Cronaca del Convegno

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Cronaca del Convegno
CRONACA DEL CONVEGNO INTERNAZIONALE
“Immigrazione e diritti fondamentali fra costituzioni nazionali, unione europea e diritto
internazionale”
Cosenza, Università degli Studi della Calabria, Facoltà di Scienze Politiche,
15-16 marzo 2010
Il Convegno ha avuto ad oggetto un tema di indubbia attualità ed interesse
costituzionale valorizzando, al contempo, un approccio multidisciplinare nella trattazione
della problematica relativa ai diritti dei migranti. La scelta di analizzare tale complessa
materia nell’ottica del Multilevel Constitutionalism (o, più correttamente, di un sistema di
Multilevel Protection of Fundamental Rights) che caratterizza, nell’epoca contemporanea,
l’impianto di protezione dei diritti fondamentali della persona ha dimostrato di prestarsi
perfettamente al fine di un’indagine minuziosa e plurilaterale del tema.
La prima sessione del Convegno si è aperta con i saluti del Preside della Facoltà di
Scienze Politiche, prof. Guerino D’Ignazio, il quale ha rimarcato la rilevanza scientifica
delle due giornate di studio, soprattutto alla luce delle recenti politiche di criminalizzazione
dello straniero. Volgendo lo sguardo, in particolare, al continente europeo, a seguito
dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona e del contestuale conferimento di valore
giuridico vincolante alla Carta dei diritti fondamentali, la tutela giuridica dello straniero
dovrebbe considerarsi completa ed esaustiva, tanto da poter fungere da argine ad eventuali
politiche repressive intraprese dai Governi degli Stati membri dell’Unione europea.
Tuttavia, come evidenziato anche dal prof. Silvio Gambino (Università della
Calabria), che ha tenuto la relazione introduttiva della prima sessione del Convegno e ha
presieduto i lavori della mattinata, la recente prassi degli Stati membri dell’Unione contrasta
con l’ispirazione di fondo che contraddistingue la strategia di governance delle istituzioni
europee, indiscutibilmente volta all’ampliamento delle tutele giuridiche dello straniero
mediante l’attuazione di una politica di inclusione e la valorizzazione del diritto di emigrare.
Dopo aver ribadito l’opportunità di analizzare la complessa tematica della “condizione
giuridica dello straniero” alla luce dei principi e delle disposizioni delle Carte costituzionali,
dei principali documenti internazionali e della legislazione europea, letti anche nella
prospettiva della giurisprudenza nazionale, internazionale ed europea, il relatore ha sviluppato
la propria analisi critica in relazione ai recenti e gravissimi “fatti di Rosarno”. Questi ultimi,
pur senza sfociare in operazioni di eliminazione fisica degli immigrati lavoratori (come
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accaduto, in precedenza, a Castel Volturno), hanno tuttavia evidenziato la totale assenza di
garanzie in capo a tali soggetti, prefigurando una forte antinomia valoriale e pratica con i
principi accolti nel costituzionalismo liberale e nelle Carte internazionali.
Quanto al diritto di asilo costituzionale (al quale si ricollega la tutela del “rifugiato”),
esso pare concretizzarsi nel diritto di ingresso nel territorio nazionale e nel relativo soggiorno,
al verificarsi delle situazioni di impedimento dell’effettivo esercizio delle libertà
democratiche garantite dalla Costituzione italiana, nel Paese d’origine del soggetto che ne
beneficia. Rispetto allo status di “rifugiato” risulta evidente, inoltre, la maggiore portata
garantistica dell’asilo costituzionale, con la conseguenza che la sua mancata attuazione
determinerebbe un vulnus alla inviolabilità dei diritti fondamentali. Tale circostanza si è
verificata di recente, a seguito dei respingimenti di un cospicuo numero di migranti nelle
acque interne ed internazionali, con un’evidente negazione, fra gli altri, del diritto di habeas
corpus, resa possibile dall’attuazione di una strategia di elusione delle garanzie apprestate
dalla Convenzione di Ginevra, dalla Convenzione europea del 1950 e dal diritto dell’Unione
europea.
La necessità di riflettere con rigore scientifico sulla complessa dinamica dei rapporti
fra le politiche dell’Unione europea e le strategie intraprese dagli Stati nella delicata materia
dell’immigrazione è stata segnalata da Fulvio Vassallo Paleologo, professore di Diritto
privato e Diritto di asilo e statuto costituzionale dello straniero presso la Facoltà di
Giurisprudenza dell’Università di Palermo.
In seguito alla stipula degli Accordi e dei Protocolli fra Italia, Libia, Tunisia e
Algeria, e la conseguente chiusura di tutte le vie di accesso per i potenziali richiedenti asilo,
l’esternalizzazione dei controlli di frontiera ha assunto una dimensione immediatamente
operativa, acuendo ulteriormente gli effetti delle politiche proibizioniste adottate dalla
maggioranza dei Paesi europei nei confronti dei migranti. Inoltre, la recente creazione (2004)
dell’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne europee (FRONTEX) mostra l’incapacità
degli Stati membri dell’Unione europea di convergere su una politica comune in materia di
asilo, malgrado la cospicua produzione normativa a livello istituzionale, limitandosi a
legittimare la c.d. “cooperazione operativa” fra i vari Paesi che si traduce in molteplici
direttive assolutamente non vincolanti e comportanti una serie di limitazioni all’esercizio
effettivo dei diritti di difesa. Dopo aver analizzato la recente politica intrapresa dal Governo
Berlusconi, incentrata sull’utilizzo dello strumento del respingimento collettivo al fine di
contrastare efficacemente il fenomeno dell’ “immigrazione illegale”, il relatore ha evidenziato
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la necessità per tutti gli Stati di rispettare gli obblighi di diritto internazionale consuetudinario
e, più nello specifico, le regole del diritto internazionale del mare.
Per quanto riguarda la prima categoria di obblighi, è stato evidenziato come il
principio del non-refoulement – sancito dalla Convenzione europea del 1950, dalla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea e dalla Convenzione di Ginevra del 1951 –, trovi
diretta applicazione anche nei confronti dei migranti che si trovano in acque internazionali, in
conformità a quanto stabilito dalla Corte di Strasburgo. Secondo quanto evidenziato dal
giudice europeo, di fatti, “gli atti eseguiti in alto mare da una nave di Stato costituiscono un
caso di competenza extraterritoriale e possono impegnare la responsabilità dello Stato
interessato”.
A seguire, il prof. Stephane Pierré-Caps (Università di Nancy 2) ha sottolineato,
nella sua relazione, come la materia immigrazione non sia più dominio esclusivo riservato
agli Stati ma risulti integrata ed ampliata dal diritto internazionale dei diritti umani.
Come evidenziato dal relatore, tale diritto riposa sull’idea dell’universalità dell’essere
umano, prescrivendo una serie di obblighi in capo agli Stati membri che compongono l’intera
comunità internazionale: la situazione giuridica soggettiva dello straniero ne risulta, pertanto,
del tutto arricchita e pienamente valorizzata. Tale constatazione impone, tuttavia, di
analizzare in modo approfondito le molteplici contraddizioni derivanti dall’inevitabile
interazione fra legislazione nazionale e normativa internazionale in materia di immigrazione.
Di fatti, è dato constatare come il diritto internazionale, pur riconoscendo il diritto dello
straniero ad uscire dal proprio Paese non riconosca, al contempo, il diritto ad entrare in un
altro Stato. Le stesse relazioni internazionali risultano chiaramente fondate sulla sovranità e
sull’integrità territoriale degli Stati: ciò comporta, inevitabilmente, una “tensione” fra il diritto
universale alla libertà di circolazione e la disciplina interna di ciascuno Stato.
All’intervento del prof. Pierré-Caps è seguito quello della prof.ssa Carmela Salazar
(Università di Reggio Calabria) che, nel corso della sua esposizione, ha affrontato la delicata
questione del coordinamento fra Stato, Regioni ed Enti locali in materia di immigrazione alla
luce della Riforma del Titolo V della Costituzione italiana e delle recenti modifiche apportate
al Testo Unico sull’immigrazione.
Nello specifico, la professoressa Salazar ha descritto in dettaglio il contributo della
giurisprudenza costituzionale in materia di interpretazione del Titolo V, evidenziando come la
Consulta ne abbia fornito una complessa esegesi, riscrivendo il riparto delle competenze fra
Stato e Regioni e tenendo conto della natura poliedrica del diritto dell’immigrazione. A
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differenza dell’atteggiamento restrittivo tenuto dal Governo nella predisposizione e
nell’attuazione delle politiche migratorie, il giudice delle leggi, in varie pronunce, ha mostrato
una maggiore attenzione ai diritti dei migranti, non riconducendo in modo esclusivo la
materia immigrazione alla problematica dell’ordine pubblico e della sicurezza dello Stato. In
particolare, nella sentenza n. 432/2005, la Corte costituzionale, abbandonando l’idea di una
interpretazione letterale dell’art. 48 della Costituzione (diritto di voto) ha sottolineato che, nel
godimento dei diritti inviolabili, la cittadinanza non ha pregio. Per tale motivo è doveroso
riconoscere, quanto meno, l’ “uguaglianza di tutti in qualcosa”: rispetto alla tutela del
supremo principio della dignità umana la discrezionalità del legislatore non può che subire un
forte contraccolpo.
Alla relazione di Carmela Salazar è seguito l’intervento di Alessandra Algostino,
professoressa di Diritto costituzionale italiano e comparato presso la Facoltà di Scienze
Politiche dell’Università di Torino, che ha introdotto la sua relazione circoscrivendone
l’oggetto al rapporto fra la tutela dei diritti fondamentali al livello internazionale e
sovranazionale e la garanzia degli stessi in ambito nazionale, con una particolare attenzione
alla salvaguardia del diritto di voto degli stranieri.
La relatrice ha innanzitutto rammentato che, nonostante in via di principio anche lo
straniero extracomunitario dovrebbe godere, in quanto persona umana, di tutta una serie di
diritti fondamentali ritenuti patrimonio intangibile della civiltà, sul piano dell’effettività, a
fronte della distinzione fra titolarità e godimento degli stessi, “non può escludersi che tra
cittadino e straniero (…) esist[a]ono differenze di fatto e di posizioni giuridiche tali da
razionalmente giustificare un diverso trattamento nel godimento dei diritti (Corte cost. it.,
sent. n. 224/1974). Ciò appare chiaro ove si consideri come necessaria la ponderazione di vari
interessi pubblici, quali la sicurezza, la sanità pubblica, l’ordine pubblico, i vincoli di carattere
internazionale e, ancor di più, con specifico riferimento al tema oggetto di studio del
Convegno, l’“interesse generale di un razionale ed efficiente controllo dell’immigrazione” (si
v., sul punto, Corte cost., sent. n. 161 del 2000). Ciò nonostante, risulta doveroso evidenziare
come la Consulta abbia precisato che, pur interferendo con una molteplicità di interessi e pur
chiamando in causa gravi problemi di sicurezza e di ordine pubblico, nella materia
immigrazione non può risultare scalfito il carattere universale dei diritti, quali ad esempio
l’inviolabilità della libertà personale e il principio di eguaglianza (Corte cost., sent. n. 161/
2000).
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E’ nella delicata materia dei diritti sociali, tuttavia, che risulta maggiormente evidente
la necessaria graduazione nel godimento dei diritti in stretta connessione con lo status
giuridico del titolare degli stessi. Un esempio paradigmatico è costituito dalle scelte
legislative in cui si prevedono “diverse modalità di esercizio” del diritto alla salute, salvo il
“nucleo irriducibile” di tale diritto che, in quanto diritto fondamentale, deve essere
riconosciuto anche agli stranieri indipendentemente dalla “loro posizione rispetto alle norme
che regolano l’ingresso ed il soggiorno nello Stato” (Corte cost., sent. n. 252/2001).
La relazione conclusiva della prima sessione è stata tenuta dal prof. Paolo Stancati
(Università della Calabria), che ha ricostruito dettagliatamente il quadro costituzionale ed
internazionale che delinea la “condizione giuridica dello straniero”, al fine di inquadrare le
problematiche relative al riconoscimento dei diritti di libertà del non cittadino. Come è stato
bene sottolineato, tali problemi derivano in primis dal costante utilizzo, da parte dei
costituenti, di formule costituzionali in cui si opera una vera e propria “contrapposizione” fra
la condizione giuridica del cittadino e quella dello straniero: se da un lato, il costituente
italiano ha optato per un esplicito riferimento all’ “uomo” o a “tutti” o all’ “individuo” o alla
“persona umana” (si v. gli artt. 3 e 10 § 2 Cost. it.), dall’altro, è possibile individuare una serie
di disposti costituzionali in cui si riconosce la titolarità di determinati diritti esclusivamente in
capo ai cittadini (artt. 4, 16, 17, 18, 38, 48, 49, 50, 51).
Il Prof. Gerardo Ruiz-Rico Ruiz, dell’Università di Jaén (Spagna), ha introdotto e
presieduto le relazioni della seconda sessione, mentre il primo intervento è stato affidato al
Prof. Marcos Massó Garrote, dell’Università di Castilla-La Mancha (Spagna), il quale ha
preliminarmente evidenziato come il tema dell’immigrazione nell’Unione Europea
comprenda diversi aspetti e questioni. Soprattutto dopo il Trattato di Lisbona, l’immigrazione
non può essere materia di disciplina esclusiva e isolata di ciascuno Stato, in quanto le
questioni transnazionali, come l’immigrazione, possono essere risolte solo in una prospettiva
internazionale. Tuttavia, l’intervento europeo fino ad oggi è stato insufficiente, tant’è che
diverse risultano le questioni ancora aperte: la regolamentazione dei flussi migratori; le
politiche esterne di cooperazione e co-gestione dei flussi con i paesi terzi e la
regolamentazione delle persone che vivono e lavorano nei paesi membri (c.d. politica di
integrazione); il ruolo dell’Unione europea in materia di riavvicinamento familiare, che
rappresenta il 60% dell’immigrazione.
Di seguito, il Prof. Gerardo Ruiz-Rico Ruiz ha dato la parola al Prof. Nicolas PérezSola, dell’Università di Jaén (Spagna), che ha incentrato la sua relazione sul futuro
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dell’immigrazione in Europa, ponendo particolare attenzione sulla Direttiva europea n. 115
del 18 giugno 2008, in materia di rimpatri, ribattezzata da qualcuno come “direttiva della
vergogna”.
Dapprima, si è segnalato che la Direttiva non appare particolarmente chiara su alcuni
punti, come ad esempio nella disciplina del rimpatrio. Con riferimento a questo profilo si
osserva come non risulti agevole lo Stato di rimpatrio e come sso non coincida
necessariamente con quello di origine. Tra gli aspetti positivi dell’atto comunitario, il Prof.
Pérez-Sola, ha ricordato: le garanzie procedurali per il ritorno volontario; il sistema scolastico,
di assistenza sanitaria ed il ricongiungimento familiare. Invece, tra gli aspetti negativi, si è
rilevato che risulta insoddisfacente il livello di protezione dei diritti dei minori non
accompagnati, seppure, l’interesse del minore “costituisce un criterio fondamentale per il
trattamento dei minori in attesa di allontanamento”.
La terza relazione della seconda sessione del Convegno è stata affidata alla Prof.ssa
Katia Blairon, dell’Università di Nancy 2 (Francia), che ha affrontato la tematica
dell’immigrazione e della tutela dei diritti fondamentali soffermandosi sul c.d. “statuto
costituzionale dello straniero” in Francia. Se la Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo
riconosce i diritti inalienabili a tutti gli uomini, la Costituzione francese garantisce tali diritti
solo al cittadino; o meglio, come sottolineato dalla Prof.ssa Blairon, il diritto costituzionale
francese non riconosce esplicitamente lo straniero, così che questi non può vedersi
riconosciuti e garantiti i medesimi diritti di cui gode il cittadino. Finanche il Conseil
Constitutionnel nell’interpretazione del principio di uguaglianza, a partire dal 1993, afferma
che vi sono differenze tra cittadini e stranieri e tra stranieri residenti e quelli irregolari.
Tuttavia, alcuni diritti pur non essendo riconosciuti vengono garantiti nella pratica, in quanto
generali ed incondizionati, come ad esempio: la libertà di matrimonio; il diritto di ricevere
cure e prestazioni sanitarie, il diritto di non subire trattamenti disumani, etc. Restano, però
altre questioni, inerenti i diritti politici dello straniero, come il diritto di voto che dopo il
referendum del 2003 è stato riconosciuto solo a livello locale.
Dopo aver richiamato gli aspetti più rilevanti del riconoscimento e della garanzia dei
diritti delle persone migranti, la Prof.ssa Blairon ha osservato come la concezione
universalistica della Costituzione francese (come richiamato nel suo preambolo) si sia fermata
dinnanzi la legislazione speciale dello straniero. Difatti, le idee e la pratica d’integrazione
repubblicana, pongono in evidenza la contraddizione fra Stato e cittadino e Stato e straniero,
così come desumibile dalla legge del 2003, che ha ridotto al minimo i diritti degli stranieri, e
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dalla riforma del 2006 che, da un lato, ha previsto misure più restrittive per i ricongiungimenti
familiari e per l’ottenimento del permesso di soggiorno e dall’altro ha introdotto l’ingresso
per motivi di lavoro.
Successivamente, è intervenuto il Prof. Pedro Carballo Armas, dell’Università di Las
Palmas de Gran Canaria (Spagna), che ha affrontato la questione della garanzia dei diritti
fondamentali dei minori. Il relatore ha esordito ponendo in evidenza gli effetti della
globalizzazione sull’informazione e sulla libera circolazione, per poi rimarcare come l’elevato
tasso di mortalità infantile nei Paesi meno sviluppati non si traduca in politiche più attente da
parte dei Paesi più sviluppati. Difatti, le legislazioni sul ricongiungimento familiare appaiono
particolarmente restrittive.
In Spagna la materia di ingresso, soggiorno e ricongiungimento familiare è disciplinata
dalla legge organica 4/2000 per i diritti e le libertà degli stranieri, integrata dal Decreto Reale
2393/2004. Il ricongiungimento secondo la normativa vigente può essere richiesto dal
cittadino di Paesi extra europei residente in territorio spagnolo per il coniuge unito in
matrimonio, per i figli minori, naturali o adottati. Tuttavia, gli strumenti utilizzati, ad esempio
per valutare l’età, non sono spesso adeguati ed i test medici applicati non sono attendibili,
mentre le misure più affidabili risultano comunque invasive. Resta peraltro del tutto indefinito
il caso del soggetto che rifiuti di di sottoporsi al test medico necessario ai fini
dell’accertamento della sua età e quindi del godimento del diritto al ricongiungimento.
Sulla legislazione concernente i diritti degli immigrati, con particolare riguardo
all’esperienza spagnola, è poi intervenuto il Prof. Luis Garcia Guerriero, dell’Università di
Castilla- La Mancha (Spagna), il quale, nella prima parte della sua relazione si è soffermato
sulle disposizioni costituzionali che tutelano i diritti degli stranieri, in specie l’art. 13.1 CE.
Il Prof. Garcia Guerriero ha inoltre richiamato la giurisprudenza più rilevante in
materia di immigrazione, in particolare la sentenza n. 107 del 1984 e la sentenza n. 236 del
2007 del Tribunal Constitucional, caratterizzanti il processo evolutivo in materia di tutela dei
diritti degli stranieri. Nella prima delle due pronunce il Giudice costituzionale ha affermato
che l’art. 14 della Costituzione spagnola proclamando il principio di uguaglianza, lo fa
riferendosi esclusivamente agli “spagnoli”, “son éstos quienes, de conformidad con el texto
constitucional, son iguales ante la Ley”, seppur si affermi nella stessa sentenza che
l’inesistenza di precetti costituzionali di uguaglianza fra stranieri e spagnoli non sia un
argomentazione sufficiente per risolvere il problema. Qualche anno più tardi il Giudice
costituzionale, con la sentenza n. 236 del 2007, ha dichiarato incostituzionale la Ley Organica
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8/2000 e la Ley Organica 4/2000, poiché tale legislazione che negava il diritto degli stranieri
regolari nel territorio spagnolo, di associazione, riunione e di sciopero era in contrasto con gli
articoli 21 e 10.2 CE. In conclusione il Prof. Garcia Guerriero ha osservato come ancora in
Spagna la tutela dei diritti degli stranieri (regolari ma anche irregolari) sia a “geometria
variabile”.
Infine, il Prof. Juan José Ruiz Ruiz,dell’Università di Jaén (Spagna), nel suo
intervento di chiusura dei lavori della seconda sessione del Convegno, si è chiesto se siano
sufficienti le categorie dello Stato liberale per affrontare i problemi del “multiculturalismo” e
se sia legittimo che il legislatore non preveda alcuni diritti fondamentali per gli immigrati. Il
modello spagnolo, secondo il Prof. Ruiz Ruiz, può essere identificato come un modello di
democrazia procedimentale, che stabilisce limiti e riconosce l’assimilazione al principio
costituzionale democratico. Difatti, il sistema educativo spagnolo è volto a promuovere lo
sviluppo dell’assimilazione della cultura democratica ed a preservarla; si ritiene che
favorendo l’assimilazione democratica fra individui ma anche fra gruppi possa essere
garantito il rispetto delle libertà ed il pieno sviluppo della persona umana, così come previsto
all’art. 27.2 della Costituzione spagnola, ove si afferma che “L’educazione ha per oggetto il
pieno sviluppo della personalità umana nel rispetto dei principi democratici di convivenza e
dei diritti e delle libertà fondamentali”.
In questo senso, il decreto legge del 2006, introduce come nuova materia di
insegnamento obbligatoria, sulla scorta del precedente francese, l’educación a la ciudanania.
Tuttavia, il tema della nazionalità è un tema complesso e il grado minimo di
assimilazione/integrazione non può essere stabilito dal legislatore attraverso misure come
quella del sistema educativo concernente l’imposizione di valori politici, culturali, linguistici
etc.
Dopo un riepilogo delle prima e della seconda sessione, il prof. Carlo Amirante,
dell’Università di Napoli Federico II, ha avviato i lavori della terza sessione del Convegno. Il
Presidente ha sottolineato, in primo luogo, l’intensificazione dei processi migratori nel
contesto della liberalizzazione economica, avvenuta all’interno dell’Unione europea. In
secondo luogo, con riferimento al sistema costituzionale interno, il prof. Amirante si è
soffermato sulla posizione giuridica dei cittadini extra-comunitari rispetto al loro status di
lavoratori. Sono stati richiamati, pertanto, gli artt. 41 e 3 della Costituzione e la
corrispondente necessità di estendere le tutele contenute negli stessi anche agli stranieri. La
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dicitura “cittadini”, presente nell’art. 3 Cost., non può limitare, difatti, l’applicazione dello
stesso, pena la lesione della dignità sociale.
Il Presidente ha poi passato la parola al primo dei relatori della terza sessione, prof.
Gianluca Bascherini dell’Università “La Sapienza” di Roma, che ha relazionato sulle
politiche migratorie nel quadro nazionale italiano. Preliminarmente, tuttavia, un richiamo è
andato all’Unione europea ed alla logica ‘binaria’ delle politiche migratorie comunitarie che
si è concretizzata, fin’ora, in un forte contrasto all’immigrazione irregolare da un lato, ed in
deboli politiche di integrazione dall’altro. Il quadro nazionale, secondo il relatore, riassume
perfettamente tale logica binaria dell’Unione europea. In Italia, difatti, è possibile evidenziare
un forte sbilanciamento a favore del contrasto all’immigrazione clandestina rispetto
all’attuazione di politiche sociali e di integrazione per gli stranieri.
Il relatore si è poi soffermato sull’analisi del Pacchetto sicurezza (l. n. 94/2009),
indicando come tale provvedimento normativo abbia rafforzato una politica che è stata
definita ‘securitaria’ o della tolleranza zero; determinando, in campo penale, il passaggio dal
diritto classico ad un diritto di tipo ‘simbolico’. Ancora, sono state evidenziate altre
peculiarità della logica securitaria italiana, come la federalizzazione e/o ‘privatizzazione’
della sicurezza, che si concretizzano, ad esempio, nell’ istituzione delle ronde e nel
rafforzamento del potere (locale) di ordinanza. Si arriva, così, ad una ‘stigmatizzazione’ del
migrante, che può chiaramente riscontrarsi nella previsione, all’interno del Pacchetto
sicurezza, dell’aggravante di reato, la quale costituisce una evidente violazione degli artt. 2, 3
25 e 27 della nostra Costituzione. Violazione indicata, altresì, rispetto alla previsione del reato
di immigrazione clandestina.
Il prof. Bascherini ha concluso la sua relazione riferendosi all’attuale clima sociale,
che ha definito ‘pervaso da insicurezza’. Si assiste, tramite l’azione di un legislatore che
disattende la giurisprudenza costituzionale, ad una incidenza sul principio di eguaglianza, su
quello che il prof. Cerri definisce il “nucleo forte” della stessa. Per tali ragioni, si avverte la
necessità di promuovere la consapevolezza della complessità del fenomeno migratorio e di
proporre alternative possibili per il riequilibrio delle politiche migratorie, in particolar modo
attraverso la loro riconduzione al centro del dibattito e delle politiche europee.
La parole è poi passata alla prof.ssa Donatella Loprieno, dell’Università della
Calabria, che si è concentrata sulla tematica dei Centri di identificazione e di espulsione,
domandandosi se questi ultimi possano essere considerati come luoghi di conditio inhumana
o come strumenti indefettibili per la conservazione
della sovranità dello Stato. Tanto
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premesso, è stato ricordato che l’organizzazione non governativa Migreurop procede, da
qualche anno, ad una mappatura dei campi per stranieri disseminati in Europa. Tali studi
hanno evidenziato un fiorire di questi spazi (circa 100) dove cittadini non europei vengono
detenuti senza alcuna garanzia per il rispetto dei diritti fondamentali. I CIE, difatti, sono
luoghi dove coesistono e s’intrecciano, in condizioni di detenzione, situazioni di fragilità
estremamente eterogenee tra loro da un punto di vista sanitario, giuridico, sociale e umano, a
cui corrispondono esigenze molto diversificate. In un tale quadro di ‘criminalizzazione’ della
condizione dello straniero, la relatrice ha sottolineato come la ricerca dei costituzionalisti,
proprio perché “il potere per funzionare ha bisogno di produrre le verità” (M. Foucault), deve
tendere all’individuazione di ‘controverità’.
Nella seconda parte della sua relazione, la prof.ssa Loprieno si è interrogata sulla
natura ‘derogatoria’ del diritto degli stranieri e sui limiti della stessa, per poi compiere una
ricostruzione storico – giuridica dei CIE in Italia: dalla loro istituzione avvenuta nel 1998 fino
ai criticabili cambiamenti introdotti dal Pacchetto sicurezza (l. n. 94/2009). Tra quest’ultimi,
un particolare riferimento è andato al prolungamento dei tempi di trattenimento nei CIE fino a
sei mesi. L’ultima riflessione ha riguardato la gestione e l’utilità di suddetti centri. Secondo
la relatrice, le campagne securitarie servono a soddisfare il diffuso sentimento di insicurezza
sociale con il loro portato più tipico e più triste: la mobilitazione contro il diverso se questi è
molto visibile, la banalizzazione e la normalizzazione della loro invisibile presenza nei campi.
Successivamente, il prof. Giovanni Moschella, dell’Università di Messina, ha
relazionato sulla ‘parabola dei diritti umani nella legislazione italiana sull’immigrazione’. I
flussi migratori che in questo ultimo decennio hanno interessato l’Italia, così come altri paesi
europei, hanno determinato una serie di interventi legislativi per regolamentare l’ingresso di
larghe fasce di stranieri extracomunitari nel territorio dello Stato. In una prima fase tale
legislazione è stata finalizzata ad assicurare un progressivo processo di integrazione sociale e
lavorativo, anche attraverso il riconoscimento agli stranieri dei diritti fondamentali e, per
quanto possibile, del loro godimento effettivo. Nell'ultimo periodo, tuttavia, tale legislazione
si è via via orientata a limitare l’ingresso degli stranieri e ad introdurre un apparato
sanzionatorio che ha contribuito a trasformare il problema dell’immigrazione in un problema
di ordine pubblico e di sicurezza, determinando così un rilevante affievolimento nella tutela
dei diritti umani e dei
diritti fondamentali degli
immigrati. Tale tendenza pone
inevitabilmente, soprattutto in capo ai costituzionalisti, la necessità di una profonda
riflessione sulla disciplina normativa sull'immigrazione, in relazione al principio di
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uguaglianza che nell’ordinamento costituzionale italiano dovrebbe estendersi pienamente
anche agli stranieri.
Un ultimo riferimento è andato alla recentissima sentenza della Corte di Cassazione n.
5856 dell’11 marzo 2010 che, secondo il prof. Moschella, suscita più di una perplessità sia in
riferimento agli artt. 33 e 34 Cost., sia alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea
e dei diritti fondamentali in essa tutelati. In un simile scenario può affermarsi che, il governo
italiano, facendo prevalere interessi di sicurezza ed elementi economico-politici e sulle stesse
disposizioni costituzionali e sull'obbligo internazionale di rispettare i diritti umani, si è posto
palesemente in conflitto con tali diritti, confermando la tendenza verso una parabola della
tutela dei diritti fondamentali nella legislazione italiana sull’immigrazione.
Ha poi preso la parola il prof. Nicola Fiorita, dell’Università della Calabria, che ha
aperto il suo intervento con un riferimento alla centralità del principio di non discriminazione
in ambito comunitario ed alla conseguente elaborazione di disposizione finalizzate al
contrasto delle discriminazioni evidenziando come tale processo si consolidi nel nostro
ordinamento nello stesso momento in cui si rafforza la volontà di determinati soggetti
istituzionali di circoscrivere il godimento di determinati diritti in favore delle sole
maggioranze (nazionali, religiose, etniche). Si può pertanto parlare di una sorta di
‘schizofrenia’ che, in definitiva, si riversa sugli organi chiamati a dirimere i numerosi
contrasti che scaturiscono da tale tensione, ossia sui singoli giudici costretti a muoversi in
quel vastissimo spazio che risulta delimitato, da un lato, da provvedimenti comunitari di
ultima generazione e, dell’altro, da provvedimenti locali che il prof. Fiorita ha definito di
‘ispirazione medioevale’. Tra i fattori potenzialmente discriminatori, il prof. Fiorita ha
concentrato la sua attenzione su razza e religione, richiamando diversi esempi del
deterioramento della condizione giuridica degli immigrati. Vengono ricordati, fra le cronache
ormai quotidiane, il divieto di somministrare menù etnici all’interno delle cinta muraria di
Lucca, la legge Lombarda n. 6/2006 con cui si disciplinava l’insediamento e la gestione dei
phone center e l’ordinanza del Sindaco di Trenzano con cui si è imposto l’uso della lingua
italiana nelle riunioni pubbliche nonché l’obbligo, per chi promuove cerimonie religiose fuori
dai luoghi destinati al culto, di darne preavviso almeno trenta giorni prima all’autorità locale
di pubblica sicurezza.
In conclusione, è stato osservato come, paradossalmente, la religione scompare sempre
di più dalla politica e dal diritto a livello nazionale per ricomparire a livello locale. Qui,
l’attivismo di alcuni sindaci, manifestato attraverso le ordinanze che restituiscono un ruolo
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ufficiale alla religione cattolica, va delineando un inedito e sconfortante diritto municipale
confessionista che rimanda ad una visione ‘ottomana’ della società più che ad una qualsiasi
declinazione federalista dell’ordinamento.
Chiude i lavori del Convegno il prof. Roberto Louvin, dell’Università della Calabria,
con una relazione sul caso della Confederazione elvetica, il cuore non comunitario
dell’Europa. Nel secolo caratterizzato dal grande tema del ‘nomadismo’, la Svizzera è
risultata essere, negli ultimi sessant’anni, il Paese più sollecitato per richiesta d’asilo e per
l’immigrazione di mano d’opera. Questo Paese, definito, ‘paradiso delle minoranze’ può
essere, allo stesso tempo, identificato come ‘inferno’ delle stesse per via delle modalità di
ingresso e di permanenza previste. A quest’ultima definizione ha contribuito, secondo il
relatore, il modello di democrazia diretta come anche quelli che si potrebbero definire
‘caratteri tendenziali’ dell’approccio elvetico all’immigrazione e che vengono così riassunti:
un
forte
etnocentrismo;
l’esplicitazione
nell’ordinamento
dell’aspetto
economico
dell’Immigrazione (cd. ‘valenza economica’); la difesa dell’identità plurale nazionale;
l’approccio ‘poliziesco’ e, infine, l’esplicita selettività nei criteri di ingresso.
Dal punto di vista costituzionale, il relatore ha fatto riferimento all’assenza di una
esplicita tutela dei diritti fondamentali, sottolineando che il Tribunale Federale elvetico non
può essere considerato il vero custode della Costituzione. Un ultimo richiamo va, infine, alla
recente revisione della Costituzione (art. 72), relativa al divieto di edificare nuovi minareti e
successiva al risultato del referendum promosso dalla destra nazional-conservatrice.
Greta Massa Gallerano, Angela Scerbo e Francesca Ugolino
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