Saggio Wilson(application/pdf - 3.12 MB )

Transcript

Saggio Wilson(application/pdf - 3.12 MB )
La contraffazione delle maioliche all’inizio del Novecento:
la testimonianza del Museen-Verband
Timothy Wilson
N
ella sua guida allo studio della ceramica (Keramisk Haandbog) pubblicata nel 1919,
il ben informato Emil Hannover, direttore del Museo Industriale Danese di Copenaghen, scriveva1:
I falsi più recenti sono difficili da individuare; molti di questi sono veramente un serio pericolo e
richiedono la massima cautela. Ciò è vero in particolare per un gruppo messo all’asta a prezzi molto alti l’anno prima dell’inizio della guerra da un famoso antiquario di Roma, che aveva goduto
fino ad allora di una buona reputazione. Se il proprietario della casa antiquaria ha agito in buona
fede, speriamo che egli si senta in dovere di pubblicare prima o poi tutti i falsi da lui disseminati,
in modo da porre rimedio a tutta la confusione da lui causata nello studio della ceramica, per via
del fatto che l’autore di questi falsi aggiunge su alcune delle sue ceramiche nomi di centri di produzione e marchi di artisti e fabbriche nella maniera più impudente ed indiscriminata.
Hannover non fa il nome dell’antiquario coinvolto; ma non c’è dubbio che egli si riferisca ad Imbert.
È chiaro che la mostra della collezione di maioliche di Imbert al Musée des Arts Décoratifs di Parigi nel 1911 comprendeva numerosi falsi recenti. Particolarmente strano agli occhi di chi fosse familiare con gli istoriati rinascimentali, deve essere sembrato un gruppo
di pannelli dipinti in stile urbinate del secondo quarto del Cinquecento, quattro dei quali sono illustrati qui (figg. 1-6)2. A chiunque conoscesse la collezione Mazza del Museo di
Pesaro, sarebbe stato immediatamente chiaro che alcune composizioni esposte nella mostra del 1911 avevano come modello le maioliche di quella collezione. Alcune di quelle
copie sembrano oggi così palesemente false che sorprende il fatto che non abbiano provocato fermento sulla stampa parigina dell’epoca, ma, nonostante le diligenti ricerche nelle biblioteche e archivi parigini condotte per me da parte della signora Raymonde Royer,
non è stato trovato nessun articolo che accusi il Musée des Arts Décoratifs di esporre falsi. Tuttavia la mostra parigina non sembra aver sollevato molto interesse né da parte del
pubblico né da parte degli specialisti del settore.
Lo scopo principale di questo saggio è di presentare materiale pertinente su ciò che era noto sulla falsificazione di opere d’arte nelle cerchie museali specializzate negli anni prima e dopo la Prima guerra mondiale, dalla fonte più dettagliata e affascinante sull’argomento: la serie degli atti dell’Associazione degli ufficiali museali per la difesa contro i falsi e le scorrette
pratiche museali (Verband von Museumsbeamten zur Abwehr von Fälschungen und unlauterem Geschäftsgebahren, chiamata spesso per brevità, come comprensibile, Museen-Verband).
1
Hannover, 1919, I, p. 155; secondo la fedele traduzione in inglese da parte di Rackham, 1925, pp. 166167. Hannover fu eletto membro della Verband nel 1903 e partecipò alle riunioni regolarmente. Ulla
Houkjaer ha gentilmente controllato per me i suoi diari conservati a Copenhagen e non sembra che lui abbia mai visitato l’esposizione parigina del 1911 dove Imbert espose la sua collezione.
2
Questi quattro pannelli erano in un gruppo di plaques et plaquettes messe insieme stranamente nell’appendice del catalogo, ma con nessuna indicazione che fossero opere di dubbia autenticità. Il catalogo fu
scritto da André Dubrujeaud (1911), non altresì noto come autore di scritti sulla maiolica, ma che aveva
collaborato nello stesso anno ad un’altra esposizione al Musée des Arts Décoratifs, su Turquerie. La prefazione al catalogo fu scritta dal curatore del Louvre, Gaston Migeon, ma non è chiaro se egli avesse o meno
visto le opere in mostra. Non sono stato in grado di rintracciare il proprietario attuale dei pannelli qui riprodotti, che sono stati offerti sul mercato a Londra nel 2006.
1
1-2. Fronte e retro del pannello, L’Assunzione della Vergine, copia di un pannello conservato al Museo di
Pesaro (Giardini, 1996, n. 302). Con l’iscrizione falsa: Faenza 1531. 26.7 x 20.5 cm. Esposto al Musée
des Arts Décoratifs, Parigi, 1911 (Dubrujeaud, 1911, n. 495). Probabilmente Ferruccio Mengaroni
(1875-1925), Pesaro. Ubicazione attuale sconosciuta.
Questa associazione, formata da conservatori e direttori di musei, fu fondata nel 1898 su
iniziativa di Justus Brinckmann, direttore del Museum für Kunst und Gewerbe di Amburgo, e di Heinrich Angst, direttore dello Schweizerisches Landesmuseum di Zurigo. Si
riunì annualmente, in varie città, con interruzioni durante e dopo la Prima guerra mondiale, fino al 1939. La maggioranza dei soci rimase sempre tedesca.
I vari documenti inviati ai soci erano confidenziali e in teoria rimasero di proprietà dell’associazione. Di conseguenza, le comunicazioni (Mitteilungen) e gli atti (Verhandlungen)
sono oggi rari; nessuna serie completa è stata rintracciata in una sola biblioteca pubblica
e questa documentazione è considerata confidenziale da chi la custodisce. Il presente resoconto è stato ottenuto, per gentile autorizzazione dei conservatori, dalle serie incomplete conservate negli uffici curatoriali del Victoria and Albert Museum di Londra e del
Kunstgewerbemuseum di Berlino3.
3
Sono sinceramente grato alle seguenti persone per la generosa assistenza nelle mie ricerche e per aver messo a disposizione materiale: Paul Williamson, Norbert Jopek ed Elisa P. Sani, Londra; Susanne Netzer, Berlino; Johan-
2
3-4. Fronte e retro del pannello, Il Giudizio Universale, copia da Michelangelo,
con l’iscrizione: Guidus Ubaldo d’Aragona Ducha Urbinatis. 38.4 x 28.1 cm.
Esposto al Musée des Arts Décoratifs, Parigi, 1911 (Dubrujeaud, 1911, n. 500).
Probabilmente Ferruccio Mengaroni, Pesaro. Ubicazione attuale sconosciuta.
3
5. Fronte del pannello, Latona e i contadini della Licia, copiato da un tondino nel Museo di Pesaro
(Giardini, 1996, n. 109). Con la data fallace: 1532. 30.5 x 20.5 cm. Esposto al Musée des Arts
Décoratifs, Parigi, 1911 (Dubrujeaud, 1911, n. 501). Probabilmente Ferruccio Mengaroni, Pesaro.
Ubicazione attuale sconosciuta.
Dagli esordi del gruppo, la falsificazione delle maioliche fu una delle problematiche a
creare preoccupazione. Al secondo incontro, a Zurigo nel 18994, Otto von Falke, allora
direttore del Museo di Arte Applicata di Colonia, e autore a quel tempo della più autorevole pubblicazione in lingua tedesca sulla maiolica, la guida del museo di Arti Applicate
di Berlino5, segnalò l’esistenza di falsi di maioliche faentine con bordi blu berettino decorati a grottesche e allora genericamente attribuiti alla Casa Pirota; Falke sottolineò che “recentemente, i falsi sono diventati così ben fatti che sono difficili da smascherare”. In un
discorso più dettagliato tenuto durante lo stesso incontro6, Falke dichiarò che in due aste
recenti di Christie’s a Londra vi erano maioliche false. All’asta di Stefano Bardini egli rina Lessmann e Angela Graf, Amburgo; Hanspeter Lanz, Zurigo; Ulla Houkjaer, Copenaghen; Raymonde Royer
e Françoise Barbe, Parigi; Lucio Riccetti, Perugia e New York; Marco Spallanzani, Firenze; Paola di Pietro, Modena. Ringrazio Bridget Allen per aver messo insieme il materiale fotografico. Sono riconoscente alla Facoltà di
Storia dell’Università di Oxford per aver finanziato con poco preavviso un viaggio di studio a Berlino.
4
Mitteilungen, atto 31.
5
Von Falke, 1896. Su von Falke e la maiolica, vedi Hausmann, 1994 pp. 7-16.
6
Mitteilungen, atto 33.
4
6. Fronte del pannello, Dante e Virgilio nel Limbo, copiato da un tondino nel Museo di Pesaro (Giardini,
1996, n. 112). Con la firma e data false: fata i[n] pisauri d[a] Lanfranco d[i] G. 1522. 26.5 x 20.5 cm.
Esposto al Musée des Arts Décoratifs, Parigi, 1911 (Dubrujeaud, 1911, n. 502). Probabilmente Ferruccio
Mengaroni, Pesaro. Ubicazione attuale sconosciuta.
conobbe come falsi due albarelli di tipologia fiorentina quattrocentesca e inoltre, alla vendita della collezione Zschille, egli dichiarò falso un gran piatto ovale, con Giuseppe di fronte al Faraone7, e anche due albarelli tardoquattrocenteschi8. Egli proseguì dubitando l’autenticità di due piatti, uno con ritratto di Raffaello e uno del Perugino, conservati rispettivamente al Museo di Cluny e a South Kensington9, e una serie intera di piccoli piatti
veneziani dipinti a grottesche con rovesci decorati alla porcellana10.
7
Asta Zschille, Christie’s, Londra, 1-2 giugno 1899, lotto 134 (acquistato da “Johnson” per £ 240 ghinee).
Nel suo catalogo della collezione Zschille pubblicato nello stesso anno von Falke (1899, n. 134) aveva descritto
il piatto con riluttanza come “nello stile del servizio ducale al Bargello”, senza proporre una datazione.
8
Asta Zschille, lotti 4 e 5. Nel suo catalogo, von Falke non aveva sollevato dubbi sull’autenticità di questi
due albarelli.
9
Museo di Cluny: Darcel - Delange, 1869, n. 73; donato da C. Fayet al Museo di Cluny nel 1889; escluso, probabilmente, perché considerato falso, da Giacomotti, 1974. Museo South Kensington: Robinson,
1856, n. 9; Rackham, 1940, n. 956.
10
La tipologia è presa in esame da Wilson, 1996, nn. 163-164; nonostante ciò dichiarato da von Falke, che
questo tipo di maioliche non compaia mai nelle collezioni più antiche, faccia riflettere, io non sono riuscito a convincermi che, almeno questi due esemplari, siano falsi.
5
All’incontro di Colonia dell’anno dopo, von Falke informò i soci in merito a copie e falsi esposti all’Esposizione Universale di Parigi del 1900. Egli attirò l’attenzione dei soci sulle oneste imitazioni esposte da Cantagalli, sottolineando che esse sono sempre marcate
con il marchio di fabbrica del gallo, ma aggiunse che “questo pittore potrebbe essere pericoloso se il marchio fosse assente”11. Egli lodò come novità le copie di ceramiche ingobbiate e graffite esposte da Carlo e Giano Loretz. Nel 1907, il dottor Pit di Amsterdam dichiarò di aver visitato Giano Loretz a Milano; egli lo descrive come “un giovane ed abile
ceramista”, e riportò che “egli crea queste opere come moderne imitazioni, ma gli antiquari le mettono in vendita per antiche”12.
Nello stesso incontro di Parigi del 1907, il gruppo visitò il museo di Cluny. Von Falke e
alcuni altri soci espressero dubbi sugli albarelli decorati con ritratti di profilo donati al
museo nel 1889; dubbi sull’autenticità di questi e di altri due albarelli simili conservati al
British Museum continuano fino ad oggi: nel recente catalogo del British Museum, i
quattro vasi vengono considerati più probabilmente autentici che falsi ma la questione rimane aperta13.
Nel settembre del 1909, il gruppo si incontrò a Praga e Friedrich Sarre, lo specialista di
arte islamica dei musei di Berlino, discusse un albarello che Wilhelm von Bode aveva acquistato da un antiquario fiorentino, commentando così14:
L’opera, all’apparenza una maiolica di Orvieto del Trecento o del Quattrocento, solleva dubbi per
varie ragioni. In anni recenti, i pozzi scavati nel tufo sotto i cortili delle case medievali hanno portato alla luce un tipo di ceramica medievale che si differenzia notevolmente dalle ceramiche dello
stesso periodo trovate in altre parti d’Italia. A causa del fatto che esse sono reperti di scavo, queste ceramiche sono ovviamente spesso soprattutto frammenti, e soltanto eccezionalmente opere
intere. I gruppi più grandi di ceramiche orvietane appartengono all’antiquario Volpi di Firenze15,
all’avvocato Arcangelo Marcioni di Orvieto16, e ad Al. Imbert di via Condotti, Roma. Quest’ultimo ha pubblicato la sua collezione in un elegante volume, Ceramiche orvietane dei secoli XIII e XIV,
dedicando il libro a Pierpont Morgan…17. Nell’estate del 1909 io mi fermai ad Orvieto per studiare questi ritrovamenti di ceramiche ed acquistai una serie di frammenti che permettono di capire le caratteristiche dell’argilla, della forma e della decorazione della ceramica orvietana. L’albarello in questione mostra caratteristiche decisamente diverse…
11
Von Falke ritornò sull’argomento nel 1910 (von Falke, 1910, p. 37), segnalando anche le riproduzioni
di maioliche faentine pericolosamente ingannevoli realizzate dalla Società di Ceramiche Faentine a Bruxelles.
12
Carlo e Giano Loretz, gli esponenti più brillanti del revival ottocentesco della ceramica graffita e ingobbiata, sono protagonisti di una serie di articoli da parte di E. Venturelli; ad esempio, Venturelli, 2007, pp.
119-139.
13
Thornton - Wilson, 2009, I, n. 32. Sugli albarelli di Cluny, oggi ad Ecouen, vedi Giacomotti, 1974, nn.
94-95. Von Falke, in Verhandlungen der zwölften Versammlung des Verbandes von Museums-Beamten (Prag),
p. 7 espresse l’opinione che gli albarelli al British Museum non siano autentici, ma egli ammise che Bode
credeva che quelli di Cluny fossero autentici.
14
Verhandlungen der zwölften Versammlung (Prag), pp. 5-7.
15
Su Volpi (1859-1938), Ferrazza, 1994; e per la sua maiolica orvietana, Satolli, 1997, pp. 24-27.
16
Satolli, 1997, pp. 28-35.
17
Imbert, 1909 e 2005; Riccetti, 2005.
6
I conservatori riuniti si mostrarono d’accordo con Sarre. Georg Swarzenski di Francoforte aggiunse che18:
Paccini di Firenze, che ha un buon numero di ceramiche orvietane autentiche, durante una conversazione avuta con me alla fine del 1908, mi parlò dei falsi prodotti ad Orvieto e me ne mostrò
un armadio pieno; tra questi vi erano non solo ceramiche intere ma frammenti di vario tipo e falsi che non avrei mai sospettato come tali. Paccini tiene queste a parte e le mostra come falsi.
Non ci fu nessuna discussione specifica sulla maiolica nell’incontro del 1911 a Bruxelles o
in quello di Vienna del 1912, e gli atti non fanno cenno della mostra di Imbert del 191119.
Nel settembre del 1913, durante un incontro a San Pietroburgo, von Falke, che continuò
ad essere il più agguerrito a consigliare prudenza sui falsi di maioliche, ritornò sull’argomento. Egli parlò di una bottega che credeva attiva a Roma, “che ha inondato il mercato
in anni recenti ed è particolarmente ben rappresentata nella collezione Imbert”. Falsi di
questa bottega erano anche presenti, dichiarò ancora Falke, nelle due più grandi collezioni
tedesche del tempo, quella di Adolf von Beckerath e quella di Alfred Pringsheim20.
Il mese successivo, pochi giorni prima dell’asta della collezione von Beckerath a Berlino,
von Falke mise in guardia sull’autenticità di parecchie opere in quella vendita21.
La Prima guerra mondiale interruppe gli incontri dell’associazione, ma nel 1924, nell’incontro di Wroclaw (Breslau), von Falke, ormai direttore generale dei musei berlinesi, ritornò sull’argomento in due conferenze, dove scese più in dettaglio di quanto avesse fatto in precedenza. Ormai Imbert era il soggetto principale della discussione22:
Sembra a me pertinente riprodurre [vedi figg. 7-8]23 una serie di fotografie di maioliche false apparse sul mercato intorno al 1910…
18
Quasi allo stesso tempo Henry Wallis, che visitò Orvieto nel novembre 1908, mise in guardia C.H. Read
del British Museum sui falsi di Orvieto: Wilson, 2002, pp. 249-250.
19
Forse a causa del fatto che Otto von Falke non era a Bruxelles per l’incontro dell’associazione del settembre 1911.
20
Verhandlungen der sechzehnten Versammlung (St. Petersburg), pp. 17-18. Marquet de Vasselot commentò che
il Louvre aveva acquistato “cinque o sei anni fa” un’opera dello stesso gruppo. Allo stesso incontro von Falke
espresse dubbi su due vasi da farmacia ad Amburgo che sono discussi e illustrati in Wilson, 2002, p. 234.
21
Mitteilungen, atto 411. Le ceramiche che suscitarono i dubbi di von Falke (1913) sono i lotti 2, 3, 4, 6, 7, 20,
44, 68, 342 e 356 in Die Majolika-Sammlung Adolf von Beckerath, Lepke, asta n. 1691, Berlino, 4-5 novembre
1913. Secondo chi scrive c’erano più falsi di quanti nominati da von Falke in quella pioneristica collezione di
maiolica. Von Falke aveva lui stesso scritto l’introduzione al catalogo d’asta. Vedi anche Netzer in questo catalogo; Krahn - Lessmann, 1997; Kunstsinn der Gründerzeit, 2002; Thornton - Wilson, 2009, II, p. 638.
22
Mitteilungen, atto 515 (datato luglio 1923); Verhandlungen der zwanzigsten Versammlung (Breslau), p. 8
(4 ottobre 1924). Alcuni degli albarelli illustrati sono da confrontare con la tipologia autentica identificata
da Donatone (1970 e 1993) come produzione legata alla corte napoletana del tardo Quattrocento. Per dubbi sull’autenticità di alcune maioliche di questa serie, vedi anche Rasmussen, 1989, nn. 153-156. I due albarelli illustrati sulla parte inferiore destra della fig. 8 sembrano essere quelli ora conservati al Fitzwilliam
Museum e catalogati come autentici in maniera convincente da Poole, 1995, cat. 352 e 353.
23
È verosimile che esse siano alcune tra le 61 fotografie di “primitiven Fayencen” che Imbert spedì a
Wilhelm von Bode nell’aprile del 1910 (SMPK Archivio, Berlino, Nachlass Bode, 2716, lettera di Imbert,
19 aprile 1910). Su questa corrispondenza vedi Riccetti, 2001, pp. 26-29.
7
Le fotografie furono spedite da Imbert da Roma. A quel tempo, nel 1911, Imbert era impegnato
nell’allestimento della mostra della sua collezione piena di falsi al museo di arti decorative di Parigi e probabilmente credeva ancora nell’autenticità delle sue maioliche o non era stato messo al
corrente in maniera adeguata in merito alla prolificità e bravura dei falsari italiani… Le opere sono completamente false e realizzate in una sola bottega… Che tali ceramiche non siano autentiche è provato dalla debole o decisamente moderna esecuzione dei profili, del malfatto disegno dei
capelli, dell’incongrua rappresentazione dei cappelli e dell’inadeguata esecuzione del motivo della
foglia gotica…
Ormai von Falke sapeva chi era responsabile di almeno una parte dei falsi messi in vendita da Imbert. Intitolò una successiva conferenza nello stesso 1924: “Le maioliche false
di Ferruccio Mengaroni”24. Egli ricordò il suo intervento del 1913, quando aveva segnalato un nuovo tipo di falsi diffusosi rapidamente fuori Italia, che non copiava più la maiolica in voga precedentemente: quella arcaica dei frammenti rinvenuti ad Orvieto e quella
fiorentina quattrocentesca, ma imitava invece quella rinascimentale della prima metà del
Cinquecento:
Fino a quando ci si imbatteva in esempi isolati qua e là, la problematica rimaneva poco chiara. Essa tuttavia diventò palese, quando l’antiquario Imbert, allora con sede in via Condotti a Roma,
nel tentativo di mettere insieme una grande collezione di maiolica in poco tempo, acquistò molti di questi falsi, all’inizio in buona fede, probabilmente. Inoltre, gli imponenti albarelli in stile
tardo-gotico di tipo fiorentino e napoletano (discussi in precedenza) erano presenti nella sua collezione in un numero molto alto e tutti di simile esecuzione. La collezione Imbert, contenente circa 500 maioliche, fu esposta al Musée des Arts Décoratifs del Louvre accompagnata da un catalogo. Insieme alla maiolica arcaica – sia nuova che vecchia – e tra le molte opere autentiche – vi
erano parecchie dozzine delle più curiose imitazioni di maioliche rinascimentali, soprattutto in stile urbinate o di Castel Durante. Molte di queste opere sfoggiano firme importanti, in particolare
relative a Pesaro. Per esempio abbiamo sempre creduto, e lo crediamo ancora oggi, che il più conosciuto maiolicaro attivo ad Urbino (grazie al numero infinito di opere firmate), Francesco Xanto Avelli da Rovigo, non avesse una sua propria bottega ad Urbino, perché egli non firma mai come maestro, ossia capo bottega, ma soltanto col suo nome ed iniziali. Nella collezione Imbert ed
anche nel catalogo ufficiale della collezione c’erano due maioliche che mostravano il contrario. Il
numero di catalogo 463 è marcato “Fata in Botega di F.X.R. d’Urbini 1532”; ed il numero 505:
“Facta in Botega di Xanto Avello da Rovigo d’Urbini 1527” (tra l’altro, Xanto non firma mai Avello ma sempre Avelli, e mai d’Urbini). C’era anche un nuovo “Pietro Durantino 1545” (numeri 466, 523) ed in particolare molte curiose firme da Pesaro (n. 382)25 ma il piuttosto frettoloso
catalogo non le riporta.
Il fatto che questi falsi siano stati esposti nel Pavillion Marsan e descritti nel catalogo ci fa capire
che essi erano tecnicamente e stilisticamente ben fatti.
I modelli erano probabilmente stati forniti dalla vasta collezione dell’Ateneo Pesarese, mentre alcune delle iscrizioni e dei marchi più assurdi sono solo il frutto della sfrenata fantasia del falsario.
Da notare in generale che:
24
Mitteilungen, atto 523.
Vedi il piatto chiaramente falso con Latona e i contadini di Licia e iscrizione che fa riferimento a Pesaro
illustrato in Damiron, 1956, fig. 80, con una nota che esprime dubbi sull’autenticità delle opere “pesaresi”
nella collezione Imbert.
25
8
1. Le composizioni dei piatti con figure in stile istoriato urbinate sono spesso dipinte su scala inferiore del normale;
2. Che, insieme a coppe e piatti, le targhe sono molto frequenti, in molti casi di misura inferiore
ai piatti autentici usati per decorare le pareti;
3. Che lo stile pittorico sembra in generale più sbiadito, senza la ricchezza e brillantezza, perché i
falsi erano cotti senza coperta, la brillante invetriatura applicata sopra lo smalto stannifero.
Credevo che dopo l’istruttiva mostra di falsi di questo tipo del 1911, la cui origine era allora sconosciuta, i musei fossero ora più cauti e meglio preparati, nonostante i falsi messi in circolazione
ancora oggi, sul mercato antiquario.
Fui così molto sorpreso nel notare, nell’elegante pubblicazione dell’Accroissements des Musées Nationaux26, come il Louvre, che avrebbe dovuto essere il museo più attento dopo la mostra del
1911, abbia acquistato nel 192027 uno degli esempi più eclatanti di questa tipologia. Si tratta di
una targa con la Crocifissione del Cristo tratta da Dürer, della quale un altro esemplare con iscrizione e data senza significato, “GN Faenza 1537”, era già nella collezione Imbert. La nuova pubblicazione del Louvre afferma che il Victoria and Albert Museum possiede una copia della targa,
e menziona l’illustrazione dell’Argnani nel Rinascimento delle Ceramiche di Faenza, dove l’esemplare di Londra è illustrato a colori… Ma l’esempio di Londra non è una copia ma è l’originale.
Acquistato nel 1865 dalla collezione Pourtalès per 126 sterline e marcato TB, esso può essere datato verso il 1510-1515…28.
Ciò che importa è che la bottega ceramica dove questi falsi, e senza dubbio anche gli albarelli già
menzionati, sono stati realizzati sia stata individuata. Devo qui ringraziare Bernard Rackham, direttore del dipartimento di ceramica del Victoria and Albert Museum per avermi comunicato di
aver visitato il laboratorio di Ferruccio Mengaroni a Pesaro e di aver visto lì un’altra replica della
targa con la Resurrezione ed anche una copia della targa con San Sebastiano al Bargello (come l’altra eseguita da TB).
Ferruccio Mengaroni di Pesaro (1875-1925) fu il più grande genio artistico sia nel revival
della maiolica rinascimentale che nella sua contraffazione. Quando morì in un bizzarro
incidente mentre stava allestendo un’enorme scultura ceramica di una Gorgone in una
mostra a Monza, egli venne lodato in maniera molto lusinghiera da autorità illustri come
Gaetano Ballardini e Luigi Serra29. Ci sono pochi dubbi sul fatto che von Falke avesse ragione a considerare molte delle maioliche esposte alla mostra parigina del 1911, e probabilmente la maggior parte o tutte le targhe, come opera sua, realizzate di recente.
Un aneddoto, che riporto qui di seguito, apparso sul volume Antiquaria del commerciante Augusto Jandolo (1873-1952), pubblicato nel 1947, getta un po’ di luce sul tipo
di rapporti che Mengaroni strinse con altri antiquari di Roma (Imbert non viene nominato). Lo spunto è fornito da un piatto decorato in bianco sopra bianco che circolò sul
mercato antiquario come eccezionale esempio di maiolica rinascimentale, ma che era in-
26
Les Accroissements des Musées Nationaux Français, III, Le Musée du Louvre en 1920. Dons, legs et acquisitions (Parigi, 1921), planche 43.
27
Louvre OA7358.
28
Rackham, 1940, n. 275. La versione di Imbert, probabilmente realizzata da Mengaroni, è forse quella
venduta a Bonham’s, Londra, 13 maggio 2009, lotto 24. Un’altra copia della targa, mi ha comunicato Bet
McLeod, è nel “Black Museum” dei falsi a Sotheby’s, Londra.
29
Ballardini, 1929; Serra, 1925, pp. 309-321.
9
7-8. Fotografie probabilmente spedite da Imbert a Wilhelm von Bode a Berlino, aprile 1910. Dai
Mitteilungen des Museen-Verbandes, atto 515. Opere per la maggior parte realizzate all’inizio del XX
secolo, attribuite da Otto von Falke a Ferruccio Mengaroni.
10
vece opera di Mengaroni. Un amico presentò a chi scrisse l’aneddoto quel “ragazzo pieno
di talento”30:
Nel desiderio di poter chiarire il mistero, puntuale a mezzogiorno, mi reco a Palazzo Borghese.
Ferruccio Mengaroni era allora un bel giovanotto dagli occhi vivissimi, dalla testa scarmigliata. Aveva l’aria un po’ provinciale, era nervoso, parlava affrettato e a scatti. Dopo i primi convenevoli
si venne a discorrer del piattino.
‘Ah, il piatto faentino?! – rise un po’ –. Quella fu una majolica indovinata! A Roma specialmente
ha avuto un gran successo. Circa un anno fa, bighellonando per Via Babuino vidi il mio piatto
nella vetrina del negozio di L... Chiesi per curiosità il prezzo. “Cinque mila” mi rispose quel furbacchione del proprietario. Alla mia meraviglia espressa per la richiesta, oppose ch’era un pezzo
assai raro che valeva un occhio. “Quante dozzine ne volete?”, domandai, ridendo, “Quel piatto
l’ho fatto io”. “Voi?”. “Proprio io!”. Sul principio fece una faccia incredula, ma gli mostrai, allo
scopo di persuaderlo, due piccole mattonelle che avevo con me, ispirate da una stampa di Durero.
“E se io vi ordinassi un certo numero di piattini come questo?” – domandò l’antiquario dopo aver pensato un po’ – “mi faresti un prezzo conveniente?”. “Quanti?” – domandai subito. – “Anche una mezza dozzina” – rispose lui –. “Ebbene, considerando il numero, ve li metto centocinquanta lire l’uno”. “Affare fatto. Pagamento immediato sulla consegna” – concluse. Eseguiti ch’ebbi i sei piattini glieli mandai. Li deve avere venduti tutti – aggiunse il giovanotto – perché ieri me
ne ha ordinati altri sei.
Il lucido smascheramento di Mengaroni da parte di Falke all’incontro del 1924 fu il suo
ultimo importante contributo sulla maiolica per gli atti dell’associazione31. Bernard
Rackham del Victoria and Albert Museum di Londra venne eletto membro dell’associazione nel 1925 e, dopo che Falke andò in pensione nel 1927, divenne il maggior esperto
di maiolica del gruppo32. Nel 1930, a Stoccolma, Rackham tenne una conferenza sui falsi di maiolica. Tra le opere da lui condannate come falsi c’erano almeno tre maioliche, che
sono, a mia opinione, perfettamente autentiche: un piatto con Ercole e l’Idra nell’Ashmolean Museum di Oxford33 e due coppe dalle collezioni Rothschild, Sassoon e Cholmondeley che chi scrive ha recentemente pubblicato come esempi autentici di istoriato pesarese precoce34. Egli ammise anche di aver acquistato per il Victoria and Albert Museum
30
Jandolo, 1947, pp. 229-234. Sono grato a Lucio Riccetti per questa segnalazione.
Nell’atto 555 dei Mitteilungen, von Falke riproduce altri tre falsi attribuendoli a Mengaroni, conservati
all’Hermitage e spediti dal curatore del museo russo A. Kube: un Ratto delle Sabine con bordo a figure, un
Apollo e Pan, entrambi derivati da originali del museo di Pesaro, e una Giuditta copia del famoso piatto di
Cafaggiolo del Victoria and Albert Museum.
32
A parte il suo intervento di Stoccolma, Mitteilungen, atto 656, Rackham fornì un resoconto interessante
sui restauri fuorvianti del “Deruta plate” nel V&A (Rackham, 1940, n. 430), Mitteilungen, atto 767 (1937).
33
Wilson, 2003, n. 8; vedi Thornton - Wilson, 2009, II, n. 297; Rackham sembra considerare falso il piatto al British Museum, così come quello all’Ashmolean e un altro nella collezione Schiff (de Ricci, 1927, n.
102). Il piatto del British Museum fu acquistato nel 1851, prima della riscoperta del lustro in Italia.
Rackham aveva certamente ragione a considerare falsi sia il piatto con la processione papale nella collezione Schiff (de Ricci, 1927, n. 99; ora al Metropolitan Museum of Art, 46.85.36) che un piatto al Fitzwilliam di Cambridge (Poole, 1995, n. 263).
34
Wilson, 2005, pp. 8-24. La coppa alla figura I di quel saggio è stata poi acquistata dall’Ashmolean Museum.
31
11
una targa di Mengaroni credendo che essa fosse un esempio precoce di maiolica faentina35. Concludendo così:
Poco prima della sua tragica morte visitai Mengaroni nel suo studio e vi trovai molte opere copiate da cromolitografie. Io non so se lui lavorasse volontariamente per il commercio di falsi. Posso soltanto dire che vidi sulle tavole da lavoro del laboratorio numerose coppe e piatti rotti e rincollati insieme. Forse questo fatto in sé spiega come stavano le cose. In ogni caso Mengaroni fu uno tra i più pericolosi falsari di maiolica.
I contributi dell’associazione tra il 1909 e il 1930 qui riportati non lanciano accuse dirette di disonestà nei confronti di Mengaroni o di Imbert. È tuttavia abbastanza chiaro che
i conservatori meglio informati dei musei europei dopo la Prima guerra mondiale erano,
a dire poco, scettici, della buona fede sia dell’artista che dell’antiquario.
Appendice
Il Verband von Museumsbeamten zur Abwehr von Fälschungen und unlauterem Geschäftsgebahren
merare
appen-
L’associazione fu fondata nel 1898, in risposta alla crescente preoccupazione che i musei fossero
raggirati nell’acquisto di falsi, su iniziativa di Justus Brinckmann di Amburgo e di Heinrich Angst di Zurigo36. Il suo scopo principale era di condividere informazioni sui falsi. L’adesione all’associazione era soltanto su invito e limitata ai direttori e conservatori di musei. Rimase concentrata in Germania, incontrandosi prevalentemente in quel paese ma a volte anche all’estero, con una maggioranza di soci tedeschi; gli atti e le conferenze sono quasi sempre in lingua tedesca.
Una lista dei soci prodotta nel 1908 elenca 54 tedeschi; 11 dell’Impero austro-ungarico; 11 soci dalla Francia; 7 dalla Gran Bretagna e Irlanda; 5 dalla Danimarca e dai Paesi Bassi; 4 dalla Norvegia; 3
dal Belgio, dalla Russia, dalla Svizzera e dalla Svezia e uno dall’Italia, Spagna e Romania. L’esiguo numero di soci italiani è degno di nota, visto che la maggior parte delle discussioni era basata su falsi
d’arte italiana; i soli italiani elencati come soci furono Angelo Scrinzi, direttore del Museo Correr di
Venezia, socio dal 1905 al 1913, Giulio Bariola, direttore della Galleria Estense di Modena, socio
dal 1908 al 1910 e Giovanni Poggi direttore del Bargello di Firenze, eletto socio nel 1909; chi scrive non ha trovato alcuna testimonianza che questi tre italiani abbiano mai partecipato agli incontri.
Corrado Ricci, allora soprintendente di Ravenna, e Igino Benvenuto Supino, allora direttore del Bargello, furono invitati nel 1906-7, ma entrambi declinarono l’offerta di adesione.
Il gruppo era concentrato, prevalentemente, sulle arti decorative (Kunstgewerbe) e le antichità. La
pittura era interesse marginale; nonostante che un continuo motivo di preoccupazione nei primi
anni fu la contraffazione delle copertine di libri senesi medievali conosciute come Biccherne 37. Ne-
35
V&A, C.84-1926; Rackham, 1927, pp. 259-261, fig. B. Il pannello fu identificato come opera di Mengaroni da Gaetano Ballardini.
36
Un resoconto dei primi anni fu scritto da Angst, 1902, pp. 421-436. Vedi anche il capitolo 19 in Durrer, 1948; Lafontant Vallotton, 2007, pp. 116-117. Un attacco contro l’inutilità del gruppo a causa della
sua estrema segretezza fu scritto da Koch, 1915, pp. 106-108.
37
Un falsario di talento di biccherne intorno a quel tempo era Icilio Federico Joni di Siena (1866-1946); vedi Joni, 2004.
12
gli anni precedenti la Prima guerra mondiale il centro dell’attenzione del gruppo convergeva sulle antichità, l’arte medievale e opere d’arte orientale, soprattutto scultura, argenteria e ceramiche.
Discussioni riguardanti i dipinti divennero più comuni negli incontri degli anni Venti, ma i soci
non si occuparono mai molto di disegni e stampe.
Il gruppo si incontrava una volta l’anno; fino alla Prima guerra mondiale le città scelte come sedi
degli incontri furono:
1898: Amburgo
1899: Zurigo
1900: Colonia
1901: Londra
1902: Copenaghen
1903: Berlino
1904: Norimberga
1905: Amsterdam
1906: Dresda
1907: Parigi
1908: Francoforte
1909: Praga
1910: Monaco di Baviera
1911: Bruxelles
1912: Vienna
1913: San Pietroburgo
Gli incontri furono sospesi a causa della guerra ma ricominciarono a Stoccarda nel 1917, Würzburg nel 1918 e Berlino nel 1921. Dopo di che gli incontri ripresero con regolarità fino alla cessione delle attività dell’associazione, nel 1939, dovuta alla Seconda guerra mondiale:
1924: Wroclaw (Breslau)
1925: Ulm
1926: Zurigo
1927: Amburgo
1928: Budapest
1929: Lipsia
1930: Stoccolma
1931: Augusta
1932: Salisburgo
1933: Mainz
1934: Danzica
1935: L’Aia
1936: Friburgo-Basilea
1937: Vienna
1938: Kassel
Dalla Prima guerra mondiale fino al 1927, la personalità dominante del gruppo fu Otto von
Falke, che divenne direttore del museo berlinese di arti applicate dal 1908 e fu direttore generale
dei musei berlinesi dal 1920 al 1927. Dopo di lui la direzione fu presa da Max Sauerlandt (18801934) del museo di Amburgo; e nel 1934 da Robert Schmidt (1878-1952), direttore dello Schlossmuseum di Berlino.
Le regole dell’associazione erano rigorose e regolate dal voto di confidenzialità. Gli atti erano marcati come confidenziali e di proprietà dell’associazione. Ai soci era richiesto di non lasciarli nelle
loro biblioteche, e di restituirli all’amministrazione al momento di lasciare l’associazione; ogni
sforzo pur di tenere lontana la documentazione dagli antiquari. I musei che ne conservano serie
13
incomplete hanno continuato a considerarli materiale confidenziale; tuttavia, ora che sono passati settant’anni dall’ultimo incontro dell’associazione, si dà conto, per la prima volta, in questa sede di tale documentazione in maniera sistematica38.
Il presente resoconto è basato sulla serie dei documenti conservata nella sezione di scultura del
Victoria and Albert Museum, che venne emessa a Sir Eric Maclagan (1879-1951), studioso di
scultura e direttore del museo dal 1924; questa serie parziale è stata completata dalla serie conservata al Kunstgewerbemuseum e alla Kunstbibliothek di Berlino. La serie delle pubblicazioni prodotte dall’associazione è la seguente:
1. Mitteilungen (comunicazioni), riassunti delle discussioni tenutesi durante le riunioni; durante
le due guerre questi divennero più lunghi e a volte illustrati. L’ultima fu emessa nel 1939.
2. Verhandlungen (atti), verbali delle riunioni e di ciò che veniva discusso e deciso, con brevi riassunti di alcune delle discussioni e delle conferenze.
3. Verzeichnis der im Archiv des Museen-Verbandes bewahrten Abbildungen falscher Altsachen (lista
delle illustrazioni di falsi nell’archivio del Museen-Verband).
4. Abbildungen aus dem Archiv des Verbandes von Museumsbeamten (illustrazioni dall’archivio). Esistono sei di queste cartelle, ognuna contenente trenta fotografie selezionate e riprodotte dall’archivio; la prima fu distribuita nel 1907, la sesta nel 1927.
5. Notizen, carte pratiche amministrative sulla condotta del gruppo e sull’elezione di nuovi soci.
6. Bozza di una bibliografia sui falsi preparata da Brinckmann nel 1911 come supplemento dei
Mitteilungen.
7. Segnalazioni occasionali per i soci relative ai furti di opere d’arte dai musei e chiese tedeschi tra
il 1920 e il 1943.
8. Satzungen (Statuti). Chi scrive ha visionato versioni del 1909 e del 1935.
9. Elenchi dei soci. Chi scrive ha visto quelli del 1908, 1912, 1913, 1931 e 1936.
10. Sommari e indici del materiale stampato.
Una delle maggiori attività dell’associazione, specialmente sotto la direzione di Brinckmann, era
la creazione di un archivio di fotografie di opere ritenute false. Un elenco del 1910 ammontava
già a 1154 foto e continuò senza dubbio ad aumentare. Le sei cartelle menzionate in precedenza
(n. 4) ne costituivano una selezione, ma esse contengono soltanto cinque fotografie di maiolica.
L’archivio fotografico, insieme a tutto il materiale relativo all’associazione, venne trasferito nel
1934 da Amburgo a Berlino, dato in custodia a Robert Schmidt. Nessuna traccia ne è stata ritrovata e si crede che esso sia stato distrutto quando lo Schlossmuseum venne colpito disastrosamente
dalle bombe degli alleati nel 194439.
(traduzione di Elisa Sani)
38
In seguito alla pubblicazione del presente saggio, si ha l’intenzione di scambiare copie del materiale dell’associazione tra Berlino e Londra così che una serie quasi completa delle pubblicazioni della Verband sia
disponibile in entrambe le città.
39
Hausmann, 1974, pp. 24-40.
14