trattato
non è vincolante, ma prevede
ogni anno la convocazione di
Cop, durante le quali vengono
stabiliti dei protocolli, il più famoso dei quali è quello di Kyoto.
Nato nel 1997 durante Cop3
nell’omonima città giapponese,
è entrato in vigore nel 2005,
dopo la firma della Russia. Tra
le Cop che si sono succedute
vale la pena di ricordare la fallimentare Cop di Copenhagen e
quella tenutasi a Doha nel 2012,
che ha esteso la durata del Protocollo di Kyoto al 2020.
Qual è lo scopo di Cop21 e perché si
è data grande importanza all’evento?
L’obiettivo della conferenza è
quello di concludere, per la prima volta in oltre 20 anni di mediazione da parte delle Nazioni
Unite, un accordo vincolante e
universale sul clima, accettato
da tutte le nazioni. Lo scopo
dichiarato della Conferenza è
infatti quello di partorire un
accordo in grado di limitare le
emissioni di gas serra, che stanno alzando inesorabilmente la
temperatura del Pianeta Terra.
Chi vi partecipa?
I Grandi della Terra, oltre 180
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capi di Stato in tutto, tra presidenti, capi di governo, sovrani
ed emiri, a cominciare da Obama a Putin, compreso Erdogan
(ma i due, ovviamente, non si
sono parlati). Dopo i discorsi dei
grandi hanno preso il via i negoziati veri e propri attraverso il
lavoro delle commissioni. Anche Papa Francesco è andato
alla sede dell’Onu per l’Ambiente di Nairobi per sollecitare un
accordo forte sul clima.
Quali sono gli effetti del surriscaldamento della Terra?
Il surriscaldamento della Terra
porta alla progressiva siccità in
molte zone del Pianeta. Il 2015
sarà l’anno più caldo di sempre.
Oltretutto se non si diminuisce
l’aumento della temperatura
che riduce la disponibilità di
acqua e di suolo fertile, le guerre
sono destinate ad aumentare.
Nel mondo sono in corso 79
conflitti determinati da cause
ambientali. Un’altra conseguenza è l’aumento dei migranti
in fuga dalla fame e dalla siccità
dovuto all’inaridimento delle
terre. La temperatura media
globale è in crescita ormai da
più di cent’anni. Con sempre
maggiore frequenza eventi
estremi come uragani, piogge
torrenziali o siccità prolungate
rovesciano sul nostro habitat
effetti disastrosi. Al pari della
disoccupazione e delle crisi monetarie internazionali, il cambiamento climatico è uno dei
grandi problemi sociali ed economici (oltre che etici) da fronteggiare.
Un particolare dell’opera dell’artista argentino Pedro Marzorati: è stata installata nel laghetto del parco di Montsouris a Parigi in occasione
del Cop21 e resterà visibile per la durata della conferenza sul clima come monito ai Grandi sui cambiamenti climatici FOTO ANSA
Cop21
XXI Conferenza mondiale sul clima
Che cos’è la Mission Innovation?
L’ha lanciata Obama. Un’iniziativa con cui 20 Paesi, dagli Usa
all’Arabia Saudita, passando per
Cina, India, Cile , Corea, Germania, Francia, Danimarca,
Svezia, Giappone, Messico e
Italia (che si è aggiunta in extremis), oltre a una ventina di imprenditori guidata da Bill Gates,
si impegneranno a raddoppiare
gli investimenti in ricerca e sviluppo per contrastare i cambiamenti climatici nei prossimi 5
anni.
GLI OBIETTIVI
1,5-2 gradi massimo
l’aumento medio delle temperature
entro fine secolo
Riduzione dal 40% al 70%
delle emissioni entro il 2050
Valutare e rivedere gli impegni
ogni 5 anni
Accordo globale
giuridicamente vincolante
Raccolta di 100 miliardi di dollari l’anno da parte
dei Paesi sviluppati per finanziare dal 2020 i Paesi
più poveri per la riduzione della CO2 e l’adattamento
ai cambiamenti climatici favorendo le rinnovabili
Tecnicamente di quanto dovrebbe
abbassarsi la temperatura?
L’obiettivo è quello di contenere il riscaldamento globale
al massimo di due gradi rispetto all’era pre-industriale. La
quota è stata proposta dalla
Cop15 di Copenaghen e dalla
Cop16 di Cancun, che ha istituito anche un fondo verde per
il clima.
Il surriscaldamento
della Terra porta
alla progressiva
siccità in molte zone
del Pianeta
Come è possibile arrivare a questo
obiettivo?
In vari modi. Ad esempio con
opere di contenimento degli
effetti del surriscaldamento,
come ad esempio le dighe per
le città costiere contro l’innalzamento del livello del mare (il
Mose di Venezia è un esempio).
Vi è poi la decarbonizzazione,
il processo di cambiamento del
rapporto tra carbonio (inquinante) e idrogeno (non inquinante) nelle fonti di energia che
si sono avvicendate nella storia
(legname, carbone, petrolio,
gas naturale). Fondamentale è
la riduzione dei gas serra, i gas
che si concentrano nell’atmosfera e contribuiscono al surriscaldamento del Pianeta. Tra
questi l’anidride carbonica
(Co2) il metano e il protossido
di azoto. Uso di combustibili
fossili, deforestazione, allevamenti e agricoltura producono
alti quantitativi di gas serra.
L’eliminazione dei sussidi sui
combustibili fossili e l’introduzione di tasse sui gas serra sono
disincentivi che potrebbero
portare a un cambiamento significativo.
Che significa «carbon free»?
L’obiettivo delle varie Cop delle
Nazioni Unite è arrivare a
un’economia «carbon free» senza emissioni di carbonio, fino a
emissioni zero, attraverso lo
sviluppo di energie rinnovabili.
Ovviamente il piano è avversato
dall’industria mineraria. Soprattutto quella americana, anche se è molto meno potente di
un tempo. Anche le lobbies petrolifere negano addirittura
l’esistenza di cambiamenti climatici significativi.
Realisticamente è possibile che da
Cop21 esca un accordo concreto,
davvero risolutivo sul clima?
La Convenzione Onu sul clima
parla di «responsabilità comuni
ma differenziate». Il mondo su
questo principio si divide in due
fazioni: chi pensa che occorrano
misure necessarie a fermare il
riscaldamento globale soprattutto per i Paesi che inquinano
di più e chi pensa che si debba
arrivare entro il 2015 con le
stesse emissioni procapite. C’è
chi, come ha detto l’ex sindaco
di New York Michael Bloomberg, ammette che non si arriverà a un accordo risolutivo ma
che Parigi è un primo passo. E
soprattutto segna un’inversione di tendenza.
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L’ECO DI BERGAMO
DOMENICA 6 DICEMBRE 2015
La sfida del clima
Le risposte
«Per difendere il clima
meno auto e cemento»
Bergamo. Longaretti, vicepresidente Legambiente e imprenditore
«Basta con i piani regolatori dissennati. Investire sulla mobilità dolce»
BENEDETTA RAVIZZA
Non è sicuramente un
ambientalista «talebano» . E
mettiamoci pure che di professione fa l’imprenditore (ma chi
l’ha detto che economia non
faccia rima con ecologia?). Tanto è bastato perché sui social i
grillini si scatenassero, non proprio complimentosi con lui.
Il punto di vista di Paolo Longaretti, vicepresidente provinciale di Legambiente e a capo di
un’azienda che costruisce sistemi di analisi automatici (centraline e dintorni), è però di
buonsenso. E parte da un’immagine: le mappe satellitari diffuse al Cop21 (il summit Onu di
Parigi sul clima), dove la Pianura padana risulta tra le zone più
inquinate del pianeta.
In questa fascia rientra a pieno titolo la Bergamasca. «Ora
come ora questa considerazione geomorfologica può sembrare scontata – fa notare Longaretti –, ma fino a 15 anni fa di
questo aspetto non si teneva
minimamente conto a livello di
programmazione e sviluppo».
Stretta tra le montagne, l’aria ristagna, «e più ci si avvicina al Po
più il ricambio d’aria è minore.
Escluse le valli e in parte la città,
che gode delle correnti dalle
valle Brembana e Seriana, la
provincia, quindi, soffre in generale di un pesante inquinamento. Non a caso i dati peggiori delle centraline si rilevano
verso Sud, a Casirate». Diciamo
quindi che non partiamo avvantaggiati, ma (come spesso accade) l’uomo ci ha messo lo zampino, con quelli che Longaretti
definisce «piani regolatori dissennati, problema numero uno
da affrontare nella Pianura padana: non si può più continuare
a costruire come fatto finora». I
temi si intrecciano: vanno dall’aspetto dell’urbanizzazione a
quello della concentrazione
delle attività produttive fino al
sistema dei servizi, in particolare legati alla mobilità. Partiamo
dal consumo del suolo, e anche
qui viene in aiuto un’immagine.
Il consumo del suolo
«Se prendiamo Google map e
scorriamo l’A4 – continua Longaretti – vediamo che l’asse Bergamo-Milano-Brescia è un
grosso agglomerato di edificazioni con attività (industriali e
insediative) intense dell’uomo.
Un insediamento spaventoso
con costruzioni industriali potenti che però sembra non guidato da nessun criterio: le aree
produttive e residenziali si mescolano, ci sono tantissimi chilometri di strade costruiti senza
verificarne prima l’utilità.
L’esempio più recente e lam-
12
1 Tra le principali
cause degli ossidi
di azoto, il traffico
e gli impianti
produttivi»
12
1 La qualità
dell’aria migliora ma
si è ancora lontani
dal rispetto
dei limiti»
pante è facile da intuire: Brebemi».
La mobilità e l’aria
E qui si arriva al nodo più critico, quello della mobilità. «Negli
ultimi anni il grosso degli investimenti è stato sulla costruzione di strade, che hanno fatto la
parte del leone, mentre il trasporto pubblico è rimasto il fanalino di coda. L’Italia è il Paese
europeo più indietro su questo
fronte, preceduto anche dalla
Grecia». Secondo i dati dell’Aci
provinciale sui veicoli circolanti in rapporto alla popolazione,
si arriva a quasi un’auto pro capite. «E in provincia di Bergamo, sulla base dei dati Inemar
(inventario emissioni aria) il
48,84% degli ossidi di azoto (i
famigerati Nox) sono prodotti
dagli autoveicoli», Longaretti
snocciola i numeri. Cosa è il
Nox? «Un inquinante che oltre
ad alterare il clima è anche tossico per l’uomo» e pure «il precursore per formare le polveri
sottili (Pm10 e Pm2,5), che si
producono in maniera diretta
dagli impianti, anche di riscaldamento, ma anche in modo indiretto, attraverso la combinazione di gas nell’atmosfera,
nonché il principale responsabile delle piogge acide». Per
completare il quadro, se delle
13.600 tonnellate di Nox prodotte in un anno in Bergamasca
la metà circa (6.700 tonnellate)
deriva dagli autoveicoli, 3.500
dagli impianti industriali (di cui
2 mila dal cementificio Italcementi) e il resto da impianti civili e agricoltura. Sul fronte dell’aria, però, qualche segnale positivo c’è. «Caso Volkswagen a
parte, è innegabile che i motori
di oggi inquinino meno. Negli
ultimi 25 anni c’è stato un miglioramento costante, con valori di polveri sottili anche sei volte minori. Se nel 2005-2006 gli
sforamenti dei limiti superavano i cento giorni, negli ultimi
due anni non si è andati oltre i
60». È abbastanza per dormire
sugli allori? Certo che no. «Siamo ancora lontanissimi dagli
standard e dal limite di 35 giorni. Il problema è che non facciamo ancora abbastanza. Migliora la qualità dell’aria, ma passiamo molto più tempo nell’abitacolo dell’auto che è un ambiente
estremamente inquinato», sostiene Longaretti. Che quindi
per il futuro dei nostri figli (lui
ne ha due di 5 e 3 anni) individua
tre strade: «Da parte nostra ci
vuole uno stile di vita diverso;
da parte del mondo produttivo
e industriale uno sforzo in più
perché con l’applicazione di
nuove tecnologie si possono
produrre meno inquinanti: bisogna investire nell’innovazione; e da parte della classe politica ci vuole un cambio di mentalità: non si può andare avanti a
costruire come fatto finora.
Penso ai centri commerciali: da
via Carducci in città a Pontida si
può trovare tutto l’acquistabile.
E soprattutto bisogna spostare
sui sistemi di mobilità dolci e
collettiva gli investimenti». Un
esempio concreto? «I 350 milioni di euro per l’ex Ipb si possono spostare sul tram-treno».
Il rischio «è arrivare troppo tardi, quando la quantità di gas nell’atmosfera sarà troppo alta per
poter tornare indietro».
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Quella terribile alga bruna che soffoca i Caraibi
Mare inquinato
Turisti in fuga sulle spiagge
messicane per il Sargassum
che rende l’acqua marrone
e ha un forte odore di marcio
Il riscaldamento globale visto da vicino è di colore
marrone. Marrone bruciato.
Ha un forte odore di marcio e
si chiama Sargassum.
Uno degli effetti dell’innalzamento delle temperature è il
surriscaldamento delle acque
dei mari e degli oceani.
Detto così, sembra un pro-
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blema che ci tocca poco o niente. Invece ha rovinato le vacanze di molti italiani e bergamaschi che quest’estate hanno
passato le ferie ai Caraibi e si
sono ritrovati a fare i conti con
la terribile alga.
Il Sargassum altro non è che
un’alga bruna: dà il nome al famigerato Mar dei Sargassi nel
Nord Atlantico, dove questa
specie fiorisce e si diffonde.
Queste alghe possono raggiungere diversi metri di lunghezza e non sono considerate
nocive perché fanno da habitat
e nursery a tartarughe, tonni,
Le emissioni italiane di gas serra
IL TOTALE
Milioni di tonnellate di CO2 equivalente
-84
(-16,1%)
-20
521
(-4,6%)
437
417
COSÌ NEI SETTORI
Var. % 2013/1990
trasporti
+0,2
energia
-21,9
Fonte: Ispra
2013
2014
-24,1
gestione
rifiuti
servizi
-20,5
+9,4
industria
manifatturiera
agricoltura
1990
processi
industriali
-14,9
-42
anguille, gamberetti e granchi.
Hanno un corpo robusto e
flessibile che fluttua e non si
attacca al fondo dell’oceano.
Ma a causa del surriscaldamento delle acque, da cinque
anni a questa parte il Sargassum è fiorito in maniera incontrollata e quest’estate si è
riversato sulle più belle spiagge dei Caraibi: Messico, Repubblica Dominicana, Barbados, Antigua. Cumuli di alghe
maleodoranti si sono accumulate per chilometri rendendo
impossibile non solo fare il bagno, ma anche restare in spiag-
gia a prendere il sole a causa
dell’odore insopportabile.
Io, che a metà novembre sono partita per il Messico, ne sono stata parziale testimone.
Parziale perché, fortunatamente, in questo periodo il fenomeno si è attenuato e le
spiagge e il mare sono tornati
praticabili.
Ma gli effetti sul turismo
della zona sono stati devastanti. Arrivata a Playa del Carmen, una delle località più gettonate da americani ed europei, ho trovato file e file di
sdraio desolatamente vuote.
L’ECO DI BERGAMO
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DOMENICA 6 DICEMBRE 2015
I finanziamenti ai Paesi africani per passare alle energie rinnovabili
«I Paesi africani ripetono che sarà più facile passare alle energie rinnovabili
quando smetteranno di costare più del petrolio. E i finanziamenti sono confermati: 100 miliardi da qui al 2020 e poi 100 miliardi all’anno» dice il ministro
dell’Ecologia Segolene Royal, a capo della delegazione francese alla Cop21
100 miliardi
L'INTERVISTA AGOSTINO DA POLENZA.
Il presidente del Comitato EvK2Cnr: carbonio nei
ghiacciai, così si velocizza lo scioglimento delle nevi
«Dall’Everest vediamo
l’ambiente peggiorato»
ciai, un fenomeno che velocizza
lo scioglimento delle nevi. Stiamo mettendo in campo una serie di progetti per monitorare la
situazione che vi ho appena descritto e continueremo a lavorare per inviare sempre più dati
possibili».
LAURA ARRIGHETTI
lla Conferenza mondiale sul clima di Parigi
i delegati di oltre 190
Paesi sono al lavoro per
raggiungere un nuovo accordo
internazionale che contrasti efficacemente il riscaldamento
atmosferico. Tutti gli habitat
naturali – mari, oceani, ghiacciai, deserti – stanno vivendo
drammatiche conseguenze a
causa dell’innalzamento delle
temperatura e anche la montagna non è esente da questi cambiamenti.
Ne parliamo con Agostino Da
Polenza, presidente del Comitato EvK2Cnr, realtà che gode
di un notevole prestigio mondiale grazie al Laboratorio- Osservatorio Piramide, la stazione
di monitoraggio a 5050 metri di
quota sul versante nepalese dell’Everest che invia in tempo reale dati sul clima alla comunità
scientifica internazionale.
A
Secondo lei, quindi, è davvero possibile una svolta dopo Parigi?
Agostino Da Polenza
sideri contenuti in queste carte.
I capi di Stati si sono infatti dati
degli obiettivi precisi, ma altrettanto precisi devono essere
le operazioni per portarli a termine. Deve sicuramente essere
lo svolta dopo Kyoto, l’ultima
occasione per salvare il Pianeta».
Come valuta complessivamente il
summit di Parigi e, soprattutto, quali sono gli scogli da superare per
migliorare l’ambiente?
Auto nel traffico e nello smog
nel centro di Bergamo
Mai successo prima.
Da luglio il governo messicano ha speso milioni di pesos
per ripulire le coste. Lo Stato
del Quintana Roo, che comprende la parte orientale della
penisola dello Yucatán, ha assunto 5 mila lavoratori per rastrellare le spiagge.
Ma i turisti sono scappati:
basta aprire il forum di Tripadvisor per rendersi conto di
quanti italiani, alla vista del
Mar dei Caraibi color marrone, abbiano cercato scampo in
altre località e, una volta rientrati, si siano accaniti contro
tour operator e agenzie viaggi.
La notizia non ha trovato
molto spazio sui media, salvo
quelli messicani e americani.
A Playa del Carmen ho chiesto
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informazioni ai tanti italiani
che lì abitano e lavorano.
«Molte prenotazioni sono state cancellate, tra luglio e settembre sono arrivate decine di
migliaia di turisti in meno rispetto agli anni scorsi – mi
hanno raccontato –. Gli albergatori hanno mandato camerieri e addetti alle pulizie a rastrellare le alghe dalle spiagge,
ma il mare era marrone e l’aria
irrespirabile. Gli alberghi più
piccoli addirittura hanno
chiuso perchè non avevano
clienti e hanno lasciato a casa i
dipendenti».
Il mese scorso quasi ogni
giorno c’erano piccole ruspe e
spalatori sulle spiagge.
Non che contribuissero
molto, a dire il vero, ma come
detto la situazione era già migliorata. L’acqua, però, aveva
una temperatura di 30 gradi e
questo ha portato gli squali toro, che qui dimorano da novembre a marzo, a farsi vedere
soltanto verso la metà del mese.
Ora in Messico sperano che
le correnti portino le alghe il
più lontano possibile, ma se il
riscaldamento globale resterà
a questi livelli potrebbe portare a conseguenze devastanti
per l’economia degli Stati dei
Caraibi che vivono di turismo.
E noi, più egoisticamente, ci
potremo scordare il mare dai
mille riflessi azzurri e le spiagge bianche da cartolina.
Katiuscia Manenti
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I cambiamenti climatici, come abbiamo detto, riguardano anche la
montagna. Ci chiarisce cosa sta avvenendo in alta quota, grazie anche
ai dati della vostra stazione sull’Everest?
«Come associazione stiamo
seguendo attivamente ciò che
sta succedendo a Parigi, come
abbiamo sempre fatto con le
precedenti conferenze che mi
sono sembrate preparatorie a
questa. Ho grandi aspettative
da questo summit: deve essere
infatti un grande passo in avanti verso la decarbonizzazione
del nostro Pianeta. Secondo me
la conferenza è partita con il
passo giusto e i documenti presentati sono di alto contenuto
tecnico. Ora lo scoglio è trovare
i meccanismi per avverare i de-
«La mia impressione è la stessa di tutti i frequentatori della
montagna. I ghiacciai si stanno
realmente ritirando. Noi, da oltre 20 anni, monitoriamo ciò
che sta succedendo sull’Everest
e assistiamo a un effettivo aumento delle temperature che,
paradossalmente, in alta montagna è maggiore che in pianura.
Inoltre, posso affermare che abbiamo verificato la presenza di
molecole di carbonio nei ghiac-
«L’ambiente sta cambiando
e tutti ne siamo convinti. La
sensibilità sui temi ambientali
sta crescendo e anche i grandi
politici hanno capito l’urgenza
di intervenire. Il grande problema sono i Paesi come la Cina e
l’India, ma anche gli Stati Uniti,
dove c’è una fortissima concentrazione antropica e dove sono
in atto fenomeni di grande inquinamento che potrebbero
creare vere catastrofi. Per me ci
si è resi conto di questo e ora si
deve intervenire con meccanismi precisi e con una maggiore
condivisione di dati sensibili
delle stazioni di monitoraggio.
Tutti dovremmo essere a conoscenza di ciò che sta accadendo
nel mondo: è un atto di trasparenza e di rispetto verso il Pianeta».
Lo stesso discorso che in questi giorni si sente sulla condivisione di dati
sulla sicurezza nazionale…
«Ecco, è lo stesso principio. I
dati in quel caso verrebbero usati per contrastare un fenomeno
criminale, in questo caso per
contrastare fenomeni che stanno modificando l’ambiente. Gli
obiettivi sulla carta ci sono, ora
serve solo agire e monitorare gli
sviluppi per raggiungere effettivamente gli obiettivi».
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La mappa del rischio climatico
I danni subiti per eventi climatici estremi secondo il Global Climate Risk Index 2015 (periodo 1993-2013)
XX Posizione
in classifica
XX Numero
eventi
1 Honduras
Periodo 1993-2012
Numero
21
vittime
ITALIA
20.000
EVENTI
Danni
economici*
31 mld di dollari
69 69
Alluvioni
1994
2000
2002
Ondata
di calore
2003
Siccità
2012
141
Pakistan 10
216
Vietnam
9 Guatemala
80
4 Nicaragua
49
328
Filippine
3 Haiti
61
41
Myanmar
54
228
Bangladesh
8 Repubblica
Domenicana
* perdite assolute (a parit
p
q
)
p
p
7
5
2
6