Avvocati specialisti: pro o contro?

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Avvocati specialisti: pro o contro?
Dibattiti
SPECIALIZZAZIONE FORENSE
Avvocati specialisti: pro o contro?
giovedì 14 gennaio 2016
In attesa che il TAR Lazio si pronunci sui ricorsi presentati da ANF, OUA ed ANAI contro il
Regolamento, in vigore dallo scorso 14 novembre, che disciplina il conseguimento e il
mantenimento del titolo di avvocato specialista (c.d. Specializzazioni Forensi) ci si interroga sui
pro e contro della Riforma. Particolarmente dibattuta è non solo e non tanto l'opportunità di
introdurre le specializzazioni quanto, piuttosto, la bontà dei criteri seguiti per individuare i settori
di specializzazione.
Pro
Bottini Aldo Avvocato in Milano e Socio fondatore e Presidente Nazionale di AGI (Avvocati
Giuslavoristi Italiani)
Quella della specializzazione forense è una storia lunga e tormentata.
Se ne comincia a parlare sempre più diffusamente all'inizio degli anni duemila. La nostra
associazione degli avvocati giuslavoristi italiani (AGI) nasce nel 2002 proprio per chiedere il
riconoscimento della specializzazione, All'epoca dichiararsi specialisti in una determinata
materia era addirittura un illecito disciplinare. Negli stessi anni anche altre associazioni di
avvocati specialisti avanzano la stessa richiesta: l'Unione delle Camere penali (UCPI),
l'Associazione Italiana degli avvocati per la Famiglia e i minori (AIAF), l'Unione nazionale delle
camere civili (UNCC), l'Unione nazionale degli avvocati tributaristi (UNCAT). Ben presto si salda
un'unità d'azione tra queste associazioni che si tradurrà in documenti e proposte di
regolamentazione comuni.
Le ragioni della richiesta di riconoscimento della specializzazione sono semplici, e
hanno a che vedere tanto con le esigenze dell'avvocatura in un mercato legale investito da
profondi cambiamenti, quanto con la tutela del cittadino consumatore di servizi legali. Per
quanto riguarda gli avvocati, è sempre più diffusa l'esigenza di potersi caratterizzare sul
mercato per l'effettiva competenza e settore di attività, in un mondo dove anche la legislazione
è sempre più complessa e settoriale. Dal lato dell'utenza, è evidente l'interesse (e il diritto) ad
una informazione affidabile sulle competenze specifiche di cui il cittadino/cliente ha necessità di
fruire. Il che non significa rendere "obbligatoria" la specializzazione o negare il ruolo
dell'avvocato "generalista". Il paragone con la professione medica rende immediatamente
evidente il tema. Medico generico (o di base) e specialista sono entrambi necessari, e hanno
ambiti di intervento ben delimitati. Certamente nessuno di noi vorrebbe un sistema in cui tutti
medici fossero indistintamente solo "medici", senza possibilità di sapere a chi rivolgersi in caso
di necessità di un intervento specifico. Non si capisce perché sia così difficile estendere lo
stesso concetto agli avvocati. Eppure le resistenze al riconoscimento della specializzazione
sono state (e sono tuttora) feroci da parte dell'avvocatura generalista e delle associazioni che
la rappresentano.
Un primo tentativo , operato dal CNF, di prevedere e disciplinare la specializzazione tramite un
regolamento "interno" all'avvocatura è naufragato a seguito dell'annullamento da parte del
TAR Lazio del relativo provvedimento, su ricorso di un folto gruppo di avvocati "generalisti". La
specializzazione dell'avvocato, ebbe a dire il TAR a suo tempo, si può prevedere e disciplinare
solo con una legge dello stato.
E finalmente, alla fine del 2012, la legge è arrivata. La nuova legge che disciplina la
professione forense prevede la possibilità (non certo l'obbligo) di ottenere il titolo di
specialista: fissa le linee generali e demanda ad un regolamento ministeriale la
determinazione di dettaglio, compresa l'individuazione dei settori nei quali è possibile
ottenere il titolo di specialista. Come è ovvio, questo titolo non ce lo si può autoattribuire, come
forse vorrebbe chi non si fa scrupolo di proclamarsi specialista, sulla propria carta intestata, in
"civile, penale e amministrativo". Le competenze specialistiche vanno verificate e
certificate, a tutela dell'utenza e degli stessi avvocati. E così la legge e il regolamento
attuativo prevedono che al titolo si arrivi attraverso due percorsi alternativi.
Il primo è di tipo "scolastico": una scuola biennale con caratteristiche di serietà, organizzata
nelle università in convenzione con CNF, Ordini e associazioni specialistiche riconosciute come
maggiormente rappresentative e come tali iscritte in apposito albo nazionale. Un percorso già
"sperimentato" dalle associazioni specialistiche AGI, UCPI, AIAF e UNCAT che negli ultimi dieci
anni hanno organizzato, anticipando i contenuti della legge, scuole di alta formazione nelle
rispettive materie, che hanno riscosso grande successo tra i giovani. Il percorso scolastico,
che "costringe" alla collaborazione università e istituzioni della professione, avrà successo se
saprà coniugare, anche nelle modalità didattiche, sapere teorico e sapere pratico, come hanno
fatto in questi anni le scuole promosse dalla associazioni specialistiche. Una scuola di
specializzazione puramente accademica sarebbe un inutile prolungamento della formazione
universitaria e non risponderebbe né agli scopi della legge né alle esigenze della collettività e
degli avvocati.
Il secondo percorso è basato sulla "comprovata esperienza": gli avvocati che abbiano
otto anni di iscrizione all'alba e abbiamo esercitato negli ultimi cinque anni in modo assiduo,
prevalente e continuativo una materia specialistica possono chiedere il rilascio del titolo al
CNF, che dovrà convocare il richiedente per un colloquio sulle materie che rientrano nel
settore di specializzazione. Alla domanda dovrà essere allegata documentazione idonea a
provare l'assidua, prevalente e continuativa pratica specialistica. Il regolamento fissa al
riguardo uno standard minimo: 15 incarichi all'anno, non seriali. Il regolamento elenca anche le
materie nelle quali si può ottenere il titolo di specialista: sono 18, con possibilità per il ministero
di modifica e aggiornamento periodico. Non è possibile essere riconosciuto specialista in più di
due materie. Il titolo va mantenuto con l'aggiornamento specialistico periodico e la pratica
assidua, prevalente e continuativa nel settore di riconosciuta specializzazione. In assenza di tali
requisiti, può essere revocato dal CNF.
Il regolamento, pubblicato in GU il 15 settembre 2015, è entrato in vigore il 14 novembre
2015. Come purtroppo era facile prevedere, è stato impugnato avanti il TAR Lazio dalle
associazioni e dai consigli dell'ordine più sensibili alle istanze degli avvocati generalisti che si
sentono (a torto) minacciati dal riconoscimento della specializzazione. Anche se chi ha
promosso l'impugnazione nelle dichiarazioni non manca di premettere di essere favorevole in
generale alla specializzazione, ma contrario a queste modalità di attuazione, il vero obiettivo è,
come accaduto in tutti questi anni, ostacolare e possibilmente fermarne il riconoscimento. Il
regolamento costituisce, tutto sommato, una coerente ed equilibrata attuazione della legge.
Entrambi sono naturalmente perfettibili, e in alcuni casi (come quello dell'elenco delle materie
specialistiche) prevedono già al loro interno meccanismi di correzione. Proprio con riferimento
alle materie, le stesse associazioni specialistiche hanno rilevato l'eccessiva frammentazione di
quelle civilistiche, alcune delle quali andrebbero accorpate facilitando così anche il
raggiungimento del numero minimo di incarichi. Si tratta di modifiche che potranno essere
messe a punto in corso d'opera, come lo stesso regolamento prevede. Ora però è il momento
di sperimentare con coraggio la novità. Tornare indietro non gioverebbe a nessuno,
tantomeno agli avvocati.
Contro
Scarselli Giuliano Professore ordinario di diritto processuale civile e Avvocato
In tema di specializzazioni nell'esercizio della professione di avvocato è bene distinguere e
tenere separati due aspetti:
a) un primo è dato dall'idea in sé di "specializzazione", ovvero risponde alla domanda, che
molti pongono retoricamente, "E' bene per la collettività che gli avvocati siano specializzati?"
Qui è evidente che tutti rispondono sì, perché è chiaro che è un bene tanto per i cittadini
quanto per il sistema giustizia che gli avvocati, o almeno una parte di essi, siano specializzati, e
possano rendere un servizio legale con particolari competenze.
Eviterei, però, come molti fanno, di equiparare la professione forense a quella medica,
invocando le specializzazioni in ambito forense sulla falsariga di quello che avviene in medicina.
Si tratta di ambiti assolutamente diversi, e peraltro assolutamente diversi sono i percorsi di
formazione professionale che portano alle specializzazioni; ne' un domani si potrà paragonare
l'avvocato non-specializzato al medico generico, perché i problemi generici del corpo umano
non sono paragonabili alle questioni generiche della scienza giuridica.
Per analogia, la professione forense è più simile a quella del commercialista o
dell'architetto, che infatti non hanno specializzazioni formali.
b) Il secondo aspetto, invece, attiene alla circostanza, che, al di là della filosofia circa la bontà
delle specializzazioni, si tratta di vedere in concreto, normativa alla mano, come questa
specializzazione è realizzata e se, sempre normativa alla mano, possiamo dire che questa
sia in grado, in modo equo, di migliorare il servizio legale, consentendo davvero di considerare
"specializzati" quegli avvocati che riusciranno ad ottenere questo riconoscimento.
Questo è il punto essenziale, e questa, a me pare, è la questione da trattare.
E se noi guardiamo alla normativa del fenomeno, notiamo molte incongruenze, che non
possono non essere segnalate, e che ho già avuto modo di esporre in altri scritti:
a) in primo luogo a me sembra che i settori di specializzazione (art. 3 D.M. n. 144 del 2015)
non siano equilibrati, poiché a fronte di una specializzazione per grandi branchie quali quelle
in "diritto amministrativo", "diritto penale", "diritto del lavoro" e "diritto delle relazioni familiari,
delle persone e dei minori", vi sono altre 14 specializzazioni ricavate viceversa spezzettando
settori del diritto pubblico o del diritto privato che ben potevano essere raggruppati.
Faccio riferimento al diritto "dell'Unione europea" separato dal "diritto internazionale", e faccio
soprattutto riferimento al diritto civile, che vede, ad esempio, il diritto agrario separato da quello
dei diritti reali o di proprietà, il diritto dell'esecuzione forzata separato dalle procedure
concorsuali, fino al colmo del diritto commerciale, che è separato da quello industriale, da
quello fallimentare, e da quello bancario.
Non v'è bisogno di dire che anche il diritto penale poteva esser distinto in reati contro la
pubblica amministrazione, oppure contro la persona, o ancora contro il patrimonio; il diritto
amministrativo in controversie aventi ad oggetto gli appalti piuttosto che i concorsi o l'edilizia.
Né v'è bisogno di dire che, anche da un punto di vista statistico, vi sono più cause previdenziali
che su marchi e brevetti: però il diritto previdenziale è stato accorpato al diritto del lavoro,
mentre il diritto industriale è separato da quello commerciale.
Ribadisco allora che questa specializzazione avvantaggia certi avvocati (penalisti,
amministrativisti, laburisti, della famiglia) a danno di altri, ovvero soprattutto di coloro che si
occupano di settori particolari del diritto civile.
b) Medesimi difetti si rinvengono circa le modalità con la quali si ottiene il titolo di
specialista.
Se il titolo si ottiene con "percorso formativo" (art. 7, D.M. n. 144 del 2015), l'avvocato deve
sottoporsi ad un corso universitario biennale di almeno 200 ore, con almeno la frequenza di
100 ore e il superamento di una prova, scritta e orale, al termine di ciascun anno di corso.
Ora, di nuovo, la scelta, non è equilibrata, perché 200 ore di diritto penale o amministrativo o
del lavoro si fanno già in università, non è un percorso che può dare una specializzazione; al
contrario 200 ore di diritto delle successioni o per marchi e brevetti appaiono eccessive e
difficilmente gestibili.
c) Lo stesso vale se il titolo di specialista si ottiene per "comprovata esperienza" (art. 8, D.M. n.
144 del 2015), che si ha dimostrando di aver esercitato negli ultimi cinque anni in modo
assiduo, prevalente e continuativo, attività di avvocato in una delle aree di specializzazione
trattando incarichi professionali fiduciari rilevanti per quantità e qualità, almeno pari a quindici
per anno.
Anche qui si sono usati due pesi e due misure, perché gli avvocati che facciano
amministrativo, oppure penale, oppure diritto del lavoro, o ancora diritto di famiglia, otterranno
tutti la specializzazione, non avendo problemi a dimostrare di avere, in questi ampi settori, 15
pratiche l'anno, mentre lo stesso non potranno fare, o faranno con assoluta maggiore difficoltà,
gli altri avvocati.
d) Da rilevare, poi, che la il sistema delle specializzazione non tiene conto della formazione e/o
dell'esperienza che un avvocato possa avere in un settore a prescindere dal corso di
formazione o dal numero di pratiche che faccia in un anno, non solo perché magari, in quel
settore, quell'avvocato è titolare di cattedra universitaria, ma anche perché in quel settore un
certo avvocato potrebbe aver contributi dottrinali, pubblicazioni, relazioni in convegni e incontri
di studio.
Si doveva prevedeva che le 200 ore di corso o i 15 incarichi annuali potessero essere mitigati
con la dimostrazione della conoscenza della materia in altro modo.
e) Infine da rilevare che i "percorsi formativi" sono adatti, per lo più, ai giovani
avvocati, che possono avere più tempo, più energie e più capacità di apprendimento; non
sono idonei invece per gli avvocati più anziani, che difficilmente avranno tempo ed energie per
seguire un corso di 200 ore, magari in città diversa rispetto a quella nella quale vivono o
lavorano.
Di nuovo avremo con più facilità avvocati specializzati tra i giovani piuttosto che tra gli anziani.
d) Ancora, i "percorsi formativi" sembrano costosi, perché con le quote dei corsi si
dovranno coprire tutte le spese, nessuna esclusa, dalla gestione all'organizzazione, alla
docenza e quant'altro.
Le specializzazioni, pertanto, non differenzieranno soltanto i giovani rispetto agli anziani, ma
anche gli abbienti rispetto ai meno abbienti.
Chi saranno allora gli "avvocati specialisti".
Saranno gli avvocati penalisti, amministrativisti, del lavoro, della famiglia.
A questi si aggiungeranno dei giovani, meglio se facoltosi.
Per tutti gli altri sarà arduo ottenere questa specializzazione, che infatti è stata voluta da certe
categorie di avvocati.
Se torniamo alla domanda di filosofia iniziale possiamo dire: è utile che gli avvocati siano
preparati e competenti, e soprattutto che esercitino la professione con attenzione, scrupolo,
passione, senso di responsabilità, rigore morale e deontologico; l'etichetta della
specializzazione, però, soprattutto se regolata in questo modo, non assicura affatto queste
caratteristiche.
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