INSERTO DURAN (Page 1)
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INSERTO DURAN (Page 1)
ANNO X NUMERO 149 - PAG I IL FOGLIO QUOTIDIANO SABATO 25 GIUGNO 2005 LA MALIARDARIA E IL BASSISTA FIGO Come vent’anni dopo un Duran Duran continua a mandarmi in bianco B isognerà che qualcuno prima o poi si occupi coi dovuti strumenti (suggerisco un seminario al Dams) di colmare questa lacuna. Di dire che sì, d’accordo, “Sapore di mare”, “Il tempo delle mele”, “Via Montenapoleone”, per carità, ma il vero film di formazione dei trentenni (e anche il mio, sebbene io mi guardi bene dal compiere più di ventiquattro anni e mezzo), la vera educazione sentimentale di gente che pure ha trascorso l’adole- Per essere una sposabile Ragazza Ricca non basta vincere al Totocalcio: sarebbe un patrimonio privo di solidità scenza a sciropparsi Godard fingendo di trovarlo avvincentissimo, il vero modello comportamentale emotivo di noialtri è “Turné”. Bisognerà che qualcuno – possibilmente qualcuno un poco più autorevole di me – prima o poi lo dica, che quell’inizio, “Là c’è una porta rossa, la voglio nera. Niente colori, tutto nero”, e il produttore impressionato che lo ferma prima di uscire, “García Lorca”, e lui dannato come può esserlo solo uno che beve Campari dalla bottiglietta e ingurgita pasticche come fossero birra e ama una con la voce da 144 ma senza tette, dannato come può esserlo solo uno che pare dannato anche nelle scene in cui indossa una camicia rosa, dannato come può esserlo uno che tiene il punto di dannazione senza cadere nella stucchevolezza persino in quelle scene in cui al mare d’inverno si somma “Rimmel” (oddio, forse lì il fatto che avessimo quindici anni aumentava la soglia di tolleranza allora, e il fatto di avere nostalgia dei nostri quindici anni fa perdurare la tolleranza ora), lui, dannato come uno che allora avrà avuto menoditrentanni ma era già marcio e vocato all’invecchiamento precoce, dannato come il James Dean che gli anni Ottanta si meritavano, lui al pirla che dice “García Lorca” risponde con quel disprezzo che per esprimerlo devi esserti fumato qualche centinaio di stecche di Marlboro: “Mick Jagger” – bisognerà, dicevo sette incisi fa, prima o poi dirlo, che quello è un incipit piuccheperfetto, che non riesce a rovinarlo neppure il fatto che la produzione di Salvatores fosse all’epoca troppo squattrinata per potersi permettere “Paint it, black” e che quindi dopo quella risposta, “Mick Jagger”, parta un’altra canzone (ma a casa mia la videocassetta si vede coordinando i telecomandi e azzerando subito dopo “Mick Jagger” il volume del film e facendo partire Mick Jagger dallo stereo). Bisognerà dirlo, ma bisognerà altresì dire che, per tutte le ragazze che hanno passato l’adolescenza a cercare un Fabrizio Bentivoglio che volesse le pareti tinte in nero, fu un trauma l’anno scorso vedere quel film, mi pare fosse di Rubini, in cui a un certo punto c’è Bentivoglio nudo, una specie di ragioniere bianchiccio e con la pancetta, uno che ha l’aria di non essere stato sessualmente appetibile un giorno in vita sua, altro che aver (de)formato tutto il nostro immaginario. Il film non mi ricordo come s’intitolasse, ma so che ha segnato la fine di un’epoca. L’epoca in cui abbiamo creduto che i belli e dannati invecchiando si disfacessero magnificentemente. Tendenza Marlon Brando. Avevamo un sogno. Poi è arrivato Bentivoglio, nudo e sprezzante delle nostre illusioni. * * * Non c’è bisogno di aver letto Scott Fitzgerald, per sapere che i ricchi sono diversi da noi. Ma mi piacerebbe che un romanziere all’altezza raccontasse gli uomini cui piacciono le ragazze ricche, di gran lunga la categoria più interessante che la contemporaneità abbia da offire. Sì, il loro (il vostro) modello è Gassman in “C’eravamo tanto amati” – ma c’è molto di più. C’è l’evoluzione della specie. Il concerto del 2005 è pieno di ventenni. Significa che le fan dell’85 hanno figlie ormai grandi. E’ anagraficamente sputtanante C’è che ci sono in giro molte più miliardarie carine che scapoli brillanti. C’è che miliardarie brutte io non ne ho viste, non negli ultimi decenni. Anni fa a uno di questi, un ragazzo normale che aveva sposato una ragazza ricca, nacque una bambina. Li andai a trovare, e la bambina era un qualunque ragnetto neonato. Te lo dissi, e tu – che sei un uomo saggio, anche per questo ti piacciono le ragazze ricche – dicesti: “Diventerà bella. Le figlie dei ricchi diventano tutte belle”. (Si rivelò vero, d’altra parte le figlie dei ric- chi di famiglia diventano belle con certezza genetica: vengono da generazioni di accoppiamenti tra belli). Dicevo, gli uomini (voi) cui piacciono le ragazze ricche. Un paio, tra quelli che conosco, mi stanno molto simpatici, quasi certamente perché non mi piacciono. Il segreto, per andare d’accordo con costoro (con voi), è quel po’ di fortuna che basta a non trovarli(vi) attraenti. Perché i ragazzi cui piacciono le ragazze ricche sono charmant e simpatici e d’uso di mondo e di brillante conversazione: altrimenti come conquisterebbero le ragazze ricche? Sono ragazzi che s’impegnano. Sono ragazzi per cui il matrimonio è la terra delle opportunità. Sono (siete) quelli che sopravvivono alla selezione della specie non operata tramite verifica di possesso di latifondi. Una volta ti ho chiesto se c’era una qualche possibilità che in un futuro magari remoto tu divenissi seriamente interessato a me, non dico mi volessi sposare ma quasi: magari se avessi vinto al Totocalcio? Tu dicesti di no con la rapidità e la certezza con cui si respinge un cibo che non t’è mai piaciuto: “Sarebbe un patrimonio poco solido”. Non bisogna solo essere ricche, ma anche averli ereditati. Contro certi razzismi non si può vincere. * * * La villa della Ragazza Ricca è situata nella parte alta dei Parioli, ma io questo ancora non lo so. Cioè: so che è lì che stiamo andando, perché la proprietaria della villa l’ha messa a disposizione dell’attrice americana sua amica, l’attrice americana si deve far fotografare e serviva un posto tranquillo, e a questo punto della vicenda io penso ancora che la prestatrice di location sia una signora bene. Quando arriviamo e lei si rivela una Ragazza Ricca, ventotto anni dichiarati e la concreta impressione che neppure se li cali, prego che l’immobile sia almeno roba del fidanzato (i Fidanzati Ricchi sono più alla portata di noi Ragazze Non Ricche, generano meno complessi). Poi, in un viavai di persona- rucci, il primo concerto della mia vita, John mi ha guardata, sono certa che mi abbia guardata, e non servirà l’avvento dell’età adulta e il comprendere che dal palco, con le luci in faccia, non vedi neppure tua madre, vent’anni dopo sarò ancora convinta che lui mi abbia guardata, e non conta ch’io preferissi gli Spandau Ballet e fossi lì più che altro per solidarietà di compagna di banco: John era il più figo di tutti. Flashback#2. 2004. Milano, hotel Principe di Savoia. Fuori ci sono un po’ di femmine che strillano e piangono. Sono mie coetanee. Quando i Duran Duran arrivano, in ritardo per l’intervista di una decina d’ore, mi vengono assegnati Simon e Nick. John farà l’intervista con un mensile. L’addetto stampa dice “Tanto a te interessava Simon, no?”. Mi chiedo dove fosse negli anni Ottanta. Certamente non nella mia cameretta. Deve essere uno di quegli allocchi che credevano al marketing: “Sposerò Simon Le Bon”, pfui, mai conosciuta una che volesse sposarlo, si vedeva subito che tendeva a imbolsire. Comunque, mentre Simon si ubriaca e Nick mi parla di stilisti, John passa a fare ciao ciao: ha gli zigomi come una soubrette televisiva italiana e un attacco di ernia del disco. Nessuna traccia del ciuffo biondo che poi divenne rosso, e noi di corsa dal parrucchiere per non smettere di omaggiarlo, prestandoci a messaggi ambigui giacché il ciuffo biondo in quel periodo ce l’aveva anche Stéphanie di Monaco, che allora ci sembrava roba di cui le nostre madri leggevano dal parrucchiere, e solo la saggezza acquisita negli anni ci avrebbe poi fatto compren- mente venir detta Ragazza Ricca). * * * Uno dei primi articoli che ho scritto era sulle groupie. Sono andata a cercare gli appunti d’epoca. Li ho trovati. Come mi ricordavo: avevo chiesto a Enrico Vanzina come fosse la situazione quando loro giravano film con Renée Simonsen e John Taylor era johntaylor: quello dell’isteria collettiva, quello per cui ci tingevamo il ciuffo, quello con Red Ronnie alle calcagna (allora, persino Red Ronnie era redronnie, ovvero un ambìto contatto per farti entrare nel backstage, ma questa sarebbe un’altra storia, la storia del come tutto passi, persino la gloria momentanea, la storia di come si debba essere gentili con chi si incontra salendo le scale, perché prima o poi lo si reincontrerà scendendo – un’altra storia, già). Su quell’epoca dorata in cui John e Renée erano ciò che David e Victoria non sarebbero mai riusciti a diventare, in cui fuori dagli stessi alberghi c’erano le stesse ragazze che ci sarebbero state vent’anni dopo, invecchiate ma non cresciute, epperò anche migliaia di altre che si sarebbero disperse nella crescita, sui golden days il virgolettato di Vanzina faceva così: “Alloggiavamo al Principe di Savoia. Lui venne a trovarla e l’albergo era pieno di ragazzine ricche: le milanesi restavano fuori, gli addetti alla vigilanza non le facevano entrare. Quelle di fuori arrivavano con la mamma e affittavano una stanza. Curioso fenomeno: groupie borghesi”. Dovrei trarre maggiori insegnamenti di vita dalle cose che trascrivo. * * * (Per fortuna sono innamorata di te, di te che quando la notte, tornata a casa da quella fallimentare festa, ti ho detto “Domani i Duran Duran suonano a San Giovanni, ci andiamo?” col mio miglior tono da donna disinvolta, di te che mi hai risposto che non ci pensavi neanche, li hai sempre reputati cinque cretini. Per fortuna sono innamorata di te, e non di uno che premuroso capisce le mie madeleine e le previene e si procura i pass all areas e anche la scaletta del concerto, ché uno così – esistesse – mi stuccherebbe nel giro di due giorni e a quel punto non avrei più saputo con chi venirci, al concerto. Per fortuna sono innamorata di te, e non di uno meno tira-e-molla. Per fortuna tu sei tira-e-molla abbastanza da chiamarmi alle dieci di sera e dirmi solo “Dai, muoviti”. Per fortuna, perché dopo essermi fatta fuori un paio di tacchi nel giardino della villa e un paio nel prato della piscina volevo giusto distruggere i miei sandali di Miu Miu preferiti nel fango attorno a San Giovanni, mentre le ragazzine le portavano via svenute a grappoli, e quelle che non svenivano sapevano tutte le parole delle canzoni, e non avevano più di vent’anni, e che ne sanno loro, e soprattutto non hanno delle boyband contemporanee, per cui svenire? Tu dici che saranno le figlie delle fan, ma io escludo categoricamente che donne che hanno avuto le mie stesse band di formazione abbiano già figlie grandi: sarebbe anagraficamente troppo sputtanante. Per fortuna ci siamo andati, a vedere la ridicola isteria dei buttafuori che continuavano a dire che era il sottopalco era troppo pieno e a fare i prepotenti con le ragazze educate salvo poi far entrare pressoché chiunque facesse più il prepotente di loro o fosse amico degli amici, e gli unici che restavano fuori erano quelli col pass “media” – giustamente, ché a Roma il numero di stipendiati dai media corrisponde all’intera popolazione, e già il sottopalco era un carnaio. Per fortuna ci siamo andati, così ho potuto chie- Dice Nick: i Blur fanno canzoni con parole stupide. Penso io: vabbè, vogliamo parlare di Wild Boys? “Tutte avevamo una cotta per te negli anni Ottanta. Tu non avevi una cotta per te?” “Effettivamente…” le di servizio che sembrerebbe un matrimonio – non fosse che a un matrimonio difficilmente il rapporto ospiti/servitù è di uno a due – spunta una signora vestita come Emma Thompson in “Quel che resta del giorno”. Quando l’Emma si allontana, la Ragazza Ricca fa presente a qualcuno che è la sua tata da ventisette anni, da quando lei aveva un anno. Una giornata può cominciare male (aspettando per due ore e mezza un’attrice che non avrà nulla da dire al registratore acceso) e proseguire peggio (distruggendo un paio di meravigliose scarpe nell’erba di una villa a Monti Parioli) ma è difficile si stabilizzi su un grado di crudeltà tale da costringerti a passare una mattina osservando una Ragazza Ricca muoversi disinvoltamente e sempre gentilissima nei suoi quattro piani con parco, un unico moto di stizza quando realizza che i lavori di ristrutturazione della piscina sono più indietro di quanto dovrebbero. dermi come potesse attecchire il falso mito di Simon, con quella panza, e cinquant’anni e ancora fare le smorfie alle telecamere, che tristezza. Per fortuna ci siamo andati, e ora so su cosa interrogarmi per la vita che verrà: cosa smarchettano a fare con qualunque stilista, se poi John ha ancora la stessa giacca con gli alamari che aveva ai tempi di Lady Oscar?). * * * La Ragazza Ricca ha un paio di jeans a vita bassa, e a un certo punto si siede per terra, e dai jeans spunta una mutanda, ma di seta rossa e sufficientemente larga da non essere volgare, solo disinvoltamente infantile, come si fosse messa i tacchi della mamma. La Ragazza Ricca, seduta per terra, fa sbucare un tatuaggio minuscolo sul solco tra le chiappe, e santa pace neanche quello è volgare. La Ragazza Ricca chiede di non citare il luogo dov’è stato fatto il servizio fotografico, altrimenti il papà verrà disturbato da richieste di prestito della villa (e già i lavori per la piscina son così indietro…). La Ragazza Ricca non è vistosamente bella, ma è inappuntabilmente carina, e a un certo punto arriva un’altra ragazza, e lei la presenta come “la mia migliore amica”, e neanche questa è bella, però ha la pelle eburnea e l’aria di chi non ha pensato a cosa mettersi che potrebbe avere soltanto la migliore amica di una Ragazza Ricca, ovvero una vicina di villa che per comodità potremmo chiamare Ragazza Altrettanto. * * * Flashback#1. 1984. (Nota: dire alla costumista di ricordarsi le spalline). Io nana in tuta rosa con gli angeli di Fio- John Taylor, Simon Le Bon, Nick Rhodes al Billboard Music Awards a Las Vegas, 2004 (Foto Reuters/Miller) dere che i Duran Duran se lo sognavano, di essere rock quanto Stéphanie. * * * Anni Ottanta. John Taylor sta con la donna più bella del mondo, Renée Simonsen. Ma dico, tu te lo ricordi “Sotto il vestito niente”? Anni Novanta. John si riproduce con una groupie sciamannata (amica del cuore di Courtney Love, tanto per chiarire il genere). Amanda de Cadenet, dai tabloid soprannominata de Flabbenet. Tempo presente. John è sposato con Gela Nash, proprietaria di Juicy Couture (quelli delle tute di ciniglia che a Hollywood tutti indossano per far vedere che sono talmente fighi che stanno bene persino con delle tute di ciniglia). Vive nella villa della Ragazza Ricca, a Los Angeles. Se i miei calcoli sono giusti, dovendo ricominciare il giro John dovrebbe ripartire dalla donna più bella del mondo. Ma, non essendo dannato abbastanza da piacere a Kate Moss, passerebbe alla tappa successiva. Groupie sciamannata. Eccomi qua. Ammesso che dalla Ragazza Ricca si possa tornare indietro. (Tu dirai: ma Gela Nash non è una Ragazza Ricca secondo gli standard poc’anzi esposti, è un’arricchita – oltretutto a furia di tute di ciniglia, che non sono manco un genere particolarmente old money. Vero. Ma stiamo parlando di un’americana e di uno che si tinge i capelli, sulle regole della vecchia Europa occorre essere un po’ elastici. Per i parametri di un bassista con gli zigomi plasticati che ebbe un momento di gloria vent’anni fa ma da allora a oggi non si sa cos’abbia fatto, di certo non ha imparato a suonare il basso, ecco, in tale contesto maritale Gela può tranquilla- La festa dello stilista è in una tragica piscina a livello letto del Tevere, tutt’un’umidità e una molteplicità di zanzare, nel più vanziniano dei circoli canottieri, quanto di più generone romano possa esserci, c’è anche la Ragazza Ricca, col suo abitino di quelli che le tette devono starti su da sole, addestrate da secoli di benessere. Quando arrivano John e Nick (non me l’aspettavo: certo, è ovvio siano a Roma, domani suoneranno a San Giovanni, ma saperlo avrebbe voluto dire essere sulla notizia, ovvero contravvenire a tutti i miei principi etici), quando li vedo stringere mani di nero vestiti, l’emozione non è neppure eccessiva: dopotutto li ho intervistati pochi mesi prima, e per un po’ ho continuato a incontrarli ovunque. Simon al Four Seasons di Los Angeles, e non mi ha riconosciuta; Nick era nel posto di fianco al mio su un Los AngelesLondra, e neanche lui mi ha riconosciuta, e grazie al cielo, visto che ho vomitato per tutto il volo, ma insomma sembrava proprio facessimo parte dello stesso giro, è stata un’illusione breve ma piacevole, dev’esser così che si sentono tutto il tempo le Ragazze Ricche. Li guardo mentre s’avanzano a bordo piscina, penso che l’intervista di qualche mese fa era stata organizzata da uno stilista – un altro – e insomma non fanno altro che smarchettare per stilisti, i nostri idoli di gioventù sono diventati delle anziane soubrette, che tristezza. Guardo la Ragazza Ricca e le dico “E pensare che vent’anni fa avrei dato qualunque cosa, per trovarmi a una festa coi Duran Duran”. Lei annuisce. And all Hell broke loose after that. * * * * * * La sera prima, dunque. La festa. Non lo so come mi sono ritrovata a chiacchierare con John Taylor. Cioè, lo so benissimo, ma vogliamo credere sia stato l’ineluttabile destino, no? L’ineluttabile destino è stato aiutato da quaranta minuti in cui gli ho fatto la posta calcolando il momento buono, e il momento buono era quello in cui lui, a un angolo della piscina per una volta non circondato di postulanti che chiedevano se please potreva farsi una foto con la loro moglie/figlia/sorella, il momento in cui lui era impegnato nell’impresa che è nutrirsi a una cena a buffet, ovvero addentare delle lasagne reggendo il piatto con una mano, servendosi solo della forchetta e dei denti, e proprio non aveva maniere da Ragazzo Ricco, la mozzarella faceva il filo e lui si stava tuffando nel piatto per contenere i danni, e io con l’aria disinvolta che – lo sai bene – mi contraddistingue nelle occasioni sociali e ancor più nell’approccio ai sex symbol di gioventù, gli sono passata a fianco esclamando “Buon appetito!”’ (devo ripassare quel manuale sulle pickup line) e poi, con la nonchalance che immagini, sono andata al buffet a prendermi da bere (mai mi sarei fatta vedere a fare il filo alla mozzarella) e lui è scoppiato a ridere, e diosanto quant’è figo quando ride non te lo so spiegare. Comunque, tornando gli ho detto “Tu non ti ricordi di me, ma abbiamo fatto un’intervista a Milano”. Conto sul fatto che non si ricordi davvero, che non si ricordi che l’intervista non l’abbiamo mai fatta, e infatti lui – che dalla sua Ragazza Ricca deve aver imparato un po’ di buone maniere – dice di sì, e da lì è tutto semplice e naturale, siamo due ospiti alla stessa festa, abbiamo pari dignità, no? Non so com’è che mi ri- trovo a parlare con Nick Rhodes che dice che gli Oasis fanno schifo, e i Blur peggio, senti qua che parole del cazzo ha questa canzone, non so com’è che mi trattengo dal dirgli “sì vabbè vogliamo parlare di Wild Boys”, non so com’è che non scoppio a ridere quando lui mi dice che invece vuoi mettere gli Lcd Soundsystem: annuisco grave, come avessi un’idea, sia pure vaga, di ciò di cui sta parlando. So Cosa smarchettano a fare con ogni possibile stilista, se poi John ha la stessa giacca dell’84, quella da Lady Oscar? solo che a un certo punto passa la Ragazza Ricca, mi dà di gomito e dice “Meno male che era vent’anni fa”. And all Hell broke loose after that. * * * Per fortuna ci sono le amiche. Che mi hanno molto consolata, dandomi consigli tardivi ma assai assennati: farla inciampare e cadere in piscina, mandare degli hooligan a mettere a ferro e fuoco la villa di papà, sedurle il fidanzato piacione probabilmente con nodo della cravatta largo lasciato a casa per la serata. Per fortuna ci sono le amiche, che mi supportano nello sdegno: non si può avere tutto, la villa e la rockstar, il fidanzato e la balia, diamine, un po’ di rispetto, non si può essere di buona famiglia e poi svegliarsi una mattina e decidere di far la groupie. Get in line, missy. * * * Il problema dei personaggi di Beautiful è che non sanno di essere in Beautiful. Quando John mi ha chiesto cos’avesse detto quella lì, e se fosse una mia amica, io – nel ruolo di Thorne – non ho visto il tradimento all’orizzonte. Quando ha insistito per sapere cos’avesse detto, e io ho ridacchiato, “Niente, mi prende in giro perché le ho detto che da piccola avevo una cotta per te”, e Nick ha detto “Non avresti mai dovuto dirglielo” e io ho aggiunto che era una cosa comune, “but then we grew out of it”, e lui ha fatto tutta la pantomima “ah, così mi ferisci a morte”, non sapevo di essere Sally Spectra, e di stare sopravvalutando il suo umorismo e sottovalutando la sua vanità. Quando poi ci hanno lasciati soli, e non avevamo assolutamente niente da dirci ma ce lo dicevamo benissimo (io anche un po’ gongolando: voglio dire, stavo parlando con John Taylor! cioè, mi fa quasi più impressione che avere il numero di Gad Lerner, per restare in tema di sex symbol di gioventù), allora non sapevo di essere in lizza per la parte di Sheila, l’infermiera pazza, certo, gli stavo dicendo che alle elementari avevo i capelli tinti come i suoi, ma si parlava degli anni Ottanta, santa pace, sarà consapevole del delirio che lo circondava, tutte avevamo una cotta per lui. “Tu non avevi una cotta per te?”. “Effettivamente ero piuttosto egoriferito”. Fatto sta che quando ha detto “Beh, io andrei a fare un giro”, era per me lampante che lo dicesse solo per farsi desiderare, e che per batterlo in irraggiungibilità avrei dovuto andare a casa prima di Cenerentola (nb: archetipo – perdente – di Ragazza Povera). Venti secondi dopo, avviandomi all’uscita, la visione della disfatta da vicino. La Ragazza Ricca, da qui in poi la Maliardaria, era già stata raggiunta, invitata al concerto, già si stava appuntando il numero di cellulare del mio John e sorridente lo rassicurava: certo, sarebbe stato un piacere. Non mi sarei lasciata scippare vent’anni in venti secondi senza neanche farglielo pesare, quindi le sono passata di fianco: “E poi dicevi a me”. Lei non ha smesso di sorridere Ci tingevamo il ciuffo per somigliare a lui, mica a Stéphanie di Monaco. Che, col senno di poi, era molto più rock di John a lui, liquidando me col tono da fruttivendola che puoi permetterti solo se sei davvero di buona famiglia: “Sì, ma a me m’ha rimorchiato lui, c’è una bella differenza”. Per fortuna ci sei tu, che mi hai tenuto la mano per tutta questa cronaca, hai detto in tono contrito “E’ la storia più triste che abbia mai sentito”, e poi hai aspettato che elaborassi il lutto. Quindici secondi. Poi mi hai chiesto il numero della Ragazza Ricca. Guia Soncini