Seconda parte - Dipartimento di Fisica
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Seconda parte - Dipartimento di Fisica
Documento B DESCRIZIONE DELLA SEQUENZA DI CONTENUTI E DI ATTIVITÀ PREVISTE NEL PERCORSO INDICE Piano della sequenza........................................................................................................... 2 1. Prima parte. Esempi ed esperimenti introduttivi. ....................................................... 2 2. Seconda parte. Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative...................................................................................................... 5 3. Terza parte. Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche. ............................... 9 4. Quarta parte. Attrito statico e rotolamento. .............................................................. 11 5. Quinta parte. Topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito.... 13 6. Sesta parte. Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico.................................. 14 7. Schede e test .................................................................................................................. 19 SCHEDA N. 1................................................................................................................................ 19 SCHEDA N. 2................................................................................................................................ 19 SCHEDA N. 3................................................................................................................................ 19 TEST INIZIALE ............................................................................................................................. 20 ALCUNI QUESITI SUGGERITI PER I TEST IN ITINERE E FINALE ...................................................... 21 8. Documento per gli studenti “Modelli esplicativi per l'attrito radente fra solidi” ...... 24 1. TOPOGRAFIA DELLE SUPERFICI, AREA APPARENTE E AREA REALE DI CONTATTO ................... 24 2. MECCANISMI FISICI CHE PRODUCONO L'ATTRITO RADENTE .................................................... 28 3. ADESIONE FRA LE ASPERITA DELLE SUPERFICI ........................................................................ 30 4. DEFORMAZIONE, SOLCATURA O GRAFFIATURA DELLE SUPERFICI .......................................... 35 5. URTO E INCASTRO FRA LE ASPERITA ....................................................................................... 36 6. L'USURA ................................................................................................................................... 36 7. DEFORMAZIONE E ABRASIONE DOVUTA A PARTICELLE INTRAPPOLATE FRA LE SUPERFICI .... 37 8. LEGGI ELEMENTARI DELL'ATTRITO E RISULTATI SPERIMENTALI ............................................ 38 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ....................................................................................................... 40 Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 1 Piano della sequenza La sequenza è organizzata in sei parti, che descriviamo in dettaglio nel seguito: 1) 2) 3) 4) 5) 6) Esperimenti ed osservazioni introduttivi; Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative; Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche; Attrito statico e rotolamento; Topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito; Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico. 1. Prima parte. Esempi ed esperimenti introduttivi. In questa prima parte l'insegnante esegue e discute semplici esperimenti qualitativi, che illustrano le diverse tipologie d'attrito, in differenti situazioni pratiche, in cui gli attriti sono considerati come ostacolo e disturbo oppure come un fenomeno utile e desiderato. Tutto il materiale è disposto su un carrello: un grosso bicchiere di vetro; una ciotola; alcune masse di ottone; una “paletta” di legno; una tavoletta di legno; un cilindro di metallo; una striscia di gommapiuma; un sostegno cui sono appese molle ad elica e un pendolo; un tubo ad U; una frusta per maionese; due molle a filo delle stesse dimensioni, una di ferro e l’altra di acciaio; plastilina; una tavoletta di polistirolo. Si distribuisce la scheda n. 1 a tutti gli studenti. Ogni prova sperimentale è accompagnata da commenti, domande, osservazioni degli studenti. Tutto il materiale è a disposizione degli studenti, che, divisi in gruppi di due o tre, possono eseguire le ulteriori prove che desiderano. Tutti i gruppi ripetono qualche prova, tutti maneggiano il tubo a U. A) Un primo insieme di esperimenti segue il filo conduttore della domanda “Che cosa succederebbe se non ci fosse l’attrito? ” L'insegnante esegue le seguenti prove: - Solleva il grosso bicchiere di vetro contenente acqua, utilizzando pollice e medio. Fa notare come i polpastrelli siano schiacciati contro la parete del bicchiere. - Cammina, facendo notare le variazioni di velocità durante il passo. - Dispone alcune masse d'ottone sulla “paletta” di legno. Impugnando la paletta e tenendola orizzontale la accelera in un movimento orizzontale (come un vassoio). Ripete la prova più volte, aumentando ogni volta l’accelerazione, finché le masse al bordo cominciano a cadere. Si nota che masse sovrapposte ad altre cadono. - Dispone la tavoletta di legno a terra e le dà una spinta. - Dispone il cilindro di metallo sul pavimento e gli dà una spinta; poi ripete la stessa cosa su una striscia di gommapiuma. - Mette in oscillazione le molle ad elica cui sono appese delle masse. - Mette in oscillazione il pendolo. B) Un secondo gruppo di esperimenti ha lo scopo di introdurre l'attrito interno. L'insegnante esegue le seguenti prove: - Versa acqua in una ciotola. - Mette in oscillazione l’acqua contenuta in un tubo ad U (fig. 1). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 2 - Mette in movimento l’acqua in una grossa ciotola usando una frusta per maionese. Si osserva che progressivamente e in breve tempo si muove tutta l’acqua. Mette in oscillazione due molle a filo, delle stesse dimensioni, una di ferro, l’altra d'acciaio. Si notano i diversi tempi di smorzamento (fig. 2). a) b) c) Figura 1 Oscillazioni di acqua colorata in un tubo ad U di forma circolare a) Il liquido nella posizione di partenza, in equilibrio. b) … durante una delle oscillazioni smorzate. c) All'equilibrio nella nuova posizione, alla fine delle oscillazioni. Figura 2. Oscillazioni di due molle a filo di differente materiale. A sinistra: le due molle subito dopo la partenza contemporanea delle oscillazioni. A destra: la molla d'acciaio è ancora in vibrazione, mentre quella di ferro si è già fermata. C) Con altri due esperimenti si vuole mettere in evidenza il ruolo dell'adesione nell'attrito e il comportamento particolare di materiali “appiccicosi”. - Si appoggia un blocchetto di plastilina ad una tavoletta di legno, tenuta verticale, e si osserva che il blocchetto non scivola giù (fig. 3). - Una tavoletta di polistirolo asciutta appoggiata ad una porta verticale scivola e cade, mentre la stessa tavoletta di polistirolo bagnata non scivola (fig. 4). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 3 Figura 3. Un blocchetto di plastilina, dopo essere stato premuto leggermente su una tavoletta verticale, non cade. Figura 4. Una tavoletta di polistirolo bagnata con acqua, appoggiata ad una superficie verticale, rimane appiccicata alla superficie e non cade, anche se è caricata con una sbarretta di ferro. Gli studenti compilano la scheda n. 1, in classe, singolarmente o a gruppi, oppure a casa, consegnandola all'inizio dell'incontro successivo. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 4 2. Seconda parte. Attrito verticale: definizione di grandezze descrittive e prime relazioni qualitative. Si distribuisce la scheda n. 2. S'inizia con una prima fase in cui l'insegnante esegue esperimenti dimostrativi, poi segue una fase in cui gli studenti realizzano alcuni esperimenti, divisi in gruppi. Si eseguono prove con delle tavolette premute contro il muro. Sono disponibili sei tavolette di legno, tutte di uguale larghezza e lunghezza, ma con tre spessori diversi (fig. 5). Per ciascuno spessore, vi è una tavoletta con una faccia rivestita di panno e un'altra tavoletta con una faccia rivestita di carta. Figura 5. Tavolette di legno della stessa forma, con spessori (e quindi pesi) diversi. L'insegnante esegue le seguenti prove: - Poggia una tavoletta sul muro e preme su di essa orizzontalmente con il dito, in modo da non farla cadere (fig. 6). La condizione di equilibrio ΣF=0 mostra che deve esistere una forza agente sulla tavoletta diretta dal basso verso l’alto. - Ripete l'esperimento con una tavoletta di spessore (e quindi di peso) triplo. In tal caso, la forza d'attrito, esercitata dal muro sulla tavoletta, necessaria per sostenerla dovrà essere il triplo di prima, e si osserva che si deve premere più forte con il dito. Figura 6. Si preme la tavoletta di legno contro il muro, con un dito. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 5 L'insegnante pone e discute con gli studenti il problema del polpastrello. Anche il polpastrello esercita una forza d'attrito sulla tavoletta: se si vuole studiare la forza d'attrito del muro sulla tavoletta, occorre rendere minima la forza dovuta al polpastrello. Si propone di premere con l'unghia (fig. 7). Figura 7. Se si preme con l'unghia, si deve spingere più forte per non far cadere la tavoletta. Per rendere quantitativo l'esperimento, si ripetono le prove utilizzando sensori di forza, che permettono di misurare la forza premente. Si preme sulla tavoletta con il sensore, invece che con il dito. Per evitare il problema analogo a quello del polpastrello, i sensori sono attrezzati con una rotella fissata sulla punta (fig. 8). La rotella funge da “disaccoppiatore”, ha cioè lo scopo di minimizzare l'attrito fra la punta del sensore e la superficie su cui è premuta. Infatti, la presenza di un attrito elevato fra punta e superficie altererebbe tutte le osservazioni sugli attriti fra le superfici da studiare, aggiungendo una forza tangenziale non trascurabile e difficilmente valutabile. Si eseguono alcune prove con tavolette di massa diversa, premute contro il muro mediante il sensore di forza. Si misura la forza premente minima necessaria perché la tavoletta non scivoli, cioè perché la forza d'attrito sia uguale al peso della tavoletta. Si cambia il materiale della superficie di contatto con il muro (legno, panno, carta) e si osserva come cambia la forza premente minima necessaria per non far scivolare la tavoletta. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 6 a) b) c) Figura 8. Utilizzazione del sensore di forza con il cuscinetto a sfere. a) Schema per il montaggio del cuscinetto a sfere sul gancio del sensore di forza. b) Il sensore di forza munito di cuscinetto a sfere. c) Uso del sensore di forza per premere sulla tavoletta di legno contro il muro. L'insegnante mostra quindi altri modi per produrre una forza premente normale alle superfici in contatto: - Una calamita preme un pezzo di ferro contro la parete di un barattolo di vetro (fig. 9). Una paletta di legno verticale, accelerata in direzione orizzontale, preme contro un blocchetto di legno. Con un'accelerazione abbastanza elevata, il blocchetto non cade (fig. 10). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 7 Figura 9. L'attrazione magnetica fra la calamita e una sbarretta di ferro provoca una forza (orizzontale) normale fra la superficie del barattolo e le superfici della calamita e della sbarretta di ferro. Queste forze danno luogo a forze d'attrito verticali in grado di fare equilibrio al peso del barattolo e della sbarretta, che rimangono così sospesi. Figura 10. L'accelerazione della paletta provoca una forza (orizzontale) normale alla superficie del blocchetto. Questa dà luogo ad una forza d'attrito (verticale), che può essere in grado di fare equilibrio alla forza peso del blocchetto. Tutti gli esperimenti sono ripetuti in modo più dettagliato e spesso con modalità differenti, dagli studenti divisi in due gruppi per ogni classe. Si lascia agli studenti la libertà di variare le misure e le prove da eseguire, secondo una modalità più esplorativa che sistematica. L'obiettivo è che lo studente individui le proprietà e le grandezze significative per la descrizione del fenomeno e faccia qualche ipotesi preliminare su possibili relazioni fra tali grandezze. In particolare, lo studente dovrebbe riflettere sull'interdipendenza dei tre tipi di forze implicate: forza premente normale, forza esterna tangenziale, forza d'attrito. Gli studenti compilano a casa la scheda n. 2. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 8 3. Terza parte. Attrito statico e dinamico: leggi fenomenologiche. All'inizio si riprende l’idea che ci sono sempre due forze d'attrito, legate fra loro dal terzo principio della dinamica: una forza che agisce sul blocco e un'altra che agisce sulla superficie cui il blocco è appoggiato. Per consolidare la consapevolezza di quest'aspetto, si eseguono due semplici esperimenti: si tira un blocco appoggiato ad una lunga striscia di carta, si spinge un blocco appoggiato ad una sciarpa di lana, si tira un blocco appoggiato su un carrello. Si osserva che la carta, la sciarpa e il carrello sono trascinati dal blocco, il che dovrebbe convincere dell'esistenza di una forza d'attrito esercitata dal blocco sulla superficie sottostante. Si esegue quindi un esperimento più sistematico e organizzato, in una situazione di movimento orizzontale, con un dispositivo MBL. La stessa configurazione permette di studiare sia l'attrito statico sia l'attrito dinamico. Gli studenti lavorano a gruppi di due o tre. Ciascun gruppo ha a disposizione: un sensore di moto; un sensore di forza; tavolette di legno con uguale superficie di appoggio alle quali può essere applicato il sensore di forza e sulle quali possono essere fissati blocchetti di masse differenti, per variare la forza premente (fig. 11); tavolette con superficie d’appoggio differente, ma uguale massa (fig. 12). Figura 11. Tavoletta di legno su cui è fissato il sensore di forza. Figura 12. Tavolette con pesi uguali e aree d'appoggio differenti. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 9 Gli studenti studiano: - L'andamento della forza d'attrito in funzione del tempo (fig. 13). - La dipendenza della forza d’attrito di primo distacco dalla forza premente. - La dipendenza della forza d’attrito dinamico dalla forza premente (continuando a tirare dopo lo stacco e controllando con il sensore di moto che la velocità sia abbastanza costante). - La dipendenza della forza d’attrito dall'area della superficie d'appoggio. Figura 13. Un tipico grafico ottenuto per l'andamento della forza d'attrito in funzione del tempo. Ciascun gruppo riporta i risultati e i grafici su una scheda descrittiva dell'esperimento svolto. Gli studenti consegnano la scheda alla fine dell'incontro. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 10 4. Quarta parte. Attrito statico e rotolamento. Mediante semplici esperimenti dimostrativi qualitativi, spiegazioni orali, disegni alla lavagna, si propone una sequenza logica e didattica che parte dall'analisi del ribaltamento di un cubo e poi di un prisma ottagonale per condurre ad un'analisi accurata del meccanismo fisico del rotolamento di un cilindro. In particolare, si insiste sul ruolo della forza d'attrito statico nel rotolamento e sul verso di tale forza nelle diverse modalità di rotolamento. Si analizzano le forze d'attrito statico e le reazioni vincolari del piano d'appoggio, agenti su un cubo e su un prisma ottagonale, tirati mediante una forza orizzontale applicata nella parte alta del solido. Si mostra come la distribuzione particolare delle reazioni vincolari genera, con il peso, un momento che si oppone al ribaltamento, che è invece sollecitato dal momento generato dalla forza esterna trainante e dalla forza d'attrito statico. Il bilancio di questi due momenti opposti determina la situazione d'equilibrio o l'inizio del ribaltamento (fig.14a e 14b) ). a) b) c) Figura 14. Analisi del ribaltamento di un cubo tirato con una forza F orizzontale. a) Distribuzione delle forze fra cubo e piano d'appoggio. b) Il bilancio fra i due momenti opposti (forza F + attrito contro peso + reazione vincolare) determina la situazione d'equilibrio o il ribaltamento. c) Un cubo poggiato su un materiale soffice tirato da una molla. Si illustra la situazione mediante una semplice dimostrazione, in cui con un cubo e un prisma ottagonale di legno, poggiati su un tappeto di gommapiuma, sono tirati con una molla (fig. 14c). La gommapiuma consente di rendere le deformazioni ben visibili. Il cubo, cui è applicata una forza orizzontale, esercita sul piano d’appoggio delle forze distribuite in modo non uniforme, la cui risultante non passa per il baricentro. Anche la forza d'attrito sulla faccia del cubo in contatto con il piano d'appoggio è una forza distribuita e non uniforme. In seguito, si mostra e si analizza il movimento a sbalzi costituito da una successione continua di ribaltamenti del cubo e del prisma ottagonale (fig. 15). Si analizza in particolare il movimento del centro di massa del solido, mediante opportuni disegni e con l'osservazione del ribaltamento di un prisma ottagonale appoggiato sulla lavagna luminosa. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 11 Figura 15. Movimento a sbalzi di un prisma ottagonale. Queste ultime osservazioni conducono facilmente, con un passaggio al limite, al caso del rotolamento di un cilindro, con un asse istantaneo di rotazione. Si studia prima il caso di un cilindro che rotola trainato da una forza applicata all’asse. Si procede con il metodo previsione - prova - discussione. Si chiede agli studenti di prevedere qual è il verso della forza d'attrito in questo caso. Quindi, si individua tale verso con un esperimento in cui il cilindro è appoggiato su un carrello e due matite sono poggiate in posizione verticale sul tavolo, giusto davanti e dietro il carrello (fig. 16a). Facendo rotolare il cilindro, una delle due matite è spinta dal carrello e cade. Dalla caduta della matita posta davanti, si deduce che il verso della forza sul carrello è in avanti, e quindi che la forza d'attrito sul cilindro è diretta indietro. a) b) Figura 16. Esperimenti per verificare il verso della forza d'attrito statico agente su un cilindro che rotola sollecitato da una forza orizzontale applicata all'asse (a) oppure da una coppia (b). Si ripete la stessa sequenza di previsione - prova – discussione, per il caso di un cilindro che rotola per effetto di una coppia. L'esperimento del carrello mostra che ora la forza d'attrito sul cilindro è diretta verso l'avanti (fig. 16b). Si discute sul fatto che la forza di attrito è tale da impedire la variazione di velocità del moto relativo delle due superfici a contatto. Infine, si discute brevemente e in modo solo qualitativo dell’attrito volvente. Si richiede agli studenti di preparare a casa una relazione sugli argomenti di quest'incontro. Gli studenti sono inoltre invitati a esporre per iscritto eventuali dubbi e domande sugli argomenti e le attività svolte durante tutti gli incontri della sequenza, in un foglio da consegnare all'inizio dell'incontro successivo. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 12 5. Quinta parte. Topografia delle superfici e meccanismi che producono l'attrito. In quest'incontro senza attività sperimentali, si presentano le principali caratteristiche dei modelli esplicativi dell'attrito, accettati dalla comunità scientifica. Si inizia con una discussione della topografia delle superfici e la distinzione fra area apparente (o nominale) ed area reale, che è propedeutica ad ogni discorso sui meccanismi dell'attrito. Si mostrano immagini e disegni, che illustrano il carattere irregolare a scala micrometrica della superficie di oggetti apparentemente lisci, con protuberanze ed avvallamenti, le cosiddette asperità della superficie. Quindi, si presentano diversi meccanismi all'origine dell'attrito radente, in particolare: 1) 2) 3) 4) 5) l'adesione fra le asperità delle superfici; la deformazione, solcatura o graffiatura delle superfici; l'urto e l'incastro fra le asperità; l'usura dovuta al movimento relativo delle due superfici in contatto; la deformazione e abrasione dovuta a particelle intrappolate fra le superfici. Si sottolinea che diversi modelli sono stati proposti dagli scienziati di varie epoche per spiegare i fenomeni dell'attrito radente. Si presenta allo scopo un breve panorama storico delle ricerche sull'argomento. Si ritorna sull'interpretazione dei fenomeni studiati e degli esperimenti fatti, alla luce dei modelli teorici presentati, e si propongono alcuni approfondimenti delle caratteristiche e delle potenzialità esplicative di tali modelli. Come supporto didattico e testo da studiare, si distribuisce agli studenti un documento che espone questi argomenti “Modelli esplicativi per l'attrito radente fra solidi”, riportato nel seguito. A questo punto della sequenza, prima di passare all'ultima parte, suggeriamo di dedicare un apposito segmento del tempo disponibile ad una ripresa di vari argomenti della sequenza, con una discussione dei dubbi e delle domande presentate dagli studenti. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 13 6. Sesta parte. Fenomeni d'attrito dal punto di vista energetico. Quando si svolge questa parte, gli studenti devono già avere seguito dei corsi in cui sono stati trattati i concetti di lavoro ed energia, di energia interna e temperatura e in particolare le diverse modalità di passaggio d'energia, con la distinzione fra calore, lavoro e assorbimento di energia radiante. Questa parte può quindi essere svolta come una ripresa dell'argomento dell'attrito, dopo un intervallo di tempo dedicato ad altri argomenti. Si riprendono alcuni fenomeni già studiati ed altri nuovi, discutendoli in termini di trasformazione e dissipazione di energia, invece che in termini di forze. La progressione logica e didattica è simile a quella proposta nella prima parte. S'inizia con la presentazione di semplici esperimenti qualitativi, alcuni dei quali già mostrati nella prima parte: un filo metallico ripetutamente ritorto in modo da ottenere un suo riscaldamento, le oscillazioni smorzate di una molla a filo, urto anelastico contro una parete di un carrello attrezzato con molti oscillatori di frequenza diversa (fig. 17), oscillazioni smorzate su una pista ad arco di cerchio di cilindri rigidi contenenti pallini da caccia… La discussione di tali esperimenti, insieme con altri esempi, solo evocati, tratti dalla vita quotidiana, è guidata verso un'analisi dei bilanci energetici e delle forme di energia coinvolte. In particolare, si pone l'attenzione sul fatto che in tutti i casi in cui sono attivi degli attriti dinamici si manifesta un aumento di temperatura e quindi di energia interna legata a movimenti incoerenti a livello atomico-molecolare. Figura 17. Un carrello con molti oscillatori, urtando contro una parete, converte rapidamente l'energia cinetica del suo moto traslatorio d'insieme in energia elastica dei vari oscillatori. Si propone un esempio semplice per illustrare in modo paradigmatico la differenza fra la produzione di un aumento di temperatura mediante calore o mediante lavoro: da un lato, un gas è posto a contatto con un pistone immobile più caldo; d'altro lato, lo stesso gas è compresso dal movimento di un pistone avente temperatura uguale a quella del gas. Nel primo caso, l'energia dei movimenti incoerenti atomico-molecolari del pistone si trasforma in energia dei movimenti incoerenti atomico-molecolari del gas (energia interna termica), si ha quindi un passaggio diretto di energie disordinate microscopiche, cioè calore. Nel secondo caso, si ha invece una cessione di energia dal movimento macroscopico coerente del pistone ai movimenti incoerenti atomico-molecolari del gas, cioè si ha un passaggio diretto da energia macroscopica ad energia interna microscopica disordinata, tramite un lavoro. Sinteticamente, si potrebbe dire che nei due casi si ha, rispettivamente, un passaggio di energia da micro a micro e un passaggio da macro a micro. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 14 Nel caso degli attriti, avviene un processo in due tempi, che fa intervenire una scala di grandezza intermedia, mesoscopica, e si può dire che avviene un doppio passaggio di energia, prima dal macroscopico al mesoscopico, poi dal mesoscopico al microscopico 1 . In una prima fase, mediante il lavoro delle forze d'attrito, avviene un passaggio di energia dal movimento macroscopico degli oggetti in contatto ai movimenti parzialmente scorrelati e indipendenti delle asperità delle superfici solide in contatto o delle particelle mesoscopiche di fluido. In una seconda fase, questa energia è rapidamente convertita in energia termica, cioè dei movimenti incoerenti atomico-molecolari, che si manifesta con un aumento di temperatura. Questi processi a scala mesoscopica sono complicati ed è difficile o impossibile seguirli nei loro dettagli individuali; essi possono tuttavia essere descritti e spiegati mediante modelli semplificati della struttura interna mesoscopica dei materiali interagenti. Gli attriti si presentano quindi come un caso interessante in cui sono coinvolti e interagenti fenomeni afferenti a queste tre scale di grandezza ed in cui è necessario utilizzare diversi livelli di meccanismi esplicativi, collegati fra loro in modo dinamico. Ciò sollecita nello studente l'idea di guardare oltre l'apparenza di ciò che è visibile ad occhio nudo, per scoprire e immaginare una realtà sottostante ed avanzare ipotesi su di essa, in un processo di approfondimenti successivi di ricerca e di spiegazione. Si analizzano brevemente alcuni esempi semplici, come quello del filo metallico ritorto in modo da ottenere un suo riscaldamento o il caso delle oscillazioni smorzate di una molla a filo, e si propongono indicazioni qualitative sulle modificazioni a livello mesoscopico della struttura ordinata cristallina e sul successivo aumento di temperatura. L'esempio delle oscillazioni smorzate della molla a filo, già osservato dagli studenti nella prima parte della sequenza, costituisce un'efficace analogia ponte (bridging analogy) per un primo modello esplicativo degli scambi energetici nell'attrito fra solidi. In tale modello, le superfici dei solidi in contatto sono rappresentate come costituite da un gran numero di asperità a forma di molle a filo mesoscopiche, come in una specie di spazzola (fig. 18). Figura 18. Schema di un primo modello a spazzola per l'attrito fra due solidi. 1 Più precisamente, si dovrebbe parlare al plurale, di più scale di grandezze mesoscopiche, poiché con quest'espressione si indicano dimensioni, variabili secondo i casi, intermedie fra un nanometro e un millimetro, fra l'atomo e l'uomo. D'altronde il termine "microscopico" è anch'esso ambiguo, in quanto da un lato evoca le dimensioni del micrometro, dall'altro è utilizzato correntemente per indicare il livello delle grandezze di atomi e molecole. Esso è qui usato in quest'ultima accezione. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 15 Nel contatto fra i due solidi, le asperità-molle si incastrano fra loro e il movimento relativo dei due oggetti provoca una deformazione di tali asperità-molle, trasferendo così energia macroscopica, del movimento degli oggetti in blocco, in energia elastica delle asperità-molle mesoscopiche, con un passaggio di energia in forma di lavoro. Successivamente, le asperitàmolle che si separano liberano la loro energia elastica, si mettono in oscillazione, con uno smorzamento rapido, trasformando così l'energia elastica mesoscopica in energia termica microscopica. Si propone anche un'analisi semi-quantitativa del bilancio energetico di tale modello di meccanismo, utilizzando disegni schematici. Questo primo modello è utile per fare assimilare l'idea di un passaggio di energia in due fasi e far capire la necessità di tenere conto di tre livelli differenti di scala (macro, meso e micro) per ottenere una spiegazione, suggerendo un meccanismo schematico possibile dei processi coinvolti in tali passaggi di energia. Lo stesso modello è però subito criticato perché non rende conto di vari aspetti fondamentali, come la dipendenza dell'attrito dal carico, e lascia dubbi sulla possibilità di un oggetto di sostenere l'altro oggetto appoggiato su di esso. Dal punto di vista metodologico ed epistemologico, s'insiste sull'importanza e l'utilità in Fisica di modelli parziali, volti a spiegare solo alcuni aspetti scelti della fenomenologia in studio, e si sottolinea che comunque un modello incompleto non è affatto inutile, anche perché, in fin dei conti, tutti i modelli sono incompleti, per definizione. Si valuta però il modello anche dal punto di vista del suo grado di aderenza alla realtà delle strutture materiali e dei processi effettivamente esistenti nei materiali in studio. Da questo punto di vista, il modello appare difettoso ed insoddisfacente, alla luce delle conoscenze ormai acquisite con vari metodi sperimentali sulla struttura e le proprietà degli strati superficiali dei solidi di varia natura. Si propone quindi un altro modello, reso visualizzabile mediante un modellino materiale realizzato in gommapiuma, con asperità più larghe, che possono essere schiacciate e possono sopportare un carico (fig. 19). Figura 19. Un modellino materiale realizzato in gommapiuma, per il contatto fra superfici solide con asperità. Tale modello è utilizzato come un passo ulteriore verso una modellizzazione più ricca e articolata, in particolare verso il modello delle giunzioni adesive di Bowden e Tabor (fig. 20). Ci si sofferma quindi sugli effetti energetici dei vari meccanismi dell'attrito presentati in precedenza ed in particolare sul modello delle giunzioni adesive. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 16 Figura 20. Schema esplicativo del modello delle giunzioni adesive. L'oggetto b è fermo, mentre l'oggetto a si muove verso destra. Lo spostamento d del punto P, uguale allo spostamento del centro di massa dell'oggetto a, è più grande dello spostamento x della giunzione fra due asperità. Secondo il livello della classe e il tipo di scuola, si può sviluppare una breve analisi delle particolarità nel calcolo del lavoro compiuto dalle forze d'attrito. Con riferimento alla figura 20 (ed anche 19), si fa notare che lo spostamento d del punto P, uguale allo spostamento del centro di massa dell'oggetto a, è più grande dello spostamento x di una giunzione fra due asperità. Per cui il lavoro compiuto sull'oggetto a dalla forza d'attrito G f , esercitata da b su a, non è -f·d (che rappresenta il "lavoro sul centro di massa" o "pseudolavoro"), ma W=-f·x (dove x è un valore medio degli spostamenti delle varie giunzioni esistenti fra i due oggetti) 2 . La forza d'attrito fa diminuire l'energia cinetica del centro di massa di a di una quantità -f·d (pseudolavoro), mentre fa diminuire l'energia totale di a di una quantità –f·x (lavoro). Poiché x<d, l'energia cinetica del centro di massa diminuisce di più di quanto diminuisce l'energia totale, quindi nel bilancio energetico avanza un'energia e=f·d–f·x, che si ritrova in un aumento di energia interna di a, che si manifesta, in seguito a rapida dissipazione interna dell'energia mesoscopica delle asperità, in un aumento di temperatura ed in eventuali abrasioni e rotture delle asperità. In altre parole, il lavoro della forza d'attrito è uguale alla variazione di energia cinetica del corpo in blocco (del suo centro di massa) più la variazione di energia interna del corpo: -f·x=-f·d+e. Inoltre, la forza d'attrito esercitata da a sul corpo fermo b, uguale ed opposta a quella esercitata da b su a, compie un lavoro positivo su b uguale a f·x, facendo così aumentare la 2 Più analiticamente, il lavoro della forza d'attrito è W = − ∑ i f i xi dove xi e fi sono lo spostamento e la forza relativi alla giunzione i. Definendo un valore medio dello spostamento x = ∑ i f i xi ∑ i f i xi = , essendo la forza f ∑ i fi d'attrito totale f = ∑ i f i , si ottiene W = − f ⋅ x . Poiché in generale si ha xi ≤ d , sarà anche x < d . Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 17 sua energia interna della stessa quantità, energia che si manifesta, dopo dissipazione interna, in un aumento di temperatura di b ed in eventuali abrasioni e rotture delle sue asperità. In totale, per il sistema dei due corpi, si ottiene una diminuzione di energia cinetica macroscopica data da -f·d ed un aumento di energia interna (per lo più termica) uguale a: e+f·x= f·d–f·x+f·x=f·d. L'energia totale del sistema rimane quindi costante, con una trasformazione di energia cinetica macroscopica f·d in energia interna. Alla fine di questa parte, gli studenti compilano la scheda n. 3. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 18 7. Schede e test Scheda n. 1 Data:……………………… Nomi ……………………………………… 1) Elencate e descrivete i fenomeni osservati. 2) Proponete interpretazioni di quanto osservato nelle diverse prove, ricorrendo eventualmente a disegni. 3) Evidenziate eventuali elementi comuni e differenze nei fenomeni osservati. Scheda n. 2 Data:……………………… Nomi ……………………………………… 1) Descrivete le diverse prove eseguite nell’esperimento. 2) Per ciascuna prova esprimete le vostre riflessioni. 3) Quali conclusioni potete trarre dall’esperimento sulle caratteristiche delle forze d’attrito? 4) Proponete la vostra spiegazione del comportamento osservato della forza d’attrito. Scheda n. 3 Nome ……………………………………… 1) Descrivete brevemente i fenomeni discussi. 2) Evidenziate elementi comuni nei fenomeni considerati. 3) Fornite un’interpretazione basata sui modelli strutturali proposti. 4) I modelli strutturali utilizzati possono costituire un “ponte” fra le interpretazioni dell’attrito in termini di forze e le interpretazioni in termini di energia? In che modo? Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 19 Test iniziale 1) Elencate situazioni nelle quali gli attriti giocano un ruolo importante 2) Un blocco, appoggiato su un tavolo, si muove sotto l’azione di una forza F orizzontale e costante. Disegnate le forze agenti sul blocco e sul piano di appoggio. 3) Un blocco B è appoggiato su un carrellino A, posto su un tavolo. Il carrellino viene tirato con una forza F orizzontale e costante. Che cosa può succedere al blocco B? Illustrate le risposte disegnando le forze agenti su B. 4) Un blocco di legno è spinto da una forza orizzontale contro il muro. Che cosa può succedere al blocco? Illustrate le risposte disegnando le forze agenti sul muro e sul blocco. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 20 Alcuni quesiti suggeriti per i test in itinere e finale 1) Un blocco, appoggiato su un tavolo, si muove, tirato da una forza F orizzontale. C'è attrito fra tavolo e blocco. a) Elencate e disegnate le forze agenti sul blocco: b) Elencate e disegnate le forze agenti sul tavolo: 2) Un blocco di legno è appoggiato su un tappetino di stoffa (o su un foglio di carta), posto su un tavolo. Vi è un forte attrito fra blocco e tappetino (o foglio), mentre l'attrito fra stoffa (o carta) e tavolo è molto piccolo. Si tira il blocco con una forza F orizzontale costante. a) Cosa può succedere, cioè che tipo di movimenti prevedete che avvengano? b) Elencate e disegnate le forze agenti sul blocco: c) Elencate e disegnate le forze agenti sul tappetino (o foglio): c) Rappresentate con un disegno schematico le asperità in una piccola zona delle due superfici in contatto del blocco e del tappetino (o foglio), mentre agisce la forza F, come modello di un meccanismo per spiegare le forze d'attrito. 3) Questa domanda si riferisce all'esperimento del blocco di legno poggiato sul tavolo e tirato con una forza F, misurata dal sensore di forza. La figura rappresenta un grafico della forza F in funzione del tempo. Figura (sul tipo della figura 13) a) b) c) d) Qual è il valore massimo della forza d'attrito statico fra blocco e tavolo? Qual è il valore della forza di attrito dinamico fra blocco e tavolo? In quale istante il blocco inizia a muoversi? Qual è il valore della forza d'attrito statico all'istante t=… s? Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 21 4) Elencate brevemente, ma in dettaglio, le principali conclusioni che avete ottenuto dagli esperimenti eseguiti sull'attrito radente. 5) Si trova che in genere la forza d'attrito non dipende o dipende poco dall'area della superficie di contatto. Come potete spiegare questa quasi indipendenza? 6) Un oggetto è appoggiato su una giostra che ruota con velocità costante. A causa dell'attrito, l'oggetto rimane fermo sulla giostra, seguendo la sua rotazione. Indicate chiaramente su un disegno la direzione e il verso della forza d'attrito statico esercitata sull'oggetto dal piano della giostra. Spiegate la risposta. 7) Una tavoletta è tenuta ferma in posizione verticale. Se si appoggia un disco sulla tavoletta e poi lo si lascia, esso scivola, cadendo verticalmente in basso. Se invece la tavoletta, sempre mantenuta in posizione verticale, è accelerata rapidamente con un movimento orizzontale, il disco può rimanere fermo sulla tavoletta, seguendo il moto accelerato orizzontale. a) Date una spiegazione di questo fatto. Cosa impedisce al disco di cadere, cosa lo sostiene? b) Elencate e disegnate le forze agenti sul disco: c) Spiegate il fenomeno anche con un modello mesoscopico, mediante un disegno schematico delle asperità in contatto fra disco e tavoletta. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 22 8) Un piatto è posato su un carrello porta-vivande fermo. Si mette in movimento il carrello con una piccola accelerazione, poi lo si fa muovere di moto uniforme e infine lo si fa rallentare fino a fermarlo di nuovo. a) Qual è la forza che ha messo in moto il piatto (il piatto, non il carrello!), facendolo accelerare? E la forza che lo ha fatto rallentare fino a fermarlo? b) Indicate con un vettore la direzione della forza d'attrito statico esercitata sul piatto dal piano del carrello Nella fase di accelerazione: Nella fase di moto uniforme: Nella fase di decelerazione: c) Date una spiegazione delle forze agenti sul piatto, con un opportuno meccanismo basato su quel che può accadere ad una scala più piccola (modello delle giunzioni adesive). Allo scopo, rappresentate con un disegno schematico le asperità in una piccola zona delle due superfici in contatto del piatto e del carrello, facendo un disegno per ciascuna delle tre fasi del moto. 9) Un'automobile accelera. Il veicolo è a trazione anteriore. Indicate la direzione e il verso delle forze di attrito statico agenti sulle ruote motrici anteriori e sulle ruote passive posteriori. Date una spiegazione delle risposte. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 23 8. Il documento per gli studenti “Modelli esplicativi per l'attrito radente fra solidi”. Gli attriti sono una classe di fenomeni molto diversi, il cui legame consiste nel fatto che tutti tendono ad impedire o estinguere i moti relativi fra corpi in contatto: attrito interno, resistenza del mezzo, attrito radente fra solidi (statico e dinamico), attrito volvente. Gli attriti sono indispensabili per il raggiungimento di uno stato di equilibrio, che sarebbe impossibile senza la loro presenza. Trattiamo qui solo l'attrito radente fra solidi, statico e dinamico. 1. Topografia delle superfici, area apparente e area reale di contatto Osservando la superficie di un oggetto apparentemente liscio ad una scala micrometrica, si trova una topografia irregolare, con protuberanze ed avvallamenti, indicate in genere come asperità della superficie (fig. 1). La conseguenza è che le due superfici sono in realtà in contatto solo in corrispondenza delle asperità più alte e quindi l'area reale di contatto Ar è più piccola, in genere molto più piccola, dell'area apparente macroscopica A (fig.2). Figura 1. Asperità superficiali mesoscopiche. (Persson 1998, p.212) Figura 2. Area apparente ed area reale di contatto. (Sholz 2002, p. 55) Una discussione della topografia delle superfici, con la distinzione fra area apparente (o nominale) ed area reale di contatto è propedeutica ad ogni discorso sui meccanismi dell'attrito. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 24 Come hanno detto Bowden & Tabor, è un po' come rovesciare la Svizzera e poggiarla sull'Austria. In realtà, le asperità che si osservano sono meno ripide delle Alpi: per i metalli lavorati l'angolo medio varia in genere fra 1° e 5° ed è quasi sempre inferiore a 10° (Straffelini 2005, p.11). Forse un'immagine più somigliante è allora quella dell'Umbria rovesciata sulla Toscana. L'altezza delle asperità dipende molto dal tipo di trattamento della superficie. Valori tipici sono dell'ordine di 1-10 μm per superfici lisce e del decimo di micron per superfici levigate. Per acciai lavorati si trovano valori da 25 μm fino a 0,05 μm, secondo il tipo di lavorazione. La descrizione è complicata dal fatto che le dimensioni e la frequenza delle asperità dipendono dal passo dell'analisi, che è legato al tipo di strumento di misura utilizzato. Gli strumenti più comuni sono: i microscopi ottici, che hanno una sensibilità massima di circa 0,2 μm; i microscopi elettronici, che possono risolvere dettagli fino ad 1-10 nm; i microscopi a forza atomica (AFM), che permettono risoluzioni fino a 0,1 nm, cioè fino alle dimensioni atomiche. Vi sono poi i profilometri, costituiti da una puntina di diamante molto fine, di dimensioni dell'ordine di 1 μm, che viene fatta scivolare sulla superficie, segnalando con i suoi spostamenti verticali l'andamento altimetrico delle asperità della superficie, un po' come la puntina dei vecchi giradischi. Gli spostamenti della puntina possono essere trasformati in segnali elettrici, amplificati e registrati su carta, producendo i profili lineari caratteristici (fig. 3). La figura 4 mostra un'immagine tridimensionale di una superficie metallica ottenuta col microscopio elettronico. La figura 5 mostra la sezione di una superficie d'acciaio. Figura 3. Profilo di una superficie d'acciaio. a) superficie molata; b) superficie molata e lucidata; c) superficie molata e pulita con carta abrasiva. La scala delle altezze è ingrandita cento volte rispetto a quella delle lunghezze orizzontali, per cui in realtà le asperità sono molto meno ripide. Il profilometro registra l'altezza della superficie ogni 1,7 μm. Si trova nei tre casi un raggio medio dei picchi di 15 μm, 83 μm e 63 μm. Nei casi a e b le misure indicano una distribuzione gaussiana delle altezze delle asperità. (Grenwood & Williamson1966) Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 25 Figura 4. Immagine di superficie metallica ingrandita 2500x con microscopio elettronico (Halling 1981, p.22) Figura 5. Sezione di una superficie di acciaio lisciata con carta abrasiva (Bowden & Tabor 1950, p.16). Vi è un altro aspetto interessante: si è trovato che la topografia delle superfici presenta una struttura frattale auto-affine, cioè si trovano forme simili a più scale di grandezza (fig. 6). Percorrendo la superficie in una certa direzione, si osserva un profilo con piccoli spostamenti verticali irregolari, che somiglia ai profili altimetrici terrestri o alle forme frastagliate delle coste rocciose. Questa similitudine di scala delle asperità è solo statistica, al contrario di altre forme frattali prodotte con leggi deterministiche. È chiaro poi che la similarità è limitata ad alcuni ordini di grandezza, non avendo più senso per dimensioni atomiche. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 26 Figura 6. Descrizione qualitativa del carattere auto-affine del profilo di una superficie. (Bhushan 2002, p.49) Le asperità sono deformabili, anche nel caso di materiali macroscopicamente considerati duri e rigidi. Aumentando la forza normale W fra le due superfici in contatto (il carico), le asperità si schiacciano, si deformano e aumenta l'area di contatto reale. Quest'aumento è dovuto all'aumento dell'area di ciascun contatto e all'aumento del numero di contatti, perché, schiacciandosi le asperità più alte, i due oggetti si avvicinano un po' ed entrano in contatto anche asperità più basse (fig. 7). Questo fatto comporta anche un piccolo avvicinamento dei due corpi in contatto, con micro-spostamenti normali, in genere inferiori al micron. Figura 7. Deformazione di asperità sotto un carico (Halling 1981, p.37) L'analisi della topografia e del comportamento delle superfici a scale micro-metriche è interessante, anche da un punto di vista della riflessione sul metodo e la natura della fisica. Essa mostra, infatti, due caratteristiche tipiche della scienza: andare al di là dell'apparenza, di ciò che si osserva ad occhio nudo, rivelando nuovi dettagli, nuovi mondi invisibili, nuove entità; cercare la spiegazione dei fenomeni in meccanismi che coinvolgono entità a scale di grandezza inferiori, siano esse cellule, molecole, batteri, elettroni o asperità di superficie. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 27 2. Meccanismi fisici che producono l'attrito radente Diversi modelli sono stati proposti da vari studiosi per spiegare i fenomeni dell'attrito radente. Citiamo qui solo alcuni fra i più importanti. Già Leonardo da Vinci si era interessato all'attrito, con esperimenti simili a quelli tradizionali ancora in uso nelle scuole (piano inclinato, blocco tirato da pesi tramite una corda e una carrucola, vedi figura 8). Egli concludeva che la forza d'attrito è indipendente dall'area di contatto ed è proporzionale al carico, con un coefficiente uguale a ¼ per tutti i corpi da lui esaminati, nel caso di superfici pulite e lisce. Questi lavori di Leonardo sono stati pubblicati solo alla fine del XIX secolo e quindi rimangono un caso isolato, senza influenza sugli autori successivi, che infatti non lo citano mai. Figura 8. Disegni di Leonardo per i suoi esperimenti sull'attrito. (Codex Atlanticus e Codex Arundel, da Dowson 1998, p.102) Fondamentali sono in seguito gli studi dei francesi G. Amontons (1663-1705) e C.A. Coulomb (1736-1806). Amontons, in una memoria del 1699, indica la causa dell'attrito nelle asperità di superficie, considerate come ostacoli rigidi oppure come protuberanze elastiche deformate dal corpo in movimento. Nel primo caso l'attrito è dovuto alla forza necessaria per sormontare le asperità, come su un piano inclinato, nel secondo esso è legato alla forza necessaria per deformarle. In ogni caso, conclude che la forza è proporzionale al carico e non dipende dall'area di contatto, due proprietà in genere indicate appunto come leggi di Amontons. Coulomb, in una memoria del 1785, esamina due possibili cause dell'attrito: “l'incastro delle asperità delle superfici, che possono liberarsi solo piegandosi, rompendosi, sollevandosi le une sulle altre; oppure… una coesione fra le superfici che si deve vincere per produrre il movimento”. Al termine del suo lavoro, Coulomb conclude che solo la prima causa indicata può spiegare bene i risultati sperimentali, perché la coesione agirebbe in modo proporzionale “al numero dei punti di contatto o all'area delle superfici”, mentre le misure mostrano che l'attrito è quasi sempre indipendente dall'area. Tuttavia precisa che “la coesione non è Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 28 esattamente nulla e abbiamo avuto cura di determinarla nelle diverse esperienze fatte”, ed essa si aggiunge all'effetto proporzionale al carico. Propone quindi un'interpretazione dell'attrito in termini di asperità superficiali che s'incastrano di più o di meno secondo il carico e si deformano lateralmente sotto una sollecitazione tangenziale (fig. 9): “Così, per fare un paragone semplice, noi concepiamo che le fibre, che costituiscono la superficie del legno, entrano le une nelle altre, come potrebbero fare i crini di due spazzole… Se si vuol fare scivolare la superficie superiore su quella inferiore, le fibre si piegheranno reciprocamente”. Ad un certo punto, esse non possono piegarsi ulteriormente ed iniziano a sgranarsi, lasciando dei vuoti, inizia lo scivolamento, con un attrito inferiore, ma sempre proporzionale al carico. Figura 9. Modello delle asperità secondo Coulomb (Théorie des machines simples, 1785, 2nd édition 1821) Nello stesso periodo, in Inghilterra J.T. Desaguliers e S. Vince propongono spiegazioni dell'attrito basate su un effetto di coesione fra le superfici dei corpi in contatto. Desaguliers (1724 e 1734) osserva che levigando sempre di più due superfici metalliche piane, ad un certo punto l'attrito inizia ad aumentare, il che sembra un paradosso alla luce delle teorie basate sulla meccanica delle asperità, mentre si spiega bene introducendo una forza di adesione fra metalli. Osserva anche che il legno umido ha maggiore attrito di quello secco, perché l'acqua assorbita sulle superfici le fa aderire e quasi attaccare. Ritiene comunque che l'effetto di coesione si aggiunge a quello dovuto alle asperità descritto da Amontons ed è in generale di minore entità. Vince (1785) osserva che l'attrito aumenta sempre all'aumentare del carico, ma trova una proporzione di aumento differente per differenti corpi, quindi conclude che “nessuna regola generale può essere stabilita”. Inoltre, come Desaguliers, sottolinea il ruolo della coesione e ritiene che l'attrito statico sia maggiore di quello dinamico a causa di un meccanismo di adesione operante fra corpi immobili. Nel XX secolo, le ricerche sull'attrito trovano una sintesi e una sistemazione coerente nei lavori degli inglesi F.P. Bowden e D. Tabor, raccolte nei due volumi del loro trattato (1950 e 1964). Pur in presenza ovviamente di parti da completare e di interpretazioni non soddisfacenti, essi stabilizzano un corpo di conoscenze sperimentali e teoriche che costituiscono il punto di riferimento obbligato per le ricerche nel campo. Nasce la moderna tribologia (dal greco tribos, strofinamento, sfregamento), come “lo studio della scienza e tecnologia delle interazioni fra superfici in movimento relativo”, unificando gli studi riguardanti l'attrito, l'adesione, la lubrificazione e l'usura. Essi elaborano il modello delle giunzioni adesive, un'interpretazione considerata ancora oggi un quadro di riferimento fondamentale. L'idea centrale è che, a causa delle irregolarità delle superfici, il contatto avviene solo in corrispondenza delle asperità più alte (fig.2). La Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 29 pressione in queste piccole zone può essere molto alta e provocare forti deformazioni ed elevate temperature. Le asperità in contatto aderiscono fortemente (nel caso dei metalli sono possibili micro-saldature locali) e, per essere separate, richiedono un definito sforzo di taglio s e quindi una forza uguale al prodotto di s per l'area di contatto. La forza d'attrito F è uguale alla forza totale necessaria per separare tutte le giunzioni ed è quindi proporzionale all'area reale di contatto Ar: F∝Ar. Nel caso dei metalli e di altri materiali, le forti pressioni locali sulle asperità in contatto provocano deformazioni plastiche e raggiungono il valore della massima pressione sopportabile dal materiale, la pressione di snervamento, per cui un aumento ulteriore del carico non provoca un aumento della pressione locale ma solo uno schiacciamento ed allargamento delle giunzioni, e quindi un aumento dell'area di contatto reale Ar, che risulta così più o meno proporzionale al carico W. Poiché la forza d'attrito F è proporzionale ad Ar, si ritrova spiegata la legge di Amontons di proporzionalità fra F e il carico. Torneremo su questa teoria nel §3. Bowden e Tabor considerano anche un altro tipo di meccanismo per l'attrito dinamico: la deformazione dei materiali in contatto, con una “solcatura” o “aratura” (ploughing), cioè una penetrazione delle asperità di un oggetto nella superficie dell'altro, con conseguente formazione di solchi, cui si oppone la resistenza del materiale su cui sono prodotti. Possono, inoltre, contribuire all'attrito fenomeni d'usura con abrasione di particelle di materiale. A partire dagli ultimi anni '80 si apre una nuova fase, con un rinnovato interesse per gli aspetti fondamentali della tribologia e l'apertura di nuovi filoni di ricerca, “una fase di rapido ed eccitante sviluppo” (Persson 1998, p.445) che dura ancora oggi. L'origine di questo nuovo sviluppo risiede in due fattori sinergici: la disponibilità di alcuni nuovi strumenti, che permettono accurate misure ad una scala di grandezza micro e nanometrica in ben definite geometrie di contatto; la possibilità di eseguire efficienti simulazioni, grazie alla crescente potenza di calcolo dei computer. Con questi nuovi potenti dispositivi, la ricerca sperimentale si concentra sulle caratteristiche dell'attrito alla scala nanometrica, fra sistemi comportanti un piccolo numero di atomi. Nasce così la nanotribologia. Lo scopo è duplice, da un lato definire le proprietà particolari dell'attrito a livello nanometrico, sia come oggetto di studio in sé sia come supporto per le applicazioni della nascente nanotecnologia, dall'altro cercare di comprendere le basi atomiche dell'attrito macroscopico. Oggi possiamo affermare che non vi è un unico meccanismo fisico che produce l'attrito radente. Vi è una molteplicità di fenomeni, la cui rilevanza relativa varia con le situazioni e i materiali considerati. Indichiamo i seguenti meccanismi, che presentiamo nei paragrafi successivi, in forma descrittiva, semplificata ed intuitiva: 1) l'adesione fra le asperità delle superfici; 2) la deformazione, solcatura o graffiatura delle superfici; 3) l'urto e l'incastro fra le asperità; 4) l'usura dovuta al movimento relativo delle due superfici in contatto; 5) la deformazione e abrasione dovuta a particelle intrappolate fra le superfici (terzo corpo). 3. Adesione fra le asperità delle superfici Questo meccanismo è il più importante e anche il più semplice da modellizzare in forma elementare. Si tratta essenzialmente del modello delle giunzioni adesive di Bowden e Tabor. Come si è detto, a causa delle irregolarità delle superfici, l'area reale di contatto è molto più piccola dell'area apparente, poiché il contatto avviene solo in corrispondenza delle asperità più alte. Tutto il carico si esercita su queste piccole zone, quindi la pressione p=W/Ar su di Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 30 esse è molto alta (dell'ordine del GPa per i metalli duri) e provoca forti deformazioni. Le asperità in contatto aderiscono fortemente e richiedono uno sforzo di taglio per essere separate. La forza d'attrito F è opposta alla forza totale necessaria per separare tutte le giunzioni. Un disegno schematico può illustrare il meccanismo (fig. 10). Figura 10. Contatto adesivo fra asperità. Deformazione e rottura del contatto dovuta all'azione di una forza esterna orizzontale. Tale meccanismo unifica la descrizione dell'attrito statico e di quello dinamico. In effetti, come illustrato nella fig. 10, anche in situazione macroscopicamente statica, sotto l'azione di una forza tangenziale F<Fmax avvengono micro-strisciamenti, dell'ordine del micron, sempre più ampi all'aumentare di F fino a quando non si raggiunge il limite F=Fmax e si ottiene il movimento macroscopico dell'oggetto nel suo insieme. Un grafico sperimentale di tali microspostamenti al variare della forza tangenziale applicata è riportato in figura 11; la figura 12 presenta un'immagine suggestiva delle tracce provocate da questi microstrisciamenti, in una situazione macroscopicamente statica. Figura 11. Microspostamenti prima del movimento macroscopico, al variare della forza tangenziale F applicata. Superfici levigate di platino, con carico normale W=9 N. In ascissa sono riportati i microspostamenti in μm, in ordinata il rapporto F/W. (Bowden & Tabor 1964, p. 59). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 31 Figura 12. Tracce provocate da microstrisciamenti, fra una sfera d'acciaio e una lastra d'acciaio. La sfera è sottoposta ad una forza tangenziale oscillante F, con un carico normale W. Quando φ=F/W =μs si ha il movimento macroscopico. (Bowden & Tabor, 1964, p. 70). Nell'attrito dinamico nuovi contatti fra asperità si formano e si staccano continuamente. In questo caso, le giunzioni raggiungono facilmente temperature elevate, come mostrato dalla tabella, anche se la temperatura media dell'oggetto è uguale alla temperatura ambiente, dell'ordine dei 20 °C (tabella 1 e figura 13, da Bowden & Tabor 1950, p. 38). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 32 Tabella 1. Temperature di giunzioni fra asperità di metalli in contatto strisciante. Piccoli cilindri di piombo e di costantana che strisciano su acciaio, con un carico di 100 g. La temperatura di fusione è di 327 °C per il piombo, di 1290 °C per la costantana. Velocità, m/s Piombo. Temperatura, °C Costantana. Temperatura, °C 1 190 110 2 270 200 3 295 295 4 320 390 5 327 480 Figura 13. Grafico delle temperature raggiunte nelle zone di contatto al variare della velocità. Piccoli cilindri di gallio, piombo e costantana che strisciano su una superficie d'acciaio. Carico di 100g. Temperatura ambiente To=17 °C. Si noti che il gallio e il piombo raggiungono facilmente la temperatura di fusione (32 °C e 327 °C). (da Bowden & Tabor 1950 p.38) Si noti che le temperature aumentano rapidamente con la velocità, fino a raggiungere, nel caso del gallio e del piombo, un valore massimo, che coincide con la temperatura di fusione (32 °C e 327 °C rispettivamente), che non può essere superata. Raggiunta questa temperatura, infatti, il metallo fonde localmente, si creano micro-saldature fra le asperità in contatto e la temperatura rimane costante. Nell'esperimento, la costantana non ha raggiunto la sua temperatura di fusione, che è molto più alta. Il modello delle giunzioni adesive spiega l'apparente paradosso della forza d'attrito indipendente dall'area (apparente) di contatto. Le asperità in contatto per essere separate richiedono un definito sforzo di taglio s, quindi una forza uguale a s moltiplicata per l'area di contatto. La forza d'attrito F è essenzialmente la forza totale necessaria per separare tutte le giunzioni ed è quindi proporzionale all'area reale di contatto F=sAr. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 33 Se nelle zone di contatto la pressione raggiunge la soglia di cedimento, la pressione di snervamento po del materiale, un aumento del carico W schiaccia ulteriormente le asperità, facendo aumentare l'area del contatto, ma lascia invariata la pressione po, che è la massima sopportabile dal materiale. L'area reale di contatto è quindi proporzionale al carico: W=poAr. Si ottiene quindi F=sW/po, cioè una forza d'attrito proporzionale al carico F∝W. Le misure confermano che il rapporto fra area reale e apparente aumenta con la forza normale. Nel caso di superfici piane d'acciaio, si trovano valori come i seguenti, tratti da Bowden & Tabor (1954, p.34): Tabella 2 Area reale di contatto Ar e area apparente A. Acciaio su acciaio. A=21 cm2. carico (N) 20 50 1000 5 4 Area apparente / area reale 10 4·10 2000 Valori simili si trovano anche con A=1 cm2. 5000 400 Si può vedere dalla tabella che la pressione reale sull'area reale di contatto è quasi costante, di circa 1 GPa≈104 atm, che corrisponde ai valori della pressione di snervamento di alcuni acciai. Queste misure sono state fatte con metodi elettrici. Si applica una tensione elettrica fra i due corpi metallici e si misura la corrente che circola (fig. 14). La conducibilità fra i due metalli è proporzionale all'area reale di contatto Ar, quindi dal valore della corrente si può risalire all'area Ar. Per fare un altro esempio, per un cubo di rame, di lato 22 cm e di massa m=95 kg, poggiato su una superficie di rame, l'area reale di contatto è di circa 1-2 mm2. Figura 14. Misura dell'area reale di contatto con metodo elettrico. (Bowden & Tabor 1950, p.27) Tuttavia, per molti materiali le deformazioni delle asperità non sono plastiche ma elastiche. In tal caso, l'area dei contatti non è proporzionale al carico, ma ad una potenza W2/3, il che porterebbe a contraddire la legge di Amontons di proporzionalità fra forza d'attrito e carico. Se si considera, però, una superficie estesa, con molte zone di contatto, l'aumento del carico fa aumentare non solo l'area dei singoli contatti, ma anche il numero dei contatti (fig. 7), Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 34 attivando nuovi contatti fra asperità meno alte. Sono stati sviluppati vari modelli di contatto fra superfici rugose (Archard 1958, Greenwood e Williamson 1966), con distribuzioni statistiche φ(z) delle altezze z delle asperità, trovando in vari casi (distribuzioni gaussiana ed esponenziale) una relazione fra area reale di contatto Ar e carico W molto vicina alla proporzionalità. D'altronde si è osservato che per molte superfici reali le altezze delle asperità sono descritte bene da una distribuzione gaussiana. Greenwood e Williamson scrivono: “Ciò ci porta a suggerire che l'origine delle leggi dell'attrito… risiede non tanto in un'ideale deformazione plastica dei contatti individuali, quanto semplicemente nella statistica delle asperità di superficie“ (1966, p. 303). In ogni caso, anche senza entrare nei dettagli quantitativi, una descrizione qualitativa può essere sufficiente per ricostituire una coerenza fra un'immagine intuitiva del fenomeno e il comportamento fenomenologico: l'area di contatto reale è molto minore, in genere, di quella nominale; tale area reale aumenta con la forza premente, con il meccanismo dello schiacciamento dei singoli contatti e dell'aumento del numero dei contatti; quindi in fin dei conti l'area reale dipende quasi solo dalla forza normale e non dipende, o dipende poco, dall'area apparente. Si può dire che l'area reale è proprio la minima area necessaria per contrastare la forza premente normale. Tuttavia, come si è detto, sono attivi altri meccanismi, che complicano ogni spiegazione che pretenda di essere esauriente e ci portano a considerare le leggi dell'attrito solo come sintesi semplificate e approssimate di una complessità sottostante, legata alla varietà dei comportamenti della materia. 4. Deformazione, solcatura o graffiatura delle superfici Questo meccanismo è particolarmente importante nel caso di contatto fra un materiale duro ed un materiale soffice, come la gomma o alcune rocce. Le asperità dure di un oggetto deformano il materiale dell'altro oggetto in contatto, provocando “solchi” o “graffi”. Il materiale solcato oppone resistenza e questa resistenza genera un ulteriore contributo alla forza d'attrito, che possiamo indicare con Fdef. Un disegno e un'immagine possono essere utili per illustrare il fenomeno (fig. 15 e 16). Figura 15. Attrito per solcatura: solco scavato da un'asperità (ASM Handbook 1992, p. 30) Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 35 a) b) Figura 16. Solco prodotto da una semisfera di rame che striscia su una superficie di rame a) senza lubrificante; b) con un sottile strato di lubrificante (0,2 μm). Le altezze sono ingrandite 10 volte rispetto alle distanze orizzontali (Bowden & Tabor 1950, p.241) I solchi possono essere deformazioni plastiche, che lasciano tracce permanenti, o deformazioni elastiche, seguite da un ripristino della forma originaria. In quest'ultimo caso, riprendendo la forma originaria, il materiale deformato restituisce una spinta in avanti, che compensa in parte la resistenza opposta in precedenza alla compressione, un po' come una molla. Tuttavia, questa forza restituita è sempre inferiore alla resistenza opposta nella fase di deformazione (isteresi elastica), perché i materiali non sono mai perfettamente elastici. Questa differenza, più o meno rilevante secondo i materiali, provoca una forza complessiva che è di opposizione al movimento relativo delle superfici, contribuendo alla forza d'attrito. Possiamo quindi scomporre la forza d'attrito F complessiva nella somma di due contributi dovuti all'adesione ed alla deformazione F=Fad+Fdef. I due fenomeni possono essere compresenti in un unico episodio di contatto fra asperità. 5. Urto e incastro fra le asperità Il terzo meccanismo indicato somiglia alle interpretazioni di Amontons e Coulomb (fig. 9). Si tratta di effetti dovuti alla geometria dei contatti. Le asperità di un oggetto possono essere costrette dalla forza esterna ad urtare e scavalcare le asperità dell'altro oggetto, il che richiede un dispendio d'energia, che si manifesta come una resistenza al moto relativo dei due oggetti. Quest'effetto è importante nel caso di superfici molto scabre, con asperità di dimensioni relativamente grandi. 6. L'usura Questo fenomeno è molto importante in se stesso, l'usura costituisce un problema rilevante per l'industria e anche in altre situazioni più ordinarie (si pensi al consumarsi delle scarpe e degli indumenti, le famose camicie lise). Tuttavia, se è vero che l'usura si accompagna sempre all'attrito, non vi è un legame quantitativo stretto fra i due fenomeni. Vi sono casi di basso attrito con elevata usura, per esempio quando si scrive con una matita o col gesso, che sono due casi di usura utile e desiderata. In altri casi l'attrito è elevato ma l'usura è piccola, come per le pasticche dei freni, in cui si desidera che sia piccola. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 36 Nella maggior parte dei casi il contributo dell'usura all'attrito non è quantitativamente rilevante. Esso diventa rilevante nel caso di superfici molto rugose e con asperità fragili e relativamente grandi, come accade in molte rocce o alcuni materiali ceramici, soprattutto nel contatto fra materiali di differente durezza, in cui il più duro rompe facilmente le asperità dell'altro. In questi casi, la rottura delle asperità contribuisce ad aumentare sensibilmente l'attrito. Inoltre si formano particelle di detriti, prodotte dalla rottura delle asperità, che fanno aumentare ancora l'attrito. In alcuni casi l'eliminazione dei detriti può far dimezzare l'attrito. Nei macchinari con parti metalliche in moto, si osserva che dopo un po' di tempo di funzionamento l'usura diminuisce. Ciò è dovuto al fatto che le superfici si adattano meglio fra loro, per abrasione delle asperità irregolari. Per questo motivo, prima di un uso regolare, si usa fare un rodaggio, cioè si fa funzionare il macchinario a bassa velocità per qualche tempo, per consentire l'adattamento delle superfici mediante un'usura moderata, che non provochi troppi danni. Si faceva anche per le automobili, rispettando opportuni accorgimenti per qualche migliaio di chilometri, limitando la velocità e il numero di giri del motore e con un ricambio frequente dell'olio. Attualmente, la capacità di ottenere superfici regolari e ben lavorate è aumentata di molto ed è quindi meno frequente l'uso della fase di rodaggio. 7. Deformazione e abrasione dovuta a particelle intrappolate fra le superfici La presenza di particelle intrappolate fra le due superfici (fig. 17) può contribuire in modo sensibile all'attrito. Queste particelle possono essere di origine esterna oppure essere detriti generati dall'usura degli stessi oggetti che strisciano. L'effetto può essere notevole nel caso di particelle di materiale duro e di forma angolosa. In alcuni casi particolari, al contrario, la presenza di particelle esterne può anche far diminuire l'attrito, perché il contributo abrasivo aggiuntivo è controbilanciato da un effetto di diminuzione del contributo adesivo. Figura 17. Attrito per abrasione provocata da una particella intrappolata fra le due superfici. (Strafelini 2005, p. 50) Non bisogna infine dimenticare l'effetto della presenza quasi inevitabile sulle superfici o fra di esse di altri materiali, come grassi, umidità, ossidi, particelle solide, tanto che si parla dell'effetto di terzo corpo. Come scrive Feynmann (1967, p.12-6), certamente esagerando un po': “Le tabelle che hanno la pretesa di elencare valori di μ per ‘acciaio su acciaio’, ‘rame su rame’ e simili, sono tutte sbagliate… l'attrito non è mai dovuto a ‘rame su rame’, ecc., ma alle impurità attaccate al rame”. Nel caso dei metalli, lo strato d'ossido ha un ruolo importante. Esso fa diminuire l'attrito, facendo diminuire l'adesione fra i due metalli. La rottura di parti dello strato d'ossido, per abrasione, provoca un aumento dell'attrito. Nei veicoli spaziali molte difficoltà tribologiche sono legate all'assenza dei film di ossido. Si usano allora lubrificanti solidi, cioè si applica uno strato sottile (alcuni micron) di un metallo tenero, per esempio piombo. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 37 8. Leggi elementari dell'attrito e risultati sperimentali In genere i testi scolastici riportano tre leggi semplici dell'attrito radente, secondo cui la forza d'attrito è proporzionale alla forza normale, è indipendente dall'area (apparente) di contatto ed è indipendente dalla velocità di strisciamento. Come abbiamo detto, tali relazioni non sono leggi fondamentali né esatte, ma solo leggi fenomenologiche, valide in molti casi ma non in tutti, che richiedono di essere spiegate sulla base di proprietà dei corpi in contatto e di fenomeni sottostanti. Per la relazione fra attrito e forza normale, si osserva, in molti casi, un andamento meno semplice, come mostrato nella fig. 18. Vi sono poi i materiali appiccicosi, aderenti, che presentano attrito anche senza carico o con un carico negativo, come pongo, stucco, resina, chiusure a strappo. Si può mostrare come oggetti costituiti di tali materiali possono non scivolare anche se poggiati su pareti verticali. Un comportamento simile si osserva spesso negli esperimenti sull'attrito a livello nano-metrico: l'attrito statico non tende a zero all'annullarsi del carico e persiste anche per carichi negativi, fino al raggiungimento di un valore negativo limite per il quale si ha l'improvviso distacco dalla superficie (fig. 19). Figura 18. Relazione fra il coefficiente d'attrito cinetico e la forza normale, per tre differenti velocità di strisciamento di nylon su acciaio. (Williams 1994, p. 157). Figura 19. Forza d'attrito in funzione della forza normale per una punta di carbonio su uno strato di mica, in aria in condizioni normali. La punta ha diametro di circa 1-3 nm. (Persson1998, p. 29). Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 38 Ancor più la dipendenza dell'attrito dinamico dalla velocità dovrebbe essere vista in modo problematico. Per molti materiali e per ampi intervalli di velocità si trova un coefficiente d'attrito quasi costante al variare della velocità. Tuttavia, vi sono anche molti casi in cui ci trova un andamento meno semplice, con grafici sperimentali complicati, come quello della figura 20. Figura 20. Dipendenza del coefficiente d'attrito dalla velocità di strisciamento, nel caso di un polimero su acciaio, un materiale ceramico (nitruro di silicio) su se stesso, di acciaio ad alta resistenza su acciaio. (Straffelini 2005, p. 41). Si può anche fare l'esempio dell'attrito fra pneumatico e strada, che aumenta al diminuire della velocità, come riportato nelle tabelle del Ministero dei trasporti sulla distanza di visibilità per l'arresto e come mostrato dalla difficoltà di frenare dolcemente ed in modo continuo, fino all'arresto del veicolo, evitando lo sbalzo finale in avanti del passeggero dovuto al forte aumento dell'attrito a velocità molto basse. Università di Pavia, Gruppo di Ricerca in Didattica della Fisica. Descrizione della sequenza sull'attrito 39 Riferimenti bibliografici Amontons G. (1699) De la résistance causée dans les machines, Mémoires de l'Académie Royale A, 19/12/1699, in Histoire de l'Académie Royale des Sciences, 1732, pp. 206-227. Archard J.F. (1958) Elastic Deformation and the Law of Friction, Proceedings of the Royal Society of London, A 243, pp. 190-205. ASM, American Society of Mechanics, (1992) ASM Handbook, Vol. 18. Friction, Lubrication and Wear Technology. ASM International, Ohio, USA. Bhushan B. (2002) Introduction to tribology, John Wiley & sons. Bowden F.P. & Tabor D. (1950) The Friction and Lubrication of Solids, Part I. Clarendon Press, Oxford, UK, reprinted with corrections in 1954. Bowden F.P. & Tabor D. (1964) The Friction and Lubrication of Solids, Part II. Clarendon Press, Oxford, UK. Coulomb C.A. 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