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Rivista trimestrale - Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB/MI - ISSN 1590-6876
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rivista
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forzata
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rivista
dell’esecuzione
forzata
Numero 3
Anno 2016
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VICEDIRETTORE
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COMITATO SCIENTIFICO
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Giuseppe Miccolis, Girolamo Monteleone, Emilio Norelli, Giuseppe Olivieri, Renato Oriani,
Roberto Preden, Achille Saletti, Fabio Santangeli, Bruno Sassani, Giuliano Scarselli,
Alfredo Storto, Paolo Vittoria
COORDINATORE
Roberta Tiscini
REDAZIONE GIUDIZIARIA
Luciana Barreca, Massimo Ferro, Roberto Fontana, Pasquale Liccardo,
Massimiliana Battagliese, Mario Montanaro, Alida Paluchowski, Anna Maria Soldi,
Augusto Tatangelo, Francesco Vigorito
COMITATO PER LA VALUTAZIONE
Remo Caponi, Claudio Cecchella, Sergio Chiarloni, Domenico Dalfino,
Marco De Cristofaro, Roberto Martino, Juan Montero Aroca, Andrea Panzarola,
Carmela Lucia Perago, Giuseppe Trisorio Liuzzi
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INDICE SOMMARIO
ESPERIENZA E RICERCA
G. MICCOLIS, Brevi riflessioni sull’art. 2929-bis c.c. . . . . . . . . . . . . .
P. LAI, Atto gratuito, superfluità dell’azione revocatoria e tutela del terzo . . . .
F. CAMPI, Il nuovo art. 2929-bis c.c. tra inefficacia presunta, espropriazione anticipata e libertà negoziale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
A. CARENA, A. DI SAPIO, A. GIANOLA, L’applicazione intertemporale dell’art. 2929bis c.c. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
OPINIONI E COMMENTI
D. MICALI, Un termine finale per l’opposizione all’esecuzione… o forse no?
Sottofondo di una polemica sulla stabilità (e sull’efficacia processuale e sostanziale)
dell’esecuzione forzata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
GIURISPRUDENZA COMMENTATA
Cass. 29 gennaio 2016, n. 1673, con nota di A. NASCOSI, La scissione tra l’ordinanza decisoria della controversia distributiva e la dichiarazione di esecutività del
progetto di riparto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
T. Milano, 18 marzo 2016 (ord.), con nota di C. DELLE DONNE, La giurisprudenza
di merito torna sulla sospensione/estinzione dell’esecuzione . . . . . . . . .
T. Milano, 10 novembre 2015 (ord.) e T. Napoli Nord, 7 maggio 2014 (ord.), con
nota di G. QUARANTA, La sospensione ex art. 615, 1° co., c.p.c. tra l’inibitoria del
titolo e del singolo precetto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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IV
RASSEGNA DELLE DECISIONI DELLA CASSAZIONE
a cura di GABRIELLA TOTA
Cass., Sez. III civ., 11 marzo 2016, n. 4751 . . . . . . . .
Cass., Sez. III civ., 20 aprile 2016, n. 7780 . . . . . . . .
Cass., Sez. III civ., 5 maggio 2016, n. 8951 . . . . . . . .
Cass., Sez. III civ., 10 maggio 2016, n. 9390 . . . . . . .
Cass., Sez. III civ., 25 maggio 2016, n. 10752 . . . . . . .
Indice sommario
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Repertorio generale annuale - Giurisprudenza italiana
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ESPERIENZA E RICERCA
GIUSEPPE MICCOLIS
Brevi riflessioni sull’art. 2929-bis c.c.
Sommario: 1. Premessa. – 2. La sostituzione del “giudicato” della sentenza che accoglie la
domanda di revoca con la mera affermazione del creditore. – 3. Cenni sull’ambito di applicazione. –
4. L’art. 2929-bis c.c. e la domanda di revocatoria trascrivibile ai sensi dell’art. 2652, n. 5, c.c. – 5. La
costituzione a titolo gratuito di diritti reali limitati. – 6. Cenni sul concorso tra i creditori. – 7. Conclusioni.
1. Premessa.
Come è noto il d.l. 83/2015 convertito in l. 132/2015 ha introdotto l’inedito
art. 2929-bis c.c.
In virtù di questa disposizione il creditore pregiudicato da un atto del debitore a
titolo gratuito di costituzione di vincolo di indisponibilità (ad esempio, di costituzione di fondo patrimoniale) o di alienazione relativo a beni immobili o mobili registrati, compiuto successivamente al sorgere del credito, può procedere, se munito
di titolo esecutivo, direttamente ad esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento
entro un anno dalla trascrizione (o per il fondo patrimoniale anche dall’annotazione
nei registri matrimoniali1) dell’atto pregiudizievole. Questa facoltà è concessa anche
al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole,
interviene nell’esecuzione da altri promossa.
Nel caso in cui l’atto pregiudizievole sia di alienazione2, l’espropriazione forzata deve
seguire la forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602-604 c.p.c.)3.
V. BOVE, Profili processuali dell’art. 2929-bis c.c., REF, 2016, 157 ss.
Quando questo lavoro era in bozze la l. 30-6-2016, n. 119 di conversione del d.l. 59/2016 ha
modificato i 2° e 3° co. dell’art. 2929-bis c.c. inserendone un 4°. L’attuale 2° co., prima parte, dispone
che «quando il bene, per effetto o in conseguenza dell’atto, è stato trasferito a un terzo, il creditore
promuove l’azione esecutiva nelle forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito
ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato».
3
Sul quale v. il mio L’espropriazione contro il terzo proprietario, in MICCOLIS-PERAGO (a cura di),
L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, 447 ss.
1
2
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336
Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
La norma affida espressamente la tutela del diritto alla difesa del debitore, del
terzo acquirente o comunque del terzo interessato alla conservazione del vincolo,
fino a ieri garantita dalla necessaria preventiva azione revocatoria ex art. 2901 c.c.,
alle opposizioni all’esecuzione disciplinate dal Titolo V del Libro III del codice di
rito civile (ossia a quelle di cui agli artt. 615, 617 e 619), anche per contestare la
conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava ai creditori.
Con l’opposizione all’esecuzione, quindi, si può contestare non soltanto la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della disciplina posta dall’art. 2929-bis
c.c., quali, ad esempio, la non gratuità dell’atto o la decorrenza dell’anno tra la
trascrizione dell’atto pregiudizievole e la trascrizione del pignoramento o la anteriorità dell’atto rispetto al sorgere del credito, ma anche la sussistenza dei presupposti per l’esercizio dell’azione revocatoria, quale è, nella fattispecie considerata
dall’art. 2929-bis c.c. (atto a titolo gratuito successivo al sorgere del credito), la non
conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto a titolo gratuito arrecava
ai creditori4.
Queste poche righe non hanno alcuna pretesa di approfondimento di ciascuna e
tutte le questioni poste dalla norma in esame e traggono spunto da alcune riflessioni
maturate a seguito della lettura, in anteprima, dei due ben più esaustivi articoli già
pubblicati in questa Rivista da Mauro Bove e da Bruno Capponi.
2. La sostituzione del “giudicato” della sentenza che accoglie la domanda
di revoca con la mera affermazione del creditore.
L’art. 2929-bis c.c. ha immediatamente suscitato un particolare (e intrigante) interesse della dottrina, soprattutto di quella processualcivilistica, giacché, come è stato
giustamente sostenuto, la norma incide non già sulla disciplina sostanziale della
revocatoria ordinaria, ma soltanto su quella processuale dell’azione e del diritto alla
difesa5.
Con questa disposizione il legislatore conferma la tendenza, oramai inarrestabile,
a “semplificare” il processo, di cui tanto si sta discutendo in questi ultimi anni6. Ciononostante, prima d’ora, non aveva mai osato tanto. L’art. 2929-bis c.c. sostituisce,
infatti, la sentenza di revoca dell’atto compiuto in frode ai creditori, efficace (ossia
legittimante all’azione esecutiva sul bene oggetto dell’atto revocato) solo dopo il suo
La l. 119/2016 ha modificato il terzo comma, inserendo la legittimazione dell’opponente a fare
valere anche la contestazione del profilo, non solo soggettivo (della conoscenza in capo al debitore), ma
anche oggettivo che l’atto «abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore».
5
BOVE, op. loc. cit.
6
Non a caso l’ultimo Convegno dell’Associazione tra gli studiosi del processo civile, tenutosi a
Cagliari nell’autunno del 2015 ha avuto ad oggetto proprio “La crisi del giudicato”. V. TRISORIO LIUZZI,
Centralità del giudicato al tramonto?, Napoli, 2016, passim.
4
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Esperienza e ricerca
337
passaggio in giudicato7, con la mera affermazione da parte del creditore, il quale,
lo si ripete, munito di titolo esecutivo, può procedere ad esecuzione forzata anche
contro il terzo proprietario dichiarando nell’atto di precetto la sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 2929-bis, 1° co., c.c., in precedenza indicati.
A fronte di tale considerazione si potrebbe sostenere che, tutto sommato, la
sussistenza dei presupposti indicati dall’art. 2929-bis c.c. che legittima il creditore
all’azione esecutiva diretta (al c.d. bypass, come la definisce Capponi) rendono così
chiara la natura di atto in frode ai creditori, da fare ritenere il “giudicato”, necessario a rimuovere il pregiudizio che impedisce al creditore l’avvio della procedura
esecutiva, un mero strumento dilatorio nelle mani del debitore. Sennonché non
sempre i presupposti indicati dall’art. 2929-bis c.c. sono così certi ed indiscutibili.
Basti considerare che la natura di atto a titolo gratuito potrebbe essere invocata dal
creditore anche in atti che non hanno nell’intestazione la dicitura “atto di donazione” o che non sempre è certo ed incontestabile il momento in cui il credito è
sorto (per verificarne l’anteriorità rispetto all’atto in frode ai creditori) o che non
sempre è indiscutibile che l’atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore
o la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni
dei creditori.
Il legislatore avrebbe potuto temperare la sua spregiudicatezza quanto meno
subordinando l’esercizio del potere da parte del creditore ad un controllo preventivo dell’autorità giudiziaria, anche inaudita altera parte, sulla sussistenza dei presupposti, al pari del controllo che il giudice compie allorché emette un decreto
ingiuntivo immediatamente esecutivo o il presidente del tribunale compie allorché autorizza la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare ai sensi
dell’art. 492-bis c.p.c. Anzi, a ben considerare, sussiste una sorta di irrazionalità
nella scelta del legislatore, giacché mentre la sentenza di condanna esecutiva in
primo grado è “anticipabile” da un decreto ingiuntivo esecutivo emesso ai sensi
dell’art. 642 c.p.c. dopo che un giudice ha riscontrato la sussistenza dei presupposti
per la pronuncia del provvedimento, la sentenza di revocatoria, efficace solo dopo il
passaggio in giudicato, è “anticipabile”, sussistendo determinati presupposti meramente affermati dal creditore.
Il legislatore ha espressamente previsto che il diritto alla difesa del debitore, del
terzo proprietario o comunque del soggetto che ha interesse alla conservazione
del vincolo possa essere esercitato con le opposizioni nel processo esecutivo8. Il
CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti processuali dell’art. 2929-bis c.c. (la tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), REF, 2016, 59 ss.
8
L’inversione dell’onere di promuovere il giudizio di cognizione che, con lo strumento dell’opposizione all’esecuzione, grava su colui che subisce l’azione esecutiva non implica anche l’inversione
dell’onere della prova. Ciò non soltanto, come si vedrà, nell’evidente caso in cui il creditore promuova
in riconvenzionale la domanda di revoca (subordinatamente all’accoglimento dell’opposizione), ma
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richiamo contenuto nell’art. 2929-bis, 3° co., c.c. appare pleonastico, in quanto,
anche in caso di mancata previsione, nessuno avrebbe potuto dubitare che, in virtù
della disciplina generale, il soggetto leso dall’azione esecutiva promossa ai sensi
della norma in esame possa proporre le opposizioni del processo esecutivo.
3. Cenni sull’ambito di applicazione.
Le considerazioni svolte nel precedente paragrafo inducono a ritenere la norma di
stretta applicazione. Di modo che il potere del creditore attribuito dall’art. 2929-bis
c.c. in presenza dei presupposti ivi indicati si può esercitare soltanto in talune delle
fattispecie riconducibili all’art. 2901 c.c., ossia soltanto per affrancarsi dall’azione
revocatoria altrimenti necessaria per procedere all’espropriazione forzata del bene
oggetto dell’atto di disposizione compiuto in frode ai creditori9. Per cui non si condivide l’interpretazione offerta da Bove allorché ritiene applicabile la norma anche
in altre fattispecie di inefficacia, quali la simulazione assoluta e la nullità. Peraltro,
l’art. 2929-bis c.c. è una norma cucita addosso all’art. 2901 c.c. e all’azione revocatoria. Basti considerare che in caso di nullità o di simulazione assoluta dell’atto di
vendita pregiudizievole per le ragioni del creditore del dante causa, quest’ultimo,
all’esito dell’accoglimento della domanda, proprio in considerazione dell’atto nullo
(quale è anche quello simulato) e non della mera inefficacia, può procedere ad
espropriazione forzata direttamente contro il debitore/dante causa, mentre, in caso
di accoglimento dell’azione revocatoria, deve procedere, ai sensi degli artt. 2902,
1° co., 2910, 2° co., c.c. e 602 c.p.c., contro il terzo proprietario, come, appunto,
“ricordato” anche dall’art. 2929-bis, 2° co., c.c.
Altra fattispecie in cui l’art. 2929-bis potrebbe trovare applicazione è quella
disciplinata dall’art. 524 c.c. in virtù del quale i creditori del rinunziante all’eredità
possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante al
solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti.
L’impugnazione della rinunzia all’eredità è un istituto molto affine all’azione revocatoria10, che, al pari di questa, si prescrive in cinque anni e può essere gratuita o
anche in ordine alla sussistenza dei presupposti indicati dal primo comma dell’art. 2929-bis c.c. Infatti,
l’unico “accertamento” è quello contenuto nel titolo esecutivo, mentre i presupposti per l’applicazione
dell’art. 2929-bis c.c. sono meramente affermati dal creditore e, come tali, in caso di contestazione
devono anche essere provati. V. CAPPONI, op. cit., par. 4, BOVE, op. cit., par. 3 e VIOLANTE, L’esecuzione
forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929-bis c.c. introdotto con il d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con
modificazioni dalla l. 6-8-2015, n. 132, REF, 2015, 595 ss.
9
Il legislatore ha anche inserito un secondo comma all’art. 64 l. fall. in virtù del quale il creditore
può trascrivere direttamente la sentenza di fallimento sui beni oggetto di atti di disposizione a titolo gratuito da parte del debitore nei due anni antecedenti il fallimento, demandando la tutela degli interessati
dall’atto di disposizione al reclamo avverso la trascrizione ai sensi dell’art. 36 l. fall.
10
V. il mio L’espropriazione forzata per debito altrui, 2a ed., Torino, 1998, 133 ss.
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dietro corrispettivo. L’unica differenza, che, però, forse rende ancora più serena
l’applicazione dell’art. 2929-bis c.c. è che la legittimazione del creditore ad accettare in nome e luogo del rinunziante sussiste anche se la rinunzia è fatta “senza
frode”. Pertanto, qualora si ritenga applicabile, anche in questa ipotesi, la nuova
disciplina consentendo al creditore del rinunziante di promuovere l’azione esecutiva diretta sui beni ereditari contro il terzo proprietario beneficiato dalla rinunzia
all’eredità l’unico difetto di coordinamento si verificherebbe con l’ultima parte del
terzo comma dell’art. 2929-bis c.c., che, pertanto, non sarebbe applicabile a tale
ipotesi. Appare invece legittimo domandarsi se l’art. 2929-bis c.c. possa applicarsi
nel caso in cui il creditore intenda invocare anche la simulazione relativa (ossia nel
caso in cui le parti abbiano simulato una vendita, ma voluto una donazione), in
alternativa alla domanda avente ad oggetto l’accertamento della simulazione relativa e la revoca dell’atto in frode ai sensi del n. 1, in caso di accoglimento della
domanda di simulazione, o ai sensi del n. 2, in caso di rigetto, dell’art. 2901 c.c.
L’art. 2929-bis c.c. non sembra escludere tale possibilità, anche se la natura eccezionale della norma implica una interpretazione restrittiva che esclude l’allargamento
dell’ambito applicativo11.
4. L’art. 2929-bis c.c. e la domanda di revocatoria trascrivibile ai sensi
dell’art. 2652, n. 5, c.c.
Ai sensi dell’art. 2901, 4° co., c.c. «l’inefficacia dell’atto non pregiudica i diritti
acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione
della domanda di revocazione». L’art. 2652, n. 5, c.c., coordinandosi con l’art. 2901,
4° co., c.c., dispone che la sentenza che accoglie la domanda di revoca degli atti in
frode non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede in
base ad un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.
Ne consegue che il beneficio dell’affrancamento dall’azione revocatoria concesso
al creditore dall’art. 2929-bis c.c., ha, quale contropartita, il mancato beneficio degli
effetti della trascrizione della domanda giudiziale, che non sempre sono sostituiti
dagli effetti della trascrizione del pignoramento, come disciplinati dagli artt. 2913
ss. c.c. Ciò perché ben potrebbe il creditore, legittimato a promuovere vittoriosamente l’azione revocatoria, avere erroneamente ritenuto sussistenti i presupposti
per l’applicazione dell’art. 2929-bis c.c. In tale caso il creditore è destinato a subire
l’accoglimento dell’opposizione alla esecuzione promossa ai sensi dell’art. 2929-bis,
3° co., c.c. o il provvedimento di improcedibilità dell’espropriazione forzata (o di
rigetto della istanza di vendita) pronunciato dal giudice dell’esecuzione che ha il
Così CAPPONI, op. cit. che ritenendo, appunto, la norma eccezionale limita l’ambito applicativo ai
negozi che le parti definiscono a titolo gratuito.
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potere di accertare l’insussistenza dei presupposti dell’art. 2929-bis c.c.12, con la
conseguente caducazione del pignoramento e dei suoi effetti.
Giova, però, sottolineare, innanzi tutto, (i) che nulla impedisce al creditore di
promuovere congiuntamente l’azione esecutiva in forza dell’art. 2929-bis c.c. e
l’azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c.13, trascrivendo, oltre al pignoramento,
la domanda giudiziale, o di intervenire (trascrivendo l’intervento) in un’azione revocatoria promossa da altro creditore; in secondo luogo (ii) che l’azione revocatoria
può essere esercitata dal creditore convenuto anche nell’opposizione all’esecuzione
promossa ai sensi dell’art. 2929-bis, 3° co., c.c. in via riconvenzionale (subordinatamente all’accoglimento dell’opposizione per mancanza dei presupposti dell’applicazione dell’art. 2929-bis c.c.14) trascrivendo la domanda giudiziale contenuta nella
comparsa di risposta.
Per contro, il creditore non può proporre l’azione revocatoria unitamente alla
opposizione agli atti esecutivi, eventualmente proposta avverso il provvedimento di
improcedibilità del processo esecutivo (o di rigetto della istanza di vendita) pronunciato dal giudice dell’esecuzione per mancanza dei presupposti di cui all’art. 2929bis c.c.
Occorre, altresì, considerare, nell’ipotesi (i), che la contestuale proposizione di
azione revocatoria e di azione esecutiva in forza dell’art. 2929-bis c.c. è fonte di complicazione, anziché di semplificazione, soprattutto qualora, a seguito della inevitabile
opposizione all’esecuzione, il giudice dell’esecuzione sospenda l’esecuzione forzata
ai sensi dell’art. 624 c.p.c.15. Infatti, in caso di opposizione all’esecuzione, questa
dovrebbe essere a sua volta sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa della definizione dell’azione revocatoria. A ciò si aggiunge che, anche in caso di accoglimento
dell’azione revocatoria con sentenza passata in giudicato, l’opposizione all’esecuzione
potrebbe, dopo la riassunzione ai sensi dell’art. 297 c.p.c., essere accolta qualora sia
Sul potere del giudice dell’esecuzione di accertare la sussistenza dei presupposti dell’art. 2929-bis
c.c. BOVE, op. cit.
13
In questo senso anche BOVE, op. cit., il quale ritiene che, in tale caso, l’eventuale opposizione
promossa ai sensi dell’art. 2929-bis, ult. co., c.c. dovrà essere sospesa ai sensi dell’art. 295 c.p.c. in attesa
della definizione dell’azione revocatoria.
14
In realtà se l’opposizione è accolta, non già sulla insussistenza di tutti i presupposti indicati
dall’art. 2929-bis, 1° co., c.c., bensì sulla non conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che
l’atto arrecava alle ragioni del creditore o sul mancato pregiudizio da questo arrecato ai creditori (dopo
la modifica introdotta dalla l. 119/2016), la domanda riconvenzionale di revoca dell’atto in frode non
può che essere automaticamente rigettata: CAPPONI, op. cit.
15
Qualora nonostante la opposizione all’esecuzione il processo esecutivo prosegua per la mancata
sospensione ai sensi dell’art. 624 c.p.c. e giunga alla vendita, il diritto dell’aggiudicatario è insensibile all’eventuale accoglimento della opposizione all’esecuzione. Ciò anche, e soprattutto, dopo Cass.,
S.U., 28-11-2012, n. 21110. V. comunque in generale per i rapporti tra l’aggiudicatario e il soggetto
passivo dell’esecuzione forzata legittimato alla opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c.
il mio L’opposizione di terzo all’esecuzione e i terzi nel processo esecutivo, REF, 2014, 34 ss., spec. § 3.
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accertata l’insussistenza di tutti i presupposti richiesti dall’art. 2929-bis c.c. Ne consegue che il creditore, per potere procedere esecutivamente, oltre al tempo necessario
ad ottenere il giudicato sull’azione revocatoria, dovrà attendere l’esito del giudizio di
opposizione all’esecuzione. Si può quindi fondatamente ritenere che, qualora vengano promosse congiuntamente l’azione revocatoria e l’azione esecutiva speciale ai
sensi dell’art. 2929-bis c.c., nel caso in cui il processo esecutivo venga sospeso ai sensi
dell’art. 624 c.p.c. a seguito della opposizione proposta dal soggetto passivo dell’espropriazione forzata, il creditore ha tutto l’interesse a rinunciare agli atti dell’esecuzione
forzata, per riproporla una volta ottenuta sentenza di revoca passata in giudicato.
Se invece, nell’ipotesi (ii), il creditore propone l’azione revocatoria in via
riconvenzionale nel giudizio di opposizione promosso ai sensi dell’art. 2929-bis,
3° co., c.c. rischia di perdere tempo prezioso, per beneficiare degli effetti di cui
all’art. 2652, n. 5, c.c., della trascrizione della domanda giudiziale contenuta
nell’atto di opposizione alla esecuzione in caso di caducazione del pignoramento
a seguito dell’accoglimento della opposizione per assenza dei presupposti richiesti
dall’art. 2929-bis c.c. e contestuale accoglimento della domanda di revoca. Il che
non ha più rilevanza ai fini della prescrizione dell’azione revocatoria (art. 2903
c.c.), dopo l’introduzione dell’art. 4, d.l. 3-5-2016, n. 59, convertito con modificazioni dalla l. 119/2016, che ha modificato l’art. 615 c.p.c. prevedendo che
«nell’esecuzione per espropriazione l’opposizione è inammissibile se è proposta
dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a norma degli articoli 530,
552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero l’opponente dimostri
di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui non imputabile».
Infatti poiché l’azione esecutiva diretta può essere promossa entro l’anno dalla
trascrizione dell’atto incriminato, il debitore o il terzo proprietario avrebbero, in
assenza della modifica introdotta dal d.l. n. 59 del 2016, potuto temporeggiare
nel proporre l’opposizione all’esecuzione, per fare decorrere il quinquennio della
prescrizione dell’azione revocatoria al momento della proposizione della domanda
riconvenzionale del creditore. Con il nuovo art. 615 c.p.c. ciò non sarebbe più
possibile, giacché i fatti a fondamento della opposizione sono sicuramente antecedenti alla udienza ex art. 569 c.p.c. e, considerati i tempi delle procedure esecutive,
la domanda riconvenzionale con cui il creditore propone la domanda di revoca
dell’atto in frode in un giudizio di opposizione all’esecuzione ancora ammissibile
è destinata ad essere promossa prima della scadenza del termine di prescrizione
dell’azione disposto dall’art. 2903 c.c.
La mancata o ritardata trascrizione della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 2652,
n. 5, c.c. può, invece, pregiudicare il creditore che avvia direttamente l’azione esecutiva in forza dell’art. 2929-bis c.c. nel conflitto che lo contrappone al terzo (o meglio
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al “quarto”) subacquirente (o avente causa dal terzo proprietario) 16 e, soprattutto,
al creditore del terzo acquirente17.
Il caso è il seguente: trascritto dal creditore del donante il pignoramento nei confronti del terzo acquirente/donatario sul bene oggetto dell’atto di donazione compiuto in frode ai creditori, in forza dell’art. 2929-bis c.c., viene successivamente
trascritto sul medesimo bene da un creditore del terzo acquirente un secondo
pignoramento; il terzo acquirente/donatario propone opposizione all’esecuzione promossa dal creditore del donante per mancanza dei presupposti indicati
dall’art. 2929-bis c.c.; il creditore del donante propone in riconvenzionale nel giudizio di opposizione all’esecuzione la domanda di revoca dell’atto in frode e trascrive
la domanda dopo la trascrizione del secondo pignoramento su istanza del creditore
del terzo donatario; l’opposizione viene accolta con la conseguente caducazione
del primo pignoramento. In tale caso, poiché la trascrizione della domanda giudiziale ai sensi dell’art. 2652, n. 5, c.c. è successiva alla trascrizione del pignoramento
sopravvissuto, il creditore del donante/attore nell’azione revocatoria è destinato a
soccombere nel conflitto con il creditore pignorante del donatario. È pur vero che
la sussistenza della trascrizione del pignoramento promosso ai sensi dell’art. 2929bis c.c., ancorché successivamente venuto meno, potrebbe essere sufficiente a considerare in mala fede il creditore pignorante del donatario. È anche vero, però, che
la “lettura” dalla documentazione ipocatastale di un pignoramento trascritto non
riconduce necessariamente il creditore pignorante del donatario alla consapevolezza (mala fede) che il suo debitore/donatario abbia acquistato in virtù di un atto
in frode ai creditori.
Tali considerazioni valgono non solo per il creditore del donatario, ma anche per
l’avente causa/subacquirente dal donatario, che, acquistando un bene pignorato (nel
caso di specie in forza dell’art. 2929-bis c.c.), è pienamente consapevole degli effetti
sostanziali determinati dal pignoramento come disciplinati dagli artt. 2913 ss. e,
L’ipotesi prospettata nel testo è che il “quarto” subacquirente trascriva l’acquisto dopo la trascrizione del pignoramento. Nell’ipotesi inversa (ossia in quella in cui il “quarto” trascriva per primo
l’acquisto), la l. 119/2016 ha colmato una lacuna che la precedente disciplina lasciava, inserendo un
nuovo 4° co. all’art. 2929-bis c.c., in virtù del quale «l’azione esecutiva di cui al presente articolo non
può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa del contraente
immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento». Il «salvi gli effetti della trascrizione del
pignoramento», che in nessun caso possono essere messi in discussione, vuole soltanto significare che
l’azione esecutiva non può essere promossa in danno del terzo avente causa a titolo oneroso dal donatario con atto trascritto anteriormente alla trascrizione del pignoramento. La norma ha chiarito anche che
l’azione esecutiva può essere promossa nei confronti del “quarto” subacquirente a titolo gratuito che
abbia trascritto l’atto prima della trascrizione del pignoramento del creditore del donante.
17
Sulla equiparazione tra creditore pignorante e avente causa dal convenuto, in relazione agli effetti
della trascrizione della domanda giudiziale si consenta di rinviare al mio Trascrizione delle domande
giudiziali e processo esecutivo, in GABRIELLI-GAZZONI (diretto da), Trattato della trascrizione, II, Torino,
2014, 435 ss.
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conseguentemente, dei rischi che ciò comporta nel successivo conflitto con l’aggiudicatario o l’assegnatario in virtù della disciplina posta dagli artt. 2919 e 2925 c.c.;
non necessariamente deve essere consapevole anche delle questioni relative alla successiva azione revocatoria eventualmente proposta in riconvenzionale nel giudizio
eventualmente proposto di opposizione all’esecuzione.
A ciò si aggiunge, limitatamente al conflitto tra il creditore in revocatoria da
una parte e i creditori del donatario e, per il tramite degli artt. 2919 e 2925 c.c.,
l’aggiudicatario o l’assegnatario dall’altra che la questione della rilevanza dello stato
soggettivo di buona o mala fede dei soggetti di una procedura esecutiva non è di
semplice soluzione. Infatti nel processo esecutivo lo stato soggettivo rilevante non è
quello di un unico soggetto, bensì di una pluralità di soggetti: appunto il creditore
pignorante, i creditori intervenuti, l’aggiudicatario (o l’assegnatario). Ciò può dar
vita a questioni prive di un’espressa regolamentazione nella disciplina positiva18.
Il criterio è che le esigenze di tutela dell’affidamento del terzo, in funzione delle
quali sono previste le norme che attribuiscono rilevanza alla buona fede, inducono
a risolvere il conflitto in base allo stato soggettivo del reale interessato, titolare della
situazione sostanziale incompatibile con quella dell’attore vittorioso. Pertanto la
“mala fede” del creditore pignorante non pregiudica la buona fede dei creditori
intervenuti, che, se muniti di titolo esecutivo, possono proseguire nella espropriazione, né pregiudica, in caso di mancata sospensione del processo esecutivo, il
diritto acquistato dall’aggiudicatario o dall’assegnatario, soprattutto dopo i recenti
arresti delle sezioni unite della Cassazione19.
5. La costituzione a titolo gratuito di diritti reali limitati.
L’atto di disposizione può avere ad oggetto anche la costituzione, a titolo gratuito,
di un diritto reale limitato, quale usufrutto, uso, abitazione, superficie, enfiteusi,
servitù, ecc.
Poiché l’azione esecutiva intrapresa ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. ha la funzione
di espropriare e vendere il bene senza il vincolo costituito dal diritto reale limitato,
appare legittimo domandarsi quale posizione, in questo caso, assume nel processo
esecutivo il titolare del diritto reale limitato medesimo. Ci si chiede se anche nei
confronti di questi soggetti si applichi la disciplina dell’espropriazione contro il
Si rimanda ancora una volta al mio Trascrizione delle domande giudiziali e processo esecutivo, cit.,
par. 9.
19
Cass., S.U., 28-11-2012, n. 21110, cit., per la tutela dell’aggiudicatario e Cass., S.U., 7-1-2014,
n. 61 per la tutela del creditore munito di titolo esecutivo intervenuto. Ma vedi sul punto nel caso che
ci occupa anche BOVE, op. cit., par. 4, nota 40.
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terzo proprietario, come previsto nel caso in cui l’atto in frode sia di “alienazione”,
ai sensi dell’art. 2929-bis, 2° co., c.c.
La posizione nel processo esecutivo avviato ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.
dell’acquirente del diritto reale limitato non può essere diversa dalla posizione che
il medesimo assumerebbe nel processo esecutivo avviato a seguito dell’accoglimento con sentenza passata in giudicato della domanda di revoca promossa ai sensi
dell’art. 2901 c.c.
In altra occasione ho avuto modo di sostenere che nella ipotesi di revoca dell’atto
di costituzione del diritto reale limitato e di successiva espropriazione forzata promossa dal creditore del dante causa si dovrebbe applicare analogicamente la disciplina posta dall’art. 2812 c.c., per i titolari di diritti reali limitati acquistati con atti
trascritti dopo l’iscrizione ipotecaria20. In virtù di quest’ultima disposizione l’acquirente del diritto di superficie o di enfiteusi (terzo comma) è parificato al “terzo
proprietario”, anche ai fini dell’applicazione nei suoi confronti degli artt. 602-604
c.p.c.; in caso di costituzione del diritto di servitù, usufrutto, uso o abitazione (primo
e secondo comma) il creditore in revocatoria può espropriare il bene libero da tali
diritti direttamente (ed esclusivamente) contro il debitore/dante causa21.
Si può, quindi, ritenere adottabile la medesima soluzione anche nel caso in cui il
creditore promuova l’azione esecutiva direttamente ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.22.
6. Cenni sul concorso tra i creditori.
Qualora vi siano più creditori anteriori è possibile che si realizzi il concorso anche
nella esecuzione promossa ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. Il concorso può attuarsi
sicuramente con il pignoramento successivo riunito al primo ai sensi dell’art. 493
c.p.c., purché anche il secondo pignoramento sia trascritto entro un anno dalla
trascrizione dell’atto in frode. Il concorso può attuarsi anche con l’intervento del
creditore anteriore non munito di titolo esecutivo (ma legittimato all’intervento
secondo la disciplina ordinaria23), purché questo avvenga entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, come previsto dal primo comma, ultima parte
dell’art. 2929-bis c.c.
V. il mio L’espropriazione forzata per debito altrui, cit., 131 s.
Il che, però, non esclude il necessario coinvolgimento nel processo esecutivo del titolare del diritto
di servitù, usufrutto, uso e abitazione. La questione, ampiamente dibattuta in dottrina, è pressoché
ignorata dalla giurisprudenza. Per le questioni che si pongono e, soprattutto, per l’esigenza di avvisare ai sensi dell’art. 498 c.p.c. il terzo acquirente del diritto reale limitato di cui al primo comma
dell’art. 2812 c.c. v. il mio, L’espropriazione forzata per debito altrui, cit., 206 ss.
22
Nel frattempo la l. 119/2016 ha risolto la questione modificando il secondo comma dell’art. 2929bis c.c., in virtù del quale, se con l’atto in pregiudizio dei creditori è riservato o costituito un diritto di
servitù, usufrutto, uso o abitazione, si applica la stessa disciplina posta dall’art. 2812, 1° e 2° co., c.c.
23
BOVE, op. cit., par. 4.
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In tale caso, qualora il bene espropriato sia incapiente a soddisfare tutti i creditori, è possibile che sorgano tra questi contestazioni, anche relative ai presupposti
soggettivi di applicazione dell’art. 2929-bis c.c. (quale, ad esempio, l’anteriorità del
credito o la trascrizione del secondo pignoramento o il non tempestivo intervento)
che possono sfociare in controversie distributive. La disciplina generale prevede
per tali controversie lo strumento disciplinato dall’art. 512 c.p.c., che non è derogato dall’art. 2929-bis, 3° co., c.c. Infatti questa disposizione si applica soltanto
per il debitore, il terzo acquirente e «ogni altro interessato alla conservazione del
vincolo», tra cui, evidentemente, non vi sono i creditori che, anzi, hanno l’interesse
contrario e contestano soltanto la sussistenza dei presupposti soggettivi del singolo
creditore.
In realtà il concorso può realizzarsi anche qualora un creditore promuova l’azione
esecutiva ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. e l’altro, non legittimato (perché il suo credito è posteriore all’atto in frode, ancorché sussiste la dolosa preordinazione del
debitore o perché è oramai decorso l’anno dalla trascrizione dell’atto in frode) o
legittimato, ma non convinto della opportunità di avviare direttamente l’azione esecutiva, promuova l’ordinaria azione revocatoria, trascrivendo la domanda giudiziale
dopo la trascrizione del pignoramento. In tale caso non vi è un conflitto tra il creditore che ha trascritto il pignoramento del bene ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. e il
creditore che ha trascritto la domanda giudiziale di revoca dell’atto in frode ai sensi
dell’art. 2652, n. 5, c.c., ma, come detto, si realizza un concorso del tutto inedito
tra due creditori sullo stesso identico piano. Infatti, in questa fattispecie non può
trovare applicazione la disciplina destinata a regolare i conflitti sostanziali tra diritti
incompatibili (artt. 2652, n. 5, 2915, 2° co., e 2913 ss. c.c.). Ne consegue che l’anteriorità della trascrizione del pignoramento o della domanda giudiziale è, nel caso di
specie, del tutto irrilevante.
Il legislatore con l’introduzione dell’art. 2929-bis c.c. ha dimenticato di regolare
questa inedita ipotesi di concorso di creditori. Anzi, a ben considerare, ha “remato
contro” allorché ha limitato l’intervento del creditore concorrente ai sensi dell’ultima
parte del primo comma dell’art. 2929-bis c.c., costringendolo, quando non legittimato all’intervento, all’unica strada percorribile della proposizione dell’azione
revocatoria ai sensi dell’art. 2901 c.c. per tutelare la propria garanzia patrimoniale.
Così operando il legislatore ha costretto i creditori a regolare il concorso fuori dal
processo esecutivo già avviato.
Le uniche soluzioni, per evitare la dichiarazione di incostituzionalità della disciplina, sono o quella di ritenere improcedibile l’esecuzione forzata avviata ai sensi
dell’art. 2929-bis c.c. ovvero quella di sospendere la distribuzione del ricavato in
attesa del giudicato sull’azione revocatoria promossa dal secondo creditore. In
quest’ultima ipotesi non verrebbe del tutto vanificato il beneficio dell’azione esecutiva diretta, in quanto al momento del passaggio in giudicato della sentenza di
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accoglimento della domanda di revoca promossa dal secondo creditore, il processo
esecutivo sarebbe già nella fase terminale.
Accogliendo questa seconda soluzione, nel caso in cui la domanda di revoca sia
stata trascritta prima della trascrizione del pignoramento, il creditore pignorante
ha l’onere di notificare all’attore, al pari di quanto previsto per i creditori iscritti ai
sensi dell’art. 498 c.p.c., l’avviso della pendenza della procedura esecutiva avviata
ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. affinché il medesimo possa intervenire nel processo
esecutivo per sollevare la controversia distributiva e chiedere la sospensione della
distribuzione ai sensi dell’art. 512 c.p.c.; nel caso inverso (ossia qualora la trascrizione del pignoramento preceda la trascrizione della domanda) è onere dell’attore
attivarsi per intervenire nel processo esecutivo avviato ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.
per fare valere il suo diritto in sede distributiva. In ogni caso con il decreto di trasferimento il giudice dell’esecuzione dovrà cancellare anche la trascrizione della
domanda giudiziale pur se avvenuta prima della trascrizione del pignoramento.
Come si è rilevato in precedenza (§ 4) il concorso può realizzarsi anche tra il
creditore del dante causa che agisce esecutivamente ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. e
il creditore dell’avente causa. Occorre distinguere (i) l’ipotesi in cui il creditore del
dante causa pignori il bene per primo nelle forme dell’espropriazione contro il terzo
proprietario ai sensi dell’art. 2929-bis, 2° co., c.c. da (ii) quella in cui pignori per
primo il creditore dell’avente causa nelle forme dell’espropriazione diretta contro
il debitore.
Fermo restando quanto già rilevato (§ 4) in ordine alla soluzione del conflitto
sostanziale tra i creditori della revocatoria (legittimati o no all’azione esecutiva
speciale) e i creditori del donatario/terzo proprietario, nella ipotesi (i) è indiscutibile che il creditore del donatario/terzo proprietario possa prendere parte al concorso promuovendo un pignoramento successivo, che è riunito al primo ai sensi
dell’art. 493, 3° co., c.p.c. o intervenendo nella procedura esecutiva promossa ai
sensi dell’art. 2929-bis c.c.; del resto è al pari indiscutibile che il creditore dell’avente
causa possa partecipare al concorso (con un pignoramento successivo o con un
intervento) nell’esecuzione avviata dal creditore del dante causa dopo il passaggio
in giudicato della sentenza di revoca dell’atto in frode ai creditori.
In tale caso il creditore del donatario/terzo proprietario, anche qualora trascriva un secondo pignoramento, in quanto successivo a quello trascritto in forza
dell’art. 2929-bis c.c. è soddisfatto soltanto dopo il soddisfacimento integrale dei
creditori del donante24. Il creditore del donatario/terzo proprietario è legittimato
Tale soluzione del conflitto tra creditore del donante e creditore del donatario, nel caso in cui il
pignoramento del primo sia trascritto prima del pignoramento del secondo, indiscutibile in virtù della
disciplina sostanziale posta dagli artt. 2652, n. 5 e 2915, 2° co., c.c., è ulteriormente ribadita dal nuovo
secondo comma dell’art. 2929-bis c.c. in virtù del quale, come detto, «quando il bene, per effetto o in
conseguenza dell’atto, è stato trasferito a un terzo, il creditore promuove l’azione esecutiva nelle forme
24
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ed ha interesse, al pari del suo debitore, a contestare la sussistenza dei presupposti
dell’art. 2929-bis, 1° co., c.c. nonché la conoscenza da parte del donante del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.
Appare legittimo domandarsi quale sia lo strumento processuale con cui il creditore del terzo proprietario possa formulare tali contestazioni. Si può fondatamente
ritenere che, nonostante la legittimazione e l’interesse non siano poi così diversi da
quelli del suo debitore, lo strumento non può, nemmeno in via surrogatoria, essere
quello indicato dal terzo comma dell’art. 2929-bis c.c., ma sia sempre quello della
controversia distributiva disciplinata dall’art. 512 c.p.c. Tanto è vero che il terzo
comma dell’art. 2929-bis c.c., oltre al debitore e al terzo proprietario, legittima alle
opposizioni soltanto «ogni altro interessato alla conservazione del vincolo» non già
chi è interessato alla conservazione dell’atto in frode ai creditori, limitando, così,
l’individuazione dei soggetti legittimati all’opposizione ai soggetti terzi pregiudicati
dall’esecuzione forzata diretta esclusivamente in danno del debitore25. Del resto,
anche l’interesse del creditore del terzo proprietario è subordinato alla incapienza
del bene, che diventa acclarata solo dopo la vendita, quando oramai le opposizioni
sono inammissibili ai sensi del nuovo art. 615 e dell’art. 569 c.p.c.
Nell’ipotesi (ii) in cui il creditore del donatario trascrive per primo il pignoramento, la disciplina sostanziale determina la prevalenza del suo diritto rispetto a
quello del creditore del donante.
L’ipotesi esula dall’applicazione dell’art. 2929-bis c.c., in quanto dopo la trascrizione del pignoramento da parte del creditore del donatario, il creditore del donante
non ha altra via che promuovere un’azione revocatoria, anche tramite l’opposizione
di terzo all’esecuzione o comunque coinvolgendo anche il creditore pignorante del
donatario, in cui, tra l’altro, fare valere la mala fede di quest’ultimo per prevalere ai
sensi degli artt. 2901, 4° co., 2652, n. 5 e 2915, 2° co., c.c.26.
dell’espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato».
25
Si pensi al titolare del diritto di servitù, usufrutto, uso o abitazione in conseguenza di quanto
rilevato in precedenza al § 6.
26
Ne consegue che in questa ipotesi (ossia in quella in cui il creditore del donatario trascriva il
pignoramento per primo), non trova applicazione la modifica introdotta dalla l. 119/2016 nel punto
in cui prevede che il creditore del donante è preferito ai «creditori personali» del donatario. L’unica
perplessità potrebbe porsi nel caso in cui il creditore del donatario, anziché trascrivere per primo il
pignoramento, iscriva ipoteca. Probabilmente il legislatore, nel ricopiare la disposizione contenuta
nell’art. 1416, 2° co., c.c. (che regola il conflitto tra i creditori del simulato alienante e i creditori chirografari del simulato acquirente) ha confuso il termine “chirografari” con il termine “personali” giacché
non si comprende, peraltro, quale utilità abbia quest’ultimo termine (come potrebbero essere i creditori
del donatario se non “personali”?). Ed allora appare legittimo domandarsi se dopo l’iscrizione ipotecaria da parte del creditore del donatario, il creditore del donante possa ugualmente promuovere l’azione
esecutiva ai sensi dell’art. 2929-bis c.c. in danno del terzo proprietario/donatario ed essere, in deroga
alla disciplina generale sancita dagli artt. 2901, 4° co. e 2652, n. 5, c.c., in ogni caso preferito al creditore
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7. Conclusioni.
Al termine di questa breve analisi la valutazione dell’art. 2929-bis c.c. non può che
essere quanto sospesa, in attesa di verificarne le implicazioni sul campo di battaglia.
L’impressione è che a fronte della indiscutibile semplificazione in alcune fattispecie
eclatanti, come nel caso della costituzione del fondo patrimoniale poco prima della
prevedibile azione esecutiva, si rischia di scontare una preoccupante complicazione
in caso di atto di trasferimento/donazione.
A ciò si aggiunge che l’accondiscendenza o la semplice indifferenza di dottrina e
giurisprudenza potrebbero indurre il legislatore a ricercare semplificazioni sempre
più estreme, sì da risolvere la crisi del processo civile eliminando quello di cognizione (anche sommaria) e preoccupandosi soltanto dell’esecuzione forzata.
“personale” e ipotecario di questo nella distribuzione del ricavato, prescindendo del tutto dal suo stato
soggettivo di buona o mala fede. In realtà la soluzione al quesito generato dal nuovo art. 2929-bis, 2° co.,
c.c. è offerta dal nuovo 4° co. della medesima disposizione, in virtù del quale «l’azione esecutiva di cui
al presente articolo non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati – tra cui il diritto di garanzia
ipotecaria - a titolo oneroso dall’avente causa – a cui è equiparato il creditore - del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento» (ossia che abbiano trascritto o iscritto l’atto
anteriormente alla trascrizione del pignoramento). Escludendo anche nell’ipotesi in esame l’azione esecutiva speciale, la soluzione del conflitto tra creditore del donante e creditore ipotecario del donatario
torna ad essere regolata integralmente dalla disciplina sostanziale, dettata appunto dagli artt. 2652, n. 5
e 2915, 2° co., c.c.
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PIERGIUSEPPE LAI
Atto gratuito, superfluità dell’azione revocatoria e tutela del terzo
Sommario: 1. Premesse. – 2. Simmetrie e asimmetrie con l’art. 64 l. fall. – 3. La revocatoria semplificata e i riflessi sull’uguaglianza tra i creditori. – 4. L’azione revocatoria ordinaria e il terzo proprietario. –
5. Segue: titolo esecutivo contro il debitore e difese del terzo proprietario. – 6. Giudizio di opposizione
e onere della prova. – 7. L’intervento. – 8. Conclusioni.
1. Premesse.
Il d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 6-8-2015, n. 132,
apporta numerose modifiche al processo esecutivo, intervenendo sul codice di rito
e sulle relative disposizioni di attuazione. Il provvedimento dedica solo una norma
al codice civile, introducendo il nuovo art. 2929-bis c.c., la cui portata teorica e
sistematica appare già a una prima lettura degna della massima attenzione1.
L’istituto, pur confluito nel codice sostanziale, è collocato in una nuova Sezione
I-bis del Titolo IV del Libro VI del codice civile, significativamente rubricata
«Dell’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a
titolo gratuito», così da esprimere (verrebbe da dire: a dispetto della sede prescelta)
Per un primo commento dell’istituto, cfr. CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti processuali
dell’art. 2929-bis c.c. (la tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), REF, 2016, 59 ss.; PROTO
PISANI, Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c., FI, 2016, V, 166 ss.; BOVE, Riforme sparse in materia di
esecuzione forzata tra il d.l. n. 83/2015 e la legge di conversione n. 132/2015, REF, 2016, 9 ss.; TEDOLDI,
Le novità in materia di esecuzione forzata nel D.L. n. 83/2015…in attesa della prossima puntata…, CorG,
2016, 155 ss.; VINCRE, Le riforme dell’esecuzione forzata dell’estate 2015, RDPr, 2016, 427 ss.; OBERTO,
La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, Torino, 2015;
CAVUOTO, L’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito,
GPC, 2015, 1171 ss.; CIRULLI, La riforma del processo esecutivo, in www.judicium.it, 4 ss.; VIOLANTE,
L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929-bis c.c. introdotto con il d.l. 27-6-2015, n. 83,
convertito con modificazioni dalla l. 6-8-2015, n. 132, REF, 2015, 588 ss.; BONINI, Dall’azione revocatoria all’espropriazione anticipata: la tutela dei crediti rispetto agli atti di destinazione, GI, 2016, 231 ss.;
BALLERINI, Atti di destinazione e tutela dei creditori: l’art. 2929-bis c.c. riduce i confini della separazione
patrimoniale, ivi, 272, gli ultimi due dedicati alla sorte degli atti di destinazione.
1
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la sua stretta correlazione alle vicende del processo esecutivo e – per quanto più
interessa ai fini del presente lavoro – a quelle particolari situazioni in cui il creditore
è eccezionalmente legittimato a espropriare i beni appartenenti a un terzo2.
È noto come la prerogativa appena ricordata sia espressamente concessa (dagli
artt. 602 ss. c.p.c.), nel nostro ordinamento processuale, oltre al creditore ipotecario o pignoratizio, anche a quello vittorioso in revocatoria3. L’azione revocatoria costituisce, infatti, uno degli strumenti preposti a rendere effettiva la garanzia
patrimoniale del creditore4, ossia l’astratta possibilità di reagire all’inadempimento
con l’espropriazione o il sequestro dei beni del debitore, secondo la previsione
dell’art. 2740 c.c.5.
Sotto questo profilo, infatti, una delle novità consiste nell’avere introdotto un’altra figura di espropriazione contro il terzo proprietario. Per un’essenziale bibliografia sull’istituto, cfr. MANDRIOLI, Il terzo
nel processo esecutivo, RDPr, 1954, 159 ss.; TARZIA, voce Espropriazione contro il terzo proprietario,
NN.D.I., VI, Torino, 1975, 966 ss.; ID., Il contraddittorio nel processo esecutivo, RDPr, 1978, 210 ss.;
VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, Napoli, 1964, 165, in punto di ammissibilità
dell’intervento dei creditori personali del terzo; LUISO, L’esecuzione «ultra partes», Milano, 1984, 58 ss.;
ID., Diritto processuale civile, 8a ed., III, Milano, 2015, 204 ss.; COSTANTINO, Il terzo proprietario nei processi di espropriazione: le figure di terzo proprietario, RDC, 1986, II, 389 ss.; VACCARELLA, Il terzo proprietario nei processi di espropriazione: la tutela, RDC, 1986, II, 406 ss.; CAPPONI, Espropriazione contro il terzo
proprietario, in BOVE-CAPPONI-MARTINETTO-SASSANI, L’espropriazione forzata, Giurisprudenza sistematica
di diritto processuale civile, diretta da Proto Pisani, Torino, 1988, 539 ss.; ID., Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 3a ed., Torino, 2015, 217 ss.; TRAVI, voce Espropriazione contro il terzo proprietario, Digesto/
civ., VIII, Torino, 1992, 4 ss.; MICCOLIS, L’espropriazione forzata per debito altrui, 2a ed., Torino, 1998.
3
La dottrina non considera tassativa l’indicazione dell’art. 602 c.p.c. e, valorizzando quanto prevede
l’art. 2910 c.c., si è sforzata di enucleare le altre ipotesi nelle quali è ammessa l’espropriazione contro il
terzo proprietario: per un riepilogo delle varie fattispecie, cfr. specialmente TARZIA, voce Espropriazione
contro il terzo proprietario, cit., 967 ss. e MICCOLIS, L’espropriazione forzata per debito altrui, 2a ed., cit.,
178 ss.
4
Nel quadro delle tutele del creditore, l’azione revocatoria concorre con l’azione surrogatoria e
il sequestro conservativo a comporre i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, cfr. specialmente RAGUSA MAGGIORE, Contributo alla teoria unitaria della revocatoria fallimentare, Milano,
1960, spec. 79 ss.; MONTELEONE, Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, Milano, 1975;
NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario al codice civile, BolognaRoma, 1953, 181 ss.; LUCCHINI GUASTALLA, Danno e frode nella revocatoria ordinaria, Milano, 1995, 91
ss.; ROSELLI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Giurisprudenza sistematica di diritto
civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, 2a ed., Torino, 1997; ID., Responsabilità patrimoniale i mezzi
di conservazione, in BESSONE (diretto da), Trattato di diritto privato, IX, 3, Torino, 2005; BIGLIAZZI GERI,
Dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, in Commentario al codice civile, VI, Torino, 1980,
190 ss.; G. FERRI JR., Garanzia patrimoniale e disciplina dell’impresa in crisi, in AA.VV., Diritto fallimentare, 2a ed., Milano, 2013, 29 ss.
5
Non sembra, a oggi e nonostante gli sforzi della dottrina, avere trovato una sistemazione definitiva
il tema del fondamento dell’azione revocatoria. Tra le più accreditate soluzioni in campo tra i civilisti,
vi sono quella che spiega l’inefficacia relativa dell’atto con una limitazione del potere di disporre del
debitore, al ricorrere dei presupposti per la revocatoria, cfr. NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, cit., 184
ss.; DE MARTINI, voce Azione revocatoria (diritto privato), NN.D.I., II, Torino, 1958, 155; MONTELEONE,
Profili sostanziali e processuali dell’azione surrogatoria, cit., 83 s.; BIGLIAZZI GERI, Dei mezzi di conser2
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Seppure il sistema delineato dalla legge fa corrispondere l’oggetto della responsabilità patrimoniale del debitore a tutti i suoi beni presenti e futuri (art. 2740 c.c.
coordinato con l’art. 2910, 1° co., c.c.), non manca di prevedere alcune significative
deviazioni quando i beni – non più formalmente nel patrimonio del debitore – siano
vincolati a garanzia del credito ovvero quando la titolarità sia stata trasferita con atti
successivamente dichiarati inefficaci: in tali ipotesi il creditore può trovare soddisfazione espropriando il bene del terzo nelle forme descritte dagli artt. 602 ss. c.p.c.,
che infatti indica, tra i presupposti, la circostanza che l’alienazione al terzo sia stata
revocata per frode6.
Come testimonia la Relazione Illustrativa alla legge di conversione del d.l. 83/2015,
l’intervento novellatore muove da due concorrenti rilievi7: con il primo, premessa la
natura costitutiva della pronuncia di revoca, si osserva come al vincitore sia imposto
di attendere il passaggio in giudicato della decisione per poter aggredire il bene
del terzo; col secondo, invece, sono stigmatizzati sia la durata sia il numero di quei
giudizi di cognizione, cresciuto al punto di frustrare il sistema di tutele apprestato
dagli artt. 2901 ss. c.c.
Per ovviare a questi inconvenienti, come conferma una rapida lettura dell’art. 2929bis c.c., si è pensato di introdurre una misura di favore per il creditore titolato contro gli atti compiuti a titolo gratuito dal debitore, consentendogli di espropriare il
terzo proprietario, oppure di espropriare un bene (immobile o mobile registrato)
come se fosse libero, senza dover preventivamente agire in revocatoria8. L’esenzione
dalla cognizione presuppone, però, che la trascrizione del pignoramento avvenga
entro l’anno dalla trascrizione dell’atto di alienazione o di costituzione del vincolo
vazione della garanzia patrimoniale, cit., 105 s.; ROSELLI, L’azione revocatoria, in BESSONE (diretto da),
Trattato di diritto privato, IX, 3, Torino, 2005, 133 ss.; mentre altri la riconduce ad una singolare forma
d’illecito che il debitore compirebbe pregiudicando il creditore, cfr. CICU, L’obbligazione nel patrimonio
del debitore, Milano, 1948, 32 s.; BETTI, Teoria generale delle obbligazioni, IV, Milano, 1955, 182 ss.;
NATOLI, voce Azione Revocatoria, Enc. dir., IV, Milano, 1959, 889 ss.; LUCCHINI GUASTALLA, Danno e
frode nella revocatoria ordinaria, cit., 271 ss.; COSSU, voce Revocatoria ordinaria (azione), Digesto/ civ.,
XVII, Torino, 1998, 455; su questa direttrice, più recentemente, uno studio monografico dell’argomento ha concluso che l’inefficacia dell’atto costituisce una reintegrazione del danno in forma specifica,
cfr. BREGOLI, Effetti e natura della revocatoria, Milano, 2011, 69 ss.
6
Non è il caso di indugiare eccessivamente sul tenore letterale della norma che, per quanto qui
interessa, pare voler riallacciare l’effetto della revocatoria all’esistenza della frode: la dottrina moderna,
infatti, esclude che il comportamento doloso del debitore sia un presupposto indefettibile della tutela
revocatoria, giacché è la stessa legge ad appagarsi – quantomeno nel caso di alienazioni a titolo gratuito – della prova della semplice consapevolezza (del debitore) del pregiudizio arrecato alle ragioni
del creditore.
7
Il testo della Relazione Illustrativa al progetto di legge di conversione del decreto legge n. 83 del
2015 è consultabile all’indirizzo www.camera.it.
8
Secondo PROTO PISANI, Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c., cit., 136, il legislatore avrebbe
introdotto una presunzione di frode dell’atto compiuto dal debitore, con l’effetto di esentare i creditori
dalla revocatoria.
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d’indisponibilità; infine, è comune alla disciplina della revocatoria il presupposto
dell’agire del creditore: in entrambi i casi, l’atto di alienazione o di costituzione del
vincolo dovrà arrecargli un pregiudizio, anche se la verifica di questo presupposto
è demandata, come meglio si vedrà, a una fase successiva (e solo eventuale) del
procedimento esecutivo.
Da un punto di vista sistematico, dunque, l’art. 2929-bis c.c. arricchisce il novero
dei mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale9, benché la sua portata sia
limitata – sotto il profilo oggettivo – ad alcuni specifici atti dispositivi10 e – sotto il
profilo soggettivo – ai soli creditori che siano già in possesso di un titolo esecutivo
nei confronti del debitore.
Tra i numerosi spunti di riflessione che pure sollecita, è mio intendimento
affrontare l’esame dell’istituto nella prospettiva delle tutele processuali del terzo
proprietario: nel presente scritto, dunque, prenderò in considerazione solo l’ipotesi dell’alienazione a titolo gratuito di un immobile, fattispecie che direttamente
chiama in causa la figura del terzo proprietario e le sue tutele nel processo esecutivo.
Non tratterò invece, benché meritevoli di attenzione, le vicende che riguardano la
costituzione (sempre a titolo gratuito) di un vincolo d’indisponibilità sul bene11 e le
tutele per il debitore e i terzi interessati all’esistenza del vincolo.
2. Simmetrie e asimmetrie con l’art. 64 l. fall.
L’istituto in esame, il cui scopo è rafforzare la tutela del creditore titolato contro
alcuni atti di disposizione del debitore, trova il più prossimo referente normativo
negli artt. 64 e 65 l. fall. e nel regime dettato per gli atti a titolo gratuito e i pagamenti dei debiti non scaduti compiuti dal fallito nei due anni precedenti la dichiarazione di fallimento12. La disciplina concorsuale prevede, in tal caso, l’inefficacia
Così anche OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla
“renziana”?, cit., 6.
10
Secondo la Relazione Illustrativa, la scelta di limitare gli effetti della norma ai soli atti dispositivi
di diritti su immobili o beni mobili registrati si spiega anche con l’esigenza di predisporre condizioni
di certezza in ordine alla determinazione del dies a quo dal quale far decorrere l’anno: in questi casi la
trascrizione costituisce un valido e tradizionale ausilio. Altrettanto non può dirsi per i beni mobili, in
relazione ai quali sarebbe stato necessario far decorrere il termine annuale dal momento in cui il creditore viene a conoscenza del compimento dell’atto pregiudizievole, con ciò rendendo di fatto indefiniti
i confini temporali dell’istituto, con conseguenti e gravi incertezze per la circolazione di questi beni.
11
Tema per il quale si rinvia a OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis
c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., 117 ss.; BALLERINI, Atti di destinazione e tutela dei creditori:
l’art. 2929 bis c.c. riduce i confini della separazione patrimoniale, cit., 272 ss.
12
In argomento, prima della riforma del 2015, cfr. MAFFEI ALBERTI, Il danno nella revocatoria,
Padova, 1970; ID., Atti a titolo gratuito e pagamenti anticipati, in RUISI-JORIO-MAFFEI ALBERTI-TEDEa
SCHI, Il fallimento, 2 ed., II, in Giurisprudenza sistematica civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi,
Torino, 1978, 169 ss.; M. SANDULLI, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, Napoli, 1976;
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ex lege (verso la massa) di questi atti di disposizione, sollevando il curatore dalla
necessità di promuovere l’azione revocatoria fallimentare. L’apparente simmetria
strutturale tra le due vicende non può, evidentemente, colmare la profonda diversità di contesto nel quale si svolge l’esecuzione concorsuale, ma a mio avviso rappresenta un profilo sul quale riflettere per apprezzare la portata innovativa e le criticità
dell’art. 2929-bis c.c.
La dichiarazione di fallimento presuppone, infatti, un accertamento giurisdizionale
dell’insolvenza (non rimediabile) dell’imprenditore commerciale e sollecita l’adozione
(nei suoi confronti) di incisive misure di salvaguardia di cui possano giovarsi indistintamente tutti i creditori, a patto di superare il filtro dell’accertamento del passivo: in
tale contesto, l’inefficacia dell’atto gratuito o del pagamento anticipato è considerata
una conseguenza del pregiudizio obiettivo che questi atti arrecano all’intero ceto creditorio13. Si è detto, in proposito, che l’inopponibilità alla massa dell’atto gratuito
esprime una sanzione per il debitore che, trovandosi in una situazione d’insolvenza e
pertanto incapace di far fronte ai propri debiti, compia un atto di liberalità14.
Peraltro, la legge fallimentare non condiziona espressamente la tutela in esame
all’esistenza di uno stato d’insolvenza15 e neppure alla dimostrazione di un pregiudizio effettivo per i creditori16, ma si limita a presumere – senza ammettere prova
ID., L’inefficacia degli atti a titolo gratuito, in VASSALLI-LUISO-GABRIELLI (diretto da), Trattato di diritto
fallimentare e delle altre procedure concorsuali, III, Torino, 2014, 509 ss.; ABETE, L’inefficacia degli atti
a titolo gratuito, DG, 1997, 356 ss.; SATTA, Diritto fallimentare, 2a ed. aggiornata ed ampliata da Vaccarella-Luiso, Padova, 1990, 202 ss.; D’ARRIGO, Atti a titolo gratuito e pagamento di debiti scaduti, in
FAUCEGLIA-PANZANI (diretto da), Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, I, 543 ss.; A.
PATTI, Le azioni di inefficacia, in JORIO-FABIANI (diretto da), Il nuovo diritto fallimentare Bologna, 2010,
253 ss.; PORZIO, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in BUONOCORE-BASSI (diretto
da), Trattato di diritto fallimentare, II, Padova, 2010, 329 ss.; LIMITONE, sub art. 64, in FERRO, La legge
fallimentare, 3a ed., Padova, 2014, 807 ss.; PASQUINI, sub art. 64, in MAFFEI ALBERTI, Commentario breve
alla legge fallimentare, 6a ed., Padova, 2013, 378 ss.; NIGRO, Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in NIGRO-SANDULLI-SANTORO (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma,
Torino, 2010, I, 888 ss.
13
Per un’incisiva analisi delle peculiarità della revocatoria fallimentare rispetto a quella ordinaria,
cfr. MINOLI, Il fondamento dell’azione revocatoria, J, 1954, 233 ss.
14
Così PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, II, Milano, 1974, 1054 e sulla sua scia, A. PATTI,
Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in JORIO (diretto da), Il nuovo diritto
fallimentare, Bologna, 2009, 873; mentre per una spiegazione dell’inefficacia ex lege con l’esigenza di
estendere gli effetti dell’insolvenza anche ai terzi beneficiari in forza di atti che non siano riferibili alla
«razionale pianificazione aziendale» cfr. GALLETTI, La ripartizione del rischio d’insolvenza, Bologna,
2006, 376.
15
Per questo rilievo, cfr. MAFFEI ALBERTI, La «funzione» della revocatoria fallimentare, GCo, 1976,
I, 380; M. SANDULLI, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, cit., 163 ss., 284 ss.; SATTA,
Diritto fallimentare, 2a ed., cit., 203; FR. VASSALLI, Diritto fallimentare, II, 1, Torino, 1997, 18; PAJARDIPALUCHOWSKI, Manuale di diritto fallimentare, 7a ed., Milano, 2008, 388.
16
E così neppure richiede che, alla data di compimento dell’atto inefficace, il soggetto fosse un
imprenditore commerciale o comunque un soggetto fallibile, cfr. ABETE, L’inefficacia degli atti a titolo
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contraria17 – che gli effetti degli atti indicati negli artt. 64 e 65 l. fall., ove compiuti nel biennio antecedente la dichiarazione di fallimento, non si producano nei
confronti dei creditori concorsuali: ciò significa che nel bilanciamento dei contrastanti interessi dei creditori e del terzo accipiens (a titolo gratuito) il legislatore ha
senz’altro inteso favorire i primi.
Resta da osservare, però, come questo formidabile strumento di tutela degli interessi del ceto creditorio, la cui operatività testualmente presuppone solo la sentenza
di fallimento dell’imprenditore commerciale, di regola non consentisse – come si
vedrà, fino a oggi – l’automatica estensione dell’espropriazione collettiva ai beni
alienati gratuitamente e ora di proprietà del terzo. Si riteneva, infatti, che quando i
beni (alienati con l’atto inefficace) non fossero nella disponibilità del fallito e poi del
curatore, quest’ultimo avrebbe dovuto agire in giudizio – ma con azione dichiarativa – per chiedere l’accertamento dell’inefficacia dell’atto di alienazione e la conseguente condanna del terzo alla restituzione18 e ciò specialmente quando si trattasse
di un bene immobile o mobile registrato, giacché il curatore poteva disporne solo
dopo avere ottenuto un provvedimento che potesse trascrivere/annotare in favore
della curatela19.
In proposito, ma senza pretendere di ripercorrere l’intenso dibattito che ha caratterizzato l’esegesi dell’art. 64 l. fall. – prima che la novella del 2015 introducesse
un significativo elemento di novità nella disciplina dell’istituto (vedi infra in questo
stesso paragrafo) – pare utile ricordare come sia maturata la convinzione circa la
necessità dell’azione giudiziale affinché il fallimento possa opporre al terzo l’inefficacia degli atti a titolo gratuito.
E ciò a maggior ragione perché una soluzione di tal genere non sembra imporsi
con sicurezza sulla base della lettera delle norme che il fallimento dedica alla sorte
dell’atto gratuito.
Si poteva invero ritenere che l’inefficacia ex art. 64 l. fall. avesse carattere istantaneo e null’altro richiedesse se non la dichiarazione di fallimento (come in effetti
gratuito, cit., 361; BONFATTI-CENSONI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, 154; TEDESCHI,
Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2006, 291.
17
Quella del carattere pregiudizievole dell’atto per la massa dei creditori costituisce, secondo alcuni,
una presunzione assoluta, cfr. D’ARRIGO, Atti a titolo gratuito e pagamento di debiti scaduti, cit., 546.
18
Il rilievo è frequente, cfr. M. FABIANI, Diritto fallimentare, Bologna, 2011, 316; cfr., altresì, M.
SANDULLI, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, cit., 336 ss.; ID., L’inefficacia degli atti a
titolo gratuito, cit., 550, secondo cui il giudizio è ineludibile anche quando il bene sia nella disponibilità
del fallito (si noti che l’a., contrariamente all’opinione dominante, afferma trattarsi di azione costitutiva,
350; così anche E.F. RICCI, Sulla pretesa natura costitutiva della revocatoria fallimentare, RDPr, 1973,
479 ss.).
19
Cfr. M. SANDULLI, Gratuità dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, cit., 338 con riferimento
alla donazione di un immobile rimasto nella disponibilità del donante poi fallito e, più in generale, 339
s. e 345 s.
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la legge sembra dire), con la conseguenza dell’automatica acquisizione dei beni
oggetto dell’atto dispositivo alla massa attiva del fallimento20: in particolare, qualora
si tratti di alienazione di un bene immobile o di un bene mobile registrato, il curatore poteva ritenersi legittimato a chiedere e ottenere – dai competenti uffici – la
trascrizione in favore del fallimento, in analogia con quanto ordinariamente accade
per i beni che, alla data del fallimento, facevano parte del patrimonio del fallito21.
In un siffatto contesto, la tutela del terzo beneficiario dell’atto gratuito sarebbe
rimessa agli strumenti oppositivi interni alla procedura fallimentare, per cui egli
sarebbe costretto a convogliare la propria pretesa nella procedura di accertamento
del passivo22, con ogni intuibile conseguenza in termini di onere della prova, qualità
della cognizione e stabilità del decisum.
Questa conclusione, com’è evidente, postula anzitutto il rigetto di una costruzione unitaria delle revocatorie fallimentari e, per converso, il riconoscimento di
una speciale e comune funzione agli istituti regolati dagli artt. 64, 65 (e 70 nel testo
anteriore alla riforma del 2005: la c.d. presunzione muciana) della legge fallimentare23, tale da superare la tradizionale nozione d’inefficacia dell’atto nei confronti del
creditore, conclusione questa che non ha mai convinto la prevalente dottrina24.
Una soluzione meno radicale della precedente e forse più coerente al dato normativo, vede nell’inefficacia una conseguenza immediata della sentenza che consente
In tal modo riconoscendo una funzione prettamente restitutoria all’istituto, secondo una costruzione affacciata da alcuni studiosi, cfr. PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, II, Milano, 1974,
1007, il quale postosi l’alternativa «se il bene oggetto dell’azione venga richiamato nel patrimonio del
debitore (come non vi fosse mai uscito) per assoggettarlo all’esecuzione, o se rimanga nel patrimonio
del terzo, con impressavi la sanzione d’inefficacia (nel confronto dei creditori) dell’atto e quindi con un
diritto di séguito per espropriarlo» dichiara di preferire la prima e più rigorosa soluzione, anche se poi
nel trattare dell’inefficacia ex lege (p. 1052 ss.) non sembra trarne le dovute conseguenze circa la superfluità di un’azione di cognizione del curatore; v. anche ID., Lezioni di diritto fallimentare, Padova, 1970,
108 s.; altri ancora, in tempi più recenti, si esprime nel senso che – sussistendo i presupposti dell’inefficacia ex lege – «il bene alienato gratuitamente a terzi si deve considerare compreso nella massa attiva
per il solo effetto automatico della dichiarazione di fallimento», ma poi continua a ritenere necessaria,
con la dottrina prevalente, l’azione giurisdizionale per opporre questo effetto al terzo, cfr. D’ARRIGO,
Atti a titolo gratuito e pagamento di debiti scaduti, cit., 546, 554 s.
21
Secondo quanto dispone, in via generale, l’art. 88, 2° co., l. fall.
22
Alla stregua della previsione di cui all’art. 93 l. fall., cfr. BALESTRA, Le restituzioni nel fallimento,
RTPC, 2012, suppl. 2012, 51 ss.
23
Nonché un peso determinante all’art. 71 l. fall. dettato in tema restituzioni conseguenti all’accoglimento della revocatoria, oggi abrogato dalla novella del 2006, ma il cui testo è confluito nell’attuale
secondo comma dell’art. 70 della stessa legge.
24
Che afferma la sostanziale omogeneità delle varie ipotesi regolate negli artt. 64 ss. l. fall., fatte salve
le differenze sul piano della prova, cfr., già SEMIANI BIGNARDI, La ritenzione nell’esecuzione singolare e
nel fallimento, Padova, 1960, 380 ss.; RAGUSA MAGGIORE, Contributo alla teoria unitaria della revocatoria
fallimentare, Milano, 1960, 12 ss.; nonché FERRARA, Il Fallimento, 4a ed., cit., 404 ss.; da ultimo propone
una costruzione unitaria della revocatoria (ordinaria e fallimentare) BREGOLI, Effetti e natura della revocatoria, cit., 69 ss.
20
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al curatore di apprendere i beni del terzo come rientranti nella responsabilità patrimoniale del fallito: tale approdo sarebbe senz’altro coerente con la caratteristica
delle revocatorie fallimentari che, nascendo dal solco di un’esecuzione collettiva
già in atto (e non in vista di una futura esecuzione come accade per la revocatoria
ordinaria), in caso di accoglimento, hanno l’effetto di estendere «automaticamente
la vis esecutiva sul bene, che in forza della revoca dell’atto continua a far parte della
garanzia dei creditori»25.
In tale prospettiva, la sentenza di fallimento sarebbe presupposto autonomo e
sufficiente dell’inefficacia dell’atto gratuito, onde il curatore non avrebbe bisogno
di procurarsi alcun ulteriore provvedimento per estendere l’esecuzione concorsuale
al bene del terzo, che si verificherebbe automaticamente26 oppure – ed è questa la
soluzione più convincente – con una successiva iniziativa del curatore nelle forme
di cui agli artt. 602 ss. c.p.c.27; così come nell’espropriazione contro il terzo proprietario l’individuazione del bene oggetto dell’esecuzione è rimessa «all’esclusiva iniziativa e responsabilità del creditore»28, anche nell’esecuzione collettiva dovrebbe
competere al curatore la scelta se avvalersi o meno, nell’interesse della massa,
dell’inefficacia automatica dell’atto sancita dalla legge fallimentare.
Ma anche questa lettura non ha avuto seguito in dottrina che ribadisce costantemente, invece, la necessità per il curatore di premunirsi contro il terzo proprietario di un titolo giudiziale costituito dall’accertamento dell’inefficacia dell’atto
Così, a proposito degli effetti dell’accoglimento dell’azione revocatoria, FERRARA JR., voce Azione
revocatoria, Enc. dir., IV, Milano, 1969, 907, il quale infatti sostiene che la sola sentenza sia sufficiente
al curatore per procedere al recupero dei beni oggetto dell’atto (più avanti, a p. 923s., l’Autore precisa
che trattandosi di una revoca ex lege non vi è necessità di un’azione per farla valere); v. anche ID., Il
fallimento, 3a ed., Milano, 1974, 378 ss., spec. 387; analogamente, cfr. PROVINCIALI-RAGUSA MAGGIORE,
Istituzioni di diritto fallimentare, Padova, 1988, 315, i quali osservano come, ricorrendo i presupposti stabiliti dalla legge, al curatore «sarà sufficiente un decreto d’acquisizione nei confronti del terzo
immediato (il titolo esecutivo è la stessa sentenza dichiarativa)», mentre il giudizio di cognizione sarà
necessario solo quando il bene sia stato successivamente trasferito ad un terzo sub-acquirente; in termini, cfr. anche MINOLI, Il fondamento dell’azione revocatoria, cit., 215, nota 5 ove l’autore precisa che
la fattispecie regolata dall’art. 64 l. fall. costituisce «un caso particolare di revocatoria realizzata fuori
del processo di cognizione».
26
Questa soluzione è stata considerata un precipitato logico dell’inefficacia ex lege, come conseguenza della sentenza dichiarativa di fallimento, da SEMIANI BIGNARDI, Espropriazione contro il terzo
proprietario e fallimento, FI, 1962, I, 2191, la quale, tuttavia, propone una lettura differente dell’art. 64
l. fall., inquadrandolo come una particolare forma di revocatoria fallimentare alla quale è indifferente
l’elemento soggettivo del terzo. Vedi, in questa prospettiva, anche MAFFEI ALBERTI, Il danno nella revocatoria, Padova, 1970, 190 ss., mentre per una serrata critica all’idea di una naturale estensione del
vincolo esecutivo nei confronti del terzo acquirente in forza del negozio revocato, cfr. E.F. RICCI, Revocatoria fallimentare del trasferimento di bene fruttifero e restituzione dei frutti, GCo, 1982, I, 64 ss.
27
Per uno spunto in questa direzione, cfr. DI CATALDO, La cessione delle revocatorie nel concordato
fallimentare: diritti dell’assuntore e diritti del revocato, GCo, 1981, II, 927.
28
Così PUNZI, La tutela del terzo nel processo esecutivo, Milano, 1971, 66.
25
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gratuito29 e, solo allora, lo ammette a compiere gli atti di liquidazione – si ritiene
previa trascrizione della declaratoria d’inefficacia – sui beni immobili di proprietà
del terzo. Questo cauto atteggiamento si comprende, come già osservato, sia per
l’esigenza di salvaguardare una costruzione unitaria delle revocatorie fallimentari,
sia – a mio avviso – per l’intima convinzione che, diversamente ragionando, si
rischia di mettere il curatore in una posizione di forza, arbitro di stabilire nel caso
concreto la sussistenza o meno dei presupposti dell’inefficacia (quali, ad esempio, la natura onerosa o gratuita dell’atto nonché il suo compimento nei due anni
antecedenti la dichiarazione di fallimento), lasciando al terzo beneficiario la sola
possibilità di opporsi nelle forme e nei limiti previsti dall’esecuzione collettiva30.
In conclusione, il “parente” più prossimo dell’inefficacia ora prevista dall’art. 2929bis c.c., ossia l’art. 64 l. fall., è sempre stato interpretato in modo da far discendere
l’inopponibilità dell’atto alla massa solo a valle di un procedimento giurisdizionale
dichiarativo, nel quale il giudice accerta che l’esecuzione collettiva può estendersi
Vedi, ma senza pretesa di completezza, FABIANI, Diritto fallimentare, cit., 316; SANDULLI, Gratuità
dell’attribuzione e revocatoria fallimentare, cit., 336 ss.; ID., L’inefficacia degli atti a titolo gratuito, cit., 514;
SEMIANI BIGNARDI, Espropriazione contro il terzo proprietario e fallimento, cit., 2191 s.; ABETE, L’inefficacia
degli atti a titolo gratuito, cit., 391, il quale espressamente esclude il ricorso al decreto di acquisizione
del giudice delegato; FERRARA JR., voce Azione revocatoria, cit., 907; IANNACCONE-VITUCCI, Atti a titolo
gratuito e pagamenti anticipati, in PANZANI (diretto da), Il fallimento e le altre procedure concorsuali, II,
Torino, 1999, 27; FERRARA, Il Fallimento, 4a ed., cit., 420, il quale muovendo dalla ricostruzione unitaria
delle revocatorie fallimentari, distingue l’ipotesi regolata dall’art. 64 l. fall. per l’esistenza di particolari
presunzioni che – nel giudizio, quindi sempre necessario – introdurrebbe a favore della massa; così
anche SATTA, Diritto fallimentare, 2a ed., Padova, 1990, 203, esclude la necessità della cognizione sui
presupposti dell’inefficacia nel solo caso in cui i beni alienati siano ancora nella disponibilità del fallito;
TERRANOVA, Par condicio e danno nelle revocatorie fallimentari, DF, 2010, I, 45; BERTACCHINI, Gli effetti
del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, in BERTACCHINI-GUALANDI-S. PACCHI-G. PACCHI-SCARa
SELLI, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2007, 190; RAGO, Manuale della revocatoria fallimentare, 2
ed., Padova, 2001, 358 ss.; A. PATTI, Degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit.,
872 s.; PORZIO, Effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 338 s.; NIGRO, Degli effetti
del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cit., 896, 888 ss.
È importante segnalare come non abbia avuto molto séguito l’idea di estendere le regole dell’espropriazione
presso il terzo proprietario al fallimento, sia perché – a differenza di quanto accade per la revocatoria ordinaria – la revocatoria fallimentare nasce da un’esecuzione (collettiva) già in atto, vuoi perché la declaratoria
d’inefficacia comporta l’automatica inclusione del bene nella procedura concorsuale, in tal modo rendendo
superflui gli adempimenti imposti dagli artt. 602 ss. c.p.c., cfr. RAGO, Manuale della revocatoria fallimentare,
Padova, 2001, 228; SATTA, op. loc. ult. cit.; PROVINCIALI, Manuale di diritto fallimentare, 5a ed., Milano, 1970,
944, secondo cui se il terzo rifiuta di restituire il bene il curatore deve rivendicarlo giudizialmente.
30
Ben diversa la condizione del terzo proprietario (revocato) nell’esecuzione singolare ex artt. 602
ss. c.p.c.: egli, anzitutto, è litisconsorte necessario nel giudizio revocatorio (come si vedrà) e, successivamente, è destinatario della notifica del titolo esecutivo e dell’atto di precetto, nel quale è espressamente identificato il bene che il creditore intende espropriare (art. 603 c.p.c.). Nell’una e nell’altra
circostanza il terzo avrà possibilità di contrastare l’iniziativa del creditore sia nel giudizio di merito (in
sede revocatoria), sia nella fase preparatoria dell’espropriazione, se del caso inibendo il suo illegittimo
coinvolgimento nel processo esecutivo.
29
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
al bene del terzo: in sostanza, a dispetto della previsione d’inefficacia ex lege, si è
sempre ritenuto necessario anteporre la cognizione (ancorché dichiarativa secondo
i più) all’esecuzione collettiva.
La situazione appena descritta è profondamente mutata con l’introduzione di
un secondo comma all’art. 64 l. fall., ad opera della legge di conversione del d.l.
83/2015, secondo cui «I beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti
al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato può proporre reclamo
avverso la trascrizione a norma dell’articolo 36».
Se si vuole, l’interpretazione autentica del significato dell’espressione inefficacia,
dispensata nel comma aggiunto, rende giustizia di quelle posizioni – cui pure si è
fatto cenno – che teorizzavano la natura recuperatoria dell’istituto, senza dubbio
estranea ai caratteri della revocatoria ordinaria delineati nel codice civile del 194231.
Nondimeno si tratta di una soluzione che – sebbene ispirata a un evidente pragmatismo destinato a semplificare gli adempimenti e contenere i tempi per la definizione
della procedura concorsuale – solleva notevoli perplessità in ordine alle tutele riservate al terzo, che vede travolto il proprio acquisto per effetto della decisione del
curatore di trascrivere/annotare la sentenza contro di lui.
Il tema, come si comprenderà, non può costituire oggetto di ulteriore approfondimento in questa sede, se non per quanto ne riuscirà utile all’esegesi dell’art. 2929bis c.c., norma alla quale il nuovo secondo comma dell’art. 64 l. fall. evidentemente
si coordina32.
3. La revocatoria semplificata e i riflessi sull’uguaglianza tra i creditori.
Si è detto in precedenza che, sul piano sostanziale, l’introduzione dell’art. 2929bis c.c. ha inteso mettere i creditori pregiudicati dall’alienazione gratuita – o dal
vincolo d’indisponibilità – in una posizione analoga a quella che essi guadagnerebbero con l’accoglimento dell’azione revocatoria. È tempo di affrontare nel dettaglio
Forse non troppo consapevole della gravità della conseguenza, pare che l’espressione impiegata
dal nuovo comma, laddove prevede che i beni, in conseguenza della trascrizione, sono «acquisiti al
fallimento», implichi ben più della semplice inefficacia dell’atto rispetto alla massa, poiché – almeno
nel suo senso letterale – la norma sembra presupporre che la proprietà del bene torni in capo al fallito.
32
Come sùbito evidenziato dalla dottrina, cfr. FABIANI, L’ipertrofica legislazione concorsuale fra
nostalgie e incerte contaminazioni ideologiche, in www.ilcaso.it, il quale pone l’accento sulla scarsa tutela
offerta al terzo dal reclamo ex art. 36 l. fall.; PEZZANO, Atti a titolo gratuito, in AA.VV., La nuova riforma
delle procedure concorsuali. Commento operativo al d.l. n. 83/2015 conv. in l.n. 132/2015, Torino, 2015,
49 s.; FREZZA, Trascrizione, con funzione di annotazione, della sentenza di fallimento che dichiara l’inefficacia degli atti a titolo gratuito, in www.judicium.it; OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex
art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., 17 s., nota 12.
31
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questa (in realtà solo apparente) somiglianza, per dimostrare come la condizione del
creditore agevolato dalla revocatoria semplificata sia – almeno in parte – diversa da
quella del suo omologo vittorioso in un giudizio di revocatoria ordinaria.
In primo luogo, occorre rilevare come la legittimazione alla nuova espropriazione
“revocatoria” sia limitata ai creditori muniti di titolo esecutivo, il cui diritto sia sorto
prima dell’atto dispositivo. Dell’azione revocatoria, invece, si possono giovare sia i
creditori anteriori sine titulo sia quelli il cui credito sia sorto successivamente, se
provano che l’alienazione era dolosamente preordinata a ledere i loro diritti.
Questa considerazione, per quanto banale, rende chiara l’incidenza sulla piena
attuazione della par condicio creditorum del nuovo istituto. Infatti, mentre il creditore successivo non avrà alcuna possibilità di avvalersi dell’agevolazione, quello
antecedente – ma privo di titolo – non potendo richiedere il pignoramento né
(ritengo) intervenire nell’espropriazione, sarà costretto a procurarsi in tempi ristretti
un provvedimento di condanna esecutivo.
Si dirà che questa discriminazione è svolgimento coerente della scelta – operata
dalla novella del 2005 – di affidare all’esecuzione forzata il compito primario di
soddisfare, nel più breve tempo possibile, i soli crediti titolati, fatte salve le tassative ipotesi stabilite dall’art. 499 c.p.c. Il che è certamente corretto se riferito
alle vicende del processo esecutivo, ma non sembra ancora sufficiente per scavare
un ideale solco tra creditori titolati e non titolati anche con riferimento a contesti
diversi, quali gli istituti preposti alla conservazione della garanzia patrimoniale, ove
non si distinguono i creditori in funzione del possesso di un titolo esecutivo33.
Nello schema tradizionale dell’azione revocatoria, seppure l’estensione (relativa, appunto) della responsabilità patrimoniale giova solo al creditore che l’abbia
diligentemente promossa34, nondimeno questo assetto trova giustificazione nel
La considerazione è pacifica sia nell’ambito della tutela revocatoria (cfr. NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, cit., 202, il quale osserva come nel nostro ordinamento – a differenza di quanto accade in altri
paesi – non sia richiesto un titolo esecutivo per esercitare l’azione revocatoria; ROSELLI, Responsabilità
patrimoniale i mezzi di conservazione, cit., 140 ss.; ID., I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, cit., 166; del resto la piana osservazione per cui il creditore vincitore in revocatoria può anche
chiedere il sequestro conservativo del bene di proprietà del terzo rende evidente che il legislatore abbia
inteso tutelare anche il creditore non titolato) sia in materia di azione surrogatoria, dove il creditore
può surrogarsi al debitore anche se non munito di titolo esecutivo (cfr. NICOLÒ, Dell’azione surrogatoria, in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario del codice civile Roma-Bologna, 1953, 67) e, infine,
nell’ambito del sequestro conservativo, dove il creditore viene per definizione considerato meritevole
della tutela cautelare per il tempo necessario a ottenere dal giudice della cognizione la condanna (e così
un titolo esecutivo) del debitore, al punto da far dubitare che il creditore munito di titolo esecutivo sia
legittimato ad agire nelle forme cautelari, cfr. per tutti, RECCHIONI, Diritto processuale cautelare, Torino,
2015, 122 ss., al quale si rinvia per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza sull’argomento.
34
Per effetto dell’accoglimento della revocatoria, infatti, il negozio traslativo è considerato inefficace
nei confronti del creditore che ha esercitato l’azione, per consentirgli di espropriare o richiedere un
sequestro conservativo sul bene nonostante sia in proprietà di un terzo: sotto ogni altro punto di vista
il negozio rimane però perfettamente valido ed efficace.
33
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fatto che – in ogni caso – tutti i creditori hanno uguale possibilità di esercitarla
ovvero d’intervenire nel giudizio di merito già promosso per estendere in loro
favore la portata soggettiva del decisum35. Tale meccanismo, coerente all’idea di
premiare il creditore più diligente e penalizzare invece quello che trascura le proprie ragioni, è incrinato quando solo alcuni creditori, in quanto muniti di titolo
esecutivo, possono direttamente aggredire il bene trasferito al terzo, mentre gli
altri devono seguire la lunga via della cognizione ordinaria sulla domanda revocatoria36: ciò potrebbe facilmente dar luogo a una situazione in cui il creditore
sine titulo vede finalmente accolta la propria domanda quando, oramai, il bene di
proprietà del terzo è stato espropriato per iniziativa del creditore titolato ai sensi
dell’art. 2929-bis c.c.37.
Senza dubbio il possesso del titolo esecutivo si risolve, per sua stessa natura, in
un fattore di discriminazione conciliabile con i valori sottesi al principio della par
condicio creditorum38, ma riconoscere ai soli creditori titolati un surplus di tutela
consistente nell’esenzione (temporanea) dall’azione revocatoria scuote sicuramente
l’equilibrio del ceto creditorio enunciato dall’art. 2741 c.c.39.
Così, ancora, NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, cit., 257; nella specie dovrebbe trattarsi d’intervento litisconsortile ex art. 105, 1° co., c.p.c.
36
Il creditore non titolato avrebbe come unica chance di tutelare il proprio credito trascrivendo la
domanda revocatoria prima della trascrizione del pignoramento ex art. 2929-bis c.c., in tal modo assicurandosi, in caso di positivo esito del giudizio di merito, il diritto di soddisfarsi con prevalenza rispetto
al creditore pignorante, ai creditori intervenuti e potendo opporre all’aggiudicatario gli effetti della
decisione, in forza della disciplina dettata dagli artt. 2652, 2653, 2915, 2° co., c.c., 111, 4° co., c.p.c.,
cfr., da ultimo, MICCOLIS, Trascrizione delle domande giudiziali e processo esecutivo, in GABRIELLI-GAZZONI (diretto da), Trattato della trascrizione, II, Torino, 2014, 449. Per un esempio recente, nel caso di
trascrizione della domanda revocatoria di una vendita e successivo fallimento dell’acquirente nel quale
la Cassazione ha riconosciuto al creditore la possibilità di fare valere la prelazione sulle somme ricavate
dalla vendita (in sede fallimentare) del bene, cfr. Cass., 2-12-2011, n. 25850.
37
Peraltro il pregiudizio è suscettibile di aggravarsi quanto maggiore sia la sproporzione tra il credito azionato ex art. 2929-bis c.c. e il valore del bene oggetto del negozio implicitamente revocato, poiché l’eventuale residuo della vendita forzata, in quanto denaro contante restituito al terzo che ha subìto
l’espropriazione ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 510 c.p.c., ben difficilmente potrà essere aggredito
dal creditore vittorioso in sede di revocatoria ordinaria («difficile anzi praticamente impossibile da
colpire» scriveva in proposito CARNELUTTI, Azione revocatoria e trascrizione, RDPr, 1947, II, 210), il cui
effetto verrebbe così completamente vanificato.
38
Per analoghi rilievi, cfr. VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, cit., 173. Per un
più ampio svolgimento del tema, non opportuno in questa sede, sia consentito rinviare a LAI, L’intervento del creditore non titolato nell’espropriazione singolare, Roma, 2014, 40 ss.
39
Da ciò, mi pare non possa però argomentarsi l’illegittimità costituzionale dell’istituto, così come
non ho ritenuto possibile farlo rispetto alla scelta del legislatore del 2005 di limitare l’intervento
nell’espropriazione ai soli creditori muniti di titolo, salve le eccezionali fattispecie descritte nell’art. 499
c.p.c.; in più, con riferimento all’art. 2929-bis c.c., mi pare debba porsi l’accento anzitutto sul fatto che
la par condicio di cui tratta l’art. 2741 c.c. è riferita espressamente «ai beni del debitore», mentre nel
caso in esame trattasi per definizione di beni formalmente appartenenti ad un terzo; inoltre, mi sembra
che la stessa tutela revocatoria sia concepita dal legislatore come un’iniziativa marcatamente individua35
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361
A mio avviso, un secondo profilo rilevante nell’ottica dell’uguaglianza tra i creditori si può trarre, inoltre, dalle regole dettate per risolvere la contestazione sui presupposti dell’esenzione dalla revocatoria e, così, la legittimità dell’espropriazione
promossa dal creditore titolato.
In proposito, l’ultimo comma della norma in commento – come già anticipato –
stabilisce che le eventuali contestazioni dovranno assumere la forma delle opposizioni esecutive, ma con la non trascurabile precisazione che la legge sembra porre in
capo all’opponente (terzo o debitore) l’onere di dimostrare l’insussistenza – nel caso
concreto – così dei presupposti stabiliti dall’art. 2929-bis c.c. come di quelli ordinariamente richiesti per la revoca degli atti a titolo gratuito. Ciò significa che il terzo
opponente sarebbe tenuto a provare: a) il carattere pregiudizievole dell’atto; b) la
circostanza che sia stato compiuto entro l’anno dalla trascrizione del pignoramento;
c) la circostanza che il debitore fosse consapevole di ledere il diritto del creditore; d)
la gratuità dell’atto di disposizione (sia esso alienazione o costituzione di un vincolo
sul bene); e) l’anteriorità del credito; f) l’esistenza stessa del credito. La previsione,
solo in apparenza coerente con il regime dell’onere della prova nel giudizio di opposizione, se intesa alla lettera, si risolve nell’attribuzione al creditore di una posizione
d’indubbio vantaggio, sollevandolo dall’onere di dimostrare i presupposti che consentono di rivolgere l’espropriazione contro il terzo.
In questa prospettiva, guardando al nuovo istituto dal punto di vista della par
condicio creditorum, il creditore titolato non solo beneficia dell’esenzione dalla
revocatoria dell’atto gratuito (sia pure per un tempo limitato), ma in un secondo
momento, a séguito della contestazione del terzo, non si trova nella medesima posizione in cui si troverebbe il suo omologo sine titulo nel giudizio di cognizione
sulla revocatoria: la legge, infatti, sembra presumere – ma sul punto si dirà meglio
fra breve – l’esistenza della soggezione esecutiva del terzo, almeno fino a che nel
giudizio di opposizione non si dimostri il contrario. Se così fosse, si produrrebbe
un ulteriore effetto dissonante nel ceto creditorio, sia pure collocato sul piano del
processo, che trova ancora una volta giustificazione nel mero possesso di un titolo
esecutivo.
4. L’azione revocatoria ordinaria e il terzo proprietario.
Maggiori perplessità suscita la posizione assunta dal terzo proprietario nella dinamica del nuovo procedimento, tema sul quale intendo soffermarmi più approfonditamente.
listica, direi quasi egoistica (tanto si ricava dal regime d’inefficacia doppiamente relativa dell’atto revocato), il cui naturale effetto è quello di mettere il creditore più diligente nella condizione di avvalersi
(rispetto agli altri) di una proiezione della responsabilità patrimoniale del debitore sui beni di un terzo.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
È opinione diffusa che il processo di cognizione originato dall’azione revocatoria
debba celebrarsi nel contraddittorio tra creditore, debitore e terzo (sovente acquirente), in qualità di litisconsorti necessari40. Il principio, pur non espresso nel codice
sostanziale (come invece accade per l’azione surrogatoria), si ricava dalla funzione –
a mio avviso essenzialmente processuale – assolta dalla revocatoria nel nostro
ordinamento41, che impone il necessario coinvolgimento sia del terzo estraneo al
rapporto obbligatorio e al quale il creditore intende rivolgere l’azione esecutiva o
cautelare42, sia del debitore, in quanto è sull’esistenza del rapporto di credito che
si radica l’estensione della responsabilità patrimoniale al bene o ai beni del terzo43.
Sull’esistenza di un litisconsorzio necessario tra creditore, debitore e terzo nel giudizio promosso
ex artt. 2901 ss. c.c., cfr., tra i tanti, NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, cit., 253, il quale richiama a sostegno la dottrina formatasi sotto i vecchi codici; NATOLI, voce Azione revocatoria, Enc. dir., IV, Milano,
1959, 898; NATOLI-BIGLIAZZI GERI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, Milano, 1974,
206; BIGLIAZZI GERI, voce Revocatoria (azione), Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 10 dell’estratto; COSSU,
voce Revocatoria ordinaria, cit., 473; ad analoga conclusione giungeva sotto l’abrogato codice sostanziale CONFORTI, voce Azione revocatoria, N.D.I., II, Torino, 1937, 154; v., altresì, tra i processualisti,
COSTANTINO, Contributo allo studio del litisconsorzio necessario, Napoli, 1979, 440 ss., il quale ravvisa
la necessità di estendere il giudizio al debitore per rendergli opponibile l’accertamento dei presupposti
dell’inefficacia dell’atto; in senso contrario v., però, CONSOLO, Oscillazioni “operazionali” sul litisconsorzio necessario da incertezza sulle fattispecie rilevanti (che può riguardare anche l’azione revocatoria),
GI, 2000, I, 2284. Nella giurisprudenza, la necessità del litisconsorzio è costantemente giustificata con
l’argomento per cui il terzo – in caso di accoglimento della revocatoria – acquista ragioni di credito
verso l’alienante, cfr. Cass., 10-12-2008, n. 29032; Id., 16-7-2003, n. 11150; Id., 26-7-2002, n. 11005; Id.,
5-7-2000, n. 8952, Fam. e dir., 2000, 624.
41
Sulla quale, v. CARNELUTTI, Diritto e processo nella teoria delle obbligazioni, in Studi di diritto
processuale, II, Padova, 1928, 271 ss.; ID., Lezioni di diritto processuale civile. Processo di esecuzione, I,
Padova, 1929, 212 ss.; ID., Azione revocatoria e trascrizione, cit., 213 s.; ANDRIOLI, L’azione revocatoria,
Roma, 1935; MICHELI, Dell’esecuzione forzata, 2a ed., in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario del
codice civile, rist., Bologna-Roma, 1969, 11 ss.; COSTANTINO, Contributo allo studio del litisconsorzio
necessario, cit., 440 s.; CONSOLO, Oscillazioni “operazionali” sul litisconsorzio necessario da incertezza
sulle fattispecie rilevanti (che può riguardare anche l’azione revocatoria), cit., 2284; LUISO, Diritto processuale civile, 8a ed., III, cit., 206 ss.; DE CRISTOFARO, Commento all’art. 2901 c.c., in AA.VV., Commentario breve al codice civile, a cura di Cian-Trabucchi, 11a ed., Padova, 2014, 3805. Si tratta, è bene
avvertire, di un’impostazione vivacemente contrastata dalla dottrina del diritto civile, la quale tuttavia,
nello sforzo di rinvenire un fondamento sostanziale nella revoca, non sembra essere in grado di formulare un’alternativa ricostruttiva soddisfacente come quella elaborata dai cultori del processo (v. supra,
nota 5 per essenziali riferimenti).
42
È oramai pacifico che il terzo sia il soggetto passivo dell’espropriazione promossa nelle forme di
cui agli artt. 602 ss. c.p.c., sebbene non vi sia stata concordia – specie in passato – tra gli interpreti circa
il fondamento di tale soggezione, cfr. TARZIA, voce Espropriazione contro il terzo proprietario, cit., 970, il
quale ricorda le divergenti soluzioni proposte da Carnelutti e Liebman sotto il vecchio codice; NICOLÒ,
Dell’azione revocatoria, cit., 256; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, cit., 431.
43
Il creditore, infatti, per procedere contro il terzo proprietario non sarà tenuto a procurarsi un
titolo esecutivo contro di lui, ma potrà allo scopo utilizzare quello formato contro il debitore e invocare in proprio favore «la fattispecie estensiva dell’efficacia del titolo esecutivo» (l’espressione è tratta
da LUISO, L’esecuzione «ultra partes», Milano, 1984, 391), nel caso specifico la sentenza che accoglie
la domanda revocatoria; negano che il creditore debba procurarsi un titolo esecutivo contro il terzo
40
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363
Nella sostanza, il nostro ordinamento non ammetteva, finora, che il creditore (pur
assumendosi ogni responsabilità conseguente agli atti compiuti44) potesse avvalersi
dell’inefficacia relativa prevista dall’art. 2901 c.c. senza avere prima ottenuto una
sentenza (perciò costitutiva) che accertasse – nel contraddittorio con il terzo – la
soggezione del bene alla sua azione esecutiva45.
L’accertamento preventivo dell’inefficacia dell’atto, com’è chiaro, serve ad aggirare
la regola per cui l’esecuzione deve indirizzarsi sui beni appartenenti al soggetto indicato come debitore nel titolo esecutivo46. Infatti, mentre nelle altre fattispecie contemplate dall’art. 602 c.p.c. – ove pure si assiste ad una divaricazione tra il contenuto
del titolo esecutivo e il soggetto passivo dell’esecuzione – sussiste un vincolo formale
di garanzia tra il bene del terzo e il diritto di credito (ad esempio, l’ipoteca per gli
immobili), la dichiarazione d’inefficacia cui tende la revocatoria presuppone invece
l’accertamento di delicate circostanze di fatto, la cui sussistenza mal si presta a essere
semplicemente affermata dal creditore per poter agire contro il terzo proprietario47.
proprietario CALVOSA, Struttura del pignoramento e del sequestro conservativo, Milano, 1953, 151 s.;
SATTA, L’esecuzione forzata, 4a ed., Torino, 1963, 202; ID., Commentario al codice di procedura civile,
III, Milano, 1966, 430; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, 3a ed., III, Napoli, 1957, 300;
LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 58; BONSIGNORI, L’esecuzione forzata, 3a ed., Torino, 1996, 294;
soluzione pacifica anche in giurisprudenza, a partire da Cass., 6-5-1975, n. 1746, FI, 1976, I, 2227; v., tra
le più recenti, Cass., 5-9-2011, n. 18113; Id., 20-3-2011, n. 6546; Id., 27-7-2000, n. 9887.
44
In proposito si è osservato come la legge possa, in alcuni casi, sopportare il rischio di un’esecuzione ingiusta piuttosto che pretendere la formazione di un titolo nei confronti del terzo, rimettendo
alla sede oppositiva l’accertamento sulla fondatezza della pretesa esecutiva: cfr. LUISO, L’esecuzione
«ultra partes», cit., 11, ancorché l’autorevole studioso si riferisca, nell’occasione, ad alcune ipotesi di
coinvolgimento del terzo diverse dall’azione revocatoria (ad esempio la fattispecie regolata dall’art. 475
c.p.c., la successione sul lato passivo prevista dall’art. 477 c.p.c. e la posizione del terzo proprietario di
un bene gravato da pegno o ipoteca).
45
Sulla natura costitutiva della sentenza che accoglie l’azione revocatoria, cfr. ANDRIOLI, Diritto
processuale civile, I, Napoli, 1979, 347 s.; CONSOLO, La revocatoria ordinaria nel fallimento fra ragioni
creditorie individuali e ragioni della massa, RDPr, 1998, 410, in nota; ID., Oscillazioni “operazionali” sul
litisconsorzio necessario da incertezza sulle fattispecie rilevanti (che può riguardare anche l’azione revocatoria), cit., 2283; ID., Spiegazioni di diritto processuale civile. I. Le tutele: di merito sommarie ed esecutive,
2a ed., Torino, 2012, 139; TERRANOVA, Par condicio e danno nelle revocatorie fallimentari, cit., 44. Anche
la giurisprudenza considera la revocatoria una forma di tutela costitutiva, cfr., in luogo di molte, Cass.,
26-1-2015, n. 1392, FI, 2015, I, 830 ss.; Id., 23-1-2013, n. 1533; Id., 12-5-2011, n. 10486, GC, 2011, I,
2305; Id., 23-12-2009, n. 27230, Fa, 2010, 870; Id., 30-8-2007, n. 18312; T. Monza, 5-11-2013, DeJure;
T. Milano, 14 giugno 2012, ivi; Cass., 15-2-2007, n. 3379, GC, 2008, I, 1281 ss., ove si riconduce al
diritto potestativo il potere del creditore di vedere dichiarata l’inefficacia dell’atto pregiudizievole; T.
Torino, 2-4-2004, GM, 2005, 576; analoga impostazione è seguita per la revocatoria fallimentare ex
art. 67 l. fall., cfr. Cass., S.U., 13-6-1996, n. 5443, GC, 1996, I, 2219 ss.
46
Scriveva LIEBMAN (Il titolo esecutivo riguardo ai terzi, RDPr, 1934, 127 ss.) che il creditore e il debitore indicati nel titolo sono i destinatari naturali degli effetti attivi e passivi del titolo esecutivo; sull’argomento, v. anche GARBAGNATI, L’esecuzione forzata immobiliare contro il terzo possessore e il suo soggetto
passivo, RDPr, 1936, I, 117 ss.; più diffusamente, cfr. LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 11 ss.
47
Il che, del resto, si concilia con la concezione dell’azione revocatoria quale forma di giurisdizione
costitutiva necessaria, cfr. gli autori citati supra alla nota 44.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Inoltre, mentre nel caso di coinvolgimento del terzo fondato sull’esistenza di un
vincolo di garanzia sul bene alienato, il legislatore ha fatto ricorso – nell’art. 2910
c.c. – a espressioni suscettibili di estenderne l’applicazione oltre il ristretto ambito
dell’ipoteca o del pegno48, diversamente nell’ipotesi della revocatoria la soggezione
del terzo all’azione esecutiva è concepita quale risultato esclusivo di un provvedimento giurisdizionale che ne accerti i presupposti prima e fuori dall’esecuzione49.
Non a caso, infatti, l’autore che ha maggiormente approfondito il tema dei rapporti fra il titolo esecutivo e l’estensione (legittima) dell’esecuzione ai terzi, ha
escluso l’esecuzione contro il terzo proprietario revocato dalle fattispecie di «esecuzione “ultra partes”», motivando tale conclusione proprio con la regola di diritto
positivo che impone di far precedere la cognizione sul coinvolgimento del terzo
all’iniziativa esecutiva del creditore50.
Il che, a mio avviso, testimonia come il legislatore abbia inteso assicurare al terzo
accipiens, rispetto alla domanda revocatoria, una tutela articolata su due livelli: il
primo si esprime nel giudizio di cognizione sulla revocatoria, quale contraddittore necessario; il secondo, solo eventuale, nel processo di esecuzione avviato nelle
forme di cui agli artt. 602 ss. c.p.c., nel quale il terzo – per avere assunto la qualità
di parte – potrà giovarsi degli ordinari rimedi oppositivi per contrastare l’iniziativa
del creditore51.
Resta, forse, da spiegare per quale ragione, solo nell’ipotesi della revocatoria, sia
di regola inibito al creditore di aggredire direttamente il bene del terzo, semplicemente affermando l’inefficacia nei suoi confronti dell’atto traslativo e rimettendo
ogni accertamento alla sede oppositiva. Ma l’interrogativo si scioglie agevolmente
ove si rifletta da un lato sulle formalità che accompagnano le altre fattispecie sostanziali che consentono l’espropriazione contro il terzo proprietario e, dall’altro, sul
trattamento riservato agli atti gratuiti in sede concorsuale, dove pure il legislatore è
stato – almeno nell’uso delle parole – assai più generoso verso la curatela, quando
ha disposto (nell’art. 64 l. fall.) che l’atto gratuito è privo di effetto rispetto ai creditori concorsuali: nella revocatoria per un verso difetta il vincolo formale (es.
Circostanza posta in evidenza da tutti gli autori occupatisi dell’istituto, cfr. TARZIA, voce Espropriazione contro il terzo proprietario, cit., 966 ss.
49
Nella specie il provvedimento che accorda la revocatoria, cfr. Cass., 30-7-2004, n. 14625, GC,
2005, I, 109 ss., secondo cui la normativa dettata dagli artt. 2901 ss. c.c. sarebbe «evidentemente volta
ad escludere radicalmente e senza eccezioni la possibilità di procedere esecutivamente sui beni oggetto
dell’azione revocatoria prima dell’ottenimento di una sentenza di accoglimento dell’azione medesima».
50
Così, infatti, LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 58, nota 82.
51
In termini, v. anche MONTESANO, Garanzie di difesa ed esecuzione ordinaria contro terzi e successori
particolari dell’obbligato, RTPC, 1987, 926 s., ove, in ragione della presenza di una fase di cognizione
anticipata in cui il terzo può contraddire all’iniziativa del creditore, l’illustre studioso non dubita della
conformità ai princìpi fondamentali del diritto di azione e difesa nel caso dell’espropriazione in danno
del soccombente in revocatoria.
48
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ipoteca) e per altro si ripropongono le medesime esigenze di tutela del terzo che
hanno convinto, nell’ambito del fallimento, ad anteporre l’accertamento giudiziale
dei presupposti dell’inefficacia (pur sancita ex lege) al sorgere del vincolo esecutivo
contro di lui52.
5. Segue: titolo esecutivo contro il debitore e difese del terzo proprietario.
La scelta di posticipare – con riferimento agli atti di disposizione a titolo gratuito – la cognizione sulla revocatoria ordinaria, rendendola peraltro solo eventuale
poiché rimessa all’iniziativa del terzo espropriato, costituisce dunque l’esito di un
rinnovato bilanciamento degli interessi in gioco, dal quale esce significativamente
avvantaggiato il creditore titolato53. Nondimeno, la singolare condizione in cui si
viene a trovare il terzo proprietario merita di essere approfondita, riguardo sia alle
Per uno spunto in tal senso, cfr. LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 69, nota 118, il quale sottolinea come la necessità di una cognizione preventiva sia probabilmente dovuta all’«incertezza oggettiva
sulle condizioni necessarie per la revoca».
53
La dottrina tende ad accostare alla revocatoria, al limitato effetto di consentire l’espropriazione
contro il terzo proprietario, alcune figure regolate dal codice civile nelle quali ravvisa una forma di
tutela assimilabile a quella descritta negli artt. 2901 ss. c.c., in particolare ci si riferisce all’azione esercitata dal creditore ai sensi dell’art. 524 c.c. in forza della quale costui chiede essere autorizzato ad
accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, suo debitore, al solo scopo di soddisfarsi sui beni
ereditari fino alla concorrenza del suo credito (sul punto, anche per riferimenti alla dottrina formatasi sotto i vecchi codici, cfr. TARZIA, voce Espropriazione contro il terzo proprietario, cit., 969, testo
e nota 2; VOCINO, Contributo alla dottrina del beneficio d’inventario, Milano, 1953, 238 ss.; NICOLÒ,
Dell’azione revocatoria, cit., 48, 229 ss.; SCHLESINGER, voce Successioni (diritto civile): parte generale,
NN.D.I., XVIII, Torino, 1971, 764, in nota; MICCOLIS, L’espropriazione forzata per debito altrui, cit.,
246 ss. La giurisprudenza, dal canto suo e pur condividendo l’opportunità di ricorrere alle forme
dell’espropriazione contro il terzo proprietario, è ferma nel distinguere, sotto ogni altro profilo, la
fattispecie regolata dall’art. 524 c.c. dall’azione revocatoria: Cass., Sez. Trib., 10-3-2008, n. 6327; Id.,
29-3-2007, n. 7735, RN, 2008, 456; Id., 24-11-2003, n. 17866; Id., 25-3-1995, n. 3584; Id., 25-3-1995,
n. 3548; Id., 10-8-1974, n. 2395; T. Grosseto, 1-3-2016, n. 199, DeJure).
Sembra legittimo, in proposito, interrogarsi sulla possibilità di estendere le tutele del nuovo
art. 2929-bis c.c. anche al creditore del rinunziante, consentendogli di aggredire il bene in proprietà
del terzo senza avere ottenuto, nelle forme della cognizione, l’autorizzazione «ad accettare l’eredità
in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino a concorrenza dei
loro crediti», anche in considerazione del fatto che alcuni primi commenti si sono espressi a favore di
tale estensione (v., ad esempio CIRULLI, La riforma del processo esecutivo, in www.judicium.it, 8). A mio
avviso, la risposta negativa si lascia preferire, in primo luogo, per il carattere eccezionale della nuova
disposizione che ne impone un’interpretazione restrittiva e confinata alla fattispecie sostanziale concretamente regolata dal legislatore; in secondo luogo, lo stesso accostamento tra l’azione revocatoria e
l’accettazione del creditore ex art. 524 c.c. – come dimostra la ricordata giurisprudenza di legittimità –
non mi sembra potersi spingere oltre la constatazione della comune forma in cui la soddisfazione del
creditore debba realizzarsi, ossia l’espropriazione contro il terzo proprietario, mentre lascia del tutto
impregiudicato il profilo dei presupposti sostanziali delle due fattispecie che, se considerate sotto questo punto di osservazione, divergono sensibilmente.
52
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
difese ammissibili nel giudizio di opposizione, sia alla distribuzione degli oneri probatori tra le parti54.
Il profilo a mio avviso più problematico, dal quale occorre prendere le mosse,
concerne l’accertamento del credito che legittima la pretesa revocatoria.
È quasi superfluo notare come il tema non sia affrontato dalla legge sostanziale,
a differenza di quanto accade per altre fattispecie di cui subito si dirà, giacché di
regola finora la soggezione del terzo all’azione esecutiva del creditore doveva essere
accertata, come detto, fuori e prima dell’espropriazione, in un giudizio a cognizione
piena nel contradditorio con il terzo proprietario55.
In altre situazioni in cui difetta un preliminare accertamento della soggezione del
terzo all’azione esecutiva (come accade, per esempio, nel caso già ricordato dell’esecuzione promossa contro l’acquirente dell’immobile ipotecato), il legislatore ha
invece modulato le sue difese in relazione all’anteriorità o meno della trascrizione
dell’atto di acquisto rispetto alla domanda di condanna56. E proprio con riferimento
all’assetto definito dagli artt. 2859 e 2870 c.c. si è osservato come quest’ultimo possa
trovare generale applicazione «quantomeno per le ipotesi nelle quali l’efficacia ultra
partes degli atti di trasferimento del bene “vincolato” all’espropriazione è, come per
i beni oggetto di ipoteca, subordinata ad un regime di pubblicità»57: l’indicazione
rappresenta senza dubbio un significativo punto di partenza per impostare ora la
riflessione sull’art. 2929-bis c.c., che regola appunto una forma di espropriazione
Il creditore, che intenda avvalersi dell’art. 2929-bis c.c., dovrà comunque preventivamente notificare il titolo esecutivo e l’atto di precetto (con l’indicazione del bene che intende espropriare) anche
al terzo proprietario ai sensi dell’art. 603 c.p.c.: questo adempimento costituirà uno snodo cruciale
perché il terzo sarà messo in condizione di reagire tempestivamente a un’iniziativa del tutto priva di
fondamento, proponendo l’opposizione ex art. 615, 1° co., c.p.c. e chiedendo al giudice dell’esecuzione
la sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo formato contro il debitore.
55
Si è detto, a questo proposito, che la necessità dell’azione revocatoria preventiva all’espropriazione trova la sua ragione nell’esigenza di assicurare all’aggiudicatario un titolo prevalente rispetto
a quello vantato da chi ha acquistato in virtù del negozio fraudolento e perciò revocabile, cfr. LUISO,
Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi, cit., 113.
56
L’art. 2859 c.c., com’è noto, consente al terzo acquirente dell’immobile ipotecato di opporre al
creditore procedente tutte le eccezioni «non opposte dal debitore e quelle altresì che spetterebbero a
questo dopo la condanna», quando il suo acquisto sia trascritto prima della data in cui il creditore ha
promosso la domanda per la condanna del debitore, salvo che abbia preso parte al relativo giudizio.
Ancor più generoso si dimostra il successivo art. 2870 c.c. che ammette il terzo datore d’ipoteca – ove
non abbia partecipato al giudizio di condanna contro il debitore – a opporre tutte le eccezioni non
opposte dal debitore, cfr. BIANCA, Diritto civile, VII, Milano, 2012, 431 s., 454 s.; BOERO, Le ipoteche,
in Giurisprudenza sistematica di diritto civile e commerciale, fondata da W. Bigiavi, 2a ed., Torino, 1999,
778 ss., 831 ss. In dottrina si è osservato come, con riferimento al terzo acquirente dell’immobile ipotecato, non esista nel codice civile – sebbene opportuna – la previsione di una forma di pubblicità per
la domanda di condanna al pagamento del debitore ipotecario, invece prevista dal sistema tavolare, cfr.
CHIANALE, L’ipoteca, in SACCO (diretto da), Trattato di diritto civile, 2a ed., Torino, 2010, 376.
57
Così MICCOLIS, L’espropriazione forzata per debito altrui, 2a ed., cit., 266.
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non preceduta dalla cognizione, salvo osservare come – nel caso di cui ci si occupa –
il terzo, al momento in cui trascrive l’atto di acquisto, non possa conoscere né l’esistenza del credito né la circostanza che l’atto gratuito pregiudica il creditore.
Questa piana osservazione potrebbe indurre, anzitutto, ad affermare che – per
ovvie ragioni di uguaglianza – anche nel caso regolato dall’art. 2929-bis c.c., laddove il creditore formi il titolo giudiziale dopo la trascrizione dell’acquisto del
terzo (ma entro l’anno), quest’ultimo dovrà partecipare al relativo giudizio, altrimenti il terzo potrà opporre – invocando l’analogia rispetto all’art. 2859 c.c. –
quantomeno «tutte le eccezioni non opposte dal debitore e quelle altresì che
spetterebbero a questo dopo la condanna». Ma si tratterebbe comunque di una
protezione ancora insufficiente, della quale si può ragionevolmente dubitare che
costituisca l’unica flebile contropartita all’inversione tra cognizione ed esecuzione
attuata dall’art. 2929-bis c.c.58.
Se, infatti, si concorda sul rilievo secondo cui il terzo, reagendo all’espropriazione con l’opposizione di merito, introduce la cognizione sui presupposti della
revocatoria che di regola precede l’azione esecutiva, il relativo procedimento
dovrà ritenersi informato alle stesse regole degli ordinari giudizi revocatori, fatte
salve le diverse indicazioni desumibili dalla norma in commento, in ogni caso non
suscettibili di applicazione più estesa di quella testualmente recepita nel testo
licenziato dalle camere. Invero, a differenza di quanto stabilito per l’art. 64 l. fall.,
il legislatore, nel confezionare l’art. 2929-bis c.c., lungi dal prevedere l’inefficacia
ex lege dell’atto gratuito, ha scelto di intervenire sul versante processuale invertendo l’ordine di cognizione ed esecuzione59, rimettendo all’esecutato (ovvero ai
terzi interessati) l’onere di instaurare il giudizio di merito ove ritenga illegittima
l’espropriazione60.
Quest’impostazione, laddove riportata al problema dell’accertamento del credito, non desta eccessive difficoltà se il creditore – nel giudizio di opposizione
promosso dal terzo – intende dimostrare la sua qualità allegando un titolo stragiudiziale, rispetto al quale è chiaro che nessun pregiudizio potrà soffrire la difesa del
Nel senso di estendere al terzo proprietario le tutele previste dall’art. 2859 c.c. cfr. VIOLANTE,
L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929-bis c.c. introdotto con il d.l. 27-6-2015, n. 83,
convertito con modificazioni dalla l. 6-8-2015, n. 132, cit., 597.
59
E questo si trae con sicurezza da un sereno raffronto tra le due norme ricordate, giacché mentre
la prima (art. 64 l. fall.) prevede espressamente che «sono privi di effetto rispetto ai creditori…gli atti
a titolo gratuito», la seconda (art. 2929-bis c.c.) si limita a stabilire che il creditore può iniziare l’espropriazione «ancorché non abbia preventivamente ottenuto la sentenza dichiarativa dell’inefficacia».
60
Laddove si accolga l’impostazione suggerita nel testo che, come si cercherà di dimostrare, risulta
più coerente con le esigenze di tutela del terzo proprietario, si potrà confermare anche la natura costitutiva del giudizio, a differenza di quanto deve dirsi in relazione all’accertamento promosso dal curatore
ai sensi del ricordato art. 64 l. fall.
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terzo acquirente, per definizione estraneo al rapporto obbligatorio61. La situazione
si complica, invece, quando a fondamento della propria legittimazione all’azione
revocatoria il creditore alleghi un titolo esecutivo giudiziale ove il credito è accertato (solo) nei confronti del debitore con efficacia di giudicato (per esempio un
decreto ingiuntivo non opposto).
A fronte di un’iniziativa di tal genere, occorre stabilire se il terzo sia o meno vincolato al giudicato formatosi tra creditore e debitore, con conseguente inevitabile
compromissione delle sue difese, poiché il risultato di quella cognizione è ora speso
contro di lui per vedere dichiarata l’inefficacia ex parte creditoris del suo atto di
acquisto62.
Tra i sostanzialisti, ma solo nelle più significative trattazioni sull’argomento, si
è giunti al condivisibile risultato secondo cui il giudicato sul credito non vincola
il terzo, vuoi perché un tale effetto sarebbe estraneo all’art. 2909 c.c.63, vuoi perché l’esistenza del credito costituirebbe un mero presupposto di legittimazione
all’azione64 e la giurisprudenza di legittimità, quando ha affrontato l’argomento, ha
recepito questa impostazione, ma senza sviluppare adeguatamente i motivi che la
sorreggono65.
In tal senso, v. NICOLÒ, Dell’azione revocatoria, cit., 202, il quale, ad esempio, esclude che il terzo
debba subire le eventuali limitazioni alla prova contraria che la disciplina sostanziale detta – in talune
ipotesi: ad esempio nel processo cambiario – nei confronti del debitore; su questa linea di pensiero v.
anche, DE CRISTOFARO, Commento all’art. 2901 c.c., cit., 3807.
62
Occorre ribadire che con riferimento al terzo acquirente dell’immobile ipotecato (art. 2859 c.c.)
e al terzo datore d’ipoteca (art. 2870 c.c.) esiste una disciplina ad hoc in forza della quale le difese del
terzo sono solo in parte limitate dall’esistenza del giudicato contro il debitore; ma in quel contesto si
tende a spiegare tale effetto con argomenti di matrice sostanziale e, in particolare, con la natura del
vincolo ipotecario e con il regime di pubblicità assicurato dalla sua trascrizione, cfr. BIANCA, Diritto
civile, VII, cit., 428 ss.
63
Secondo NICOLÒ (Dell’azione revocatoria, cit., 203), il terzo acquirente convenuto in revocatoria
avrebbe pienezza di poteri nel contestare l’esistenza del credito, in alcun modo limitata dall’essere stato
accertato (tra le parti del rapporto) da una sentenza non ancora passata in giudicato e persino quando
lo sia stato con provvedimento coperto dal giudicato materiale: egli sostiene che il terzo non sarebbe
mai vincolato al giudicato sul credito formatosi tra creditore procedente e debitore alienante, in quanto
una tale estensione non sarebbe contemplata dall’art. 2909 c.c.
64
Per cui mai potrebbe ravvisarsi tra il credito e l’alienazione quel rapporto di derivazione al quale
si richiama la nozione di avente causa di cui parla l’art. 2909 c.c.: così BIGLIAZZI GERI, Della tutela dei
diritti, in Commentario al codice civile, Torino, 1980, 114; NATOLI-BIGLIAZZI GERI, I mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, cit., 208. Secondo l’orientamento consolidato della Suprema Corte, il
credito è accertato solo in via incidentale, onde non sussistono i presupposti per sospendere il giudizio
sulla revocatoria in pendenza del giudizio sull’esistenza del credito, cfr. Cass., 14-9-2007, n. 19289; Id.,
S.U., 18-5-2004, n. 9440, FI, I, 2004, 2366 ss.; GC, 2004, I, 2267 ss.; Id., 23-9-2004, n. 19132; Id., 11-102005, n. 19755, Obbl. e contr., 2006, 987 con nota di ACHILLE, La sussistenza del credito non rappresenta
«presupposto indefettibile» della pronuncia sull’azione revocatoria.
65
In particolare i giudici di legittimità, in una recente decisione (Cass., 14-5-2014, n. 10399), dopo
avere ravvisato l’interesse del terzo ad un accertamento dell’entità del credito per adeguarvi la sanzione
d’inefficacia, ha così concluso: «il giudicato formatosi a conclusione della controversia fra creditore e
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Nel contesto degli studi sul processo civile, la soluzione del problema appena
prospettato coinvolge l’impegnativo tema dei limiti soggettivi dell’accertamento
giurisdizionale66: ma anche sotto questo più ampio punto di osservazione, ritengo si
debba – forse con ancor maggiore convinzione – sostenere la totale indifferenza del
terzo proprietario rispetto al giudicato formatosi fra creditore e debitore.
Più precisamente, si vedrà che la contraria soluzione non può trovare sostegno,
dapprima, nella norma che in generale delimita la portata del giudicato civile alle
parti, i loro eredi e aventi causa (art. 2909 c.c.) e, poi, neppure nell’esistenza di un
rapporto di pregiudizialità/dipendenza sostanziale tra il credito (accertato con giudicato) e il negozio traslativo della proprietà che si pretende inefficace verso il creditore67. È pur vero che, specie in passato, le ricordate disposizioni in tema d’ipoteca
(artt. 2859 e 2870 c.c.) sono state utilizzate come argomento a favore dell’estensione
al terzo acquirente dell’immobile ipotecato (o al terzo datore) dell’accertamento sul
credito formatosi contro il suo dante causa68, ma ognuno vede la distanza che corre
debitore, avente ad oggetto l’accertamento dell’entità della somma dovuta, non è opponibile all’acquirente di beni del debitore contro il quale sia stata proposta dal creditore azione revocatoria ai sensi
dell’art. 2901 cod. civ., a cautela del credito stesso».
66
La bibliografia sul giudicato civile è vastissima, per cui sarà sufficiente segnalare – senza pretesa
di completezza – i contributi specificamente dedicati al tema dei limiti soggettivi, cfr. BETTI, Trattato dei
limiti soggettivi della cosa giudicata, Macerata, 1923; CHIOVENDA, Principii di diritto processuale civile,
3a ed., Napoli, 1923, 921 ss.; ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, Milano, 1935; LIEBMAN, Efficacia ed autorità della sentenza, Milano, 1935; FABBRINI, Contributo alla dottrina dell’intervento adesivo,
Milano, 1964; VOCINO, Su alcuni concetti e problemi del diritto processuale civile. IV) Cosa giudicata e i
suoi limiti soggettivi, RTPC, 1971, 481 ss.; PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, Napoli, 1965;
ID., Appunti sui rapporti tra i limiti soggettivi di efficacia della sentenza civile e la garanzia costituzionale
del diritto di difesa, RTPC, 1971, 1216 ss.; ID., Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, FI,
1985, I, 2393 ss.; CARPI, L’efficacia “ultra partes” della sentenza civile, Milano, 1974; MONTELEONE, I
limiti soggettivi del giudicato civile, Padova, 1978; LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della
sentenza verso i terzi, Milano, 1981; MENCHINI, voce Regiudicata civile, Digesto/civ., XVI, Torino, 1997,
451 ss.; ID., Il giudicato civile, in PROTO PISANI (diretta da), Giurisprudenza sistematica di diritto processuale civile, 2a ed., Torino, 2002, 171 ss.
67
E ciò anche senza dover ricorrere all’argomento, invero convincente per ridimensionare la possibile estensione del giudicato in forza di un rapporto di dipendenza sostanziale tra due diritti, che «in
gran parte delle situazioni in cui si pone il problema della posizione del terzo di fronte ad una sentenza
pronunciata in un processo al quale egli non ha partecipato, vi è un legame tra le posizioni giuridiche, rispettivamente, del terzo e delle parti» (cfr. ATTARDI, Diritto processuale civile, 3a ed., Padova,
1999, 513), pertanto sarebbe una petizione di principio valorizzare quella relazione al fine di estendere
senz’altro il giudicato al terzo, quando l’art. 2909 c.c. lo vieta testualmente; così anche, se bene ho inteso
il pensiero dell’autore, MONTELEONE, I limiti soggettivi del giudicato civile, cit., 61 s.
68
Così, ma sotto la vecchia legge sostanziale (art. 2015 c.c. 1865), ALLORIO, La cosa giudicata rispetto
ai terzi, ristampa, Milano, 1992, 227 s., nell’illustrare la tesi per cui il giudicato per il garantito si estenderebbe di regola anche al garante, nonché, nell’attuale assetto positivo, PROTO PISANI, Opposizione
di terzo ordinaria, cit., 187; PUGLIESE, voce Giudicato civile (dir. vig.), Enc. dir., XVIII, Milano, 1969,
874, nota 366; TAMBURRINO, Della tutela dei diritti. Le ipoteche, in Commentario del codice civile, 2a ed.,
Torino, 1976, 290 s.
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tra questa fattispecie e quella nascente dall’azione revocatoria, distanza che suggerisce l’adozione di estrema cautela nel tentare di ricavare dalla prima elementi decisivi
per l’interpretazione della seconda69.
Si tratta, anzitutto, di tenere nella giusta considerazione la nozione di aventi causa
ai quali l’art. 2909 c.c. estende gli effetti sostanziali del giudicato formatosi tra le
parti70. Quest’ultima disposizione, com’è noto, vincolando al giudicato i successori post rem iudicatam71 presuppone la sostanziale identità tra il diritto accertato e
quello acquistato dal terzo, che non si realizza mai nel caso in esame in cui il giudicato si forma sul credito mentre il terzo acquista dal debitore/soccombente (non il
credito, ma) la proprietà di un bene72. In sostanza il terzo, pur essendo – sul piano
sostanziale – un avente causa dal debitore non lo è con riferimento alla situazione
giuridica soggettiva sulla quale si è formato il giudicato.
Inoltre, occorre tener presente che l’esistenza del credito – e il vincolo di giudicato che vi si coordina – acquista giuridica rilevanza per il terzo solo nel momento
in cui il creditore esercita l’azione revocatoria e, dunque, solo in quel processo come
presupposto dell’agire del creditore73. Al contrario, la nozione di avente causa di cui
Come sovente accade in fattispecie similari, le ricordate disposizioni (artt. 2859 e 2870 c.c.) possono essere lette anche in senso diametralmente opposto, ossia quali eccezionali ipotesi di estensione
– peraltro temperata, specie nel caso del terzo datore – degli effetti del giudicato a terzi che, altrimenti,
ne rimarrebbero estranei: così VOCINO, Su alcuni concetti e problemi del diritto processuale civile. IV)
Cosa giudicata e i suoi limiti soggettivi, RTPC, 1971, 496; LUISO, Principio del contraddittorio, cit., 137
s. Resta in ogni caso evidente che la sentenza che accoglie la domanda revocatoria non costituisce in
capo al terzo acquirente “revocato” un obbligo di garanzia assimilabile a quello derivante dall’ipoteca:
per questa ragione lo stesso Allorio, nel teorizzare l’estensione del giudicato ai rapporti di garanzia
escludeva che tra questi potesse rientrare l’assetto conseguente alla revoca del negozio traslativo, cfr.
ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., 211 ss.
70
In proposito cfr. LUISO, Sul concetto di «avente causa» dell’art. 2909 c.c., RDPr, 1982, 433 ss.; mentre per una nozione estensiva di avente causa, suscettibile di raccogliere le diverse fattispecie che è solito
ricondurre ai nessi di pregiudizialità-dipendenza tra due diritti sostanziali, cfr. CARNELUTTI, Diritto e
processo, Napoli, 1958, 276 ss.; PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit., 133 ss.; PUGLIESE,
voce Giudicato civile (dir. vig.), cit., 882 ss., nonché CARPI, L’efficacia «ultra partes» della sentenza civile,
cit., 292 ss.
71
V., ancora una volta, LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi,
cit., 121.
72
In questo senso, v. già ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., 159, secondo cui il concetto
di successione consiste nel «diventare una persona titolare d’un diritto (o d’un obbligo), quantunque
soggettivamente diverso, oggettivamente identico al diritto (o all’obbligo), di cui altra persona, simultaneamente e correlativamente, cessa d’esser titolare» (corsivo mio); PROTO PISANI, Opposizione di terzo
ordinaria, cit., 127 ss.; più recentemente, cfr. SASSANI, Lineamenti del processo civile italiano, 2a ed.,
Milano, 2010, 425, il quale ricorda che gli aventi causa, quali successori a titolo particolare «sono quelli
che subentrano nel rapporto della parte dopo la formazione del giudicato sul rapporto stesso» (corsivo
mio); in giurisprudenza, per una nozione di avente causa intesa quale subentro del terzo nella posizione
della parte nei cui confronti si è formato il giudicato, cfr. Cass., 30-9-2013, n. 22316, DeG, 2013.
73
Né, mi pare, la soluzione indicata nel testo sia suscettibile di essere rimessa in discussione qualora
si muova dalla convinzione, radicata nella dottrina del diritto civile, che la revocatoria trovi giustifica69
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tratta l’art. 2909 c.c. evoca l’esistenza di un rapporto di derivazione sostanziale tra
la posizione della parte e quella del terzo al quale si vorrebbe estendere il giudicato,
che prescinde dall’eventuale iniziativa giudiziale di uno degli interessati.
Quanto, poi, alla possibilità di costruire un vincolo per il terzo quale effetto (non
diretto, ma) riflesso del giudicato o dell’accertamento sul credito74, mi pare che la
conclusione appena enunciata non ne riesca in alcun modo intaccata. Sul punto,
oltre a ricordare come una parte autorevole della dottrina escluda recisamente
che l’esistenza di un nesso di dipendenza tra rapporti sostanziali possa giustificare
sempre e in ogni caso l’estensione degli effetti della sentenza verso i terzi rimasti
legittimamente estranei al giudizio (così confinando nell’ambito delle eccezioni tassativamente previste dalla legge quelle fattispecie sostanziali che, invece, sembrano
ammettere un più o meno marcato coinvolgimento dei terzi75), è bene tener presente
come anche chi sostiene l’estensione degli effetti della decisione al terzo titolare del
rapporto dipendente, nel prospettare le diverse fattispecie che vi si possono ricondurre, fissi precise relazioni sostanziali tra il diritto pregiudiziale e quello dipendente che rendono impossibile ricomprendervi anche la posizione di un soggetto
estraneo al rapporto di credito e il cui coinvolgimento, quale acquirente di un bene
dal debitore, assume consistenza giuridica solo in seguito all’azione revocatoria76.
zione su una precisa situazione di diritto sostanziale di cui l’inefficacia del negozio costituisce un effetto.
Premesso che non è agevole individuare l’esatta consistenza di questa situazione sostanziale, difficilmente distinguibile dal diritto di credito, basti in questa sede ricordare che una delle più convincenti
ricostruzioni del fenomeno in chiave sostanziale, alla quale la dottrina civile presta ancora oggi grande
attenzione, postula esattamente la totale irrilevanza per le difese del terzo di un eventuale giudicato sul
credito (cfr. NICOLÒ, op. loc. ult. cit.).
74
Secondo una tesi sostenuta nella nostra letteratura, sia pure con significative variazioni, da ALLORIO, La cosa giudicata rispetto ai terzi, cit., 43 ss.; PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit., 74 s.,
179 ss., 197 ss.; ID., Note in tema di limiti soggettivi della sentenza civile, cit., 432 ss.; FABBRINI, Contributo alla dottrina dell’intervento adesivo, cit., 102 ss.
75
È questo l’approccio seguito da ATTARDI, Diritto processuale civile, 3a ed., cit., 510 s., secondo
cui il problema dei limiti soggettivi del giudicato è un problema di diritto positivo e così può accadere
che «il legislatore disponga espressamente che una data modificazione giuridica operi nei confronti di
alcuni soggetti e non di altri», ma sempre nell’àmbito dei confini stabiliti dalla necessaria osservanza
del diritto costituzionale di difesa dei terzi; CHIZZINI, L’intervento adesivo, II, Padova, 1992, 673; così
anche CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile. I. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il
rapporto giuridico processuale, Torino, 2014, 112 s., ma con significativa apertura alla riflessione nel caso
di rapporti dipendenti caratterizzati da una relazione permanente, secondo la ricostruzione proposta da
LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi, cit., 89 ss.
76
Così ad esempio, per PROTO PISANI, Opposizione di terzo ordinaria, cit., 209, i terzi soggetti all’efficacia della sentenza sono «titolari di un rapporto giuridicamente dipendente da quello dedotto in giudizio, cioè derivante da una fattispecie uno dei cui elementi è costituito dal rapporto su cui la sentenza
ha statuito»; mentre LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso i terzi, cit., 89
ravvisa la possibilità di estendere gli effetti della sentenza solo ai terzi titolari di un diritto connesso per
pregiudizialità-dipendenza a carattere permanente (con l’effetto di limitarne il campo di applicazione ai
diritti personali di godimento e alla categoria del c.d. subcontratto).
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E ciò in quanto per potersi considerare – nella prospettiva in esame – vincolante
per il terzo la decisione sul credito intervenuta inter alios, dovrebbe darsi rigorosa
dimostrazione che l’esistenza del credito è un elemento (costitutivo?) della fattispecie dalla quale sorge il diritto di proprietà del terzo77; ma ad un siffatto tentativo si oppone, a mio avviso e in modo risolutivo, la natura processuale dell’azione
revocatoria quale strumento volto ad assicurare al creditore unicamente il potere
di espropriare o sequestrare (legittimamente) il bene di un terzo estraneo al rapporto obbligatorio, realizzando solo mediante l’estensione dell’azione esecutiva o
cautelare un collegamento tra due vicende sostanziali (il rapporto di credito e l’alienazione del bene al terzo) che altrimenti non avrebbero alcun punto di contatto78.
Il terzo acquirente, in definitiva, rispetto al giudicato formatosi sul credito, è da
considerare terzo indifferente79 al rapporto deciso e, in quanto tale, non vincolato o
limitato nelle sue difese dall’accertamento formatosi fra le altre parti80.
6. Giudizio di opposizione e onere della prova.
Riprendendo le fila del discorso, è possibile allora affermare che il titolo esecutivo
speso dal creditore, anche qualora sia costituito da un accertamento giurisdizionale
assistito dal giudicato, non è idoneo a comprimere le difese del terzo opponente ai
sensi dell’ultimo comma dell’art. 2929-bis c.c., al quale sarà consentito sollecitare
al giudice dell’opposizione un accertamento dell’esistenza ed effettiva consistenza
del credito, per caducare uno dei presupposti della sua responsabilità esecutiva81.
Non è agevole stabilire, però, come vadano rispettivamente distribuiti gli oneri
probatori nel giudizio di opposizione promosso dal terzo proprietario.
Dubbi suscita, in proposito, la scelta del legislatore di offrire il rimedio oppositivo
al terzo proprietario (così come al debitore e al terzo interessato al vincolo d’indisponibilità) per contestare «la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma»
Secondo la nozione di pregiudizialità-dipendenza proposta da ALLORIO, La cosa giudicata rispetto
ai terzi, cit., 68 ss. e ribadita dall’Autore in Trent’anni di applicazione del codice di procedura civile, Saggio
introduttivo al Commentario del codice di procedura civile, diretto da Allorio, I, 1, Torino, 1973, 65 ss.
78
In senso contrario, ma isolatamente, si esprimeva Allorio nella sua celebre monografia (La cosa
giudicata rispetto ai terzi, cit., 245, testo e nota 10), ritenendo di poter ravvisare quel rapporto di pregiudizialità tra diritti (che ai suoi occhi giustificava l’estensione soggettiva del giudicato al terzo) anche con
riferimento alla legittimazione ad agire, qualora per l’esercizio di una determinata azione l’ordinamento
richieda la titolarità di un diritto e questo sia già stato accertato con efficacia di giudicato, come può
accadere nel caso delle azioni surrogatoria e revocatoria.
79
Per questa nozione, cfr. LUISO, Principio del contraddittorio ed efficacia della sentenza verso terzi,
cit., 32 ss.
80
In senso conforme, cfr. DE CRISTOFARO, Commento all’art. 2901 c.c., cit., 3807.
81
Il fatto che poi, in concreto, l’esistenza dell’accertamento giudiziale o comunque l’esistenza del
titolo esecutivo possa agevolare il creditore nell’assolvimento dell’onere della prova non influenza la
correttezza dell’impostazione prescelta.
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ovvero «la conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle
ragioni del creditore»: tali espressioni, infatti, potrebbero essere intese nel senso di
addossare all’opponente, nella misura in cui contesta la sussistenza dei presupposti dell’azione esecutiva, il relativo onere probatorio82; così il legislatore non solo
avrebbe posticipato la cognizione (sui presupposti della revocatoria) all’esecuzione
(in danno del terzo) ma, altresì, introdotto una presunzione (relativa) di legittimità
dell’iniziativa del creditore, fino a che l’opponente non dimostri il contrario nel
giudizio di merito ex art. 615 c.p.c.83.
E in questo senso sembra orientare anche il tenore della Relazione Illustrativa al
disegno di legge di conversione del d.l. 38/2015, ove – pur con alcune non trascurabili semplificazioni84 – è detto in modo esplicito che nel giudizio di opposizione,
rispetto a un ordinario giudizio revocatorio, si realizza l’inversione dell’onere della
prova per cui sarà l’opponente a dover provare la (in-)sussistenza dei presupposti
per l’inefficacia dell’alienazione85.
Si tratta di una conclusione, a mio sommesso avviso, inconciliabile con le esigenze
di tutela del terzo, qualora egli assuma la veste di opponente86.
In tal senso si esprimono, pur avvertendo la delicatezza della soluzione, CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti processuali dell’art. 2929-bis c.c. (la tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata),
cit., 65 ss.; PROTO PISANI, Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c., cit., 138; VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929-bis c.c. introdotto con il d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con
modificazioni dalla l. 6-8-2015, n. 132, cit., 597, 599.
83
Cfr. LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 388, che individua nell’opposizione ex art. 615 c.p.c.
il rimedio offerto al terzo, in linea generale, per sollecitare il controllo giudiziale circa «la realtà delle
affermazioni del creditore procedente circa l’integrazione della fattispecie estensiva dell’efficacia del
titolo»; v. anche GARBAGNATI, voce Opposizione all’esecuzione (diritto processuale civile), NN.D.I., XI,
Torino, 1965, 1070; MANDRIOLI, voce Opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, Enc. dir., XXX,
Milano, 1980, 435.
84
Mi riferisco in particolare al rilievo, che si trova a pagina 14 della Relazione, secondo cui nel giudizio conseguente all’opposizione il tema della prova sarebbe estremamente semplificato e circoscritto
all’accertamento del: a) carattere pregiudizievole dell’alienazione; b) la consapevolezza del pregiudizio
da parte del debitore; difetta – com’è evidente – la consapevolezza delle difficoltà che nel caso concreto s’incontrano nello stabilire, ad esempio, la natura gratuita o onerosa del negozio, difficoltà che
da tempo ha messo a dura prova la giurisprudenza; sull’argomento, anche per ulteriori riferimenti, cfr.
ABETE, L’inefficacia degli atti a titolo gratuito, cit., 356 ss.; OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., 59 ss.; in giurisprudenza, cfr. Cass., 19-42016, n. 7745; Id., 2-12-2014, n. 25507; Id., 14-6-2013, n. 14995; Id., 10-4-2013, n. 8678; Id., 9-10-2012,
n. 17200; Id., 28-10-2011, n. 22518; Id., 14-10-2010, n. 21250.
85
Va detto che nella Relazione Illustrativa la conclusione indicata nel testo è dettata con esclusivo
riferimento al caso in cui l’opponente sia il debitore, mentre pare negletta l’eventualità che sia il terzo
a promuovere la contestazione.
86
In dottrina, sostiene che nel giudizio di opposizione non vi sia alcuna inversione dell’onere della
prova anche TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel D.L. n. 83/2015…in attesa della
prossima puntata…, cit., 156.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Questo particolare problema, come accennato, non ha destato – fino ad ora –
l’interesse degli studiosi, proprio perché la cognizione sulla revocatoria doveva
sempre precedere l’esecuzione, onde il terzo molto raramente aveva occasione di
contestare la propria soggezione all’azione esecutiva, accertata nella sentenza di
revocatoria dell’alienazione, se non per fatti successivi al referente temporale del
giudicato.
A ciò si aggiunga che l’aver confinato l’iniziativa del terzo nell’ambito dei rimedi
oppositivi (e dell’opposizione all’esecuzione in particolare87) può essere sembrata, a
prima vista, una soluzione in grado di contemperare le istanze di celerità cui mira il
nuovo istituto con una rimodulazione degli oneri probatori rispetto all’azione revocatoria. In proposito, tuttavia, bisogna tenere presente come l’esistenza del titolo
esecutivo incida sulla posizione del creditore convenuto in un ordinario giudizio di
opposizione all’esecuzione: anche quando la contestazione del debitore investe la
sostanza della pretesa, ossia il diritto di credito, è di regola l’opponente a farsi carico
di provare l’esistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa, ovvero
caducatori del titolo esecutivo88. Nella dinamica dell’opposizione all’esecuzione,
insomma, il titolo esecutivo solleva – nella gran parte dei casi – il creditore dalla
necessità di provare in giudizio l’esistenza del rapporto sostanziale (o comunque lo
agevola spesso in modo decisivo), con il risultato di accentuare la natura impugnatoria di un giudizio tutto incentrato sulle eccezioni del debitore-opponente89.
Come si comprende, però, il peculiare assetto si giustifica con l’esistenza del titolo
esecutivo sul quale il creditore fonda le sue pretese, ove l’esecutato-opponente è
individuato come soggetto passivo del rapporto di credito.
Ma se questo è vero, non può sfuggire che tale condizione non può ripetersi nei
confronti del terzo proprietario che, come detto in precedenza, per definizione non
subisce alcun vincolo per effetto dell’accertamento contenuto nel titolo esecutivo
formatosi tra debitore e creditore. L’art. 2929-bis c.c., insomma, a mio avviso, ha
imposto un’inversione tra cognizione ed esecuzione, circoscritta a ben precise (e
pregnanti) fattispecie negoziali, ma senza intaccare la struttura del giudizio revocatorio, né tantomeno mutarne la natura, per il solo fatto che questo è ora, di necessità, celebrato nelle forme dell’opposizione di merito.
Non mi pare sostenibile, infatti, la possibilità di scindere i rimedi per il terzo espropriato, modulandoli in funzione dell’oggetto della contestazione, per cui laddove si contesti il diritto sostanziale di
credito l’iniziativa dovrebbe assumere le forme dell’opposizione di merito ex art. 615 c.p.c. mentre laddove il terzo contesti la legittimità del suo coinvolgimento nell’esecuzione per difetto dei presupposti
della revocatoria, dovrebbe ripiegare per l’opposizione di terzo all’esecuzione; per un cenno nel senso
che il terzo debba reagire con l’opposizione ex art. 615 c.p.c. quando intende contestare che il bene
pignorato di sua proprietà non è vincolato a garanzia del credito, cfr. TARZIA, L’oggetto del processo di
espropriazione, Milano, 1961, 364, nota 531.
88
BONSIGNORI, L’esecuzione forzata, 3a ed., cit., 306.
89
Di impugnazione dell’azione esecutiva parla ancora BONSIGNORI, op. loc. ult. cit.
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Così, nonostante le suggestioni che potrebbe indurre la lettera della norma, le
preminenti (e già evocate) ragioni di tutela del terzo espropriato, di cui in precedenza si è detto, impongono che il relativo giudizio di opposizione – allorché promosso dal terzo – si svolga secondo lo schema degli ordinari giudizi revocatori nei
quali è il creditore che intende beneficiare dell’inefficacia dell’atto a dover provare
la sussistenza dei presupposti stabiliti dalla legge, anche per ciò che concerne la
ripartizione degli oneri probatori: ragione per cui il terzo ben potrà sollevare eccezioni e svolgere difese, invece precluse al debitore, in conseguenza del giudicato
formatosi sul credito.
Nondimeno questa soluzione si dimostra coerente con i princìpi generalmente
accolti in materia di prova, ove si consideri come l’esistenza dei presupposti indicati
dall’art. 2929-bis c.c. rappresenti il fatto costitutivo del potere (esecutivo) esercitato dal creditore nei confronti del terzo estraneo al rapporto obbligatorio90. Accogliendo l’opposta soluzione, infatti, si graverebbe il terzo della prova negativa dei
medesimi presupposti che, seppure in astratto ammissibile nel nostro ordinamento,
lo metterebbe in una situazione di oggettiva difficoltà nel contrastare l’aggressione
esecutiva in suo danno91.
Del resto, a soddisfare l’esigenza di attribuire comunque un significato alle espressioni usate dal legislatore (dalle quali si potrebbe ricavare un’inversione degli oneri
Invero, avuto riguardo agli assetti sostanziali, è il soggetto che invoca in proprio favore la ricorrenza nel caso concreto della fattispecie dalla quale discende – con pronuncia costitutiva – il suo diritto
di espropriare il bene di proprietà del terzo che deve fornire la relativa prova (conforme, sul punto,
LUISO, L’esecuzione «ultra partes», cit., 390, il quale nega che l’inversione tra le parti imposta dalla natura
oppositiva del giudizio possa incidere sulle regole che impongono a colui che intende avvalersene, e
quindi al creditore opposto, l’onere di dimostrare i fatti storici sui quali si fonda la fattispecie estensiva
del titolo esecutivo azionata): in argomento, cfr. VALLEBONA, L’onere della prova nel diritto del lavoro,
Padova, 1988, 62 ss.; ID., Commento all’art. 5 legge n. 604/1966, in MAZZOTTA, I licenziamenti. Commentario, 2a ed., Milano, 1999, 403 ss.; TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, RTPC, 1992, 748.
Potrebbe non essere eccentrico, nella prospettiva indicata nel testo, anche il richiamo al principio
che vuole distribuito tra le parti l’onere probatorio in considerazione della riferibilità o vicinanza della
prova, in forza del quale, proprio in tema di revocatoria (nella specie fallimentare), si è stabilito di non
potere onerare il terzo – beneficiario dell’atto che si pretende inefficace – della prova che il patrimonio
residuo del debitore è comunque idoneo ad assicurare la soddisfazione del credito, non potendo il terzo
conoscere «l’effettiva consistenza patrimoniale del suo dante causa», cfr. Cass., 12-4-2013, n. 8931; per
un inquadramento del tema, da ultimo, cfr. BESSO, La vicinanza della prova, RDPr, 2015, 1383 ss. alla
quale si rinvia anche per ulteriori indicazioni bibliografiche; nella giurisprudenza, oltre alla ricordata
decisione in tema di revocatoria, cfr. Cass., S.U., 30-10-2011, n. 13533, FI, 2002, I, 769 ss., con nota
di LAGHEZZA, Inadempimento ed onere della prova: le sezioni unite e la difficile arte del rammendo; GC,
2002, I, 1934 ss.; CorG, 2001, 1565 ss., con nota di MARICONDA, Inadempimento e onere della prova: le
Sezioni Unite compongono un contrasto e ne aprono un altro; NGCC, 2002, I, 349, con nota di MEOLI,
Risoluzione per inadempimento ed onere della prova, ampiamente recepita dalle successive decisioni
sull’argomento, come dimostra ancora, e da ultimo, Cass., 29-1-2016, n. 1665.
91
Cfr., ancora, TARUFFO, Presunzioni, inversioni, prova del fatto, cit., 750, il quale osserva come tanto
più sarà difficile per la parte provare il fatto negativo tanto più «la ripartizione degli oneri probatori
cessa di essere un meccanismo di prova, e diventa in realtà un meccanismo di predeterminazione della
soccombenza» (corsivo nel testo, n.d.r.).
90
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probatori nel giudizio di opposizione), evitando l’obiezione di avere proposto una
lettura della norma che regge solo a patto di sacrificarne almeno in parte il contenuto, si può utilmente considerare il riferimento all’oggetto dell’opposizione come
una precisazione indispensabile ad ampliare le maglie di quel giudizio, come fissate
dall’art. 615 c.p.c., fino trapiantarvi l’accertamento – con efficacia di giudicato – dei
presupposti sostanziali per la revocatoria dell’atto gratuito92.
7. L’intervento.
Il creditore, che si trovi nella situazione descritta nel primo comma, può anche
decidere di non promuovere in prima persona l’espropriazione e limitarsi a intervenire nell’esecuzione già pendente, purché il suo credito sia sorto prima della
trascrizione dell’alienazione e l’intervento si perfezioni entro l’anno successivo. La
precisazione incuriosisce non poco, considerato che il potere di intervenire nel processo esecutivo è implicito nell’attribuzione al creditore dell’azione esecutiva contro
il terzo e l’intervento è una forma di esercizio dell’azione esecutiva93.
Più interessante, per restare nel tema di queste note, è stabilire come il terzo
espropriato possa contrastare l’iniziativa del creditore che, invece di promuovere
direttamente l’espropriazione contro di lui, si limiti a intervenire in un’esecuzione
già pendente94.
La difficoltà nasce da questo.
L’art. 2929-bis c.c. prevede che il giudizio – promosso dal terzo espropriato –
sulla sussistenza dei presupposti per la revocatoria debba svolgersi nelle forme
Mi pare inevitabile che al giudizio di opposizione così promosso debba partecipare anche il debitore quale litisconsorte necessario, dovendosi ripristinare in sede oppositiva la stessa configurazione
soggettiva che avrebbe avuto il giudizio di merito promosso nelle forme ordinarie. Invero, da tempo
la giurisprudenza sostiene che l’opposizione di merito promossa dal terzo debba sempre coinvolgere
il debitore principale in qualità di litisconsorte necessario, cfr. Cass., 27-1-2012, n. 1192, GDir, 2012,
fasc. 11, 48; Id., 22-3-2011, n. 6546; Id., Sez. Lav., 21-7-2000, n. 9645; Id., 22-6-1999, n. Id., 23-6-1976,
n. 2347, GC, 1976, I, 1420; in dottrina, per tutti, cfr. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile,
3a ed., cit., 398.
93
Cfr. A.A. ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 302; BONSIa
GNORI, L’esecuzione forzata, 3 ed., cit., 46 ss.; MANDRIOLI, L’azione esecutiva, Milano, 1955, 546 ss.
94
Occorre ricordare come, nel contesto dell’espropriazione susseguente all’azione revocatoria ordinaria, non sia consentito ad altri creditori di avvalersi dell’inefficacia dell’atto revocato intervenendo
nell’esecuzione promossa contro il terzo proprietario: in ciò si ravvisa il carattere relativo e soggettivamente limitato della sentenza che accoglie l’azione proposta ai sensi dell’art. 2901 c.c., cfr. COSSU, voce
Revocatoria ordinaria, cit., 472. Per l’inammissibilità dell’intervento dei creditori personali del terzo
nell’espropriazione promossa nelle forme di cui agli artt. 602 c.p.c. ss., cfr. VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, cit., 166 ss.; STORTO, Sul problema dell’intervento dei creditori nell’espropriazione contro il terzo proprietario, REF, 2002, 25 ss., problema oramai in gran parte superato con
la generalizzazione del titolo esecutivo quale presupposto per l’intervento, VERDE, Diritto processuale
civile, 4a ed., III, Bologna, 2015, 59.
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dell’opposizione all’esecuzione, ma non specifica se tale soluzione permanga anche
nel caso in cui il terzo intenda muovere le medesime contestazioni nei confronti del
creditore (titolato) intervenuto nell’esecuzione.
Il problema si può aggirare quando l’intervento riguardi un’espropriazione contro il terzo promossa da altro creditore, ma sempre ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.: in
questo caso, infatti, il giudizio investirà la stessa alienazione gratuita, per cui – anche
in un’ottica di economia processuale – i presupposti dell’inefficacia potranno essere
agevolmente accertati nei confronti di entrambi i creditori, in un processo nel quale
figurano come litisconsorti necessari95.
Al contrario, quando il creditore intervenga ai sensi dell’art. 2929-bis c.c.
nell’espropriazione promossa da un creditore personale del terzo, come pure mi
sembra consentire la nuova norma, non è immediatamente identificabile il rimedio
per il terzo. Ciò in quanto, per consolidata tradizione interpretativa (almeno fino
alla novella del 2005), si escludeva comunemente che il debitore potesse opporsi
ex art. 615 c.p.c. al creditore intervenuto munito di titolo, dovendo invece convogliare la propria contestazione nell’ambito delle controversie distributive regolate
dall’art. 512 c.p.c.96: in estrema sintesi, si considerava il debitore privo d’interesse
alla contestazione del creditore titolato non procedente fino all’apertura del riparto97, salvo il caso – del tutto particolare – che il creditore intervenuto avesse dato
impulso al processo esecutivo in luogo del procedente98.
Dopo la riforma dell’intervento nell’espropriazione e la (nuova) centralità assunta
dal possesso del titolo esecutivo, il tema è stato oggetto di un approfondito esame
culminato nella conclusione secondo cui il debitore avrebbe sempre interesse a
estromettere dall’esecuzione il creditore titolato, abbia o no dato impulso al processo99.
In dottrina è diffusa l’opinione secondo cui il creditore titolato, intervenuto nell’esecuzione,
sarebbe litisconsorte necessario nell’opposizione di merito promossa contro il creditore procedente,
cfr. LUISO, Diritto processuale civile, 8a ed., III, cit., 263 s.; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione
civile, 3a ed., cit. 398.
96
Tra i lavori più recenti sull’argomento, cfr. A.A. ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione
del credito, cit., 300 ss., il quale sostiene, tra l’altro, che a seguito della riforma del 2005 in tema d’intervento sia resa ancor più stringente la regola, già in precedenza sostenuta, dell’esclusione di una attività
di verifica endoesecutiva dei crediti titolati.
97
Così, ad esempio, ANDOLINA, «Cognizione» ed «esecuzione forzata» nel sistema della tutela giurisdizionale, Catania, 1979, 117; altri poneva l’attenzione sulla circostanza che l’eventuale accoglimento
dell’opposizione di merito, nel caso in esame, non avrebbe implicato l’eliminazione del processo esecutivo, che costituirebbe – invece – il fine caratteristico del rimedio.
98
In tal caso la sua condizione, ai fini della soggezione all’opposizione di merito, veniva assimilata a
quella del creditore procedente, cfr. MANDRIOLI, voce Opposizione all’esecuzione e agli atti esecutivi, cit.,
444; VERDE, Il pignoramento. Studio sulla natura e sugli effetti, cit., 122 ss.
99
A questa ragionata conclusione giunge, in particolare, A.A. ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, cit., 369 s.; ID., voce Intervento dei creditori, Digesto/civ., Agg., III, cit., 754, nota
95
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Ora, a me pare che questa soluzione vada condivisa e anzi trovi indiretta conferma proprio nella disposizione in esame che, altrimenti, ne riuscirebbe gravemente ridimensionata nella sua portata applicativa100. Ove si escludesse, infatti,
l’opposizione di merito101 contro l’azione esecutiva del creditore titolato intervenuto nell’espropriazione non resterebbero che due soluzioni percorribili,
entrambe a mio avviso inappaganti: a) si dovrebbe ammettere il terzo proprietario
a contestare i presupposti della revocatoria nelle forme delle liti distributive di
cui all’art. 512 c.p.c.; ovvero, in alternativa: b) si dovrebbe escludere la possibilità
che il creditore possa giovarsi dell’art. 2929-bis c.c. per intervenire nell’esecuzione
promossa dai creditori del terzo, per l’assenza di strumenti idonei a contrastare
l’aggressione esecutiva102.
Mentre la prima soluzione va scartata perché non espressamente ammessa dalla
legge103 e, soprattutto, perché il giudizio distributivo – come oggi regolato – è strut27, anche sulla scorta di un accostamento tra il creditore pignorante successivo e quello intervenuto
cum titulo; nonché PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, Torino, 2011,
209; in precedenza, v. SATTA, La distribuzione del ricavato e l’opposizione all’esecuzione, RDPr, 1953, 98
ss.
100
Dal canto suo la giurisprudenza di legittimità, seppure in tempi recenti, ha confermato la possibilità per il debitore esecutato di contestare – nelle forme dell’opposizione di merito – il credito azionato
con l’intervento titolato, cfr. Cass., 9-4-2015, n. 7108, con ampi richiami alla precedente decisione
dell’11-12-2012, n. 22642, GC, 2013, I, 1767 ss., dove, tuttavia, non ritrovo alcuna indicazione utile
per ridefinire i legittimati passivi nell’opposizione ex art. 615 c.p.c., in quanto nell’unico passaggio
della motivazione dove si fa cenno ai creditori intervenuti si ribadisce la loro soggezione all’opposizione di merito solo quando abbiano dato impulso all’esecuzione, come del resto ha sempre affermato la
giurisprudenza precedente, cfr. per tutte Cass., 16-5-1987, n. 4516; mentre non mi pare possano essere
invocati, come precedenti favorevoli, alcune decisioni di legittimità che riguardano il rimedio esperibile
contro il provvedimento del giudice dell’esecuzione sull’istanza di conversione del pignoramento, fattispecie affatto peculiare, cfr. Cass., 1-9-1999, n. 9194; Id., 28-9-2009, n. 20733.
101
Intesa quale occasione per far riemergere la cognizione sull’esistenza dei presupposti della revocatoria, solo temporaneamente sacrificata dall’art. 2929-bis c.c. per agevolare l’azione del creditore
pregiudicato dall’alienazione gratuita.
102
Senza volere dare peso eccessivo al riferimento testuale alle opposizioni all’esecuzione, non mi
pare comunque possibile che il merito della revocatoria si possa discutere nelle forme dell’opposizione
agli atti esecutivi, in considerazione sia della specificità di quest’ultimo rimedio, sia della caratteristica
di essere un giudizio in unico grado: si avrebbe così una compressione della tutela del terzo, costretto
a rinunciare a (almeno) un grado di giurisdizione che invece di regola gli viene assicurato nella revocatoria ordinaria. Un’alternativa potrebbe essere quella di ammettere che, in questa circostanza, il terzo
mira unicamente a estromettere dall’esecuzione il creditore ex art. 2929-bis c.c. senza aspirare a un
giudicato sui presupposti della revocatoria: si tratterebbe di una soluzione in linea con alcune proposte
interpretative avanzate in dottrina da chi riconosce nell’opposizione agli atti esecutivi lo strumento per
contestare la legittimazione all’intervento del creditore, seppure in quel contesto il rimedio è riferito
in modo pressoché esclusivo alla categoria dei creditori non titolati, eccezionalmente ammessi nel processo di espropriazione al ricorrere dei presupposti indicati dall’art. 499 c.p.c., cfr. PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, cit., 211 s.
103
Che circoscrive i rimedi esperibili alle «opposizioni all’esecuzione di cui al titolo V del libro
III del codice di procedura civile»: e quindi essenzialmente all’opposizione all’esecuzione ex art. 615
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turalmente inidoneo a ospitare l’accertamento dei diritti sostanziali con efficacia di
giudicato104 (e tale è il giudizio sui presupposti della revocatoria), la seconda comporterebbe un’intollerabile compressione del potere d’intervento che l’art. 2929-bis
c.c. riconosce al creditore, limitandolo al solo caso in cui l’esecuzione sia stata promossa da un altro creditore pregiudicato dalla stessa alienazione gratuita.
Resta ancora da osservare, sempre in tema d’intervento, che sebbene ancora oggi
sia consentita – eccezionalmente – l’accessione all’esecuzione ad alcune ben precise
categorie di creditori privi di titolo, non mi pare che ciò possa consentire loro di
avvalersi anche della disciplina di favore dettata dall’art. 2929-bis c.c. In particolare,
è bene tener presente che i potenziali interessati sarebbero solo i soggetti appartenenti alla categoria dei cd. creditori contabili, poiché il creditore sequestrante e così
quello avente un diritto di prelazione sul bene pignorato risultante dal pubblico
registro sarebbero autonomamente legittimati a intervenire nell’esecuzione in virtù
del vincolo (preordinato alla soddisfazione) istituito tra il bene del terzo e il loro
diritto di credito, senza necessità di invocare le agevolazioni della revocatoria semplificata.
c.p.c. e all’opposizione del terzo all’esecuzione di cui all’art. 619 c.p.c., quest’ultima, come detto, non
praticabile nel caso di specie.
104
Questa ricostruzione dell’attuale fase distributiva è condivisa da TOMMASEO, L’esecuzione forzata,
Padova, 2009, 233 ss.; BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, 3a ed., III, Bari, 2014, 117; MERLIN,
Le controversie distributive, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, II, Milano, 2006, 140 ss.;
BOVE, in BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 256; SALETTI, Le (ultime?)
novità in tema di esecuzione forzata, RDPr, 2006, 209, nota 46; MENCHINI, Nuove forme di tutela e
nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità dell’accertamento con
autorità di giudicato, RDPr, 2006, 895 ss.; DE CRISTOFARO, Il nuovo processo civile “competitivo” secondo
la l. n. 80 del 2005, RTPC, 2006, 180; ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO-ARIETA,
Trattato di diritto processuale civile, III, 2, Padova, 2007, 796 ss.; A.A. ROMANO, Espropriazione forzata e
contestazione del credito, cit., 321 ss.; LUISO, Diritto processuale civile, 8a ed., III, cit., 188 ss.; TEDOLDI,
L’oggetto della domanda di intervento e delle controversie sul riparto nella nuova disciplina dell’espropriazione forzata, RDPr, 2006, 1314 ss.; CANALE, La stabilità degli effetti della distribuzione, in AA.VV.,
Le recenti riforme del processo civile, Commentario diretto da Chiarloni, Torino, 2007, 749; PUNZI, Il
processo civile, 2a ed., IV, Torino, 2010, 223 s.; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 4a ed., Padova,
2014, 484; PERAGO, Le contestazioni distributive nell’espropriazione forzata riformata, REF, 2012, 403
s.; VINCRE, Profili delle controversie sulla distribuzione del ricavato, Padova, 2010, 64 ss.; PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, Torino, 2011, 296 ss., anche se non mancano
anche autorevoli adesioni alla soluzione opposta, cfr. CARRATTA, Le controversie in sede distributiva fra
«diritto al concorso» e «sostanza» delle ragioni creditorie, CorG, 2009, 559 ss.; MANDRIOLI-CARRATTA,
Diritto processuale civile, 24a ed., IV, Torino, 2015, 106 ss.; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione
civile, 3a ed., cit., 337 ss.; BARLETTA, Questioni sul nuovo titolo esecutivo, in www.judicium.it, par. 5;
NASCOSI, Il nuovo volto delle controversie distributive ex art. 512 c.p.c., RTPC, 2010, 213; ID., Contributo
allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli,
2013, 193 ss.; TOTA, in AA.VV., Commentario alle riforme del processo civile, a cura di Briguglio-Capponi, II, Padova, 2007, 181 ss.; BARRECA, Le nuove norme sulle controversie distributive, RTPC, 2008,
267 ss., da ultimo cfr. TISCINI, Le controversie distributive di nuova generazione. Riflessioni sulla natura
e sui rapporti con altri incidenti cognitivi, REF, 2015, 1 ss.
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Infatti, quando l’art. 499 c.p.c. indica il creditore sequestrante e quello avente
diritto di pegno o prelazione risultante da un pubblico registro tra i soggetti eccezionalmente legittimati a intervenire senza titolo nell’espropriazione singolare, presuppone che la situazione legittimante (sequestro, pegno, ipoteca, ecc.) sia formalmente
riferita al bene o ai beni già assoggettati all’espropriazione: talché la disposizione
in esame, sotto questo profilo, appare del tutto irrilevante per queste categorie di
creditori.
Mentre, con riguardo alla ristretta cerchia dei creditori muniti delle scritture contabili di cui all’art. 2214 c.c. è da negare, a mio avviso, la loro possibilità d’intervenire senza titolo nell’espropriazione promossa contro il terzo proprietario, in forza
dell’art. 2929-bis c.c.
La conclusione discende, anzitutto, dalla stessa lettera della legge che, nel fissare i presupposti dell’intervento, richiede al creditore di trovarsi nelle condizioni
descritte nel primo comma, ove la tutela revocatoria semplificata è concessa espressamente al solo creditore munito di titolo esecutivo; inoltre a me pare che se il
legislatore avesse inteso tutelare anche la posizione del creditore privo di titolo esecutivo non si sarebbe limitato a prevedere la sola revocatoria semplificata ma anche
(in armonia con quanto previsto dall’art. 2902 c.c.) la possibilità per il creditore di
promuovere le azioni conservative sul bene alienato gratuitamente, consentendo
così anche al creditore non titolato (nelle condizioni descritte dal primo comma
dell’art. 2929-bis c.c.) di cautelarsi verso il terzo, in vista della possibilità di conseguire in futuro un titolo esecutivo contro il debitore principale: l’assenza di tale previsione urta in modo evidente con il tenore dell’art. 2902 c.c. (ove l’espropriazione
e le azioni conservative contro il bene del terzo rappresentano il comune effetto
dell’accoglimento dell’azione revocatoria) o meglio vi si coordina nel senso di rendere palese l’intento di circoscrivere al solo creditore munito di titolo esecutivo – e
quindi alla sua azione esecutiva – il beneficio dell’esenzione dalla revocatoria105.
In sostanza, dunque, poiché il legislatore non ha pensato al creditore non titolato in via principale, esentandolo dall’azione revocatoria, non mi pare coerente
sostenere che quel risultato sia invece possibile raggiungere applicando le ordinarie
regole sull’intervento nell’espropriazione.
Non mi nascondo, infine, che ogni soluzione diversa – pure prospettata nei primi
commenti106 – debba farsi carico di dimostrare come l’ordinaria disciplina dettata
dall’art. 499 c.p.c. possa adattarsi alla particolare condizione del terzo creditore
Al più si potrà discutere se questa lacuna possa integrare un’indebita limitazione dei poteri del
creditore non titolato e quindi una lesione della par condicio o, ancor più grave, una violazione del
principio di uguaglianza ex art. 3 Cost.
106
Cfr. PROTO PISANI, Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c., cit., 138; TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione forzata nel D.L. n. 83/2015…in attesa della prossima puntata…, cit., 159; CIRULLI, La
riforma del processo esecutivo, cit., 9; BALLERINI, Atti di destinazione e tutela dei creditori: l’art. 2929 bis
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non titolato, specie per ciò che riguarda la composizione soggettiva e l’oggetto
dell’udienza di verifica dei crediti, la forma delle contestazioni e la relativa legittimazione a sollevarle, la possibilità di disporre l’accantonamento, in quale misura e
così via107.
8. Conclusioni.
Il nuovo art. 2929-bis c.c., la cui peculiarità consiste nell’esentare il creditore (al
ricorrere di precise condizioni), di fronte all’alienazione gratuita, dal dovere di promuovere l’azione revocatoria, s’inquadra a pieno titolo tra gli strumenti preposti ad
assicurare la garanzia patrimoniale, risolvendosi per l’appunto in una forma semplificata di azione revocatoria, cui corrisponde sul versante processuale una speciale
legittimazione esecutiva che consente al creditore titolato di espropriare il bene del
terzo senza avere preventivamente ottenuto – dal giudice della cognizione – l’estensione dell’efficacia soggettiva del titolo esecutivo verso il terzo. Tra i vari profili
meritevoli di approfondimento, non ultimo quello relativo alla natura e fondamento
dell’istituto, del quale ho inteso porre in risalto la vocazione processuale, ho ritenuto di trattare la prospettiva dell’alienazione gratuita e delle tutele offerte al terzo
proprietario, anche in considerazione delle scarse indicazioni fornite dal legislatore,
sintetizzate nella scelta dell’opposizione all’esecuzione quale rimedio per il terzo.
Nell’affrontare la materia delle alienazioni a titolo gratuito e delle loro conseguenze per i creditori, mi è parso importante individuare nell’art. 64 l. fall. un precedente significativo, ove il legislatore da tempo prevede espressamente l’inefficacia
ex lege dell’atto rispetto alla massa e, ciononostante, la dottrina ha sempre avvertito
l’esigenza che i presupposti di quell’effetto siano accertati giudizialmente perché il
curatore possa procedere alla vendita del bene di proprietà del terzo, specie quando,
come nel caso in esame, si tratti di beni immobili. Il legame fra le due fattispecie ha
trovato conferma, peraltro, nell’aggiunta alla norma dettata in tema di fallimento di
un secondo comma che sembra proprio assolvere alla funzione di evitare al curatore
di agire in giudizio per poter disporre del bene alienato gratuitamente.
L’esempio della disciplina concorsuale è stato utile per individuare in una singolare inversione tra esecuzione e cognizione il tratto saliente dell’art. 2929-bis c.c.:
muovendo da questa premessa ho tentato di impostare il problema dell’ampiezza
delle difese consentite al terzo nel giudizio di opposizione, in larga parte influenzato
dalla soluzione accolta in ordine all’estensione del giudicato e in genere dell’accer-
c.c. riduce i confini della separazione patrimoniale, cit., 275, il quale invoca a sostegno le regole dettate
dal codice di rito in materia d’intervento e non espressamente derogate dalla disciplina in esame.
107
Nega l’intervento del creditore non titolato anche OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, cit., 16.
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tamento giudiziale sul credito (intervenuto tra debitore e creditore) nei confronti
del terzo proprietario. A tale proposito, ho escluso ogni influenza dell’accertamento
giudiziale nei confronti del terzo proprietario convenuto in revocatoria, in conformità alle tesi prevalenti in materia di limiti soggettivi del giudicato civile.
Inoltre, dall’idea che promuovendo l’opposizione il terzo proprietario recuperi
la cognizione sui presupposti della revocatoria (negata, in prima battuta, per la
natura gratuita dell’atto di disposizione), ma senza alterare i naturali equilibri di
quel giudizio, mi è parso di dover respingere l’impressione che il legislatore abbia
inteso invertire gli oneri probatori, con l’effetto di sollevare il creditore dall’onere di
dimostrare i presupposti dell’estensione dell’azione esecutiva al terzo. Alcuni cenni,
infine, ho riservato alle forme di tutela del terzo per il caso in cui il creditore – come
la norma sembra consentire – anziché agire ai sensi degli artt. 602 ss. c.p.c. decida di
intervenire (munito di titolo esecutivo) nell’espropriazione immobiliare promossa
dai creditori personali del terzo sul bene oggetto dell’atto gratuito, in particolare
negando che dell’esenzione si possano giovare, nelle forme dell’intervento, i creditori privi di titolo esecutivo.
Un esame complessivo dell’istituto108, pur nella limitata prospettiva d’indagine
prescelta, sembra confermare una tendenza – piuttosto diffusa nei recenti interventi sull’esecuzione forzata – a introdurre meccanismi preordinati a una più sollecita realizzazione del credito, cui corrisponde una contrazione della cognizione:
a volte ridimensionata e ospitata nello stesso processo esecutivo (così è accaduto
per le controversie distributive e le contestazioni alla dichiarazione del terzo pignorato ex art. 549 c.p.c.109), a volte posticipata e rimessa alla tempestiva contestazione
dell’interessato (come nel caso dell’intervento del creditore non titolato). La revocatoria semplificata introdotta dal nuovo art. 2929-bis c.c. s’inserisce a pieno titolo
in questo secondo ordine d’iniziative, nella misura in cui, dapprima, riconosce
al creditore l’azione esecutiva contro il terzo, estraneo al rapporto obbligatorio,
rendendo inizialmente superflua la cognizione sul fondamento sostanziale di quel
potere e, poi, rimette all’iniziativa del terzo, nelle forme dell’opposizione di merito,
la possibilità accertare in giudizio i presupposti della sua soggezione esecutiva.
Quando il presente lavoro era già in bozze è intervenuta la conversione, con modificazioni, del
d.l. 3-5-2016, n. 59 ad opera della l. 30-6-2016, n. 119 (pubblicata in GU il 2-7-2016, n. 153), che ha
modificato il secondo e il terzo comma dell’art. 2929-bis c.c. e ne ha introdotto un quarto, senza tuttavia introdurre novità di rilievo rispetto alle questioni esaminate nelle pagine precedenti. Nella nuova
formulazione del secondo comma, è precisato il diritto di prelazione del creditore che agisce ai sensi
della norma in commento rispetto ai creditori personali del terzo e, per quanto qui interessa, nel nuovo
quarto comma è disposta la salvezza dell’acquisto a titolo oneroso del sub-acquirente, a condizione che
abbia trascritto il suo diritto prima della trascrizione del pignoramento ex art. 2929-bis.
109
Cfr. COLESANTI, Novità non liete per il terzo debitore (cinquant’anni dopo!), in AA.VV., Il processo
esecutivo, Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 431 ss.
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FRANCESCO CAMPI
Il nuovo art. 2929-bis c.c. tra inefficacia presunta, espropriazione
anticipata e libertà negoziale
Sommario: 1. La novella normativa. – 2. L’alternatività temporale con l’azione revocatoria. – 3. Gli
atti pregiudizievoli al creditore. – 4. Il terzo acquirente e la sua tutela processuale. – 5. Il subacquirente
dal terzo avente causa. – 6. Conclusioni.
1. La novella normativa.
Il c.d. Decreto Giustizia (d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con l. 6-8-2015, n. 132)
oltre a contenere diverse previsioni in tema di procedure esecutive individuali e
concorsuali, ha introdotto nel Libro VI del codice civile il nuovo art. 2929-bis, che
costituisce la sezione I-bis (Dell’espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito) del Capo II (Dell’esecuzione forzata)1.
La norma attribuisce al creditore che subisca pregiudizio patrimoniale da un atto
del suo debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione – che
abbia per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri – compiuto
a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, la facoltà di procedere,
munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, e ciò senza aver preventivamente
ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia2.
Per un’anticipazione di molte delle novità poi introdotte con il d.l. 83/2015, vedi E. FABIANI, Note
per una possibile riforma del processo di espropriazione forzata immobiliare, FI, 2014, V, 53 ss. nonché, a
commento del d.l. 12-9-2014, n. 132, VALERINI, La ricerca dei beni da pignorare, in LUISO (a cura di), Processo civile efficiente e risoluzione dell’arretrato, Torino, 2014, 51, che evidenzia la necessità di limitare,
anche sul piano sostanziale, l’asimmetria informativa tra il creditore e il debitore per rendere effettiva
la garanzia patrimoniale generica sancita per quest’ultimo.
2
La norma tende, da un lato, verso finalità di efficacia del processo esecutivo e, dall’altro, a dare
sempre più effettività ai principi portati dall’art. 2740 c.c., ovvero alla garanzia patrimoniale generica
del debitore, con i corollari della universalità, proporzionalità e par condicio creditorum, ormai elevati
a regole di ordine pubblico. V. per tutti ROPPO, voce Responsabilità patrimoniale, Enc. dir., XXXIX,
Milano, 1988, 1048, che appunto sottolinea la riserva assoluta di legge ad ogni limitazione a detti prin1
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
L’azione in executivis è condizionata alla trascrizione del pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l’atto lesivo delle ragioni creditorie è stato trascritto.
Le previsioni dell’art. 2929-bis c.c. si applicano anche al creditore anteriore che,
entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole, interviene nell’esecuzione
da altri promossa.
Se il pregiudizio deriva da un atto di alienazione, ovvero da un atto traslativo o
costitutivo di diritti reali, il creditore dovrà promuovere l’azione esecutiva nelle
forme dell’espropriazione contro il terzo proprietario3.
A tutela delle posizioni giuridiche – di natura reale o obbligatoria – contrapposte
a quelle del creditore pignorante, il legislatore ha, infine, previsto che sia il debitore
ed il terzo avente causa assoggettato a espropriazione, sia ogni altro interessato alla
conservazione del vincolo, possano proporre le azioni di cui al Titolo V del Libro
III del codice di procedura civile; ovvero l’incidente di esecuzione dato dall’opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi.
Con questi rimedi tipici del processo esecutivo, sarà possibile contestare la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma, nonché la conoscenza da parte del
debitore del pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni del creditore.
Il legislatore ha infine previsto (art. 23, 6° co., del d.l.) che la disposizione in commento si debba applicare alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data
di entrata in vigore del decreto (27-6-2015)4.
Ad una prima lettura, l’azione esecutiva diretta e, quindi, la trascrizione di
un pignoramento a norma dell’art. 2929-bis c.c. sembrerebbero ammissibili fin
da subito, purché nel termine ultimo di un anno dalla già avvenuta trascrizione
dell’alienazione gratuita o dalla costituzione del vincolo di indisponibilità da parte
cipi, tanto sostanziale quanto processuale. Per le prime riflessioni in merito al nuovo art. 2929-bis c.c.,
cfr. TESTA, Atti di donazione: gli effetti del nuovo articolo 2929-bis del Codice Civile, in Quotidiano giuridico, 14-7-2015; PETRELLI, Pignoramento di beni oggetto di vincoli di indisponibilità e di alienazioni gratuite, in www.gaetanopetrelli.it, Rassegna relativa al primo semestre 2015, sezione Rassegne normative;
CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti processuali dell’art. 2929-bis c.c. (la tecnica del bypass applicata
all’esecuzione forzata), REF, 2016, 59 ss. nonché PROTO PISANI, Profili processuali dell’art. 2929 bis c.c.,
FI, 2016, V, 136 ss.
3
Rinviando alla conclusione della presente nota la personale valutazione della novella in commento,
va, comunque, sottolineato lo sforzo del legislatore di recuperare competitività al processo esecutivo,
se del caso, anche rimuovendo gli impedimenti all’esercizio dell’azione. Puoi vedere per le cennate
considerazioni, rapportate già alle riforme intercorse dal 2005 al 2010, DE SANTIS, Esecuzione forzata, in
DIDONE (a cura di), Il processo civile competitivo, Torino, 2010, 777 ss.
4
Giova rilevare come il legislatore, anche per le modifiche contenute nel Capo II del Titolo II del
d.l., ovvero quelle al codice di procedura civile e alle norme di attuazione per le procedure esecutive,
abbia optato per l’entrata in vigore immediata delle stesse, così cagionando non pochi problemi di
coordinamento con le operazioni di vendita già in corso; vedi, in particolare, l’art. 23 del decreto, come
convertito con la l. 6-8-2015, n.132.
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del debitore; non ostando il fatto che i suddetti atti siano stati stipulati, dal debitore
stesso, prima del cennato termine di entrata in vigore della novella.
Tuttavia la peculiarità della ratio posta a fondamento dell’articolo, che introduce
una deroga ai principi generali in tema di efficacia contrattuale, onere della sua
prova e conseguente opponibilità al creditore, induce a ritenere la suesposta conclusione come eccessivamente pregiudizievole per gli acquirenti a titolo gratuito e
i beneficiari dei vincoli di indisponibilità, che hanno assunto le rispettive posizioni
contrattuali facendo affidamento sulle norme vigenti al momento in cui gli atti a
loro favore sono stati perfezionati5.
In conclusione, le previsioni favorevoli al creditore dettate dall’art. 2929-bis c.c.,
varranno unicamente nel caso di atti pregiudizievoli posti in essere dopo la data del
27-6-2015 – da intendersi questa come data di stipula dell’atto e non di sua successiva trascrizione – che saranno aggredibili in executivis in virtù di una procedura
espropriativa iniziata, pur essa, successivamente al 27-6-20156.
2. L’alternatività temporale con l’azione revocatoria.
Con la norma in commento si è inteso raggiungere effetti deflattivi del contenzioso civile o, quanto meno, permettere un più celere soddisfacimento coattivo del
credito, attribuendo ope legis una maggiore effettività ai principi generali di responsabilità patrimoniale portati dall’art. 2740 c.c.7.
Contra BALLERINI, Atti di destinazione a tutela dei creditori: l’art. 2929 bis c.c. riduce i confini della
separazione patrimoniale, GI, 2016, I, 278; nonché, in giurisprudenza, T. Ferrara, 10-11-2015, in www.
montesano.it, che si è espresso per l’applicazione immediata della novella anche ad atti stipulati prima
della vigenza del d.l., laddove il pignoramento si sia perfezionato dopo il 27-6-2015 (data di entrata in
vigore del decreto) sostenendo che (anche per l’art. 2929-bis) trattasi di previsione processuale, la quale
non può che seguire il principio del tempus regit actum.
6
Sul tema della rilevanza degli effetti prenotativi conseguenti alla trascrizione delle domande giudiziali ed alla risoluzione dei conflitti sostanziali che si vengono a determinare fra la sentenza di accoglimento e l’espropriazione forzata parallelamente incardinata, vedi, da ultimo, MICCOLIS, Trascrizione
delle domande giudiziali e processo esecutivo, in GABRIELLI-GAZZONI (a cura di) Trattato sulle trascrizioni,
II, La trascrizione delle domande giudiziali, Torino, 2014, 435 ss.; in particolare per le considerazioni
sull’esito del conflitto fra l’attore vittorioso nell’actio pauliana ed il creditore pignorante del convenuto
soccombente, 445.
7
L’azione revocatoria, stante la sua precipua funzione meramente conservativa della garanzia generica assicurata al creditore ex art. 2740 c.c. dal patrimonio del debitore, presuppone per la sua esperibilità la sola esistenza di un debito, e non anche la sua concreta esigibilità. L’art. 2901 c.c., infatti,
coerentemente con tale funzione, nel contemperare anche crediti soggetti a termine ovvero a condizione, accoglie una nozione lata di credito, non limitata in termini di certezza, liquidità ed esigibilità,
ma piuttosto estesa sino a ricomprendere anche mere ragioni o aspettative di credito.
Vedi ex multis, Cass., 5-3-2009, n. 5359, CED Cassazione, 2009; Id., 7-10-2008, n. 24757, MGI, 2008,
24757; Id., 17-1-2007, n. 966, ivi, 2008, I, 337, con nota di D’Auria; Id., 10-3-2006, n. 5246, RFI, 2006,
voce Revocatoria (azione), n. 9; Id., 24-7-2003, n. 11471, RGI, 2003, voce Creditore, n. 5 e 6.
5
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Contrariamente al passato, i creditori del disponente – tali in virtù di un titolo
anteriore – possono procedere in via diretta all’espropriazione forzata dei beni
immobili e mobili registrati mediante trascrizione del relativo pignoramento entro
un anno dalla data di trascrizione degli atti di vincolo o di alienazione a titolo gratuito, posti in essere a loro pregiudizio, che di tali beni hanno disposto8.
Appare, quindi, ampio il portato sostanziale e processuale del nuovo art. 2929bis c.c.
Per quanto concerne l’azione esecutiva, si dà a qualsivoglia creditore la possibilità
di anticipare l’espropriazione forzata, mentre l’accertamento giudiziale in contraddittorio dei presupposti del pignoramento anticipato – di fatto analoghi ai presupposti dell’azione revocatoria – avverrà unicamente in sede di opposizione, con il
relativo giudizio incidentale9.
Si determina in questo modo una sostanziale inversione dell’onere della prova
riguardo ai presupposti suddetti10: mentre in sede di azione revocatoria è l’attore
che dovrà dedurre a fondamento delle sue pretese il pregiudizio patrimoniale subito
e, quantomeno, la conoscenza dello stesso da parte del debitore, diversamente in
sede di opposizione all’esecuzione “anticipata” tale onere – di prova contraria –
spetta al debitore, esecutato o altro soggetto interessato dall’atto11.
Pertanto, nel termine abbreviato indicato dall’art. 2929-bis c.c., il creditore
potrà evitare di esperire l’azione revocatoria ordinaria, rinviando detta azione
al decorso dell’anno ma comunque entro il termine massimo quinquennale dato
dall’art. 2905 c.c.12.
A favore della natura costitutiva della trascrizione del pignoramento e, dunque, per la necessità
della pubblicità nei registri immobiliari affinché sorga il conseguente vincolo giuridico vedi, ex multis,
VERDE, voce Pignoramento in generale, Enc. dir., XXXII, Milano, 1983, 769; in giurisprudenza Cass.,
16-5-2008, n. 12429.
9
Per una peculiare analisi delle interferenze, possibili anche post riforma, fra il processo esecutivo
immobiliare ed il giudizio di revocatoria ordinaria cfr. ARNABOLDI, Azione revocatoria ed esecuzione
immobiliare: le reciproche interferenze, in questa Rivista, 2010, 3 ss., per il quale il conflitto fra le due
azioni, espropriativa e di cognizione, laddove esperite da soggetti diversi sullo stesso bene, può comunque risolversi in sede di riparto deciso con l’art. 512 c.p.c. o con la successiva opposizione agli atti
esecutivi.
10
Cfr. PROTO PISANI, op. cit., 136, che qualifica la fattispecie come una revocatoria invertita, caratterizzata dalla presunzione legale della conoscenza, da parte del debitore, del pregiudizio arrecato con
l’atto al proprio ceto creditorio; diversamente BONINI, Dall’azione revocatoria all’espropriazione anticipata: la tutela dei creditori rispetto agli atti di destinazione, GI, 2016, I, 237, che rileva, quale novità, la
previsione di un’azione semplificata per l’esecuzione forzata anticipata, da introdursi non con citazione
bensì con la domanda di pignoramento.
11
Sulla distribuzione dell’onere della prova in seno all’esercizio dell’azione revocatoria fra il creditore attore, il debitore convenuto ed il terzo avente causa intervenuto vedi BIGLIAZZI GERI, voce Revocatoria (azione), Enc. giur., XXVII, Roma, 1991, 10.
12
La sentenza di revoca (sia essa ordinaria o fallimentare) potrà, infatti, produrre i propri effetti
solo dopo il passaggio in giudicato. E ciò, sia volendo seguire l’opinione della giurisprudenza (cfr.,
8
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Può concludersi, allora, che il privilegio processuale che si viene delineando manterrà, nella sua futura applicazione, piena autonomia rispetto all’azione revocatoria
degli atti compiuti a titolo gratuito. Tuttavia, gli effetti sostanziali sono analoghi:
l’inefficacia del trasferimento o del vincolo avverso il creditore “titolato” permette
di promuovere l’espropriazione anche nei confronti del terzo proprietario acquirente a titolo gratuito13.
Resta a carico dell’interprete applicare a questa nuova modalità di espropriazione
la disciplina di cui agli artt. 2901 ss. c.c., non certo in via diretta, ma – almeno – per
analogia, vista la ratio legis sottesa ad entrambi i meccanismi di inefficacia relativa
disciplinati dall’istituto dell’azione revocatoria, da una parte, e dalla nuova sezione
I-bis del Capo II, del codice civile dall’altra14.
Il creditore che sia stato pregiudicato dall’atto compiuto dal debitore, a conoscenza del pregiudizio che in tal modo si è venuto ad arrecare, ritenendo quest’azione
più efficiente, può espropriare direttamente in danno del terzo avente causa15.
La novità consiste nella possibilità di agire anticipatamente, senza aver ottenuto
una sentenza dichiarativa di inefficacia16.
Cass., 30-8-2007, n. 18312, Fa, 2008, 549, con nota di Bellomi) e della prevalente dottrina (cfr., BREGOLI, in AA.VV., Commentario al codice civile, diretto da Cendon, VI, Torino, 1991, sub art. 2901,
533, anche per ulteriori richiami) che attribuiscono ad essa natura costitutiva, sia volendo accedere alla tesi della dottrina minoritaria (cfr. DE MARTINI, voce Azione revocatoria (diritto privato),
NN.D.I., II, Torino, 1957, 56) che attribuisce a tale azione natura dichiarativa. Per una complessiva
rimeditazione del tema, v. IMPAGNATIELLO, La provvisoria esecuzione e l’inibitoria nel processo civile,
I, Milano, 2010, 289 ss., nonché ID., Ancora sui limiti oggettivi dell’esecuzione provvisoria, FI, 2012,
I, 189 ss.; ID., Revocatoria di rimesse in conto corrente e provvisoria esecutività della sentenza, Fa,
2011, 468.
13
Sugli effetti propri della azione revocatoria, cfr., ex multis, in dottrina: NICOLÒ, Tutela dei diritti,
in Comm. Scialoja-Branca, VI, artt. 2900-2906, sub art. 2901, Bologna-Roma, 1953, 188 ss.; BIGLIAZZI
GERI, op. cit., 2; D’ERCOLE, L’azione revocatoria, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, 20,
II, Torino, 1998, 166 ss.; NATOLI, voce Azione revocatoria, Enc. dir., IV, Milano, 1959, 889.
14
Vedi il richiamo a tale opzione esegetica in PETRELLI, op. cit., 6 ss. Riconosce la piena alternatività
dell’azione fondata sull’art. 2929-bis c.c. rispetto all’azione revocatoria, fatto salvo il decorso del termine decadenziale dell’anno, BONINI, op. cit., 238.
15
Sulla definizione di consapevolezza, da ultima, Cass., 30-6-2015, n. 13343, secondo la quale, in
tema di revocatoria ordinaria nei confronti di un fondo patrimoniale costituito dopo l’assunzione di
un debito, è sufficiente, ai fini della scientia damni, la semplice consapevolezza del debitore di arrecare
pregiudizio agli interessi del creditore, ovvero la previsione di un danno, anche meramente potenziale,
rimanendo, invece, irrilevanti tanto l’intenzione del debitore di ledere la garanzia patrimoniale generica
del creditore, quanto la relativa conoscenza o partecipazione da parte del terzo.
16
La dottrina ha definito tale inefficacia, relativa e parziale (NICOLÒ, op. cit., 188), o doppiamente
relativa (BIGLIAZZI GERI, op. cit., 2; D’ERCOLE, op. cit., 166; NATOLI, op. cit., 889): quanto ai soggetti
poiché l’atto di disposizione è inopponibile nei soli confronti del creditore attore e quanto all’ambito
di applicazione poiché l’inefficacia non si traduce nell’inidoneità dell’atto a produrre tutti gli effetti
tipici, ma si risolve nell’incapacità dell’atto di sottrarre il bene alla eventuale soddisfazione coattiva del
creditore attore presso il terzo acquirente.
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3. Gli atti pregiudizievoli al creditore.
Il creditore, per porre rimedio al pregiudizio che subisce a causa del compimento
degli atti elencati dall’art. 2929-bis c.c., può agire direttamente contro il debitore,
se gli atti compiuti non sono dispositivi-traslativi bensì costitutivi di un vincolo di
indisponibilità, o contro il terzo, qualora quest’ultimo fosse avente causa a titolo
gratuito17.
La norma menziona, in primis, i “vincoli di indisponibilità”, categoria già contemplata dall’art. 2915, 1° co., c.c. che prevede l’inefficacia di tali negozi laddove
trascritti dopo la trascrizione del pignoramento, mentre l’art. 2929-bis c.c. ne statuisce l’inefficacia anche se trascritti prima del pignoramento, pur se entro l’anno18.
Fra gli atti che limitano la disponibilità – in maniera maggiore – rilevano le diverse
tipologie di fondo patrimoniale, traslative o soltanto costitutive di un vincolo di
destinazione; fermo restando che nel caso di costituzione del fondo con effetti traslativi da parte dei coniugi o di un terzo non si tratterà di un mero vincolo, ma di
un vero e proprio negozio traslativo a titolo gratuito. L’esecuzione sui beni destinati
al fondo e sui frutti di detti beni è espressamente disciplinata dall’art. 170 c.c.; essa
potrà aver luogo unicamente per debiti che siano stati contratti per scopi connessi ai
bisogni della famiglia che di questo patrimonio separato potrà beneficiare.
Bisogna rammentare che, per costante giurisprudenza, l’opponibilità ai terzi del
fondo – quindi dei suoi effetti di destinazione – è data dall’annotazione a margine dell’atto di matrimonio che, secondo la previsione generale portata dal quarto
comma dell’art. 162 c.c. in tema di forma e pubblicità delle convenzioni matrimoniali, ha natura di conoscibilità assoluta anche per l’atto di costituzione del fondo19.
Vedi le considerazioni di GENTILI, Gli atti di destinazione non derogano ai principi della responsabilità patrimoniale, GI, 2016, I, 224 ss., per l’autore gli atti di destinazione per principio non sfuggono
alle azioni conservative dei creditori, ma le azioni esecutive restano temporaneamente paralizzate, prova
ora ne è l’introduzione dell’art. 2929-bis c.c. i cui effetti anticipano la rimozione del limite temporale
all’esercizio dei diritti sorti in capo al creditore del disponente.
18
In dottrina, ex multis, vedi MIOZZO, sub Art. 2915, in CENDON (a cura di), Commentario al codice
civile, Milano, 2008, 153 ss.; ROSSELLI, sub Art. 2915, in RUPERTO (diretto da), La giurisprudenza sul codice
civile, Milano, 2005, 1493 ss.; MICHELI, sub Art. 2915, in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario del
codice civile, Bologna-Roma, 1977, 90 ss.; TRISORIO LIUZZI, sub Art. 2915, in PERLINGIERI (a cura di),
Codice civile annotato con la dottrina e la giurisprudenza, Napoli, 2010, 797; MAZZAMUTO, L’esecuzione
forzata, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato. Tutela dei diritti, II, Torino, 1985, 189 ss.
19
In tal senso Cass., 16-11-2007, n. 23745, Cass., 5-4-2007, n. 8610 e Cass., 15-3-2006, n. 5684, concludendo, tutte, per la rilevanza dell’annotamento a margine gli atti dello stato civile, ai fini dell’opponibilità avverso i terzi.
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Se ne deduce che la trascrizione del fondo patrimoniale, contemplata dall’art. 2647
c.c., dovrebbe avere funzione di pubblicità notizia, non certo sostitutiva di quella
ottenuta con l’annotazione di cui sopra20.
Adesso l’art. 2929-bis c.c. dà espresso rilievo alla trascrizione dell’atto che ha
costituito il vincolo, il che induce a chiedersi se si sia inteso prendere posizione a
favore della controversa natura dichiarativa della trascrizione dell’atto costitutivo
del fondo21.
Vista la genericità del riferimento contenuto nel primo comma del nuovo articolo,
che menziona qualsiasi atto di costituzione di vincolo, pare preferibile ritenere che
l’avvenuta pubblicità nei registri immobiliari rilevi come termine iniziale dal quale
far decorrere – senza timore di incertezze – l’anno entro il quale sarà possibile al
creditore escutere in via diretta il bene, già destinato ai bisogni della famiglia del
debitore22.
Per la comunione legale, di cui agli artt. 177 ss. c.c., si può ben ritenere che la
stessa, diversamente dal fondo patrimoniale, non comporti una causa di indisponibilità per i beni immobili che ne fanno parte, poiché si ritiene che il regime di comunione attribuisca al creditore, anche di uno solo dei due coniugi comproprietari, la
facoltà di espropriare il bene per intero.
La vendita forzata determina ope iudicis lo scioglimento della comunione legale,
relativamente al singolo bene, fra l’esecutato ed il coniuge non obbligato con l’attribuzione in favore di quest’ultimo, in sede di riparto, del controvalore della sua
quota del bene alienato, al lordo delle spese di procedura23.
In dottrina si esprimono per il valore di pubblicità notizia, ex multis, FEOLA, La pubblicità del
regime patrimoniale tra i coniugi, in Tratt. Bonilini-Cattaneo, II, Torino, 1997, 414; GABRIELLI-CUBEDDU,
Il regime patrimoniale dei coniugi, Milano, 1997, 331; GAZZONI, La trascrizione immobiliare, II, in
Comm. Schlesinger, Milano, 1993, 43; IRTI, sub art. 79, in Comm. Carraro-Oppo-Trabucchi, I, Padova,
1977, 1, 457.
21
Si pone il dubbio PETRELLI, op. cit., 10, concludendo circa la prevalenza dell’annotamento quale
forma di pubblicità erga omnes.
22
Vedi Cass., 22-1-1991, n. 591, FI, 1999, I, 1469, con nota di DI CIOMMO, Brevi note in tema di
azione revocatoria, trust e negozio fiduciario, secondo la quale l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, inquadrabile fra quelli a titolo gratuito anche nell’ipotesi sia stato posto in essere da entrambi i
coniugi, è soggetto all’azione revocatoria ordinaria, in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a
determinate condizioni, riducendo la garanzia generale spettante ai creditori sul patrimonio dei costituenti.
23
Così SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, 4a ed., Padova, 2014, 297, e in giurisprudenza, da
ultima Cass., 14-3-2013, n. 6575, per la quale la natura di comunione senza quote della comunione
legale dei coniugi comporta che l’espropriazione, per crediti personali di uno solo dei coniugi, di un
bene (o di più beni) in comunione, abbia ad oggetto il bene nella sua interezza e non per la metà, con
scioglimento della comunione legale limitatamente al bene staggito e diritto del coniuge non debitore
alla metà della somma lorda ricavata dalla vendita del bene stesso o del valore di questo, in caso di
assegnazione.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
La nozione di vincolo di indisponibilità, anche per la lettura che ne dà la giurisprudenza, è ampia, ma nel caso della norma in commento è lo stesso legislatore ad aver
previsto una categoria aperta di atti che, da una parte, costituiscono relativamente
ad uno o più immobili una “indisponibilità” variamente graduata, dall’altro erano
esclusi dall’esecuzione forzata, qualora trascritti prima della trascrizione costitutiva,
di cui all’art. 555 c.p.c., del vincolo giuridico sorto con l’atto di pignoramento24.
Si tratta di una categoria giuridica c.d. aperta, per la cui delimitazione rileva,
innanzitutto, l’art. 2645-ter c.c., che prevede la trascrivibilità – con effetti dichiarativi, ed al fine di renderne opponibile ai terzi il vincolo – di atti pubblici relativi
ad immobili o mobili registrati che vengano destinati, per il termine massimo di
novant’anni o per la durata della vita del beneficiario, alla realizzazione di interessi
meritevoli di tutela; la destinazione può avere effetti traslativi o solo c.d. dichiarativi, così distinguendosi fra “destinazione statica” e “destinazione dinamica”25.
Una volta compiuta la pubblicità prevista, ne deriva che i beni destinati ed i relativi frutti possono costituire oggetto di esecuzione forzata soltanto per il soddisfacimento dei debiti sorti per la realizzazione del fine che ha causato la separazione
giuridica patrimoniale (in tal senso l’ultimo capoverso dell’art. 2645-ter c.c.)26.
Deve rammentarsi come quest’ultimo articolo sia stato assunto a fondamento
della liceità piena, per il nostro sistema, degli atti istitutivi di trusts. Orbene, anteriormente al d.l. 83/2015 la trascrizione dell’atto di destinazione o di trust fatta
prima che venisse trascritto l’atto di pignoramento rendeva necessario, per il creditore leso, l’esercizio vittorioso dell’azione revocatoria, al fine della escussione dei
beni in oggetto, in assenza della quale restava ferma ed opponibile la segregazione
Cfr. BALLERINI, op. cit., 273, per il quale la trascrizione, operata ai sensi dell’art. 2645-ter c.c.,
svolge una funzione costitutiva del vincolo di inespropriabilità.
25
Ammette la possibilità di una «destinazione (separatoria) di parte del patrimonio del disponente
senza mutamento di titolarità dovuto a concorrente effetto traslativo», LA PORTA, L’atto di destinazione
di beni allo scopo trascrivibile ai sensi dell’art. 2645 ter cod. civ., RN, 2007, 1069.
Circa la non necessarietà dell’effetto traslativo dell’atto destinazione, vedi anche BIANCA, Atto negoziale di destinazione e separazione, RDC, 2007, I, 209; D’ERRICO, Le modalità della trascrizione e possibili
conflitti che possono porsi tra beneficiari, creditori ed aventi causa del «conferente», in AA.VV., Negozio
di destinazione: percorsi verso un’espressione sicura dell’autonomia privata, Milano, 2007, 90; CEOLIN,
Destinazione e vincoli di destinazione nel diritto privato. Dalla destinazione economica all’atto di destinazione ex art. 2645 ter c.c., Padova, 2010, 49 ss.; PERLINGIERI, Il controllo di «meritevolezza» degli atti di
destinazione ex art. 2645 ter c.c., Not, 2014, 20.
26
Sull’efficacia dell’atto di destinazione quale strumento di gestione degli apporti patrimoniali dei
terzi posti a supporto del concordato preventivo, in particolare dopo l’introduzione del nuovo secondo
comma dell’art. 64 l. fall., si esprime PALAZZO, Atto di destinazione e concordato preventivo, GI, 2016,
I, 269.
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patrimoniale prevista dal succitato periodo finale dell’art. 2645-ter c.c., che richiamava per l’ordine temporale delle trascrizioni, appunto, l’art. 2915, 1° co., c.c.27.
Adesso, invece, entro un anno dalla trascrizione dell’atto di vincolo o di trust il
creditore leso potrà agire direttamente nei confronti del suo debitore o del terzo,
purché vi sia stata conoscenza del pregiudizio patrimoniale arrecato con l’atto,
escutendo l’immobile vincolato o segregato senza dover attendere gli esiti definitivi
del giudizio ordinario di cui agli artt. 2901 ss. c.c.
Per delimitare la seconda categoria di condotte lesive degli interessi patrimoniali,
ovvero le disposizioni a titolo gratuito, il legislatore ha preferito riferirsi più agli
effetti del negozio giuridico posto in essere che al suo inquadramento tipologico28.
Sono, così, direttamente espropriabili in danno del terzo avente causa i beni
immobili o i mobili registrati oggetto di alienazioni a titolo gratuito; per queste
ultime si dovrà intendere il trasferimento dalla sfera patrimoniale del debitore in
quella del terzo senza un corrispettivo incremento patrimoniale che lo giustifichi29.
Pur se in maniera sintetica, diventa imprescindibile far ricorso alle categorie
generali del negozio a titolo oneroso, che vede un arricchimento in senso lato da
entrambe le parti del contratto, e del negozio a titolo gratuito, laddove la diminuzione della sfera patrimoniale di un soggetto non trova quale corrispettivo alcuna
prestazione capace di valutazione economica.
I negozi a titolo gratuito o liberalità vuoi donative vuoi non donative, dirette o
indirette, saranno tutte, pur se con diverse gradazioni, interessate dalla previsione
dell’art. 2929-bis c.c.30.
Pertanto l’azione esecutiva si potrà esperire in tutti i casi di donazione, anche se
obnuziale o remuneratoria, mentre per l’ipotesi di donazione con onere si dovrà
Sull’esclusione dell’azione revocatoria avverso il mero atto costitutivo di trust concordano DI
CIOMMO, op. cit., 1470 ss., FIMMANÒ, La revocatoria dei patrimoni destinati, Fa, 2005, 1105 ss. e TUCCI,
Trust, concorso dei creditori ed azione revocatoria, Trust, 2003, 24 ss. Sarà invece soggetto ad azione
revocatoria l’atto di trasferimento dal disponente al trustee, sulla scorta di quanto deciso da Cass., 16-11992, n. 500 in caso di negozio preparatorio e successiva attuazione, così PEZZANO-SEBASTIANI, Vincoli di
destinazione ex art. 2645 ter c.c. e accordo di separazione tra i coniugi, Fam. e dir., 2008, 1179.
28
Il tenore letterale della norma, pur se ampio, induce ad escludere dalla sfera di applicazione
dell’art. 2929-bis c.c. i negozi di alienazione a titolo gratuito dissimulati, restando a carico del creditore
l’onere di esperire vittoriosamente l’azione di simulazione prima di poter escutere il bene ceduto dal debitore a titolo apparentemente oneroso. In tal senso si esprimono PETRELLI, op. cit., 12 e CAPPONI, op. cit., 64.
29
Sono considerati non revocabili, ai sensi dell’art. 2901, 3° co., c.c., i contratti posti in essere in esecuzione di un contratto preliminare o di un negozio fiduciario: Cass., 19-10-1991, n. 11025, GI, 1995,
I, 1, 1786, e v. anche Cass., 17-7-1956, n. 2759, GI, 1956, I, 1, 49, che esclude la revocatoria dell’atto
traslativo a scopo solutorio; esclude la revocatoria della donazione conclusa in esecuzione di un negozio
fiduciario Cass., 18-10-1991, n. 11025, GI, 1992, I, 1, 1786, con nota di Ongaro.
30
Per una recente analisi di queste tipologie contrattuali, puoi vedere, da ultimo, IACCARINO, Donazione. (In)compatibilità tra la disciplina delle donazioni e quella delle liberalità atipiche, FPS, 2010,
300-301.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
valutare il peso economico dell’onere già eseguito entro l’anno dalla trascrizione
dell’atto31. Fermo restando, comunque, il ricorso da parte del creditore al rimedio di
cui agli artt. 2901 ss. c.c., qualora l’onere della donazione abbia assorbito interamente
il valore della cosa donata e si giunga ad una situazione negoziale analoga a quella del
contratto a titolo oneroso, in tal caso comunque revocabile con le modalità ordinarie.
Al pari aggredibili saranno le alienazioni – rectius i trasferimenti – posti in essere
con negozi di liberalità non donativa, come, ad esempio, la costituzione di un fondo
patrimoniale con effetti traslativi, la comunione convenzionale con la quale si trasferisce la comproprietà dell’immobile acquistato da un solo coniuge in diverso regime
patrimoniale, l’atto di trasferimento della proprietà dal disponente al trustee o al
fiduciario o la dotazione del patrimonio della fondazione.
Come detto sono lesive delle ragioni del creditore sia le donazioni dirette sia
quelle indirette, ovvero tutte le liberalità che non assumono lo schema tipico della
donazione ma che hanno il medesimo effetto negoziale, ovvero quello di arricchire,
senza un corrispettivo, il terzo beneficiario32.
Quanto alla disciplina giuridica delle donazioni indirette – categoria dottrinaria
non codificata – si distingue tra le norme relative alla forma e quelle dette anche
materiali; le prime concernono il negozio mezzo che viene compiuto, le seconde il
negozio fine, ovvero la donazione indiretta realizzata. Ne deriva, fra l’altro, l’ormai
ammessa applicazione dell’istituto della revocatoria ordinaria dell’atto e la non sussistenza dei limiti stabiliti dagli artt. 2721 ss. c.c. per la prova della donazione indiretta.
Negozi sovente utilizzati per compiere una liberalità indiretta sono il contratto
a favore del terzo e l’adempimento del terzo, entrambe dette fattispecie, laddove
supportate dalla causa dell’arricchimento del beneficiario, configurano donazioni
indirette33.
Per la giurisprudenza di legittimità, l’aggiunta del modus non snatura l’essenza della donazione,
non potendo assegnarsi ad esso la funzione di corrispettivo, con la sussunzione della donazione modale
nella categoria dei contratti a titolo oneroso, ma comporta che la liberalità, che resta sempre la causa
del negozio, attraverso il modus, viene ad esserne limitata. Ne consegue che, nel concorrere alla successione dell’ascendente, i figli legittimi e naturali ed i loro discendenti legittimi e naturali, essendo tenuti
a conferire ai coeredi tutto ciò che direttamente e indirettamente abbiano ricevuto dal defunto, sono
assoggettati all’obbligo della collazione anche nell’ipotesi di donazione modale, limitatamente alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere. In tal senso, Cass., 7-4-2015, n. 6925.
32
L’espressione donazioni indirette non definisce una categoria giuridica unitaria, ma una serie di
condotte eterogenee poste in essere con la finalità di raggiungere i medesimi effetti patrimoniali del
contratto tipico di donazione, il comune denominatore è l’animus donandi del disponente, così CARNEa
VALI, Le donazioni, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, 6, II, 2 ed., Torino, 1997, 601 e
già CASULLI, voce Donazione (dir. civ.), Enc. dir., XIII, Milano, 1964, 988.
33
In tal senso PALAZZO, Le donazioni, in Comm. Schlesinger, 2a ed., Milano, 2000, 613 ed in giurisprudenza Cass., 28-2-2012, n. 3134, attesa la varietà degli atti negoziali strumentalmente utilizzabili,
la sussistenza di una donazione indiretta è data dal fine, concreto, di realizzare una liberalità, senza
l’adempimento di alcun dovere giuridico a carico del disponente.
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Particolare attenzione, quindi, dovrà esser data ai contratti in favore del terzo ed
in specie alle modalità di compravendita immobiliare con il pagamento del prezzo
da parte di un terzo, laddove fatto a titolo di liberalità.
Ormai la giurisprudenza ritiene che questa fattispecie configuri una donazione
indiretta dell’immobile acquistato dal terzo, dalla quale poter far derivare le conseguenze in tema di tutela delle ragioni creditorie34.
Per quanto qui rileva si può asserire che, nel caso di debitore che entro un anno
dal sorgere del credito dovesse adempiere al pagamento del prezzo di acquisto di
un immobile – e ciò a titolo di liberalità non donativa, con effetti di incremento
patrimoniale diretto per l’avente causa dal contratto traslativo – dovrebbe ammettersi l’espropriazione in danno del terzo acquirente che di tal donazione indiretta
ha beneficiato35. Ciò tutte le volte in cui la donazione indiretta è formalmente evincibile dallo schema contrattuale, fermo restando che l’acquirente escusso ben potrà,
in sede di giudizio di opposizione, dimostrare l’assenza sostanziale della liberalità o
del collegamento negoziale diretto36.
Certo sono classificabili come contratti traslativi a favore del terzo i trasferimenti
di beni immobili verso i figli (maggiorenni ed autosufficienti), compiuti dai coniugi
separati o divorziati in esecuzione di accordi patrimoniali omologati, nell’ambito
del procedimento di scioglimento del rapporto coniugale37.
In tema di contratto a favore del terzo con effetti reali in capo al beneficiario dell’acquisto, vedi,
T. Matera, 19-3-2015, n. 292, che si pronuncia circa la revocabilità ex art. 2901 c.c. della devoluzione in
favore del terzo, che diviene acquirente dell’immobile mercé il corrispettivo versato da chi intende realizzare la donazione indiretta; concludendo per l’inefficacia avverso il creditore del contratto a favore
del terzo connaturato da causa liberale. Contra, in dottrina, DI MAURO, L’individuazione dell’oggetto
della liberalità ai fini della riunione fittizia, dell’imputazione ex se e della collazione in alcune fattispecie
particolari, GC, 1993, II, 1973 ss.
35
Sull’identificazione del bene oggetto di donazione indiretta si è espressa reiteratamente la Suprema
Corte fin dal pronunciamento delle S.U., 5-8-1992, n. 9282, che leggasi in GC, 1992, I, 2291, con nota
di AZZARITI, Somma erogata per l’acquisto di un immobile intestato a soggetto diverso dall’acquirente e collazione; da ultima Cass., 2-9-2014, n. 18541, Not, 2014, 637, con nota di BRIGANTI, Donazione: collegamento tra l’elargizione del denaro paterno e l’acquisto del bene immobile da parte del figlio, coerente con
l’indirizzo delle Sezioni Unite, secondo il quale nel caso di erogazione di denaro per l’acquisto di immobile in capo al terzo occorre distinguere l’ipotesi della donazione diretta delle somme, poi utilizzate per
l’acquisto da parte del beneficiario dall’ipotesi in cui il donante – magari con il pagamento diretto in
favore del venditore – fornisce il danaro quale mezzo per l’acquisto dell’immobile. In quest’ultimo caso
il collegamento causale tra l’erogazione (o il pagamento) e l’acquisto determina la donazione indiretta
del bene immobile in capo al terzo acquirente.
36
Concorda circa l’opportunità di non escludere a priori le liberalità indirette dalla sfera di applicazione della novella, anche VIOLANTE, L’esecuzione forzata senza revocatoria di cui all’art. 2929-bis c.c.
introdotto con il D.L. 27-6-2015, n.83, convertito con modificazioni dalla L. 6-8-2015, n. 132, REF, 2016,
591 ss.
37
Ex multis, Cass., 14-3-2006, n. 5473, NGCC, 2007, I, 371; Cass., 13-5-2008, n. 11914, NGCC,
2008, I, 1468 ss., con nota di PECORIELLO, Causa di trasferimento immobiliare tra coniugi in esecu34
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Da un lato è ormai pacifica – in presenza dei requisiti tipici – la revocabilità di
questi trasferimenti tra i coniugi, poiché l’actio pauliana ha per oggetto non certo
la separazione o lo scioglimento del vincolo matrimoniale, tantomeno la sussistenza
dell’obbligo di mantenimento, bensì le sue concrete modalità di assolvimento38.
Dall’altro, l’ipotesi che il trasferimento avvenga in favore dei figli (o di eventuali
altri beneficiari convenzionali) rende l’attribuzione avverso questi ultimi di natura
liberale e consentirebbe, alla luce della novella in commento, l’espropriazione
diretta del bene ceduto avverso il terzo avente causa, fatte comunque salve le opposizioni esperibili da questo39.
4. Il terzo acquirente e la sua tutela processuale.
Se il pregiudizio alle ragioni del creditore è determinato da un atto di alienazione a titolo gratuito, egli potrà promuovere l’azione esecutiva direttamente contro
l’avente causa che, in quanto estraneo al rapporto obbligatorio sottostante il titolo
esecutivo, assumerà il ruolo del “terzo proprietario”, ovvero dell’espropriato non
debitore40.
Il richiamo testuale al terzo proprietario deriva, coerentemente, dalle previsioni
degli artt. 2910, 2° co., c.c. e 602 ss. c.p.c., che riconoscono al creditore il diritto
di agire in executivis quando l’alienazione da parte del debitore in favore del terzo
avente causa sia stata revocata per frode, ovvero in esito all’azione revocatoria ordinaria41.
zione degli accordi di separazione ed ammissibilità dell’azione revocatoria ordinaria, e Cass., 7-10-2008,
n. 24757, GI, 2009, 1947.
38
Vedi, da ultimo, VIGNUDELLI, Revocatoria dei trasferimenti immobiliari in sede di separazione consensuale, fra interessi dei familiari e interessi dei creditori, Fam. e dir., 2014, 364 ss.
39
Diversamente laddove all’alienazione fossero interessati solo i coniugi, fattispecie definita come solutoria della crisi coniugale e, fisiologicamente, non connotata di gratuità o di animus donandi, così OBERTO,
I contratti della crisi coniugale, Milano, 1992, 702 ss.
Ne consegue la necessaria dimostrazione, da parte del creditore, della sussistenza oltre che dell’eventus
damni e della scientia fraudis, anche della scientia damni del terzo, ovvero del coniuge beneficiario del
trasferimento, così VIGNUDELLI, op. cit., 369.
40
Si tratta di una definizione dell’esecutato non gravato da obbligazioni personali molto diffusa; v.
per tutti, CONSOLO-LUISO (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2007, 4189; MICCOLIS, L’espropriazione forzata per debito altrui, Torino, 1998, passim; TRAVI, voce Espropriazione contro
il terzo proprietario, Digesto/civ., VIII, Torino, 1992, 4; VERDE, Il pignoramento in danno dell’acquirente
di cosa pignorata, RTPC, 1992, 91; VACCARELLA, Il terzo proprietario nei processi di espropriazione, parte
II: la tutela, RDC, 1986, II, 406; COSTANTINO, Il terzo proprietario nei processi di espropriazione, parte I:
Le figure di terzo proprietario, ibidem, 389.
41
Vedi, CARMELLINO, La disciplina della espropriazione contro il terzo proprietario e le relazioni con il
fallimento del debitore diretto, REF, 2014, 599 ss.; per questo autore è l’art. 2910, 2° co., c.c., in virtù del
quale «possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del credito
o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore»
la norma che sdogana, sul piano statico, la c.d. responsabilità patrimoniale del terzo senza debito che
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Poiché la ratio dell’art. 2929-bis c.c. è di anticipare l’accesso alla tutela esecutiva che naturalmente conseguirebbe alla pronuncia di una sentenza di inefficacia
relativa, ne deriva che l’azione espropriativa, ordinaria conseguenza dell’inefficacia, debba essere l’esecuzione disciplinata dal Capo VI del Titolo III del codice di
rito, nella sua pur succinta disciplina42. In particolare, il terzo avente causa vedrà
applicarsi alla sua condizione di soggetto espropriato tutte le norme che disciplinano il pignoramento, la vendita ed il riparto43. L’espropriazione potrà anche essere
oggetto di delega delle relative operazioni, utilizzando l’istituto disciplinato dagli
artt. 591-bis e 591-ter c.p.c., con i corollari dati dalle relative norme di attuazione44.
Qualora il terzo fosse avente causa pro quota, poi, potrà aversi il caso dell’espropriazione di beni indivisi, di cui agli artt. 599 ss. c.p.c.45. Si pensi alla donazione –
o altra alienazione a titolo gratuito – compiuta dal debitore non in ragione della
piena proprietà del bene, ma di una sua quota di comproprietà; in questa ipotesi il
terzo avente causa subirà, a norma dell’art. 2929-bis c.c., l’espropriazione dei diritti
acquisiti a titolo di liberalità, cagionando, però, in capo agli altri comproprietari
non debitori e non aventi causa dal debitore, la conseguente espropriazione dei beni
comuni e la divisione endoesecutiva46.
trova attuazione, sul piano dinamico, negli artt. 602 ss. c.p.c., laddove si consente al creditore di far
espropriare beni non appartenenti al patrimonio del suo debitore, quando oggetto dell’esecuzione sia
un bene gravato da pegno o da ipoteca per un debito altrui, oppure quello la cui alienazione da parte
del debitore sia stata revocata per frode.
42
L’art. 602 c.p.c., che disciplina l’espropriazione contro il terzo proprietario non fonderebbe un
tipo particolare di azione, ma si limiterebbe a dettare le regole da rispettare quando l’espropriazione
coinvolge il bene di un terzo, in tal senso RADICE, L’espropriazione contro il terzo proprietario, in CRIVELLI
(a cura di), Esecuzione forzata e processo esecutivo, Torino, 2012, III, 1258 ss. Laddove l’acquisto del
terzo è posto in essere in pregiudizio delle ragioni del creditore, l’espropriazione assumerà le forme
dell’esecuzione contro il proprietario del bene non obbligato all’adempimento, per tutte Cass., 10-21997, n. 1227, MGI, 1997 e Cass., 19-12-1996, n.11349, MGI, 1996.
43
Vedi, tuttavia, il 2° co., dell’art. 2929-bis c.c. così come modificato con il d.l. 3-5-2016, n. 59, convertito con modifiche dalla l. 30-6-2016, n. 199, per il quale il creditore che agisce contro il terzo proprietario (avente causa a titolo gratuito) è preferito rispetto ai creditori personali di quest’ultimo nella
distribuzione del ricavato, inoltre se con l’atto di alienazione è stato riservato o costituito uno dei diritti
reali di cui al primo comma dell’art. 2812 c.c. il creditore potrà pignorare la cosa del terzo come libera.
44
Sull’istituto della delega v., in generale, ORIANI, Il regime degli atti del notaio delegato alle operazioni di vendita nell’espropriazione immobiliare, FI, 1998, V, 403; VACCARELLA, La vendita forzata immobiliare tra delega al notaio e prassi giudiziarie “virtuose”, REF, 2001, 289 ss.; FABIANI, La delega delle
operazioni di vendita in sede di espropriazione forzata immobiliare, Padova, 2007; DE STEFANO, La delega
delle operazioni di vendita, in FONTANA-ROMEO (a cura di), Il processo esecutivo, Padova, 2011, 903 ss.;
POMPONIO, Vendita e assegnazione nell’espropriazione immobiliare, in CRIVELLI (a cura di), Esecuzione
forzata e processo esecutivo, cit., II, 1013 ss.
45
Puoi vedere MORA, La divisione giudiziale, in BONILINI (a cura di), Trattato di diritto delle successioni e donazioni, Milano, IV, 255 ss.; nonché CRISCUOLO, Il giudizio di divisione tra norme sostanziali e
regole processuali, REF, 2010, 443 ss.
46
Diverso sarà il caso di solidarietà passiva che configura una pluralità di rapporti giuridici di credito-debito tra loro autonomi e distinti, correnti tra il creditore ed ogni singolo debitore solidale; sicché
il creditore avrà la facoltà, ex art. 1292 c.c., di scegliere il condebitore solidale a cui chiedere l’integrale
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Il debitore che subisce l’esecuzione anticipata, il terzo avente causa a titolo gratuito che si vede attribuita la posizione passiva di terzo proprietario e qualunque
altro soggetto interessato alla conservazione del vincolo di indisponibilità – si pensi
al coniuge del debitore con cui ha costituito un fondo patrimoniale, al conferente o
al controllore del vincolo di cui all’art. 2645-ter c.c. – possono esperire entrambe le
forme di opposizione all’esecuzione, ovvero sia l’opposizione all’esecuzione che, se
del caso, quella agli atti esecutivi47.
Con la prima, disciplinata dall’art. 615 c.p.c., da parte del terzo o di qualsiasi
altro legittimato potrà essere dimostrata la non sussistenza dei presupposti richiesti
per l’espropriazione anticipata, ovvero che l’atto non ha arrecato pregiudizio alle
ragioni del creditore, che il credito non sia sorto al tempo del trasferimento, che
l’alienazione sia avvenuta in virtù di un atto a titolo oneroso e non a titolo gratuito48: si pensi al terzo beneficiario di una donazione indiretta che intenda dimostrare
l’onerosità del negozio che ha determinato il suo arricchimento mercé l’intervento
del terzo debitore. Potrà essere altresì eccepito che il pignoramento è stato trascritto
oltre il termine di un anno dalla trascrizione dell’atto dannoso, poiché la previsione
temporale è evidentemente perentoria e ne consegue la decadenza dal diritto processuale all’esercizio dell’azione esecutiva diretta49.
Per quanto concerne il procedimento esecutivo, il debitore ed il terzo proprietario
si troveranno in posizioni simili50; il richiamo fatto dal primo comma dell’art. 2929bis c.c. all’esecuzione forzata azionabile nei confronti del debitore, nonostante il
vincolo apposto al proprio bene, e nei confronti del terzo avente causa a titolo gratuito, è di tipo sistemico e permette l’applicazione di tutto l’impianto normativo che
adempimento. Pertanto, qualora un condebitore solidale compia atti di disposizione patrimoniale che
diminuiscano la detta garanzia generica gravante sul suo patrimonio, il creditore può esercitare nei suoi
confronti e del relativo acquirente l’azione revocatoria, pur se i rispettivi patrimoni degli altri coobbligati siano sufficienti a fornire – ciascuno di essi – idonea garanzia ex art. 2740 c.c. In tal senso vedi Cass.,
22-3-2011, n. 6486, NGCC, 2011, I, 1139 ss., con nota di Maione.
47
Per una definizione delle facoltà residue in capo a chi ha posto in essere la destinazione, statica o
dinamica, vedi PALERMO, Configurazione dello scopo, opponibilità del vincolo, realizzazione dell’assetto
di interessi, in AA.VV., La trascrizione dell’atto negoziale di destinazione, a cura di Bianca, Milano, 2007,
82, il quale osserva, tra l’altro, come l’appellativo «conferente» sia coerente con l’effetto attributivo dei
poteri volti a realizzare lo scopo dell’atto.
48
Così il terzo comma dell’articolo in commento, nel testo ad oggi vigente (l. 30-6-2016, n. 119, cit.
in nota 43), che ha espressamente previsto, tra le facoltà dell’opponente, anche quella di eccepire che
l’atto posto in essere non abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore.
49
Per la perentorietà del termine “breve” annuale si esprimono PETRELLI, op. cit., 7, VIOLANTE, op.
cit., 592 e BALLERINI, op. cit., 276.
50
Può osservarsi, per l’appunto, come il 3° co., primo periodo, dell’art. 2929-bis c.c. (modificato
con i provvedimenti normativi di cui sopra, cit. in nota 43) distingua ora le posizioni processuali prevedendo, sulla scorta di autorevoli osservazioni formulate dai primi commentatori, la preferenza del
creditore procedente “anticipato” rispetto ai creditori personali (ma non reali) del terzo avente causa,
da esercitarsi nella fase di riparto del ricavato.
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disciplina l’espropriazione, fatte salve le disposizioni particolari di cui all’art. 604
c.p.c. per il terzo proprietario51.
Dunque il riconoscimento del diritto a sollecitare il giudizio incidentale di opposizione, contenuto nell’ultimo comma dell’art. 2929-bis c.c., non va considerato
come una previsione speciale bensì come enunciazione di una facoltà processuale
ordinaria che in via interpretativa si sarebbe comunque potuta riconoscere all’esecutato – debitore o non – in forma anticipata.
Così concludendo vien da chiedersi, quanto meno a causa della collocazione codicistica, come coordinare i principi portati dall’art. 2929 c.c. in tema di stabilità della
vendita forzata e dall’art. 187-bis disp. att. c.p.c., disciplinante la salvezza dell’aggiudicatario in ogni caso di estinzione o chiusura anticipata del processo esecutivo ad
aggiudicazione, anche solo provvisoria, o assegnazione già avvenuta, con la tutela
delle posizioni sostanziali rivestite dal debitore e dal terzo proprietario che si trovano a subire l’espropriazione “anticipata” disciplinata dall’art. 2929-bis c.c.52.
La più recente lettura giurisprudenziale dei primi due articoli sopra richiamati –
operata da Cass., S.U., 28-11-2012, n. 21110 – conclude per la salvezza dell’acquisto compiuto dall’aggiudicatario nel caso di un’espropriazione forzata formalmente
valida anche per l’ipotesi di inesistenza o caducazione del titolo esecutivo, ovvero
del diritto ad agire in executivis53.
Ne possono derivare, così, le conclusioni circa la prevedibile stabilità anche
dell’espropriazione anticipata ora introdotta dal legislatore54. Innanzitutto, laddove
gli aventi diritto all’opposizione all’esecuzione riuscissero a dimostrare l’inesistenza
dei presupposti richiesti dal primo comma dell’art. 2929-bis c.c., ovvero che il creditore munito di titolo esecutivo non ha subito danni dagli atti compiuti, la loro
Cfr. CARMELLINO, op. cit., 561, secondo il quale l’espressione usata dal legislatore nell’art. 2910,
2° co., c.c., andrebbe riferita a forme di garanzia reale e non già di garanzia personale: in altri termini, i
beni vincolati a garanzia di un credito sono quei beni che sono stati costituiti specificamente in garanzia, non quei beni che formano la garanzia comune di tutti i creditori, restandone esclusa, pertanto, la
fideiussione. In tal senso già MICHELI, sub Art. 2910, in SCIALOJA-BRANCA (a cura di), Commentario del
codice civile, Bologna-Roma, 1977, 13.
52
Cfr. MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, XX, t.
II, Torino 1998, 288 ss., per il quale l’esigenza di stabilità determina le conseguenti preclusioni di natura
processuale; nonché ASTUNI, Il trasferimento dell’immobile. Stabilità dell’aggiudicazione e della vendita,
in FONTANA-ROMEO (a cura di), Il processo esecutivo, Padova, 2011, 886, che evidenzia la necessità primaria di tutela dell’affidamento incolpevole.
53
Vedine i commenti, in CorG, 2013, 391 ss., con nota di CAPPONI, Espropriazione forzata senza titolo
esecutivo (e relativi conflitti); FI, 2013, I, 1224 ss., con nota di LONGO, Carenza del titolo esecutivo, vendita forzata e salvezza dell’acquisto del terzo; e, se vuoi, GC, 2013, I, 997 ss., con nota di CAMPI, Difetto
di azione esecutiva e stabilità della vendita forzata.
54
Vedi Cass., S.U., 30-11-2006, n. 25507, FI, 2008, I, 1294, con nota di METAFORA, La stabilità
dell’aggiudicazione provvisoria e la successiva estinzione del processo esecutivo, che ha enunciato il «principio di irrilevanza», ai fini dell’emissione del decreto di trasferimento, di fattispecie estintive dell’esecuzione forzata che siano successive all’aggiudicazione, almeno, provvisoria.
51
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onerosità o la non conoscenza da parte del debitore del pregiudizio che si andava ad
arrecare, l’estinzione dell’espropriazione avvenuta dopo l’aggiudicazione in esito ad
un’opposizione vittoriosa non dovrebbe incidere sull’aggiudicazione anche provvisoria, che resterà salva in virtù dell’art. 187-bis disp. att. c.p.c., norma ormai di
portata generale55.
Alle stesse conclusioni si giunge per il caso in cui il debitore, gli altri interessati aventi diritto o il terzo proprietario pur se assoggettati all’esecuzione forzata in
assenza dei presupposti indicati dal primo comma dell’art. 2929-bis c.c. non dovessero opporsi per contestare il diritto azionato con il titolo esecutivo; anche in questa
ipotesi l’aggiudicazione da parte dell’acquirente sarà salva in forza del combinato
dei citati artt. 2929 c.c. e 187-bis disp. att. c.p.c. ed in coerenza con il principio di
inversione dell’onere della prova portato dall’art. 2929-bis c.c.56.
La posizione dell’aggiudicatario di buona fede, tale al termine di un’esecuzione
forzata priva di vizi che facciano caducare la fase della vendita anche se incardinata sulla scorta di un titolo esecutivo inesistente o, nel caso di specie, di un titolo
esecutivo valido, ma senza le condizioni per evitare il giudicato di inefficacia dato
dall’actio revocatoria, deve essere tutelata sulla scorta dell’apparentia iuris determinata dalla fattispecie processuale formalmente valida57.
Infine, il creditore anteriore può, entro un anno dalla trascrizione dell’atto a lui
pregiudizievole, intervenire nell’espropriazione promossa da altri aventi diritto contro il suo debitore.
L’intervento dovrà avvenire in forza di un titolo esecutivo e potrà spiegarsi, con
gli altri effetti del primo comma dell’art. 2929-bis c.c. ovvero evitando l’actio pauliana, sia nei confronti del debitore che del terzo proprietario, conclusione questa
alla quale si può giungere in ossequio al tenore della norma che riconosce all’inter-
Per la generale applicabilità dell’art. 2929 c.c. ai soli vizi formali anteriori al subprocedimento di
vendita, cfr. Cass., 13-10-2009, n. 21682, REF, 2009, 707, secondo cui la nullità degli atti esecutivi che
hanno preceduto la vendita ha effetto verso l’acquirente anche se si tratta di vizi di atti anteriori ma
obbligatoriamente prodromici alla vendita stessa; nonché Cass., 9-6-2010, n. 13824, per la quale un
ulteriore limite al principio di stabilizzazione può essere quello del difetto di terzietà, come quando la
vendita avvenga in favore di un creditore procedente.
56
Per l’intangibilità dell’acquisto in virtù dell’art. 187-bis disp. att. c.p.c. conclude anche CASTORO,
Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, a cura di Castoro, 11a ed., Milano, 2013, 920, anche per
le ipotesi di caducazione del titolo o di accertamento negativo del diritto all’azione esecutiva; contra
PETRELLI, op. cit., 9, per il quale vi sarebbe prevalenza dell’avente causa a titolo gratuito o del beneficiario del vincolo, ma non mai dell’aggiudicatario.
57
Così anche CAPPONI, Prime impressioni, cit., 61, che stigmatizza l’effetto di stabilità che si viene
a determinare in favore dell’aggiudicatario in assenza di intervenuta sospensione dell’esecuzione, e
PROTO PISANI, op. cit., 138. Per una sempre valida definizione di apparenza come «origine di un errore
collettivo possibile» e, pertanto, meritevole di tutela, cfr. FALZEA, voce Apparenza, Enc. dir., II, Milano,
1958, 694 ss.
55
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veniente tutte le tutele già attribuite al creditore leso da un atto di vincolo o di
alienazione58.
Anche avverso l’intervento del creditore anticipato potranno esercitarsi le opposizioni previste dall’ultimo comma del predetto articolo; ciò sia per la valenza sistemica ormai riconosciuta alle “azioni oppositorie”, per tutti i casi in cui non siano
previsti diversi rimedi specifici, sia per quanto in precedenza osservato circa l’applicabilità, per principio, di tutti gli istituti dell’espropriazione forzata alle parti, creditore, debitore o terzo proprietario, coinvolte nell’esercizio coattivo dei diritti59.
L’art. 2929-bis c.c. prevede solo il pignoramento e l’intervento nell’esecuzione già
promossa; tuttavia, attesa la comune finalità di conservazione del patrimonio del
debitore al fine del soddisfacimento, anche in via coattiva, delle ragioni del creditore
si può ritenere che possano essere esperite – in forza della novella – anche le azioni
conservative (in particolare, il sequestro) richiamate dall’art. 2902, 1° co., c.c.60.
5. Il subacquirente dal terzo avente causa.
Il limite temporale di un anno per l’esercizio dell’azione esecutiva riconosciuto
dall’art. 2929-bis c.c. è opportunamente breve, così come certa ne è la scadenza,
posto che il dies a quo è quello della trascrizione dell’atto lesivo; ma di contro, sono
comunque possibili nei termini predetti trasferimenti successivi da parte del terzo,
primo avente causa dal debitore61.
L’art. 2901 c.c. individua i limiti della salvezza dell’acquisto del subacquirente
a titolo non gratuito; difatti la revocatoria, e dunque l’inefficacia del primo atto
di alienazione, non può travolgere gli acquisti a titolo oneroso dei terzi – aventi
Contra PROTO PISANI, op. cit., 137, per il quale, pur in assenza di titolo esecutivo, è ammissibile,
sempre e solo entro l’anno, l’intervento del creditore anteriore nell’espropriazione da altri promossa.
59
La facoltà riconosciuta all’avente causa di poter esprimere le opposizioni lo pone in condizione migliore rispetto al terzo divenuto proprietario di un bene già oggetto di esecuzione, poiché in
quest’ipotesi l’atto dispositivo successivo alla trascrizione del vincolo è inefficace, ai sensi dell’art. 2913
c.c., avverso il creditore pignorante e gli eventuali intervenuti; a tale terzo, pertanto, non si attribuisce
la legittimazione all’opposizione all’esecuzione. Per un riconoscimento, in favore di quest’ultimo esecutato non debitore, della possibilità di esperire, a certe condizioni, l’opposizione di terzo ex art. 619
c.p.c. si esprime VINCRE, RDPr, 2014, 242 ss., in nota a Cass., 12-4-2013, n. 8936.
60
Opinione diffusa in dottrina e giurisprudenza che il sequestro conservativo si risolva in sostanza in
un pignoramento anticipato; per la peculiare possibilità del creditore munito di titolo esecutivo di chiedere un sequestro conservativo in luogo del pignoramento si esprimono CONTE, Creditore già munito
di titolo esecutivo giudiziale e sequestro conservativo ex art. 2905, 2° comma, c.c., RDPr, 2002, 1206, e
SAMORÌ, Ammissibilità del sequestro conservativo in presenza di un titolo esecutivo, RTPC, 1985, 134 ss.,
part. 144 ss. Per la non azionabilità del sequestro si esprime, invece, PETRELLI, op. cit., 7.
61
Sulla posizione del terzo subacquirente, sia nell’ipotesi di trascrizione tempestiva della domanda
giudiziale di revocatoria – ex art. 2562, n. 5, c.c. – rispetto all’atto di ritrasferimento, che di formalità
successiva alla trascrizione del subacquirente, cfr. BIGLIAZZI GERI, op. cit., 9.
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causa dal debitore – che abbiano trascritto il loro atto prima della trascrizione della
domanda giudiziale62.
Nulla è detto nell’articolo in commento relativamente a questa categoria di aventi
causa, nell’anno, dall’acquirente dal debitore che ha fatto sorgere l’azionabilità
immediata63. Da una parte, si può osservare che l’assenza di previsione induca a
ritenere che il subacquirente, prescindendo dalla natura del suo acquisto, debba
essere comunque fatto salvo, proprio in virtù della mancanza di alcuna estensione
nei suoi confronti dell’azione che l’art. 2929-bis c.c. riconosce nei confronti del
primo avente causa e che, invece, l’art. 2901 c.c. disciplina anche ed espressamente,
avverso il subacquirente, facendo salvo, a certe condizioni, solo quello a titolo oneroso e non invece quello a titolo gratuito64.
Tuttavia i richiami dell’art. 2929-bis c.c. ai presupposti soggettivi ed oggettivi
dell’azione pauliana sono troppi, per concludere per la generale intangibilità della
sfera dell’avente causa dal debitore. In tal modo la novella in commento perderebbe
di efficacia sostanziale, disciplinando, pertanto, situazioni analoghe in maniera illogicamente difforme65.
Se così fosse, infatti, basterebbe porre in essere un ritrasferimento a titolo gratuito, o ancor meglio la costituzione di un successivo vincolo di indisponibilità da
parte del subacquirente per vanificare la ratio della novella66.
Diffusamente vedi D’AGNOLO, L’azione revocatoria ordinaria nella recente evoluzione giurisprudenziale, NGCC, 2001, 4, per il quale l’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., ha equiparato la posizione del
subacquirente a quella del primo acquirente, ciò sia in caso di acquisto a titolo gratuito che in quello
oneroso, laddove la mala fede del subacquirente viene descritta come la consapevolezza che la cosa da
lui acquistata fosse stata, precedentemente, oggetto di alienazioni in tal senso viziate.
63
Trattasi di lacuna adesso colmata con il 4° co., dell’art. 2929-bis c.c. (inserito con il d.l. 3-5-2016,
n. 59, cit. in nota 43) che tiene espressamente salvi i diritti acquistati a titolo oneroso dall’avente causa
del contraente immediato, ammettendo “a contrario” la caducazione del subacquirente a titolo gratuito,
sempre entro il termine di un anno a far data dal primo trasferimento.
64
In tal senso CAPPONI, Prime impressioni, cit., 64, che considera applicabile la fattispecie
dell’art. 2929-bis c.c. unicamente al primo avente causa dal debitore, senza coinvolgimento del subacquirente, pur se a titolo gratuito; nonché PROTO PISANI, op. cit., 138, il quale ritiene valido mezzo di
tutela la residuale facoltà, del creditore del debitore originario, di agire in revocatoria ordinaria ex
art. 2901, ult. co., c.c.
65
A conforto della logicità del sistema, leggasi Cass., 17-2-1993, n. 1941, FI, 1993, I, 2530, per la
quale l’inefficacia dell’atto stipulato in frode ai creditori tra il debitore ed il primo acquirente estende i
suoi effetti al subacquirente avente causa a titolo gratuito; non pregiudica, invece, il diritto del subacquirente se l’acquisto è a titolo oneroso ed in buona fede, ma fa comunque salvo il diritto del creditore
(attore) verso il primo acquirente per la restituzione del corrispettivo ricevuto (dal subacquirente).
Concorda, sul punto, PETRELLI, op. cit., 11.
66
In favore di una “presunzione relativa” di comunicazione dello stato soggettivo del debitore
disponente e revocato anche all’atto dispositivo del terzo acquirente, di modo che possa essere revocato
anche l’atto del terzo estraneo al rapporto debitorio, conclude PASQUINI, L’inefficacia derivata dell’atto
del terzo acquirente, CorM, 2009, 982.
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Inoltre è lo stesso art. 2929-bis c.c. che dispone per l’inefficacia temporale unicamente di atti o non traslativi in senso tradizionale o di alienazione a titolo gratuito67.
Pare, quindi, possibile, distinguere fra le posizioni dei subacquirenti a seconda
del loro titolo di acquisto, fosse solo in adesione al principio di diversa tutela che il
nostro ordinamento riconosce a chi certat de damno vitando rispetto a chi certat de
lucro captando68.
Se l’acquirente dal debitore trasferisce il suo bene a titolo gratuito il suo avente
causa, ovvero il subacquirente, potrà subire l’esecuzione diretta o l’intervento di
una procedura già incardinata, purché ciò avvenga entro un anno dalla trascrizione
del primo atto di alienazione69.
Logicamente al subacquirente a titolo gratuito andranno riconosciute le azioni
a sua difesa quali le opposizioni all’esecuzione ed agli atti esecutivi e, comunque,
tutte le previsioni dettate per l’espropriazione contro il terzo proprietario di cui agli
artt. 602 ss. c.p.c.
Qualora il subacquirente fosse tale a titolo oneroso ed in buona fede, il suo acquisto sarà salvo laddove trascritto prima che il creditore, comunque nel termine breve
di un anno dal primo atto lesivo, trascriva il pignoramento o esperisca l’intervento
titolato.
Per il caso contrario, in presenza di mala fede o di trascrizione del subacquisto
successiva a quella del pignoramento, le facoltà processuali previste per il terzo
proprietario varranno anche per l’avente causa dal primo acquirente, attesa la sua
figura di terzo non debitore soggetto ad espropriazione forzata anticipata70.
6. Conclusioni.
La ratio della novella è quella di affrancare la tutela esecutiva nei confronti di atti
apparentemente lesivi della responsabilità patrimoniale del debitore dall’onere di
Così BALLERINI, op. cit., 276, che conclude in favore dell’esistenza di un nuovo regime di inefficacia
relativa, temporalmente limitata.
68
Cfr. NATOLI, op. cit., 893, che evidenzia, appunto, come le esigenze di tutela del terzo avente causa,
o del subacquirente, rilevino solo quando l’atto sia oneroso, dunque accompagnato da un sacrificio
patrimoniale da parte di chi subisce gli effetti della revocatoria; nonché BIGLIAZZI GERI, op. cit., 9, che
eleva a requisito imprescindibile della tutela del subacquirente la natura onerosa del suo titolo derivativo.
69
Vedi D’AGNOLO, op. cit., 8, che, ante novella legislativa, evidenzia come la disciplina della trascrizione, ovvero la sua necessaria posteriorità rispetto all’atto del subacquirente, pur se a titolo oneroso ed
in buona fede, resta peculiare per la risoluzione dei conflitti (tra creditore e soggetti passivi dell’azione
di revoca) solo per la fattispecie del subacquisto.
70
Circa la responsabilità diretta del terzo che, trasferendo il bene al subacquirente a titolo oneroso ed in buona fede, rende vano l’esperimento dell’azione revocatoria si è pronunziata Cass., 13-11996, n. 251, con nota di GUARDAMAGNA, Azione revocatoria ordinaria e responsabilità extracontrattuale,
NGCC, 1998, I, 107 ss. In favore di tale ipotesi di responsabilità in capo al terzo si esprimeva, già,
NATOLI, op. cit., 899.
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una previa declaratoria di inefficacia71. Ragioni eminentemente pratiche, dunque,
dettate dai tempi mediamente lunghi dell’espropriazione forzata ovvero del recupero forzoso del credito, sovente appesantiti anche da eventuali giudizi avverso atti
destinati a essere nella maggior parte dei casi travolti dall’art. 2901 c.c.72.
Con il nuovo art. 2929-bis c.c. si è ritenuto di elidere i tempi processuali invertendo l’onere della prova, ma il “salto in avanti” sul piano degli interessi del creditore attore non è corrisposto ad un adeguamento del rito ai nuovi bisogni di tutela
del debitore e del terzo espropriato73. Laddove, invece, sarebbe stata auspicabile
una disciplina specifica per la concomitanza delle due fattispecie processuali che
verranno a intersecarsi, l’espropriazione anticipata, da un alto, e l’opposizione,
dall’atro74. Secondo l’impianto tradizionale del codice di rito il processo esecutivo si
atteggia non come un luogo idoneo all’accertamento dei diritti sostanziali, ma come
un complesso di attività procedimentalizzate al raggiungimento di uno scopo esattamente individuato e definitivo, che trovano fondamento esclusivo e sufficiente nel
titolo esecutivo75.
Ordunque, presupposto speciale di ammissibilità dell’esecuzione forzata, e peculiarmente dell’espropriazione, è il titolo esecutivo; per l’avvio del processo, allora,
non può essere bastevole affermare l’esistenza di un diritto, come nel giudizio di
cognizione, ma occorre che già esista, e sia validamente formato, il titolo che si
aziona76.
In dottrina è pacifico il riconoscimento in favore del creditore revocante del diritto di soddisfarsi
sul bene oggetto della sua azione con preferenza rispetto ai creditori personali del revocato acquirente;
vedi, per tutti, NICOLÒ, op. cit., 257, il quale osservava che in conseguenza della revoca, il creditore persegue il bene presso il terzo, come se avesse su questo un diritto di seguito, similare all’ipoteca.
72
Sottolinea PALAZZO, op. cit., 271, come l’azione revocatoria sia stata pensata prevalentemente per
gli atti di disposizione traslativi, ma è sistematicamente ammessa anche nei confronti di qualsivoglia atto
che renda meno agevole l’escussione del patrimonio del debitore.
73
Cfr. CAPPONI, op. cit., 61 ss., critico verso la tendenza del legislatore a portare dentro l’esecuzione
accertamenti propri della cognizione e, di buona norma, precedenti l’esecuzione forzata; VIOLANTE, op.
cit., 595, che evidenzia i rischi di un’inversione dell’onere della prova da svolgere in una sede particolare
quale quella dell’opposizione all’esecuzione.
74
Vedi ARNABOLDI, op. cit., 5, per il quale il creditore che agisce in revocatoria non fa valere un
diritto incompatibile con l’espropriazione promossa da altri sullo stesso bene, poiché la sentenza favorevole gli concederà il diritto di aggredire il medesimo bene con preferenza rispetto ai creditori del
revocato. In tal senso, già MICCOLIS, Giudizi sull’appartenenza e pignoramento, Bari, 1994, 431, per il
quale la situazione sostanziale dell’attore vittorioso con l’azione revocatoria si esaurisce per intero nel
processo esecutivo, da promuovere o già promosso.
75
Sul sempre controverso concetto di titolo esecutivo vedi Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, con nota di
MONTELEONE, L’oggettivazione del pignoramento: tramonta la concezione astratta del titolo esecutivo?,
REF, 2014, 297.
76
Così, per tutti, PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 695 ss., e CAPPONI,
Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2010, 100 ss.
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403
Tuttavia, a bilanciamento delle posizioni processuali del debitore e del creditore,
il legislatore ha previsto l’istituto dell’opposizione, in tutte le sue diverse forme,
tradizionalmente definito come una parentesi cognitiva o meglio, un autonomo giudizio cognitivo rispetto al processo esecutivo77.
Con l’incidente d’esecuzione si può contestare il diritto di procedere all’esecuzione
forzata o la legittimità degli atti esecutivi posti in essere78. Entrambe queste azioni,
però, hanno un denominatore comune che è dato dalla contestazione del titolo o
dell’applicazione che dello stesso vuol fare, o ne sta facendo, il creditore79. Se il debitore ha permesso che un titolo esecutivo, giudiziale o stragiudiziale che sia, si formasse, la sua tutela processuale in sede esecutiva resta circoscritta alla verifica di tutti
quegli elementi che costituiscono un titolo valido ed efficace o di quelle fattispecie
che ne permettono la concreta utilizzazione per l’esercizio delle ragioni creditorie80.
Tuttavia, senza voler negare che in sede esecutiva gli strumenti e le forme attraverso
cui si realizza la partecipazione delle parti interessate sono notevolmente diversi da
quelli del processo di cognizione, è sempre più evidente quanto il giudice dell’esecuzione proceda anche ad una vera e propria attività cognitiva, non necessariamente
sollecitata dalle parti come per il caso delle opposizioni; ciò perché di volta in volta
andranno accertati i presupposti dei provvedimenti esecutivi secondo un modulo
processuale rispettoso del principio del contraddittorio, innanzi all’organo terzo81.
Con l’introduzione dell’articolo in commento, però, il legislatore ha esteso ulteriormente i limiti dell’opposizione all’esecuzione, riconoscendo al terzo avente
causa o ad altro interessato la possibilità – ovvero l’onere – di eccepire che l’atto
dispositivo non sia pregiudizievole alle ragioni del creditore, che non si tratti di libeCfr. T. Ferrara, 10-11-2015, cit. retro, nota 5, per il quale, nel caso di terzo espropriato, il giudizio
di opposizione all’azione esecutiva, incardinata in virtù dell’art. 2929-bis c.c., rappresenta un rimedio
processuale più che esaustivo per la difesa del diritto di proprietà.
78
Cfr. CRIVELLI, L’opposizione all’esecuzione, in CRIVELLI (a cura di), Esecuzione forzata e processo
esecutivo, Torino, 2012, III, 1382 ss., che facendo proprie le conclusioni della giurisprudenza, vedasi
ex multis, Cass., 28-2-2011, n. 4896, distingue le due azioni secondo il criterio del processo-mezzo,
ovvero l’opposizione agli atti esecutivi contesta, contrariamente a quella ex art. 615 c.p.c., il legittimo
svolgimento dell’azione attraverso la concreta sequenza procedimentale degli atti processuali compiuti.
79
Sul tema, quanto mai discusso, vedi anche Cass., S.U., 2-7-2012, n. 11067, REF, 2013, 73, con
commenti di SASSANI-DELLE DONNE-ZUCCONI GALLI FONSECA-FABIANI-PILLONI-BELLÈ, Le Sezioni unite
riscrivono i requisiti (interni ed esterni) del titolo esecutivo: opinioni a confronto intorno a Cass. S.U.,
n. 11067/2012.
80
Così già VACCARELLA, Sui rimedi esperibili dal terzo contro l’ordinanza di assegnazione, GC, 1990,
I, 1081 ss., che evidenzia come le funzioni di cognizione e di esecuzione siano sempre inscindibilmente
connesse; sul punto vedi GENTILI, op. cit., 228, per il quale l’espropriazione anticipata se da un lato velocizza la tutela creditoria dall’altro non può estendere detta tutela oltre i suoi limiti fisiologici, a difesa
dei quali sono poste le azioni oppositorie e, più in generale, gli incidenti cognitivi propri dell’esecuzione
forzata.
81
Per questa definizione del rito di cognizione, vedi PROTO PISANI, voce Parte nel processo (dir. proc.
civ.), Enc. dir., XXXXI, Milano, 1981, 917.
77
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
ralità, neppure indiretta, che non si sia costituito un vincolo che determini indisponibilità o inalienabilità o, infine, che il debitore non conoscesse il pregiudizio che
con l’atto si è arrecato al creditore82. Si tratta quindi di fattispecie, da poter dedurre
con l’incidente cognitivo, ben più ampie rispetto a quelle ormai tipizzate ed oggetto
delle azioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c., e, soprattutto, totalmente scollegate dal
titolo esecutivo e dagli elementi che in esso devono essere contenuti proprio per
rendere effettiva la certezza del diritto cristallizzata nel titolo stesso83.
Certezza, questa, che implica che il diritto del creditore debba risultare esattamente e compiutamente nel suo contenuto e nei suoi limiti dal relativo provvedimento giurisdizionale o atto giudiziale, di guisa che ne risulti determinato e
delimitato anche il contenuto del titolo84.
Orbene, la diversa tempistica processuale lungo la quale si snodano, da una parte,
l’espropriazione forzata e, dall’altra, le sue opposizioni inducono ad auspicare la
massima considerazione da parte dell’organo giudiziario sull’utilizzo dell’istituto
della sospensione dell’espropriazione al fine di consentire, nel rispetto dei principi
del giusto processo di esecuzione, al terzo avente causa o ad altro interessato al vincolo costituito di assumere e mantenere la posizione di parte processuale e di terzo
non debitore – onerati della prova contraria a quanto presunto dall’art. 2929-bis
c.c. – con tutte le tutele che un giudizio di accertamento di inefficacia esperito ai
sensi dell’art. 2901 c.c. avrebbe invece permesso85.
Vedi BONINI, op. cit., 238, che sottolinea, fra le criticità della norma, la lesione del diritto di difesa
dei soggetti interessati dall’azione esecutiva anticipata, per i quali la cognizione sulla domanda revocatoria è recuperata a posteriori tramite l’opposizione all’esecuzione.
83
Cfr. SOLDI, op. cit., 417, che precisa come la fattispecie disciplinata dall’art. 2929 c.c., ovvero
la stabilizzazione della vendita forzata pur se “ingiusta”, si realizzi concretamente in mancanza di
intervenuta sospensione della procedura opposta; CASTORO, op. cit., 872, che arriva a parlare di una
sospensione riflessa, nel caso in cui il g.e. sospenda quando viene contestato il diritto all’azione esercitata; nonché MICCOLIS, Giudizi sull’appartenenza e pignoramento, cit., 418, che pone l’accento sulla
generale necessità che, in dipendenza dei giudizi volti ad accertare la titolarità del bene in capo al
debitore o a recuperare gli ambiti della sua responsabilità patrimoniale, si proceda alla sospensione
dell’esecuzione.
84
Il tal senso la giurisprudenza, fin da Cass., 25-2-1983, n. 1455 e, come pure osservato nelle conclusioni della sua nota da MONTELEONE, finanche l’arresto delle S.U., 7-1-2014, n. 61, che giunge a rendere
astratti ed oggettivi gli atti processuali compiuti con un titolo medio tempore sufficiente agli stessi, ma
poi travolto da una parallela impugnativa.
85
Sul tema, fra i primi, COMOGLIO, Principi costituzionali e processo di esecuzione, RDPr, 1994, 450
ss.; ancor più rilevanti, appaiono detti principi, se si considerano gli effetti sananti portati dall’art. 187bis disp. att. c.p.c. e dagli orientamenti della succitata giurisprudenza di legittimità circa la sopravvivenza
degli atti e degli effetti processuali anche alle caducazioni più gravi, vedili in CAPPONI, Espropriazione
forzata, cit., 400.
82
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ANDREA CARENA
ANGELO DI SAPIO
ALBERTO GIANOLA
L’applicazione intertemporale dell’art. 2929-bis c.c.*
Sommario: 1. La questione. – 2. Retroattività dell’art. 2929-bis c.c. rispetto ai rapporti pendenti. –
3. Interesse del creditore vs interesse del debitore e dei suoi aventi causa a titolo gratuito nella cornice
della tutela dell’affidamento. – 4. L’affidamento meritevole di tutela. – 5. Conclusione.
1. La questione.
L’art. 2929-bis c.c. solleva una questione di diritto intertemporale relativa all’individuazione dei contorni diacronici della sua sfera di applicazione1.
La novella è entrata in vigore il 27-6-2015. Nulla quaestio per gli atti a titolo gratuito compiuti successivamente. Il dubbio avvolge la sorte degli atti a titolo gratuito
* I §§ 1 e 5 sono stati redatti di concerto da Andrea Carena, Angelo Di Sapio e Alberto Gianola;
Andrea Carena è autore del § 2, Angelo Di Sapio del § 3 e Alberto Gianola del § 4.
Lo scritto rielabora e sviluppa il dialogo sbocciato tra gli Autori al termine della sessione antimeridiana del Convegno di studi su L’art. 2929-bis c.c. e il novellato art. 64 legge fall., svoltosi a Cuneo
(presso il Centro Incontri della Provincia) il 27-11-2015 e organizzato dal Consiglio Notarile di
Cuneo, in uno all’Ordine degli Avvocati di Cuneo e all’Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti
Contabili della Provincia di Cuneo. Esso è pubblicato, unitamente agli altri contributi al Convegno,
nella rivista DEI – Diritto ed economia dell’Impresa, 2016, 376, sotto il titolo L’art. 2929-bis e il novellato art. 64 l. fall.
1
Sul tema delle “norme sulle norme” la letteratura è vastissima. Per speditezza si è utilizzato qui,
convenzionalmente, il distinguo tra diritto intertemporale e diritto transitorio di maggiore impiego: con
la prima espressione s’intende l’insieme delle regole relative alla soluzione di conflitti tra norme derivanti dalla successione delle leggi nel tempo; con la seconda espressione s’intendono, invece, le norme
dettate espressamente dal legislatore per indicare i casi in cui la nuova norma opera retroattivamente:
GIULIANI, Le disposizioni sulla legge in generale. Gli articoli da 1 a 152, agg. a cura di Comez-FerrantiGiuliani, in RESCIGNO (diretto da), Trattato di diritto privato, 1, Torino, 2003, 379, segn. 470; ma cfr., per
una messa a punto del dibattito, CAPPONI, L’applicazione nel tempo del diritto processuale civile, RTPC,
1994, 431, in part. 446 ss., 450 ss., ove ampi ragguagli.
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compiuti prima del 27-6-2015, per i quali sino al 27-6-2016 non sia ancora trascorso
un anno dal giorno della trascrizione2.
Alcuni primi commentatori limitano l’applicazione dell’art. 2929-bis c.c. agli atti
a titolo gratuito posti in essere dopo il 27-6-2015 facendo leva sull’art. 11, 1° co.,
delle preleggi, secondo cui «la legge non dispone che per l’avvenire: essa non ha
effetto retroattivo»: l’orientamento in esame postula una lettura costituzionalmente
orientata dell’art. 2929-bis c.c. volta a tutelare l’affidamento riposto dagli acquirenti
a titolo gratuito sulle norme vigenti al momento in cui hanno perfezionato il loro
acquisto3. Insomma, quod factum est, infectum fieri nequit.
La tesi appare poco persuasiva. L’art. 11 delle preleggi, che fa eco al codice napoleonico4, regola tutte le leggi5. A livello costituzionale interviene l’art. 25, ma esclusivaL’art. 2929-bis c.c. è stato introdotto dall’art. 12, d.l. 27-6-2015, n. 83. L’art. 23, d.l. 83/2015 reca
regole di diritto transitorio: al secondo comma dispone che «le disposizioni di cui all’articolo 12, comma
1, lettera b), […] si applicano esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data
di entrata in vigore del presente decreto». Il Dossier della Camera dei deputati n. 318 del 1-7-2015 contenente Documentazione per l’esame delle Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile
e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria di cui al d.l. 83/2015 (A.C. 3201) –
Schede di lettura, aveva immediatamente segnalato che il testo dell’art. 23, d.l. 83/2015 faceva «erroneo
riferimento alla disciplina transitoria dell’articolo 12, comma 1, lettera b) (partizione interna all’articolo
non presente nella disposizione richiamata), precisandone l’applicazione esclusivamente alle procedure
esecutive iniziate successivamente alla data di entrata in vigore del decreto-legge (28 giugno 2015)».
Intendiamoci sùbito sulla portata dell’art. 23, 2° co., cit. Esso individua il presupposto processuale di
applicazione dell’art. 2929-bis c.c., così dettando una regola di diritto transitorio. Tace, invece, sul presupposto sostanziale, così lasciando aperta la questione della regola di diritto intertemporale applicabile (da cui
il titolo di questo lavoro): se, in altri termini, le procedure esecutive iniziate successivamente al 27-6-2015
possano riguardare pure atti compiuti prima di tale data, per i quali non sia ancora trascorso un anno dalla
loro trascrizione, che è, appunto, la questione di cui stiamo qui discutendo.
Sulle ragioni di opportunità che spingono il legislatore a non disciplinare la successione delle leggi nel
tempo e sulle relative conseguenze è utile la lettura di CAPPONI, L’applicazione nel tempo del diritto processuale civile, cit., 435 ss., 440 ss. e 465 s.
3
PETRELLI, Pignoramento di beni oggetto di vincoli di indisponibilità e di alienazioni gratuite, consultabile all’indirizzo www.gaetanopetrelli.it, 8 s.; Rizzi, L’art. 2929 bis c.c.: una nuova tutela per il ceto
creditorio, in Federnotizie, 21-9-2015, consultabile all’indirizzo www.federnotizie.it/author/grizzi/, 12
(dallo stampato); PICCOLO, Le modifiche di più spiccato interesse notarile all’esecuzione forzata di cui al
d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, CNN Notizie,
15-9-2015, § VI; LEO-FABIANI, Prime applicazioni dell’art. 2929-bis c.c.: una norma retroattiva?, CNN
Notizie, 5-2-2016; DE ANGELIS, Atti gratuiti con effetti sospesi, in ItaliaOggi, 10-8-2015, 3; SMANIOTTO,
L’art. 2929 bis c.c. Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo
gratuito, in Imm. e Prop., 2015, 584, segn. 591.
4
Ragguagli in V. FROSINI, Temporalità e diritto, relazione alla giornata di studio su La rilevanza del
tempo nel diritto commerciale, tenutosi a Macerata il 20-4-1999, nei relativi Atti pubblicati con il medesimo titolo (della giornata di studio), a cura di Morera-Olivieri-Stella Richter jr., Milano, 2000, p. 5, segn.
p. 8. Nota MONATERI, nella voce Diritto transitorio, per il Digesto/civ., IV, Torino, s.d., ma 1990, 442, spec.
443, «[a]vendo accolto tale impostazione francese, abbiamo ereditato anche il consueto schema di ragionamento per regola ed eccezione», per una cui registrazione v. ID., La sineddoche, Milano, 1984, passim.
5
A proposito del dibattito animatosi sull’art. 11 delle preleggi e della voluminosa letteratura maturata v., da angolature e con impostazioni differenti, GIULIANI, op. cit., 470 ss. e CAPONI, La nozione di
2
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mente con riferimento all’efficacia temporale della legge penale. In campo civilistico,
la regola d’irretroattività delle leggi civili, anche considerandola come espressione di
certezza del diritto o di civiltà giuridica6, non ha credito costituzionale7.
Un ostacolo all’applicazione dell’art. 2929-bis c.c. agli atti a titolo gratuito posti in
essere prima dell’entrata in vigore della riforma potrebbe derivare dalla configurazione dell’irretroattività delle leggi civili come principio generale di rango legislativo,
ancorché non costituzionale. Sulla base di questa ricostruzione, il giudice dovrebbe
applicare le nuove leggi soltanto a fattispecie realizzatesi dopo la loro entrata in
vigore, salvo che il legislatore abbia disposto diversamente in modo espresso8.
Ulteriore possibile elemento che può incidere sulla questione è, in una lettura che
marcia al passo con la tradizione, il carattere processuale9 o, piuttosto, sostanziale10
della regola da applicare.
retroattività della legge, GiC, 1990, 1332, spec. 1339 ss., ove interessanti riferimenti all’opera di F.C.
Von Savigny.
Sulle peculiarità del tema quando sono coinvolte questioni relative agli status e questioni di diritto
successorio v. la recente indagine di CIPRIANI, La disciplina transitoria nella riforma della filiazione, in
PANE, Il nuovo diritto di famiglia, Napoli, 2015, 661.
6
La massima dei giudici delle leggi è consolidata: il divieto di retroattività della legge, pur costituendo fondamentale valore di civiltà giuridica, non è stato elevato a dignità costituzionale, salva la
previsione dell’art. 25 Cost. per la materia penale; al legislatore non è precluso emanare norme retroattive (sia innovative che di interpretazione autentica), purché la retroattività trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principî, diritti e beni di rilievo costituzionale che costituiscono altrettanti
motivi imperativi di interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte Edu: Corte cost., 14-72015, n. 150, FI, 2015, I, 2999; Corte cost., 5-6-2014, n. 156, ibidem, 2014, I, 2005; Corte cost., 28-112012, n. 264, ibidem, 2013, I, 22, con note di Amoroso e Romboli e Corte cost., 5-4-2012, n. 78, ibidem,
2012, I, 2585, con nota di Palmieri.
7
In arg. BUSNELLI, Introduzione alla Terza sessione (i valori emergenti) del 7° Convegno nazionale
della SISDiC tenutosi a Capri il 12, 13 e 14 aprile 2012, nei relativi Atti, Diritto intertemporale e rapporti
civilistici, Napoli, 2013, p. 259.
8
GUASTINI, Teoria e dogmatica delle fonti, in CICU-MESSINEO (cont. da MENGONI), Trattato di diritto
civile e commerciale, Milano, 1998, 169 ss., segn. 182. Sul tema v. altresì, in più ampio raggio, MENGONI,
Diritto e tempo, J, 1998, 635, in part. 642.
9
Enfatizzano la portata processuale dell’art. 2929-bis c.c. CAPPONI, Prime impressioni sugli aspetti
processuali dell’art. 2929-bis c.c. (la tecnica del bypass applicata all’esecuzione forzata), REF, 2016, 59 ss.
e FRANCO, La novella codicistica dell’art. 2929-bis c.c.: tra accelerazione delle tutele creditorie e riflessioni
sistematiche. Primo commento, consultabile all’indirizzo www.dobank.com/attach/Content/Menu_principale/5433/o/art.2929bis.pdf, 2, 5, 6, 7, 11, 12 e 13 (dal paper).
Su questa corsia si muove il ragionamento ora proposto da T. Ferrara, ord. collegiale, 10-11-2015,
n. 3265, consultabile all’indirizzo www.cassazione.net, che si legge pure in CNN Notizie, 5-2-2016, con
nota critica di Leo ed Fabiani, cit., i quali obiettano, non senza buoni motivi, che, in realtà, nel nostro
caso si tratta di stabilire non se lo ius superveniens si applichi a determinati atti processuali, ma quali atti
negoziali sono esposti al pignoramento ex art. 2929-bis c.c.
Cfr., per una forte connessione tra i profili sostanziali e processuali, SPINA, Il nuovo art. 2929-bis c.c.
dopo il d.l. 83/2015: l’espropriazione diretta di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a
titolo gratuito, consultabile all’indirizzo www.lanuovaproceduracivile.com, § 4.3.
10
OBERTO, La revocatoria degli atti a titolo gratuito ex art. 2929-bis c.c. Dalla pauliana alla “renziana”?, Torino, 2015, 34 s.
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Gli interpreti ritengono che la retroattività delle regole di rito sarebbe sostanzialmente pacifica11. La giurisprudenza afferma che per le norme processuali opera il
principio del tempus regit actum: gli atti del processo traggono validità ed efficacia
dalla legge vigente al tempo in cui sono compiuti con conseguente applicazione
immediata della nuova regola ai processi pendenti in relazione a tutti gli atti di rito
ancora da compiere12.
Quali, dunque, le possibili opzioni applicative?
2. Retroattività dell’art. 2929-bis c.c. rispetto ai rapporti pendenti.
L’art. 2929-bis c.c. racchiude una norma “di confine”, posta sullo stretto crinale
che separa il diritto sostanziale dal diritto processuale.
Da un lato, infatti, tale disposizione (collocata sistematicamente nel codice civile)
ha l’effetto di incidere – ancorché “relativamente” – sulle conseguenze di un dato
rapporto giuridico sostanziale (mediante la sanzione dell’inefficacia dell’atto di
disposizione), mentre, dall’altro lato, essa introduce nell’ordinamento un’azione
processuale esecutiva, volta a regolare modi e forme di tutela del diritto di credito.
L’individuazione della natura giuridica della norma in commento appare tutt’altro
che neutra ai fini dell’indagine che stiamo conducendo13.
Qualora, infatti, si ritenga prevalente la natura processuale, i profili di diritto
intertemporale dovranno essere regolati, in assenza di norme transitorie, dal generale principio del tempus regit actum.
Sulla scorta di tale canone, per il quale la legge processuale applicabile è quella
del momento in cui l’atto è compiuto, il pignoramento (ovvero il primo atto proGUASTINI, op. cit., 183. I processualisti, in realtà, non sono tutti dello stesso avviso e cfr., infatti,
CAPONI, Tempus regit processum. Un appunto sull’efficacia delle norme processuali nel tempo, RDPr,
2006, 449, 450 e 458, e CAPPONI, L’applicazione nel tempo del diritto processuale civile, cit., 443 ss. e
487 ss.
12
Da ultimo e per tutte Cass., 15-12-2015, n. 25216, in DeJure. Sul significato della massima tempus
regit actum v. MENGONI, op. cit., 642.
La tematica di rito, in realtà, si ridimensiona ampiamente se si parte da una considerazione atomistica
degli atti processuali e v. anche CAPPONI, L’applicazione nel tempo del diritto processuale civile, cit., 462
ss. e, tra gli studiosi del procedimento amministrativo, COMPORTI, Tempus regit actionem, Torino, 2001,
78 ss.
13
Non è questo il luogo in cui effettuare un’analisi approfondita della questione, le cui conclusioni,
peraltro, non potrebbero che essere “relative”. Al riguardo, infatti, appaiono condivisibili le riflessioni
di DENTI, Intorno alla relatività della distinzione tra norme sostanziali e norme processuali, in biblio.juridicas.unam.mx/revista/pdf/DerechoComparado/22/art/art13.pdf, secondo cui «la natura “processuale”
o “sostanziale” di una norma non si deduce necessariamente dai suoi connotati intrinseci […] ma può
discendere dalla comparazione degli effetti che conseguono alla diversa qualificazione», e ciò in quanto
«la relatività del criterio discretivo è data», in ultima analisi «dal suo porsi come valido solo in relazione
ad una concreta soluzione dei conflitti di leggi, attuata storicamente, alla luce di determinati problemi
politici o costituzionali».
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cessuale previsto dall’art. 2929-bis c.c.) potrà essere effettuato nei termini di cui
alla predetta norma, ancorché il bene sottoposto ad esecuzione sia stato trasferito o
costituito in vincolo in epoca precedente alla sua entrata in vigore, e ciò in quanto
l’atto di disposizione a titolo gratuito trascritto da non più di un anno costituisce, al
riguardo, un mero presupposto fattuale per l’esperibilità del rimedio.
Qualora, invece, si ritenga prevalente la natura sostanziale della disposizione in
commento, i profili di diritto intertemporale dovranno essere regolati, in assenza di
norme transitorie, dai principî generali dell’ordinamento in tema di successione di
leggi nel tempo.
Al riguardo, si è già detto che l’art. 11 delle preleggi non costituisce norma di
carattere assoluto, e che dal sistema costituzionale non è desumibile un generale
divieto di retroattività per le norme di diritto civile.
Ciò non significa che la discrezionalità del legislatore non incontri limiti, primo
tra tutti quello dell’osservanza del principio di ragionevolezza, il cui rispetto è sottoposto al controllo della Corte costituzionale14.
Al riguardo, il giudice delle leggi ha più volte affermato «che il divieto di retroattività della legge, previsto dall’art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale, pur
costituendo valore fondamentale di civiltà giuridica, non riceve nell’ordinamento
la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost.»15, e che «il legislatore – nel rispetto
di tale previsione – può emanare norme retroattive […] purché la retroattività
trovi adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principî, diritti e beni di
rilievo costituzionale, che costituiscono altrettanti «motivi imperativi di interesse
generale», ai sensi della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU) […]. Accanto a tale caratteristica, questa Corte ha individuato una serie di limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, attinenti alla
salvaguardia, oltre che dei principî costituzionali, di altri fondamentali valori di
civiltà giuridica, posti a tutela dei destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno ricompresi il rispetto del principio generale di ragionevolezza; la tutela dell’affidamento legittimamente sorto nei soggetti quale principio
connaturato allo Stato di diritto; la coerenza e la certezza dell’ordinamento giuridico»16.
Nel caso di specie, la pignorabilità dei beni alienati o costituiti in vincolo, a titolo
gratuito, in epoca precedente all’entrata in vigore dell’art. 2929-bis c.c., pare rispettare i limiti indicati dalla Corte costituzionale e, parallelamente, dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
CERRI, Leggi retroattive e Costituzione. Spunti critici e ricostruttivi, GiC, 1975, 517.
Corte cost., 23-11-2006, n. 393, FI, 2007, I, 1, con nota di Di Chiara, e Corte cost., 26-1-2012,
n. 15, ibidem, 2012, I, 65.
16
Corte cost., 29-5-2013, n. 103, Pres. F. Gallo – Est. S. Mattarella, GiC, 2013, 1780.
14
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La disposizione in commento, infatti, persegue anzitutto interessi generali,
mirando a tutelare, in modo più efficace rispetto al passato, i diritti di credito e
conseguentemente a favorire i traffici giuridici17.
Quanto, poi, agli altri parametri richiamati dal giudice delle leggi, si osserva
come l’art. 2929-bis c.c., pur introducendo rilevanti novità sotto il profilo dei mezzi
di tutela a disposizione del creditore, non richieda al debitore di tenere un comportamento diverso rispetto a quello che già egli avrebbe dovuto serbare prima
dell’entrata in vigore dell’art. 2929-bis c.c.
A ben vedere, infatti, già nel sistema previgente il debitore era destinatario di una
regola di condotta volta ad impedire il compimento di atti di disposizione del patrimonio a titolo gratuito, in pregiudizio (da lui conosciuto) alle ragioni del creditore.
Né la nuova disposizione ha introdotto, per ovviare al mancato rispetto di tale
canone comportamentale, un diverso tipo di rimedio, che consiste sempre nell’inefficacia relativa dell’atto di disposizione.
La portata innovativa dell’istituto introdotto con l’art. 2929-bis c.c. consiste infatti
in ciò, che prima della sua entrata in vigore la dichiarazione di inefficacia (relativa)
dell’atto di disposizione poteva essere ottenuta solamente all’esito del positivo esperimento dell’azione revocatoria, mentre, con il nuovo strumento, l’inefficacia consegue immediatamente alla trascrizione del pignoramento, salva la possibilità per il
debitore di proporre opposizione.
La differenza tra l’azione revocatoria ed il nuovo art. 2929-bis c.c., sotto questo
profilo, assume quindi una portata non già “qualitativa” (entrambi gli strumenti,
infatti, mirano ad ottenere l’inefficacia relativa dell’atto di disposizione), bensì
“quantitativa” (nel senso che, con il rimedio di cui all’art. 2929-bis c.c., l’inefficacia
viene ottenuta in modo sensibilmente più agevole).
Ciò posto, non appare allora irragionevole l’applicazione retroattiva dell’art. 2929bis c.c. rispetto ai rapporti pendenti, in quanto, come abbiamo già detto, la nuova
norma non richiede al debitore di tenere un comportamento diverso rispetto a
quello che già gli era imposto in precedenza, né lo colpisce, in caso di inottemperanza, in modo sostanzialmente diverso.
Per le stesse ragioni, non si ritiene, almeno in linea di principio, meritevole di
tutela l’affidamento di chi, ponendo in essere atti a titolo gratuito consapevolmente
pregiudizievoli alle ragioni del creditore, abbia fatto affidamento sulle (maggiori)
difficoltà che il sistema previgente indubbiamente presentava – soprattutto sotto il
profilo dei tempi di risposta della giustizia – per il recupero del credito da parte del
creditore.
Va poi considerato che anche la tutela dei diritti di credito sembrerebbe ormai aver conseguito
il riconoscimento del rango costituzionale, in quanto riconducibile al paradigma dell’art. 41 Cost.; sul
punto, vedasi, ROPPO, Tutela costituzionale del diritto di credito e procedure concorsuali, RTPC, 1999, 1.
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Ma a tale argomento, che impone approfondimenti, saranno dedicati i successivi
paragrafi.
3. Interesse del creditore vs interesse del debitore e dei suoi aventi causa
a titolo gratuito nella cornice della tutela dell’affidamento.
Abbiamo visto che l’applicazione retroattiva dell’art. 2929-bis c.c. non può essere,
per ciò soltanto, ritenuta incostituzionale.
La retroattività, da intendersi, compiutamente, come retrospettività18, può tuttavia presentare dei limiti allorché si ponga in effettivo contrasto con principî europei
e costituzionali. Verifichiamone la ricorrenza nel nostro caso.
Potremmo pensare alla necessaria ragionevolezza della dimensione temporale
della legge, ma va tenuto conto che l’art. 3 Cost. esclude disparità di trattamento
sincroniche, non diacroniche19.
Potremmo pensare poi, appunto, alla tutela dell’affidamento. La giurisprudenza,
come visto nel paragrafo precedente, è da tempo assestata nel senso che la retroattività deve trovare adeguata giustificazione nell’esigenza di tutelare principî, diritti
e beni di rilievo costituzionale, senza poter tradire l’affidamento del privato, specie
se maturato con il consolidamento di situazioni sostanziali, e ciò anche se la disposizione retroattiva sia dettata dalla necessità di contenere la spesa pubblica o di far
fronte a evenienze eccezionali20.
GENTILI, Sulla retroattività delle leggi civili, RDC, 2007, I, 781, passim, segn. 782 (e 788 e 790),
con richiamo a BACONE [Le Leggi delle leggi ossia Trattato sulle Fonti del diritto universale per via di
aforismi, traduzione dal latino di A.M.J.J. DUPIN, Manuale degli studenti di diritto e de’ giovani avvocati, versione di Vinaccia, per cura di Comerci, Stabilimento dell’Ateneo, 1831: aforisma 50; v. altresì
l’aforisma 48]. Profittevoli considerazioni in MENGONI, op. cit., 642 e, più in generale, in SACCO, Il fatto,
l’atto, il negozio, nel Trattato di diritto civile, diretto dallo stesso A., La parte generale del diritto civile,
1, Torino, 2005, 56 s.
Su questi passi si muove pure la giurisprudenza più recente, per cui, in punto di ius superveniens, «il
giudice procede ad un esame retrospettivo delle attività svolte»: Cass., 20-9-2006, n. 20414, in DeJure e,
proxime, Cass., 15-12-2015, n. 25216, cit.
19
La giurisprudenza insiste molto sulla ragionevolezza quale canone attraverso il quale filtrare la
retroattività delle norme di legge e v., ex ceteris, Corte cost., 4-7-2013, n. 170, GC, 2013, I, 2290; Corte
cost., 6-11-2009, n. 284, FI, 2010, I, 2997, e Corte cost., 23-12-1997, n. 432, GiC, 1997, 3858.
Ha investigato sul tema, muovendo quattro stimolanti obiezioni a questa impostazione dei giudici
delle leggi, GENTILI, Retroattività, ragionevolezza, diritto intertemporale, relazione al 7° Convegno
nazionale della SISDiC, nei relativi Atti, Diritto intertemporale e rapporti civilistici, cit., 439, segn. 445
s. e 447 s.
20
In terminis, da ultimo, Corte cost., 4-7-2013, n. 170, cit.; in arg. v. pure, sostanzialmente sempre
nella medesima direzione, Corte cost., 27-1-2011, n. 31, GiC, 2011, 379, e Corte cost., 17-12-1985,
n. 349, ibidem, 1985, I, 2408; e poi C. Giust. UE, 12-5-2011, n. 107/10, RFI, 2011, voce Unione europea
e Consiglio d’Europa, n. 1674; C. Giust. CE, 14-4-2005, n. 110/03, ibidem, 2007, v. cit., n 1955, e T. I
grado Comunità europee, 29-6-2000, n. 7/99, ibidem, 2001, v. cit., n. 973.
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Un esempio sarà esplicativo. Un genitore decide di trasferire a titolo gratuito alla
propria figlia una casa di abitazione affinché ella e suo marito possano fissarvi la
residenza della propria famiglia secondo il loro accordo ex art. 144, 1° co., c.c. Ha
pure la brillante idea di donare a questi giovani sposi un frigorifero. Il 10-6-2015 il
padre e la figlia si recano dal notaio per la stipula dell’atto di trasferimento immobiliare. La settimana prima, il 3-6-2015, il padre aveva acquistato quel frigorifero:
lo aveva pagato a rate rilasciando al venditore delle cambiali di cui l’ultima con
scadenza il 1-7-2015. Le cambiali vanno insolute.
Guardiamo questa vicenda nella cornice dell’affidamento. Cambia guardarla
dall’angolo visuale del creditore o dall’angolo visuale del debitore e dei suoi aventi
causa a titolo gratuito.
(i) Cominciamo con l’angolo visuale del creditore.
Il venditore del frigorifero, al momento in cui ha pattuito la dilazione di pagamento, ha fatto affidamento sull’adempimento di quel padre, ma sapeva che, in
caso d’inadempimento, si sarebbe potuto rivalere sui suoi beni presenti e futuri, con
facoltà di introdurre un’azione revocatoria ordinaria nei confronti dei successivi atti
a titolo gratuito21.
(ii) Ruotiamo l’asse. Guardiamo la vicenda dall’angolo visuale del debitore e dei
suoi aventi causa a titolo gratuito.
Qualsiasi debitore ragionevole vuole sapere in anticipo il rischio che grava a
proprio carico da una determinata operazione economica22. Ora, al momento
dell’acquisto del frigorifero il padre (e a maggior ragione la giovane coppia cui il
frigorifero era indirizzato) ha fatto affidamento sulla ragionevole convinzione che,
in caso d’inadempimento, egli (il padre) avrebbe risposto con tutti i suoi beni presenti e futuri, con facoltà per il creditore di attivare, nei tempi di giustizia all’epoca
in concreto correnti, gli ordinari mezzi di conservazione anche nei confronti dei
beni trasferiti a titolo gratuito. Ma – e qui sta il nòcciolo – quel padre non avrebbe
mai acquistato il frigorifero se avesse saputo che il mancato pagamento del relativo
prezzo avrebbe fatto perdere la casa alla propria figlia. D’altra parte, la figlia e suo
marito hanno riposto il loro affidamento sulla ragionevole convinzione che quella
casa sarebbe rimasta nella loro disponibilità. Mai la figlia avrebbe accettato quella
donazione. Mai i coniugi avrebbero fissato in quella casa la residenza della propria
famiglia se avessero saputo che poteva essere loro portata via, e men che mai avrebbero sostenuto tutte le spese connesse (a cominciare da quelle per il trasloco e la
La stessa parola «creditore» ce ne dà testimonianza oculare: germina da «credere = fare affidamento». Lo notò già GIORGIANNI, voce Credito e creditore, NN.D.I., IV, Torino, s.d., ma 1959, 1111.
22
Funditus, s.v., DI SAPIO, Patrimoni segregati ed evoluzione normativa: dal fondo patrimoniale
all’atto di destinazione ex art. 2645-ter, DFP, 2007, 1257, spec. 1273 s.
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tinteggiatura o, perché no?, per la ristrutturazione), affrontando i relativi incombenti: …per un frigorifero!
Si tratta quindi di verificare se questo affidamento del debitore e dei suoi aventi
causa a titolo gratuito si ponga come limite all’applicazione retroattiva dell’art. 2929bis c.c. Già, la risoluzione dei conflitti in sede di circolazione dei beni è, di regola,
rimessa al “fattore tempo” che, come notato in dottrina, si coniuga, di volta in volta,
con i diversi indici di circolazione23. Occorre pertanto analizzare come l’affidamento del debitore e dei suoi aventi causa a titolo gratuito si coniughi sotto questo
frangente.
Prima di procedere a questa verifica dobbiamo chiarirci bene le idee su cosa
intendiamo per affidamento.
Diceva Vittorio Frosini, «il diritto, nella sua duplice veste di legislazione e di
interpretazione, è [comunque] una tecnica di manipolazione temporale»24. Il generico riferimento all’affidamento prova un po’ troppo25. Non ogni affidamento è
tutelato: deve trattarsi, anzitutto, di una situazione soggettiva cui le regole di legge
e di diritto riconoscevano credito, poi compromessa con l’entrata in vigore di una
legge successiva26.
Scaviamo più in profondità.
La dottrina ha osservato che la legge fissa valori per guidare comportamenti e
chiunque agisce seguendo la bussola legislativa fa fede che il suo comportamento
pregresso verrà giudicato secondo quella guide line27. Sennonché nel nostro caso
la guide line del sistema precedente non era, né è mai stata l’irresponsabilità del
debitore. La guide line del sistema era, e tuttora è, che, in caso d’inadempimento, il
creditore ha l’onere ma pure il diritto di avvalersi degli strumenti offertigli dall’ordinamento per realizzare il proprio interesse. Lo poteva fare prima con l’azione revocatoria ordinaria; lo può fare oggi (anche) con il pignoramento ex art. 2929-bis c.c.
In realtà, la novella, sotto il profilo esecutivo intertemporale, non offre né innerva
alcun diritto supplementare al creditore. La novella bypassa una fase procedimentale prima necessaria: la fase dell’accertamento giudiziale dell’eventus damni e della
PERLINGIERI, Chiusura dei lavori dell’8° Convegno nazionale della SISDiC tenutosi a Capri il 3, 4
e 5 aprile 2013, nei relativi Atti, Pubblicità degli atti e delle attività, Napoli, 2014, 493, segn. 497 e, più
diffusamente, FRANCESCA, Autonomia del criterio della priorità e regole di funzionamento delle misure di
conoscenza, ibidem, 425, passim.
24
V. FROSINI, op. cit., 7.
25
Conf. A. GENTILI, Retroattività, ragionevolezza, diritto intertemporale, cit., 443 e 455: nessun ordinamento protegge tutti gli affidamenti dei cittadini: la legge può sempre cambiare.
26
Conf. LUCIANI, Retroattività, giurisprudenza costituzionale, diritto privato, relazione al 7° Convegno nazionale della SISDiC, nei relativi Atti, Diritto intertemporale e rapporti civilistici, cit., 283, segn.
291.
27
GENTILI, Sulla retroattività delle leggi civili, cit., 790; v. anche, ma con differente esito argomentativo, BIANCA, Diritto civile, I, La norma giuridica – I soggetti, Milano, 1990, 119 ss.
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scientia damni. L’art. 2929-bis c.c. velocizza la realizzazione del credito e, in tal
modo, offre un beneficio sì al ceto creditorio, ma al contempo punta a una maggiore efficienza dell’amministrazione della giustizia. Ergo, la novella dà protezione
a un interesse privatistico (quello del creditore), ma persegue altresì un interesse
metaindividuale (quello del più rapido andamento della amministrazione della giustizia). Qui sta il motivo per cui, per quanto ci riguarda da vicino, l’affidamento
del debitore non sembra possa prevalere. Qui sta, in buona sostanza, l’ultima ratio
dell’applicazione retroattiva della novella28.
C’è un argomento ancora più significativo che corrobora l’applicazione retroattiva.
Si è parlato di un affidamento, in itinere, sulla [prevedibile] stabilità del trasferimento o dell’atto di vincolo. Mettiamo a fuoco questo affidamento. Esso era riposto
su una lungaggine del sistema processuale ordinario di realizzazione del credito:
l’attesa media di circa otto anni per sottoporre a esecuzione forzata il bene che
il debitore ha alienato o su cui ha costituito un vincolo di indisponibilità. Dunque, questo affidamento consisteva in una fiducia riposta dal debitore e dai suoi
aventi causa a titolo gratuito in un ritardo (a loro favorevole) nel realizzo coattivo
del credito, che, bisogna riconoscerlo, nel contesto giuridico e fattuale anteriore
alla novella, poteva ritenersi oggettivamente probabile e che, proprio per questo,
scoraggiava i creditori meno motivati. Ma guardiamo bene questa situazione: essa
riposa su una circostanza esterna alle parti, che però è una circostanza empirica, una
circostanza cui il nostro ordinamento non ha assegnato (né avrebbe potuto assegnare) protezione giuridica. Ecco il punto: questo affidamento non è stato creato
direttamente dal legislatore o da un’applicazione costante di norme di diritto, che
è il passaggio (argomentativo) di snodo necessario perché possano prospettarsi dei
limiti alla retroattività29, ma è un affidamento che deriva dal peculiare funzionamento concreto dell’apparato della giustizia e dalla relativa lentezza di risoluzione
processuale delle conseguenze dell’inadempimento. In termini sbrigativi: è un mero
affidamento di fatto, non un legittimo affidamento di diritto. Come tale, non sembra
possa avere rilievo.
Il discorso si ramifica con riguardo agli aventi causa a titolo gratuito. Potrebbe
infatti darsi che essi, se avessero conosciuto la regola sopravvenuta d’inversione
dell’onere della prova al momento dell’acquisto, non avrebbero accettato la donazione in proprio favore. Da questo punto di vista, la retroattività vincolerebbe gli
Pure le norme intertemporali e le regole positive di diritto transitorio rispondono, infatti, a una
loro ratio.
29
Riflessioni interessanti su questo anello di rilevanza costituzionale in CARNEVALE, Legge di interpretazione autentica, tutela dell’affidamento e vincolo rispetto alla giurisdizione, ovvero del «tributo»
pagato dal legislatore-interprete «in materia tributaria» al principio di salvaguardia dell’interpretazione
«plausibile», GI, 2001, 2415, segn. 2418 ss.
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aventi causa a titolo gratuito a una parola mai data, a una scelta mai fatta, scalfendone la stessa libertà contrattuale30.
Il discorso va calibrato, evitando di fantasticare sulla posizione degli aventi causa
a titolo gratuito.
Distinguiamo due profili.
(i) Cominciamo con il primo profilo. Gli aventi causa a titolo gratuito dal debitore
-donante, non da oggi, solo in senso lato possono solidamente riporre la loro fiducia sulla stabilità dell’acquisto a titolo gratuito. L’atto a titolo gratuito compiuto in
pregiudizio di un creditore è, da sempre, guardato con sfavore da parte dell’ordinamento e gli aventi causa – siano di buona o mala fede non cambia – sanno che esso è
inefficace nei confronti del creditore che agisca fruttuosamente a tutela del proprio
credito. Insomma, che il creditore pregiudicato agisca con la procedura ordinaria o
con la nuova procedura semplificata, il discorso, sotto il profilo del dispiegamento
degli effetti, sostanzialmente non cambia: scatta la regola, antichissima, per cui nel
conflitto tra qui certat de damno vitando e qui certat de lucro captando è preferito chi
rischia di subire un danno. Appunto, il creditore.
L’affidamento sulla stabilità dell’atto a titolo gratuito si conferma così un mero
affidamento di fatto che, sin d’ora, non appare particolarmente meritevole di tutela.
Di instabilità della donazione si parlava prima, di instabilità della donazione si continua a parlare ora.
(ii) Veniamo al secondo profilo. Gli aventi causa a titolo gratuito di buona fede e
che hanno agito in modo responsabile – l’affidamento, non dimentichiamolo, deve
essere incolpevole – possono avere confidato su un’altra circostanza: la bontà del
loro acquisto. L’ordinamento giuridico attribuisce protezione a questo loro affidamento, che è quindi un affidamento di diritto, e non di fatto, senza tuttavia mettere
in forse la fondatezza del (legittimo) esercizio da parte del creditore degli strumenti
di difesa del proprio credito. La barriera protettiva dell’affidamento si colloca
infatti sul fronte interno, non sul fronte esterno: attiene ai rapporti tra le parti,
senza coinvolgere i terzi.
Al rispetto della libertà di scelta quale limite della retroattività aveva già fatto riferimento, con
impostazione metodologica tradizionale, QUADRI, Applicazione della legge in generale, in SCIALOJABRANCA (a cura di), Commentario del codice civile, Artt. 10-15, Bologna-Roma, 1974, 115. Incardina il
discorso sul principio di libertà e autoderminazione, in chiave più moderna, GENTILI, Sulla retroattività
delle leggi civili, cit., 795 (da cui il passo infra cit.) e Retroattività, ragionevolezza, diritto intertemporale,
cit., 455 ss. e 459 ss.: «[s]i tratta di una soluzione dopotutto semplice ad un problema complesso. Il
diritto è un gioco articolato, che si svolge nel tempo. È perciò possibile anche mutare le regole nel corso
della partita, dando alle carte un valore diverso. Ma non dopo che la carta sia stata giocata».
Per l’origine di questa chiave di lettura, dalle radici che affondano assai in profondità nella storia e
che si presta a una tutela del contratto nei confronti di eventuali interventi dell’autorità statale, giudiziale o amministrativa, v., senz’altro, MONATERI, voce cit., 443, ove riferimenti.
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In sintesi, la tutela dell’affidamento, nel nostro caso, costituisce un possibile
motivo di ristoro dell’interesse degli aventi causa a titolo gratuito dal debitoredonante che, a loro spese, abbiano subìto o evitato il (legittimo) pignoramento del
creditore del donante31. Non costituisce, invece, un limite alla fruibilità del rimedio
semplificato anche per gli atti compiuti prima del 27-6-2015 (per i quali chiaramente non sia ancora trascorso un anno dal giorno della trascrizione).
Trova in questo modo ulteriore riprova l’idea per cui l’irretroattività non è un
principio generale, ma un’indicazione ermeneutica (peraltro rivolta al giudice, e a
questi soltanto) da verificare in termini assiologici, ed è perciò superabile nel caso in
cui sussista un’adeguata motivazione di rilevanza sistemica32. Tal è, per dirla con una
formula semplice, il favor creditoris e il favor per una maggiore efficienza dell’amministrazione della giustizia, com’è stato in passato il favor personae, il favor familiae, il
favor per la più agevole circolazione dei beni immobili [e dei beni mobili iscritti in
pubblici registri] già oggetto di atti di disposizione a titolo liberale33.
Il nuovo art. 2929-bis c.c. sollecita una lettura evolutiva per cui l’intervento del notaio è necessario
per verificare non solo l’effettiva volontà del donante, ma pure l’effettiva volontà del donatario di conseguire diritti che, al verificarsi dei presupposti di legge e per un periodo di tempo comunque limitato,
possono eventualmente essere aggrediti da parte del creditore del donante che si sia avvalso dei rimedi
offerti a tutela del proprio credito.
32
PERLINGIERI, Chiusura dei lavori del 7° Convegno nazionale della SISDiC, nei relativi Atti, Diritto
intertemporale e rapporti civilistici, cit., 465, in part. 467.
33
Sono le parole dell’incipit dell’art. 2, co. 4-novies, d.l. 14-3-2005, n. 35, con cui sono stati modificati gli artt. 561 e 563 c.c.
Sotto questo profilo potrebbe essere colta una certa contiguità della nostra tematica con quella fiorita
a proposito della possibilità per il coniuge e i parenti in linea retta di proporre opposizione alle donazioni stipulate in data anteriore all’entrata in vigore della novella del 2005 per le quali siano già trascorsi
venti anni dalla loro trascrizione: per una felice panoramica v. AMADIO, Diritto intertemporale e successioni mortis causa, relazione al 7° Convegno nazionale della SISDiC, nei relativi Atti, Diritto intertemporale e rapporti civilistici, cit., 345, segn. 358 s.; nel merito cfr., per la tesi dell’applicazione retroattiva,
che privilegia la tutela dei terzi decorsi comunque venti anni, GAZZONI, Competitività e dannosità della
successione necessaria (a proposito dei novellati art. 561 e 563 c.c.), GC, 2006, II, 1, in part. 18, TASSINARI, La «provenienza» donativa tra ragioni dei legittimari e ragioni della sicurezza degli acquisti, (studio
n. 5859/C approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 9-9-2005), in Studi e Materiali, 2/2005,
Milano, 2005, 1141, in spec. 1154 ss. e 1158 s. e BUSANI, L’atto di «opposizione» alla donazione (art. 563,
comma 4, c.c.), (studio n. 5809/C approvato dal Consiglio Nazionale del Notariato il 21-7-2005), ibidem, 1079, segn. 1133 segg. e, per la tesi, a oggi invero maggioritaria, dell’applicazione non retroattiva,
che privilegia la tutela dei legittimari proponendo un “riallineamento” al 15-5-2005, De Francisco, La
nuova disciplina in materia di circolazione dei beni immobili provenienti da donazione: le regole introdotte
dalla legge 14 maggio 2005, n. 80, RN, 2005, 1250, in part. 1268 ss., GABRIELLI, Tutela dei legittimari
e tutela degli aventi causa dal beneficiario di donazione lesiva: una riforma attesa, ma timida, SI, 2005,
1129, spec. 1135 s; CASTRONOVO, Sulla disciplina nuova degli artt. 561 e 563 c.c., VN, 2007, 994, in segn.
1002 s., MARICONDA, L’inutile riforma degli artt. 561 e 563 c.c., CorG, 2005, 1174, in part. 1179, IEVA, La
novella degli articoli 561 e 563 c.c.: brevissime note sugli scenari tecnico-applicativi, RN, 2005, 942, spec.
945, BARALIS, Riflessioni sull’atto di opposizione alla donazione a seguito della modifica dell’art. 563 c.c.,
ibidem, 2006, 277, segn. 279 ss. e CACCAVALE, Contratto e successioni, in ROPPO (diretto da), Trattato del
contratto Interferenze, VI, Milano, 2006, 405, spec. 426 s.
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La situazione è chiarissima con riferimento alla revocatoria ordinaria, che dà alimento a questa traiettoria. L’espropriazione subita o evitata rompe la fiducia legittimamente riposta dagli aventi causa a titolo gratuito – qui sì, necessariamente di
buona fede – sulla bontà del loro acquisto. Ma questa rottura presenta ricadute
esclusivamente nei rapporti tra le parti, si collochi o no l’ipotesi nell’alveo della
garanzia per evizione il discorso qui non cambia.
Il ragionamento sembra replicabile con riferimento al rimedio semplificato offerto
dall’art. 2929-bis c.c. al creditore. Vediamo meglio come e perché.
4. L’affidamento meritevole di tutela.
Allo scopo di tracciare i confini temporali della sfera di applicazione dell’art. 2929bis c.c.34, l’affidamento delle varie parti coinvolte nella vicenda rileva se meritevole
di tutela, ovvero se posto in essere da chi sia immune da rimproveri. In presenza di
più affidamenti egualmente meritevoli, l’affidamento dell’acquirente a titolo oneroso prevale sull’affidamento dell’acquirente a titolo liberale.
I principî illustrati emergono nitidamente nelle regole sull’azione revocatoria
ordinaria. L’art. 2901 c.c. condiziona la revoca dell’atto di disposizione non oneroso unicamente alla condotta riprovevole del debitore, conoscenza del pregiudizio
arrecato alle ragioni del creditore o dolosa preordinazione a tal fine a seconda che
si tratti di atto compiuto successivamente oppure anteriormente alla nascita del credito; la buona fede del beneficato è irrilevante. La condotta irriprovevole del beneficiario rileva invece allorché il debitore disponga a titolo oneroso: in tal caso l’atto
è soggetto a revoca solo se il beneficiario era consapevole del pregiudizio arrecato
al creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere del credito, era compartecipe
della dolosa preordinazione a tal fine.
In un quadro siffatto, il debitore che, successivamente al sorgere del debito,
abbia disposto a titolo liberale facendo affidamento sul sistema ante riforma, meno
agevole per il creditore, ha agito ledendo consapevolmente le ragioni creditorie e
pertanto la sua condotta non può dirsi esente da rimproveri. Parimenti irrilevante
appare l’affidamento dell’acquirente liberale: se il beneficiario è consapevole del
pregiudizio apportato al creditore, la sua condotta è riprovevole; se il beneficiario è
in buona fede, il suo affidamento sull’acquisto liberale cede davanti all’affidamento
del creditore se quest’ultimo è intervenuto a titolo oneroso.
La soluzione non cambia qualora fonte del credito pregiudicato sia una liberalità,
poiché in tal caso sarebbe il creditore primo beneficiario a prevalere: supporto a
quanto illustrato deriva dall’art. 559 c.c., in base al quale la riduzione delle donazioni lesive della legittima partendo dall’ultima, e la considerazione secondo cui è
34
Corte cost., 29-5-2013, n. 103, cit.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
probabile che, per via del più lungo periodo di tempo trascorso dall’acquisto, il
primo beneficiario abbia fatto maggiore affidamento sul vantaggio ricevuto.
Può accadere che il beneficiario in buona fede abbia apportato dei miglioramenti
alla cosa ricevuta ed abbia agito con modalità tali che il venir meno dell’acquisto
sortisca un pregiudizio a suo carico.
L’esempio accennato nel paragrafo precedente illustra bene le possibili evenienze:
il debitore dona una casa; il donatario ristruttura l’immobile a proprie spese e poi
in esso si trasferisce, sobbarcandosi i costi di un trasloco. Se l’acquisto viene meno,
il beneficiario potrà agire nei confronti del debitore suo dante causa pretendendo il
risarcimento degli eventuali danni subiti a causa della vicenda qualora questa configuri un atto illecito (per esempio allorché il donante abbia omesso di informare il
donatario della propria situazione patrimoniale) ed in ogni caso il rimborso degli
eventuali miglioramenti apportati alla cosa in base alla generale azione di arricchimento ingiustificato.
5. Conclusione.
In conclusione, l’art. 2929-bis c.c. pare avere portata retroattiva rispetto alle situazioni pendenti. Il contorno della sua dimensione temporale è dunque questo: il
rimedio semplificato può essere attivato nei confronti degli atti a titolo gratuito
pregiudizievoli compiuti tanto dopo il 27-6-2015, quanto prima, sempre che si tratti
di atti pregiudizievoli e a titolo gratuito per i quali sino al 27-6-2016 non sia ancora
trascorso un anno dalla loro trascrizione35.
Nello stesso senso si segnala T. Ferrara, ord. collegiale, 10-11-2015, n. 3265, cit., che, a séguito
di reclamo, ha confermato T. Ferrara, ord. del giudice dell’esecuzione, 29-9-2015, consultabile all’indirizzo www.cassazione.net: nel caso di specie si trattava di un atto di destinazione ex art. 2645-ter c.c.
trascritto il 17-3-2015. In dottrina, con argomentazioni e nuance tra loro diverse, BOVE, Riforme sparse
in materia di esecuzione forzata tra il d.l. n. 83/2015 e la legge di conversione n. 132/2015, consultabile
all’indirizzo www.lanuovaproceduracivile.com, § 3; OBERTO, op. loc. cit.; TASSINARI, L’espropriazione di
beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito e l’acquisizione al fallimento
dei beni oggetto di atti a titolo gratuito ai sensi dell’art. 64 primo comma legge fallimentare, relazione al
Convegno Insignum tenutosi a Santa Margherita Ligure il 4 e 5 settembre 2015, inedita, 9 (dal paper);
FRANCO, op. cit., 1 (nota 2) (dal paper); SCILABRA, Note a prima lettura del neo introdotto articolo 2929 bis
c.c., relazione alla Tavola Rotonda su Le novità dell’ultima ora in tema di procedure concorsuali, esecuzioni mobiliari e immobiliari: un primo confronto sulla disciplina immediatamente applicabile contenuta
nel d.l. 27 giugno 2015 n. 83, tenutasi a Torino il 14-7-2015, consultabile all’indirizzo www.notaioscilabra.it/relazione-convegno-14-7-2015/; BALLERINI, Atti di destinazione e tutela dei creditori: l’art. 2929 bis
c.c. riduce i confini della separazione patrimoniale, in RESCIGNO-CUFFARO [cur.], Atti di destinazione, GI,
2016, 224, 272, spec. 278.
35
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OPINIONI E COMMENTI
DAMIANO MICALI
Un termine finale per l’opposizione all’esecuzione…o forse no?
Sottofondo di una polemica sulla stabilità (e sull’efficacia
processuale e sostanziale) dell’esecuzione forzata*
Sommario: 1. L’“ultimo” intervento in materia esecutiva con il d.l. 3-5-2016, n. 59. – 2. Introduzione
al problema del “termine finale” per l’opposizione. – 3. L’interpretazione e gli effetti della formula legislativa. – 4. Il rafforzamento (indiretto) della teoria sulla stabilità degli esiti esecutivi. – 5. Cenni all’efficacia
processuale e sostanziale dell’atto esecutivo.
1. L’“ultimo” intervento in materia esecutiva con il d.l. 3-5-2016, n. 59.
È ormai noto che la penna del legislatore del processo civile abbia assunto un ritmo
di lavoro a dir poco frenetico, come dimostra la febbrile produzione di “riforme”,
alla continua ricerca dell’“efficientismo” processuale1; il che, se offre continui
spunti di riflessione normativa, anche critica, non sempre si traduce in un beneficio
per la chiarezza e la coerenza del sistema2. In questo contesto generale, peraltro,
* Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
Già in occasione del commento al d.l. 12-9-2014, n. 132, GRADI, Inefficienza della giustizia civile
e «fuga dal processo», Messina, 2014, 14, rilevava l’«affastellamento di riforme disorganiche, ovvero di
progetti di riforma presentati, ritirati o anche solo annunciati», aventi la comune finalità di «rendere
più efficiente e snello il processo di cognizione e il processo esecutivo, al fine di ridurre la convenienza
di strategie processuali basate su tattiche ostruzionistiche».
2
Assai critico dell’operato del legislatore è, ad esempio, TEDOLDI, Le novità in materia di esecuzione
forzata nel d.l. n. 83/2015…in attesa della prossima puntata…, CorG, 2016, 153 ss., il quale contesta
la ripetuta novellazione del codice con «dettami (stentiamo, invero, a chiamarle norme) sempre più
prolissi e illeggibili, aggiunti anche in sede di conversione e scritti in perfetto stile burocraticobancarioministeriale» e dichiara «irreversibilmente compiuta (…) la crisi del positivismo giuridico e, diremmo,
del diritto stesso come strumento di conformazione anzitutto logica e sistematica della realtà effettuale,
per il sopravvento incontrastato di una tecnocrazia economicofinanziaria, che sostituisce al pensiero
giuridico la più prosastica delle prassi aziendalistiche»; CAPPONI, Dieci anni di riforme sull’esecuzione
forzata, in www.judicium.it, 2015, 3, ammonisce che «la corrività e l’imprevedibilità con cui il legislatore
continua ad attivarsi, come fosse alla ricerca veemente del tassello mancante, portano a credere che la
1
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
l’esecuzione forzata ricopre un inedito ruolo di primaria importanza3, avendo ormai
abbandonato i panni della «Cenerentola del processo civile»4, e assunto quelli di
perno di un rapporto sempre più stretto «tra diritto processuale civile e crescita
economica che, nella specifica prospettiva dell’esecuzione forzata, si traduce nella
tutela “competitiva” del credito»5, la quale è ostacolata – stando ai dati rilevati dal
Governo italiano in relazione al rapporto “doing business” della Banca Mondiale –
da un impegno temporale per il “recupero del credito” pari a circa tre volte quello
necessario per ottenere soddisfazione in altri paesi avanzati6; competitività in virtù
della quale, dopo l’ottenimento di un titolo per un diritto certo, liquido ed esigibile,
«i controlli sono riguardati con insofferenza crescente», e «le possibilità di contestazioni sono viste come ostacoli per la tempestiva realizzazione del diritto, e un
sistema tanto più risulterà “competitivo” quanto meno spazio assicuri agli incidenti
di cognizione»7.
stagione delle riforme “a sorpresa” non sia ancora terminata. È una prospettiva che seriamente preoccupa gli operatori, sempre più disorientati. L’individuazione del diritto vigente e di quello applicabile
è operazione che a volte richiede uno studio a sé»; BOVE, Sugli ultimi “ritocchi” in materia di espropriazione forzata nel D.L. n. 59/2016, www.lanuovaproceduracivile.com, 2016, 2, rileva che «i Governi che si
sono succeduti negli ultimi quindici anni, compreso quello attuale, hanno avuto e continuano ad avere
un approccio ai problemi della giustizia civile, se così possiamo dire, confusionario e compulsivo».
3
Rileva ROMANO, Espropriazione forzata e contestazione del credito, Napoli, 2008, 69, che «fino al
2005, la materia ordinata nel libro terzo del codice è rimasta per lo più ai margini dei moti e dei processi
di rinnovamento, pressoché del tutto negletta non soltanto da quegl’interventi normativi concretamente poi riusciti, i quali hanno in linea di massima riguardato il giudizio ordinario di cognizione ed i
procedimenti speciali, ma sovente già da molti dei disegni e dei progetti di riforma successivamente non
riversati in alcun atto avente forza di legge»; sul tema, v. pure le considerazioni di CAPPONI, op. cit., 1
ss., il quale evidenzia che, se, «quando, verso la fine degli anni Ottanta, s’iniziò a parlare di interventi di
“pronto soccorso” sul processo civile, a nessuno venne in mente di proporre qualche misura “urgente”
per l’esecuzione forzata», al contrario, «dal 2005 a oggi (…) il processo esecutivo è entrato in una
girandola di riforme».
4
MICCOLIS, Le modifiche alla disciplina dell’esecuzione forzata: quadro generale, FI, 2015, V, 76. ID.,
Prospettive ed evoluzione del processo esecutivo in Italia, in DALFINO (a cura di), Scritti dedicati a Maurizio Converso, Roma, 2016, 321 ss., rileva d’altra parte come, dal 2005 in poi, il processo esecutivo abbia
ricevuto attenzioni crescenti da parte del legislatore, tanto da affermare, per riprendere la metafora già
utilizzata, che «Finalmente nel 2005/2006 (…) Cenerentola ha incontrato il suo “Principe Azzurro”».
5
CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione e la tutela del debitore, RDPr, 2015, 1461; in argomento, v. anche
ID., Il processo civile e la crescita economica (una commedia degli equivoci), in www.giustiziacivile.com,
2015; ID., Dieci anni di riforme, cit., 12 ss.; sul tema della “competitività” del processo civile, v. inoltre
CAPONI, Doing business come scopo del processo civile?, FI, 2015, V, 10 ss.
6
Su queste tematiche, e sui rischi insiti nella funzionalizzazione del diritto alle esigenze, non meglio
precisate, dello sviluppo economico, v. CAPONI, op. loc. cit., che ha stimolato le considerazioni, in tema di
(in)efficienza del sistema giudiziario italiano e della sua scarsa attrattività a livello mondiale, di PATRONE,
Doing Business e processo civile. A proposito di uno scritto di Remo Caponi, in www.academia.edu.
7
CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione, cit., 1461.
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Seguendo, con buona probabilità, questo (in sé, non sempre encomiabile e in
parte anche discutibile) intento, il legislatore della decretazione d’urgenza8 – con
un intervento peraltro non preannunciato dal disegno di legge delega per la riforma
del processo civile già approvato dalla Camera e, mentre scrivo, ancora all’attenzione del Senato9 – ha modificato il testo dell’art. 615 c.p.c., intervenendo su una
norma che, prima dell’ulteriore recente d.l. 27-6-2015, n. 83, convertito con l. 6-82015, n. 13210, era rimasta sostanzialmente immutata dall’emanazione del codice
di rito11, salvo che per le modifiche apportate dal d.l. 14-3-2005, n. 35, convertito
con l. 14-5-2005, n. 80, che aveva riconosciuto, dietro gli stimoli della dottrina, il
Le critiche sul più recente modus legiferandi sono purtroppo ricorrenti, sicché mi limito qui a
richiamare alcune delle ultime manifestazioni, impersonate dalla voce di CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione, cit., 1462, che ammonisce che l’intervento sul processo civile è sempre più spesso «realizzato
con veicoli che consentono di aggirare o escludere in radice il dibattito tra le categorie interessate:
il decreto-legge (che entrerà in vigore non prima della legge di conversione), l’emendamento “a sorpresa”, la norma delegata. Un legislatore occulto, attivissimo nella sua compulsività, lancia segnali
riconoscibili da una platea specializzata di osservatori internazionali che curano una particolare contabilità: “la prestazione dei diversi sistemi giudiziari può essere espressa in elementi misurabili e comparabili tra di loro”». Critico “a monte” è CAPONI, op. cit., 11, il quale rileva che «gli interventi legislativi
si susseguono a raffica, poiché i rapporti internazionali che conteggiano le riforme nei vari paesi
escono a cadenza annuale o biennale. Conta l’approvazione della riforma, più che il grado della sua
effettiva attuazione, poiché la prima è facilmente conteggiabile, la seconda meno». L’interventismo
compulsivo del legislatore del processo civile è stato censurato pure da CONSOLO, Un d.l. processuale in
bianco e nerofumo sullo equivoco della “degiurisdizionalizzazione”, CorG, 2014, 1173 ss., che riconosce
che «il legislatore processuale ha ormai abituato gli operatori del diritto ad interventi minuti, privi
a monte di un coerente disegno riformatore. Si modifica una disposizione qui e una lì, nella (vana)
speranza che ciò sia sufficiente a portare un po’ di ossigeno alla nostra giustizia civile, ormai da lustri
in affanno (o forse solo per mostrare attivismo). Ovviamente non è così: l’intervento “a macchia di
leopardo” (come già in passato l’abbiamo definito, degradando oggi quel felino ut supra), se va bene,
non muta lo stato delle cose; se va male incrina e complica istituti già rodati, i cui mali non risiedono
certo nella loro disciplina positiva, ma nella cronica carenza di risorse e di disciplina dei fattori umani
in campo».
9
Si tratta del d.d.l. 2953/XVII/C, approvato dalla Camera dei Deputati il 10-3-2016 e poi trasmesso al Senato della Repubblica, dove è ancora oggetto di esame come d.d.l. 2284/XVII/S, che nulla
dispone(va) al riguardo.
10
Il quale, aggiungendo un terzo periodo al primo comma dell’art. 615 c.p.c., secondo cui, «se il
diritto della parte istante è contestato solo parzialmente, il giudice procede alla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo esclusivamente in relazione alla parte contestata», si è limitato a conferire
riconoscimento in via legislativa a quanto già avveniva nella pratica giudiziale. In argomento, TEDOLDI,
op. cit., 181, considera la precisazione «un’ovvietà, che il legislatore ha inteso introdurre expressis verbis
nel comma 1 dell’art. 615 c.p.c.», poiché «nessuno dubitava che il giudice dell’opposizione a precetto
possedesse, già prima della novella, poteri di sospensione parziale dell’efficacia esecutiva del titolo».
11
Evidenzia ROMANO, op. cit., 96, che «proposte e disegni di rinnovamento i quali abbiano avuto
vasta eco, in genere assai sporadici in relazione a tutto il libro terzo, risultano specialmente rari proprio
a proposito dell’opposizione all’esecuzione», e le relative disposizioni normative «non solo sono rimaste
inalterate sin dall’origine del codice di procedura civile, ma prima del 2006 hanno costituito oggetto di
riflessione in chiave di riforma – si direbbe quasi “contro voglia” ed in maniera obbligata – pressoché
unicamente nel quadro dei progetti di legge delega per la revisione organica dell’intero codice di rito».
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
potere inibitorio dell’efficacia esecutiva del titolo anche al giudice dell’opposizione
all’esecuzione c.d. a precetto (e salva la – fortunatamente – brevissima parentesi di
operatività dell’art. 14, l. 24-2-2006, n. 52, che aveva aggiunto un inciso all’art. 616
c.p.c., secondo cui «la causa è decisa con sentenza non impugnabile», poco dopo
soppresso dall’art. 49, 2° co., l. 18-6-2009, n. 69, che aveva ristabilito il regime
impugnatorio tradizionale12).
L’ultimo intervento in ordine di tempo, apportato dall’art. 4, 1° co., lett. a e l, d.l.
3-5-2016, n. 59, già convertito, con modifiche, con l. 30-6-2016, n. 119, si manifesta attraverso l’aggiunta di un terzo periodo al secondo comma dell’art. 615 c.p.c.,
che testualmente recita che «nell’esecuzione per espropriazione l’opposizione è
inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione a
norma degli articoli 530, 552, 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti ovvero
l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per causa a lui
non imputabile»; aggiunta cui fa eco la contestuale novellazione dell’art. 492, 3° co.,
c.p.c., cui è stato aggiunto l’inciso che «il pignoramento deve contenere l’avvertimento che, a norma dell’articolo 615, secondo comma, terzo periodo, l’opposizione
è inammissibile se è proposta dopo che è stata disposta la vendita o l’assegnazione
a norma degli articoli 530, 552 e 569, salvo che sia fondata su fatti sopravvenuti
ovvero che l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente per
causa a lui non imputabile»13.
È solo incidentalmente che segnalo la ricorrente, impunita e preoccupante perseveranza del governo-legislatore nel confessare apertamente l’assenza del requisito
dell’urgenza nelle disposizioni inserite nel decreto legge, come dimostra l’art. 4, 3°
Sulla vicenda, anche per un approfondito esame delle complicazioni interpretative e pratiche
e delle critiche generate dall’accennata riforma, v. LONGO, Le opposizioni dell’esecutato e dei terzi nel
processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO (a cura di), L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, 622 ss.
13
Incidentalmente, bisogna rilevare che la norma non specifica le conseguenze dell’eventuale mancato inserimento dell’avviso nell’atto di pignoramento, e tuttavia mi sembra di dovere escludere che ciò
possa risolversi in una causa di nullità, in quanto l’avvertimento non deve ritenersi essenziale allo scopo
dell’atto di pignoramento, come del resto accade per gli ulteriori avvertimenti richiesti dall’art. 492
c.p.c. (quanto alle conseguenze dell’omissione dell’avvertimento di cui all’art. 492, 3° co., c.p.c., relativo alla possibilità di ricorrere alla conversione ex art. 495 c.p.c., v. Cass., Sez. III, 23-3-2011, n. 6662,
che esclude la nullità, e tuttavia ritiene impossibile la prosecuzione dell’esecuzione sino alla vendita, se
prima non sia stato integrato l’avvertimento), e può perciò dar luogo a mera irregolarità, forse (necessariamente) sanabile con un’integrazione postuma. In questi termini, v. FARINA, Le modifiche “urgenti”
all’espropriazione forzata nel d.l. 3 maggio 2016, n. 59, in www.eclegal.it, 2016, § 1, la quale ritiene che il
vizio «possa essere sanato mediante notifica di un atto successivo da parte del creditore procedente (o
di altro creditore intervenuto) prima della pronuncia dell’ordinanza di vendita»; diversamente, BOVE,
Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 10, crede «ragionevole ritenere che essa, più che provocare una nullità del
pignoramento, conduca piuttosto ad escludere l’operatività della preclusione stabilita nel correlato
secondo comma dell’art. 615 c.p.c., così come oggi è stato riscritto. L’alternativa sarebbe ritenere che la
disposizione che impone il detto avvertimento finisca per essere una norma senza effettiva cogenza, la
qual cosa non sembrerebbe razionale».
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co., d.l. 59/2016, per cui «le disposizioni di cui al comma 1, lettere a) e l), si applicano ai procedimenti di esecuzione forzata per espropriazione iniziati successivamente all’entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto».
Tornando al merito, ove ci si lasci coinvolgere dall’intento “competitivo” sommariamente tratteggiato, l’inserimento delle norme nel sistema sembrerebbe
immediato, e dovrebbe consentire di rilevare la positivizzazione di un termine
finale per la proposizione dell’opposizione all’esecuzione, i.e. per l’esercizio dello
strumento rimediale ad hoc per il controllo di legalità e giustizia dell’esecuzione
forzata, consistente in un’azione cognitiva che sollecita un’attività di valutazione
e giudizio della pretesa creditoria rappresentata nel titolo esecutivo14. Tale inserimento, infatti, in un’ottica efficientista e competitiva, dovrebbe non solo ridurre
l’impegno temporale necessario per il “recupero dei crediti”, limitando l’impiego
delle parentesi cognitive endoesecutive, ma anche garantirne la stabilizzazione
dei risultati, impedendo la contestazione “tardiva”, e dunque permettere al c.d.
“sistema Italia” l’agognata scalata del ranking mondiale sull’efficienza dei sistemi
giudiziari nazionali, dalle cui risultanze è sempre più dipendente il c.d. enforcement shopping, e quindi la scelta del paese in cui intraprendere un’attività economica a seconda dell’efficacia e dell’efficienza del sistema di tutela esecutiva
offerto.
Al netto delle ipotizzate motivazioni, per la cui ragionata critica rimando ai lavori
citati in nota 5, e per restare invece al tema (e sul piano) prettamente tecnico, una
tale conclusione sarebbe (stata) positivamente accolta da chi scrive, che si era già
espresso a favore del riconoscimento di una “preclusione” all’esercizio dello strumento oppositivo, e ciò non solo nel senso che, dopo la chiusura dell’esecuzione, al
debitore sia impedito l’utilizzo del rimedio previsto dall’art. 615 c.p.c., ma anche
nel più generale senso che, una volta conclusasi l’esecuzione con la realizzazione
di un risultato favorevole per il creditore, al debitore sia preclusa la spendita di
rimedi cognitivi “tardivi” per recuperare il risultato ottenuto, attraverso la contestazione “postuma” dell’esistenza dei presupposti per la soddisfazione del credito, i.e.
l’azione esecutiva (in particolare il titolo esecutivo, che ne è l’elemento costitutivo
principale) e il diritto di credito15.
Sull’opposizione all’esecuzione, tra i tanti, v., oltre ai classici scritti di LIEBMAN, Le opposizioni di
merito nel processo esecutivo, Roma, 1936, passim, e di FURNO, Disegno sistematico delle opposizioni nel
processo esecutivo, Firenze, 1942, passim; MANDRIOLI, voce Opposizione (diritto processuale civile), Enc.
dir., XXX, Milano, 1980, 431 ss.; VACCARELLA, voce Opposizione all’esecuzione, Enc. giur., XXI, Roma,
1990, 1 ss.; ORIANI, voce Opposizione all’esecuzione, Digesto/civ., XIII, App., Torino, 1995, 585 ss.;
BUCOLO, L’opposizione all’esecuzione, Padova, 1985; per una panoramica sugli strumenti di opposizione
nel processo esecutivo, dopo le riforme del 2005-2009, v. LONGO, op. cit., 549 ss.
15
V., si vis, MICALI, Titolo esecutivo e “conflitti esecutivi”: alcune dinamiche in materia di esecuzione
forzata nella più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite, REF, 2015, 441 ss.
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E tuttavia, l’intenzione del legislatore non emerge in questo senso dal dettato
normativo, che anzi sembrerebbe, a un esame più realistico, inidonea allo scopo
prefigurato. In effetti, vi sono alcuni interrogativi che consentono subito di escludere l’interpretazione dell’inciso nel senso appena proposto; ad esempio: perché,
se lo scopo era quello di precludere l’esercizio tardivo dei rimedi cognitivi avverso
l’esecuzione, così da garantirne la stabilità, il legislatore ha ritenuto di fissare il termine finale non già al momento della chiusura del procedimento esecutivo, e dunque dell’adozione del provvedimento satisfattivo, bensì a un momento (abbastanza)
anticipato rispetto a questo, come quello dell’emanazione dell’ordinanza determinativa delle modalità di liquidazione degli assets pignorati? Perché, se questa era
l’idea, il legislatore ha “omesso” di considerare che, accanto all’opposizione all’esecuzione, esiste un ulteriore (successivo) e specifico strumento di contestazione dei
crediti, tipicamente collocato proprio dopo la liquidazione, che è l’opposizione
distributiva ex art. 512 c.p.c.? E infine, perché, se il legislatore voleva garantire la
stabilità e l’efficienza dell’esecuzione, ha sentito il bisogno di fissare un termine solo
per l’espropriazione, e non anche per le esecuzioni in forma specifica, per le quali
non esiste una previsione analoga?
Queste riflessioni confermano il dubbio sopra prospettato e inducono subito a
indirizzare la ricerca in un ambito non già “esterno”, bensì “interno” all’esecuzione,
rectius all’espropriazione; e cioè, non nel senso di indagare sulle possibilità rimediali
al di fuori dell’esecuzione, e una volta conclusa la stessa, ma di valutare il (rinnovato)
rapporto con gli altri “mezzi di controllo” endoesecutivi; solo dopo aver compiuto
questa ricerca, forse, l’occasione della modifica normativa potrà essere colta per
ulteriori riflessioni a proposito dell’accennata questione dell’effettività e definitività
dei risultati dell’esecuzione.
2. Introduzione al problema del “termine finale” per l’opposizione.
Prima di procedere nel senso indicato, nondimeno, è ancora opportuno rilevare
il collegamento che comunque sussiste tra la stabilità dell’esecuzione e la questione
del termine finale per la sua opposizione, com’è evidente dalla considerazione del
ruolo che l’opposizione all’esecuzione assume all’interno del sistema del Libro III
del codice di rito. E infatti, storicamente – anche in virtù dell’opera legislativa di eliminazione delle «sovrastrutture imitate dal procedimento contenzioso», che ha fatto
sì che si cristallizzasse l’idea che «il processo di esecuzione non ha, nella sua essenza,
carattere contraddittorio»16, ed è comunque inidoneo all’attività decisoria – si è ritenuto che l’attività compiuta dinanzi al giudice dell’esecuzione abbia e debba avere
(almeno per regola) natura prettamente esecutiva, di “attuazione del programma”
16
Così la Relazione al re del ministro guardasigilli sul codice di procedura civile del 1940, n. 31.
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scolpito nel titolo esecutivo, mentre ogni contestazione implicante una valutazione
e decisione con efficacia di accertamento richieda l’esercizio delle apposite azioni
oppositive (artt. 615, 617, 619, 512 c.p.c.), che introducono delle parentesi cognitive esterne, strutturalmente autonome ma funzionalmente coordinate e deputate
al controllo dell’esecuzione. È evidente, pertanto, che la primaria giustificazione
della regola di stabilità degli esiti esecutivi sia rinvenibile proprio nel meccanismo
dell’onere di reazione attraverso opposizione, la cui attivazione è rimessa all’iniziativa del soggetto passivo.
È così, dunque, che il discorso sulla stabilità dell’esecuzione coinvolge non soltanto la problematica della natura dell’opposizione, ma anche e particolarmente
quella dell’esistenza di un termine finale per la proposizione di questa. E, se sulla
natura dell’opposizione la dottrina si è prevalentemente assestata nel senso di ritenere che essa sia uno strumento di controllo dell’esecuzione illegittima e/o ingiusta,
introduttivo di un’azione di mero accertamento avente a oggetto l’azione esecutiva
(in particolare, il titolo esecutivo; c.d. opposizione d’ordine o di rito all’esecuzione)
e/o il diritto di credito (c.d. opposizione di merito all’esecuzione)17; la questione
del termine finale è invece un po’ più complessa, non solo perché, a quanto pare,
il codice non ne prevede(va?) uno18, ma anche perché bisognerebbe innanzitutto
cogliere il senso di un tale, eventuale, termine.
A tal proposito, non solo vale la pena ricordare che l’espressa previsione di un termine finale per l’opposizione ha talvolta costituito oggetto di suggerimenti de iure
condendo19, e ha, in taluni casi, fatto apparizione in proposte di riforma della legislazione20, ma è anche necessario evidenziare che, se gli interpreti non dubitano che
Per queste conclusioni, con le ineliminabili differenze, v. in particolare FURNO, op. cit., 129 ss.;
MANDRIOLI, op. cit., 432 ss.; ORIANI, op. cit., 585 ss.; più recentemente, LONGO, op. cit., 553 ss.
18
Rileva MANDRIOLI, op. cit., 445, che «l’opposizione all’esecuzione non è assoggettata ad alcun
termine di preclusione, neppure a quello che emerge indirettamente dagli art. 530 e 569 c.p.c. e che
sicuramente riguarda soltanto le opposizioni agli atti esecutivi. In pratica, il termine finale è determinato dall’esaurimento delle operazioni esecutive (…)».
19
In questo senso si era già espresso GRASSO, Il processo esecutivo nelle prospettive della ricodificazione, RDPr, 1985, 547; in tema, v. pure la proposta di PROTO PISANI, Per un nuovo codice di procedura
civile, FI, 2009, V, 101 ss., che distingueva tra opposizione all’esecuzione per motivi di merito e per
motivi di rito, la prima potendo proseguire anche dopo la vendita, sebbene “convertita” in opposizione
distributiva; la seconda potendo invece continuare, anche dopo la vendita, al solo fine «dell’accertamento degli eventuali danni dovuti all’opponente».
20
V., a tal proposito, l’art. 21, d.d.l. 1463/VIII/S; l’art. 2, 2° co., n. 33, lett. a e b, della proposta della
c.d. “Commissione Tarzia” (visionabile in RDPr, 1996, 945 ss.), poi ripreso dal d.d.l. 7353/XIII/C, il
cui art. 2, 1° co., lett. nn, nn. 1 e 2, prevedeva la revisione del sistema delle opposizioni nel senso della
«proponibilità dell’opposizione all’esecuzione per espropriazione fino al provvedimento che dispone
l’assegnazione o la vendita (…)», e con la «previsione che il precetto per l’espropriazione contenga, a
pena di nullità, l’espresso avvertimento del termine per proporre l’opposizione»; l’art. 43, lett. a, d.d.l.
4578/XIV/C, che voleva introdurre un termine per la c.d. opposizione di merito, «avente ad oggetto le
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l’opposizione all’esecuzione non sia più proponibile una volta chiusa l’esecuzione21,
analoga concordia non sussiste a proposito della valenza di questo termine “finale”,
non tutti essendo d’accordo sul rilievo che la sua vana decorrenza impedisca successivi “pentimenti” o “ripensamenti” del debitore e consenta la cristallizzazione degli
esiti satisfattivi dell’esecuzione22 (per approfondimenti, v. infra, §§ 4-5).
contestazioni relative al diritto sostanziale tutelato dal processo esecutivo», da proporre, nell’espropriazione, «non posteriormente all’espletamento della vendita forzata».
21
Cfr. MANDRIOLI, op. cit., 445; ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III, Napoli,
1957, 342 ss.; SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1965, 469; GARBAGNATI,
Opposizione all’esecuzione, NN.D.I., XI, Torino, 1965, 1072; BUCOLO, op. cit., 412 ss.; per ulteriori indicazioni, v. LONGO, op. cit., 551.
22
I contributi sul tema sono assai numerosi, e mi limiterò a richiamarne alcuni, anche per ulteriori
indicazioni bibliografiche; per un’accurata sintesi, v. comunque VACCARELLA, Titolo esecutivo, precetto, opposizioni, Torino, 1993, 55 ss., spec. 61-62. Da una parte si collocano coloro i quali escludono
il valore definitivo dell’esecuzione, almeno nel senso di garantire la protezione dei risultati ottenuti,
tra cui ricordo ALLORIO, Saggio polemico sulla giurisdizione volontaria, in Problemi di diritto, II,
Milano, 1957, 3 ss., e ID., Nuove riflessioni critiche in tema di giurisdizione e di giudicato, in Problemi
di diritto, I, Milano, 1957, 9 ss., che, anche per via della concezione “amministrativa” dell’esecuzione
forzata, rifiuta l’equiparazione al giudicato e considera gli esiti dell’esecuzione come soggetti a mera
preclusione processuale e sempre aperti ad azioni per la ripetizione del consegnato; GARBAGNATI,
Preclusione “pro iudicato” e titolo ingiuntivo, RDPr, 1949, I, 302 ss.; ID., Espropriazione, azione esecutiva e titolo esecutivo, RTPC, 1956, 1331 ss.; ID., Fallimento ed azioni dei creditori, RTPC, 1960, 368
ss. e ID., Espropriazione e distribuzione della somma ricavata, RDPr, 1971, 175 ss., il quale evidenzia
l’autonomia dell’azione esecutiva, che esclude la cognizione o l’accertamento anche sommario del
credito sostanziale, e conclude per la mera preclusione processuale dell’atto esecutivo finale, ripetibile tramite condictio indebiti; similmente, TOMEI, Cosa giudicata o preclusione nei processi sommari ed
esecutivi, RTPC, 1994, 827 ss., spec. 851 ss., che, superando e ribaltando il suo precedente pensiero
(espresso in TOMEI, I difficili nodi dell’atto di precetto, in Studi in onore di Liebman, III, Milano, 1979,
2399 ss.), e facendo leva sulla spiccata autonomia dell’azione esecutiva rispetto al diritto sostanziale,
contesta la stabilità degli effetti, disconoscendo tanto il valore di giudicato, quanto la contestata
natura di preclusio pro iudicato agli esiti del processo esecutivo, perché sconnessi da qualunque cognizione sul diritto sostanziale preteso; DENTI, voce Distribuzione della somma ricavata, Enc. dir., XIII,
Milano, 1964, 321 ss.; TARZIA, L’oggetto del processo di espropriazione, Milano, 1961, 49 ss., secondo
cui «la tesi dell’ammissibilità di un giudizio di ripetizione ad esecuzione ultimata (e sempre che non
sia stata già emessa una pronuncia definitiva in seguito ad opposizione all’esecuzione) si appoggia su
dati positivi non trascurabili, e più ancora sull’assenza di altri dati, che impongano l’estensione al caso
dei principii che governano la cosa giudicata sostanziale»; BOVE, L’esecuzione forzata ingiusta, Milano,
1996, 7 ss., 153 ss., ritiene che «il credito, pur rappresentando la realtà sostanziale dalla quale il processo esecutivo parte e alla quale vuole poi tornare, non ha un ruolo nell’analisi strutturale dell’attività
esecutiva e nella delineazione del contenuto di quell’essenziale figura giuridica processuale che è
l’azione esecutiva», e, perciò, che è «evidente che alla fine del processo esecutivo si sa per certo che
un trasferimento patrimoniale c’è stato, ma invero nulla si sa su quali siano gli effetti sostanziali che
quel trasferimento ha prodotto»; in questo senso, pure LA CHINA, voce Esecuzione forzata. Profili
generali, Enc. giur., XIII, Roma, 1993, 3 ss., che esclude la stabilità degli esiti dell’esecuzione «proprio
perché essa volutamente copre un’area di esigenze della vita associata che la cognizione ed il giudicato
lasciano scoperta; la esigenza e necessità che sul versante della legalità restino situate non solo le soluzioni definitive di vicende sostanziali ma anche le soluzioni provvisorie (…), e che quindi anche il
provvisorio possa essere, oltre che accertato, eseguito»; CAPPONI, Intervento di creditori sforniti di
titolo esecutivo e stabilità della distribuzione forzata, GI, 1991, IV, 216 ss., che distingue tra effetto di
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Ebbene, se si ha presente il dibattito dottrinale sulla valenza del termine finale
per l’opposizione, mentre si legge il testo dei precedenti progetti di legge, si trae
accertamento del credito vantato (che non discende, almeno direttamente, dalla distribuzione), e preclusione processuale, legata all’«esaurimento di una fase processuale all’interno della quale tutte le
parti potevano, senza limitazioni, giovarsi di rimedi oppositori (…)»; ID., Effetti della distribuzione
forzata, onere di specifica contestazione dell’esecutato, ripetizione di indebito ed “autorità” della distribuzione tra le stesse parti del processo esecutivo in altra espropriazione successiva, FI, 1992, I, 1884 ss.,
spec. 1889, ove l’A. riprende e puntualizza alcune osservazioni già rassegnate, per distinguere la
stabilità della distribuzione forzata dall’accertamento del credito, sicché l’eventuale azione tardiva del
debitore che dimostrasse l’assenza di giustificazione del pagamento effettuato a favore del singolo
creditore (ove ritenuta ammissibile, e così pare ritenere l’A.), «non sarebbe (…) una “speciale” tutela
cognitiva avverso i risultati della distribuzione forzata (nell’ambito della quale la tutela cognitiva del
debitore è definitivamente esaurita …), ma una “normale domanda per la restituzione di quel che al
procedente sia stato dato senza essergli dovuto” (…)»; tale distinzione richiama quella già suggerita
dalla pionieristica opera di LIEBMAN, op. cit., 238 ss., laddove, da una parte, l’A. ricorda che «l’opposizione di merito è (…) soggetta a un termine di decadenza, oltre il quale non può più essere validamente proposta. Collegata infatti agli atti esecutivi (…), essa diventa improponibile quando quelli,
succedendosi nell’ordine prestabilito, raggiungono un certo risultato che non è più consentito di
rimuovere» (ivi, 238), e, dall’altra, precisa che, «esaurita l’esecuzione (…), è definitivamente esclusa
ogni possibilità di opposizione. Ciò non esclude peraltro che il debitore possa far valere contro il
creditore l’inesistenza del credito (…). Quest’azione, che non ha più alcun rapporto col processo
esecutivo, ormai chiuso (…), tende alla restituzione delle cose sottratte con l’esecuzione (…) o quanto
meno, se questa non è più possibile, al pagamento di una somma equivalente a titolo di risarcimento»
(ivi, 245). Nel senso opposto, e dunque a favore della stabilità dei risultati dell’esecuzione forzata,
vanno menzionati non solo coloro i quali ritengono di poter riconoscere all’esecuzione un’efficacia
intermedia tra adempimento e accertamento, espressa nella formula della preclusione pro iudicato (in
questa direzione, un primo accenno è rintracciabile nella fondamentale opera di REDENTI, Diritto
processuale civile, III, Milano, 1957, 105, secondo cui «l’esecuzione, anche se condotta fino in fondo,
non dà luogo di per sé alla formazione di un accertamento munito di autorità di cosa giudicata nel
senso dell’art. 2909, ma soltanto ad una presunzione o preclusione pro iudicato a protezione dei risultati», sicché, se «la sua efficacia non si può estendere fuori da questo ambito», resta fermo che «il
debitore (…) non può più ripetere quanto ciascuno dei creditori abbia percepito» (ivi, 198); v. anche
CARNELUTTI, Diritto e processo, Napoli, 1958, 351, il quale, tra i primi, teorizza la stabilità della «attribuzione», nei riguardi del debitore, richiamando il sistema delle opposizioni esecutive, e affermando,
in via di principio, che «se con il giudicato si inizia la conversione in essere del dover essere, con
l’attribuzione si direbbe che tale conversione trova il suo compimento»; SATTA, op. cit., 216, che,
similmente a Carnelutti, ma sulla base di un’impostazione totalmente differente (in virtù della quale
«il titolo (…) è costitutivo del credito, o più in generale del diritto»; ivi, 74), ricorda che «in quanto il
creditore abbia conseguito la somma che gli compete nella distribuzione, il suo credito è soddisfatto
per la parte che ha ricevuto, e non può più essere messo in discussione sotto nessun profilo (salvo
naturalmente che non fosse stata proposta opposizione, e l’esecuzione non fosse stata sospesa)»;
MINOLI, Contributo alla teoria del giudizio divisorio, Milano, 1950, 144; ANDRIOLI, op. cit., 3 ss., per il
quale «il contrasto fra certezza e giustizia, che (…) nel processo di cognizione è composto con l’istituto della cosa giudicata a favore della prima, nel processo di esecuzione è risolto con gli art. 542 e 597
i quali (…) fissano per le espropriazioni mobiliare e immobiliare il termine preclusivo alle opposizioni
del debitore»; MAZZARELLA, Pagamento ed esecuzione forzata (note esegetiche sull’art. 494 c.p.c.),
RTPC, 1967, 231 ss.; BONSIGNORI, L’esecuzione forzata, 3a ed., Torino, 1996, 175 ss., spec. 177, ove l’A.
riconosce la «immutabilità di effetti nei rapporti fra esecutante e esecutato, pur se, in ipotesi, non
esista un sottostante rapporto di credito-debito: ciò è dovuto (…) sia alla preclusione della opposi-
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
conferma del fatto che, come anticipato, la modifica dell’art. 615, 2° co., c.p.c., non
possa essere intesa, almeno direttamente, come positiva di un termine finale per
ogni contestazione della pretesa creditoria; e infatti, al contrario, in ciascuno dei
progetti menzionati, accanto alla previsione di un termine finale per la proponibilità dell’opposizione all’esecuzione – limitato all’espropriazione e anticipato rispetto
alla chiusura della stessa (proprio come statuisce l’attuale testo dell’art. 615, 2° co.,
c.p.c.) –, rimaneva ferma l’esistenza delle c.d. controversie distributive (art. 512
c.p.c.), e cioè delle contestazioni aventi a oggetto i crediti dei creditori partecipanti
all’espropriazione (cfr., in tal senso, art. 2, 1° co., lett. oo, n. 6, d.d.l. 7353/XIII/C;
art. 45, 1° co., lett. c, d.d.l. 4578/XIV/C).
Appare allora chiaro che la problematica del termine di “proponibilità” dell’opposizione, per come affrontata dagli interventi normativi in esame, non è relativa alla
definitività dell’esecuzione, ma è invece direttamente collegata ai rapporti con l’istituto delle controversie distributive, che, stando all’art. 512 c.p.c., possono portare
alla cognizione sulla sussistenza e/o l’ammontare di uno, alcuni o tutti i crediti vantati
nell’esecuzione, con ciò “replicando” un possibile, anzi tipico oggetto processuale
dell’opposizione all’esecuzione: la contestazione dei fatti costitutivi e/o l’esistenza
di fatti impeditivi, modificativi e/o estintivi del diritto di credito esercitato in executivis; quello che, tradizionalmente, si identifica con l’oggetto dell’opposizione c.d.
di merito all’esecuzione23.
zione all’esecuzione, sia all’indiscutibilità del fondamento dell’azione, una volta che sia stata realizzata
nell’espropriazione, sia, infine, perché manca una qualunque azione per la riapertura della distribuzione del ricavato»); ma anche coloro che, al di là di qualunque tertium genus, parificano l’efficacia
dell’esecuzione a quella dell’accertamento (in questo senso, v. soprattutto FAZZALARI, Lezioni di diritto
processuale civile. Processi di esecuzione forzata, Padova, 1986, 107 ss., che, nel solco della sua teoria
“processuale” del giudicato, come esaurimento dei poteri autoritativi del giudice, afferma e ricollega
la stabilità degli effetti del processo esecutivo al conseguimento del bene dovuto e alla consumazione
dei poteri di opposizione, ritenendo che, «concluso il processo di espropriazione forzata, il risultato
(…) diventa, per la sua natura di misura giurisdizionale, incontestabile», e che, «usando
convenzionalmente il linguaggio proprio del processo di cognizione, si può parlare anche a questo
proposito di “cosa giudicata”, cioè di stabilità degli effetti del pagamento coattivo»; è peraltro importante ricordare che l’A. raggiunge la medesima soluzione per l’esito dei processi di esecuzione in
forma specifica; v. anche PROTO PISANI, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2012, 736, che
teorizza la stabilità della distribuzione del ricavato, e prima ID., Note problematiche e no sui limiti
oggettivi del giudicato civile, FI, 1987, I, 1, 453 ss., secondo cui la preclusione pro iudicato è una cosa
giudicata «quantitativamente (non qualitativamente) minore».
23
Ciò, chiaramente, a patto che si condivida l’idea – su cui v. ancora infra nel testo – che le controversie distributive siano a tutt’oggi suscettibili di condurre all’accertamento pieno sul merito del
credito vantato, e non già a un accertamento sommario e meramente endoesecutivo su situazioni a
rilievo esclusivamente processuale (nel primo senso, v. soprattutto CAPPONI, L’opposizione distributiva
dopo la riforma dell’espropriazione forzata, CorG, 2006, 1760 ss.; CARRATTA, Le controversie in sede
distributiva fra ‘diritto al concorso’ e ‘sostanza delle ragioni creditorie’, CorG, 2009, 559 ss.; TISCINI, Le
controversie distributive di nuova generazione. Riflessioni sulla natura e sui rapporti con altri incidenti
cognitivi, REF, 2015, 1 ss.); rileva a tal proposito VINCRE, Profili delle controversie sulla distribuzione
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Ed è su questo aspetto che devo dunque concentrarmi, iniziando da un rapido flashback sulla “storia” dei rapporti tra gli strumenti oppositivi. Difatti, la previsione di un
“doppio canale” di rimedi avverso la pretesa creditoria fatta valere con l’azione esecutiva – per non parlare della convivenza, non sempre facile, tra l’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.), che però esula
dal mio esame24 – ha determinato l’insorgere della necessità di un’actio finium regundorum tra l’opposizione all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) e le controversie distributive
(art. 512 c.p.c.), e tale questione è rimasta oggetto di dibattito fino a tempi recentissimi25; d’altra parte, la soluzione al problema dei rapporti tra l’opposizione all’esecudel ricavato, Padova, 2010, 220 ss., che «il nucleo del problema (…) ha origine soprattutto nell’idea
che vi sia una certa contiguità tra l’opposizione all’esecuzione e la controversia distributiva sia per
quanto riguarda l’oggetto del possibile accertamento, sia per quanto riguarda gli effetti, che esse
producono sull’azione espropriativa, quando questa sia ormai giunta in fase di distribuzione». Per
l’alternativa interpretativa secondo cui le controversie distributive avrebbero a oggetto non il diritto
di credito, bensì la sua mera appendice processuale del diritto al ricavato, peraltro sostenuta dall’A.
appena citata (VINCRE, op. cit., 64 ss., spec. 101 ss.), v. ancora infra. Per una panoramica dell’evoluzione normativa e dottrinale, v. PERAGO, Le contestazioni distributive nell’espropriazione forzata riformata, REF, 2012, 385 ss.
24
E per la quale rimando, su tutti, all’accurata indagine di ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi,
Napoli, 1987.
25
Per un’ampia panoramica delle tesi proposte al riguardo, anche prima delle riforme del 2005/2006,
v. VINCRE, op. cit., 224 ss., che evidenzia come sul punto si fossero sviluppati «due orientamenti:
secondo l’uno è esclusa la possibilità di promuovere l’opposizione all’esecuzione in sede di distribuzione, secondo l’altro vi è invece, seppur con vari limiti, questa possibilità»; v. pure VACCARELLA, Titolo
esecutivo, cit., 236 ss., 262 ss. Stando al primo degli accennati orientamenti, una volta giunti alla fase di
distribuzione del ricavato, l’opposizione ex art. 615 c.p.c. non sarebbe più proponibile, sebbene siano
diverse le ragioni: per alcuni (v. soprattutto MONTESANO, L’opposizione all’esecuzione e le controversie
sulla distribuzione del ricavato, RDPr, 1957, 555 ss.), ciò dipende dall’esaurimento della fase espropriativa e dall’apertura di una vera e propria fase cognitiva, in cui accertare i crediti degli intervenuti;
e tuttavia, nel caso in cui non vi sia un concorso di creditori, l’unico strumento proponibile sarebbe
ancora l’opposizione all’esecuzione (ID., ivi, 565); per altri (v. in particolare ANDRIOLI, op. cit., 123 ss.;
BONSIGNORI, Distribuzione forzata e assegnazione del ricavato, Milano, 1962, 397 ss.), ciò è conseguenza
dell’irrilevanza del titolo esecutivo nella fase di distribuzione, il che, peraltro, implica in questo caso
l’esclusione del ricorso all’art. 615 c.p.c. anche quando vi sia un solo creditore procedente; questo
orientamento è stato riproposto, dopo le riforme del 2005/2006, da ROMANO, Espropriazione forzata,
cit., 395. Stando invece al secondo orientamento ricordato, l’opposizione all’esecuzione sarebbe ancora
utilizzabile in fase di riparto, sulla base di alcuni rilievi, tra cui spicca in particolare la persistente rilevanza del titolo esecutivo (per cui v. SATTA, op. cit., 217; ma anche GARBAGNATI, Espropriazione, azione
esecutiva, cit., 1331 ss., spec. 1360 ss., per cui non tanto conta la presenza del titolo esecutivo, quanto
l’unitarietà dell’azione esercitata dal creditore titolato, dall’espropriazione fino alla soddisfazione; ID.,
Opposizione, cit., 1073; ALLORIO-COLESANTI, voce Esecuzione forzata, NN.D.I., IV, Torino, 1960, 744). E
ciò, senza voler considerare le complicazioni derivanti dalla riforma dell’iter processuale per l’opposizione di cui all’art. 512 c.p.c., che, laddove interpretata in senso riduttivo del relativo oggetto, ritenuto
il mero “diritto al concorso” o “diritto al ricavato” (su cui v. informazioni in VINCRE, op. cit., 87 ss.),
consentirebbe con maggiore facilità, secondo alcuni (v., ad es., CONSOLO, Spiegazioni di diritto processuale civile, I, 2a ed., Torino, 2012, 410), la convivenza di entrambi i rimedi, distinti proprio in relazione
all’intensità della cognizione e degli effetti di accertamento prodotti dalle pronunce ex artt. 512 e 615
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
zione e l’opposizione distributiva, che è notoriamente utilizzabile anche e specialmente
nei confronti dei creditori intervenuti (art. 499 c.p.c.)26, coinvolge altresì la questione
degli strumenti utilizzabili dal debitore per contestare i crediti degli intervenienti prima
dell’approdo alla distribuzione, il che richiede un accenno all’evoluzione interpretativa
relativamente ai rapporti tra intervento dei creditori (titolati e non) e contestazione
del credito, anche in rapporto all’esistenza di un potere del giudice dell’esecuzione di
rilievo “officioso” dei presupposti per l’intervento in espropriazione.
A tal proposito, è noto che la dottrina e la giurisprudenza si sono interrogate, nel
corso degli anni, sulla possibilità di contestare l’intervento dei creditori nell’espropriazione, ai sensi degli artt. 499 ss. c.p.c., prima di giungere alla fase della distribuzione (artt. 509 ss. c.p.c.), ove le contestazioni sono espressamente riconosciute,
con idoneità alla decisione piena della questione, dall’art. 512 c.p.c.27. Il problema,
d’altra parte, ha sempre convissuto con la ricorrente considerazione in ordine all’esistenza di un potere “cognitivo” del g.e. sui presupposti dell’intervento, esercitabile
lungo il corso dell’espropriazione, fino alla distribuzione del ricavato28. Il rimedio
bon à tout faire – al di là delle ipotesi di “cognizione anticipata” sul credito in qualche misura realizzabili in sede di conversione del pignoramento, cessazione della
vendita forzata, riduzione del cumulo espropriativo, ecc.29 – è stato tipicamente
rinvenuto nell’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c., così ritenuta utilizzabile non
solo per contestare il provvedimento del g.e. – la cui adottabilità, come ha rilevato
autorevole dottrina, avrebbe fatto naufragare l’idea legislativa di una separazione
c.p.c. In ogni caso, il problema ulteriore consiste nel cogliere l’ampiezza delle contestazioni spendibili
in sede di distribuzione, e cioè capire se, ammessa o meno l’opposizione ex art. 615 c.p.c., il debitore
possa far valere tutte quelle questioni che possono costituire oggetto del giudizio di opposizione esecutiva, i.e. azione esecutiva e condizioni dell’azione, titolo esecutivo, presupposti processuali, pignorabilità dei beni e questioni attinenti al diritto sostanziale (per una convivenza di entrambi i rimedi, a
seconda dell’oggetto concreto dell’opposizione, v. ad. es. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione
civile, 2a ed., Torino, 2012, 437 ss.). Su questi aspetti, v. infra nel testo.
26
Sul punto, v. le indicazioni fornite da VINCRE, op. cit., passim, spec. 64 ss.; NASCOSI, Contributo
allo studio della distribuzione della somma ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli,
2013, 185 ss.
27
Per una panoramica esaustiva, rinvio agli approfondimenti di CAPPONI, Manuale, cit., 271 ss.,
spec. 294 ss.; VINCRE, op. cit., passim; NASCOSI, op. loc. cit.
28
In argomento, funditus, PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata,
Torino, 2011, passim, spec. 58 ss.; v. anche CAPPONI, Manuale, cit., 279 ss., 294 ss.
29
Per alcuni ragguagli, v. opp. locc. citt. in nota 28, nonché TISCINI, op. cit., 12 ss.; PERAGO, op. cit., 390 ss.
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perfetta tra esecuzione e cognizione30 –, ma anche, a monte, per contestare direttamente l’intervento dei creditori stessi31.
Sulla tematica, tuttavia, ha inciso il d.l. 35/2005, che ha attribuito al debitore
il potere di “disconoscere” i crediti degli interventori non titolati (art. 499, 6° co.,
c.p.c.), contestualmente alla limitazione della legittimazione all’intervento (art. 499,
1° co., c.p.c.); e d’altra parte, sebbene sia da riconoscere l’esistenza di un (ineliminabile) potere “cognitivo” del g.e. sulla ricorrenza dei presupposti del suo agire, che
può esercitarsi anche relativamente a questioni potenzialmente oggetto di appositi
giudizi cognitivi32, bisogna rilevare che tale cognizione ha natura pregiudiziale, e che
Anche in considerazione delle più recenti riforme, CAPPONI, Dieci anni di riforme, cit., 15 ss.,
rileva che «l’esecuzione è così sempre più spesso un’attività che nasce semplice e rapidamente diviene
complessa, che richiede controlli e decisioni di vario contenuto sui suoi presupposti come sul suo
oggetto; molte verifiche o incidenti una volta esterni sono stati portati al suo interno, allo scopo di
esaltarne l’efficienza ma in definitiva complicandola; soltanto se vista da molto lontano l’esecuzione
stessa potrebbe definirsi, secondo una comune ma ottativa espressione, adeguamento della realtà a
ciò che risulta dal titolo. Possiamo anzi affermare – sebbene non sia facile individuare una coerente
linea di tendenza negli ultimi raffazzonati interventi del legislatore – che sempre più l’esecuzione si
presenta come un groviglio indistinguibile di cognizione ed esecuzione, mentre sempre più il g.e. è
chiamato a utilizzare, nella sua attività “esecutiva”, i dispositivi appresi nell’esercizio della giurisdizione dichiarativa».
31
V. le indicazioni di PILLONI, op. cit., 78 ss., nonché la panoramica di CAPPONI, Manuale, cit., 294 ss.
32
Sull’argomento, mi limito qui a evidenziare che la realizzata eliminazione di «tutte le ingombranti sovrastrutture imitate dal procedimento contenzioso», al fine di «distinguere nettamente il
procedimento esecutivo dalle fasi di cognizione che eccezionalmente possono incidere nel suo corso»
(Relazione al re, cit., n. 31), se ha senza dubbio consentito di fare giustizia della confusione spesso
ingenerata dalla formulazione caotica del codice di rito del 1865, che sovrapponeva la cognizione
all’esecuzione e viceversa, d’altra parte non può escludere l’esistenza di un potere di cognizione/
valutazione dei presupposti dell’esecuzione stessa, frequentemente interrelato all’attività di esecuzione
del precetto (basti fare riferimento, da un lato, alla risalente opera di MARTINETTO, Gli accertamenti
degli organi esecutivi, Milano, 1963, dall’altro, alla recente indagine di FORNACIARI, Esecuzione forzata
e attività valutativa, Torino, 2009, che si occupano del problema relativo alle «valutazioni» e agli
«accertamenti» compiuti già entro la sede squisitamente esecutiva); e tuttavia, la separazione sistemica
tra le due tipologie di attività consente di risolvere i dubbi intorno alle interferenze tra esecuzione e
cognizione, poiché consente di riconoscere che, pur premessa l’esigenza di un dovere di apprezzamento e valutazione (incidentale) dei presupposti del potere esecutivo del giudice e dei presupposti e
requisiti del procedimento e dei singoli atti esecutivi (v., a tal proposito, FORNACIARI, op. cit., passim,
spec. 83 ss.; già CARNELUTTI, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, II, Roma, 1942, 105, del
resto, puntualizzava che «la differenza tra processo esecutivo e processo giurisdizionale non sta in
ciò, che in quello non si giudichi come in questo, ma che in questo si giudica soltanto cioè l’agire del
giudice si risolve nel giudicare, mentre in quello l’azione del giudice non è il giudizio ma richiede
naturalmente il giudizio»), ciò non ha nulla a che vedere con la cognizione (verificazione principale) del
merito dell’esecuzione, che il legislatore del 1940-42, checché se ne dica, ha senza dubbio confinato
nella sede apposita (ed esterna) delle opposizioni, unico scenario in cui la cognizione è esercitata in
via principale. Tutto ciò dovrebbe chiarire che, se non è messa in dubbio la possibilità che, nel corso
dell’esecuzione, il giudice si ritrovi a pronunciare provvedimenti fondati su un apprezzamento delle
condizioni “di merito” dell’esecuzione, ciò non implica affatto una decisione su tali presupposti, la cui
valutazione in quella sede è solo incidentale e pregiudiziale rispetto al provvedimento esecutivo da
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tale potere non è idoneo alla decisione della questione, che è risolta dal g.e. non in
via principale, ma solo incidentalmente, al fine di determinarsi in ordine al contenuto del provvedimento esecutivo da adottare33.
Ora, se, con le modifiche apportate nel 2005, il legislatore ha riconosciuto al debitore la facoltà di disconoscere integralmente o parzialmente il credito dei soli creditori intervenuti non muniti di titolo (art. 499, 3° e 6° co., c.p.c.) – in conseguenza del
quale disconoscimento il creditore deve introdurre un apposito giudizio per l’accertamento del credito e l’ottenimento del titolo34, pena l’esclusione dal riparto –, ciò
dovrebbe, entro certi limiti, escludere la riconoscibilità di un potere generalizzato di
opposizione agli atti per contestare l’intervento del creditore non titolato35; d’altra
emanare, mentre la verifica principale, diretta e piena degli stessi è, e non può che essere, strettamente
riservata alle sedi cognitive delle opposizioni (sul tema, a proposito della categoria dei c.d. «provvedimenti giudiciali», v. anche MANDRIOLI, L’azione esecutiva. Contributo alla teoria unitaria dell’azione e
del processo, Milano, 1955, 454 ss.).
33
A tal proposito, è opportuno precisare, come rileva CAPPONI, Manuale, cit., 294, che la verifica
del credito anteriormente all’udienza di cui all’art. 499, 6° co., c.p.c., già ammessa dalla precedente
giurisprudenza, attiene a un «limitato controllo del giudice dell’esecuzione – relativo (…) alla mera
“legittimazione” – in sede espropriativa e segnatamente in occasione della conversione del pignoramento»; lo stesso A., tuttavia, si interroga «se vi sia spazio per un controllo di merito in relazione alle
molte occasioni in cui il giudice dell’esecuzione deve procedere ad una ricognizione dei crediti presenti
nel processo in vista di provvedimenti da assumere nella fase espropriativa» (ivi, 295), indicando le
articolate soluzioni giurisprudenziali adottate sul punto, che, per la maggior parte, consistono nella
persistente separazione tra valutazione incidentale e sommaria compiuta dal g.e. ai fini della prosecuzione della fase espropriativa e valutazione principale e piena compiuta in sede di opposizione all’esecuzione (avverso i creditori titolati) o di opposizione distributiva (avverso i creditori non titolati); su
quest’ultimo aspetto, v. PILLONI, op. cit., 62 ss., nota 18. A proposito della modifica dell’art. 512 c.p.c.,
comunque, CAPPONI, Dieci anni di riforme, cit., 14, rileva che «la riforma dell’art. 512 c.p.c. (2005) ha
posto sulla scena un g.e. che non si limita a eseguire, ma conosce allo scopo di eseguire. L’esecuzione
può essere un luogo in cui i diritti si accertano, sia pure ai soli fini esecutivi».
34
Del quale, peraltro, si dovrebbe valutare la compatibilità e concorrenza con il giudizio eventualmente instaurato in seguito all’apposita (e rinnovata) contestazione del debitore effettuata in sede di
distribuzione del ricavato, ai fini di un’eventuale riunione dei procedimenti, o della sospensione (parziale) della distribuzione in attesa della risoluzione della prima controversia (che, comunque, dovrebbe
intervenire non oltre i tre anni dal disconoscimento del credito, in virtù dell’art. 510 c.p.c., pena l’inefficacia dell’accantonamento delle somme e la prosecuzione e completamento della distribuzione; in
questo senso, ad es., CAPPONI, L’opposizione distributiva, cit., 1765); diversamente, il problema potrebbe
essere risolto attraverso la radicale negazione della possibilità di agire ex art. 512 c.p.c. laddove si sia
già provveduto al disconoscimento del credito, nel qual caso ogni contestazione andrebbe proposta
nel giudizio di merito introdotto dal creditore disconosciuto per l’ottenimento del titolo (così, ad es.,
ROMANO, op. cit., 292 ss., che però fa salva la deducibilità delle sopravvenienze, nonché delle questioni attinenti alla prelazione dei crediti; contra, PILLONI, op. cit., 214, secondo cui, per la salvaguardia
dell’interesse del debitore, dovrebbe sempre essergli consentito il ricorso all’art. 512 c.p.c. laddove
questi voglia contestare la ricorrenza delle condizioni per l’accantonamento delle somme).
35
Per alcune riflessioni sul tema, anche in senso dubitativo, v. CAPPONI, L’accertamento dei crediti
nell’espropriazione forzata dopo le leggi 80 e 263 del 2005, CorG, 2008, 871 ss., spec. 874 ss., che peraltro
fornisce preziosi ragguagli sulla ricorrente problematica del(la concorrenza con il) potere del giudice in
sede di conversione del pignoramento, e in altre fattispecie che presuppongono una qualche cognizione
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parte, comunque, si ammette che, anche in presenza di riconoscimento del credito,
il debitore possa poi azionare l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c., valendo
il primo «ai soli effetti dell’esecuzione», e dunque non precludendo l’apertura di
un giudizio di cognizione piena, avente a oggetto la valutazione e decisione, in via
principale, dei crediti degli intervenienti36.
Quanto invece ai creditori titolati, siano essi pignoranti o intervenienti, la loro
mancata soggezione al potere di disconoscimento si spiega non tanto con l’esistenza
delle contestazioni distributive, quanto soprattutto con l’ormai prevalente orientamento che ritiene che i creditori muniti di titolo esecutivo, e solo costoro, siano
potenziali legittimati passivi nel giudizio di opposizione all’esecuzione ex art. 615
c.p.c.37, in quanto titolari, come il creditore pignorante, del “diritto a procedere ad
esecuzione forzata”.
del giudice sui diritti in concorso (sul tema, v. pure ID., Manuale, cit., 294 ss., spec. 301 ss.; v. anche
TISCINI, op. cit., 12 ss.). D’altra parte, pur approvando la soluzione proposta nel testo, il problema di
opportunità potrebbe non essere integralmente risolto, ove si consideri che la facoltà di disconoscimento può essere esercitata solo dopo l’udienza in cui si dispone in ordine alla vendita o assegnazione
(artt. 530, 552, 569 c.p.c.), e dunque quando l’esistenza dei crediti è stata ormai “presunta” ai fini della
valutazione di proporzionalità del compendio pignorato (art. 492 c.p.c.), così frustrando l’esigenza del
debitore di “invalidare” o “inibire” prontamente l’intervento del creditore al fine di evitare la considerazione del suo credito come base per la valutazione di sufficienza dei beni pignorati; ciò che, secondo
alcuni, dovrebbe far rivivere l’idea della opponibilità preventiva ex art. 617 c.p.c. E tuttavia, non solo,
in generale, lo strumento dell’opposizione agli atti si dimostra inidoneo alla decisione della sussistenza
del credito dell’interveniente, ma anche non si vede come tale strumento potrebbe servire allo scopo,
non potendo immaginarsi una sospensione dell’esecuzione a danno di tutti (art. 618 c.p.c.), per la
contestazione di un solo creditore, né, d’altra parte, una “provvisoria” esclusione del credito dell’interveniente, e dunque una contestuale riduzione del pignoramento (art. 496 c.p.c.) o una cessazione della
vendita forzata (art. 504 c.p.c.), poiché ciò contrasterebbe con il diritto all’accantonamento di cui
all’art. 510 c.p.c., ed equivarrebbe all’immediata frustrazione dell’interesse del creditore alla partecipazione al riparto, che non sarebbe retroattivamente recuperabile in caso di rigetto dell’opposizione agli
atti, per via dell’efficacia “liberatoria” degli atti riduttivi o terminativi appena richiamati.
36
In questo senso, tra gli altri, CAPPONI, L’opposizione distributiva, cit., 1764 ss.; più cautamente,
TISCINI, op. cit., 16 ss., spec. 18, secondo cui, «ferma restando l’inefficacia del riconoscimento sotto il
profilo sostanziale, nonché la natura endoesecutiva dei rispettivi giudizi, che il debitore che abbia già
riconosciuto il credito (ai fini dell’intervento) possa poi contestarlo in sede distributiva, osta al buon
senso, prima ancora che alle esigenze di economia processuale»; per ulteriori indicazioni, v. PILLONI,
op. cit., 215 ss.
37
Così, v. già Cass., Sez. III, 16-5-1987, n. 4516, RDPr, 1989, 584 ss., con nota di CAPPONI, Intorno
ai rimedi “cognitivi” avverso l’accertamento dei crediti nella conversione del pignoramento; di recente,
Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, REF, 2014, 191 ss., nonché 297 ss., la quale ha sancito che «sia il creditore
pignorante, sia quello interveniente (munito di titolo) sono, in buona sostanza, titolari dell’azione di
espropriazione che deriva dal titolo di cui ciascuno di essi è munito e che ciascuno di essi esercita nel
processo esecutivo». In dottrina, già prima della riforma del 2005, che ha esaltato il valore del titolo
esecutivo anche ai fini dell’intervento nell’espropriazione, la soluzione della legittimazione passiva
dell’interveniente titolato, anche laddove questi non avesse compiuto atti d’impulso, era maggioritaria;
al riguardo, v. indicazioni in VINCRE, op. cit., 219 ss., testo e note 2 ss.; LONGO, op. cit., 558, nota 25;
nonché l’argomentata soluzione di ROMANO, op. cit., 364 ss.
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Una prima conclusione può pertanto fissarsi: posto che i crediti degli intervenienti “non titolati” non sono mai stati oggetto di opposizione all’esecuzione – ma
solo e tuttalpiù, almeno fino al 2005, di opposizione agli atti esecutivi –, il problema
del termine finale per l’opposizione all’esecuzione non riguarda questa (comunque
ampia: cfr. art. 499, 1° co., c.p.c.) categoria di creditori, per la quale si deve ritenere
che l’unico strumento autenticamente cognitivo oggi utilizzabile sia proprio e direttamente l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c.38; al contrario, la questione del
rapporto tra i rimedi si pone in relazione alla posizione processuale dei creditori
“titolati” ai sensi dell’art. 474 c.p.c.
Acquisita la puntualizzazione dell’ambito operativo del problema, e passando
ora direttamente alla questione della concorrenza o meno dei rimedi, devo rilevare
che, dal punto di vista del debitore, la regolazione dei relativi rapporti è sempre
stata mutevole, anche in virtù della fragile fisionomia delle controversie distributive,
specie a seguito dell’intervento sull’art. 512 c.p.c. da parte del d.l. 35/2005, che ha
nuovamente fatto discutere sulla natura e sull’oggetto della cognizione esercitata,
mettendosi talvolta addirittura in dubbio che si trattasse di attività cognitiva e non
piuttosto di attività esecutiva39.
Prima delle recenti modifiche, quando dominava l’idea della natura cognitiva
piena delle controversie distributive, la giurisprudenza si era prevalentemente
orientata nel senso di ritenere l’alternatività tra opposizione all’esecuzione e controversie distributive, da risolversi a seconda della finalità perseguita dal debitore:
l’opposizione all’esecuzione avrebbe avuto per oggetto la contestazione del diritto
a procedere all’esecuzione forzata, e avrebbe mirato alla caducazione dell’azione
esecutiva e dei suoi effetti; le controversie distributive, pur avendo il medesimo
oggetto, oppure essendo rivolte più semplicemente alla contestazione del credito,
avrebbero avuto il più limitato effetto di escludere il creditore contestato dalla
distribuzione, salva l’esecuzione sino a quel momento condotta40. In realtà, si trattava di un orientamento opinabile, poiché gli effetti dell’opposizione non sono sem-
Salvo, ovviamente, l’eventuale sviluppo cognitivo della causa introdotta dal creditore disconosciuto per procurarsi il titolo esecutivo mancante, ai sensi degli artt. 499 e 510 c.p.c., la quale dovrebbe
avere priorità di trattazione rispetto alle controversie distributive sul medesimo oggetto (v. nota 34). Per
l’esenzione dei creditori non titolati dallo strumento dell’opposizione all’esecuzione, e per la relativa
sottoposizione alle controversie distributive, già prima delle modifiche del 2005, v. PERAGO, op. cit., 396.
39
Sul tema, v. VINCRE, op cit., passim, spec. 64 ss.; NASCOSI, op. cit., 215 ss.; ROMANO, op. cit., 389
ss.; CAPPONI, Manuale, cit., 437 ss.; TISCINI, op. cit., passim; PERAGO, op. cit., passim; prima delle ultime
riforme, tra i tanti, VACCARELLA, Titolo esecutivo, cit., 236 ss., 261 ss.; BOVE, L’esecuzione forzata ingiusta,
cit., 150 ss.; GARBAGNATI, Il concorso di creditori nel processo di espropriazione, Milano, 1959, 91 ss.;
ANDOLINA, “Cognizione” ed “esecuzione forzata” nel sistema della tutela giurisdizionale, Milano, 1983,
111 ss.; ANDRIOLI, op. cit., 124.
40
Per indicazioni, v. PILLONI, op. cit., 83, nota 64, 235 ss.; VACCARELLA, op. loc. ult. cit.; TISCINI, op.
cit., 5 ss.
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pre caducatori dell’esecuzione, dipendendo ciò dall’oggetto concreto dell’azione
oppositiva (es. contestazione parziale del credito; impignorabilità di alcuni soltanto
dei beni, ecc.), e, quando anche escludano integralmente l’azione esecutiva contestata, non sempre ciò comporta la chiusura dell’esecuzione (es. contestazione del
credito del solo creditore procedente, in presenza dell’intervento di terzi creditori
titolati41). Più logico era allora l’orientamento che riteneva la parziale “fungibilità”
oggettiva dei giudizi (in disparte la differenza di legittimazione soggettiva attiva),
nella misura in cui potevano entrambi avere a oggetto la sussistenza del diritto di
credito (del procedente e/o degli interventori titolati), con idoneità al giudicato
sostanziale; questo approccio, com’è evidente, escludeva la validità di un criterio
differenziale di tipo esclusivamente oggettivo, e implicava invece il ricorso (anche)
a un criterio cronologico, per cui l’opposizione esecutiva avrebbe potuto essere
attivata fino alla distribuzione, a partire dalla quale, invece, avrebbero trovato spazio le sole controversie distributive, salvo che per gli aspetti per cui residuava una
infungibilità tra i rimedi (v. subito infra).
Certamente, le riforme intervenute negli anni 2005-2009, con l’“interiorizzazione”
e la (apparente) “sommarizzazione” delle controversie distributive, mediante l’attribuzione al g.e. del potere decisionale “di prime cure” e la sottoposizione del relativo provvedimento all’impugnazione «nelle forme e nei termini di cui all’articolo
617, secondo comma», avrebbero potuto spingere a una più netta distinzione tra
i due rimedi (già inerente la natura cognitiva)42, così da consentirne la convivenza
anche oltre la liquidazione, e tuttavia questa ipotesi non convince, poiché ritengo,
al contrario, che la modifica dell’art. 512 c.p.c. non abbia affatto mutato la natura
cognitiva piena delle controversie distributive, ancora deputate alla valutazione di
merito sul diritto di credito, e abbia solo perseguito un intento semplificativo e
(auspicabilmente) deflattivo delle opposizioni, affidandosi al(l’eccezionale) potere
decisorio immediato del g.e., ma senza eliminare la regola che consente il ricorso a
un giudizio a cognizione piena ed esauriente sull’oggetto della contestazione, anche
oltre lo schema “in unico grado” dell’opposizione agli atti, e dunque lungo tutta la
serie delle impugnazioni43.
V. Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, cit., che ha parificato l’azione esecutiva esercitata dai creditori
intervenuti titolati a quella esercitata dal creditore procedente, così che si è ritenuto che l’esecuzione
possa proseguire nonostante l’accoglimento dell’opposizione all’esecuzione esperita avverso il creditore
procedente.
42
Per alcune informazioni sul punto, v. PERAGO, op. cit., 398 ss.; TISCINI, op. cit., 1 ss.
43
Questa posizione è esaustivamente motivata da CARRATTA, op. loc. ult. cit.; v. anche TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 217 ss.; ID., Le controversie, cit., passim, spec. 21
ss., che tuttavia, quanto al controllo del provvedimento, ritiene integralmente applicabile il regime
dell’opposizione agli atti; analogamente, CAPPONI, L’opposizione distributiva, cit., 1760 ss., che pure
ritiene che l’oggetto delle controversie distributive sia rimasto il diritto sostanziale, ma riconosce la
limitata impugnabilità del provvedimento mediante il solo strumento dell’opposizione agli atti, sebbene
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Ne consegue, a mio avviso, che tra i due rimedi poteva ancora predicarsi una parziale sovrapposizione/fungibilità (e quindi reciproca esclusione in fase di riparto),
specificamente quanto alla contestazione della pretesa sostanziale dei creditori
titolati, e cioè limitatamente all’esistenza e/o all’ammontare del diritto di credito:
c.d. opposizione di merito44. Al contrario, non potevano (e non possono) dedursi,
tramite l’opposizione distributiva, le questioni inerenti il titolo esecutivo in senso
formale (laddove si ritenga che esso sia ancora rilevante, come potrebbe suggerire la
differenziazione, anche in fase distributiva, tra creditori titolati e non, questi ultimi
essendo soltanto legittimati all’accantonamento delle somme in caso di disconoscimento del credito)45, l’impignorabilità dei beni (ammesso e non concesso che questa
sia ancora contestabile dopo l’intervenuta vendita degli stessi) e, infine, la carenza
dei presupposti processuali generali; per questi aspetti, e solo per questi, allora,
residuava il problema della possibilità di farli valere quando ormai il processo fosse
transitato alla fase distributiva, nel qual caso si sarebbe potuto/dovuto fare ricorso
all’opposizione all’esecuzione, essendo infungibile allo scopo l’opposizione distributiva46.
Così stando le cose, si sarebbe dunque potuto differenziare tra le opposizioni di
rito all’esecuzione, proponibili solo nelle forme dell’art. 615 c.p.c. e lungo tutto il
con la precisazione che esso possa comunque condurre all’accertamento con efficacia di giudicato dei
crediti contestati; per ulteriori riferimenti, anche in senso contrario, v. NASCOSI, op. cit., 189, nota 6,
193, nota 12.
44
Ciò chiaramente presuppone, come anticipato, il rifiuto delle dottrine che teorizzano un mero
“diritto al ricavato”.
45
In realtà, la conclusione esclusiva potrebbe essere mitigata, come suggerisce l’opinione di
ROMANO, op. cit., 323 ss., secondo cui l’ambito oggettivo della lite distributiva «s’estende piuttosto
all’intero diritto del convenuto di procedere ad esecuzione forzata. Anche qui, dunque, autentica materia del contendere sembra esser una situazione giuridica di matrice processuale del creditore: precisamente, quel diritto di partecipare all’espropriazione che dipende dalla contemporanea presenza del
credito e del requisito formale di legittimazione di cui all’art. 499, comma 1°, c.p.c., e che in caso di
tempestivo intervento titolato neppure si distingue, per presupposti e contenuto, dall’omologo diritto
di cui all’art. 615, comma 1°, c.p.c.»; va da sé che l’accoglimento di questa impostazione, sicuramente
estensiva della nozione di contestazione “del credito” di cui all’art. 512 c.p.c., allargherebbe ulteriormente il settore di fungibilità tra opposizione all’esecuzione e contestazione distributiva, riducendo la
concorrenza dei rimedi.
46
In questo senso, dopo un’iniziale negazione (v. CAPPONI, L’opposizione distributiva, cit., 1767),
CAPPONI, Manuale, cit., 437-438, secondo cui «l’opposizione ex art. 615 c.p.c. dovrebbe essere esperibile sino al momento in cui l’esecuzione si esaurisce con il raggiungimento delle sue finalità (soddisfazione dei creditori aventi diritto)», e inoltre, «non potendo le opposizioni distributive avere ad
oggetto il diritto della parte istante di procedere all’esecuzione forzata, né la pignorabilità dei beni, né
la legittimità sostanziale dell’intera esecuzione, dovrebbe fare eccezione a questa regola soltanto il caso
in cui la contestazione riguarda (non l’esistenza stessa del diritto di procedere ad esecuzione forzata,
ma unicamente) il concreto ammontare del credito, con la conseguenza per cui il suo vittorioso esperimento non potrebbe mai portare alla completa caducazione dell’esecuzione; pertanto, l’opposizione
sarebbe logicamente “riassorbibile” dallo schema descritto dall’art. 512 c.p.c.».
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corso dell’espropriazione, e le opposizioni di merito all’esecuzione, proponibili ex
art. 615 c.p.c. fino alla liquidazione, ed ex art. 512 c.p.c. in sede di distribuzione.
Ovvero, in senso ancora più radicale, si sarebbe potuto ritenere che, «una volta
entrati nella fase terminale del giudizio espropriativo, appare preferibile risolvere
ogni questione attraverso il rimedio più snello contemplato dall’art. 512 c.p.c.»47,
con che, probabilmente, si sarebbe legittimata una preclusione processuale a far
valere i difetti inerenti l’azione esecutiva, il titolo esecutivo e la pignorabilità dei
beni, una volta intervenuta la vendita forzata48. E tuttavia, se si poteva e si doveva
in ogni caso convenire sul fatto che, «transitato dalla fase liquidativa a quella satisfattiva, l’accoglimento della contestazione proveniente dal debitore non determina
il venir meno del pignoramento e della successiva vendita forzata, poiché se in sede
di distribuzione il debitore fosse in grado di dimostrare l’inesistenza dei crediti in
concorso, potrebbe ottenere la consegna del denaro percepito dalla vendita e non
la caducazione degli atti esecutivi già posti in essere»49, ciò a mio avviso non consentiva di ritenere che l’opposizione all’esecuzione fosse radicalmente bandita dalla
fase distributiva50, bensì solo che il momento di proposizione, rectius di accoglimento dell’opposizione influisse sull’efficacia processuale e sostanziale della sentenza definitiva del giudizio.
Ebbene, se, fino a qualche settimana fa, si trattava di riflessioni contrastate e
ipotetiche, non altrettanto può dirsi dopo l’ultima modifica del secondo comma
dell’art. 615 c.p.c., con cui si è testualmente esclusa la proponibilità dell’opposi-
NASCOSI, op. cit., 216.
Rileva NASCOSI, op. loc. ult. cit., che «accogliendo questa tesi si viene a fissare un termine (rappresentato quindi dall’udienza di discussione del progetto di riparto) per proporre l’opposizione ex
art. 615 c.p.c., termine di cui non vi è traccia nella norma, sennonché lo stesso art. 512 c.p.c. pare piuttosto chiaro nell’indicare che eventuale contestazioni sull’esistenza ed ammontare del credito debbono
essere prospettate in occasione della distribuzione e devono essere composte mediante l’impiego del
nuovo procedimento a struttura bifasica e non con l’opposizione all’esecuzione»; già prima, ROMANO,
op. cit., 395, secondo cui «il miglior modo per coordinare opposizione all’esecuzione e controversie di
cui all’art. 512 sembra tuttora esser quello d’eleggere a discrimen il tempo in cui la contestazione sia
formulata: fino a che non si transiti alla fase di ripartizione del ricavato, è possibile proporre unicamente l’opposizione all’esecuzione, beninteso solo nei confronti dei creditori pignoranti o comunque
provvisti di titolo esecutivo; da che invece diviene proponibile la contestazione nelle forme di cui
all’art. 512, queste debbono ritenersi esclusive dell’opposizione, la quale più non potrà a tal punto
esser promossa», ma ciò sulla base della (diversa) premessa che, «poiché insomma non è dubbio
che tutte le contestazioni che potrebbero dar luogo ad opposizione all’esecuzione possano – quando
appunto sorgono “in sede di distribuzione” – esser decise a mente dell’art. 512, è ragionevole concludere ch’esse anche debbano – quando sorgono “in sede di distribuzione” – esser decise in tal modo»
(cfr. supra, nota 45).
49
NASCOSI, op. cit., 217 ss. Per questa precisazione, v. già VINCRE, op. cit., 247 ss.
50
Rileva TISCINI, Le controversie, cit., 9, che «nel dato normativo non vi è traccia di limitazioni di tal
genere (per lo meno ex latere dell’opposizione all’esecuzione), sicché applicarle per via interpretativa
finisce per non essere condivisibile, né conveniente nell’economia generale degli interessi in gioco».
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zione dopo l’ordinanza determinativa delle modalità di liquidazione del patrimonio,
mediante una norma della quale è giunta l’ora di individuare il significato concreto
e le conseguenze applicative.
3. L’interpretazione e gli effetti della formula legislativa.
Escluso allora, come preannunciato, che la modifica in esame possa essere intesa
come fissativa di un termine finale per ogni contestazione della pretesa creditoria,
credo che il legislatore dello scorso maggio abbia semplicemente voluto risolvere la
querelle interpretativa in ordine al concorso tra lo strumento di cui all’art. 615 c.p.c.
e quello di cui all’art. 512 c.p.c., nel limitato ambito dell’espropriazione forzata.
In questo senso, gli effetti dell’intervento legislativo sono duplici.
Per un verso, l’apposizione di un termine di “ammissibilità”51 all’opposizione
all’espropriazione rappresenta la positivizzazione dell’idea che i rapporti con le
controversie distributive (al netto delle differenze contenutistiche e di legittimazione, che certamente permangono) siano retti da un criterio cronologico, tale per
cui, dopo un certo termine, non è più proponibile l’opposizione ex art. 615 c.p.c.
e diventa proponibile, in via esclusiva, l’opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c.,
come d’altronde aveva recentemente riconosciuto – pur in presenza di qualche contrasto – la Corte di cassazione52, superando i più risalenti orientamenti che sostenevano il concorso di entrambi gli strumenti. Certamente improponibile, infatti, è
l’alternativa di ritenere che la disposizione aggiunta al secondo comma dell’art. 615
c.p.c. abbia altresì voluto escludere che, dopo l’ordinanza ex artt. 530, 552 e 569
c.p.c., la pretesa dei creditori titolati possa essere ulteriormente contestata nel
merito: per fare ciò, al netto di ogni questione di coerenza costituzionale di un tale
disegno, il legislatore avrebbe dovuto prevedere una contestuale riduzione dei margini operativi dell’art. 512 c.p.c., il che, chiaramente, non è accaduto.
La previsione di un termine finale generale per l’opposizione all’espropriazione,
peraltro, consente di estendere tale sistema anche al caso in cui non vi sia un concorso di creditori; in tal caso, infatti, non avendosi propriamente una “distribuzione
La norma, in effetti, sancisce l’“inammissibilità” della (azione di) opposizione all’esecuzione esercitata dopo la pronuncia dell’ordinanza di cui agli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., così chiarendo non solo
che la conseguenza di una richiesta tardiva è una pronuncia di rito (evidentemente una sentenza appellabile), ma anche che la sanzione processuale non si estende alle opposizioni eventualmente già proposte prima della scadenza del termine, che rimangono “procedibili” fino alla pronuncia della sentenza
definitiva (sul punto, v. ancora infra).
52
Cfr. Cass., Sez. III, 21-6-2013, n. 15654, su cui v. TISCINI, Le controversie, cit., 6 ss. Afferma BOVE,
Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 9, che «il legislatore ha voluto imporre all’esecutato un termine di preclusione per poter contestare il diritto del creditore a procedere ad esecuzione forzata, sottraendogli
questa possibilità per tutto il corso della procedura, e allo stesso tempo ha stabilito, però, che di questa
preclusione l’esecutato debba essere avvertito».
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del ricavato” (cfr. art. 510 c.p.c.), la dottrina già discuteva del rimedio utilizzabile
per contestare il diritto del creditore procedente53, mentre adesso dovrebbe essere
chiaro che l’unico strumento disponibile è proprio la contestazione ex art. 512 c.p.c.
A questo proposito, tuttavia, devo incidentalmente segnalare che il d.l. 59/2016
è altresì intervenuto sull’art. 596 c.p.c., prevedendo che, dopo il versamento del
prezzo della liquidazione immobiliare, il giudice dell’esecuzione o il professionista
delegato possano provvedere a formare un progetto di distribuzione «anche parziale», entro il limite massimo del «novanta per cento delle somme da ripartire»,
sulla base dell’auspicata finalità di “ridurre i tempi di recupero del credito”54. Ciò
determina, sebbene limitatamente all’espropriazione immobiliare, la possibilità di
uno “sdoppiamento” della distribuzione, con l’approvazione di due progetti, in due
momenti diversi; il che introduce una serie di complicazioni non indifferenti, delle
quali, tuttavia, qui interessa solo il dubbio se l’opposizione distributiva ex art. 512
c.p.c. possa essere promossa solo entro l’udienza per l’approvazione del primo
ovvero anche fino all’approvazione dell’ultimo (e definitivo) progetto di riparto, e
inoltre se, in quest’ultimo caso, la contestazione possa coprire solo le parti di credito o i crediti ancora residui dopo la prima distribuzione ovvero anche quelli già
“riconosciuti” in ragione dell’approvazione del primo progetto. Inutile sottolineare
l’ennesima leggerezza del legislatore, e così mi limito a evidenziare che, non essendo
prevista una specifica preclusione, è ragionevole ritenere che il debitore e/o i creditori possano avanzare le contestazioni fino all’approvazione del progetto definitivo,
e tuttavia, in quest’ultimo caso, mi sembra altrettanto ragionevole ritenere che tali
contestazioni non possano incidere su quella parte di credito già soddisfatta con il
primo progetto di riparto, e debbano invece limitarsi al residuo.
Per l’altro verso, il legislatore ha voluto limitare, più o meno espressamente, e
nella sola esecuzione per espropriazione – dato il suo sviluppo in più fasi coordinate –, lo spettro delle contestazioni spendibili, stabilendo che, dopo un certo
momento, non sia più utilizzabile l’art. 615 c.p.c.55: e infatti, se si “sottraggono”
V. VACCARELLA, Titolo esecutivo, cit., 239 ss. Per l’esclusione dello strumento di cui all’art. 512
c.p.c., v. le indicazioni fornite da PERAGO, op. cit., 397.
54
Anche se, rileva BOVE, Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 12, «francamente, sfugge la reale utilità di
questa disposizione, perché non sembra che in precedenza fosse possibile una distribuzione parziale
solo in caso di sua parziale sospensione a seguito dell’insorgenza di controversie distributive ai sensi
dell’art. 512 c.p.c.».
55
D’altra parte, posso qui prendere in prestito le parole usate – in sede di commento alla pronuncia
di Cass. n. 15654/2013 – da TISCINI, Le controversie, cit., 11, per cui «la soluzione ivi prospettata si può
apprezzare sotto il profilo del decongestionamento dei ruoli del giudice dell’esecuzione: limitando il
possibile esperimento tanto dell’azione ex art. 615 c.p.c. (inibita in sede distributiva) quanto di quella
dell’art. 512 c.p.c. (non solo preclusa prima dell’inizio della distribuzione, ma neppure utilizzabile
quale possibile reiterazione di un’opposizione di merito già pendente), essa finisce per evitare il concorso tra i rimedi e con ciò, da un lato, la proposizione ex novo di opposizioni di merito una volta
aperta la fase distributiva, da un altro l’introduzione di iniziative giudiziarie già intraprese nelle forme
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dall’oggetto dell’opposizione all’esecuzione le questioni che possono ancora costituire oggetto di controversia distributiva, si ottiene che, dopo il provvedimento che
statuisce sulla vendita, rimangono solo le questioni attinenti al “merito” del credito
azionato56; quanto alla spendibilità dei motivi di opposizione “d’ordine” o “di rito”
all’esecuzione – gli unici per i quali, come detto, autorevole dottrina proponeva
l’idea del concorso tra i due strumenti –, la modifica consente di risolvere il relativo
dibattito, escludendo che ciò possa avvenire in sede di distribuzione del ricavato, e
prevedendo implicitamente che le contestazioni sull’esistenza e validità formale del
titolo esecutivo (come atto processuale), sull’esistenza dei presupposti processuali
generali e sul ricorso delle ulteriori condizioni dell’azione esecutiva (una su tutte,
la pignorabilità dei beni colpiti dal vincolo esecutivo) debbano essere fatte valere,
a pena di decadenza, entro il termine dell’ordinanza fissativa delle modalità di vendita/assegnazione, e ciò per evitare in radice che questioni generali dell’esecuzione
possano incidere sulla fase di liquidazione del patrimonio pignorato.
Questa aspetto, in particolare, stimola un’intensificazione dell’interesse ad agire in
opposizione per motivi di rito, nella misura in cui ne sancisce l’inammissibilità oltre
un certo snodo processuale. Tale limitazione ha un effetto stabilizzatore dell’esecuzione nei confronti di tutti i creditori partecipanti, siano essi muniti o meno di
titolo: stando a Cass., S.U., 7-1-2014, n. 61, cit., l’opposizione all’esecuzione proposta anche solo nei confronti del creditore procedente è infatti in grado di caducare
l’intera esecuzione nei soli casi in cui il motivo di opposizione sia comune a tutti i
creditori partecipanti, come tipicamente accade, ad es., nel caso dell’impignorabilità dei beni e/o della validità dello stesso pignoramento, e come può ritenersi
accada nel caso in cui si contestino i presupposti processuali generali comuni alle
azioni di tutti i creditori (es. giurisdizione, competenza, ecc.).
dell’art. 615 c.p.c. e successivamente riformulate con le modalità dell’art. 512 c.p.c. È evidente quindi
il guadagno per il sistema giudiziario nel suo complesso. Altrettanto evidente è però la deminutio per
gli altri soggetti dell’esecuzione (il debitore, non meno che i creditori, in relazione ai rispettivi interessi)
che scontano la riduzione del margine di possibili contestazioni in sede esecutiva»; è comunque opportuno ricordare che l’A. si mostra critica nei confronti dell’impostazione così legittimata (v. ivi). Con un
certo disincanto pratico, afferma BOVE, Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 12, nota 31, che «l’introduzione di
una preclusione in ordine alla possibile proposizione dell’opposizione all’esecuzione non mi sembra
che possa avere risvolti pratici di una qualche apprezzabilità. A parte il mantenimento di alcune (inevitabili) eccezioni alla regola, mi sembra che il punto vero sta nel rilevare che le opposizioni di questo tipo
sono sempre sollevate subito, a seguito della notifica del precetto o, al più, a seguito del pignoramento,
senza perdere tanto tempo».
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Tra le contestazioni di merito, e non di rito, può farsi rientrare, in particolare, la contestazione del
“titolo” in senso sostanziale, e cioè della fattispecie costitutiva del credito in relazione all’atto di diritto
sostanziale (sottostante il titolo esecutivo in senso formale ex art. 474 c.p.c.), ad es. per mezzo della
dichiarazione di nullità, annullamento, simulazione, ecc. dell’atto negoziale, o dell’impugnazione e/o
dichiarazione di inesistenza del provvedimento giudiziale costituente titolo esecutivo, ecc.
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Una considerazione interessante riguarda, poi, l’individuazione del termine finale
per l’opposizione all’esecuzione, per cui si può rilevare la differenza di preclusione
temporale tra quest’ultima, ricollegata all’adozione del provvedimento liquidatorio ex artt. 530, 552 e 569 c.p.c., e l’opposizione agli atti, per la quale gli artt. 530
e 569 c.p.c. “anticipano” la preclusione alle rispettive “udienze” – secondo una
dizione che è stata interpretata in dottrina come da ricollegarsi alla prima udienza
fissata per la deliberazione sulle modalità di vendita e/o assegnazione, e non all’adozione del relativo provvedimento57 – e instaurano un regime di “pregiudizialità” tra
rito e merito, imponendo al g.e. di risolvere prima l’opposizione rituale proposta e
solo dopo consentendogli di procedere in ordine alla liquidazione. Così, dunque, il
processo esecutivo deve innanzitutto essere “depurato” dalle questioni formali che
possono costituire oggetto di opposizione ex art. 617 c.p.c., da proporsi «a pena di
decadenza» entro la prima udienza deliberativa delle modalità di liquidazione, e
solo dopo può ancora occuparsi delle questioni di “merito processuale” (condizioni
dell’azione e presupposti processuali) che sono deducibili con l’opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., ma solo fintantoché non sia adottato il provvedimento
di liquidazione di cui agli artt. 530, 552 e 569 c.p.c., termine oltre il quale, salve
sopravvenienze o decadenze non imputabili (v. art. 615, 2° co., ult. inciso, c.p.c.),
rimangono contestabili le sole questioni attinenti al “merito sostanziale” della pretesa esecutiva, e dunque all’esistenza e/o ammontare del credito.
Il legislatore ha invece omesso di disciplinare l’ipotesi in cui l’opposizione all’esecuzione sia stata tempestivamente proposta, ma non seguita da sospensione. A
tal riguardo, mi pare innanzitutto che la fissazione di un termine di ammissibilità
dell’opposizione non possa escludere la procedibilità delle opposizioni precedentemente proposte58, né possa aver implicato l’implicita introduzione di un’ipotesi
di sospensione obbligatoria dell’espropriazione nelle more del completamento
dell’opposizione, sulla scorta di quanto, per l’opposizione agli atti, è previsto dagli
artt. 530, 4° co., e 569, 5° co., c.p.c.59. E così, sulla questione non posso che riproV. ORIANI, L’opposizione agli atti, cit., 177 ss., 186 ss., testo e nota 194.
Negli stessi termini, prima della riforma, si era orientata la maggioranza della dottrina, come
conferma la panoramica offerta da VINCRE, op. cit., 239 ss., che evidenzia «un certo consenso riguardo
alla possibilità di far proseguire l’opposizione dopo la liquidazione, anche tra chi ne nega, invece, la
proponibilità in quella fase»; possibilità che, rileva condivisibilmente l’A., non pone più problemi di
coordinamento in relazione alla disciplina della sospensione (art. 624 c.p.c.), ora facoltativa anche per
l’art. 512 c.p.c. Certamente, ove non si voglia ritenere che l’art. 512 c.p.c. abbia ormai a oggetto il
mero diritto al concorso, e si voglia difendere l’idea che l’oggetto sia ancora il diritto di credito dei
concorrenti, il principale problema di coordinamento è costituito dal differente schema processuale
previsto per i due rimedi (artt. 615 c.p.c. e 512 c.p.c.); problema che, tuttavia, può essere sensibilmente
attenuato ove si condivida, come proposto, l’idea che l’“impugnazione” dell’ordinanza risolutiva delle
controversie ex art. 512 c.p.c. apra un processo di cognizione in tutto e per tutto uguale, nello svolgimento, al giudizio di opposizione ex art. 615 c.p.c.
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In senso conforme, BOVE, Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 10.
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porre le soluzioni che la dottrina60 e la giurisprudenza61 avevano già fornito, precisando che, in difetto di sospensione, l’eventuale accoglimento dell’opposizione ex
art. 615 c.p.c., in un momento in cui la vendita sia già stata realizzata, non possa
incidere sulla validità di quest’ultima, che deve rimanere ferma, in virtù di un principio di tutela dell’acquisto del terzo che va oltre le tipiche manifestazioni degli
artt. 2929 c.c. e 187-bis disp. att. c.p.c. L’unico effetto dell’accoglimento “tardivo”
dell’opposizione, dunque, rimane l’esclusione dal riparto del creditore contestato (e
degli intervenienti interessati dallo specifico motivo di opposizione).
Ai fini dell’interpretazione fornita in queste pagine, rimane infine da valutare
un elemento “elastico” della formula legislativa: il riferimento alla “clausola di
salvezza” dell’opposizione nel caso in cui questa sia fondata su fatti sopravvenuti
ovvero laddove l’opponente dimostri di non aver potuto proporla tempestivamente
per causa a lui non imputabile.
Ora, al di là della salvezza delle sopravvenienze – che, se da un punto di vista tecnico è senz’altro accettabile, non altrettanto utile sembra dal punto di vista pratico,
poiché non mi sovvengono ipotesi in cui i difetti del titolo (nel senso di atto processuale, e non del suo contenuto materiale, che rimane contestabile anche attraverso
l’art. 512 c.p.c.), delle condizioni dell’azione (es. pignorabilità) e/o dei presupposti processuali (es. giurisdizione, legittimazione soggettiva, capacità, litisconsorzio,
ecc.) possano effettivamente sopravvenire, con l’unica eccezione dell’intervento
tardivo di creditori titolati62 –, può ritenersi che, con tale clausola, il legislatore,
Per indicazioni, v. NASCOSI, op. cit., 216 ss.; VINCRE, op. loc. ult. cit. Sulla questione della “riproponibilità” dei motivi di opposizione esecutiva tramite contestazione ex art. 512 c.p.c., v. nota 34.
61
V. Cass., S.U., 28-11-2012, n. 21110, CorG, 2013, 387 ss., con nota di CAPPONI, Espropriazione
forzata senza titolo esecutivo (e relativi conflitti).
62
Nel qual caso, volendo dare credito all’idea che la posizione dell’interveniente titolato sia contestabile attraverso l’opposizione ex art. 615 c.p.c., dovrebbe ritenersi ancora possibile l’azione oppositiva
(integrale) del debitore, sebbene vada ricordato che, essendo l’intervento tardivo successivo al provvedimento che dispone in ordine alla vendita/assegnazione, i poteri del creditore titolato sono ormai praticamente parificati a quelli del creditore non titolato. Un ulteriore caso di “sopravvenienza” potrebbe
avverarsi laddove, dopo un primo provvedimento di liquidazione, il procedimento si interrompa e
debba ricominciare da capo, con un nuovo provvedimento, come potrebbe accadere, ad es., nei casi di
inadempienza dell’aggiudicatario o di esito infruttuoso delle procedure di vendita disposte dal g.e., ove
ciò non fosse stato previsto nell’originario provvedimento; e tuttavia, mi sembra che questa ipotesi non
rientri nella formula legislativa, la quale richiede che l’opposizione sia «fondata su fatti sopravvenuti», e
non già che possa essere proposta per fatti anteriori, quando una sopravvenienza renda necessaria (ove
possibile) la pronuncia di una nuova ordinanza di liquidazione. Più plausibilmente, potrebbe costituire
idonea sopravvenienza l’adozione del provvedimento di integrazione del pignoramento ex art. 540-bis
c.p.c. in sede di espropriazione mobiliare, laddove il giudice può, anche dopo l’avvenuta distribuzione,
ordinare l’integrazione del pignoramento se «la somma assegnata (…) non è sufficiente a soddisfare le
ragioni dei creditori», nel qual caso sarebbe possibile contestare la pignorabilità dei beni successivamente vincolati. BOVE, Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 11, nota 28, propone l’esempio della «sopravvenuta
caduta del titolo esecutivo», che tuttavia ho ricondotto, secondo l’impostazione seguita nel testo, ai
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anche in considerazione del potenziale (e spesso notevole) lasso di tempo intercorrente tra i due momenti, abbia voluto prevedere una parentesi temporale intermedia, tra l’adozione dell’ordinanza liquidativa e la conclusione del procedimento
di vendita/assegnazione, in cui la decadenza dall’opposizione sia, in casi specifici,
recuperabile, con l’effetto di rendere ancora contestabile l’esecuzione per i motivi
d’ordine sopra indicati, e ciò anche quando la decadenza sia dipesa dall’inattività
– purché incolpevole – del debitore. In tali casi, laddove si tratti, com’è tipico, di
difetti che “accomunano” tutti i creditori partecipanti all’esecuzione (es. pignorabilità del bene, giurisdizione del g.e., ecc.), il recupero della contestazione dovrebbe
implicare la caducazione dell’azione esecutiva “litisconsortile”, poiché, in difetto
dei “comuni” presupposti dell’azione, tutte le posizioni creditorie sono destinate a
retrocedere dinanzi alla tutela del debitore.
D’altra parte, non si può trascurare di rilevare che, proprio a causa del consistente lasso di tempo che solitamente intercorre tra l’emissione dell’ordinanza di
liquidazione e il completamento della relativa fase (pari anche a diversi anni), la
modifica dell’art. 615 c.p.c. determina di fatto una parentesi temporale in cui sussiste un “vuoto di tutela” per il debitore, il quale non può più contestare l’esecuzione
nei suoi aspetti rituali, e non può ancora contestare i crediti dei partecipanti nei
loro presupposti sostanziali. Tale circostanza è stata oggetto di riflessione da parte
della Commissione Giustizia del Senato, in sede di esame del d.d.l. 2362/XVII/S, di
conversione del d.l. 59/2016, la cui relazione non solo conferma quanto ho sin qui
sostenuto, e cioè che la preclusione dell’opposizione all’esecuzione «non impedirà
al debitore di effettuare le medesime contestazioni nel corso del processo esecutivo,
potendo le stesse essere svolte nella fase – comunque cruciale per i creditori – di
distribuzione del ricavato dalla vendita» (sebbene tale possibilità venga vista, tutto
all’opposto, come un’incongruità del disegno legislativo), ma anche segnala che «la
norma si presta a possibili rilievi di incostituzionalità per violazione dell’articolo 24
della Costituzione, in quanto preclude all’esecutato la difesa per tutta la fase della
liquidazione (che potrebbe essere anche molto lunga, dato che al provvedimento
che dispone la vendita potrebbero seguire numerosi tentativi di vendita nel corso di
anni)»; la norma, tuttavia, non è stata rivista dalla legge di conversione.
4. Il rafforzamento (indiretto) della teoria sulla stabilità degli esiti esecutivi.
Per quanto ho fin qui detto, risulta chiaro che gli effetti immediati e concreti
della modifica legislativa saranno avvertiti a proposito dei rapporti, tutti interni
motivi di contestazione “nel merito” della pretesa creditoria, e quindi già spendibili con lo strumento
dell’art. 512 c.p.c.
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all’espropriazione forzata, tra opposizione all’esecuzione e controversie distributive. Ciò nonostante, credo che la recente modifica possa almeno stimolare una
riflessione sistematica sulla stabilità dell’esecuzione forzata in termini generali63.
Credo infatti che, nonostante la formulazione della littera legis dimostri che lo
scopo immediato era altro, emerga uno spirito legislativo orientato nel senso di
costringere e contingentare le reazioni di contestazione entro precisi termini processuali, per evitare un allungamento ad infinitum della funzione satisfattiva dell’esecuzione e per andare incontro all’esigenza, sempre più sentita, che l’esecuzione
forzata costituisca un momento di attuazione piena, effettiva e tempestiva della
tutela giurisdizionale dei diritti64.
Ho indicato, in apicibus, che l’impostazione ermeneutica storicamente dominante
è quella che ritiene il processo di esecuzione inidoneo all’attività decisoria, che è
riservata alle parentesi oppositive, e avente invece natura prettamente attuativa.
Ebbene, questa impostazione, che dal punto di vista legislativo e sistematico è in
buona misura logica e coerente, ha tuttavia talvolta legittimato l’idea che l’esecuzione
forzata sia una forma di tutela non tanto “diversa”, quanto deminuta o comunque
più limitata rispetto alla tutela di cognizione, quest’ultima soltanto essendo in grado
di fornire risultati stabili (l’accertamento passato in giudicato ex artt. 324 c.p.c. e
2909 c.c.), e potendo invece la prima solo garantire una soddisfazione materiale del
diritto del creditore, senza però una risoluzione autoritativa e definitiva del conflitto
esecutivo, così perennemente soggetto alla successiva, eventuale azione del debitore
mirante alla restituzione dell’indebito (artt. 2033 ss. c.c.), nient’affatto preclusa dal
compimento favorevole dell’esecuzione65.
In senso contrario, BOVE, Sugli ultimi “ritocchi”, cit., 10-11, secondo cui, innanzitutto, è giusto
dire che «di fronte a questa previsione (…) l’interprete debba semplicemente prendere atto di una
scelta del legislatore, senza in particolare trarne ulteriori conseguenze, che non sembrano necessitate.
Insomma, prendendo atto della previsione, non si può ricavare da essa altro se non semplicemente
quello che dice», e, quanto a (un aspetto de)l problema specifico, che «dalla preclusione del rimedio in parola in pendenza della procedura esecutiva nulla si può ricavare in ordine alla stabilità della
distribuzione. Questa è e continuerà ad essere assai dibattuta, restando a me solo l’onere di ribadire
la mia adesione all’idea per cui l’esecutato senza debito, che non abbia in precedenza speso il rimedio
preventivo datogli dall’art. 615 c.p.c., potrà sempre agire successivamente per farsi restituire quanto
“pagato” ingiustamente».
64
Per alcune indicazioni, v. la rassegna di STORTO, Esecuzione forzata e diritto di difesa nella giurisprudenza costituzionale, REF, 2009, 155 ss.; nonché, recentemente, le considerazioni di TROCKER, Le esecuzioni civili tra giusto processo e pacifico godimento dei beni: insegnamenti e moniti della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo, in CAPPONI-SASSANI-STORTO-TISCINI (a cura di), Il processo esecutivo. Liber amicorum
Romano Vaccarella, Torino, 2014, 96 ss.
65
In questo senso, tra tutti, bisogna ricordare il pensiero di ALLORIO, Saggio polemico, cit., 3 ss., e
ID., Nuove riflessioni critiche, cit., 57 ss., spec. 79 ss., il quale, sulla base della ritenuta «correlazione
necessaria e indissolubile tra giurisdizione e accertamento», considera l’esecuzione come un’attività
meramente «operativa e pratica», e perciò la ritiene simile «piuttosto alla amministrazione che alla giurisdizione in senso proprio»; v. pure TOMEI, Cosa giudicata, cit., 827 ss., spec. 851 ss., che esclude ogni
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È proprio in questa prospettiva che il problema della “stabilità” dell’esecuzione
forzata è stato indagato in dottrina e giurisprudenza, ricevendo, specie nella prima,
soluzioni contrastate, sebbene non raramente inclini a riconoscere una cristallizzazione, seppure secundum eventum, degli esiti esecutivi66; e ottenendo, invece, dalla
giurisprudenza, anche recente, indicazioni più dirette, e favorevoli al riconoscimento, al provvedimento di chiusura (positiva) dell’esecuzione, di una valenza definitiva e stabile, nei termini della preclusione pro iudicato67. Ed è il caso di precisare
che un autentico effetto definitivo può aversi solo se a essere preclusa sia non solo la
contestazione (postuma) della distribuzione forzata del ricavato – come atto esecutivo di ripartizione e pagamento dei crediti –, ma anche e soprattutto la rivisitazione
dei rapporti sostanziali tra debitore e creditore soddisfatto, nei limiti in cui ciò sia
avvenuto per effetto dalla positiva conclusione del processo di esecuzione; e inoltre,
ciò dovrebbe essere riconosciuto non limitatamente all’espropriazione, ma anche
comprendendo gli esiti dei processi di esecuzione c.d. in forma specifica, accomunati dalla funzione satisfattiva e dalla ricorrenza del requisito del titolo esecutivo e
dell’onere di opposizione esecutiva.
Sul punto, avevo già scritto68 che, se è ragionevole ritenere, com’è diffusamente
riconosciuto69, che al debitore sia precluso, una volta conclusasi l’esecuzione, di
rimettere in discussione la distribuzione del ricavato come atto processuale, non
mi sembra del tutto peregrino ritenere che gli sia, parimenti, inibito di chiedere la
dichiarazione di inesistenza del credito soddisfatto (con efficacia sostanziale) con
l’esecuzione, in quanto, mediante la concessione del potere di azione ex art. 615
c.p.c. (ed ex art. 512 c.p.c.), si consente all’esecutato l’attivazione di una cognizione
piena ed esauriente sul diritto dedotto in executivis e sulla legittimità e giustizia
efficacia sostanziale definitiva dell’esecuzione in virtù della ritenuta “sommarietà” dell’azione esecutiva,
che sarebbe del tutto astratta e autonoma rispetto al diritto sostanziale e produrrebbe un risultato meramente processuale, ma non estensibile all’accertamento, neanche solo parziale, del credito vantato in
esecuzione; più recentemente, LUISO, Diritto processuale civile, III, 6a ed., Milano 2011, 180 ss., rileva,
a proposito dell’efficacia della distribuzione del ricavato, che «l’espropriazione forzata ha la funzione
di soddisfare crediti, attraverso la surrogazione (processuale) della inattività (sostanziale) di colui che
è obbligato a pagare una somma di denaro. Di fronte all’inattività di colui che è obbligato, secondo il
titolo esecutivo, ad adempiere, c’è l’attività giurisdizionale sostitutiva; non sussiste alcun motivo, in
virtù del quale tale attività sostitutiva produca effetti ulteriori rispetto a quelli propri della sua funzione,
che consiste nel sostituire un adempimento; l’accertamento che l’adempimento è dovuto sul piano del
diritto sostanziale costituisce un quid pluris estraneo ed esterno alla funzione dell’esecuzione forzata; è
un problema proprio del processo di cognizione. Quindi dare alla distribuzione del ricavato una stabilità sostanziale preclusiva, che non ha il pagamento spontaneo, significa dare all’esecuzione forzata un
effetto eccedente la sua funzione».
66
V. nota 22.
67
V. riferimenti, da ultimo, in CAPPONI, Il giudice dell’esecuzione, cit., 1460.
68
V. nota 15.
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Per indicazioni, v. opp. locc. citt. in nota 22.
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del processo, in mancanza della quale la soddisfazione del creditore deve ritenersi
incontestabile con rimedi cognitivi postumi, alla stessa stregua di quanto accade nei
processi sommari autonomi a contraddittorio eventuale70.
Questa volontà, latente ma pur sempre evincibile dall’intervento del maggio
2016 – basti chiedersi, ad es., che senso avrebbe fissare un termine di preclusione
per l’opposizione (di rito), se fosse poi concesso contestare la medesima questione
a esecuzione conclusa –, beneficia senz’altro di altri indici interpretativi e di riflessioni sistematiche alle quali può essere agganciata. La previsione di un rimedio
speciale per l’esecuzione illegittima e/o ingiusta – all’interno di una cornice processuale perfettamente aderente all’idea di attività giurisdizionale71, caratterizzata dai
principi della domanda, della difesa e del contraddittorio72 – consente infatti, se
non impone, di concepire l’azione oppositiva come un onere processuale, e perciò
come uno strumento che mette «a carico della parte le conseguenze della sua inerzia
(stimolandola ad agire) col disporre che un certo risultato utile alla parte medesima
non possa essere conseguito altrimenti che mediante la sua attività»73. La stabilità
degli effetti dell’esecuzione forzata è, in questi termini, naturale conseguenza della
logica oppositoria che caratterizza il giudizio di cui all’art. 615 c.p.c.: se, infatti,
l’opposizione è un “rimedio necessario” avverso una situazione pregiudizievole
all’opponente, in quanto unico mezzo per rimuovere il pregiudizio, è contraddittorio escluderne proprio il carattere tipizzante: la necessità; e come potrebbe definirsi
necessario uno strumento che può essere sostituito da un’azione di accertamento
negativo a esecuzione compiuta?
In un contesto processuale che, oltre a essere caratterizzato dal meccanismo della
preclusione, si ispira ai doveri di correttezza, lealtà e buona fede, ritengo giusto
escludere che il debitore – dopo lo svolgimento per intero di un processo giurisdizionale di cui egli è (stato) “parte”74, senza avere mai manifestato resistenza all’attiPer concise e precise indicazioni al riguardo, non posso che rimandare all’acuta intuizione di
MONTESANO, La tutela giurisdizionale dei diritti, Torino, 1985, 243 ss., spec. 248, secondo cui «la mancata opposizione (instaurante la normale cognizione) – successiva (…) o preventiva (…) – dà, certamente, luogo ad una stabilità del provvedimento che non si esaurisce nella mera impossibilità del
soggetto passivo di paralizzare l’esecuzione e quindi nell’onere dello stesso soggetto di attendere la
compiuta esecuzione per contestare il diritto contro di lui fatto valere (…)».
71
La natura giurisdizionale dell’esecuzione – per cui, già prima del codice del 1940, si era espresso
CHIOVENDA, Sulla natura dell’espropriazione forzata, RDPr, 1926, 85 ss. – è ormai unanimemente riconosciuta (da ultimo, v. VACCARELLA, Esecuzione forzata, REF, 2007, 1 ss.), e va difesa anche a fronte delle
più recenti tendenze nel senso di una sua “degiurisdizionalizzazione” (su cui v. i rilievi di CAPPONI, Il
giudice dell’esecuzione, cit., passim).
72
Su questi aspetti, per un’indagine approfondita, v. LA CHINA, L’esecuzione forzata e le disposizioni
generali del c.p.c., Milano, 1970, passim.
73
CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, I, Milano, 1936, 409.
74
La notifica del precetto e la comunicazione del primo atto dell’esecuzione sono infatti suscettibili
di far acquisire al debitore la qualità di parte del processo, a prescindere da una sua costituzione in
70
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vità esecutiva, compiuta con grande impiego di tempo e risorse – possa rimettere in
dubbio quanto fatto, attraverso una reazione tardiva75, che vizierebbe di precarietà
ogni esecuzione, e soprattutto ridurrebbe l’attività giurisdizionale esecutiva al mero
ausilio al creditore della forza dello Stato per ottenere la prestazione dovuta, senza
al contempo garantire la legittimità e la giustizia di quell’utilizzo, in una deminutio
privatistica o amministrativa76. Per garantirsi la stabilità dell’attribuzione, il creditore sarebbe allora costretto a esercitare previamente un’azione di mero accertamento positivo del credito, il che tuttavia è proprio quanto – con fatica e dopo
un’evoluzione durata secoli – il nostro sistema ha escluso, “condizionando” ogni
controllo all’azione del debitore77, e comunque esaltando la natura autenticamente
giurisdizionale della funzione esecutiva, unita a quella dichiarativa dalla comune
finalità di tutela dei diritti, e parimenti tributaria delle fondamentali garanzie del
giusto processo.
In questo senso, il valore definitivo dell’atto satisfattivo finale si giustifica per la
presenza dell’autorità della giurisdizione, che impegna l’ordinamento giuridico nel
suo complesso nella funzione di risoluzione dei conflitti tra privati, e per il riconoscimento di adeguate garanzie di difesa al debitore, attraverso la previsione di
rimedi cognitivi da utilizzare nei tempi e modi richiesti dall’ordinamento del processo.
giudizio a mezzo difensore, esattamente come accade nel processo di cognizione con la notifica della
domanda introduttiva.
75
Condivido quanto afferma BUCOLO, L’opposizione, cit., 416, secondo cui «chi non si giova del
rimedio che la legge gli pone a disposizione è segno che può tollerare il relativo pregiudizio e la certezza
dei diritti esige che, verificatosi un certo evento (l’assegnazione o la distribuzione), del diritto soddisfatto non si discuta più. Verrebbe meno l’interesse ad agire (autonomamente e post executionem) posto
che un tale interesse è stato negletto o pretermesso nel periodo e nella fase tutelata».
76
Certo, l’esecuzione forzata poteva anche essere affidata a organi amministrativi, ma ciò non è
stato, e l’interpretazione deve tenere conto di quello che è, non di quello che potrebbe o avrebbe potuto
essere. Ha ragione LA CHINA, L’esecuzione forzata, cit., 44, a dire che «attività di natura esecutiva possono essere e sono, in uno od altro ordinamento, commesse ad uffici amministrativi (…); riconosciamo
insomma il carattere non sempre indiscutibile del criterio soggettivo per esprimere le massime qualifiche delle attività statali (…). Però (…) noi non possiamo sfuggire al senso di un nostro preciso limite:
noi non vogliamo sapere quale sia la funzione del giudice nello Stato, ma la funzione della Magistratura
italiana nello Stato italiano. E poiché in questo Stato v’è una Costituzione, che si occupa in ampiezza
e profondità dell’attività dei giudici, e ne fa un non trascurabile presidio delle libertà civili, anzi cardine di un delicatissimo equilibrio lato sensu politico, noi dobbiamo renderci conto che, in concreto,
l’escludere o l’includere l’esecuzione forzata nell’esercizio della funzione giurisdizionale significa per
un vastissimo settore di attività pubblica il sottrarlo all’applicazione di fondamentali direttive costituzionali oppure il lasciarvelo sottoposto». Sul tema dell’importanza della figura del g.e. all’interno del
processo di esecuzione forzata italiano, pur a fronte delle pressioni internazionali per la semplificazione
dell’esecuzione, anche tramite la limitazione del ricorso al giudice, v. recentemente CAPPONI, Il giudice
dell’esecuzione, cit., 1447 ss., che peraltro evidenzia la costante crescita del rilievo e della complessità
tecnica dell’attività del g.e.
77
Su questi aspetti, v. l’insuperata ricostruzione storica di LIEBMAN, op. cit., 1 ss.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Un indizio testuale della stabilità degli esiti satisfattivi dell’esecuzione forzata
può essere rinvenuto nell’art. 494 c.p.c., che, sebbene riferito a una fattispecie
ben delimitata, consente un ragionamento induttivo generale. Tale norma legittima il debitore, nel caso in cui si debba procedere a pignoramento mobiliare
presso di lui, a versare nelle mani dell’ufficiale giudiziario una somma di denaro
per evitare il pignoramento, arrestando l’incipiente esecuzione, attraverso un vero
e proprio pagamento78 a un adiectus solutionis causa79. Tale pagamento – seppur
effetto “indiretto” dell’esecuzione, in quanto proveniente da una “volontaria”
disposizione della parte debitrice – è effettuato nel processo di esecuzione, che può
ritenersi, in questo senso, già iniziato con la notifica del precetto80, ed è dunque
un pagamento “forzato”81, perché stimolato dall’interesse di evitare il pignoramento, e peraltro effettuato a misura dell’esecuzione, dato che il suo ammontare
deve coprire per intero «la somma per cui si procede e l’importo delle spese». Il
secondo comma della disposizione prevede che «all’atto del versamento si può
fare riserva di ripetere la somma versata», con una norma che, se è stata ritenuta
inutile da alcuni82, è invece considerata il perno per l’affermazione del principio
satisfattivo da altra parte della dottrina83, che ne ricostruisce la natura di atto processuale, perciò distinto dal pagamento spontaneo avvenuto tra privati, che, al
ANDRIOLI, op. cit., 88.
PUCCIARIELLO, sub art. 494 c.p.c., in COMOGLIO-CONSOLO-SASSANI-VACCARELLA (diretto da), Commentario del codice di procedura civile, VI, Torino, 2013, 354; SATTA, op. cit., 157.
80
In questo senso, v. soprattutto CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile. Il processo di
esecuzione, II, Padova, 1931, 23 ss.; SATTA, op. cit., 108. Sul dibattito, anche per indicazioni bibliografiche in senso contrario, v. TOMEI, I difficili nodi, cit., 2399 ss., che riprende e valorizza la posizione favorevole già espressa da LIEBMAN, Per la nozione dell’atto di precetto, FI, 1931, I, 489 ss.; per
un’analisi ex professo della problematica dell’individuazione della «domanda esecutiva», v. SALETTI,
Processo esecutivo e prescrizione. Contributo alla teoria della domanda esecutiva, Milano, 1992, passim,
spec. 67 ss., ove l’A. evidenzia che «il processo esecutivo, anche nel caso di espropriazione, sorge
direttamente a seguito degli atti in cui è formulata la domanda di esecuzione», e cioè del «precetto e
d(e)lla domanda della sua attuazione»; «a questo proposito non si può dimenticare che è stato messo
in luce come le nozioni di “esecuzione forzata”, da un lato, e di “processo esecutivo”, dall’altro, non
coincidono; la seconda è più ampia della prima, sicché l’esecuzione non costituisce che una fase del
processo esecutivo».
81
SATTA, op. cit., 158.
82
ANDRIOLI, op. cit., 88.
83
In particolare, MAZZARELLA, Pagamento ed esecuzione forzata (note esegetiche sull’art. 494 c.p.c.),
RTPC, 1967, 254. In termini simili può valorizzarsi la posizione di SATTA, op. cit., 158, per cui «la legge
dice che il debitore, all’atto del pagamento, può fare riserva di ripetizione. Ciò non contraddice al
carattere del pagamento, perché questo è pur sempre forzato. La riserva appare anzi indispensabile per
mantenere il diritto alla impugnazione della sentenza: questo dovrebbe essere il senso della “possibilità” data al debitore di fare riserva». Meno decisamente, ma tuttavia in questo senso, REDENTI, op. cit.,
177, secondo cui «la “riserva di ripetizione” che può fare il debitore, pagando, è evidentemente quella
di agire contro il creditore in separata sede (e cioè attraverso un apposito giudizio di cognizione) con
la condictio indebiti».
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contrario, è meramente soggetto alle regole di cui agli artt. 2033 ss. c.c.84. Del
resto, il rilievo del momento processuale è confermato dal fatto che nella somma
da versare siano ricomprese le spese di esecuzione fino a quel momento occorse85. Un più chiaro indizio della processualità del fenomeno è poi rinvenibile nella
legittimazione ex lege dell’ufficiale giudiziario a ricevere il pagamento, in qualità
di appartenente all’ufficio esecutivo, mentre la natura privatistica del rapporto
richiederebbe un’espressa attribuzione di legittimazione a ricevere, evidentemente
mancante nel caso di specie86.
A ben vedere – e pure considerando che, diversamente, la norma sarebbe inspiegabile, oltre che inutile –, la previsione di riserva si giustifica esattamente con l’inquadramento processuale del pagamento, e la facoltà di riserva è da intendersi collegata
proprio all’opposizione all’esecuzione. Il versamento delle somme è fatto dal debitore in limine executionis, dopo la notifica del precetto, e perciò a processo iniziato,
anche se prima del pignoramento87, ed è commisurato all’esecuzione; la possibilità
(onere) della riserva si spiega con il rilievo che, in caso contrario, le somme versate
sarebbero soggette al regime di intangibilità degli effetti materiali dell’esecuzione
che propongo88. L’importanza generale della previsione è confermata dalla condivisibile interpretazione che, partendo dalla collocazione della norma nelle disposizioni generali sull’esecuzione, la ritiene applicabile a ogni forma di espropriazione,
e perciò anche a quella immobiliare e presso terzi, laddove ciò sia possibile prima
che si perfezioni il pignoramento89.
E questa conclusione deve valere per l’esecuzione in generale, e perciò non
solo per l’espropriazione, come risulta con maggiore facilità dall’intervento
sull’art. 615, 2° co., c.p.c., ma anche per le esecuzioni forzate in forma specifica, le
Per questa interpretazione, v. TOMEI, I difficili nodi, cit., 2416 ss.
A tal proposito, SATTA, op. cit., 158, prevede addirittura che «le spese che non siano indicate nel
precetto (come ad es. quelle relative alla procedura di pignoramento, anche se non eseguito) saranno
da lui (l’ufficiale giudiziario; n.d.r.) liquidate».
86
ANDRIOLI, op. cit., 88; SATTA, op. cit., 158. Sulla funzione «iuris publici» svolta dall’ufficiale giudiziario insiste anche REDENTI, op. cit., 177.
87
Sulla processualità dell’atto di precetto, e sulla sua attitudine a dare inizio all’esecuzione come
processo, v. supra, nota 80.
88
Analoga conclusione è raggiunta da TOMEI, I difficili nodi, cit., 2417 ss., sebbene lo stesso A. abbia
successivamente rivisto la propria posizione, escludendo qualunque effetto sostanziale ulteriore alla
mera «preclusione dei poteri processuali d’impugnazione, e cioè l’irrevocabilità ed inoppugnabilità
dell’atto conclusivo, senza che essa possa espandersi ulteriormente e venire ad incidere in modo incontestabile sulla realtà sostanziale del rapporto controverso» (ID., Cosa giudicata o preclusione, cit., 860).
89
In tal senso, SATTA, op. cit., 157, che tuttavia rileva che «è (…) evidente che la sola pratica applicazione potrebbe trovarla nella espropriazione mobiliare, per la diretta e immediata aggressione dei
beni che questa comporta». Per la possibilità di applicare l’istituto anche nei casi di «pignoramento
per notificazione», comunque, v. ANDRIOLI, op. cit., 89; VERDE, voce Pignoramento in generale, Enc. dir.,
XXXIII, Milano, 1983, 779.
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quali pure sono idonee a fornire un beneficio di natura sostanziale che, in quanto
ottenuto nel rispetto di un iter processuale assistito da idonee garanzie difensive
per il debitore, non può più essere messo in discussione a esecuzione conclusa.
Tuttalpiù, può rilevarsi che, in virtù delle peculiarità, soprattutto “temporali”,
di svolgimento delle esecuzioni c.d. in forma specifica90, è opportuno consentire
eccezionalmente una parentesi più ampia per la contestazione; per queste, infatti,
lo schema procedimentale è strutturalmente più semplice e tendenzialmente più
breve rispetto all’espropriazione, intercorrendo un minore lasso di tempo tra la
notifica del precetto e il compimento dell’atto esecutivo finale, così che il debitore
ha a disposizione un più breve spatium decidendi in ordine all’esercizio dell’opposizione. In questi casi, tra l’alternativa di escludere l’effetto stabilizzante e quella
di riconoscerlo in ogni caso, ritengo sia coerente tenere fermo il principio dell’irrevocabilità dell’atto esecutivo, e tuttalpiù consentire che l’opposizione possa essere
azionata anche dopo il provvedimento di chiusura dell’esecuzione, purché non
oltre il termine di venti giorni dal compimento dell’atto finale, alla stessa stregua
di quanto accade per l’opposizione agli atti (art. 617 c.p.c.), che, d’altra parte,
rimane proponibile e che, dunque, consente di ritenere che il processo esecutivo
sia ancora aperto alla contestazione del debitore, sebbene entro un termine finale
preciso e piuttosto stretto91.
In effetti, il problema dell’individuazione del “termine finale” per la proposizione dell’opposizione si dimostra delicato soprattutto per le esecuzioni in forma specifica, laddove l’esigenza principale
è quella di fare in modo che «rimanga spazio temporale fra il momento di inizio e quello conclusivo»
(BONSIGNORI, L’esecuzione forzata, cit., 316); in ogni caso, per quanto mi interessa, il problema non è
tanto quello di individuare il momento terminale, che evidentemente «coincide con l’esaurimento delle
operazioni» pratiche (ID., ibidem), quanto quello di riconoscere che, nonostante la maggiore brevità del
termine rispetto all’espropriazione, anche nelle esecuzioni in forma specifica possano valere le regole
di efficacia e stabilità indicate nel testo. Afferma infatti ANDRIOLI, op. cit., 343, a proposito della forma
dell’opposizione nelle esecuzioni in forma specifica, che «l’interesse di delimitare l’ambito di applicazione del primo e del secondo comma dell’art. 615 (…) consiste nello stabilire se debba la opposizione
promuoversi con la forma della citazione o con quella del ricorso, ma non nel dedurre in tesi generale
la inesperibilità delle opposizioni alle esecuzioni dirette nell’ipotesi in cui queste siano già iniziate»; sul
problema pregiudiziale dell’ammissibilità delle opposizioni esecutive nell’esecuzione in forma specifica,
v. già DENTI, L’esecuzione forzata in forma specifica, Milano, 1953, 241 ss. Anche secondo MANDRIOLI,
Opposizione, cit., 445, «nelle esecuzioni dirette, il termine finale coincide con l’esaurimento delle operazioni. Il quale esaurimento è spesso talmente ravvicinato nel tempo al momento di inizio, da indurre
taluno a dubitare dell’esperibilità dell’opposizione in queste esecuzioni. Ma dottrina e giurisprudenza
non hanno ormai più dubbi al riguardo, alla sola condizione che rimanga spazio tra il momento di inizio
e il momento conclusivo». Nel caso di specie, considerando il termine minimo di dieci giorni (salvo
eccezioni, cfr. art. 482 c.p.c.) tra la notifica del precetto e l’inizio delle operazioni esecutive, e poi ancora
il tempo necessario per il compimento di queste ultime (cfr. soprattutto artt. 608 e 612 c.p.c.), fino al
cui esaurimento l’opposizione è esperibile, credo che, almeno normalmente, il debitore abbia tempo
sufficiente per difendersi, e non possa perciò eccepire alcunché dopo la chiusura delle operazioni, né
tantomeno ottenere una rimessione in termini.
91
A questo proposito, v. BONSIGNORI, L’esecuzione forzata, cit., 174.
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5. Cenni all’efficacia processuale e sostanziale dell’atto esecutivo.
Dopo aver detto ciò, mi sembra ancora utile precisare natura e limiti dell’efficacia dell’esecuzione forzata, al fine di cogliere la consistenza della situazione giuridica che con l’opposizione si intende contrastare. In effetti, quello a cui ho fin
qui accennato riguarda più la stabilità dell’esecuzione che non direttamente la sua
efficacia92. Anche per l’esecuzione, infatti, si può evidenziare un doppio profilo,
formale e sostanziale, processuale e materiale del provvedimento conclusivo93, allo
stesso modo di quanto avviene per il processo di cognizione94. Così, si può dunque
distinguere l’efficacia formale/processuale del provvedimento esecutivo (conclusivo) da quella sostanziale/materiale dello stesso.
L’efficacia processuale, in particolare, è l’attitudine, che il provvedimento esecutivo ha, a rispondere alla domanda di tutela del creditore, offrendo il bene giuridico
richiesto e chiudendo il relativo processo. Il provvedimento esecutivo è dunque
l’anello finale, di chiusura, della catena processuale (esecutiva), come sequenza
coordinata di atti e attività. Anche per il procedimento esecutivo valgono infatti
i principi della domanda, dell’impulso di parte e della corrispondenza tra chiesto
e pronunciato95, sicché è possibile instaurare un legame di dipendenza funzionale
tra la domanda e il provvedimento esecutivo, e vincolare quest’ultimo ai limiti della
domanda di tutela esecutiva proposta96.
Data la peculiare natura del processo di esecuzione, che riceve lo stimolo della
sola azione esecutiva e può perciò definirsi “a senso unico”, l’autonomia formale
è sicuramente evidente per il provvedimento positivo, cioè per quello che, sussi-
Per la distinzione tra efficacia e stabilità dell’esecuzione, v. già CARNELUTTI, Lezioni di diritto processuale civile. Il processo di esecuzione, I, Padova, 1929, 51 ss.
93
Sull’autonomia normativa della categoria del «provvedimento esecutivo», rispetto a quello di
cognizione, aveva focalizzato l’attenzione già CARNELUTTI, Lezioni, I, cit., 144 ss., spec. 148 ss.
94
Riservo qui attenzione al solo provvedimento conclusivo “positivo” dell’esecuzione forzata, perché, a differenza di quanto avviene nel processo di cognizione, solo il provvedimento “satisfattivo” è
suscettibile di manifestare effetti concreti (e definitivi), non solo dal punto di vista processuale, concludendo l’attività esecutiva, ma anche dal punto di vista materiale, essendo attributivo dell’utilità richiesta
in executivis. Ciò, chiaramente, non esclude l’esistenza di ulteriori provvedimenti di natura esecutiva
disseminati lungo l’intero procedimento, come aveva già intuito CARNELUTTI, op. loc. ult. cit., distinguibili in provvedimenti esecutivi ordinatori e provvedimenti esecutivi materiali, per i quali pure è predicabile un’efficacia materiale (es. pignoramento, vendita forzata, distruzione del bene, realizzazione
dell’opera, ecc.) e, in certi casi e al ricorrere di certe condizioni, una stabilità formale (es. vendita forzata
nei confronti del terzo acquirente).
95
V. LIEBMAN, I presupposti dell’esecuzione forzata, RDPr, 1953, 265 ss.; MARTINETTO, op. cit., 50
ss.; LA CHINA, L’esecuzione forzata, cit., 406 ss.; CONSOLO, voce Domanda giudiziale, Digesto/civ., VII,
Torino, 1991, 61 ss.
96
LA CHINA, L’esecuzione forzata, cit., 403 ss.; CONSOLO, op. loc. ult. cit.
92
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stendone i presupposti, fornisce al creditore l’utilità richiesta97, che è l’unico che
interessa in questa sede98.
Una volta chiarita l’efficacia processuale, non mi sembra dubitabile la possibilità
di riconoscere una “stabilità formale” al provvedimento esecutivo, poiché, quanto
ai “vizi”, o difetti generali del processo in cui è stato emesso, essi sono eccepibili
solo all’interno dello stesso, attraverso l’opposizione all’esecuzione, mentre i vizi
particolari degli atti esecutivi sono soggetti all’opposizione agli atti, da esercitarsi
entro il termine perentorio di venti giorni dal compimento (e/o dall’effettiva conoscenza o conoscibilità) dell’atto che si intende impugnare, a pena di sanatoria e/o
irrilevanza del vizio (più in generale, v. artt. 487, 617, 530, 569 c.p.c., 2929 c.c.).
Anche nell’esecuzione forzata, infatti, deve farsi applicazione della regola di conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c.), pienamente
replicata dall’art. 617 c.p.c.99. Anche dal punto di vista del giudice la conclusione
MARTINETTO, op. cit., 85 ss.
Non altrettanto sembrerebbe predicabile per il provvedimento “negativo” (in questo senso,
accenni in LIEBMAN, Le opposizioni, cit., 175 ss.), termine eterogeneo con cui mi riferisco ai diversi
provvedimenti con cui, in sostanza, si oppone un “rifiuto della tutela”, per i motivi più vari, dall’assenza
del diritto vantato, all’inesistenza del bene richiesto, passando per l’infruttuosità dell’espropriazione,
la dichiarazione di estinzione, l’assenza di un presupposto generale del processo, ecc. Anche in questi
casi, tuttavia, ritengo che, trattandosi di un provvedimento giurisdizionale e tenuto conto del fatto
che le disposizioni generali obbligano il giudice a emettere un provvedimento sulle richieste delle
parti (artt. 486-487 c.p.c.), valgano la regola dell’obbligo di pronuncia (divieto di non liquet) e il
principio della motivazione (sul tema, v. MARTINETTO, op. cit., 98 ss.); del resto, anche per il processo
esecutivo vale il divieto di omettere l’atto richiesto senza adeguata motivazione, sia che questo provenga dall’ufficiale giudiziario (art. 60 c.p.c.), sia che provenga dallo stesso giudice dell’esecuzione
(art. 3, l. 13-4-1988, n. 117). Per l’opinione favorevole all’emanazione di un provvedimento esplicito
anche in caso di rifiuto di tutela, MARTINETTO, op. cit., 114 ss.; JAEGER, Il rifiuto del pignoramento,
Studi urbinati, 1933, 1 ss. Peraltro, negli ultimi tempi è in atto un percorso di esaltazione “formale”
del processo esecutivo, anche riguardo ai provvedimenti denegativi della tutela, come ad esempio è
avvenuto con l’introduzione dell’art. 164-bis disp. att. c.p.c., che formalizza la chiusura del processo
di espropriazione per infruttuosità. In ogni caso, anche per il provvedimento negativo vale la constatazione che esso è idoneo a chiudere il processo, e tuttavia solo quel processo (come il provvedimento
di rito nel giudizio di cognizione), poiché non sottende una valutazione sull’esistenza/inesistenza della
pretesa creditoria, né può ricevere ausilio dal mancato esercizio delle opposizioni, per le quali la regola
dell’onerosità vale solo in caso di conduzione fino alla fine, con esito positivo, del processo di esecuzione. Un’eccezione potrebbe forse valere per quelle condizioni di rito del processo o dell’azione che
sono suscettibili di avere un’efficacia quantomeno “panprocessuale”, come ritenuto a proposito del
titolo esecutivo e del difetto di legittimazione ad agire; e tuttavia, affinché ciò si verifichi, è necessario
che il debitore proponga opposizione all’esecuzione, non potendo il giudicato “negativo” prodursi
in assenza di un “giudizio” o dell’operare del meccanismo dell’onere di opposizione; in questi termini, MARTINETTO, op. cit., 147 ss., che esclude qualunque efficacia preclusiva al provvedimento di
rigetto, basandosi sull’assenza di contraddittorio nel processo esecutivo e su un’applicazione analogica
dell’art. 640 c.p.c.
99
Sull’argomento, v. MANDRIOLI, Opposizione, cit., 452 ss.; ID., L’assorbimento dell’azione civile di
nullità e l’art. 111 Cost., Milano, 1967, 17 ss.; ANDRIOLI, op. cit., 350; LA CHINA, L’esecuzione forzata,
cit., 565 ss.; PROTO PISANI, Lezioni, cit., 734 ss.; ORIANI, L’opposizione agli atti, cit., passim, spec. 480
97
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non muta, poiché, se è vero che le ordinanze sono modificabili e revocabili, è pure
vero che tale intervento può aversi finché l’ordinanza «non abbia avuto esecuzione»
(art. 487 c.p.c.), il che comunque esclude che possa aversi revoca quando il processo
sia ormai chiuso; peraltro, in caso di chiusura del procedimento, lo stesso principio
varrà per gli eventuali decreti medio tempore pronunciati. Ne risulta che il provvedimento esecutivo conclusivo, che non venga “impugnato” nei modi opportuni, è
“irrevocabile” dal giudice che lo ha pronunciato e “incontestabile” dalle parti.
Ad analoga conclusione deve poi giungersi, a mio avviso, anche e soprattutto
per quanto concerne l’efficacia materiale del provvedimento esecutivo, e cioè, da
un lato, la sua capacità di incidere sui rapporti giuridici tra le parti del processo,
dall’altro, la sua idoneità a risolvere definitivamente il conflitto intorno al diritto
azionato in executivis. Quanto al primo profilo, l’effetto sui rapporti sostanziali delle
parti è indubitabile, ed emerge anzi con maggior forza rispetto a quanto non accada
col provvedimento cognitivo, per via della “materialità” del provvedimento esecutivo, ovvero della sua operatività diretta sui diritti oggetto dell’esecuzione (espropriazione, spossessamento, modifiche materiali di luoghi e cose, distribuzione di
somme, ecc.). Per quanto riguarda il secondo profilo, credo che la “definitività”
della risoluzione sia una necessità di ogni processo ispirato al principio del contraddittorio (in via ordinaria o eventuale). Tale conclusione, come detto, rinviene
le premesse e il supporto normativo nella predisposizione del sistema azione esecutiva-opposizione, e in particolare nella presenza di appositi rimedi per le illegittimità, irregolarità e ingiustizie del processo, e nella loro configurazione come “oneri
processuali”.
Devo però precisare i limiti di questa stabilità degli effetti, rilevando, innanzitutto,
che la conclusione raggiunta può valere integralmente solo per il provvedimento
satisfattivo, e non anche per quello di chiusura non satisfattiva dell’esecuzione. La
differente attitudine alla definitività del provvedimento, a seconda dell’esito (positivo o negativo) del processo di esecuzione100, non deve peraltro sorprendere, né
far pensare a una forma di “giudicato” secundum eventum litis, poiché ha una sua
giustificazione tecnica, che dipende dal semplice fatto che il processo esecutivo produce effetti materiali, e non accertamenti: a differenza di quanto accade nel processo
ss., ove l’A. ricorda che l’evoluzione interpretativa sull’opposizione agli atti ha contribuito «a soddisfare avvertite e diffuse esigenze di stabilità (degli atti, nonché) dei risultati e degli effetti sul piano
sostanziale prodotti dal processo esecutivo, impedendo che li si rimettessero in discussione, sulla base
di motivi deducibili nel corso dell’esecuzione, dopo processi durati magari per anni. Si sono così
scoperte le potenzialità dell’art. 161 c.p.c. (…): la disposizione non si limita a sottoporre all’identico
regime di impugnazione gli errores in procedendo e gli errores in iudicando che inficiano una sentenza,
ma intende collegare al mancato esperimento nel termine perentorio ex lege di rimedi apprestati per
reagire a vizi dell’atto l’impossibilità di denunciare detti vizi con un’autonoma azione in un autonomo
giudizio».
100
V. SATTA, op. cit., 215 ss.; REDENTI, op. cit., 198.
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di cognizione, qui non c’è l’alternativa tra dichiarazione di esistenza o inesistenza
del diritto dedotto, ma solo quella tra attribuzione del bene (con produzione degli
effetti sostanziali), e rigetto della domanda, senza produzione degli effetti e senza
accertamento (beninteso, al di fuori del sistema delle opposizioni). D’altra parte, a
differenza del processo di cognizione, il cui impianto è fisiologicamente regolato
per accogliere il contraddittorio tra le parti, il processo di esecuzione “ospita” il
contraddittorio (sul “merito” dell’azione) solo in caso di opposizione, mentre la
chiusura anticipata del processo impedisce di ritenere integrata ed esaurita la condizione di “potenzialità del contraddittorio”, cui è da ricollegare (l’efficacia materiale e) la stabilità degli esiti dell’esecuzione. Non bisogna dimenticare, infatti, che
la chiusura anticipata del processo esecutivo dipende sempre da questioni di rito,
generali o particolari, o da mere ragioni di convenienza e opportunità, e che dunque
l’esecuzione si conclude senza un “provvedimento sul credito” azionato, che non
può incontrare allora alcuna preclusione.
In secondo luogo, devo precisare che tale efficacia (satisfattiva e definitiva) è sicuramente predicabile per i creditori muniti di titolo esecutivo, e cioè per chi è in possesso dello strumento che l’ordinamento riconosce come chiave di risoluzione dei
conflitti (esecutivi) di attribuzione101. Al contrario, chi, non essendo in possesso del
titolo, abbia il (più limitato) diritto di intervenire nell’esecuzione da altri intrapresa
(v. artt. 499 ss. c.p.c.), esercita un’azione esecutiva sussidiaria, con finalità “meramente” satisfattiva, riconosciuta dall’ordinamento per ragioni di opportunità, ma
(probabilmente?) non parimenti tributaria della stabilità e irrevocabilità dell’azione
esecutiva ordinaria, proprio perché solo in quest’ultimo caso il legislatore prevede il
meccanismo azione-opposizione, e dunque soggezione (all’azione esecutiva)-onere
(di reazione oppositiva)102; anche se, a questo proposito, una soluzione del tutto
opposta potrebbe derivare dalla valorizzazione dello strumento di cui all’art. 512
c.p.c., specie se interpretato nel senso ampio proposto supra, e dunque identificando in quest’ultimo la (ultima) via per ottenere un accertamento pieno sul credito
vantato in sede di riparto, e così escludere, una volta e per tutte, la soddisfazione del
creditore intervenuto, anche senza titolo.
Procedendo lungo la linea del dettaglio, devo ancora precisare che la stabilità
degli effetti materiali dell’esecuzione è idonea a coprire solo il “concreto prodotto”
dell’esecuzione, e cioè quella porzione di diritto (di credito) soddisfatto con l’esecuzione103. Infatti, trattandosi di un meccanismo processuale strutturalmente diverso
rispetto a quello del giudicato – che interviene a conclusione di un processo il cui
Sull’argomento, mi sia ancora consentito il rinvio a MICALI, op. cit., 402 ss.
Per i creditori sforniti di titolo esecutivo, infatti, difettano, da una parte, la possibilità di esercitare l’azione esecutiva principale, dall’altra, la legittimazione passiva all’opposizione all’esecuzione.
103
V. opp. locc. citt. in nota 101.
101
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oggetto è la dichiarazione del quid iuris –, ed essendo tale prodotto assistito (solo)
dal sistema della preclusione, che è nozione più ampia104, è logico ritenere che tale
stabilità valga soltanto per il quid effettivamente ottenuto in esecuzione, restando
impregiudicata, a ogni altro fine, la parte ulteriore del credito o del diritto vantato105.
Ciò dipende dall’assenza di una domanda (e del corrispondente potere giudiziale)
di accertamento, qui sostituita da una richiesta di attuazione di una prestazione satisfattiva, che si specifica con lo svolgimento del processo attraverso la realizzazione
di un determinato risultato materiale, il quale è l’esclusivo oggetto dell’attribuzione
giudiziale.
Una conclusione diversa, ovviamente, si impone laddove il debitore abbia proposto l’opposizione all’esecuzione e questa sia stata rigettata, nel qual caso la sentenza
definitiva del giudizio è pienamente assimilabile a una sentenza di mero accertamento positivo del diritto, suscettibile di acquisire l’autorità di cosa giudicata ai
Sul concetto di “preclusione”, in rapporto a quello di “cosa giudicata”, è d’obbligo rinviare
all’opera iniziatrice di CHIOVENDA, Sulla cosa giudicata, in Saggi di diritto processuale civile, II, Milano,
1993, 399 ss.; ID., Cosa giudicata e competenza, ivi, 411 ss.; ID., L’idea romana nel processo civile moderno,
in Saggi di diritto processuale civile, III, Milano, 1993, 77 ss.; ID., Cosa giudicata e preclusione, ivi, 231
ss. Per alcune considerazioni, anche critiche, sul tema, v. ATTARDI, voce Preclusione (principio di), Enc.
dir., XXXIV, Milano, 1985, 894 ss.
105
Bisogna precisare che il concetto di “preclusione” non è integralmente idoneo, almeno nella
sua originaria (e più limitata) configurazione, a rispecchiare la situazione del creditore che può definitivamente e legittimamente ritenere quanto ottenuto in sede esecutiva, in quanto esso è riferibile, “al
minimo”, alla perdita di un potere processuale destinato a far valere un’eccezione di rito o di forma,
escluse le questioni di merito, per le quali si discute più propriamente di giudicato. Nel caso in esame,
invece, la situazione che rimane definitivamente stabilizzata, in mancanza di reazione processuale, è la
soddisfazione ottenuta dal creditore, e così una questione lato sensu di merito e non di rito. È evidente,
allora, che qui non si tratta semplicemente della «certezza della soluzione da dare a una questione»
(CHIOVENDA, Cosa giudicata e preclusione, cit., 256), bensì dell’attribuzione di un bene della vita, e
dunque della «certezza di godere senza ulteriore contestazione un diritto» (ID., ibidem). Il riferimento
alla preclusione non deve perciò ingannare, e va inteso oltre la mera «perdita o estinzione o consumazione, che dir si voglia, di una facoltà processuale per il solo fatto che si sono raggiunti i limiti dalla
legge segnati al suo esercizio» (CHIOVENDA, ivi, 232), per giungere sino alla soglia della preclusione che
vale pro iudicato (su questa nozione, v. REDENTI, Diritto processuale civile, I, Milano, 1957, 65 ss.; ID.,
Diritto processuale, III, cit., 105, 198, 307 ss.; MONTESANO, La tutela giurisdizionale, cit., 219 ss.; SATTA,
op. cit., 215 ss.; FAZZALARI, Cosa giudicata e convalida di sfratto, RTPC, 1956, 1304 ss.), ed è dunque tale
che, pur se ridotta al minimo, «nessun giudice possa accogliere domande dirette in qualsiasi modo a
togliere o diminuire ad altri un bene della vita conseguito in virtù d’un precedente atto di tutela giuridica rispetto alla stessa persona» (prendo in prestito le parole di CHIOVENDA, Sulla cosa giudicata, cit.,
407). Senza particolari strappi, perciò, posso dire che, se l’espressione “cosa giudicata”, per il corredo
di idee e conseguenze pratiche che richiama, è sconsigliata per l’esito dell’esecuzione, che è un fatto
“concreto” e non astratto (frutto di un’attività materiale e non di un accertamento), nessun problema
sussiste nel richiamare la preclusione, che è concetto assai più neutro, e nel riferire questa perdita di
facoltà processuali alla posizione del debitore, che – avendo consentito lo svolgimento dell’esecuzione
usque ad finem – non potrà più rimettere in discussione la soddisfazione ottenuta, in quel processo, dal
creditore procedente: ciò è impedito dal mancato utilizzo del rimedio individuato per l’esercizio del
contraddittorio, i.e. l’opposizione.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
sensi e nei limiti di cui all’art. 2909 c.c., e perciò capace di dichiarare l’esistenza del
diritto “una volta e per tutte”106: in tal caso, il credito vantato non sarà semplicemente soddisfatto con preclusione, nei limiti del realizzato, bensì “accertato”, con
una sentenza spendibile «a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa»107.
Il problema dell’oggetto del giudizio di opposizione all’esecuzione è tanto ampio da non poter
essere adeguatamente trattato in questa sede, e così mi limito a sottolineare che, data la natura di
“rimedio ostativo” di natura dichiarativa (v. BUCOLO, L’opposizione, cit., passim, spec. 15 ss.) avverso
la (concretizzazione della) pretesa esecutiva, e data la deduzione “integrale” del diritto di procedere a
esecuzione forzata (cfr. LIEBMAN, Le opposizioni, cit., passim, spec. 273 ss.), la sentenza definitiva (nel
merito) del giudizio di opposizione accerterà pienamente, a seconda dei casi, l’esistenza o l’inesistenza
dello stesso, e lo farà con l’efficacia tipica del giudicato. Per la conclusione dell’efficacia di accertamento pieno del rigetto della domanda, in relazione alle azioni di accertamento negativo in generale, v. di recente ROMANO, L’azione di accertamento negativo, Napoli, 2006, 264 ss.; sull’opposizione
all’esecuzione, v. poi le ulteriori riflessioni dello stesso A., ivi., 136 ss.; in tema, v. altresì BASILICO, La
tutela civile preventiva, Milano, 2013, 172 ss., spec. 176, secondo cui, nel caso di accertamento negativo, «se l’attore ha ragione, il giudice riconoscerà la pienezza ed integrità del suo diritto, negando, o
ridimensionando, contestualmente, quello del convenuto, altrimenti rigetterà la sua domanda perché
infondata, ritenendo, invece, esistente il diritto contrariamente affermato»; CARIGLIA, Profili generali
delle azioni di accertamento negativo, Torino, 2013, 88 ss., 144 ss.; contra, anche per ulteriori indicazioni, LONGO, op. cit., 559; in particolare, SATTA, op. cit., 469, per cui «l’opposizione può essere sempre
riproposta, perché non sussiste un termine, a condizione però che il processo di esecuzione sia sempre
pendente»; analogamente, in seguito e su tutti, VACCARELLA, Titolo esecutivo, cit., 77 ss., secondo cui
«la sentenza che decide sull’eccezione proposta dal debitore con l’opposizione all’esecuzione non ha
diversa efficacia – per ciò solo che essa deve necessariamente rivestire i panni dell’azione – rispetto alla
sentenza che, in un ordinario giudizio di cognizione, decida sulla medesima eccezione: una sentenza,
cioè, idoneo al giudicato sostanziale se di accoglimento dell’eccezione, ma del tutto inidonea a produrre altro che un’efficacia preclusiva endoprocessuale se di rigetto dell’eccezione» (ivi, 81); v. anche
RECCHIONI, Note sull’oggetto del giudizio di opposizione all’esecuzione e sul problema dell’allegazione dei
fatti sopravvenuti alla formazione del titolo esecutivo, RDPr, 1998, 301 ss., spec. 315 ss., per il quale è
da «respingere il pur autorevole e tradizionale insegnamento secondo cui il rigetto della domanda di
accertamento negativo comporta il positivo accertamento della situazione giuridica soggettiva di cui
si chiedeva dichiararsi l’inesistenza. Poiché i rispettivi oggetti di giudizio vertono su due situazioni
giuridiche soggettive assolutamente distinte, a tanto può infatti giungersi soltanto previo cumulo in
via di accertamento incidentale ovvero riconvenzionalmente della relativa domanda di accertamento
positivo».
107
In tema, v. LIEBMAN, Le opposizioni, cit., 275-276, secondo cui, se «l’opposizione viene respinta,
rimane accertata l’esistenza del credito e l’esecuzione potrà proseguire indisturbata ed anzi più salda
nelle sue basi, perché non più esposta ad altre questioni sul merito, a meno che non si producano fatti
estintivi successivi»; analogamente, FURNO, op. cit., 165, per cui «se la sentenza respinge l’opposizione,
il resultato finale del giudizio è un resultato in sé e per sé negativo, che influisce positivamente sulla
esecuzione, giacché questa può, se già iniziata, continuare a svolgersi normalmente; se non ancora
iniziata – nel senso, s’intende, tecnico e stretto del termine – incominciare normalmente ad aver corso.
Le questioni di merito discusse e decise non potranno naturalmente esser più riproposte in sede di
opposizione; e l’esecuzione sarà d’ora in poi soltanto esposta all’influenza eventuale di fatti posteriori»;
REDENTI, Diritto processuale, III, cit., 309, secondo il quale «se la decisione sbocchi (…) in un accertamento positivo della sussistenza della azione, potrà accoppiarvi, occorrendo, la dichiarazione (ordine)
di procedere oltre, ed esso (almeno nei limiti del decisum) “farà stato” una volta per sempre circa il
fondamento degli atti esecutivi».
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Opinioni e commenti
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Ancora, ove si consideri che il giudizio di opposizione all’esecuzione, avente
natura di accertamento negativo, ha come oggetto l’intera fattispecie del diritto a
procedere ad esecuzione forzata, mi pare che (non solo il giudicato prodotto dalla
sentenza di rigetto dell’opposizione, ma anche) la preclusione collegata al provvedimento esecutivo satisfattivo sia(no) idonea(i) a coprire tutte le “eccezioni” che
siano state dedotte o che avrebbero potuto dedursi con l’opposizione; il che implica
che la preclusione sia tanto più estesa quanto più ampia sia l’estensione oggettiva
potenziale dell’opposizione. Ciò significa non solo che sono fatte salve le sopravvenienze, e quindi tutto quanto si verifichi dopo la pronuncia sull’opposizione (o
dopo l’emanazione del provvedimento esecutivo satisfattivo), ma anche che bisogna
tenere conto del principio di conversione dei vizi di nullità in motivi di impugnazione (art. 161 c.p.c.), in ragione del quale, ove sussistano specifici strumenti di
contestazione della pretesa, o meglio di “impugnazione” del “titolo” che ha consentito l’esercizio (e finanche l’eventuale soddisfazione) della pretesa esecutiva, questi
meccanismi possono e devono essere percorsi con preferenza rispetto all’opposizione108, e il loro esito produce effetti sull’esecuzione medio tempore condotta (cfr.
artt. 159 e 336 c.p.c.). In ogni altro caso, ove la contestazione o lo specifico rimedio
possano farsi valere anche con l’opposizione, che è così suscettibile di accoglierne
il contenuto, per il debitore scatta l’onere di attivarsi per esercitare l’opposizione
stessa, in mancanza della quale, una volta conclusasi l’esecuzione, l’eventuale azione
“autonoma” non potrà più esercitarsi109. In questi casi, si può dire che l’eventuale
“facoltatività” del rimedio “autonomo”, ma “fungibile” con l’opposizione, si trasforma in “necessità”, meglio “onerosità”, una volta che l’esecuzione sia intrapresa.
Infine, questa riconosciuta efficacia e la stabilità degli esiti esecutivi, pur nella
sua più limitata espansione, soggettiva e oggettiva, rispetto al giudicato sostanziale,
possono, forse devono comportare, a mio avviso, il riconoscimento al debitore della
facoltà di esercizio di rimedi “straordinari” nei confronti dell’esecuzione ottenuta,
Per qualche indicazione in proposito, v. SATTA, op. cit., 464 ss.; BUCOLO, op. cit., 64 ss.
Ciò comporta che, ad esempio, ove un creditore abbia ottenuto una misura cautelare “esecutiva”,
quale che ne sia la tipologia, il debitore “dovrà” esercitare l’opposizione entro il termine dell’esecuzione, ivi facendo valere le difese e/o le eccezioni che avrebbe dovuto o potuto esercitare nel giudizio
di merito da instaurarsi (necessariamente o facoltativamente) successivamente alla concessione della
misura cautelare, che saranno assorbite e dunque precluse nel caso di mancato esercizio dell’opposizione. Ciò non deve sorprendere o scandalizzare, poiché non significa che, per rimanere all’esempio, la
misura cautelare passi in giudicato: la sua efficacia non è affatto modificata, ma è l’intervento di un’ulteriore e distinta fattispecie giuridica che produce i propri effetti (l’esecuzione forzata), sovrapponendoli
a quelli della misura cautelare. Allo stesso modo, ove l’esecuzione venga condotta sulla base di un
titolo esecutivo-atto materiale simulato o invalido o inefficace, sarà onere del debitore opporre questi
fatti impeditivi all’esecuzione incipiente, che sarà in mancanza suscettibile di produrre effetti stabili.
E così via, per ogni altro caso di azione o rimedio giudiziale che siano “spendibili” con l’opposizione
all’esecuzione, restando esclusi quei soli rimedi che abbiano una specifica (ed esclusiva) autonomia, non
cumulabile con l’opposizione (es. i mezzi di impugnazione delle sentenze).
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
ove sussistano quelle fattispecie che nel processo dichiarativo consentirebbero al
soccombente di chiedere la revocazione del provvedimento (art. 395 c.p.c.110) o
la sua dichiarazione di inesistenza (art. 161, cpv., c.p.c.); così come può ritenersi
ammissibile l’esercizio di quei rimedi che, nei confronti di una sentenza ottenuta
inter alios, offrirebbero al terzo ingiustamente pregiudicato la possibilità di proporre opposizione (art. 404 c.p.c.).
Si potrebbe dunque consentire al debitore esecutato, anche laddove l’esecuzione si sia conclusa
in difetto di opposizioni, di agire in revocazione “straordinaria”, facendo valere gli stessi motivi previsti
ai nn. 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c., opportunamente adattati al processo di esecuzione, e forse, entro
il termine di trenta giorni dal provvedimento definitivo, di agire in revocazione “ordinaria” ai sensi
dei nn. 4 e 5 dell’art. 395 c.p.c., facendo valere l’errore di fatto revocatorio (ad es. sull’esistenza del
titolo esecutivo) o il contrasto con un precedente giudicato (ad es. in tema di revoca o caducazione del
titolo esecutivo, o di precedente accertamento negativo del credito vantato, ovvero di accoglimento
dell’opposizione all’esecuzione a proposito dello stesso credito).
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GIURISPRUDENZA COMMENTATA
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 29 gennaio 2016, n. 1673 — Salmè Presidente —
Barreca Relatore — Cardino P.M. (concl. diff.); Banca di credito cooperativo di Anagni (Omissis) — Italfondiario S.p.A. e altri.
Distribuzione della somma ricavata nell’espropriazione immobiliare — Udienza di distribuzione — Contestazioni sollevate sul progetto di riparto — Ordinanza decisoria della
controversia distributiva — Esecutività del progetto di riparto — Sospensione della distribuzione.
In tema di risoluzione delle controversie distributive, qualora il giudice dell’esecuzione abbia
deciso con ordinanza ai sensi dell’art. 512 c.p.c. le contestazioni mosse al progetto di distribuzione depositato in cancelleria ai sensi dell’art. 596 c.p.c., l’opposizione va proposta nelle forme
e nei termini dell’art. 617 c.p.c. avverso questa ordinanza, anche qualora con essa non sia stato
approvato e reso esecutivo il progetto di distribuzione definitivo.
Il testo della sentenza si legge in questa Rivista, 2016, 326 ss. Se ne riproduce la
massima per introdurre una nota di commento.
La scissione tra l’ordinanza decisoria della controversia
distributiva e la dichiarazione di esecutività del progetto di riparto
Sommario: 1. Il caso di specie. – 2. L’udienza di distribuzione quale luogo deputato a sollevare una
vertenza distributiva. – 3. La facoltà per il giudice dell’esecuzione di scindere la decisione della controversia dalla dichiarazione di esecutività del progetto di riparto. – 4. La sospensione della distribuzione in
pendenza della lite distributiva.
1. Il caso di specie.
La decisione che qui si commenta rigetta il ricorso avverso una sentenza che ha
definito un giudizio di opposizione agli atti esecutivi radicato contro un’ordinanza pronunciata ai sensi dell’art. 512 c.p.c. La vicenda giudiziaria in esame trae origine dalla
controversia sollevata da un creditore concorrente in sede di distribuzione della somma
ricavata dalla vendita forzata di un compendio immobiliare di titolarità del debitore. Più
precisamente il tribunale di prime cure dichiarava inammissibile l’opposizione promossa
ai sensi dell’art. 617 c.p.c. affermando che il ricorrente avrebbe dovuto promuovere il
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
giudizio oppositivo contro l’ordinanza decisoria della controversia distributiva e non nei
confronti del provvedimento, temporalmente successivo, attraverso il quale il giudice
dell’esecuzione aveva dichiarato esecutivo il progetto di riparto in conformità a quanto
già statuito nella precedente ordinanza decisoria della controversia distributiva. La decisione adottata dalla S.C. appare sostanzialmente condivisibile ed offre lo spunto per
svolgere alcune brevi riflessioni sulle vertenze distributive, in particolare sul momento
processuale in cui possono sorgere tali contestazioni, nonché sul carattere decisorio
dell’ordinanza che definisce la relativa controversia.
2. L’udienza di distribuzione quale luogo deputato a sollevare una vertenza distributiva.
L’art. 512 c.p.c., inserito nelle disposizioni generali in tema di espropriazione forzata
e pertanto applicabile ad ogni forma di giudizio espropriativo, è stato riformulato oltre
un decennio fa dalla l. n. 80 del 2005 con il preciso intento di ridurre le contestazioni di
carattere distributivo che possono sopravvenire in costanza di riparto, venendo incontro
a quelle esigenze pratiche di speditezza che dovrebbero caratterizzare l’intera procedura
esecutiva1.
Come noto, dopo l’entrata in vigore del nuovo disposto dell’art. 512 c.p.c. si sono formati due
orientamenti dottrinali contrapposti in ordine alla configurazione dell’oggetto della controversia distributiva. Secondo un primo indirizzo, ad oggi maggioritario, la novella del 2005 ha radicalmente mutato
l’oggetto della vertenza sorta in sede di riparto configurandolo come un diritto processuale al concorso
in capo ai creditori concorrenti; in concreto, la controversia distributiva non può più assumere le vesti
di un giudizio di merito avente per oggetto il diritto sostanziale di cui si chiede l’attuazione coattiva,
ma diviene un mezzo per accertare la regolarità del concorso in sede satisfattiva e per rimuovere o riposizionare un concorrente già collocato nel riparto: in tal senso seppur con diverse sfumature BOVE, La
distribuzione, in BALENA-BOVE, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 255 ss.; COSTANTINO
La distribuzione del ricavato e le controversie distributive, testo della Relazione tenuta al Convegno su
«La riforma del processo esecutivo» svoltosi a Napoli il 19/20-12-2005; VERDE (aggiornamento a cura
di Auletta-Califano-Della Pietra-Rascio), Diritto processuale civile, III, Bologna, 2015, 89; MENCHINI,
Nuove forme di tutela e nuovi modi di risoluzione delle controversie: verso il superamento della necessità
dell’accertamento con autorità di giudicato, RDPr, 2006, 895 ss.; ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata,
III, t. I, Padova, 2007, 797; CANALE, sub art. 512, in Le recenti riforme del processo civile, I, a cura
di Chiarloni, Bologna, 2007, 738; PUNZI, Il processo civile, IV, Torino, 2010, 223-224; CARPI, Alcune
osservazioni sulla riforma dell’esecuzione per espropriazione forzata, RTPC, 2006, 222; DE CRISTOFARO,
Il nuovo processo civile «competitivo» secondo la l. n. 80 del 2005, ivi, 2006, 171; CONSOLO, Spiegazioni
di diritto processuale civile. Le tutele (di merito, sommarie ed esecutive) e il rapporto giuridico processuale, Torino, 2014, 332; SALETTI, Le (ultime) novità in tema di esecuzione forzata, RDPr, 2006, 208,
spec. nota 45; MERLIN, Le controversie distributive, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma,
II, Milano, 2006, 136; BALENA, Istituzioni di diritto processuale civile, III, Bari, 2015, 120; TOMMASEO,
L’esecuzione forzata, Padova, 2009, 232; ORIANI, Titolo esecutivo, opposizioni, sospensione dell’esecuzione, FI, 2005, V, 108; TEDOLDI, L’oggetto della domanda di intervento e delle controversie sul riparto
nella nuova disciplina dell’espropriazione forzata, RDPr, 2006, 1314; ROMANO, Espropriazione forzata
e contestazione del credito, Napoli, 2008, 52; VINCRE, Profili delle controversie sulla distribuzione del
ricavato (art. 512 c.p.c.), Padova, 2010, 64 ss., 120 ss.; ZIINO, Le innovazioni in tema di pignoramento e
di distribuzione del ricavato, in www.judicium.it, 13; FINOCCHIARO, sub art. 512, in COMOGLIO-VACCARELLA (a cura di), Codice di procedura civile commentato, Milano, 2010, 2115; PERAGO, La distribuzione
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Giurisprudenza commentata
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Per quanto concerne l’espropriazione immobiliare da cui è scaturita la controversia
distributiva definita in ultima istanza dalla sentenza che qui si annota, a norma dell’art. 596
c.p.c. il giudice dell’esecuzione, o come più frequentemente accade il professionista
delegato a cui sono demandate le operazioni di vendita e distributive, entro il termine
(ordinatorio) di trenta giorni dal versamento del prezzo di aggiudicazione provvede alla
redazione di un progetto di riparto che viene depositato in cancelleria (o presso lo studio
del professionista) per la sua consultazione ad opera dei creditori e del debitore.
Contestualmente al deposito viene fissata l’udienza di discussione del progetto onerando la cancelleria della comunicazione ai creditori e al debitore almeno dieci giorni
prima dell’audizione (art. 596, 2° co., c.p.c.). Questo lasso di tempo a carattere dilatorio
consente alle parti di prendere visione del progetto, in vista dei possibili esiti dell’udienza
all’uopo fissata che può sfociare in un’approvazione (espressa o per mancata comparizione dei creditori) dello stato di riparto od ancora in una controversia distributiva che
potrebbe altresì condurre anche alla sospensione dell’ultimo segmento della procedura
espropriativa. Orbene, il dato legislativo è chiaro nell’individuare l’udienza fissata per la
discussione del progetto di riparto come l’unico momento in cui è possibile sollevare le
contestazioni in esame (v. il combinato disposto degli artt. 512, 596 c.p.c.)2. Successivamente allo svolgimento della suddetta udienza, la regolarità del progetto di riparto
del ricavato, in MICCOLIS-PERAGO (a cura di), L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, 138-139,
142; PILLONI, Accertamento e attuazione del credito nell’esecuzione forzata, Torino, 2011, 305. Diversa
è stata la lettura offerta da altra parte della dottrina la quale ha ritenuto che la riforma del 2005 non
ha determinato alcuna modifica dell’oggetto delle controversie distributive che continua a rimanere
circoscritto, anche in forza dell’immutato tenore letterale dell’art. 512 c.p.c., alla sussistenza ed alla
misura del credito ovvero alla collocazione dei creditori nel riparto: in questa direzione v. CAPPONI,
L’opposizione distributiva dopo la riforma dell’espropriazione forzata, CorG, 2006, II, 1762; CARRATTA,
Le controversie in sede distributiva fra «diritto al concorso» e «sostanza» delle ragioni creditorie, ivi,
2009, 565 ss.; BARRECA, Le nuove norme sulle controversie distributive, RTPC, 2008, 270 ss.; TOTA, sub
art. 512, in Commentario alle riforme del processo civile, II, a cura di Briguglio-Capponi, Padova, 2007,
181 ss.; TISCINI, I provvedimenti decisori senza accertamento, Torino, 2009, 219 ss.; SOLDI, Il progetto
di distribuzione e le controversie distributive, REF, 2007, 72; BARLETTA, Questioni sul nuovo titolo esecutivo, in www.judicium.it, 5; e se vuoi NASCOSI, Contributo allo studio della distribuzione della somma
ricavata nei procedimenti di espropriazione forzata, Napoli, 2013, 193 ss. In posizione peculiare si colloca FABIANI, Le controversie distributive. L’oggetto del procedimento e l’impugnazione dell’ordinanza del
giudice, in www.judicium.it, § 1.5.2, il quale rileva che l’oggetto della lite distributiva non presenta un
contenuto tipico, bensì possono riscontrarsi una pluralità di contenuti della vertenza a seconda di chi
sia la parte che le promuove e verso chi siano indirizzate; da tali deduzioni l’Autore ritiene che l’oggetto
della controversia distributiva sia rappresentato dalla titolarità di un diritto al concorso o meglio di
un «diritto a concorrere nel riparto», «diritto però che talora può essere congiuntamente verificato
assieme al credito».
2
Cass., 26-2-2008, n. 5006, MFI, 2008, 300; Cass., 2-8-2001, n. 10608, GI, 2002, 1372; Cass., 17-51988, n. 3442, FI, 1989, I, 2584; T. Roma, 23-2-2008, GM, 2009, 1300 ss., con nota di PISANU, Le opposizioni agli atti esecutivi in sede di riparto e le controversie distributive: limiti di esperibilità di tali istituti
e loro coordinamento; CASTORO, Il processo di esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano, 2010, 320 ss.;
ORIANI, Il processo esecutivo, RTPC, 1992, 334; ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, III, Milano, 1964,
141; SOLDI, Manuale dell’esecuzione forzata, Padova, 2014, 484; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2015, 355 ss., 362; CANELLA, sub art. 512, in CARPI-TARUFFO (a cura di), Commentario breve al codice di procedura civile, Padova, 2015, 1953.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
non potrà nuovamente essere posta in discussione, dal momento che le controversie
distributive rappresentano lo strumento attraverso il quale le parti coinvolte “possono
controllare e correggere il legittimo svolgimento della fase satisfattiva”3.
3. La facoltà per il giudice dell’esecuzione di scindere la decisione della controversia distributiva dalla dichiarazione di esecutività del progetto di riparto.
Come statuisce l’art. 512 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, a conclusione dell’eventuale istruttoria a cognizione sommaria racchiusa nella generica formula dei “necessari
accertamenti”, risolve la controversia con la pronuncia di un’ordinanza decisoria opponibile a norma dell’art. 617 c.p.c. Con tale provvedimento il giudice definisce le contestazioni inerenti la sussistenza e/o l’ammontare dei diritti di credito azionati o riguardanti
l’esistenza delle ragioni di prelazione.
Orbene, l’esito della decisione assunta può essere differente in base al rigetto o
all’accoglimento delle censure mosse nei confronti del progetto di riparto. Nella prima
ipotesi, il giudice dell’esecuzione, non accogliendo le contestazioni sollevate dai creditori
concorrenti o dal debitore, provvede con ordinanza a confermare il progetto di riparto
precedentemente redatto e contestualmente, con la medesima pronuncia, approva in
via definitiva il progetto dichiarandolo esecutivo. In buona sostanza, l’ordinanza con cui il
giudice dirime la lite distributiva collima ad ogni effetto con il provvedimento che dichiara
esecutivo il progetto di distribuzione, ordinando alla cancelleria l’emissione dei mandati
di pagamento.
Diversa è l’eventualità, messa in luce dalla Cassazione con la sentenza annotata, in
cui l’organo giurisdizionale accolga le contestazioni mosse dal ricorrente; in tal caso al
giudice è lasciata l’alternativa tra provvedere con la medesima ordinanza a risolvere la
controversia, modificando simultaneamente il progetto di distribuzione che viene immediatamente approvato e dichiarato esecutivo4, ovvero pronunciare l’ordinanza che definisce la controversia e rinviare ad un’udienza successiva per la rettifica del progetto di
riparto sulla base dei criteri elaborati e contenuti nel provvedimento emesso a norma
dell’art. 512 c.p.c. Proprio questa seconda opzione è stata avallata dal giudice di merito
(e confermata poi dal giudice di legittimità) che ha scisso l’ordinanza con cui ha risolto
la lite sorta in occasione del riparto e l’ordinanza successiva mediante la quale il giudice
dell’esecuzione ha apportato le consequenziali variazioni al progetto di riparto dichiarandolo esecutivo5.
CAPPONI, Manuale, cit., 356.
Seguendo questa prima opzione l’ordinanza sarà articolata in due distinte parti: nella prima il
giudice dell’esecuzione dovrà specificare le ragioni che hanno condotto ad accogliere in tutto o solo
parzialmente le contestazioni avanzate sul progetto di distribuzione mentre, nel secondo capo del provvedimento, dovrà procedere a variare il progetto sulla base delle risultanze nella decisione sulla vertenza
sorta in occasione del riparto.
5
A titolo esemplificativo, si pensi alle necessarie modifiche conseguenti all’elisione dal progetto
distributivo di un credito accertato come inesistente in tutto o solo parzialmente, oppure all’accertamento della sussistenza di una causa legittima di prelazione.
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In tale frangente può sorgere il dubbio in ordine al provvedimento verso cui dirigere
l’opposizione ex art. 617 c.p.c. qualora la parte soccombente voglia contestare l’ordinanza pronunciata dal giudice dell’esecuzione. In altri termini, si è posto il quesito se il
ricorrente possa rivolgere le proprie doglianze verso l’ordinanza che ha deciso la controversia distributiva, ovvero contro la successiva ordinanza che si limita ad approvare
e dichiarare esecutivo il progetto di riparto nell’ipotesi in cui, come osservato poc’anzi,
il giudice differisca ad un momento susseguente la modifica del piano distributivo sulla
base dei criteri dettati nell’ordinanza resa a norma dell’art. 512 c.p.c.
Orbene la S.C., in modo condivisibile, statuisce che soltanto l’ordinanza che effettivamente decide la vertenza sorta in sede di riparto può essere impugnata con le modalità
e nei termini previsti per l’opposizione agli atti esecutivi, a prescindere dalla circostanza
che all’interno del medesimo provvedimento sia stato dichiarato esecutivo il progetto
di distribuzione modificato sulla base dei criteri dettati dal giudice per la formazione
del nuovo progetto, oppure siano semplicemente indicati i suddetti criteri rinviando ad
un’udienza successiva per l’approvazione definitiva del progetto. L’ordinanza oggetto
dell’impugnazione, pertanto, deve essere in prima ed unica battuta soltanto quella
che definisce la lite distributiva indipendentemente dal possibile rinvio ad un’udienza
postuma finalizzata alla sola approvazione dello stato di riparto modificato conformemente alla decisione pronunciata sulla vertenza in ambito distributivo. Di conseguenza
qualora il giudice dell’esecuzione rinvii ad un’udienza successiva6, l’ordinanza dirimente
le contestazioni racchiuderà al proprio interno, da un lato, la concisa motivazione in
forza della quale il giudice ha accolto integralmente o parzialmente le pretese avanzate
dal ricorrente, mentre dall’altro lato detterà i criteri ai quali conformarsi per rettificare
il piano di riparto che, divenuto esecutivo con la pronuncia di una nuova ordinanza,
chiuderà definitivamente la fase di distribuzione delle somme ricavate dal compendio
pignorato.
Se avverso l’ordinanza decisoria di cui all’art. 512 c.p.c. non viene promosso il giudizio oppositivo formale di cui all’art. 617 c.p.c., la parte soccombente non potrà sollevare le medesime censure nei confronti del nuovo progetto di riparto redatto seguendo
i termini e le modalità già predisposte dal giudice dell’esecuzione con quella ordinanza7.
Invero, secondo un orientamento dottrinale, il giudice dell’esecuzione, una volta accolte le contestazioni, redige il nuovo progetto di riparto senza bisogno di convocare le parti ad una seconda udienza
di discussione, della quale non vi sarebbe necessità stante l’impossibilità di sollevare in tale sede nuove
contestazioni, essendosi già maturata la relativa preclusione: CROCI, sub artt. 597-598, in VULLO (a cura
di), Codice dell’esecuzione forzata, Milano, 2015, 732; PRENDINI, sub art. 598, in CONSOLO (diretto da),
Commentari Ipsoa, Codice di procedura civile, Milano, 2013, 2462.
7
Un’accesa discussione concerne il profilo della stabilità dell’ordinanza che risolve la controversia
distributiva (e/o dell’eventuale successiva sentenza emanata all’esito dell’opposizione agli atti esecutivi). In altri termini si è posto l’interrogativo se il risultato dell’ordinanza ex art. 512 c.p.c. possa essere
rimesso in discussione attraverso l’esperimento di un’azione di ripetizione dell’indebito, oppure se
il provvedimento giudiziale acquisisca un’efficacia extraprocessuale se non opposto nei termini. In
estrema sintesi l’orientamento scientifico prevalente ritiene che il giudice dell’esecuzione con l’ordinanza di cui all’art. 512 c.p.c. si pronuncia non sul diritto sostanziale di cui è titolare il creditore, ma
risolve il conflitto processuale sull’ammissibilità a partecipare alla distribuzione del ricavato da parte
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dei creditori. Sulla base di tale impostazione, si evincerebbe la chiara volontà del legislatore di risolvere
in via incidentale e con efficacia soltanto endoprocessuale le liti distributive attraverso un procedimento snello che, per le sue caratteristiche tipicamente rispecchianti quelle del giudizio esecutivo, non
potrebbe dar luogo ad un accertamento giurisdizionale con funzioni propriamente dichiarative che
contrassegnano, invece, il giudizio ordinario di cognizione. L’adesione a questa corrente dottrinale
imporrebbe quindi di ritenere che l’ordinanza conclusiva della fase sommaria, anche se non è oggetto
di opposizione formale, non acquisirebbe una stabilità assimilabile a quella della cosa giudicata, proprio perché essa verrebbe a risolvere questioni di merito – attinenti al credito o ai titoli di prelazione
– interne al giudizio esecutivo. Secondo questa impostazione dottrinale, dunque, il provvedimento
conclusivo produrrebbe esclusivamente effetti interni alla procedura esecutiva, dal momento che il
giudice dell’esecuzione non verrebbe a svolgere (poiché privo di poteri in tal senso) funzioni di accertamento della situazione sostanziale, ma soltanto mere attività materiali di attuazione dei diritti, fra le
quali rientrano anche le operazioni inerenti il riparto delle somme ricavate dalla vendita forzata. L’ordinanza che dirime la contestazione distributiva finirebbe per pronunciarsi esclusivamente su un mero
diritto processuale al concorso senza che da questa pronuncia possa derivare alcuna efficacia esterna,
con il risultato che il debitore potrebbe dedurre il diritto di credito (accertato solo in via incidentale) o
la sussistenza delle cause di prelazione in un successivo ed autonomo giudizio attraverso l’esperimento
di azioni recuperatorie: oltre agli autori già citati alla nota n. 1 che ricostruiscono l’oggetto della controversia distributiva come un diritto al concorso, v. in particolare le considerazioni di BOVE, op. cit.,
264; MENCHINI, op. cit., 896 ss.; CANALE, op. cit., 750; ROMANO, op. cit., 333 ss.; TEDOLDI, op. cit., 1317
ss. Su una diversa linea interpretativa si colloca l’opinione dottrinale (già riportata in fondo alla nota
1) secondo la quale la novella del 2005 non ha inteso mutare l’oggetto delle liti distributive che, uniformandosi al dato legislativo odierno contenuto nell’art. 512 c.p.c., continua ad essere la sussistenza o
l’ammontare, nonché l’esatta collocazione dei crediti. Orbene, le innovazioni normative hanno riguardato principalmente le attribuzioni del giudice dell’esecuzione al quale ora la legge conferisce poteri di
natura cognitiva sui crediti contestati; ne discende che l’ordinanza ex art. 512 c.p.c. assume carattere
decisorio e come tale appare idonea ad incidere sui diritti soggettivi in virtù dei poteri dichiarativi ora
attribuiti al giudice dell’esecuzione (CARRATTA, voce Distribuzione del ricavato, Enc. giur., Agg., XIII,
Roma, 2010, 5). A suffragare questa interpretazione vi è poi un ulteriore dato positivo emergente
dall’art. 512 c.p.c. che ha previsto per la definizione delle vertenze un procedimento bifasico in cui
il giudice, in prima istanza, muovendo da una cognizione sommaria, pone in essere gli accertamenti
che reputa necessari ai fini della decisione e pronuncia ordinanza accordando (o negando) la tutela
giurisdizionale richiesta. A tale procedura sommaria può seguire una seconda fase instaurata a norma
dell’art. 617 c.p.c. dal soccombente entro un termine perentorio di venti giorni dalla conoscenza legale
dell’ordinanza, al fine di ottenere una sentenza emanata all’esito di un giudizio (questa volta) a cognizione ordinaria. In termini concreti, attraverso l’impiego da parte del legislatore della tecnica di inversione dell’onere di instaurazione del giudizio a cognizione piena, si può ritenere che il provvedimento
emesso sulla base di una cognizione sommaria deformalizzata possa divenire definitivo, a patto che sia
assicurata alle parti la possibilità di avviare un giudizio a cognizione piena in un termine perentorio. In
buona sostanza, il legislatore con la riforma dell’art. 512 c.p.c. ha inteso valorizzare i meccanismi di stabilità interni al processo esecutivo, primo fra tutti l’opposizione a mente dell’art. 617 c.p.c., in conformità al principio secondo cui i provvedimenti assoggettati ad un rimedio oppositivo teso a verificarne la
legittimità od opportunità, sono al contempo assistiti da un regime di stabilità a seguito dall’infruttuoso
decorso del termine per incardinare il giudizio stesso. Il mancato esperimento dell’opposizione agli atti
esecutivi gioca, quindi, un ruolo determinante nell’acquisizione dell’irretrattabilità del provvedimento
che chiude la lite distributiva, in armonia col sistema processuale che pone nella disponibilità delle
parti uno strumento impugnatorio diretto a provocare un accertamento a cognizione piena del rapporto sostanziale dedotto nel giudizio espropriativo. Se tali conclusioni sono corrette, non può trovare
spazio l’esercizio dell’azione di ripetizione dell’indebito, dal momento che il debitore soccombente,
nella fase sommaria, ha la facoltà, entro il termine perentorio di venti giorni, di dedurre il rapporto
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Infatti, il rimedio dell’opposizione agli atti esecutivi richiamato nel tessuto normativo
dell’art. 512 c.p.c., è stato considerato nell’ottica del legislatore come strumento per
riesaminare la sola ordinanza decisoria che dirime la controversia sorta in occasione
del riparto e non come mezzo per contestare il progetto di distribuzione8. Giova infatti
sottolineare che il presupposto per esperire l’opposizione agli atti esecutivi si rinviene
proprio nelle contestazioni sollevate sul progetto di riparto e conseguentemente decise
dal giudice dell’esecuzione. L’ordinanza adottata dal giudice conserva la natura di provvedimento esecutivo decisorio (suscettibile di impugnazione a norma dell’art. 617
c.p.c.), non essendo necessario che essa acquisti anche il carattere della definitività
che potrà sopravvenire con la pronuncia di una successiva ordinanza circoscritta ad
attribuire esecutività al nuovo progetto così predisposto. Ne discende che la proponibilità dell’opposizione agli atti è compatibile con la possibilità, che rimane in capo
al giudice dell’esecuzione, di revocare o modificare la sua stessa ordinanza ai sensi
dell’art. 487 c.p.c., fino a quando il provvedimento non abbia avuto esecuzione. Tuttavia, tale potere di revoca o modifica dell’ordinanza riservato al giudice, concorre con
quello delle parti di opporsi all’ordinanza a norma dell’art. 617 c.p.c. fino al momento
in cui il provvedimento ha avuto esecuzione ovvero è decorso il termine per proporre
l’opposizione9.
In buona sostanza, il giudizio oppositivo di cui all’art. 617 c.p.c. non può avere per
oggetto lo stato di distribuzione dovendosi indirizzare tassativamente verso la prima
ordinanza di carattere decisorio con la quale il giudice risolve la controversia tra creditori
concorrenti o tra creditore e debitore inerente la sussistenza o l’entità del credito ovvero
la collocazione nel riparto degli aventi diritto.
L’ordinanza, temporalmente successiva, attraverso la quale il giudice approva il progetto e contestualmente lo dichiara esecutivo non assume natura decisoria e si limita
a rendere definitivo il progetto di distribuzione chiudendo in tal modo la procedura esecutiva.
In pratica nella compilazione del secondo progetto di riparto, il giudice dell’esecuzione
(od il professionista a ciò delegato) non deve fare altro che adeguarsi ai parametri elaborati nell’ordinanza che ha definito la controversia, senza che vi sia spazio per contestazioni già avanzate precedentemente dalle parti10. Per tali ragioni la seconda ordinanza,
sostanziale sottostante in un procedimento a cognizione piena, al cui mancato avvio consegue pertanto
un effetto preclusivo (almeno in termini di efficacia pro iudicato) dell’ordinanza pronunciata ai sensi
dell’art. 512 c.p.c. Per ulteriori ragguagli v. CAPPONI, L’opposizione distributiva, cit., 1763; FABIANI, op.
cit., 2.2.
8
VIGORITO, Le procedure esecutive dopo la riforma, Milano, 2006, 422; BARRECA, op. cit., 270-271;
SOLDI, Manuale, cit., 498.
9
Cass., 29-5-2014, n. 12503, MFI, 2014, 411; Cass., 6-12-2011, n. 26185, ivi, 985; Cass., 17-3-1998,
n. 2848, FI online; in dottrina v. ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 129 ss., 134; VITTORIA, Il controllo sugli atti del processo di esecuzione forzata: l’opposizione agli atti esecutivi e i reclami,
REF, 2000, 379.
10
L’unico margine in capo alla parte per radicare un giudizio nei confronti del nuovo progetto di
distribuzione sembrerebbe essere riservato all’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione non si adegui,
omettendone l’applicazione, ai criteri dettati nell’ordinanza che dirime la lite distributiva.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
ossia il provvedimento mediante il quale l’organo giurisdizionale approva il riparto e lo
dichiara esecutivo, si configura come un provvedimento di natura confermativa della
precedente decisione non opposta con la conseguenza che avverso il secondo provvedimento non può proporsi opposizione agli atti esecutivi poiché, in caso contrario si
consentirebbe alla parte soccombente – che in prima battuta non ha impugnato l’ordinanza decisoria ex art. 512 c.p.c. – di eludere i termini perentori che sovrintendono
l’opposizione agli atti esecutivi, facendo valere censure già rigettate in occasione della
lite distributiva. Se così non fosse, ossia ammettendo l’impugnazione contro l’ordinanza
confermativa, si finirebbe per rimettere in termini la parte sulla base della mera riproposizione delle argomentazioni addotte in prime cure, quando invece appare essenziale
proporre l’impugnazione nei termini perentori avverso il provvedimento che ha risolto la
controversia distributiva.
La cassazione, con la sentenza in commento, ha pertanto correttamente avvalorato
il principio in forza del quale, nell’ipotesi di emissione di un provvedimento meramente
confermativo di quello precedente, la mancata impugnazione del primo rende inammissibile quella rivolta al secondo provvedimento11.
Di segno contrario rispetto a quanto statuito con la sentenza della cassazione in
esame, si è espresso un altro indirizzo12 secondo il quale l’ultimo momento temporale
entro cui può essere sollevata una controversia distributiva coincide con la dichiarazione
di esecutività del progetto di riparto attraverso la pronuncia dell’ordinanza del giudice
dell’esecuzione. Seguendo questa impostazione si verrebbe a ritenere che l’unica ordinanza impugnabile col giudizio oppositivo di cui all’art. 617 c.p.c. sarebbe quella con cui
il giudice approva il progetto e lo dichiara esecutivo avendo quest’ultimo provvedimento
carattere definitivo e decisorio. Invero, tale soluzione potrebbe trovare apprezzamento
soltanto nell’ipotesi in cui il giudice dell’esecuzione pronunci l’ordinanza dirimente la
controversia e contestualmente, col medesimo provvedimento, apporti le correzioni al
progetto di riparto dichiarandolo esecutivo con la relativa emissione dei mandati di pagamento. Tuttavia ciò non è avvenuto nel caso che ci occupa, dal momento che il giudice di
primo grado, in modo condivisibile, ha provveduto a frazionare in due momenti distinti la
decisione della lite e la redazione del progetto di riparto. Seguendo quest’ultima opzione,
l’ordinanza decisoria della controversia distributiva rimane un atto esecutivo a tutti gli
effetti e come tale suscettibile di essere contestata con il rimedio di cui all’art. 617 c.p.c.,
senza che sia richiesta la definitività del provvedimento.
4. La sospensione della distribuzione in pendenza della lite distributiva.
La S.C., infine, prende in esame il profilo della sospensione della fase di riparto disposta discrezionalmente dal giudice dell’esecuzione, in particolare soffermandosi sull’ambigua formulazione dell’art. 512, 2° co., c.p.c. in forza della quale il giudice dell’esecuzione
Cass., 9-3-2012, n. 3723, MFI, 2012, 217; Cass., 15-3-2004, n. 5238, FI online.
D’AQUINO, La distribuzione della somma ricavata, in DEMARCHI (a cura di), La nuova esecuzione
forzata, Bologna, 2009, 319. In giurisprudenza v. T. Roma, 23-2-2008, FI online.
11
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può sospendere, totalmente o parzialmente, la distribuzione “anche” con l’ordinanza
che risolve la controversia distributiva13.
Secondo la lettura offerta dalla corte, in adesione ad un orientamento dottrinale formatosi dopo la novella del 200514, il giudice dell’esecuzione compone la lite distributiva con
ordinanza e contestualmente sospende la distribuzione della somma ricavata (e pertanto
l’emissione dei mandati di pagamento) fino al momento in cui non è decorso il termine di
venti giorni per esperire l’opposizione agli atti esecutivi. La disposta sospensione viene
ad operare in funzione cautelare e preventiva a fronte di un’ipotetica impugnazione del
provvedimento che chiude la fase sommaria. In definitiva, seguendo questa impostazione, il giudice dell’esecuzione dichiara sospesi gli effetti dell’ordinanza che risolve la
controversia onde evitare di pregiudicare, nel breve lasso di tempo di venti giorni, i diritti
di coloro che intendono promuovere l’opposizione formale avverso la medesima pronuncia. Invero, questa soluzione potrebbe presentare alcuni limiti, in quanto la sospensione
viene a cessare automaticamente alla scadenza del termine di venti giorni, dovendosi
pertanto dare luogo alla distribuzione delle somme anche in pendenza dell’opposizione.
Per tali ragioni sembra preferibile offrire una diversa lettura dell’art. 512, 2° co., c.p.c.
che verosimilmente, nell’ottica del legislatore, intende riferirsi anche alla successiva fase
di opposizione ex art. 617 c.p.c., nel senso di riconoscere al giudice dell’esecuzione un
potere di inibire l’efficacia del piano di riparto che può essere impiegato non soltanto
in un momento anteriore alla pronuncia dell’ordinanza resa a conclusione della fase a
cognizione sommaria, ma anche successivamente in occasione del giudizio oppositivo15.
In conclusione è opportuno ritenere che la previsione contenuta nell’art. 512, 2° co.,
c.p.c. trovi applicazione per ogni ipotesi di sospensione e pertanto anche nell’eventuale
giudizio di opposizione agli atti di cui è investito il giudice dell’esecuzione.
ALESSANDRO NASCOSI
Non sembrano esservi dubbi sulla possibilità per il giudice dell’esecuzione di sospendere la distribuzione, in tutto od in parte, una volta sollevata la contestazione (si pensi per esempio al caso in cui
il magistrato ravvisi la necessità di procedere ad una complessa attività istruttoria, in pendenza della
quale può nascere l’esigenza di sospendere la distribuzione in un momento antecedente alla pronuncia
dell’ordinanza conclusiva della procedura).
14
In questa direzione si sono espressi in dottrina BOVE, op. cit., 254; BARRECA, op. cit., 284; VIGORITO,
op. cit., 424; PERAGO, op. cit., 144. Peculiare in arg. è poi la posizione assunta da CAPPONI, L’opposizione
distributiva, cit., 1767, il quale rileva come la riforma del 2005 abbia attribuito al giudice dell’esecuzione
un potere generale di sospensione in sede di distribuzione esercitabile non solo a seguito di una contestazione ai sensi dell’art. 512 c.p.c., ma altresì in pendenza di un’opposizione all’esecuzione ex art. 615
c.p.c. avente per oggetto il medesimo credito ora contestato in sede distributiva, oppure allorquando
stia per decorrere il termine triennale di cui all’art. 510, 3° co., c.p.c. senza che il creditore sine titulo
sia riuscito a conseguire un provvedimento esecutivo. Tuttavia, accogliendo tale originale soluzione si
verrebbe a forzare il dato normativo, determinando un eccessivo ampliamento del potere di inibitoria
accordato al giudice dell’esecuzione: in questi termini v. di recente TISCINI, Le controversie distributive
di nuova generazione. Riflessioni sulla natura e sui rapporti con altri incidenti cognitivi, REF, 2015, 20.
15
ORIANI, Titolo esecutivo, cit., 111; TOTA, sub art. 512, cit., 196; SOLDI, Il progetto di distribuzione,
cit., 78.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
TRIBUNALE DI MILANO, 18 marzo 2016 (ordinanza) — De Sapia Presidente — Rossetti Relatore; Creoinvest (Avv. Olivieri e altri) — Bendoni (Avv. De Felice e altri).
Opposizione all’esecuzione ex art. 615, 2° co. — Fase sommaria — Sospensione
dell’esecuzione disposta per la prima volta in sede di reclamo — Estinzione dell’esecuzione in difetto di riassunzione/introduzione del merito dell’opposizione — Idoneità.
La sospensione dell’esecuzione disposta per la prima volta in sede di reclamo è idonea, ad
onta del diverso tenore letterale dell’art. 624, 3° co., c.p.c., a provocare l’estinzione dell’esecuzione in corso in caso di mancata introduzione/riassunzione del giudizio di merito. (1)
Istanza di sospensione dell’esecuzione — Reclamo — Termini perentori per la introduzione /riassunzione del merito dell’opposizione — Fissazione da parte del giudice del
reclamo — Sospensione ivi disposta per la prima volta — Ammissibilità.
Il giudice del reclamo che, in riforma del provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione,
disponga la sospensione dell’esecuzione, deve fissare un nuovo termine perentorio (diverso
da quello fissato dal giudice dell’esecuzione ex art. 616 c.p.c.) entro il quale il creditore ha
l’onere di introdurre il giudizio di merito dell’opposizione all’esecuzione, pena, in difetto,
il perfezionamento del meccanismo estintivo dell’esecuzione in corso previsto dall’art. 624,
3° co., c.p.c. (2)
(omissis) premesso che
le parti controvertono circa l’esigibilità del credito azionato nei confronti della
reclamante e portato da un lodo arbitrale, come meglio sarà esposto in seguito;
nel corso dell’udienza del 10 febbraio 2016 parte reclamata ha insistito, preliminarmente, per la declaratoria di inammissibilità del reclamo proposto, non avendo
parte reclamante introdotto il giudizio di merito nel termine perentorio assegnatole
dal giudice dell’esecuzione, che aveva rigettato l’istanza di sospensione dell’esecuzione proposta da parte debitrice;
rilevato che
la questione preliminare proposta è ampiamente dibattuta, sia in dottrina che
in giurisprudenza; com’è noto, l’articolo 624, comma 3, c.p.c. prevede un’ipotesi
di estinzione tipica del processo esecutivo qualora la procedura sia stata sospesa
dal giudice dell’esecuzione e l’ordinanza non sia stata reclamata ovvero sia stata
confermata in sede di reclamo e sempre che il giudizio di merito non sia stato
introdotto nel termine perentorio stabilito a norma dell’articolo 616 c.p.c.; la
norma non chiarisce, tra l’altro e per limitarsi a quanto qui interessa, quali siano le
conseguenze nel caso in cui, come nella presente fattispecie, proposto il reclamo,
nessuna delle parti coltivi il giudizio di merito nel termine perentorio stabilito dal
giudice dell’esecuzione;
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nella giurisprudenza di merito si individuano accanto a pronunce che opinano
per l’inammissibilità del reclamo (Tribunale di Brindisi, ordinanza 4 dicembre
2012), sul presupposto della natura cautelare conservativa del provvedimento di
sospensione (per la stessa impostazione, pur se con riferimento a diverse fattispecie: Tribunale di Foggia, ordinanza 6 marzo 2012; Tribunale di Salerno, sentenza
7 dicembre 2012; Tribunale di Campobasso, ordinanza 13 maggio 2013), altre
pronunce che, almeno implicitamente e sul presupposto della natura anticipatoria
del provvedimento di sospensione, ritengono ammissibile il reclamo (Tribunale di
Lecce, ordinanza 4 dicembre 2014);
la dottrina ritiene, prevalentemente, che la mancata introduzione del giudizio di
merito non sia ostativo alla proponibilità del reclamo, pure con diversi accenti e
soluzioni;
alcuni autori, infatti, ritengono che il termine per l’introduzione del giudizio di
merito decorra dalla data della “definitività” del provvedimento sulla sospensione
e, quindi, dalla decisione sul reclamo ove proposto;
altri autori ritengono, invece, che il giudice, monocratico o collegiale, che dispone
la sospensione debba in ogni caso fissare il termine per l’inizio del giudizio di merito;
autorevole dottrina, ancora, pur ritenendo ammissibile il reclamo in mancanza di
tempestiva introduzione del giudizio di merito, afferma che al Collegio sarebbe preclusa la possibilità di fissare un termine per l’introduzione del giudizio di merito e
che l’eventuale provvedimento di sospensione adottato in sede di reclamo sarebbe,
in realtà, un provvedimento di “sospensione-estinzione” che determinerebbe la
chiusura in rito del processo esecutivo;
altra, ma minoritaria dottrina ritiene, viceversa, che il meccanismo di estinzione
possa operare solo in ipotesi di “doppia conforme” e cioè di sospensione disposta
dal giudice dell’esecuzione e confermata in sede di reclamo e non nella diversa
ipotesi di sospensione concessa per la prima volta in sede di reclamo, ragione
per cui la mancata introduzione del giudizio di merito, nel termine perentorio
stabilito dal giudice dell’esecuzione, dovrebbe determinare l’inammissibilità del
reclamo;
ritenuto che
“l’ordito intessuto di equivoci” di cui consta l’articolo 624, comma 3, c.p.c. (così
definita la norma in dottrina pur dopo le modifiche intervenute con legge 69/2013)
deve essere dipanato senza indugiare su posizioni “ontologiche” sulla natura del
provvedimento di sospensione adottato dal giudice dell’esecuzione e tenendo conto,
primariamente, delle finalità deflattive del contenzioso che il legislatore ha inteso
perseguire sin dalla novella introdotta nel 2006; inoltre, nemmeno si dovrebbe ritenere di trarre argomenti vincolanti, come pure proposto, dal confronto del contenuto
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
letterale della norma attualmente in vigore con quella introdotta nel 2006, atteso
che sempre più spesso, quanto meno nella materia delle esecuzioni civili, tenuto
conto delle costanti riforme del settore, le disposizioni risultano redatte in modo
spesso frettoloso e approssimativo;
si deve, quindi, prendere atto del fatto che, ferma la natura cautelare del provvedimento di sospensione, tale provvedimento non si inquadra esattamente né nella
disciplina dei provvedimenti cautelari conservativi né nella disciplina dei provvedimenti cautelari anticipatori, ancorché la Suprema Corte sembri orientata da ultimo
verso questa soluzione (cfr. Cass. 22033/2011);
si deve sul punto osservare, infatti, che il provvedimento di sospensione (ove non
coltivato con il reclamo o con il giudizio di merito) non è idoneo di per sé ad anticipare gli effetti della sentenza di merito in quanto potrà eventualmente evolversi in
un (necessariamente successivo) provvedimento di estinzione che, a differenza della
sentenza di merito, in ogni caso non farà venir meno l’efficacia esecutiva del titolo e,
quindi, consentirà sempre al creditore procedente di attivare una nuova procedura
esecutiva;
sulla base di tali considerazioni, inoltre, deve osservarsi che il debitore che abbia
ottenuto il provvedimento di sospensione mantiene inalterato il suo interesse a promuovere il giudizio di merito al fine, appunto, di ottenere un accertamento più
ampio (del mero effetto estintivo del processo esecutivo) circa l’inesistenza del
diritto del creditore procedente di agire esecutivamente nei suoi confronti una volta
per tutte;
eppure, fermo restando quanto sopra detto in linea di interessi astratti, è altresì
vero che, il provvedimento di estinzione è un atto dovuto da parte del giudice
dell’esecuzione sul presupposto della sospensione non reclamata o confermata o
disposta – malgrado il mancato riferimento a tale ipotesi nella versione del 2009
dell’art. 624, comma 3, c.p.c. – in sede di reclamo e non seguita dall’introduzione
del giudizio di merito che, in quanto tale, pur costituendo un minus rispetto alla
sentenza di merito, comunque conserva un apprezzabile contenuto di utilità, determinando la liberazione del diritto aggredito con il pignoramento;
sotto questo, pur limitato profilo, pertanto, il provvedimento cautelare adottato
dal giudice dell’esecuzione risulta effettivamente avere un contenuto anticipatorio
della più piena tutela che si potrebbe ottenere azionando il giudizio di merito;
d’altro canto, le parti potrebbero decidere di accontentarsi dei provvedimenti
emessi in sede cautelare dal giudice dell’esecuzione e dal collegio investito del
reclamo, senza coltivare il giudizio di merito;
in tale direzione non pare condivisibile la tesi di chi sostiene che il creditore dovrebbe prudentemente introdurre il giudizio di merito anche quando
abbia ottenuto un provvedimento che nega la sospensione da parte del giudice
dell’esecuzione perché, in caso contrario, nell’ipotesi in cui il debitore risultasse
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vittorioso in sede di reclamo, la procedura esecutiva sarebbe destinata ad estinguersi senz’altro;
ove l’ordito normativo fosse interpretato in tale direzione, infatti, le finalità deflattive della norma sarebbero stravolte e – in disparte la considerazione per cui in
questa evenienza risulta effettivamente pallido l’interesse del creditore di ottenere
una sentenza che accerti il suo diritto ad agire esecutivamente allorquando il giudice
dell’esecuzione non abbia sospeso la procedura – non si considererebbe nemmeno
il concreto orientarsi degli interessi delle parti, risultando maggiormente logico ipotizzare che debba essere, eventualmente, il debitore a proporre il giudizio di merito
nel caso in cui il giudice dell’esecuzione non abbia sospeso la procedura;
d’altro canto, sempre in considerazione della volontà deflattiva del legislatore e
del concreto atteggiarsi degli interessi delle parti, risulterebbe fuorviante negare alla
parte che sia risultata soccombente all’esito del reclamo la possibilità di introdurre
il giudizio di merito;
solo con il provvedimento adottato dal Collegio, infatti, si stabilizza definitivamente l’interesse della parte circa l’eventuale proposizione del giudizio di merito,
così consentendo alle parti “libere scelte d’azione” in ordine al provvedimento ottenuto e all’eventuale introduzione del giudizio di merito; fermo restando, infatti,
l’astratto interesse del debitore di ottenere una pronuncia in grado di rimuovere del
tutto l’efficacia esecutiva del titolo nel caso in cui la sospensione sia stata concessa,
risulta contraddittorio imporre al debitore o al creditore la necessità di introdurre
il giudizio di merito allorquando la fase cautelare complessivamente considerata
non si sia ancora conclusa; in altri termini, ove il debitore avrà ottenuto un provvedimento di sospensione davanti al giudice dell’esecuzione, fermo restando il suo
astratto interesse ad introdurre la causa di merito, il suo interesse concreto potrebbe
atteggiarsi in modo sensibilmente diverso nell’ipotesi in cui in sede di reclamo il
collegio riformasse il provvedimento adottato;
ove, viceversa, il creditore abbia ottenuto un provvedimento che neghi la sospensione dell’esecuzione avanti al giudice dell’esecuzione, il suo interesse a promuovere
la causa di merito potrebbe sorgere, tendenzialmente, solo nel caso in cui in sede di
reclamo quel provvedimento fosse riformato;
si deve, pertanto, concludere nel senso di recuperare quel tanto di “ anticipatorio”
che esiste nel provvedimento di sospensione adottato dal giudice dell’esecuzione e,
conformemente allo spirito della legge, quale risulta da una lettura costituzionalmente orientata delle disposizioni, a norma degli articoli 24 e 111 Cost., ritenere
che: 1. l’interesse a promuovere il giudizio di merito si consolidi definitivamente
solo all’esito del reclamo ove proposto e 2. il collegio debba concedere un nuovo
termine per l’introduzione del giudizio di merito, tenuto conto degli effettivi interessi delle parti, allorquando la decisione adottata sia contraria rispetto a quella
assunta dal giudice dell’esecuzione;
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ne consegue che, pure in mancanza di introduzione del giudizio di merito da
parte del debitore esecutato che non ha ottenuto il provvedimento di sospensione, il
reclamo proposto può essere esaminato e, in caso di accoglimento, porterà all’estinzione del processo esecutivo se, nei termini eventualmente assegnati dal Collegio, la
causa di merito non verrà introdotta dal creditore procedente; (omissis).
(1-2) La giurisprudenza di merito torna sulla sospensione/
estinzione dell’esecuzione*
Sommario: 1. La vicenda e le ragioni della decisione. – 2. Un passo indietro: il contesto di riferimento. – 3. La ratio decidendi tra premesse espresse e presupposti impliciti. – 4. La riforma degli
artt. 616 e 624 e la logica deflattiva (per il medio della strumentalità attenuata): un obiettivo mancato.
1. La vicenda e le ragioni della decisione.
L’ordinanza in commento è resa in esito al reclamo esperito da un debitore esecutato, ai sensi degli artt. 624, 2° co., e 669-terdecies c.p.c., avverso l’ordinanza con cui
il giudice dell’esecuzione aveva rigettato l’istanza di sospensione avanzata in sede di
opposizione ex art. 615, 2° co.
Il reclamo è esperito senza che nessuna delle parti, e in particolare proprio l’esecutato,
abbia provveduto ad introdurre/riassumere (secondo l’ambigua formula dell’art. 616) il
giudizio di opposizione nel termine perentorio all’uopo assegnato dal giudice dell’esecuzione dopo aver provveduto sull’istanza di sospensione.
Di qui l’eccezione di inammissibilità del reclamo, avanzata dal resistente sul presupposto (implicito1) dell’inidoneità del provvedimento sospensivo eventualmente reso solo
in tale sede ad innescare l’estinzione della procedura, pure imposta dall’art. 624, 3° co.
in assenza di giudizio sul merito dell’opposizione ma solo a patto, stando al suo tenore
letterale, che l’ordinanza di sospensione non sia reclamata o sia confermata in sede di
reclamo.
Oramai irrealizzabile la “doppia conforme” imposta (in alternativa alla sospensione non
reclamata) dalla disposizione, viene cioè meno, nella logica del resistente, anche l’interesse al reclamo da parte dell’esecutato, posto che gli è preclusa la via dell’estinzione
della procedura. A ciò si aggiunge la suggestione, che funge da ulteriore presupposto
implicito del ragionamento, del carattere conservativo del provvedimento sospensivo
* Il presente contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee.
1
L’ordinanza tace sulle regioni a sostegno dell’eccezione di inammissibilità, tranne che laddove, nel
ricostruire il panorama interpretativo, fa un cenno alla sospensione quale provvedimento conservativo.
La ricostruzione offerta nel testo è dunque evinta non dalle difese del resistente, ma dalla logica sottesa alle ragioni della ritenuta inammissibilità del reclamo, anche ricavate da altre voci del panorama
interpretativo.
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che perciò, anche ove eventualmente reso in sede di reclamo, mai potrebbe sopravvivere in assenza del giudizio sul merito dell’opposizione2.
Il Tribunale si confronta con la questione dando puntualmente conto delle variegate
soluzioni offerte dal panorama giurisprudenziale e dottrinale, ma opportunamente svincolandosi dall’interpretazione dell’art. 624, 3° co., offerta dal resistente allo scopo di
suffragare l’inammissibilità del reclamo.
Pur condividendo la ricostruzione in termini cautelari del provvedimento di sospensione, il giudice meneghino si arrende all’impossibilità di applicarvi interamente la disciplina dei provvedimenti anticipatori o di quelli conservativi.
Non, in particolare, dei primi, considerato che la sospensione non è in grado di anticipare nella sua interezza la tutela conseguibile all’esito del giudizio di opposizione,
e consistente nella elisione dell’efficacia esecutiva del titolo. Anche ove evolventesi
nell’estinzione della procedura in corso, la sospensione non protegge infatti il debitore
dal rischio che il creditore intraprenda una nuova esecuzione sulla base dello stesso
titolo. Da tale ultimo punto di vista essa si colora dunque di una funzione squisitamente
conservativa.
D’altra parte, però, proprio l’idoneità della sospensione ad evolversi in estinzione della
procedura esecutiva rappresenta un risultato pur sempre utile per il debitore, il quale
ottiene comunque la liberazione dei suoi beni dal vincolo del pignoramento (e quindi una
“porzione” della tutela finale).
Sicché entrambe le parti potrebbero, in alternativa alla pienezza della tutela data dal
giudizio di opposizione, accontentarsi del risultato (sia pure) parziale conseguito in sede
cautelare e non coltivare il giudizio di merito, così avverandosi i voti del legislatore che,
nell’introdurre l’evocato congegno di sospensione-estinzione, ha inteso realizzare una
deflazione del contenzioso di merito nelle esecuzioni singolari.
Sarebbe dunque contrario a questo spirito imporre al creditore di coltivare il giudizio
di opposizione a fronte di un rigetto dell’istanza di sospensione in prime cure, ed al solo
scopo di impedire che l’accoglimento del reclamo inneschi l’estinzione della procedura.
Siffatte valutazioni, che fanno da sfondo all’interesse concreto delle parti, potranno
infatti utilmente essere compiute solo all’esito del giudizio di reclamo, che stabilizza il
quadro all’interno del quale entrambe le parti potranno consapevolmente scegliere se
accontentarsi della tutela cautelare o perseguire quella piena3.
Ed è proprio per questo, per realizzare cioè la necessaria stabilizzazione del quadro di
riferimento, che il reclamo avverso l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione
Problema ulteriore di cui i fautori dell’opposta opzione ermeneutica, quella cioè favorevole all’idoneità anche della sospensione disposta per la prima volta in sede di reclamo ad innescare l’estinzione
dell’esecuzione in assenza di giudizio di merito, non devono farsi carico.
3
Sia pure, naturalmente, sotto differenti profili: l’esecutato che dovesse ottenere la sospensione
potrebbe evitare il giudizio di merito provocando l’estinzione dell’esecuzione, ed accontentandosi della
liberazione dei beni dal pignoramento ma accettando il rischio che il creditore intraprenda una nuova
espropriazione sulla base dello stesso titolo; il creditore, per parte sua, potrebbe optare per il giudizio di
merito all’esito del quale rimuovere la sospensione della procedura, o accettare l’estinzione preferendo
iniziare, appunto, una nuova espropriazione.
2
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deve ritenersi, nella logica implicita del giudicante, ammissibile a prescindere dall’instaurazione del giudizio di merito nel termine perentorio stabilito dal giudice dell’esecuzione ai
sensi dell’art. 616, e che, di conseguenza, la sospensione idonea ad innescare il congegno di estinzione della procedura deve essere, ad onta del tenore letterale dell’art. 624,
3° co., anche quella disposta per la prima volta in tale sede.
Ritornando al caso di specie, «(…) ne consegue che, pur in mancanza di introduzione
del giudizio di merito da parte del debitore esecutato che non ha ottenuto il provvedimento di sospensione, il reclamo proposto può essere esaminato e, in caso di accoglimento, porterà all’estinzione del processo esecutivo se, nei termini eventualmente
assegnati dal collegio, la causa di merito non verrà introdotta dal creditore procedente»,
conclude perciò, rigettando l’eccezione di inammissibilità del reclamo, il tribunale.
2. Un passo indietro: il contesto di riferimento.
La decisione si pone al crocevia di alcune4 tra le più delicate questioni interpretative
agitatesi intorno all’art. 624, 3° co., c.p.c. all’indomani del suo varo come a seguito delle
modifiche che lo hanno a stretto giro interessato5.
Il contesto è quello di una opposizione all’esecuzione successiva al pignoramento, proposta perciò con ricorso al giudice dell’esecuzione (art. 615, 2° co.), unico organo6 altresì
competente a provvedere, ai sensi dell’art. 624, 1° co., sull’eventuale istanza di sospensione della procedura in corso, sulla quale è chiamato in ogni caso a provvedere sentite
Le questioni cui la disposizione dà adito sono molte di più: ad esempio la sua applicabilità all’opposizione preesecutiva ex art. 615, 1° co., o all’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 e con quali
limiti (considerato che la sospensione dell’esecuzione è solo uno dei provvedimenti indilazionabili che
possono richiedersi, ciò che è dimostrato, del resto, dal limite di compatibilità espressamente posto
dall’art. 624). O, ancora, la sua applicabilità in caso di estinzione del giudizio di opposizione, pure
nei termini incardinato. Anche tale questione non può dirsi così scontata, almeno stando a T. Campobasso, 13-5-2013, REF, 2013, 740 ss., con nota di VACCARELLA, Estinzione del giudizio di opposizione
all’esecuzione e sorte dell’ordinanza di sospensione dell’esecuzione, per il quale proprio l’estinzione,
lungi dal provocare lo stesso effetto della mancata instaurazione (tempestiva) del giudizio, provocherebbe l’opposto effetto di travolgere anche la sospensione, legittimando l’indisturbata prosecuzione
dell’esecuzione. Ampio sviluppo di questi temi in CAPPONI, Il comma 3 dell’art. 624 c.p.c, tra giudice
dell’esecuzione, collegio, termini perentori, fasi dell’opposizione, sospensione e estinzione: un puzzle assai
difficile da ricomporre, CorG, 2015, 540 ss., in nota a T. Lecce, 4-12-2014. Ma v. anche PETRILLO, Sub
art. 624, in COMOGLIO-CONSOLO-SASSANI-VACCARELLA (a cura di), Commentario del codice di procedura
civile, Torino, 2014, VII, 1, 407 ss., e BENANTI, La sospensione-estinzione del processo esecutivo. I nodi
dell’art. 624 c.p.c. vengono al pettine, GPC, 2010, 533 ss. Sul tema della sospensione si vedano altresì,
in generale, ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e 624 c.p.c.),
REF, 2006, 231 ss.; BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni
all’esecuzione e agli atti esecutivi, ivi, 2006, 662; VITTORIA, L’inibitoria del titolo esecutivo e la sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c., ivi, 2010, 392 ss.
5
Su cui valga il richiamo, per tutti, a CAPPONI, Misure interinali contro l’esecuzione forzata, RTPC,
2015, 611 ss.
6
Se si esclude il giudice dell’impugnazione del titolo giudiziale, cui compete il potere inibitorio
dell’efficacia esecutiva del titolo e quello sospensivo della concreta procedura in corso: amplius, sul
punto, CAPPONI, op. loc. ult. cit.
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le parti, prima di assegnare, ai sensi dell’art. 616, il termine perentorio per la introduzione/
riassunzione del giudizio sul merito dell’opposizione davanti all’ufficio competente.
Accanto a questo sviluppo per così dire orizzontale dell’opposizione, che dopo il provvedimento sull’istanza di sospensione7, collocato nella prima fase, può incanalarsi verso
il perseguimento della tutela finale, se ne profila un altro, per così dire verticale, cioè il
reclamo (ex art. 669-terdecies) avverso il provvedimento sulla sospensione, che rappresenta l’appendice impugnatoria della fase interinale.
In esito all’esaurimento del giudizio sulla sospensione, e sempre che essa sia stata
disposta8, scatta l’applicazione dell’art. 624, 3° co.: se il giudizio di opposizione non
risulti riassunto/introdotto9 nel termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione
ai sensi dell’art. 616, quest’ultimo dichiara anche d’ufficio l’estinzione della procedura
esecutiva10.
Di qui il primo intreccio di questioni interpretative: se cioè l’art. 624, 3° co. vada interpretato, secondo il suo tenore letterale, nel senso che solo la sospensione disposta in
prime cure e non reclamata, o confermata in sede di reclamo, sia idonea ad innescare il
meccanismo estintivo ivi previsto11.
In caso di risposta positiva, la sospensione in ipotesi negata in prime cure non appare
più, in difetto (come nel caso deciso) del giudizio di opposizione, utilmente perseguibile
in sede di reclamo, per essersi chiusi gli unici due sbocchi cui essa può dar alternativamente luogo, e cioè la decisione sull’opposizione (per difetto di impulso processuale),
e l’estinzione della procedura esecutiva (per non essere l’eventuale provvedimento
sospensivo frutto di conferma bensì di concessione per la prima volta in sede di reclamo).
Sullo sfondo si staglia, è bene ribadirlo, la suggestione della sospensione quale provvedimento cautelare conservativo e dunque inidoneo a sopravvivere in assenza del giudizio di opposizione cui è funzionale.
Peraltro solo eventuale: espone bene il quadro di riferimento CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, Torino, 2016, spec. 472 ss. e passim.
8
Prescindendo, almeno per il momento, dalla circostanza che sia stata disposta in prime cure e
confermata in sede di reclamo.
9
Altra ambiguità irrisolta dell’art. 616. Ad ogni buon conto la Cassazione (ord. 7-11-2010, n. 19264,
REF, 2013, 401 ss., con nota di ABETE, La fase introduttiva delle opposizioni esecutive “successive”: rilievi
e osservazioni) ha ritenuto che, anche ove l’iniziativa sia presa dallo stesso esecutato che ha già presentato il ricorso introduttivo al g.e., sia comunque necessario un atto di citazione (o un ricorso ove il rito
lo richieda), di contenuto identico al primo, il quale perciò serve al solo scopo di introdurre la fase
sommaria e non quella sul merito.
10
Con corredo dei provvedimenti di cancellazione della trascrizione del pignoramento e di pronuncia sulle spese della procedura: così l’art. 624, 3° co., c.p.c.
11
L’originaria formulazione del terzo comma dell’art. 624, come introdotta nel 2005, era del seguente
tenore: «Nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del primo comma e non reclamata, nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione dichiara con
ordinanza non impugnabile l’estinzione del pignoramento, previa eventuale imposizione di cauzione,
con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell’opponente alternativa all’instaurazione del giudizio
di merito sull’opposizione, fermo restando in tal caso il suo possibile promovimento da parte di ogni
altro interessato; l’autorità dell’ordinanza di estinzione pronunciata ai sensi del presente comma non è
invocabile in un diverso processo».
7
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Ne consegue dunque l’inammissibilità del reclamo per difetto di interesse dell’esecutato, secondo una lettura che pure trova significativi riscontri nel panorama interpretativo
attuale ed è fatta propria anche dal resistente.
Non così, evidentemente, se si assume che il tenore letterale dell’art. 624, 3° co. non
vada sopravvalutato, continuando la norma ad imporre, come nell’originaria versione del
2005, l’esistenza di un provvedimento sospensivo, sia esso ottenuto in prime cure e
non reclamato, confermato in sede di reclamo o, infine, ivi ottenuto per la prima volta12.
Con la conseguenza che fattore dirimente, ai fini dell’estinzione dell’esecuzione, diventa
l’instaurazione del giudizio di opposizione.
E qui lo scenario relativo all’interesse ad agire si ribalta: l’esecutato soccombente
in prime cure sull’istanza di sospensione che, disinteressandosi dell’opposizione, proponga tuttavia reclamo, getta le basi per l’estinzione della procedura, che consegue
senz’altro all’accoglimento dell’impugnazione.
Ma questa opzione porta con sé, almeno stando all’attuale panorama interpretativo,
un diverso, ancorché collegato, ordine di problemi (da cui l’evocato intreccio): se cioè la
circostanza che il reclamo conduca ad una sospensione (negata in prime cure), imponga
che i termini perentori per l’introduzione/riassunzione del giudizio sul merito dell’opposizione ex art. 615, 2° co., la cui fissazione l’art. 616 rimette al giudice dell’esecuzione
(che ha provveduto sull’istanza in prime cure), debbano invece essere fissati ex novo dal
giudice del reclamo (che la sospensione abbia, in ipotesi, disposto).
Con l’ulteriore conseguenza che, anche in difetto di introduzione/riassunzione del giudizio sul merito nei termini originariamente fissati dal giudice dell’esecuzione, la sospensione disposta dal giudice del reclamo comporterà l’estinzione dell’esecuzione solo ove
la riassunzione/introduzione dell’opposizione (verosimilmente da parte del creditore, che
ha interesse a far rimuovere dalla sentenza finale il provvedimento sospensivo) difetti nei
nuovi termini da quest’ultimo fissati13.
In questa specifica circostanza sembra aleggiare l’idea che il merito dell’opposizione
vada collegato all’emissione del provvedimento cautelare in ossequio a quella che la
sistematica dei rapporti tra tutela cautelare e tutela finale ricostruisce come strumentalità (funzionale) del secondo al primo, sicché cadrebbe a vuoto, in qualche modo, il
termine perentorio fissato dal giudice dell’esecuzione che abbia rigettato l’istanza di
sospensione.
A ben vedere il discorso è tuttavia suscettibile di porsi in una prospettiva più ampia,
che collega cioè la necessità che sia giudice del reclamo14 a fissare il termine perentorio
per il merito dell’opposizione non alla circostanza che sia ivi disposta per la prima volta,
ma che ivi la relativa decisione (positiva o negativa) assuma carattere stabile, così consentendo alle parti di valutare l’opportunità di instaurare il giudizio di merito in un quadro
insuscettibile di mutamenti.
V., sul punto, PETRILLO, Sub art. 624, cit., 445, e CAPPONI, Manuale, cit., 474 ss.
Ed a nulla rilevando l’inutile spirare di quelli fissati ex art. 616 dal giudice dell’esecuzione!
14
Ed in disparte il problema dell’individuazione di una norma che tale potere conceda al giudice
del reclamo.
12
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3. La ratio decidendi tra premesse espresse e presupposti impliciti.
Nel caso deciso sembrerebbe proprio quest’ultima la prospettiva adottata, quantomeno15 nell’impostazione della questione dell’ammissibilità (a termini perentori per il merito
inutilmente spirati) del reclamo.
La quale è fatta discendere, nell’ottica del giudicante, proprio dalla necessità che le
valutazioni delle parti in ordine al perseguimento della tutela finale si misurino con un
provvedimento reso in una sede, quella del reclamo appunto, che non ne consente più
la modifica. Ciò che sua volta si fonda sull’intento deflattivo (delle tutele dichiarative
nell’esecuzione) perseguito dal legislatore dell’art. 624, 3° co., e al cui spirito sarebbe
contraria una instaurazione del giudizio sul merito dell’opposizione al solo scopo di prevenire gli effetti di una soccombenza in sede di reclamo.
Non è dunque l’interpretazione estensiva (o correttiva) dell’art. 624, 3° co., a condurre
all’ammissibilità del reclamo in ragione dell’idoneità della sospensione ivi ottenuta per la
prima volta a innescare l’estinzione dell’esecuzione se non è perseguita la tutela finale;
ma è la necessità di evitare alle parti di perseguire quest’ultima a fronte di un provvedimento ancora suscettibile di riforma ad imporre che il reclamo sia indipendente dal
giudizio di merito, la cui instaurazione/riassunzione non può che seguire, in un termine
perentorio dallo stesso giudice del reclamo (ri)fissato, la definizione dell’impugnazione.
Questo in termini generali.
La pronuncia esibisce tuttavia una ambiguità che scolora in contraddittorietà quando
applica le sue stesse premesse al caso, deciso, della sospensione negata in prime cure
cui è seguito il reclamo dell’esecutato (nella specie poi respinto).
Riassume infatti il giudicante: «(…) si deve pertanto (…) ritenere che: 1. l’interesse a
promuovere il giudizio di merito si consolidi definitivamente solo all’esito del reclamo ove
proposto; 2. Il collegio debba concedere un nuovo termine per l’introduzione del giudizio
di merito, tenuto conto degli effettivi interessi delle parti, allorquando la decisione adottata sia contraria rispetto a quella assunta dal giudice dell’esecuzione».
E conclude: «(…) ne consegue che, pur in mancanza di introduzione del giudizio di
merito da parte del debitore esecutato che non ha ottenuto il provvedimento di sospensione, il reclamo proposto può essere esaminato e, in caso di accoglimento, porterà
all’estinzione del processo esecutivo se, nei termini eventualmente assegnati dal collegio, la causa di merito non verrà introdotta dal creditore procedente».
L’ambiguità affiora, in particolare, quando dall’affermazione sub 1), che cioè «l’interesse a promuovere il giudizio di merito si consolidi definitivamente solo all’esito del
reclamo ove proposto», si passa a quella sub 2), per la quale il collegio dovrebbe fissare un nuovo termine perentorio solo «allorquando la decisione adottata sia contraria
rispetto a quella assunta dal giudice dell’esecuzione».
Se la prima si assume vera nella sua assolutezza, il senso è quello di dare alle parti
l’opportunità di valutare il loro interesse al giudizio di merito rispetto ad una pronuncia
non più ribaltabile.
15
Che le cose non stiano poi così è questione che emergerà in prosieguo di trattazione.
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Il che vuol dire, ancora, che proprio il giudizio di merito è concepito, per la parte definitivamente soccombente all’esito del reclamo, quale ultimo baluardo in grado di rimuovere gli effetti della misura sfavorevole: per il creditore la sospensione (ed il possibile
esito estintivo), per l’esecutato la progressione dell’esecuzione in corso.
Il tutto, naturalmente, evitando che la tutela di merito sia perseguita in via meramente
prudenziale, a scongiurare cioè anticipatamente gli esiti infausti del giudizio di reclamo.
«Non pare condivisibile la tesi di chi sostiene che il creditore dovrebbe prudentemente
introdurre il giudizio di merito anche quando abbia ottenuto un provvedimento che nega
la sospensione da parte del giudice dell’esecuzione perché in caso contrario, nell’ipotesi
in cui il debitore risultasse vittorioso in sede di reclamo, la procedura esecutiva sarebbe
destinata ad estinguersi senz’altro; (…) d’altro canto (…) risulterebbe fuorviante negare
alla parte che sia risultata soccombente all’esito del reclamo la possibilità di introdurre il
giudizio di merito. Solo con il provvedimento adottato dal Collegio infatti si stabilizza definitivamente l’interesse della parte circa l’eventuale instaurazione del giudizio di merito,
così consentendo alle parti “libere scelte d’azione” in ordine al provvedimento ottenuto
e all’eventuale introduzione del giudizio di merito; fermo restando infatti l’astratto interesse del debitore di ottenere una pronuncia in grado di rimuovere del tutto l’efficacia
esecutiva del titolo nel caso in cui la sospensione sia stata concessa, risulta contraddittorio imporre al debitore o al creditore la necessità di introdurre il giudizio di merito
allorquando la fase cautelare complessivamente considerata non si sia ancora conclusa;
in altri termini, ove il debitore avrà ottenuto un provvedimento di sospensione davanti al
giudice dell’esecuzione, fermo restando il suo astratto interesse ad introdurre la causa
di merito, il suo interesse concreto potrebbe atteggiarsi in modo sensibilmente diverso
nell’ipotesi in cui in sede di reclamo il collegio riformasse il provvedimento adottato;
ove, viceversa, il creditore abbia ottenuto un provvedimento che neghi la sospensione
dell’esecuzione, il suo interesse a promuovere la causa di merito potrebbe sorgere, tendenzialmente, solo ove in sede di reclamo quel provvedimento fosse riformato», motiva
infatti il giudicante.
Il collegio dovrebbe allora disporre nuovi termini perentori per il merito in ogni caso e
non solo se ha ribaltato la decisione di prime cure.
Se le valutazioni che le parti potevano compiere a fronte della pronuncia di prime cure
dovranno restare impregiudicate all’esito del reclamo per le ragioni appena viste, vuol
dire allora che quest’ultimo, per il fatto stesso di potersi svolgere16, funge da congegno
di generale rimessione in termini, ai fini del giudizio sul merito dell’opposizione, per la
parte soccombente17.
Ma se è davvero la soccombenza l’elemento che fonda l’interesse al giudizio di merito,
e non necessariamente il ribaltamento della decisione di prime cure, i termini andrebbero fissati dal giudice del reclamo anche se l’impugnazione fosse proposta dal creditore avverso la sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione, e confermata. In
E dunque solo in pendenza dei relativi termini!
E sempre che quest’ultimo non sia già stato instaurato nei termini (pur sempre) fissati dal giudice
dell’esecuzione ex art. 616.
16
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tale ipotesi infatti, esattamente come in quella in cui la sospensione fosse disposta su
reclamo dell’esecutato soccombente in prime cure, il creditore punta alla revoca che,
ove ottenuta, ne esclude il preteso interesse (esclusivo) all’accertamento del suo diritto
di procedere ad esecuzione forzata, e ove invece confermata potrebbe indurlo a tale
determinazione.
Che sia il debitore a reclamare il diniego di sospensione ottenendo la riforma (caso
assunto dal giudicante quale paradigmatico), o che sia il creditore a reclamare la pronuncia sospensiva, ottenendo un rigetto (applicazione del criterio generale enunciato), parte
soccombente è sempre e comunque il creditore, al quale non resterebbe che il giudizio
di merito per rimuovere gli effetti della sospensione.
Solo che qui non vi è alcun ribaltamento della decisione di prime cure.
Per parte sua l’esecutato, che la sospensione ottenuta in prime cure poteva indurre a
non perseguire la tutela finale, vede, a fronte di una revoca in sede di reclamo, riemergere il suo interesse al merito18. Schema, quest’ultimo, che si ripropone negli stessi
termini se in sede di reclamo veda confermato il diniego di sospensione.
Anch’egli è in entrambi i casi soccombente, con (ri)emersione dell’interesse a coltivare il merito dell’opposizione, ma anche in tal caso senza che vi sia stato un ribaltamento della decisione di prime cure.
Ma è a questo guado che il provvedimento contraddice le sue stesse premesse:
respinto il reclamo dell’esecutato, e dunque confermato il diniego della sospensione,
nessun termine è fissato, ai fini del merito, per il creditore (decisione condivisibile), ma
neanche a beneficio del debitore, che pure è soccombente in sede di reclamo.
Con la conseguenza che questi, che a fronte del diniego di sospensione in prime cure
ha sperimentato il reclamo ed ha negletto il merito intendendo perseguire l’ulteriore
effetto estintivo collegato alla riforma/sospensione, si ritrova definitivamente soccombente e neppure in grado di perseguire, oramai, la tutela di merito!
Né potrebbe obiettarsi che la necessità di rivedere le proprie determinazioni in ordine
al merito sorga solo ove l’assetto di interessi fissato in prime cure venga ribaltato, in
caso contrario restando ferme le scelte già compiute (e perciò rilevanti i termini già fissati ex art. 616 dal giudice dell’esecuzione). Sicché al creditore che si veda confermare
in sede di reclamo il diniego di sospensione non gioverebbe alcun nuovo termine (affermazione, questa, assolutamente vera!).
Il punto è infatti proprio questo, che ciò vale per una delle parti e mai per l’altra: è la soccombenza a far riemergere l’interesse al merito, non la concessione della sospensione.
E la soccombenza da un lato può valutarsi solo all’esito del reclamo, prescindendo dal
ribaltamento della decisione di prime cure, che può pure mancare; dall’altro può esservi
anche ove non sia stata disposta alcuna sospensione, come accaduto proprio nel caso
deciso.
L’impressione è allora che, ad onta delle premesse generali, la soluzione non si regga
sulla logica della soccombenza quale nerbo dell’interesse al merito, ma subisca la suggestione del rapporto di strumentalità tra cautela sospensiva e merito, che conduce
18
Ciò che è riconosciuto anche dall’ordinanza in commento.
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ad annettere il termine per l’introduzione/riassunzione di quest’ultimo solo alla prima, e
quindi a favore del creditore per evitarne la “mutazione” in estinzione della procedura.
Una suggestione che induce il giudicante a considerare implicitamente la sospensione
disposta in primo grado e confermata in sede di reclamo quale ipotesi in cui la fissazione
del termine perentorio da parte del giudice dell’esecuzione sia l’unico a poter giovare al
creditore, per il quale l’esito del reclamo se positivo esclude l’interesse al merito ma se
negativo preclude la fissazione di un nuovo termine per difetto di “ribaltamento” della
decisione.
Così facendo, però, si sbilancia il risultato in favore di quest’ultimo ed a detrimento
dell’esecutato, quasi a disinnescare in via interpretativa il congegno di sospensioneestinzione a suo favore costruito dalla legge.
E, tutto sommato, si induce proprio quel risultato che si era inteso scongiurare: e cioè
che il giudizio di opposizione venga sperimentato in via prudenziale proprio dal debitore
a fronte di un diniego di sospensione in prime cure, ad evitare che il rigetto del reclamo
gli precluda, come pare proprio sia accaduto nel caso deciso, definitivamente il contrasto
ad una esecuzione che assuma ingiusta o illegittima!
Ma neppure si può escludere, come già rilevato, l’iniziativa da parte del creditore a
fronte di una sospensione in prime cure, ad evitare che la conferma in sede di reclamo
(che non integra un ribaltamento della prima, e dunque non legittima la fissazione di nuovi
termini per il merito) estingua l’esecuzione.
Il che val quanto dire, mi sembra, che il termine perentorio fissato ex art. 616 dal giudice dell’esecuzione è l’unico davvero rilevante ad ogni fine… salvo che non sia stata
disposta la sospensione in sede di reclamo, evento che consente al (solo) creditore di
vanificare, coltivando l’opposizione in un nuovo termine solo per lui fissato, il risultato
estintivo perseguito dalla controparte.
Delle soluzioni “creative” indotte dalla lettura degli artt. 616 e 624 con la lente deformante dei rapporti tra cautele anticipatorie e tutele finali intessuti dagli artt. 669-octies e
novies, questa mi pare davvero la meno accettabile.
4. La riforma degli artt. 616 e 624 e la logica deflattiva (per il medio della strumentalità attenuata): un obiettivo mancato.
La decisione non appare dunque condivisibile né nelle premesse generali né nell’esito
concreto, che pure quelle premesse tradisce.
Di quest’ultimo si è appena detto, sulle prime occorre invece ancora qualche riflessione.
L’idea che l’interesse al giudizio sul merito dell’opposizione vada apprezzato in esito
alla fase di reclamo del provvedimento reso dal giudice dell’esecuzione sull’istanza di
sospensione, dovendo essere quello del soccombente (creditore rispetto alla sospensione, esecutato rispetto al diniego), si basa su un presupposto tanto riconoscibile
quanto opinabile.
E cioè che la sospensione sia una misura cautelare anticipatoria della sentenza resa
sull’opposizione, in quanto in grado di dare alla parte vittoriosa la stessa utilitas ivi conseguibile. Sicché il creditore che abbia subito una (oramai inimpugnabile) sospensione della
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Giurisprudenza commentata
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procedura può contare sulla sola pendenza del merito per scongiurarne l’estinzione,
“anticipazione” dell’eventuale accoglimento dell’opposizione. Merito che diviene per lui,
funzionalmente, tecnica per perseguire la rimozione della cautela sfavorevole.
Per parte sua l’esecutato che abbia invece patito il diniego di sospensione non può
perseguire la chiusura della esecuzione in corso che in sede di opposizione, anche qui
tecnica funzionalmente remotiva della cautela sfavorevole.
Ma che le cose non stiano proprio così è testimoniato dalla stessa ordinanza in commento, laddove riconosce che la sospensione, anche ove tramutatasi in estinzione ex
art. 624, 3° co., non è mai foriera della stessa utilitas perseguibile con l’opposizione per
la semplice quanto innegabile ragione che lascia in vita il titolo esecutivo.
Ciò vuol dire, mi sembra, che a fronte di una sospensione disposta dal giudice dell’esecuzione il debitore esecutato non è mai completamente vittorioso perché, se anche si
perfezionasse il congegno estintivo dell’art. 624, 3° co., resterebbe pur sempre esposto
ad una nuova esecuzione fondata sullo stesso titolo. Ma ciò si riverbera, inevitabilmente,
sulla posizione del creditore, che a sua volta non è mai completamente soccombente,
potendo intraprendere una nuova esecuzione proprio in base a quello stesso titolo, fisiologicamente sopravvissuto alla vicenda estintiva.
L’interesse al giudizio di merito non è allora collegato alla soccombenza nella fase
interinale, ma a valutazioni in ordine alla scelta della tutela finale, che appare infungibile
rispetto a quella derivante dalla somma sospensione/estinzione, e rende i loro rapporti
irriducibili a quelli esistenti tra una qualunque cautela “anticipatoria” e la tutela finale nei
giudizi dichiarativi. E ciò perché esiste sempre un quid pluris che il giudizio di merito può
fornire e quello interinale no, per l’esecutato19 ma anche, ed è questa la novità consegnataci dal quadro normativo attuale, per lo stesso creditore.
Il giudizio di opposizione serve all’esecutato, da sempre, per elidere il titolo esecutivo,
cui consegue la liberazione dei beni dal pignoramento, e ciò tanto in costanza di sospensione tanto se la procedura continua. L’esito del reclamo è dunque, per lui, sotto tale
profilo indifferente.
La duplice circostanza che gli artt. 615, 2° co. e 616 costruiscano oggi proprio l’opposizione secondo una struttura bifasica che richiede un nuovo atto di impulso per la
progressione verso la decisione; e che l’art. 624, 3° co. colleghi alla sua mancanza
l’estinzione dell’esecuzione, dando all’esecutato un’arma di contrasto (ed una opzione)
nuova rispetto a quelle tradizionali, non è tuttavia senza conseguenze perché altera la
posizione delle parti imponendo un riequilibrio della posizione del creditore. È dunque
sotto quest’ultimo profilo che la logica dei rapporti tra cautela anticipatoria a strumentalità attenuata e merito ha effettivamente contaminato le opposizioni ex artt. 615 e 619:
nel momento in cui si consegna alla parte che ha ottenuto la cautela richiesta il potere
Il discorso è suscettibile di diversa ricostruzione quanto all’opposizione ex art. 619, in cui il
terzo persegue, con l’opposizione, un risultato perfettamente sovrapponibile a quello ottenibile con
la sospensione: la sottrazione del bene al vincolo del pignoramento, per lui essendo tendenzialmente
irrilevante l’elisione del titolo esecutivo. In tal caso effettivamente il conseguimento della sospensione
appare del tutto satisfattivo dell’interesse dell’opponente, secondo il modello delle cautele anticipatorie: amplius, sul punto, l’ampia ricostruzione di CAPPONI, Misure interinali, cit., spec. 617 ss.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
di non perseguire o coltivare la tutela finale, così consolidando la prima, si scarica inevitabilmente il relativo onere sulla controparte che intenda ribaltare l’assetto di interessi
proprio dalla cautela creato.
Anche nel contesto dell’opposizione all’esecuzione il riequilibrio è dato perciò dalla
legittimazione del creditore a coltivare il giudizio a fronte di un esecutato che, proprio
trascurandolo, mostra di perseguire l’estinzione dell’esecuzione.
Siffatta legittimazione consente al creditore l’accertamento del suo diritto di procedere ad esecuzione forzata mantenendo comunque gli effetti del pignoramento già effettuato, utilitas diversa e maggiore rispetto a quella di intraprendere una nuova esecuzione
dopo l’estinzione della prima 20 e che è sicuro di ottenere, oggi a differenza di ieri, solo
coltivando quell’opposizione21 negletta dalla controparte e perciò, quale che sia l’esito
dell’istanza di sospensione in prime cure, che se è positivo potrebbe essere confermato
in sede di reclamo e se negativo potrebbe ivi essere ribaltato, in entrambi i casi comportando l’estinzione dell’esecuzione22.
Se dunque si abbandona, se non per l’aspetto appena evocato, la lente deformante
dei rapporti tra cautela anticipatoria e merito, sicuramente indotta dal clima in cui vide
la luce l’art. 624, 3° co., occorre riconoscere che non vi è bisogno di attendere l’esito
del reclamo per compiere queste valutazioni. E, di conseguenza, neppure vi è bisogno di
costruire, gareggiando con il legislatore nell’immaginare “macchine volanti”23, un potere
di fissazione di un termine perentorio in capo al giudice del reclamo, non previsto dalla
legge e destinato a sostituirsi ad un termine, anch’esso perentorio, già fissato dall’unico
giudice proprio per legge competente a farlo!
Il congegno costruito dall’art. 624, 3° co., è inidoneo a quello scopo deflattivo cui
pure era destinato negli intenti del legislatore, ed alla cui realizzazione sarebbe servito
solo ove avesse conferito alla sospensione gli effetti dell’inibitoria (elisione del titolo
esecutivo), creando una equivalenza funzionale tra esito dell’opposizione ed estinzione
Nel frattempo infatti da un lato la consistenza del patrimonio del debitore potrebbe mutare addirittura impedendo un utile pignoramento; dall’altro egli potrebbe ancora dover fronteggiare una nuova
opposizione dell’esecutato.
21
Che la procedura continui o si blocchi, il pignoramento resta fermo, e nulla gli impedisce comunque di procedere ad un nuovo pignoramento con lo stesso titolo esecutivo.
22
Una precisazione si impone. Il mantenimento degli effetti del pignoramento è sempre stato, per il
creditore, esito non rimuovibile dalla sospensione dell’esecuzione disposta dal giudice dell’esecuzione
ex art. 624, che ha tradizionalmente reso l’opposizione all’esecuzione terreno di esclusivo interesse (e
legittimazione) dell’esecutato, la cui mancanza di impulso avrebbe travolto sia il giudizio di merito che
l’eventuale cautela favorevole ottenuta in via interinale. Ed anche oggi, dopo le modifiche degli artt. 616
e 624, il pignoramento potrebbe restare fermo all’esito del doppio grado della fase interinale, ove la
sospensione fosse infine negata. Ma proprio la possibilità offerta al debitore, non coltivando l’opposizione, di ottenere l’estinzione dell’esecuzione sia se il g.e. abbia disposto la sospensione, che venga confermata dal collegio, sia abbia rigettato l’istanza, con pronuncia riformata in sede di reclamo, impone
al creditore di coltivare l’opposizione se vuol essere sicuro di escludere l’estinzione della procedura.
Perciò l’esito del reclamo, che per lui potrebbe in astratto essere determinante, non lo è più nell’attuale
contesto normativo. In tal senso già CAPPONI, L’art. 624, comma 3, cit., 542.
23
Per indugiare nella bella immagine di CAPPONI, Misure interinali, cit., 628, che, forse troppo benevolmente, definisce il meccanismo dell’art. 624, 3° co., come “leonardesco”.
20
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Giurisprudenza commentata
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dell’esecuzione24 secondo il meccanismo pure immaginato dall’art. 624, 3° co. Il che,
facendo effettivamente emergere l’interesse al merito solo in esito alla fase di reclamo,
avrebbe allora dovuto anche accompagnarsi ad un raccordo con tale giudizio, agganciando la decorrenza dei termini per il merito dalla conoscenza del provvedimento reso
dal collegio.
Ma ciò non è accaduto, e va perciò escluso che sia l’interprete a dover a quello scopo
orientare il dettato normativo, soprattutto a prezzo delle enormi forzature appena evocate.
La conclusione che a me pare più plausibile, e soprattutto più lineare e fonte di certezze, dovrebbe dunque andare in altra direzione.
In ossequio al tenore letterale dell’art. 616, che conferisce all’opposizione all’esecuzione una struttura invariabilmente bifasica, occorrerebbe cioè ritenere che sia esclusivamente il giudice dell’esecuzione a fissare, in ogni caso, il termine perentorio per
l’instaurazione/riassunzione del giudizio sul merito dell’opposizione all’esecuzione, operante sia per l’esecutato che per il creditore (o solo per il primo nelle ipotesi in cui non
vi sia stata istanza di sospensione e non operi dunque il congegno dell’art. 624, 3° co.).
Se l’esito del reclamo è nel senso della sospensione e questa sopravvenga a termini
per il merito scaduti, si perfeziona l’estinzione dell’esecuzione, che il giudice dell’esecuzione stessa dichiarerà su istanza del creditore.
La giurisprudenza di merito, e l’ordinanza in commento ne costituisce esempio lampante, non pare tuttavia orientata in questa direzione, anche se è difficile dire quali siano
quelle alternative pure in astratto percorribili, e fino a che punto si possano giustificare in
ragione della pessima tecnica legislativa, altra ragione omnibus spesso assunta a sostegno di interpretazioni correttive25.
Con il rischio che l’ennesimo intento deflattivo del legislatore, eletto a criterio interpretativo principe ma perseguito con strumenti inidonei allo scopo, porti proprio a quella
introduzione prudenziale del merito che si era inteso scongiurare.
Triste eterogenesi dei fini in un mondo che nel rifuggire il processo con armi spuntate
finisce fatalmente per rimanervi impigliato.
CLARICE DELLE DONNE
Con soluzione peraltro limitata all’opposizione all’esecuzione ex art. 615 e non estensibile a quella
ex art. 619, dove l’opponente non persegue l’elisione del titolo esecutivo ma semplicemente la sottrazione del bene al vincolo del pignoramento, sul presupposto che sia estraneo alla garanzia patrimoniale.
In tale ipotesi infatti, come già accennato, la sospensione dell’esecuzione tende già a coincidere con
l’esito della tutela finale (amplius supra, nota 19).
25
Quale proprio quella dell’art. 624, 3° co., nella parte in cui, letteralmente, esclude l’effetto estintivo ivi previsto in caso di sospensione disposta per la prima volta in sede di reclamo, e non semplicemente confermata. Per una rassegna di decisioni “creative” della giurisprudenza di merito anche in
relazione a questo specifico aspetto ancora CAPPONI, Il comma 3 dell’art. 624 bis, cit., passim.
24
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
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TRIBUNALE ORDINARIO
Fiengo Relatore.
DI
MILANO, 10 novembre 2015 (ordinanza) — Mennuni Presidente —
Esecuzione forzata — Opposizione a precetto — Sospensione dell’efficacia esecutiva
del titolo ex art. 615, 1° co., c.p.c. — Reclamo — Inammissibilità.
È inammissibile il reclamo avverso l’ordinanza emessa dal giudice dell’opposizione a precetto.
Tale conclusione appare coerente con la tradizionale esclusione di un controllo sugli interventi
caratterizzati da una cognizione sommaria incidente sull’efficacia del titolo (ad es. ex art. 283
c.p.c.) cui è ascrivibile anche la sospensione ex art. 615, 1° co., c.p.c. (1)
TRIBUNALE ORDINARIO DI NAPOLI NORD, 7 maggio 2014 (ordinanza) — Pizzi giudice istruttore.
Esecuzione forzata — Opposizione a precetto — Sospensione dell’efficacia esecutiva
del titolo ex art. 615, 1° co., c.p.c. — Competenza sospensiva — Inizio dell’esecuzione —
Inammissibilità.
La sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto, risolvendosi in una mera
inibitoria del singolo precetto, non risulta assimilabile all’inibitoria dell’efficacia del titolo che
possiede il giudice dell’impugnazione (per esempio ai sensi dell’art. 283 c.p.c). Conseguentemente, iniziata l’esecuzione, va dichiarata inammissibile la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva ex art. 615, 1° co., c.p.c., sussistendo invece la competenza inderogabile del g.e. a
disporre la sospensione dell’esecuzione (2).
I
(Omissis)
2. Il reclamo è inammissibile.
Come ripetutamente affermato da questo Tribunale l’ammissibilità del reclamo
avverso la statuizione sulla sospensione resa dal giudice della cognizione ai sensi
dell’art. 615, co. 1, c.p.c. deve esser esclusa per i seguenti motivi:
a) L’interpretazione letterale.
Ai sensi dell’art. 624 c.p.c. “se è proposta opposizione all’esecuzione a norma
degli artt. 615 e 619 c.p.c., il giudice dell’esecuzione, concorrendo grati motivi,
sospende, su istanza diparte, il processo con cauzione o senza”. Pacifica la distinzione tra opposizione promossa prima del pignoramento (art. 615, co. 1, c.p.c.)
ed opposizione promossa successivamente all’inizio dell’esecuzione (art. 615, co. 2,
c.p.c.), deve ritenersi che il richiamo dell’art. 624 c.p.c. alle sole ordinanze emesse
dal giudice dell’esecuzione consenta il reclamo (art. 624, co. 2, c.p.c.) avverso i
soli provvedimenti emessi dal giudice dell’esecuzione. É del resto di tutta evidenza
che “il giudice dell’esecuzione” non vi è ancora quando si propone opposizione a
precetto.
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Giurisprudenza commentata
485
Deve quindi concludersi che, quanto al provvedimento qui reclamato, trova
applicazione l’art. 669-quaterdecies c.p.c. ai sensi del quale l’applicazione del regime
cautelare uniforme – e, quindi, anche dello strumento del reclamo – è limitata ai
provvedimenti previsti nelle sezioni II, III, V del capo III del libro IV del codice
di rito e – salvo il giudizio di compatibilità – dal codice civile e dalle leggi speciali.
Non v’è del resto dubbio che quello di cui trattasi sia un provvedimento solo
“latamente cautelare” in quanto, da un lato, senz’altro a contenuto anticipatorio
rispetto al futuro provvedimento di merito e fondato, quindi, sulla sussistenza o
meno del fumus di probabile fondatezza della domanda principale e, dall’altro, tale
strumento non partecipa della stessa natura dei provvedimenti cautelari in senso
stretto, difettando del presupposto del periculum poiché non diretto ad assicurare –
per evitare imminenti pregiudizi – gli effetti della decisione di merito.
Pertanto, sia avuto riguardo alla esplicita previsione contenuta negli artt. 615 e
624 c.p.c. sia con riferimento al regime generale dettato dall’art. 669-quaterdecies
c.p.c., si deve concludere per l’irreclamabilità dell’ordinanza ex art. 615, co. 1, c.p.c.
b) L’interpretazione sistematica.
In tutti i casi in cui è disciplinato l’intervento del giudice della cognizione con
interventi interinali – c.d. “paracautelari” – e comunque a cognizione sommaria
incidenti sull’efficacia del titolo esecutivo già idoneo a fondare l’esecuzione forzata
mai è prevista la possibilità di reclamo. Basta qui richiamare le ipotesi di concessione della provvisoria esecuzione del provvedimento monitorio opposto ovvero
della sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo (artt. 642, 648, 649 c.p.c.) ovvero
la disciplina della sospensione dell’efficacia della sentenza impugnata in sede di
gravame (artt. 283, 351 c.p.c.); ipotesi tutte in cui la giurisprudenza di legittimità
ha sempre impedito il tentativo di estendere la reclamabilità di tali provvedimenti,
riconoscendone un regime di stabilità sino alla decisione del giudice del merito che
sull’efficacia esecutiva si è pronunciato.
c) L’interpretazione costituzionalmente orientata.
La soluzione qui accolta non pone problemi sotto il profilo della legittimità costituzionale. Al riguardo è appena il caso di osservare come, con la sentenza 306/07,
il giudice delle leggi, chiamato a valutare la violazione degli artt. 3 e 24 Cost. in
rapporto alla disciplina processuale che non consente impugnazioni avverso il provvedimento incidente sull’esecutività del decreto ingiuntivo sino all’esito del giudizio
di opposizione, ha ritenuto non violato alcun precetto costituzionale prendendo
in considerazione, quale tertium comparationis, proprio il reclamo introdotto con
l’art. 624, co. 2, c.p.c. avverso l’ordinanza che provvede sull’istanza di sospensione
del processo esecutivo. L’iter argomentativo seguito dalla Corte costituzionale
consente anzi di ritenere che la natura “latamente cautelare” dei provvedimenti a
cognizione sommaria emessi dal giudice ed incidenti sulla esecutività del titolo, non
impone una comune disciplina con quella prevista per i provvedimenti cautelari.
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Tale argomento esclude ulteriormente che all’interpretazione costituzionalmente
orientata imponga il riconoscimento del regime di reclamabilità – seppur non
espressamente prevista – dell’ordinanza sull’efficacia esecutiva del titolo adottata ai
sensi dell’art. 615, co. 1, c.p.c. per pretese esigenze di omogeneità della disciplina.
(Omissis)
II
Il G.I. Felice Angelo Pizzi, letti gli atti e sciolta la riserva formulata alla udienza
del 30/4/2014;
letta la richiesta di sospensione della efficacia esecutiva del titolo avanzata ex
art. 615 comma 1 c.p.c. dall’attore nell’ambito del presente procedimento contenzioso di opposizione a precetto;
rilevato che l’opposizione è stata proposta contro il precetto notificato il
21/11/2013 e che, per quanto ammesso dallo stesso attore, a tale atto preliminare,
durante la pendenza della opposizione preesecutiva, ha fatto seguito una esecuzione
forzata nelle forme di cui agli artt. 555 ss. c.p.c.;
che dunque allo stato l’esecuzione preannunciata dal precetto opposto è iniziata
e che un provvedimento di sospensione adottato nella presente sede contenziosa
avrebbe in concreto ad oggetto essa, incidendo sul suo corso, e non la efficacia esecutiva del titolo, vale a dire la astratta idoneità dello stesso a fondare una procedura
esecutiva (cfr. ordinanza Cass. civ. sez. III, 10/3/2006, n. 5368);
che in via prioritaria va chiarita la portata generale del provvedimento di sospensione adottato in sede di opposizione alla esecuzione a precetto;
che il potere di sospensione del Giudice Istruttore adito ex art. 615 comma 1
c.p.c. con l’atto introduttivo del relativo giudizio contenzioso è in realtà identico a
quello esercitato dal G.E. nell’ambito della procedura esecutiva su una opposizione
alla esecuzione proposta ex art. 615 comma 2 c.p.c. perché la controversia portata
alla loro attenzione è la medesima (sul punto cfr. Cass. civ. sez. III, 24/10/1986,
n. 6235; Cass. civ. sez. III, 20/7/2010, n. 17037), e non è assimilabile al potere di
sospensione della efficacia del titolo che possiede il Giudice della impugnazione,
per esempio ai sensi dell’art. 283 c.p.c.;
che infatti l’opposizione a precetto NON è un mezzo di impugnazione, e il compito del Giudice adito ex art. 615 comma 1 c.p.c. non è quello di modificare, revocare o annullare il titolo procedendo ad un suo riesame in senso tecnico;
che una diversa interpretazione, che attribuisse alla sospensione della efficacia
esecutiva del titolo adottata dal Giudice Istruttore in sede di opposizione preventiva a precetto ai sensi dell’art. 615 comma 1 c.p.c. l’effetto di produrre la inidoneità
di quel titolo ad essere utilizzato in qualsiasi futura possibile procedura esecutiva,
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Giurisprudenza commentata
487
si risolverebbe nella assegnazione a tale Giudice di un potere maggiore e più ampio
rispetto a quello riconosciuto dall’ordinamento processuale vigente al G.E. adito
con una opposizione postesecutiva di identico contenuto, vale a dire di un potere
assimilabile a quello esercitato dal Giudice della impugnazione, per esempio ai sensi
dell’art. 283 c.p.c. già citato, e introdurrebbe una disparità di trattamento ingiustificata che violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.;
che infatti la ordinanza di sospensione della esecuzione resa ai sensi dell’art. 624
c.p.c. dal G.E. ha effetti limitati al procedimento esecutivo nel quale è pronunciata,
effetti che non influiscono sull’azione esecutiva resa astrattamente possibile dal
titolo esecutivo né sugli altri procedimenti esecutivi eventualmente promossi sulla
base del medesimo titolo (v. sul punto Cass. civ. sez. III, 26/6/1993, n. 7089; Cass.
civ. sez. III, 13/5/2003, n. 7296; Cass. civ. sez. III, 27/3/2009, n. 7537);
che, in altri termini, una volta sospesa la procedura, il creditore può intentare legittimamente una nuova esecuzione senza incorrere nella violazione dell’art. 626 c.p.c.;
che il precetto è un atto preliminare all’esecuzione, e non ne segna l’inizio, per cui
non può dirsi che esso sia un atto esecutivo pertinente ad una determinata procedura;
che esso consiste semplicemente in una intimazione stragiudiziale ad adempiere
contenente anche la minaccia di esecuzione forzata (cfr. Cass. civ. sez. II, 18/2/1992,
n. 2000), la cui notifica dal punto di vista processuale segna la decorrenza del termine
di decadenza di novanta giorni di cui all’art. 481 c.p.c. utile per l’inizio dell’esecuzione;
che il termine di novanta giorni, previsto dall’art. 481 c.p.c., entro cui l’esecuzione
deve essere iniziata per ovviare alla comminatoria di inefficacia del precetto, è un
termine di decadenza e non di prescrizione, attenendo all’inattività processuale del
creditore e non all’effetto sostanziale del precetto, che ai sensi dell’art. 1219 c.c. è
quello di costituire in mora il debitore;
che di conseguenza, se entro il termine suddetto viene iniziata una qualsiasi esecuzione, esauritasi la funzione del termine di decadenza, è possibile instaurare anche
dopo il decorso dei novanta giorni, ed in base all’unico precetto, senza necessità di
effettuare una sua rinnovazione, altre procedure espropriative con il solo temperamento del divieto del cumulo eccessivo di cui all’art. 483 c.p.c. (v. sul punto Cass.
civ. sez. III, 28/4/2006, n. 9966);
che dunque un solo precetto può precedere più procedure esecutive, tanto è vero
che la procura apposta a margine dello stesso è efficace in relazione a tutte le esecuzioni iniziate successivamente;
che è possibile una interpretazione che da un lato non impedisca in assoluto il
futuro utilizzo del titolo la cui efficacia esecutiva sia stata sospesa ex art. 615 comma
1 c.p.c. e dall’altro non consenta che a quel determinato precetto opposto faccia
seguito una esecuzione;
che ciò accade attribuendo alla sospensiva adottata ex art. 615 comma 1 c.p.c.
l’effetto di una inibitoria di tutte le possibili esecuzioni preannunciate da quel
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singolo precetto opposto, ma non impedendo che venga notificato sulla base dello
stesso titolo esecutivo un nuovo precetto a cui segua una esecuzione;
che invero in considerazione della sua natura di atto stragiudiziale e non processuale la notifica di un nuovo precetto non può comportare, neppure in astratto, una
situazione di litispendenza;
che il creditore è libero, fino all’adempimento integrale della sua pretesa, di intimare tanti precetti quanti reputi necessari, purché non chieda, in quelli successivi,
le spese (ed i compensi) per i precetti precedenti (v. sul punto Cass. civ. sez. III,
29/8/2013, n. 19876);
che ciò non costituisce abuso del diritto di agire esecutivamente, a differenza del
frazionato azionamento di un credito unitario, proprio perché al creditore spetta
il diritto di proseguire in tale esercizio fintantoché il debitore esecutato non abbia
adempiuto integralmente la prestazione dovuta in forza del titolo;
che ove invece, col precetto successivo o reiterato, il creditore intimi anche il
pagamento delle spese dei precetti precedenti, l’ultimo è da considerarsi sì illegittimo, ma solo ed esclusivamente quanto a queste ultime, sicché non può essere
dichiarato invalido nella sua interezza;
che una interpretazione restrittiva della efficacia prima che della competenza in
ordine all’esercizio del potere di sospensione esercitabile in sede di opposizione
preventiva si giustifica non solo in base ad una lettura sistematica e costituzionalmente orientata delle norme in esame ma anche dalla lettera dell’art. 615 comma 1
c.p.c., laddove prevede unicamente il potere di sospendere l’efficacia esecutiva del
titolo (quando l’esecuzione non è ancora iniziata), parallelamente alla previsione
dell’art. 624 c.p.c. che prevede un potere di sospensione della esecuzione (quando
l’esecuzione è già iniziata), mentre solo l’art. 283 c.p.c. attribuisce al Giudice della
impugnazione il potere di sospendere sia l’efficacia esecutiva del titolo che l’esecuzione in corso, a seconda che l’esecuzione non abbia avuto ancora luogo o sia stata
ormai instaurata, privando in entrambi i casi il titolo della sua idoneità a fondare
una qualsiasi esecuzione, il che è congruo con lo scopo del giudizio di impugnazione, che attraverso il riesame del titolo è finalizzato alla sua rimozione o modifica,
a differenza della opposizione a precetto;
che per quanto riguarda la competenza a disporre la sospensione, l’art. 624 c.p.c.,
laddove attribuisce in via esclusiva al G.E. il potere di sospendere l’esecuzione già
iniziata, si pone come norma speciale e quindi prevalente, nel senso che deroga ad
essa, rispetto alla previsione generale di cui all’art. 669 quater comma 1 c.p.c., la
quale attribuisce il potere di adottare la sospensiva, che ha la natura di provvedimento cautelare anticipatorio (cfr. su tale qualificazione Cass. civ. sez. III, 20/7/2011,
n. 15903), al Giudice competente per la causa di merito a cognizione piena, quando
questa è già in corso, come avviene quando sia pendente l’opposizione a precetto ex
art. 615 comma 1 c.p.c. e sopravvenga l’esecuzione forzata;
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Giurisprudenza commentata
489
che a norma dell’art. 624 c.p.c., come anche dell’art. 618 comma 2 c.p.c., dal
momento dell’inizio della esecuzione sorge invece la competenza inderogabile ed
assoluta del G.E., rilevabile anche ex officio, a disporre la sospensione dell’esecuzione (cfr. sul punto per un caso simile Cass. civ. Sez. II, 20/6/1983 n. 4219, nonché
Cass. civ. Sez. III, 11/5/1985 n. 2940), e che tale competenza esclude quella del
Giudice della opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi (v. anche Cass. civ. Sez.
III, 17/3/1998 n. 2848 e ordinanza Cass. civ. sez. III, 10/3/2006, n. 5368), anche
preventiva, trattandosi di un provvedimento con funzione ordinatoria del processo
esecutivo, che si svolge unicamente al suo interno;
che tanto si evince sempre dagli artt. 616 e 618 comma 2 c.p.c., laddove le
norme prevedono a seguito del ricorso una decisione con ordinanza sulla istanza di
sospensione o di provvedimento indilazionabile in camera di consiglio all’esito di
una cognizione sommaria, e solo successivamente a cura della parte interessata con
separato atto la introduzione del giudizio contenzioso di opposizione a cognizione
piena;
che la legittimazione esclusiva del Giudice cui è affidata la direzione della procedura esecutiva a provvedere sulla istanza di sospensione o comunque ad adottare
atti di qualsiasi tipo che incidano sulla procedura medesima comporta come conseguenza che la eventuale ordinanza dispositiva di un provvedimento di tal fatta
adottata da un diverso Giudice, persino quando appartenga allo stesso ufficio giudiziario (il che però non si è verificato nel caso di specie) ed ancorché coincidente
con la medesima persona fisica del G.E., sarebbe affetta da nullità insanabile ai
sensi dell’art. 158 c.p.c. perché infirmata da un vizio che attiene alla costituzione del
Giudice e andrebbe disapplicata, trattandosi di provvedimento emesso “in difetto
di specifica competenza” e dunque in carenza di potere in astratto e in concreto
(sul primo punto v. per un caso simile Cass. civ. Sez. III, 18/3/1994 n. 2588, nonché
Cass. civ. sez. III, 18/9/2008, n. 23847; mentre sul secondo punto sempre per un
caso simile cfr. in motivazione Cass. civ. sez. lav., 4/10/1991, n. 10354);
ritenuto dunque che la richiesta di sospensione dell’esecuzione ormai in corso vada
avanzata esclusivamente in via incidentale nell’ambito del procedimento esecutivo
già iniziato, previo deposito ex art. 486 c.p.c. di apposito ricorso, per essere decisa dal
G.E. in tale sede eventualmente anche con decreto provvisorio pronunciato inaudita
altera parte e suscettibile di conferma, modifica o revoca con successiva ordinanza
definitiva, senza che si producano vuoti di tutela in danno dell’attore opponente
PQM
Dichiara la inammissibilità della richiesta di sospensione dell’esecuzione
nell’ambito del presente procedimento contenzioso di opposizione a precetto.
(Omissis)
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
490
(1-2) La sospensione ex art. 615, 1° co., c.p.c. tra
l’inibitoria del titolo e del singolo precetto
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo: ricostruzione
della portata. – 3. Osservazioni finali.
1. Introduzione.
I provvedimenti in epigrafe affrontano due tra le questioni che più hanno animato il
dibattito sorto all’indomani del 2005 intorno all’istituto della sospensione dell’efficacia
esecutiva disposta dal giudice dell’opposizione a precetto. Essi, oltre all’aggiungere ulteriori tasselli ad un mosaico già per la verità ricco, appaiono interessanti in quanto, pur
affrontando problemi del tutto differenti, avvertono entrambi la necessità di soffermarsi
sull’effettiva portata dell’istituto sospensivo in questione.
Condivisa tuttavia non è però anche la ricostruzione dei suoi esatti confini, essendo
anzi possibile scorgere tra le righe delle rispettive motivazioni due visioni profondamente
differenti.
In particolare, il provvedimento del Tribunale di Napoli si interroga sull’ammissibilità di
una pronuncia da parte del giudice dell’opposizione a precetto sull’istanza sospensiva ex
art. 615, 1° co., c.p.c. ove nelle more sia già iniziata l’esecuzione. Si tratta di una delle
varie questioni legate al più generale problema del coordinamento dei poteri sospensivi
connessi alle due diverse opposizioni descritte nell’art. 615 c.p.c.1, sorto con l’attribuzione al giudice dell’opposizione a precetto del potere di sospendere l’efficacia esecutiva del titolo, ad opera della l. n. 80 del 14-5-2005.
Nell’affrontare il tema, il giudice partenopeo ritiene opportuno concentrare la sua
motivazione proprio sulla portata del potere sospensivo attribuito al giudice dell’opposizione a precetto, con riferimento in particolare ai rapporti con la sospensione disposta dal g.e. e con l’inibitoria del giudice dell’impugnazione. In proposito, a scanso di
equivoci, si afferma subito nelle prime righe del provvedimento come un’interpretazione
Sull’argomento, v. per la dottrina: ARIETA-DE SANTIS, L’esecuzione forzata, in MONTESANO-ARIETA,
Trattato di diritto processuale civile, III, 2, Padova, 2007, 278; BATTAGLIA, Spunti per una sistemazione dei
rimedi sospensivi nell’esecuzione forzata, REF, 2013, 571-579; BOVE, Le opposizioni e le vicende anomale
del processo esecutivo, in BOVE-BALENA, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 304-307;
CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, 3a ed., Torino, 2015, 437-438; COSSIGNANI, L’art. 624
c.p.c. dopo la legge n. 69/2009: i nuovi interrogativi e le questioni irrisolte, GI, 2014, 1040-1044; CIRULLI,
La sospensione del processo esecutivo, Milano, 2015, 216-222; FRUS, sub art. 615 c.p.c., in CHIARLONI
(diretto da), Le recenti riforme del processo civile, Bologna, 2007, 1061-1069; LONGO, La sospensione nel
processo esecutivo, in MICCOLIS-PERAGO, L’esecuzione forzata riformata, Torino, 2009, 657-665; SOLDI,
Manuale dell’esecuzione forzata, 5a ed., Padova, 2016, 1971-1976; VITTORIA, sub art. 615, in COMOGLIO-CONSOLO-SASSANI-VACCARELLA (diretto da), Commentario del Codice di Procedura Civile, VII, t. I,
Artt. 602-669 quaterdecies c.p.c., Torino, 2013, 273-277. Per la giurisprudenza invece, v. Cass., Sez. III,
ord. 10-3-2006, n. 5368, REF, 2006, 423; T. Vicenza, ord. 5-4-2010, REF, 2010, 707 ss., con note di BARRECA-CAPPONI-CONSOLO-PETRILLO-PUCCIARIELLO-SASSANI, Opposizione a precetto e sospensione; T. Roma,
16-12-2008, GM, 2009, 1277; T. Roma, 17-5-2006, GI, 2008, 403 ss., con nota di FRUS, Osservazioni sul
potere sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto dopo l’inizio dell’esecuzione forzata.
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Giurisprudenza commentata
491
costituzionalmente orientata imporrebbe di attribuire al giudice adito ex art. 615, 1° co.,
c.p.c. un potere «identico a quello esercitato dal G.E., […] non assimilabile invece all’inibitoria dell’efficacia del titolo che possiede il giudice dell’impugnazione, per esempio
ai sensi dell’art. 283 c.p.c.», delineandosi altrimenti un’ingiustificata disparità di trattamento tra le due ordinanze sospensive connesse alle opposizioni.
Esclusa quindi la possibilità che attraverso la sospensione in esame sia possibile incidere direttamente sull’efficacia esecutiva del titolo, e così influire su ogni esecuzione
fondata sempre su di esso, la Corte prosegue nella sua opera ricostruttiva tenendo in
considerazione le peculiarità della sospensione richiesta ex art. 615, 1° co., c.p.c., ovvero
l’esser connessa non già ad un’esecuzione iniziata, come per la sospensione ex art. 624
c.p.c., quanto soltanto minacciata dalla notifica del precetto. Ecco allora che la sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto avrebbe il solo effetto di inibire
«le possibili esecuzioni preannunciate dal quel singolo precetto opposto», senza alcuna
elisione invece dell’efficacia esecutiva, cioè a dire senza impedire che sulla base dello
stesso titolo venga poi notificato un nuovo precetto cui segua una nuova esecuzione.
Da una lettura restrittiva dell’efficacia della sospensione (limitata al singolo precetto)
consegue poi, con un passaggio motivazionale forse poco esplicito, un’altrettanto
restrittiva interpretazione della competenza sospensiva del giudice dell’opposizione a
precetto, la quale si andrebbe ad esaurire una volta iniziata l’esecuzione, trasferendosi
in capo al g.e.
Discorso parzialmente diverso vale per il provvedimento del Tribunale di Milano, il quale
affronta invece la differente questione concernente la reclamabilità dell’ordinanza emessa
ex art. 615, 1° co., c.p.c. Anche tale profilo critico sorge all’indomani della riforma del
2005, quando in concomitanza con l’attribuzione del potere sospensivo in capo al giudice
dell’opposizione a precetto, veniva riformulato anche l’art. 624 c.p.c., prevedendosi al
secondo comma il reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. avverso «l’ordinanza che provvede
sull’istanza di sospensione». Da qui l’insorgere dei dubbi circa la riferibilità dello stesso
reclamo, oltre che all’ordinanza emessa dal giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 624
c.p.c., anche a quella del giudice dell’opposizione a precetto ex art. 615, 1° co., c.p.c.2.
Tornando al provvedimento in commento, appare possibile osservare come la Corte
lombarda segua un percorso interpretativo articolato, all’interno del quale l’effettiva portata della sospensione disposta ai sensi dell’art. 615, 1° co., c.p.c. assume comunque
un certo rilievo.
Sull’argomento, v. per la dottrina: ASTUNI, Il nuovo reclamo sulla sospensione cautelare dell’esecuzione e il suo ambito di applicazione, GM, 2007, 1660 ss.; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione
civile, cit., 433; COSSIGNANI, op. cit., 1038-1040; IMPAGNATIELLO, Sulla reclamabilità dei provvedimenti
d’inibitoria, GPC, 2007, 493; LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, cit., 682-695; PUCCIARIELLO,
La sospensione dell’esecutività del titolo e la reclamabilità del provvedimento ex art. 615, 1° co. e 624, 1°
co., c.p.c., REF, 2009, 360; RUSSO, La sospensione del processo esecutivo, Roma, 2012, 244-248; SOLDI,
op. cit., 1960; SALETTI, I controlli sui provvedimenti in materia di sospensione dell’esecuzione forzata, in Il
processo esecutivo. Liber amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 853 ss. Per la giurisprudenza, v.:
T. Castrovillari, 4-11-2014, REF, 2016, 89; T. Latina, ord. 9-7-2013, DeJure; T. Savona, ord. 16-10-2012,
GI, 2013, 1880; T. Torino, ord. 31-8-2012, GI, 2013, 1883; T. Lamezia Terme, ord. 26-3-2009, Le Corti
Calabresi, 2009, 508; T. Roma, ord. 2-11-2006, GM, 2007, 1656; T. Bologna, ord. 13-6-2006, Pluris.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
In tal caso infatti, il punto di partenza è costituito dal dato letterale dell’art. 624 c.p.c.,
il quale risulterebbe ostativo all’estensione del rimedio del reclamo anche all’ordinanza
emessa dal giudice dell’opposizione a precetto essendo in tale disposizione evidenti
i riferimenti al solo giudice dell’esecuzione e alla sola sospensione dell’esecuzione,
mancando invece qualsiasi richiamo al giudice dell’opposizione a precetto nonché alla
sospensione dell’efficacia esecutiva3.
Si aggiunge inoltre che, anche a voler ammetter la natura cautelare del provvedimento in esame4, sarebbe in ogni caso di ostacolo all’applicazione del rito cautelare
uniforme, ed in particolare al reclamo, l’art. 669-quaterdecies c.p.c., il quale ne limita
l’operatività ai provvedimenti previsti nel Libro IV del codice di rito, con esclusione
quindi del Libro III5.
3
Per la dottrina, v: BARRECA, La riforma della sospensione del processo esecutivo e delle opposizioni
all’esecuzione e agli atti esecutivi. Parte prima: sospensione del processo esecutivo, REF, 2006, 659; CAPPONI, Misure interinali contro l’esecuzione forzata, RTPC, 2015, 620; FINOCCHIARO, L’esercizio dei poteri
cautelari implica valutazioni di merito, GDir, 2004, fasc. 14, 64; LONGO, La sospensione nel processo
esecutivo, cit., 690; PISANU, Reclamabilità dei provvedimenti sospensivi in materia di esecuzione forzata,
GM, 2006, 2675; ROMANO, La nuova opposizione all’esecuzione (rilievi a prima lettura dopo la l. 24-22006, n. 52), REF, 2006, 507; RUSSO, op. cit., 246.
Si tratta tuttavia di una conclusione non pacifica. Diffusa è infatti anche l’opinione secondo la quale
in seguito all’eliminazione (ad opera della legge 2006) dall’art. 624, 1° co., c.p.c. del riferimento al solo
secondo comma dell’art. 615 c.p.c. sarebbe possibile riscontrare un chiaro indice in favore della reclamabilità anche nello stesso dato letterale. V. in tal senso: ARIETA-DE SANTIS, op. cit., 283; ASTUNI, op. cit.,
1669; CONTE, op. cit., 1217; DAMIANI, Sulla sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo disposta dal giudice dell’opposizione a precetto, GPC, 2007, 421; LUISO, Diritto processuale civile, III, Milano, 2015, 303;
METAFORA, voce Sospensione dell’esecuzione, cit., 1210; NARDELLI, Del precetto, della sospensione e del
reclamo, GM, 2008, 2238; ORIANI, La sospensione dell’esecuzione (sul combinato disposto degli artt. 615 e
624 c.p.c.), REF, 2006, 256; PROTO PISANI, Novità in tema di opposizioni, FI, 2006, V, 213; PUCCIARIELLO,
La sospensione dell’esecutività del titolo, cit., 360. In giurisprudenza, v.: T. Castrovillari, 4-11-2014, cit.;
T. Bologna, ord. 13-6-2006, cit.; T. Roma, ord. 2-11-2006, cit.; T. Torino, ord. 31-8-2012, cit.
4
L’orientamento maggioritario è propenso a riconoscere la natura cautelare dell’ordinanza ex
art. 615, 1° co., c.p.c. Così, infatti: BARRECA, op. cit., 658; DAMIANI, op. cit. 415; LOCATELLI, Il nuovo potere
sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto, RDPr, 2008, 87; MANDRIOLI, Diritto processuale civile,
IV, Torino, 2015, 214, n. 30; ORIANI, op. cit., 220; PAVAN, Le nuove disposizioni sulla inibizione del processo esecutivo e sulla sua sospensione, NGCC, 2007, 239; PUCCIARIELLO, La sospensione dell’esecutività
del titolo, cit., 360; TOTA, sub art. 615 c.p.c., in BRIGUGLIO-CAPPONI (a cura di), Commentario alle riforme
del processo civile, II, Padova, 2007, 555; VITTORIA, Sospensione dell’esecuzione e sospensione dell’efficacia
del titolo esecutivo. I profili di criticità della nuova sospensione tra dibattito dottrina e primi orientamenti
giurisprudenziali, GC, 2009, II, 139. Conferme circa la natura cautelare sono pervenute anche dalla giurisprudenza di legittimità: Cass. 5368/2006, cit. Per la giurisprudenza di merito v.: T. Lecco, ord. 6-7-2006,
GM, 2006, 2671; T. Genova, ord. 5-4-2007, GM, 2008, 2233; T. Torino, ord. 31-8-2012, cit.
Anche tale conclusione tuttavia, non può dirsi pacifica. V. infatti, in senso contrario: ARIETA-DESANTIS, L’esecuzione forzata, cit., 271-273; CAPPONI, Misure interinali contro l’esecuzione forzata, cit., 622;
PISANU, op. cit., 2677; RECCHIONI, L’impedimento dell’efficacia del titolo e del processo esecutivo nell’opposizione ex art. 615, 1° co., c.p.c., REF, 2008, 376.
5
Nello stesso senso, v.: T. Napoli, ord. 25-7-2007, cit.; T. Milano, ord. 28-5-2008, REF, 2009, 348; T.
Latina, ord. 9-7-2013, cit.; T. Savona, ord. 16-10-2012, cit.
Nel senso invece che l’art 669-quaterdecies c.p.c. non costituisca un ostacolo insormontabile, v:
ASTUNI, op. cit., 1667; SALETTI, L’ambito di applicazione della disciplina cautelare uniforme, in TARZIASALETTI (a cura di), Il processo cautelare, 4a ed., Padova, 2011, 666.
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Giurisprudenza commentata
493
A conferma della correttezza delle conclusioni raggiunte, si accosta infine la portata
della sospensione in esame proprio a quegli interventi caratterizzati da una «cognizione
sommaria incidenti sull’efficacia del titolo», come ad esempio appunto quello operato dal
giudice dell’impugnazione adito ex art. 283 c.p.c., così giustificando l’inammissibilità del
reclamo richiamando il regime delle inibitorie, relativamente alle quali «la giurisprudenza
di legittimità ha sempre impedito il tentativo di estendere la reclamabilità di tali provvedimenti, riconoscendone un regime di stabilità sino alla decisone del giudice del merito
che sull’efficacia esecutiva si è pronunciato6».
2. La sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo: ricostruzione della portata.
Appare a questo punto chiaro come dai percorsi interpretativi delineati emergano risultati
ermeneutici che non potrebbero esser più divergenti: mentre in uno si nega decisamente
la possibilità di una sovrapposizione tra il potere sospensivo del giudice dell’opposizione
a precetto e l’inibitoria del giudice dell’impugnazione, nell’altro invece si opera un parallelo
tra i due poteri sospensivi al fine di giustificare la conclusione raggiunta.
Cosa ancor più rilevante, risulta di tutta evidenza quanto le diverse ricostruzioni poi influenzino la soluzione di problemi concreti che si pongono all’interno di una procedura esecutiva.
Si impone allora la ricerca di un’esatta definizione della portata della sospensione
in esame. A tal proposito, occorre innanzitutto rammentare come la previsione di un
istituto sospensivo all’interno dell’art. 615, 1° co., c.p.c. non fosse presente nell’originaria formulazione del codice di rito, il quale, a differenza di quanto previsto in tema
di opposizione all’esecuzione, non prevedeva alcun meccanismo sospensivo connesso
all’esperimento dell’opposizione a precetto.
È nota poi l’evoluzione delle risposte dell’ordinamento innanzi alla predetta lacuna7,
e quindi il passaggio dalla tutela in via pretoria, concessa ex art. 700 c.p.c.8 all’inter-
Nello stesso senso, in giurisprudenza, v.: T. Napoli, 7-4-2015, REF, 2016, 94; T. Venezia, ord.
31-10-2006, GM, 2008, 2235; T. Napoli, ord. 25-7-2007, GM, 2008, 2237. V. però anche chi, partendo
proprio dalla predetta analogia, ha poi prospettato la possibilità di superare la non impugnabilità delle
inibitorie pronunciate dal giudice dell’impugnazione. Così MARINELLI, La riforma degli artt. 615 e 624
c.p.c. e la reclamabilità delle pronunce rese dal giudice del gravame sulla inibitoria della decisione impugnata, CorG, 2007, 1012; IMPAGNATIELLO, op. cit., 493.
7
Pare opportuno delimitare esattamente i confini del vuoto di tutela del debitore: questo infatti, a
partire dalla novella al codice di rito del 1990, in occasione dell’impugnazione di un titolo giudiziale
già disponeva della tutela inibitoria offerta dagli artt. 283 ecc. Già prima degli anni ’90 invece, vi era
una tutela connessa all’opposizione a precetto limitatamente alle sole esecuzioni fondate su assegno
o cambiale (artt. 57, r.d. 21-12-1933, n. 1736, e 64, r.d. 14-12-1933, n. 1669). Un cenno merita infine
quella dottrina minoritaria secondo cui la lacuna di cui si discorre non esisteva, potendosi interpretare
in senso estensivo il concetto di “giudice innanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo”, contenuto
nell’art. 623 c.p.c., e così attribuire anche al giudice dell’opposizione a precetto un potere sospensivo.
Per tutti, v. BUCOLO, La sospensione nell’esecuzione. Vol. I. La sospensione in generale, 2a ed., Milano,
1972, 124-132, ed in particolare 127. Per ulteriori riferimenti in dottrina, v. ORLANDO, Le sospensioni
esterne alla procedura esecutiva, REF, 2012, 531, nota 34.
8
Cass., Sez. I, 23-2-2000, n. 2051; Cass., Sez. III, 19-7-2005, n.15220; T. Roma, ord. 21-1-2003, GM,
2004, 689; T. Mantova, ord. 26-2-2005, GM, 2006, 315.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
vento del legislatore nel 2005, con l’introduzione dell’espressa previsione di un potere
sospensivo anche al giudice dell’opposizione a precetto. Ma se con l’art. 700 c.p.c. era
possibile «ordinare al debitore di non compiere l’atto di pignoramento»9 può ancora oggi
ritenersi che questo sia l’effetto derivante dalla sospensione di cui all’art. 615, 1° co.,
c.p.c.?
Ebbene, volgendo lo sguardo al panorama interpretativo la risposta sembra esser
negativa, ricostruendosi per lo più tale sospensione come idonea ad incidere direttamente sul titolo esecutivo, privandolo appunto dell’efficacia esecutiva, così da impedire
l’inizio di qualsiasi esecuzione ove non sia ancora iniziata, o in caso contrario il suo
protrarsi. Dunque, un effetto analogo a quello che si può raggiungere anche attraverso
l’inibitoria del giudice dell’impugnazione10.
Non sono tuttavia mancate voci dissenzienti, rivolte appunto a limitare l’efficacia della
sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto. In particolare, vi è chi11
partendo da una ricostruzione del precetto come atto avente natura processuale, ha
configurato la sospensione dell’efficacia esecutiva come vera e propria sospensione
del processo esecutivo12. In tal senso allora, l’eventuale sospensione ex art. 615, 1°
co., c.p.c., lungi dall’inibire il possibile inizio dell’esecuzione, andrebbe al contrario ad
incidere proprio su di un’esecuzione che è già iniziata con la stessa notifica del precetto, impedendone la prosecuzione, il che consentirebbe di giustificare allora un effetto
sospensivo limitato appunto al solo processo al cui interno è stata disposta.
Altri13, invece, pur giungendo sostanzialmente alla medesima conclusione, hanno prospettato un differente iter argomentativo: la sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto avrebbe natura analoga a quella disposta dal g.e. condividendo i limiti
del giudizio (oppositivo) cui accede. Ecco allora che necessariamente identici dovranno
essere anche gli stessi effetti derivanti dal provvedimento sospensivo, così non risultando possibile che, a differenza di quanto consegue all’ordinanza ex art. 624 c.p.c., con
la sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto si impedisca al creditore
di usare il titolo in un diverso procedimento.
Nello stesso senso poi, sembra esser indirizzata anche una nota pronuncia di merito14
(che sembra ripresa proprio dal provvedimento del Tribunale di Napoli), nella quale si
ARIETA-DE SANTIS, op. cit., 265. Nello stesso senso, LONGO, La sospensione nel processo esecutivo,
cit., 654; DAMIANI, op. cit., 412.
10
ARIETA-DE SANTIS, op. cit., 270; ASPRELLA, Le opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi, la
sospensione del processo esecutivo e il nuovo istituto dell’astreinte, in La riforma del processo civile, GC,
2009, II, 98; CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 431; CIRULLI, op. cit., 175; DAMIANI,
op. cit., 423; METAFORA, voce Sospensione dell’esecuzione, Digesto/civ., III, 2, Agg., Torino, 2007, 1207;
ORLANDO, op. cit., 534; PUCCIARIELLO, La sospensione dell’esecutività del titolo, cit., 352; RECCHIONI, op.
cit., 383; SOLDI, op. cit., 1956; TOTA, op. cit., 551.
11
BOVE, op. cit., 302-304.
12
Conseguentemente, tale Autore afferma come lo stesso termine utilizzato dal legislatore sarebbe
errato, essendo preferibile parlare di «sospensione dell’esecuzione forzata». Così, BOVE, op. cit., 304.
13
LONGO, La sospensione nel processo esecutivo, cit., 651-657.
14
T. Vicenza, ord. 5-4-2010, REF, 2010, 707, con note critiche di BARRECA-CAPPONI-CONSOLOPETRILLO-PUCCIARIELLO-SASSANI, Opposizione a precetto e sospensione.
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afferma chiaramente come la sospensione in esame sarebbe idonea esclusivamente a
sospendere tutte le esecuzioni nascenti dal singolo precetto notificato, escludendosi
così qualsiasi riflesso sull’efficacia esecutiva del titolo. A ragionare diversamente infatti
sussisterebbe il problema di giustificare l’attribuzione di due differenti poteri sospensivi
connessi a due giudizi oppositivi che, salvo il caso dell’impignorabilità dei beni previsto
dal secondo comma dell’art. 615 c.p.c., sarebbero in realtà identici quanto al loro possibile oggetto. Dunque, la distinzione tra le due sospensioni, lungi dal risiedere nella
relativa portata, sarebbe solo di ordine meramente temporale distinguendosi tra l’una e
l’altra in relazione al momento della loro adozione.
Pur a fronte delle pregevoli osservazioni, appare tuttavia preferibile aderire alla tesi al
momento maggioritaria, secondo la quale la sospensione dell’efficacia esecutiva disposta dal giudice dell’opposizione a precetto avrebbe una portata analoga all’inibitoria prevista dall’art. 283 c.p.c.
Depone in tal senso innanzitutto la stessa lettera dell’art. 615, 1° co., c.p.c., la quale
risulta del tutto sovrapponibile proprio a quella dell’art. 283 c.p.c., discorrendosi in
entrambe le disposizioni di sospensione dell’efficacia esecutiva, così risultando difficilmente comprensibile l’attribuzione di significati diversi a formule lessicali del tutto coincidenti15.
Se allora non sembra consentito scindere la ricostruzione della portata dei due istituti,
e a meno che non si voglia interpretare in termini differenti anche la stessa inibitoria,
il provvedimento sospensivo disposto dal giudice dell’opposizione a precetto apparirà
tendenzialmente16 idoneo ad incidere direttamente sul titolo, con effetti che vanno oltre
la singola procedura, così differenziandosi nettamente dalla mera sospensione dell’esecuzione ex art. 624 c.p.c.
Le uniche perplessità relative ad una tale ricostruzione “parallela” potrebbero a ben
vedere derivare però dalla constatazione di una lieve differenza lessicale tra le due disposizioni, potendosi osservare come mentre nell’art. 283 c.p.c. il legislatore discorra sia
di sospensione dell’efficacia esecutiva che di sospensione dell’esecuzione, al contrario
la lettera dell’art. 615, 1° co., c.p.c. sia limitata esclusivamente alla sola sospensione
dell’efficacia esecutiva.
Tuttavia tale diversità, pur apparendo prima facie sospetta, ad un’analisi più approfondita si rivela forse non così rilevante, o comunque non idonea a modificare gli esiti
interpretativi cui si è giunti
Ed infatti, appare possibile concordare con quella dottrina17 che osserva come ad
esser sospesa per mezzo dell’art. 283 c.p.c. sia pur sempre l’efficacia esecutiva,
essendo invece la sospensione dell’esecuzione, ove sia nel frattempo iniziata, una mera
Sul punto, particolarmente incisiva l’osservazione di CAPPONI, Opposizione a precetto e sospensione, cit., 724, il quale contesta la possibilità di introdurre una distinzione artificiosa, priva di ogni
appiglio normativo, in un contesto che già di per sé appare di difficile lettura.
16
Vedi sul punto BATTAGLIA, op. cit., 756-757, ove pur condividendosi in generale l’opzione interpretativa maggioritaria, si individuano tuttavia ipotesi in cui un tale effetto non sarebbe giustificabile,
essendo così preferibile una sua limitazione alla singola procedura esecutiva.
17
CIRULLI, op. cit., 196.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
conseguenza riflessa ed automatica, tanto che il g.e., adito dal debitore anche con una
semplice istanza ex art. 486 c.p.c., dovrebbe limitarsi a prenderne atto mediante un
provvedimento che è meramente ricognitivo dell’avvenuta sospensione (esterna) da
parte del giudice dell’impugnazione del titolo ex art. 623 c.p.c.18.
Se poi si ammette che anche per la sospensione dell’efficacia esecutiva disposta dal
giudice dell’opposizione a precetto possa valere il medesimo meccanismo di raccordo
con l’eventuale esecuzione in corso19, trattandosi comunque pur sempre di sospensione
“esterna”20, ci si accorge allora che dalla differente terminologia utilizzata nell’art. 283
c.p.c.21, ed in particolare nel richiamo in tale disposizione della sospensione anche
dell’esecuzione, non consegua una differenza di disciplina in termini pratici.
Né tantomeno sembra possibile, al fine di paventare una sostanziale differenza tra i
poteri sospensivi attribuiti al giudice dell’inibitoria e a quello dell’opposizione a precetto,
far leva sulla recente apertura da parte della Corte di Cassazione alla retroattività della
stessa inibitoria22, a fronte invece della tradizionale irretroattività delle altre sospensioni,
tra cui la sospensione dell’efficacia esecutiva disposta dal giudice dell’opposizione a
precetto23, considerandosi come da un lato non sembri trattarsi di un orientamento
CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 433; CIRULLI, op. cit., 181; GIULIANI, Cumulabilità tra sospensione del titolo esecutivo e sospensione del processo esecutivo, CorG, 2016, 548; LONGO,
La sospensione duplicata e l’estinzione del processo esecutivo, REF, 2016, 75; OLIVIERI, La sospensione del
titolo esecutivo e la sospensione esterna e interna della procedura esecutiva, in Il processo esecutivo. Liber
amicorum Romano Vaccarella, Torino, 2014, 799. In giurisprudenza, vedi da ultimo, Cass., Sez. III,
13-4-2015, n.7364, CorG, 2016, 544. Per ulteriori richiami di dottrina e giurisprudenza, v. DONZELLI,
Sui rapporti tra sospensione interna ex art. 624 c.p.c. e sospensione esterna disposta dal giudice dell’impugnazione, CorG, 2016, 698, n. 10.
19
CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 433 e 438; CIRULLI, op. cit., 197; RUSSO, op.
cit., 147; SOLDI, op. cit., 1973. Per la giurisprudenza, v. T. Nola, ord. 18-9-2008, GM, 2010, 61.
20
RUSSO, op. cit., 98, nonché T. Nola, 18-9-2008, cit.
21
Più in generale deve osservarsi come a voler seguire alla lettera la previsione codicistica, i rapporti tra le due sospensioni descritte nell’art. 283 c.p.c. sembrerebbero esser dal legislatore costruiti in
termini di alternatività («sospende in tutto o in parte l’efficacia esecutiva o l’esecuzione»), come se al
giudice dell’impugnazione, una volta iniziata l’esecuzione, fosse preclusa la possibilità di sospendere
l’efficacia esecutiva. In tal senso allora, a meno di non voler aderire ad una tale ricostruzione riduttiva,
il persistere del riferimento alla sospensione dell’esecuzione potrebbe giustificarsi come un semplice
residuato del precedente tenore testuale della disposizione, ove si attribuiva al giudice dell’appello la
possibilità di revocare l’esecuzione provvisoria e sospendere l’esecuzione.
Sempre in relazione al significato da attribuire alla lettera dell’art. 283 c.p.c., vi è anche chi ha
affermato che proprio partendo dalla distinzione ivi operata (tra sospensione dell’efficacia esecutiva
e dell’esecuzione) sarebbe possibile riscontrare un referente normativo all’irretroattività del provvedimento d’inibitoria, esprimendo così il legislatore la volontà di sancire la salvezza degli atti esecutivi già
compiuti; così, OLIVIERI, La sospensione del titolo esecutivo, cit., 800. L’opinione tuttavia non convince,
considerandosi come costituisca convincimento diffuso anche l’irretroattività della sospensione ex
art. 615, 1° co., c.p.c. pur mancando in tale disposizione il riferimento alla sospensione dell’esecuzione.
22
Cass., Sez. III, 8-2-2013, n. 3074, FI, 2013, I, 2900.
23
V. in proposito, CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 444; LONGO, La sospensione
nel processo esecutivo, cit., 663-665, SOLDI, op. cit., 1973. In senso contrario, v. TOTA, op. cit., 567, nonché CIRULLI, op. cit., 183-194.
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veramente radicato nella giurisprudenza di legittimità24, e dall’altro che, considerato
ancora una volta la necessità di una ricostruzione parallela, ove si dovesse consolidare
la predetta interpretazione sarebbe allora forse auspicabile una sua estensione anche
alla sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto.
Ma più in generale, andando oltre il tenore letterale della disposizione, è la stessa
analisi delle possibili conseguenze derivanti dall’adesione agli orientamenti restrittivi
che induce ad aderire all’orientamento maggioritario. Ed infatti ove si dovesse negare
alla sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto una portata analoga
a quella derivante dall’art. 283 c.p.c. si verrebbe conseguentemente a delineare una
rilevante disparità di trattamento, difficilmente giustificabile, tra titoli di formazione giudiziale, in relazione ai quali sarebbe possibile avvalersi in sede processuale dell’inibitoria
del titolo, e quelli invece di formazione stragiudiziale, per i quali sembrerebbe mancare
una disposizione analoga. Identico discorso varrebbe poi – circostanza ancor più paradossale – anche per gli stessi titoli di formazione giudiziale, relativamente ai fatti che
sfuggono alla cognizione del giudice innanzi al quale si forma il titolo, per i quali difficilmente potrebbe operare l’art. 283 c.p.c.
Cosi ragionando riemergerebbe allora ancora una volta una lacuna forse colmabile
attraverso la tutela cautelare atipica ex art. 700 c.p.c., la quale tuttavia sembra ancorata
a presupposti maggiormente rigidi rispetto a quelli richiesti dall’art 283 c.p.c., permanendo così pur sempre un’innegabile quanto ingiustificata disparità di trattamento.
3. Osservazioni finali.
Delineata la portata, risulta possibile operare un confronto con le soluzioni prospettate nei provvedimenti. Si presenta allora non condivisibile la conclusione raggiunta dal
Tribunale di Napoli nella misura in cui consegue ad una ricostruzione della sospensione
ex art. 615, 1° co., c.p.c. criticabile: come si è osservato infatti, la sospensione dell’efficacia esecutiva avrebbe una portata non limitata al singolo precetto, andando ad incidere
invece sulla stessa efficacia esecutiva del titolo. Da una tale osservazione sembrerebbe
allora possibile trarre il permanere dell’interesse del debitore esecutato alla pronuncia di
tale sospensione anche ad esecuzione iniziata, proprio in quanto l’utilità da essa ricavata
sarebbe certamente maggiore rispetto alla mera interruzione della singola esecuzione in
corso, come disposta dal g.e. ex art 624 c.p.c. Il rischio di una diversa soluzione sarebbe
infatti quello di far dipendere in concreto l’ampiezza della tutela in favore del debitore da
una decisione (come l’inizio dell’esecuzione) rimessa al solo creditore25.
Ed infatti, Cass., Sez. III, 4-6-2013, n. 14048, a distanza di pochi mesi dal precedente ribadisce
l’orientamento tradizionale, secondo cui la sopravvenuta sospensione lascia intatti gli atti esecutivi nel
frattempo posti in essere.
25
Inoltre, considerato come in concreto proprio l’avvio della procedura prima della pronuncia sull’istanza sospensiva costituisca l’ipotesi ordinaria, l’adesione ad un’interpretazione differente
potrebbe risolversi in un’interpretatio abrogans dello stesso potere sospensivo attribuito al giudice
dell’opposizione a precetto.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Discorso diverso vale invece per il provvedimento del Tribunale di Milano, il quale,
ponendosi sulla scia di alcuni precedenti26, sembrerebbe fare un corretto uso dell’argomento costituito dall’istituto sospensivo in esame; ed infatti, essendo del tutto assimilabile la portata della sospensione delineata nell’art. 615, 1° co., c.p.c. a quella del giudice
dell’impugnazione ex art. 283 c.p.c., risulta del tutto ragionevole anche l’applicazione
di un medesimo regime impugnatorio, o meglio la negazione di ogni possibile forma di
riesame.
Se queste sembrano le conclusioni maggiormente rispettose di un’esatta interpretazione dell’istituto sospensivo in esame, allo stesso tempo deve osservarsi come i
problemi alla base dei due provvedimenti continuino a persistere. Insomma, altro è trarre
delle conseguenze coerenti da quella che sembra al momento la corretta ricostruzione
della portata della sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a precetto, altro è
invece affermare che pur correttamente interpretato lo stesso dettato normativo lasci
soddisfatto l’interprete.
Ed infatti, pur considerando l’eterogeneità delle problematiche appare tuttavia evidente come alla radice di entrambe le questioni vi sia una disciplina positiva certo non
impeccabile, potendosi anzi osservare come lo stesso intervento legislativo, seppur originato da un pregevole intento, abbia costituito invece fonte di altri e forse ancor più
complessi problemi, prima peraltro inesistenti27.
In effetti, da una rapida lettura del riformato testo normativo, nell’art. 615 c.p.c.
risulta plasmata una figura caratterizzata da innegabili tratti peculiari: il giudice
dell’opposizione a precetto ha una potenziale cognizione pari a quella del giudice
dell’opposizione di cui al secondo comma dell’art. 615 c.p.c., salvo ovviamente il caso
dell’impignorabilità dei beni, e tuttavia ha un potere sospensivo senza dubbio più vicino
a quello attribuito al giudice dell’impugnazione, potendo entrambi sospender l’efficacia
esecutiva del titolo.
Sorprende allora osservare che il legislatore non abbia avvertito anche l’esigenza di
adeguare alla novità il restante corpo normativo, il quale invece continua ad esser disegnato come se non esistesse la sospensione disposta dal giudice dell’opposizione a
precetto, essendo difficilmente contestabile come gli artt. 624 ss. c.p.c. siano costruiti
avendo come punto di riferimento la sola sospensione dell’esecuzione28.
Ne emerge allora un quadro che sconta una certa carenza di organicità, così aprendosi
vasti spazi alle diverse opzioni interpretative, in un contesto nel quale invece ogni intervento legislativo andrebbe attentamente calibrato tenendo conto di ogni suo possibile
riflesso.
Le problematiche affrontate dai provvedimenti qui annotati confermano l’impressione:
sia la questione del coordinamento dei poteri sospensivi che quella della reclamabilità
V. supra, n. 6.
La natura cautelare della tutela ex art. 700 c.p.c., implicando l’applicazione del rito cautelare
uniforme, comportava la sicura reclamabilità del provvedimento (art. 669-terdecies c.p.c.) nonché –
questione che si esaminerà più avanti – la possibilità di ottenere un provvedimento cautelare inaudita
altera parte (art. 669-sexies, 2° co., c.p.c.).
28
In tal senso, v. VITTORIA, sub art. 615 c.p.c., cit., 264.
26
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Giurisprudenza commentata
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dell’ordinanza sospensiva del giudice dell’opposizione a precetto, affondano le rispettive
radici in un contesto normativo che non sembra adeguato alla loro rilevanza pratica.
Emblematica in tal senso è la vicenda inerente il reclamo, posto che l’art. 624 c.p.c.,
anche all’esito delle recenti riforme, continua a far esclusivo riferimento nel suo complesso al solo giudice dell’esecuzione nonché al potere sospensivo di sua competenza, ovvero la sospensione dell’esecuzione, senza alcun richiamo invece al fenomeno
sospensivo descritto nell’art. 615, 1° co., c.p.c. né tantomeno al giudice dell’opposizione a precetto29.
Una disciplina quindi apparentemente disarmonica, che prevede espressamente un
controllo solo ed esclusivamente in relazione al provvedimento sospensivo adottato dal
g.e., caratterizzato tuttavia da una portata certamente inferiore rispetto a quello, non
(espressamente) reclamabile, adottato dal giudice dell’opposizione a precetto.
Discorso analogo vale in relazione al coordinamento dei poteri sospensivi dove, se
possibile, la questione è resa ancor più complessa dalla totale assenza di qualsiasi riferimento normativo, nonostante la delicatezza del tema. In particolare, sotto tale profilo ciò
che lascia perplessi è che ad un’attenta analisi la predetta lacuna andrebbe paradossalmente a frustrare proprio la stessa portata della novella del 2005. Ed infatti, stante da un
lato la irretroattività30 del provvedimento sospensivo, e dall’altro la mancanza di un meccanismo che consenta di evitare l’inizio dell’esecuzione pur in pendenza di un’istanza
sospensiva ex art. 615, 1° co., c.p.c.31, dalla disciplina tracciata dal legislatore emerge
come sia ben possibile che l’eventuale pronuncia di accoglimento della richiesta sospensiva arrivi a procedura già avviata, cosicché l’inibizione dell’efficacia esecutiva spiegherà
completamente i suoi effetti solo ed esclusivamente in relazione ad una diversa ed eventuale futura esecuzione, e non invece nei confronti del procedimento all’interno del quale
viene disposta.
Poste tali premesse non stupiscono più, pur senza condividerle nel merito, anche
quelle ricostruzioni (da ultimo, il provvedimento del Tribunale di Napoli) che hanno
tentato di fare leva anche su di una diversa portata della sospensione disposta dal
giudice dell’opposizione a precetto anche al fine di risolvere il problema originato
dalla grave lacuna normativa, e conferire così un po’ di organicità al sistema, essendo
innegabile come proprio con l’eventuale avvicinamento del contenuto del provvedimento sospensivo del giudice dell’opposizione a precetto a quello del g.e. certamente verrebbero meno molti degli ostacoli all’applicazione alla sospensiva prevista
nell’art. 615, 1° co., c.p.c. delle disposizioni dettate con riferimento alla sola sospensione dell’esecuzione.
Allo stesso modo, non può farsi a meno di osservare come anche l’eventuale qualificazione dei provvedimenti sospensivi, adottati in occasione delle opposizioni, in chiave
V. supra, n. 3.
V. supra, n. 23.
31
Meccanismo che invece esisteva, come osserva CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile,
cit., 442, nei regi decreti del 1933, ove si prevedeva la possibilità per il debitore esecutato di richiedere
un decreto inaudita altera parte confermabile o revocabile poi dal giudice dell’opposizione.
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cautelare aprirebbe alla possibilità di colmare tutte le lacune che sembrano sussistenti
attraverso il rinvio alla compiuta disciplina del rito cautelare uniforme32.
Si tratta tuttavia di operazioni ermeneutiche dall’esito non scontato. Come si è visto
infatti, il potere sospensivo attribuito al giudice dell’opposizione a precetto non appare
accostabile a quello attribuito al g.e.
Quanto invece alla possibilità di invocare il rito delineato dagli artt. 669-bis ss. c.p.c.,
oltre alla non scontata natura cautelare del provvedimento in esame33 e alla difficoltà di
motivare l’eventuale sdoppiamento (irrazionale?) della disciplina delle due sospensioni
che si verrebbe a delineare, l’una regolata interamente dal rito cautelare uniforme e
l’altra anche dalle disposizioni speciali degli artt. 624 ss. c.p.c.34, l’ostacolo principale
sembrerebbe tuttavia risiedere nella stessa lettera della legge, ed in particolare nella
lettura combinata degli artt. 624 e 669-quaterdecies c.p.c.
Ed infatti, l’espressa previsione del reclamo ex art 669-terdecies c.p.c. all’interno della
principale disposizione volta a disciplinare la sospensione dell’esecuzione (provvedimento sulla cui natura cautelare non si discute) potrebbe giustificarsi proprio in ragione
della necessità di superare l’univoco dato legislativo il quale all’art. 669-quaterdecies
c.p.c., delinea precisamente il confine applicativo del rito cautelare limitandolo ai provvedimenti del Capo III del Libro IV del codice di rito nonché agli altri provvedimenti cautelari
previsti dal Codice civile e dalle leggi speciali, così escludendo le sospensioni del Libro
III, salvo appunto espliciti richiami ad hoc.
Alla luce di tale panorama, sarebbe forse auspicabile un intervento legislativo che
riordini una volta per tutte la materia, con norme chiare ed inequivoche, nell’attesa del
quale la situazione reale all’interno del contenzioso esecutivo appare tanto sconcertante
quanto allo stato inevitabile, essendosi di fatto venuta a delineare una disciplina concreta
che spesso varia a seconda del giudice adito35.
GABRIELE QUARANTA
Non è infatti casuale il frequente utilizzo in dottrina come in giurisprudenza dell’argomento cautelare proprio al fine di colmare le lacune normative invocando l’applicazione del rito cautelare uniforme.
In tema di reclamo, v. supra, nota 4. Per l’ammissibilità di un provvedimento cautelare sospensivo
inaudita altera parte, v. CAPPONI, Manuale di diritto dell’esecuzione civile, cit., 442, nonché SALVIONI, La
sospensione dell’efficacia del titolo esecutivo giudiziale in sede di opposizione a precetto: limiti di ammissibilità della tutela e regime applicabile, REF, 2007, 567. In giurisprudenza v. T. Venezia, ord. 19-4-2007,
REF, 2007, 560.
33
V. supra, nota 4.
34
Ad esempio, in tema di cessazione dell’efficacia della sospensione, mentre l’art. 627 c.p.c., applicabile alla sospensione dell’esecuzione, non consente la riassunzione prima della sentenza di appello di
rigetto dell’opposizione, l’art. 669-novies c.p.c. (eventualmente applicabile alla sospensione dell’efficacia esecutiva) invece dispone il venir meno degli effetti del provvedimento cautelare già in conseguenza
della sentenza di primo grado.
35
Sia consentito rinviare sul punto a QUARANTA, Il problema della reclamabilità del provvedimento
di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, pronunciato dal giudice dell’opposizione a precetto, REF,
2016, 95 ss.
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RASSEGNA DELLE DECISIONI DELLA CASSAZIONE
a cura di GABRIELLA TOTA
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 11 marzo 2016, n. 4751 — Salmè Presidente — Frasca Relatore — Soldi P.M. (concl. conf.); L.R. — Banca CR Firenze S.p.A. e altri.
Esecuzione forzata — Pignoramento — Espropriazione immobiliare — Forme — Trascrizione del pignoramento — Efficacia ventennale ex art. 2668-ter c.c. — Mancata rinnovazione della trascrizione — Caducazione del processo esecutivo — Portata — Inclusione
dell’atto di pignoramento — Sussistenza — Rilevabilità d’ufficio.
In materia di esecuzione immobiliare, ai sensi dell’art. 2668-ter c.c., la mancata rinnovazione
della trascrizione del pignoramento nel termine ventennale – rilevabile anche d’ufficio dal giudice – determina la caducazione del processo esecutivo, ivi compreso il pignoramento, restando
preclusa la possibilità per l’interessato di procedere ad una rinnovazione tardiva, di sua iniziativa o su termine concesso dal giudice dell’esecuzione, ancorata all’originario pignoramento,
sebbene divenuto sensibile ad atti di disposizione medio tempore posti in essere da parte del
debitore pignorato (1).
Motivi della decisione
(Omissis) 3. Il Collegio ritiene corretta un’opzione interpretativa che considera
la mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento immobiliare come
determinativa non solo di un effetto di impedimento dell’ulteriore corso del processo esecutivo iniziato con il pignoramento originariamente trascritto e dunque,
di improseguibilità del processo stesso, ma, altresì, di un effetto di caducazione
dell’intera attività processuale conseguita al pignoramento e, quindi, del suo venir
meno ex tunc. Fattispecie da ritenersi a rilievo ufficioso e quale evento estintivo
della procedura esecutiva, della quale, peraltro, occorre individuare il regime di
possibile emergenza e di controllo.
Queste le ragioni.
3.1. Il Collegio è, innanzitutto, ben consapevole che, all’indomani dell’entrata in
vigore della norma dell’art. 2668-ter c.p.c., il dibattito dottrinale e l’eco che se n’è
avuto nella giurisprudenza di merito (come dimostrano la motivazione della sentenza
impugnata ed i precedenti di merito evocati dai ricorrenti), al fine di individuare i
possibili effetti della mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento sul
processo esecutivo, ha ritenuto decisiva la soluzione di una questione preliminare,
quella afferente alla costruzione della fattispecie del pignoramento immobiliare.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Com’è noto, in proposito si confrontano da tempo due tesi distinte.
3.1.1. La prima è nel senso che il pignoramento immobiliare sarebbe una fattispecie a
formazione progressiva, nella quale la trascrizione – adempimento successivo all’ingiunzione rivolta al debitore a non disporre del bene (art. 555 c.p.c., comma 1, in relazione
all’art. 492 c.p.c.) – assumerebbe il valore di un elemento costitutivo, che, dunque,
come tale contribuirebbe alla stessa emersione come fattispecie giuridica rilevante e,
dunque, allo stesso perfezionamento in iure della figura del pignoramento. Di modo
che il pignoramento verrebbe a giuridica esistenza solo con la trascrizione, ancorché
taluni effetti si possano dire prodotti prima del completamento della fattispecie.
La seconda è nel senso di considerare il pignoramento come fattispecie che resterebbe integrata direttamente dalla notifica al debitore di detta ingiunzione e dal
conseguente effetto di vietargli atti di disposizione dell’immobile. Rispetto ad essa
la trascrizione assumerebbe soltanto il valore di elemento di integrazione dell’efficacia di una fattispecie già compiuta ai fini dell’opponibilità ai terzi acquirenti di
diritti sul bene pignorato.
Il pignoramento verrebbe a giuridica esistenza già con l’ingiunzione rivolta al
debitore.
3.1.2. All’adesione all’una o all’altra costruzione è stato attribuito, anche se non
sempre, valore decisivo per individuare gli effetti sulla procedura esecutiva della
mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento ex art. 2668-ter c.c.
E si è, dunque, considerato che, nella logica della prima opinione, venendo meno,
per effetto della mancata rinnovazione, l’efficacia della trascrizione e dunque, di un
elemento costitutivo del pignoramento, ne deriverebbe a fortiori il venir meno del
pignoramento stesso, non potendosi considerare permanente un pignoramento di
cui sia venuto meno un elemento costitutivo.
Viceversa, nella logica della seconda opinione, l’esclusione della qualificazione
della trascrizione come elemento costitutivo del pignoramento e la sua costruzione
solo come elemento di integrazione della sua efficacia, è parsa, al contrario, poter
giustificare la permanenza del pignoramento stesso e, quindi:
a) sul riflesso che il legislatore non avrebbe voluto dar luogo ad una situazione
di permanenza di un vincolo di pignoramento sine die – sebbene non più assistito
dall’efficacia propria della trascrizione e, dunque, opponibile ai terzi che medio
tempore avessero acquistato diritti sul bene o li avessero acquistati dopo – si è
sostenuto, da una dottrina, che il processo esecutivo resterebbe in realtà insensibile
all’evento della mancata rinnovazione della trascrizione al decorso del ventennio
e potrebbe, dunque, continuare il suo corso, sia pure senza la prospettiva di dare
luogo ad un risultato a quei terzi opponibile, come invece accadeva nella permanenza dell’efficacia della trascrizione;
b) mentre, da altra prevalente dottrina, si è detto, nella prospettiva di assicurare lo svolgimento di un processo esecutivo funzionale alla realizzazione di effetti
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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opponibili ai terzi, che, o per iniziativa del soggetto interessato o su impulso del
giudice (con assegnazione di un termine), verificatasi la mancata rinnovazione della
trascrizione, si possa e si debba dar corso ad un’attività di rinnovazione della trascrizione che resterebbe riferita sempre al pignoramento originario (sicché non vi
sarebbe necessità di procedere ad un nuovo pignoramento), ma ferma restando la
sua inidoneità (in ragione del venir meno della trascrizione originaria), nonostante
tale permanente riferibilità (e, quindi, parrebbe, anche la conservazione dello stato
della vicenda del processo esecutivo esistente al momento della scadenza del termine di rinnovazione), a pregiudicare i terzi che avessero acquistato diritti sul bene
trascrivendo il loro titolo di acquisto nel lasso di tempo fra la prima trascrizione del
pignoramento e quella in rinnovazione.
3.2. Ritiene il Collegio in primo luogo di rilevare che il procedere all’esegesi
dell’art. 2668-ter, partendo dalla natura del pignoramento e, quindi, ponendosi dal
punto di vista di quella fra le due opzioni ricostruttive che al riguardo si confrontano in dottrina e che hanno avuto eco anche nella giurisprudenza di questa Corte
sia frutto di una scelta che non solo non appare giustificata da quanto la lettura
della nuova norma evidenzia e dal modo in cui la fattispecie da essa regolata ed
introdotta si colloca rispetto al processo esecutivo immobiliare, ma, in via consequenziale, risulta fuorviante.
Questo convincimento consente in questa sede di non soffermarsi sull’opzione
ricostruttiva circa la natura e la struttura del pignoramento da ritenersi condivisibile, se non per ribadire che il Collegio, ove ciò fosse stato necessario, avrebbe
dato continuità alla ricostruzione recentemente operata da questa stessa Sezione
nella sentenza n. 7998 del 2015 ed il cui risultato è stato espresso dall’Ufficio del
Massimario e del Ruolo con il seguente principio di diritto: “In materia di espropriazione immobiliare, il pignoramento, pur componendosi di due momenti processuali, cui corrispondono i due diversi adempimenti della notifica dell’atto al
debitore esecutato e della sua trascrizione nei registri immobiliari, è strutturato
come fattispecie a formazione progressiva, nella quale, mentre la notificazione
dell’ingiunzione al debitore segna l’inizio del processo esecutivo (e produce, tra
gli altri effetti, quello dell’indisponibilità del bene pignorato), la trascrizione ha la
funzione di completare il pignoramento, non solo consentendo la produzione dei
suoi effetti sostanziali nei confronti dei terzi e di pubblicità notizia nei confronti
dei creditori concorrenti, ma ponendosi anche come presupposto indispensabile
perché il giudice dia seguito all’istanza di vendita del bene. (In applicazione di
tale principio, la S.C. ha confermato la decisione con cui il giudice di merito –
in relazione ad una fattispecie caratterizzata dalla ricorrenza di due pignoramenti
contestuali, notificati, rispettivamente, a nome di ciascun creditore, uno solo dei
quali, però, risultava trascritto – aveva dichiarato l’estinzione della procedura esecutiva, in ragione della rinuncia agli atti proveniente dal solo creditore che aveva
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provveduto alla trascrizione del pignoramento, senza che l’altro fosse intervenuto
nel processo esecutivo dal primo instaurato)”.
Risultato che, letto al lume delle ampie considerazioni della motivazione della
decisione, esprime – piuttosto che l’adesione ad una delle due ricostruzioni – l’adozione di una prospettiva relativizzante dell’approccio adottato da ognuna delle
due, nel senso di postulare, con un’opportuna considerazione dei dati normativi
somministrati dagli artt. 555 e 557 c.p.c., ed intesi sotto l’aspetto dello scopo perseguito dal legislatore, che, in relazione ai vari effetti che l’ordinamento ricollega
alla fattispecie “pignoramento immobiliare”, in buona sostanza può e deve rilevare
per taluni la notificazione al debitore e per altri il successivo momento della trascrizione, appunto nella logica della formazione progressiva di una fattispecie poi finale
ed unitaria. Prospettiva che, peraltro, come non si era mancato di sottolineare, era
in realtà comune ad entrambi gli orientamenti, sì da stemperare l’assolutezza di
entrambi dal punto di vista delle applicazioni pratiche.
3.3. Ritornando in medias res, la ragione per cui non sembra corretto ricostruire
il profilo funzionale dell’art. 2668-ter c.c., utilizzando le opzioni ricostruttive elaborate a proposito della struttura del pignoramento si rinviene, anche al di là di
quanto potrebbe suggerire già proprio il rilievo dell’appena segnalata mancanza di
assolutezza di entrambe, nella circostanza che esse sono state elaborate sulla base
della ricognizione delle norme che disciplinano il pignoramento immobiliare come
fattispecie che si deve realizzare nel mondo giuridico e deve produrre i suoi effetti
per la prima volta.
Si tratta di orientamenti che sono stati prospettati appunto per descrivere la struttura del pignoramento immobiliare con riferimento al “come” ed al “quando” esso
diviene produttivo di effetti, si fa cioè fattispecie.
L’art. 2668-ter c.c., invece, non concerne affatto la fattispecie del pignoramento
con riferimento al momento in cui essa giuridicamente diviene tale, ma dispiega la
sua efficacia disciplinatrice con riferimento ad un pignoramento che, indipendentemente dalla ricostruzione che se ne faccia a livello genetico, ha dispiegato completamente la sua efficacia, quale che sia il modo in cui essa la si intenda e quale che sia
il modo in cui la si intenda completata.
È sufficiente osservare che tale dispiegamento è stato talmente completo da aver
causato lo svolgimento di un processo esecutivo che è durato nel tempo e si è, di
norma, articolato in una serie di attività che suppongono necessariamente ormai da
lungo tempo realizzata la fattispecie genetica del pignoramento, la quale rappresenta, rispetto alla vicenda della rinnovazione comunque un fatto da tempo compiuto ed appartenente al passato.
Questo dato non sembra sia stato considerato nel dibattito dottrinale ed invece
deve necessariamente esserlo, per comprendere e ricostruire il significato della
norma in esame.
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Ne segue allora che la risposta alla domanda sul valore che il legislatore della L.
n. 69 del 2009, ha voluto assegnare alla prescrizione della rinnovazione della trascrizione del pignoramento dopo venti anni dalla trascrizione originaria deve necessariamente tenere conto che si tratta di una prescrizione che è destinata ad incidere su
processi esecutivi riguardo ai quali il pignoramento, quale che sia la sua struttura,
in ogni caso non rileva più nel suo momento genetico e nei termini dell’opzione che
si ritenga corretta con riferimento ad esso, bensì come atto che ha dispiegato i suoi
effetti in un tempo ormai lontano e cui è succeduta una sequenza processuale fatta
di altri atti, rispetto alla quale il pignoramento aveva già realizzato la sua funzione
come atto giuridico processuale di impulso.
Diventa, pertanto, irrilevante sapere se e quando esso avesse svolto la sua funzione
e se lo avesse fatto secondo lo schema che considera la trascrizione come elemento
di integrazione dell’efficacia verso i terzi ma non come elemento costitutivo, piuttosto che, come pare preferibile, secondo lo schema che considera la trascrizione
come un elemento costitutivo della fattispecie a formazione progressiva.
Invero, l’oggetto di disciplina dell’art. 2668-ter, non riguarda il momento genetico del pignoramento, bensì un pignoramento che viene considerato ben dopo quel
momento. Dunque le suggestioni dell’adesione all’una piuttosto che all’altra ricostruzione di esso non sono giustificate, perché conducono ad affrontare il problema
dell’esegesi della norma considerando come oggetto di disciplina il pignoramento
assegnandogli un significato diverso da quello assunto dalla norma, cioè considerandolo e ricostruendo come se si trattasse di un problema simile a quello che si affronta
quando si deve individuare la genesi del pignoramento come fattispecie giuridica.
4. Ferma questa considerazione ed assumendola come premessa, il Collegio rileva,
inoltre, che nella ricostruzione delle implicazioni della fattispecie dell’art. 2668-ter,
occorre prendere le mosse dal dettato legislativo che, sia nella rubrica della norma,
sia nel significato che assume la proclamazione dell’applicabilità “anche nel caso di
trascrizione del pignoramento immobiliare” delle “disposizioni di cui all’art. 2668bis”, comporta che la norma effettivamente introdotta dal legislatore debba leggersi
nei termini seguenti, che sostituiscono al dictum dell’art. 2668-bis c.c., comma 1, là
dove fa riferimento alla “trascrizione della domanda giudiziale”, la seguente disposizione: “La trascrizione del pignoramento immobiliare ma analogamente è a dirsi
per il sequestro conservativo per gli immobili conserva il suo effetto per venti anni
dalla sua data. L’effetto cessa se la trascrizione non è rinnovata prima che scada
detto termine”.
La norma costringe, com’è manifesto, ad interrogarsi sul significato della cessazione dell’effetto della trascrizione del pignoramento.
Cessazione che fa conseguire alla sua mancata rinnovazione.
Diventa allora decisivo domandarsi che cosa si debba intendere per “effetto
della trascrizione di un pignoramento immobiliare”, ma, con l’avvertenza che la
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spiegazione dev’essere data con riguardo ad una vicenda risalente a quasi venti anni
prima e che è rappresentata dal processo esecutivo.
4.1. In proposito, assume rilevanza innanzitutto il modo in cui il processo esecutivo per espropriazione immobiliare è disegnato nel nostro ordinamento ed il ruolo
funzionale che la trascrizione vi giuoca.
La risposta all’interrogativo è ovvia: il processo in questione, dovendo realizzare
la responsabilità patrimoniale del debitore con riferimento al bene immobile pignorato e comportando tale realizzazione di norma un trasferimento coattivo del bene
per realizzarne il valore (oppure l’assegnazione), soggiace alle regole di pubblicità
della circolazione dei beni immobili, che impongono appunto la trascrizione del
trasferimento.
Data la finalizzazione dell’esecuzione immobiliare ed in vista dell’assicurazione
della fruttuosità del trasferimento si spiega come il momento di instaurazione del
procedimento esecutivo sia a sua volta soggetto all’onere della trascrizione. Si spiega
così la previsione dell’art. 555 c.p.c., che disegna la struttura del pignoramento
immobiliare, al di là della già segnalata diatriba sulla rilevanza dei due elementi,
come fattispecie che contempla in ogni caso come necessaria e doverosa la trascrizione del pignoramento, quale atto di inizio del processo esecutivo.
Sotto tale aspetto, l’art. 555 c.p.c., rimasto immutato anche dopo le ultime riforme
del 2014, evidenzia innanzitutto come la trascrizione sia un elemento imposto in via
imperativa: lo dimostra il fatto che il secondo comma della norma affidi in via normale l’incombente della trascrizione direttamente all’ufficiale giudiziario e preveda
solo come un’eventualità che le attività da detto comma previste siano compiute dal
creditore pignorante. Tale eventualità, siccome non può che avere come ragione
giustificativa quella dell’ipotesi normale, non sottrae all’incombente il carattere di
adempimento doveroso e prescritto in via imperativa.
Si deve rilevare, poi, che, anteriormente alla riforma di cui al D.L. 12 settembre
2014, n. 132, art. 18, comma 1, lett. c), convertito con modificazioni nella L. 10
novembre 2014, n. 162, l’art. 557 c.p.c., comma 1 (nel testo anteriore alla sostituzione operata dalla riforma di cui al D.L.), com’è noto, affidava allo stesso ufficiale
giudiziario che avesse proceduto alla trascrizione il compito di depositare immediatamente l’atto di pignoramento nella cancelleria del tribunale competente “e,
appena possibile, la nota di trascrizione restituitagli dal conservatore dei registri
immobiliari”, così risultando evidente anche il carattere doveroso dell’emersione
della trascrizione davanti al giudice dell’esecuzione.
Ed il comma 2 dello stesso articolo, là dove stabiliva che nell’ipotesi dell’art. 555,
u.c., il creditore procedente dovesse depositare “la nota di trascrizione appena restituitagli dal conservatore dei registri immobiliari” chiaramente prevedeva tale adempimento come obbligatorio e necessario, trattandosi di sostituire l’adempimento
officioso altrimenti affidato all’ufficiale giudiziario.
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Il carattere doveroso del deposito della nota di trascrizione è ora ancora più evidenziato dal nuovo testo dell’art. 557, il cui comma 2, affida ormai al solo creditore
l’adempimento del deposito della nota di trascrizione anche quando vi abbia provveduto l’ufficiale giudiziario.
È vero che nel vecchio testo dell’art. 557 c.p.c., comma 3, della norma ricollegava
la pendenza del processo esecutivo sul piano formale, in quanto sottesa alla formazione del fascicolo, direttamente al solo deposito dell’atto di pignoramento e non
anche al deposito della nota di trascrizione, ma ciò era circostanza irrilevante ai fini
dell’individuazione del profilo funzionale della trascrizione sul processo esecutivo:
restava, infatti e comunque, il carattere doveroso, necessario, del deposito da parte
dell’ufficiale giudiziario o del creditore.
Nel nuovo testo dell’art. 557, comma 2, come sostituito dalla riforma del 2014, è
ora previsto che l’adempimento dell’obbligo di deposito della nota di trascrizione
debba avvenire entro un termine di quindici giorni dalla consegna al creditore
dell’atto di pignoramento e ciò a pena di perdita di efficacia del pignoramento,
mentre per il caso che alla trascrizione abbia provveduto il creditore procedente,
a norma dell’art. 555, comma 3, è rimasta ferma, forse per dimenticanza del legislatore, la previsione contenuta nel testo precedente del comma, che continua ad
imporre il deposito appena restituita la nota dal conservatore: ma un’evidente esigenza di coerenza impone di applicare anche al creditore sempre il temine di quindici giorni, così interpretando il perdurante riferimento ad un deposito “appena
restituitagli” anche per evitare un sospetto di incostituzionalità per irragionevolezza
della diversità di disciplina.
È vero, poi, che il comma 3 della norma – dopo che il secondo ha prescritto
che “il creditore deve depositare nella cancelleria del tribunale competente per
l’esecuzione la nota di iscrizione a ruolo, con copie conformi del titolo esecutivo,
del precetto, dell’atto di pignoramento e della nota di trascrizione entro quindici
giorni dalla consegna dell’atto di pignoramento” e dopo che nell’ultimo inciso ha
prescritto che, quando ricorra l’ipotesi dell’art. 555 c.p.c., comma 3 (cioè sia stato
il creditore a curare la trascrizione), il deposito della nota di trascrizione deve avvenire appena restituita la stessa dal conservatore – non allude, nel prevedere che “il
pignoramento perde efficacia quando la nota di iscrizione a ruolo e le copie dell’atto
di pignoramento, del titolo esecutivo e del precetto sono depositati oltre il termine
di quindici giorni dalla consegna al creditore”, anche al mancato deposito della nota
di trascrizione.
Ma parrebbe palese che, per evitare una manifesta contraddizione con il disposto
del comma 2, che accomuna al deposito di quanto previsto nel terzo anche quello
della nota di trascrizione, anche il suo deposito, nonostante il silenzio del comma
3 debba avvenire e sia di norma sanzionato allo stesso modo. Si deve, infatti, pensare che tale silenzio sul deposito della nota di trascrizione concerna solo l’ipotesi
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eccezionale che, avendo proceduto l’ufficiale giudiziario alla trascrizione a norma
dell’art. 555, comma 2, egli, a differenza di quanto prevede dell’art. 557 c.p.c.,
comma 1, abbia consegnato l’atto di pignoramento senza la nota di trascrizione
perché ancora non restituitagli ed essa sia stata da lui consegnata successivamente.
In questo caso dell’art. 557, comma 2, là dove impone al creditore il deposito
entro quindici giorni dell’atto di pignoramento e delle copie conformi del titolo
e del precetto, certamente può osservarsi e, quindi, deve osservarsi per tali atti.
Invece, si deve a fortiori ipotizzare che l’osservanza da parte del creditore del termine per il deposito della nota di trascrizione non scatti se non quando la nota gli
viene restituita.
Nel diverso caso in cui alla trascrizione provveda il creditore procedente, il problema del raccordo fra la previsione come doverosa del deposito della nota di
trascrizione nei quindici giorni dalla restituzione, che si legge nel comma 2 e la
scomparsa del riferimento alla nota nel terzo, evidentemente non si pone, dato che
il termine di quindici giorni di cui al comma 2, come s’è detto, decorre dalla restituzione della nota di trascrizione, cui fa riferimento l’ultimo immutato inciso del
secondo comma stesso.
La questione del raccordo dell’art. 557 c.p.c., commi 2 e 3 e la spiegazione
dell’apparentemente misterioso silenzio del terzo sul deposito della nota di trascrizione, tuttavia, non dev’essere ulteriormente approfondita in questa sede.
Importa, invece, rilevare che è agevole, comunque, nel nuovo regime, la conclusione che, senza deposito della nota di trascrizione del pignoramento, il processo
esecutivo non può avere corso come evidenzia la sanzione della perdita di efficacia,
che si riferisce, secondo l’ipotesi esegetica formulata, anche al mancato deposito
della nota di trascrizione (con l’avvertenza che, evidentemente, sarà possibile il
rilievo di eventuali fattispecie giustificative di una rimessione in termini in caso di
inosservanza del termine).
Ne segue che la stessa considerazione merita l’ipotesi in cui, essendo, ai sensi
dell’art. 555, u.c., rimasta affidata al creditore procedente la trascrizione del pignoramento, costui non vi avesse proprio neppure proceduto.
Sicché è palese ed è questo che importa notare che, nell’assetto scaturito dalla
riforma del 2014, è preclusa la possibilità di svolgimento del processo esecutivo in
mancanza di deposito della nota di trascrizione del pignoramento e analogamente
se la trascrizione non sia nemmeno avvenuta.
4.2. Ma anche nel vigore delle norme nei testi anteriori alla riforma del 2014, sebbene non fosse prevista l’inefficacia del pignoramento, la prospettiva di svolgimento
del processo esecutivo nelle stesse due situazioni era sostanzialmente da ritenere
preclusa.
Lo era già sulla base della stessa norma dell’art. 557 vecchio testo, atteso che il
“deve” con cui era imposto sia il deposito ufficioso della nota di trascrizione da
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parte dell’ufficiale giudiziario sia quello del creditore procedente in conseguenza
della restituzione fattane dal conservatore, implicava ex necesse la sua assoluta
imprescindibilità per lo svolgimento del procedimento, giacché non sarebbe stata
altrimenti comprensibile l’obbligatorietà dei detti comportamenti.
Invero, prescrivere un comportamento come obbligatorio in una sequenza processuale all’evidenza implica che la sequenza per la parte successiva possa avere
corso solo se il comportamento è stato tenuto.
4.3. Ma al di là di questo rilievo, già di per sé decisivo, si deve ricordare che lo
stesso testo originario del codice, dell’art. 567 c.p.c., comma 2, con riferimento
all’istanza di vendita, che era (ed è) il primo momento dello svolgimento del processo esecutivo immobiliare dopo il pignoramento, si prevedeva che all’istanza di
vendita dovessero allegarsi, fra l’altro, i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile, adempimento che chiaramente sottintende l’esigenza di verificare lo stato dell’immobile proprio in relazione alla trascrizione del pignoramento:
anche questo confermava la rilevanza decisiva della necessaria dimostrazione della
trascrizione in funzione del procedere.
4.4. I testi successivi dell’art. 567 c.p.c., sia quello modificato dalla L. n. 302 del
1998, sia quello modificato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni,
dalla L. n. 80 del 2005, sia quello modificato dal D.L. n. 83 del 2015, convertito,
con modificazioni, nella L. n. 132 del 2015, ispirano medesime considerazioni ed
anzi gli ultimi due, imponendo il deposito dei certificati relativi alle iscrizioni e
trascrizioni “nei venti anni anteriori alla trascrizione del pignoramento” hanno ulteriormente evidenziato la centralità di quest’ultima.
4.5. Ebbene, ai fini della questione che si esamina non interessa soffermarsi, nella
vigenza dell’attuale art. 557 c.p.c., comma 3, secondo inciso, sul significato della
comminatoria dell’inefficacia del pignoramento in caso di mancato deposito nel
termine della nota di trascrizione e, a maggior ragione, di mancato deposito dipeso
dall’assenza stessa della trascrizione, potendosi solo osservare che tale comminatoria
non lascia dubbi sull’impossibilità del procedere dell’esecuzione, trattandosi semmai di individuare il regime di emersione della fattispecie patologica, che, essendo
stata espressamente qualificata come inefficacia del pignoramento dal legislatore e
non come estinzione, si potrebbe alternativamente pensare come ipotesi:
a) sottratta – in ossequio al silenzio qualificatorio del legislatore – al regime
dell’art. 630 c.p.c., atteso che con riferimento ad altra fattispecie di inefficacia del
pignoramento, quella di cui all’art. 562 c.p.c., il legislatore richiama invece espressamente la disciplina dell’estinzione, di modo che occorrerebbe considerarla come
una fattispecie di improseguibilità dell’esecuzione affidata al potere officioso del
giudice (oltre che al rilievo di parte) ma non soggetta a quella disciplina e, quindi,
determinativa di una possibile tutela con il regime dell’opposizione agli atti esecutivi contro il provvedimento giudiziale che rilevi o neghi l’inefficacia;
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b) riconducibile alla fattispecie della mancata prosecuzione del processo esecutivo nel termine perentorio stabilito dalla legge, cui allude l’art. 630 c.p.c., comma
1, con conseguente applicabilità del regime processuale dell’estinzione, ora, com’è
noto, rilevabile d’ufficio.
4.6. Ponendosi, invece, nel momento in cui entrava in vigore la disciplina
dell’art. 2668-ter c.c. e nel regime dello svolgimento dell’esecuzione disciplinato
dalle norme allora vigenti (e, quindi, quelle degli artt. 557 e 567, sopra evocate), ed
esclusa ogni rilevanza del regime di cui a quest’ultima norma concretamente applicabile al processo esecutivo di cui trattasi (ed in particolare del problema che esso
potesse essere quello anteriore alla riforma di cui al D.L. n. 35 del 2005, per essere
stata disposta la vendita, secondo la norma transitoria di cui a quella riforma), è
necessario rimarcare un dato: anche in quel regime, quale che esso fosse nello specifico, il carattere doveroso del deposito della nota di trascrizione del pignoramento
e la centralità della trascrizione comunque emergente dalla successiva disciplina
dell’istanza di vendita già nel testo originario dell’art. 567 c.p.c., comma 2, pur nella
mancanza di comminatoria di una sanzione per il mancato deposito della nota di
trascrizione del pignoramento costringeva a concludere che non era immaginabile
che l’esecuzione potesse aver corso se non vi era deposito della nota de qua.
In particolare, valorizzando il significato del “deve” con cui il deposito era contemplato nell’art. 557, sia per il caso ch’esso fosse affidato all’ufficiale giudiziario sia
per il caso che fosse affidato al creditore procedente, si doveva reputare che detta
mancanza fosse circostanza affidata al potere di rilievo d’ufficio dal giudice e ciò
pur nella disciplina allora esistente del rilievo dell’estinzione tipica di cui all’art. 630
c.p.c., affidato all’eccezione della parte.
Infatti, il silenzio del legislatore andava interpretato come sottrazione della fattispecie alla disciplina dell’estinzione a rilievo di parte ed affidamento al potere di
interlocuzione del giudice nell’esercizio dei poteri di direzione del processo esecutivo, sì da dare luogo ad una vera e propria fattispecie di improseguibilità dell’esecuzione. Fattispecie che poteva e doveva emergere, evidentemente, allorquando si
fosse chiesta la vendita, perché allora il giudice dell’esecuzione risultava investito
del provvedere ed allora assumeva rilievo l’emersione della mancanza di deposito
della nota di trascrizione.
Si doveva semmai reputare che, chiesta la vendita, il giudice, rilevata quella
mancanza, dovesse assegnare un termine al creditore pignorante per provvedere
e, quindi, decorso inutilmente tale termine si evidenziasse l’impossibilità di prosecuzione del processo esecutivo come fattispecie di estinzione per mancata prosecuzione del processo esecutivo nel termine assegnato dal giudice. E, poiché quando il
giudice assegna un termine per provvedere ad un adempimento ed esso non viene
osservato e non se ne chieda e se ne ottenga la proroga (art. 154 c.p.c.), l’attività
che doveva compiersi nel termine non risulta più possibile, si evidenziava appunto
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una fattispecie di impossibilità di prosecuzione del processo esecutivo, rilevabile
d’ufficio perché non disciplinata expressis verbis come fattispecie di estinzione ai
sensi dell’art. 630 c.p.c.
5. Non occorre, comunque, approfondire la questione, importando qui soltanto
rimarcare la già segnalata essenzialità del deposito della nota di trascrizione e,
quindi, della dimostrazione della trascrizione del pignoramento affinché il processo
esecutivo potesse aver corso già nella sua fase iniziale.
Risultato questo che, del resto, era pienamente consentaneo con la vocazione
dell’espropriazione immobiliare, quale forma di tutela giurisdizionale esecutiva,
a realizzare un processo che ponesse il creditore pignorante al riparo da atti di
disposizione compiuti dal debitore dopo il pignoramento (art. 2913 c.c.): era ed è
evidente che la trascrizione del pignoramento in tale ottica serviva (e serve) ad assicurare questo scopo coessenziale al profilo funzionale dell’espropriazione immobiliare, come dell’espropriazione su beni di diversa natura – secondo la legge di
circolazione dei diritti reali sui beni immobili.
Sicché, è notazione ovvia, ben poteva dirsi, come a maggior ragione ora lo si deve
dire, che l’esecuzione forzata immobiliare come forma di tutela si poteva come si
può svolgere solo in presenza di dimostrazione della trascrizione del pignoramento.
Notazione questa che, inerendo il profilo relativo allo svolgimento dell’esecuzione, non è in contraddizione con la proclamata irrilevanza, ai fini della questione
che ne occupa, della qualificazione del rilievo della trascrizione nel momento genetico del pignoramento.
Importa, infatti, notare che in tutti i regimi processuali succedutisi la predicabilità
del venir meno del processo esecutivo in presenza di mancata dimostrazione della
trascrizione del pignoramento comportava come comporta, quale che ne fosse e ne
sia ora la modalità di emersione, certamente la caducazione del pignoramento non
trascritto posto che esso stesso, pur considerato nella fase concretantesi nell’ingiunzione rivolta al debitore, è atto riconducibile al processo esecutivo e non essendo
immaginabile un venir meno del processo esecutivo senza caducazione di esso.
6. Raggiunte queste conclusioni si può agevolmente rilevare che la centralità della
trascrizione del pignoramento non poteva non essere stata presente al legislatore
della L. n. 69 del 2009, allorquando introdusse l’art. 2668-ter c.c.
È palese che l’introduzione di una norma dispositiva della cessazione dell’efficacia della trascrizione del pignoramento decorsi i venti anni dopo la trascrizione,
proprio in ragione di detta centralità e della conseguente correlazione fra trascrizione e concreta possibilità di svolgimento del processo esecutivo, ha avuto lo scopo
di individuare una fattispecie che nell’intentio legis non può non essere stata pensata come direttamente incidente sulla prospettiva del corso ulteriore del processo
esecutivo, di modo che l’attività prevista come doverosa, quella della rinnovazione
della trascrizione, lo è stata certamente come attività condizionante la possibilità
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di un’ulteriore prosecuzione del processo esecutivo e, quindi, necessaria perché il
corso del processo possa continuare.
Ne segue che il verificarsi della mancata rinnovazione della trascrizione e, quindi,
la cessazione dell’efficacia della trascrizione, in coerenza necessaria con la raggiunta
conclusione che già nella fase iniziale non era – al momento dell’entrata in vigore
della L. n. 69 del 2009 – data la possibilità di un processo esecutivo basato su pignoramento di cui fosse mancata la dimostrazione della trascrizione, assume il valore di
fattispecie determinativa del venir meno del processo esecutivo nella sua interezza
e, quindi, anche del pignoramento.
Ed anzi è notazione ovvia che tale venir meno, se era ed è connaturato alla mancata dimostrazione della trascrizione originaria del pignoramento in limine dello
svolgimento del processo esecutivo immobiliare (cioè nella sede dell’art. 567 c.p.c.,
come s’è veduto), lo è a maggior ragione, in quanto corrisponde all’intentio legis,
con riferimento ad un processo esecutivo che ormai abbia durata quasi ventennale
e nel corso del quale può essersi svolta tutta una serie di attività.
Risulta così, per le complessive ragioni che si sono venute esponendo, del tutto
priva di basi giustificative ed in manifesta contraddizione con la logica della tutela
giurisdizionale assicurata dal modello del processo esecutivo immobiliare, l’idea
che la mancata rinnovazione della trascrizione, sebbene determinativa della cessazione della sua efficacia, possa travolgere l’attività esecutiva svoltasi, cioè il processo esecutivo, fino al momento della perenzione della trascrizione, ma non il
pignoramento come suo momento iniziale, sicché sarebbe possibile una successiva
rinnovazione della trascrizione, autorizzata dal giudice o d’iniziativa del soggetto
interessato, che ancori la ripresa del processo esecutivo all’originario pignoramento,
sebbene senza l’usbergo della insensibilità del vincolo da esso posto rispetto agli
atti di disposizione eventualmente medio tempore compiuti dal debitore e, quindi,
con la attribuzione al pignoramento dell’effetto di tutela verso gli atti di disposizione solo dalla rinnovazione, con una sorta di recupero per il futuro della sua
funzione.
Non solo tale ipotesi di lettura della norma dell’art. 2668-ter, richiede all’interprete di “creare” una disciplina facendo dire al legislatore cose che non ha detto e
che, secondo le implicazioni di sistema della disciplina, non sarebbe stato ragionevole dicesse, ma anche una disciplina che sarebbe del tutto eccentrica rispetto alle
normali conseguenze di eventi che assumono rilievo per il venir meno del processo
esecutivo, secondo la sua figura tipica, cioè l’estinzione.
Lo stesso ragionare di una rinnovazione tardiva funzionale alla conservazione,
sebbene senza il dispiegarsi del vincolo medio tempore, del pignoramento originario, inteso come intimazione al debitore a non disporre, ipotizza una figura che si
colloca del tutto al di fuori della logica della rinnovazione pur evocativa della disciplina già vigente della rinnovazione dell’ipoteca (artt. 2848 c.c. e segg.).
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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Il legislatore ha chiamato, infatti, rinnovazione l’attività che abbia a svolgersi
prima della scadenza del ventennio. L’osservanza del termine è dunque elemento
costitutivo della fattispecie.
Ne segue che, immaginare una rinnovazione ancorata all’originario pignoramento
è prospettare un istituto praeter legem non diversamente da come lo sarebbe stato la
pretesa di considerare una rinnovazione dell’iscrizione ipotecaria e non una nuova
iscrizione ipotecaria quella avvenuta, ove il titolo lo avesse ancora consentito, dopo
la scadenza del temine di cui all’art. 2848 c.c.
7. Si deve ancora aggiungere che l’ipotesi che si critica appare frutto di una
lettura della norma di cui si discorre che le assegna il solo valore di tutela dei
terzi rispetto al fenomeno della pendenza di esecuzioni risalenti a pignoramenti
trascritti da oltre un ventennio, difficilmente da loro percepibili in sede di acquisto eventuale del bene pignorato, data la tradizionale limitazione della diligenza
notarile nel risalire a ritroso nei registri immobiliari alla ricerca dello stato del bene
appunto al ventennio (termine rilevante per usucapione e per la durata dell’iscrizione ipotecaria).
È indubbio che, come del resto rivela l’introduzione coeva dell’art. 2668-bis, per
la rinnovazione della trascrizione delle domande giudiziali, la tutela dei terzi in sede
di circolazione dei beni abbia costituito una ragione della introduzione della norma,
ma accanto ad essa si è sottovalutato che, con specifico riferimento alla tutela esecutiva immobiliare l’intentio legis è stata anche quella, di fronte al ricorrente fenomeno
di esecuzioni forzate immobiliari pendenti da decenni ed infruttuose (fenomeno
che ha costituito il volano per l’emersione normativa della fattispecie dell’art. 164bis disp. att. c.p.c., in precedenza già palesatasi in giurisprudenza), di sollecitare il
soggetto interessato alla permanenza del processo esecutivo ormai quasi ventennale (specie se si tratti del creditore procedente o dei creditori titolati) a valutare la
convenienza e l’opportunità che il processo prosegua ancora, valutazione che può
dipendere dal grado della prospettiva della fruttuosità della procedura dopo ormai
tanti anni.
Sicché, la norma assume anche il valore di disposizione pienamente consentanea ad assicurare una durata del processo esecutivo ragionevole secondo l’esigenza
costituzionalmente dovuta.
8. Deve, dunque, affermarsi il principio di diritto secondo cui l’art. 2668-ter c.c.,
va interpretato nel senso che la mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento nel termine ventennale determina la caducazione del processo esecutivo,
ivi compreso il pignoramento, restando preclusa la possibilità che il soggetto interessato possa fare luogo ad una rinnovazione tardiva, di sua iniziativa o su termine
concesso dal giudice dell’esecuzione, che si ancori all’originario pignoramento, sebbene divenuto sensibile ad atti di disposizione medio tempore verificatisi da parte
del debitore pignorato.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Il Collegio rileva che, conforme al profilo funzionale del processo esecutivo
immobiliare di forma di tutela assicurata a condizione della dimostrazione che il
pignoramento sia stato trascritto e, quindi, necessariamente supponente la permanenza della trascrizione, nonché nella contemplazione del dato già sopra rilevato
che in limine dell’esecuzione la mancanza di dimostrazione della trascrizione è sempre stata rilevabile ex officio come causa impediente lo svolgimento del processo
esecutivo, si deve reputare che la rilevazione della mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento e, quindi, la constatazione della cessazione della sua
efficacia travolgente anche il pignoramento sia affidata al potere di rilevazione officiosa del giudice dell’esecuzione.
Il regime di tale rilevazione e, quindi, del provvedimento del giudice che constati la mancata rinnovazione dev’essere ricostruito, nel silenzio della legge, considerando che, se è vero che la mancata rinnovazione si concreta nell’inosservanza
di un termine stabilito dalla legge e che ciò potrebbe prima facie indurre a ritenere
che dia luogo a una fattispecie estintiva tipica (posto che l’art. 630 c.p.c., comma 1,
c.p.c. parla di mancata prosecuzione del processo esecutivo nel termine perentorio
stabilito dalla legge), tuttavia tale conclusione non è condivisibile e non lo è con
riferimento ai vari regimi delle procedure esecutive cui l’art. 2668-ter è divenuto
applicabile dal momento in cui è stato introdotto (secondo la previsione della L.
n. 69 del 2009, art. 58, comma 4).
In primo luogo, ma non è argomento decisivo, nel regime anteriore alla sostituzione operata dalla stessa L. n. 69 del 2009, del regime di rilevazione dell’estinzione
tipica ex art. 630 c.p.c., ad istanza di parte con quello a rilievo officioso del giudice di
rilevazione dell’estinzione, detta conclusione sarebbe in contraddizione con la conclusione raggiunta circa il rilievo d’ufficio, salvo immaginare che il giudice assegni
un termine per la dimostrazione della rinnovazione e che non rispettato tale termine
la fattispecie estintiva scatti per inosservanza del termine stesso (dato che l’art. 630,
parla anche di mancata prosecuzione del processo nel termine stabilito dal giudice).
In secondo luogo ed è questo l’argomento decisivo occorre considerare che l’attività di rinnovazione della trascrizione si colloca, a ben vedere, al di fuori del processo esecutivo e, dunque, la sua omissione non si può, stricto sensu, considerare
come l’omissione di un’attività di prosecuzione del processo esecutivo, concetto che
richiama attività inerenti adempimenti da svolgersi nel processo esecutivo, secondo
la sua sequenza disciplinatrice, e mancando, del resto, anche la prescrizione di un
dovere di depositare la nota di rinnovazione del pignoramento entro un certo termine dalla rinnovazione.
Ne segue che la fattispecie della mancata rinnovazione della trascrizione in
quanto determinativa dell’impedimento alla prosecuzione del processo dà luogo ad
un fenomeno estintivo che, pur normativamente giustificato, il legislatore non ha
inteso collocare sotto l’ambito dell’art. 630 c.p.c.
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Il potere officioso del giudice si deve allora estrinsecare certamente, sempre che
non consti già ex actis la mancata rinnovazione, nell’invito a documentare se si è
eseguita la rinnovazione ed eventualmente nell’assegnazione di un termine per
documentare la rinnovazione (tempestiva), decorso il quale egli deve dichiarare che
il processo esecutivo non può proseguire, perché è venuto meno l’effetto dell’originaria trascrizione del pignoramento ed esso stesso.
Se si vuole, il contenuto potrà essere una formale dichiarazione di estinzione del
processo esecutivo, ma senza parametrazione all’art. 630 c.p.c.
Con la conseguenza che il provvedimento del giudice dell’esecuzione, com’è
accaduto nella specie, sarà suscettibile di controllo con il normale rimedio previsto
contro i provvedimenti del giudice, cioè l’opposizione agli atti ex art. 617 c.p.c. (e la
stessa cosa dicasi per il provvedimento negativo).
9. Per ragioni di completezza ed a fini di nomofilachia mette conto di rilevare che
la ricostruzione proposta deve completarsi con l’individuazione del soggetto legittimato a procedere alla rinnovazione ai sensi dell’art. 2668-ter c.c.
Questo soggetto, tenuto conto che la rinnovazione è necessaria per preservare la
conservazione del processo esecutivo va individuato, com’è stato opportunamente
ipotizzato, non già nel solo creditore procedente, bensì anche nei creditori titolati
intervenuti, atteso che essi possono dare impulso alla procedura.
Inoltre, allorquando il processo esecutivo sia pervenuto a ridosso del ventennio in
una fase tale che il soggetto interessato a quella conservazione sia l’aggiudicatario,
anche in quest’ultimo. Tale legittimazione si profila nel lasso di tempo fra l’intervenuta aggiudicazione, l’emissione e la trascrizione del decreto di trasferimento.
In proposito si osserva che l’art. 2668-bis, là dove stabilisce le modalità della
documentazione da presentarsi per la rinnovazione al conservatore è pienamente
compatibile con la situazione di cui all’art. 2668-ter. Il comma 3, prevede, infatti,
che in luogo del titolo si presenti la nota precedente e, poiché la nota di trascrizione
originaria deve essere inserita nel fascicolo dell’esecuzione, è palese che l’interessato
ne potrà estrarre copia autentica. La stessa cosa dicasi se si voglia produrre il titolo,
cioè il precedente atto di pignoramento, atteso che anch’esso deve trovarsi nel fascicolo dell’esecuzione.
Queste soluzioni superano la suggestione che l’affidamento al solo creditore procedente del potere di rinnovazione lo porrebbe nella condizione, per sue finalità, di
pregiudicare gli altri interessati.
10. Un’ultima notazione appare opportuna: nel caso di mancata rinnovazione
della trascrizione e, quindi, di perenzione del pignoramento e della procedura esecutiva, si deve reputare che eventuali atti di disposizione che fossero stati compiuti
dal debitore medio tempore siano sì opponibili al creditore procedente e a quelli
intervenuti, ma tale opponibilità non toglie che, essendo gli acquisti avvenuti in pendenza della trascrizione poi venuta meno, si tratti di atti che il debitore ha compiuto
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
nella consapevolezza di ledere le ragioni creditorie e l’ordine di non disporre del
bene che gli era stato rivolto e che l’acquirente sia da ritenere consapevole di tale
idoneità lesiva. Ciò agli effetti dell’art. 2901 c.c.
11. Il primo motivo è, dunque, conclusivamente rigettato. (Omissis)
(1) Non constano precedenti specifici in termini. Secondo T. Roma, ord. 17-10-2012, NGCC, 2013,
391 ss., con nota di Farace, «la trascrizione del pignoramento immobiliare ha efficacia costitutiva. La
mancata rinnovazione della trascrizione del pignoramento è causa di estinzione del processo di esecuzione, ma non cancella automaticamente la formalità che, seppure inefficace, continua a permanere,
con la conseguenza che per aversi la cancellazione della trascrizione si dovrà ottenere un provvedimento del giudice, ex art. 2668 c.c. e art. 562 c.p.c.». V. anche T. Napoli, ord. 30-9-2011, CorM, 2012,
12, secondo cui «per i pignoramenti ultraventennali, la mancata rinnovazione della trascrizione ai sensi
dell’art. 2668-ter c.c. non determina l’estinzione del processo esecutivo, bensì la improcedibilità ulteriore dell’azione esecutiva, che non può quindi essere proseguita con la vendita del compendio pignorato»; T. Larino, 9-11-2010, CorM, 2011, 246, secondo cui «la mancata rinnovazione della trascrizione
del pignoramento immobiliare ai sensi dell’art. 2668-ter c.c. non comporta la caducazione del pignoramento e l’improcedibilità del procedimento esecutivo, bensì la mera cessazione ab origine degli effetti
della trascrizione». Nel senso che «il provvedimento con il quale il giudice dell’esecuzione dichiara
l’estinzione del processo esecutivo per cause diverse da quelle tipiche (comportanti piuttosto la declaratoria di improseguibilità, come, nella specie, la sopravvenuta inefficacia del pignoramento per mancata
rinnovazione della trascrizione nel termine ventennale di cui agli artt. 2668-bis e 2668-ter c.c.), non è
impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., ma con l’opposizione ex art. 617
c.p.c., che è rimedio tipico avverso gli atti viziati del processo esecutivo», v. Cass., 20-11-2014, n. 24775.
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 20 aprile 2016, n. 7780 — Ambrosio Presidente —
Barreca Relatore — Fuzio P.M. (concl. diff.); Intesa Sanpaolo S.p.A. (Omissis) — Unicredit
Credit Management Bank S.p.A. e altri.
Esecuzione forzata — Intervento — Espropriazione immobiliare — Cessione del credito
in pendenza del processo esecutivo — Intervento in giudizio del cessionario — Forma —
Deposito di un nuovo ricorso — Necessità — Esclusione.
In materia di esecuzione forzata, in caso di cessione del credito in pendenza di processo esecutivo, il cessionario che eserciti la facoltà di intervenire in giudizio, ai sensi dell’art. 111, 3° co.,
c.p.c., non è tenuto al deposito di un nuovo ricorso, contenente gli elementi previsti dall’art. 499,
2° co., c.p.c., ma può manifestare la volontà di subentrare in luogo del cedente, dando prova del
negozio di cessione ed avvalendosi dell’assistenza di un difensore munito di procura alle liti, con
qualsiasi modalità che risulti idonea a non ledere i diritti del debitore o degli altri creditori (1).
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 499 c.p.c., perché,
secondo la ricorrente, l’intervento nel processo esecutivo di Aspra Finance S.p.A.,
all’udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione del 4 giugno 2009, avrebbe dovuto
essere considerato inesistente, in quanto effettuato oralmente, mediante dichiarazione del procuratore inserita nel verbale dell’udienza.
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Invece, il Tribunale l’ha reputato valido ed efficace, affermando – erroneamente,
a detta di Intesa Sanpaolo S.p.A. – che l’intervento nel processo esecutivo possa
“essere fatto con ricorso, ma anche in forma orale all’udienza”.
La ricorrente sostiene che si sarebbe avuta la violazione dell’art. 499 c.p.c., in
quanto norma che regolamenta la modalità di ogni intervento nel processo esecutivo, e quindi anche quello effettuato ai sensi dell’art. 111 c.p.c.
1.1.– La resistente ribatte, nel merito, che è errato il richiamo dell’art. 499 c.p.c.,
poiché questa norma disciplina l’intervento di un nuovo creditore che chiede di
aggiungersi al creditore procedente ed a quelli già intervenuti per partecipare alla
distribuzione del ricavato, mentre nel caso di specie ricorrerebbe la diversa fattispecie della successione a titolo particolare nel diritto controverso.
1.2.– La resistente formula, in rito, due eccezioni di inammissibilità.
Una, a carattere pregiudiziale (perciò da esaminarsi in via prioritaria, pur se proposta come seconda alternativa), è configurata come eccezione di inammissibilità
dell’opposizione agli atti esecutivi, perché tardivamente proposta con ricorso del 5
luglio 2010, pur avendo sostanzialmente ad oggetto l’intervento effettuato da Aspra
Finance S.p.A. all’udienza del 4 giugno 2009. Essa è infondata alla stregua del principio per il quale in materia di espropriazione forzata, la contestazione da parte del
creditore procedente – o di quello intervenuto in base a titolo esecutivo, ovvero in
forza dei presupposti processuali speciali di cui alla seconda parte del primo comma
dell’art. 499 c.p.c. – circa la ritualità, per carenza dei presupposti di ammissibilità, dell’intervento di altro creditore, non rientrante nelle categorie testé indicate,
dà luogo, sempre che una lite siffatta non sia insorta in precedenza ad impulso di
altri tra i soggetti del processo esecutivo, ad una controversia in sede distributiva
non soggetta al termine ex art. 617 c.p.c. (così Cass. n. 7107/15, ma cfr. già Cass.
n. 7556/11).
L’altra eccezione è svolta come eccezione di inammissibilità del primo motivo
di ricorso per carenza di interesse, perché, essendo inscindibilmente correlati
l’intervento nel processo del successore a titolo particolare, ai sensi dell’art. 111
c.p.c., e l’estromissione del suo dante causa (che non sarebbe configurabile ove
l’intervento non vi sia stato), nel caso di specie si avrebbe che la dichiarazione di
nullità dell’intervento di Aspra Finance S.p.A., in accoglimento dell’opposizione
agli atti esecutivi proposta dalla società procedente, dovrebbe comportare comunque la revoca dell’estromissione di UniCredit Banca S.p.A., con attribuzione a
quest’ultima, creditrice ipotecaria, della somma in contestazione.
2.– Il primo motivo non merita di essere accolto, anche se i termini in cui è prospettato – pur se infondati – non lo rendono inammissibile per carenza di interesse,
come eccepito dalla resistente. Infatti, nella prospettazione della ricorrente, ribadita
nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., la revoca dell’ordine di esecutività del progetto di distribuzione per inesistenza/nullità dell’intervento di Aspra
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
Finance S.p.A. non comporterebbe anche la revoca dell’estromissione della cedente
UniCredit Banca S.p.A., che dovrebbe restare ferma, sicché il ricavato dalla vendita
dovrebbe essere attribuito all’odierna ricorrente (avente perciò interesse all’accoglimento delle sue conclusioni).
Piuttosto, proprio queste conclusioni costituiscono la cartina di tornasole
dell’infondatezza del ricorso.
Esse verrebbero a determinare il paradossale effetto che la creditrice ipotecaria
di primo e di secondo grado, destinataria dell’avviso ex art. 498 c.p.c., perciò intervenuta nel processo esecutivo, verrebbe privata, a seguito della sua stessa richiesta
di estromissione, del diritto di soddisfarsi sul ricavato del bene oggetto di garanzia,
dopo che questa è venuta irrimediabilmente meno a seguito della vendita coattiva
del bene pignorato. Resterebbe altresì insoddisfatto il creditore cessionario del
diritto di credito garantito di ipoteca.
2.1.– La vicenda processuale merita, quindi, di essere considerata nella prospettiva di sistema delineata dalla resistente, che fa leva sul disposto dell’art. 111 c.p.c.
Ed invero, in punto di fatto, non è in contestazione che UniCredit Banca S.p.A.
(frattanto incorporata in UniCredit S.p.A.) abbia ceduto i crediti per i quali era
intervenuta nel processo esecutivo ai danni di G.A. (nascenti da due contratti di
mutuo fondiario, con garanzia ipotecaria sul bene pignorato) ad Aspra Finance
S.p.A., ai sensi dell’art. 58 T.U.B.
Parimenti incontestato è quanto segue:
– all’udienza tenuta dal giudice dell’esecuzione il 4 giugno 2009, fissata per la
sottoscrizione del decreto di trasferimento ed il versamento al creditore fondiario ai
sensi dell’art. 41 TUB delle somme ricavate dalla vendita, il difensore di UniCredit
S.p.A. rese nota la cessione, dando atto che copia dell’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale era stato già trasmesso al professionista delegato;
– per come risulta dallo stralcio di verbale riportato in ricorso, lo stesso difensore
“(...) in forza di contratto di servicing stipulato da Aspra Finance e UCMB S.p.A.
(già U.G.C. Banca), rappresentata e difesa dal medesimo procuratore giusta procura alle liti in atti, si costituisce nella presente procedura esecutiva facendo proprie tutte le ragioni di credito vantate dalla cessionaria e conseguentemente avendo
pieno diritto all’incasso della somma a questa spettante”;
– detto difensore, alla medesima udienza, chiese che fosse disposta l’estromissione dalla procedura della cedente UniCredit S.p.A.;
– con provvedimento reso all’udienza il giudice dell’esecuzione estromise
quest’ultima e dispose il pagamento in favore di Aspra Finance S.p.A. ai sensi
dell’art. 41 TUB;
– a seguito di contestazione di Intesa Sanpaolo S.p.A., svolta all’udienza del 15
aprile 2010, il giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 24 maggio 2010, richiese
ed ottenne (alla successiva udienza del 10 giugno 2010) la produzione in giudizio
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della procura generale alle liti in data 16 luglio 2003, che abilitava il difensore di
UniCredit Credit Management Bank S.p.A.
Premesso che il ricorso non contiene contestazione alcuna che attenga a
quest’ultima procura, la questione da dirimere, in diritto, è quella dell’interpretazione dell’art. 499 c.p.c., comma 2, e della sua applicabilità nel caso di intervento
nel processo esecutivo di creditore cessionario del credito vantato verso l’esecutato
dal cedente, che sia già regolarmente intervenuto nello stesso processo ai sensi dello
stesso art. 499 c.p.c.
3.– Questa Corte ha affermato che l’art. 111 c.p.c., è norma applicabile al processo esecutivo, qualora si abbia, in pendenza di questo processo, una successione
a titolo particolare nella titolarità della situazione attiva.
Così, tra i precedenti più significativi, vanno segnalati Cass. n. 4985/2004
[secondo cui “In pendenza del processo esecutivo, la successione a titolo particolare nel diritto del creditore procedente non ha effetto sul rapporto processuale che, in virtù del principio stabilito dall’art. 111 c.p.c., dettato per il
giudizio contenzioso ma applicabile anche al processo esecutivo, continua tra le
parti originarie, con la conseguenza che l’alienante mantiene la sua legittimazione
attiva (ad causam) conservando tale posizione anche nel caso di intervento del
successore a titolo particolare, fino a quando non sia estromesso con il consenso
delle altre parti. A tale stregua, quando la cessione del credito avviene a processo esecutivo iniziato e, in accordo con il cessionario, è l’originario creditore
a proseguirlo, da un canto, il debitore deve rivolgere le sue opposizioni contro
la parte che procede; d’altro canto, dovendo i principi evincibili dall’art. 111
c.p.c., essere adattati alle caratteristiche proprie del processo esecutivo (per cui la
soluzione di determinate questioni incidentali avviene anziché nell’ambito dello
stesso processo in distinti giudizi di cognizione, quali quelli volti a decidere sulle
questioni concernenti l’estinzione, le opposizioni esecutive e le controversie sulla
distribuzione del ricavato), deve conseguentemente riconoscersi, ferma restando
la prosecuzione del processo stesso tra le parti originarie, la possibilità per il
cessionario di svolgere le attività processuali inerenti all’indicato subingresso
nella qualità di soggetto passivo, e quindi (anche) la facoltà di intervenire, ai
sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 4, nel giudizio di cassazione pur non avendo
spiegato intervento in primo grado, e pur essendo subentrato nella titolarità del
diritto controverso prima che l’opposizione fosse proposta (essendo all’epoca il
processo esecutivo già iniziato)”], nonché Cass. n. 14096/05, ord. n. 1552/11,
n. 23992/11, n. 3643/13, n. 8936/13.
Va qui ribadito che l’art. 111 c.p.c. si applica all’espropriazione immobiliare
quanto alla successione a titolo particolare nella posizione creditoria (non anche
quanto alla successione a titolo particolare nella posizione debitoria: cfr. Cass.
n. 8936/13 cit.), pur con gli adattamenti richiesti dalle caratteristiche del processo.
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In particolare, con riferimento alla cessione del credito, l’esecuzione in corso può
proseguire su impulso (o con l’intervento) del cedente, ma il cessionario può intervenire nel processo, facendo valere il negozio di cessione, con estromissione del
cedente.
3.1.– Quanto alla forma dell’intervento nel processo esecutivo, il legislatore ha
espressamente previsto il ricorso.
La giurisprudenza di legittimità, come rilevato dalla ricorrente, ha parimenti ritenuto necessario il ricorso, quindi la forma scritta, che presuppone altresì l’assistenza
di un legale munito di procura alle liti (Cass. n. 15184/03) ed ha perciò interpretato
restrittivamente sia il testo originario dell’art. 499 c.p.c., (così Cass. n. 10818/93, ma
cfr. anche Cass. n. 2506/10), che il testo riformato dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del 2005, e modificato dalla L. n. 263 del 2005, art. 1, comma 3,
lett. c) (cfr. Cass. n. 22645/12, in motivazione e n. 3656/13, in motivazione).
L’interpretazione letterale va qui confermata, anche in considerazione del fatto
che l’onere della forma scritta è imposto, oltre che dall’esplicita menzione normativa del ricorso, anche dall’indicazione, fatta dall’art. 499 c.p.c., comma 2, degli
elementi che il ricorso deve contenere, in linea di principio incompatibili con una
mera dichiarazione “orale” di intervento, pur se inserita in un verbale di udienza.
Per questo, si ritiene di dover correggere l’affermazione contraria contenuta
nella sentenza impugnata e di dover quindi ribadire che ai sensi dell’art. 499 c.p.c.,
comma 2, nel testo sostituito dal D.L. n. 35 del 2005, convertito nella L. n. 80 del
2005, come modificato dalla L. n. 263 del 2005, l’intervento del creditore nel processo esecutivo deve essere effettuato, con l’assistenza di un legale munito di procura alle liti, mediante deposito di ricorso contenente l’indicazione del credito e del
relativo titolo, la domanda di partecipazione alla distribuzione della somma ricavata
e gli altri elementi indicati dal detto articolo; pertanto non può produrre gli effetti
dell’intervento la dichiarazione orale con cui un creditore manifesti la sua intenzione di intervenire nel processo esecutivo, pur se inserita nel processo verbale di
un’udienza tenuta dal giudice dell’esecuzione.
Questo principio non trova smentita nel già citato precedente di cui a Cass.
n. 22645/12, col quale si è affermato che, per richiedere, in sede esecutiva, i ratei di
credito successivi a quelli quantificati nel precetto, e basati sul medesimo titolo, non è
necessario, per il creditore, intimare un ulteriore precetto, potendo tener luogo di un
formale atto di intervento, ove tanto non leda i diritti del debitore o di altri eventuali
creditori, la menzione di detti ratei nella c.d. nota di precisazione del credito, depositata ai fini dell’ordinanza determinativa delle somme necessarie per la conversione.
In primo luogo, va rilevato che la motivazione della sentenza dà conto del fatto
che comunque la c.d. nota di precisazione del credito era stata presentata mediante
la spendita di procura già rilasciata al difensore e che la stessa nota, redatta per
iscritto, era stata depositata e resa nota alle parti; in secondo luogo, va sottolineato
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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che il precedente è riferito ad un’ipotesi del tutto peculiare, in quanto relativa a
crediti nascenti dal titolo esecutivo già posto a base del pignoramento e/o di un
precedente regolare intervento.
4.– Al fine di decidere se il principio di diritto enunciato regoli anche l’intervento
del cessionario del credito, ai sensi del terzo comma dell’art. 111 c.p.c., occorre
chiedersi se a questo “intervento” sia applicabile non solo la forma, ma anche la
disciplina dell’intervento dei creditori nel processo esecutivo.
Limitando l’esame all’espropriazione immobiliare, si osserva che la disciplina è
dettata dall’art. 499 c.p.c., nonché dall’art. 564 c.p.c. e segg., e prevede, oltre che la
forma, anche i tempi dell’intervento ed i differenti poteri che spettano ai creditori
intervenuti, a seconda che l’intervento sia tempestivo o tardivo, basato su titolo
esecutivo o non titolato.
Allora la risposta all’interrogativo di cui sopra non può che essere negativa, sotto
tutti gli aspetti. Il cessionario del credito subentra in un processo esecutivo nel quale
il cedente ha già assunto la qualità di pignorante o di creditore intervenuto (perché, in questa seconda eventualità, ha già svolto un intervento ai sensi dell’art. 499
c.p.c.). La posizione processuale del cessionario subentrante non può che essere
riferita alla posizione già ricoperta dal cedente, sia quanto all’identificazione del
credito e del titolo di esso, che quanto alla domanda di partecipazione alla distribuzione del ricavato ed all’eventuale facoltà di provocare atti dell’espropriazione (ai
sensi dei già menzionati artt. 563 e seg. c.p.c.).
Ne consegue che se il cessionario che interviene nel processo esecutivo, ai sensi
del terzo comma dell’art. 111 c.p.c., è svincolato dall’onere dell’osservanza dei
tempi dell’intervento, nulla osta a che lo sia anche dall’onere di forma imposto
dall’art. 499 c.p.c., comma 2. Quest’ultimo, infatti, in tanto si giustifica in quanto si
intenda ampliare l’oggetto dell’esecuzione individuale ad un credito nei confronti
del debitore esecutato che non ne faccia ancora parte (anche se titolari siano creditori già presenti, ma in forza di altro titolo esecutivo: cfr. Cass. n. 3656/13).
4.1. – Affrontando la questione da un altro punto di vista, va escluso che tra
gli adattamenti che la peculiarità del processo esecutivo impone alla disciplina
dell’art. 111 c.p.c., vi sia quello di richiedere la forma del ricorso, per subentrare in
quel processo del quale sia già parte il dante causa dell’interveniente.
Va invece affermato che è necessaria la manifestazione della volontà di intervenire
nel processo esecutivo nella qualità di cessionario, ed in luogo del cedente, dando
atto degli estremi del negozio di cessione, ed avvalendosi dell’assistenza di un difensore munito di procura alle liti.
La sentenza impugnata, quindi, pur necessitando della correzione di cui sopra ai
sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., è conforme a diritto nel dispositivo.
Questo è infatti coerente con il principio per cui quando la cessione del credito
avviene a processo esecutivo iniziato ed il cessionario del credito intenda esercitare
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
la facoltà di intervenire, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., comma 3 (applicabile anche al
processo esecutivo), ai fini di questo intervento, non è necessario il deposito di un
nuovo ricorso, contenente gli elementi previsti dall’art. 499 c.p.c., comma 2, ma
è sufficiente che il cessionario manifesti la sua volontà di subentrare in luogo del
cedente, dando prova del negozio di cessione ed avvalendosi dell’assistenza di un
difensore munito di procura alle liti, con modalità idonee a non ledere i diritti del
debitore o degli altri creditori.
Quest’ultima evenienza si è verificata nel caso di specie, in cui non è nemmeno
contestato che l’istituto di credito procedente, qui ricorrente, fosse presente
all’udienza in cui si è avuto l’intervento in contestazione, così come non è contestato che il procuratore ad litem, che rese la dichiarazione, fosse munito, già allora,
di valida procura notarile, pur se prodotta successivamente.
Il primo motivo di ricorso va perciò rigettato.
5.– Col secondo motivo di ricorso si deduce falsa applicazione dell’art. 287 c.p.c.,
al fine di censurare la correzione, disposta dal Tribunale, del progetto di distribuzione “nella parte in cui non contempla Aspra Finance quale cessionaria del credito
originariamente in capo ad Unicredit S.p.A. (oggi per cessione ad Unicredit Credit
Management Bank S.p.A.)”.
La ricorrente sostiene che il Tribunale non avrebbe potuto provvedere in tale
senso perché:
– il progetto di distribuzione, predisposto dal professionista delegato, non rientra
tra gli atti correggibili ex art. 287 c.p.c.;
– il progetto di distribuzione non avrebbe potuto essere corretto senza che fosse
stata previamente revocata o riformata l’ordinanza del giudice dell’esecuzione del
10 giugno 2010, che l’aveva reso esecutivo;
– non si sarebbe trattato di un errore materiale del professionista delegato, perché
il progetto venne redatto sulla base di una nota di precisazione del credito trasmessagli dal legale di UniCredit Banca S.p.A., nell’interesse di quest’ultima, e dopo che
la cessione era stata già pubblicata sulla G.U., e perché il progetto di distribuzione
non contiene alcun riferimento ad Aspra Finance S.p.A.
5.1.– Il motivo è manifestamente infondato. Il progetto di distribuzione, pur se
predisposto da un professionista delegato, agendo questi quale ausiliario del giudice, è atto riconducibile al giudice dell’esecuzione, così come il provvedimento che
lo approva.
Pertanto, nella specie si è trattato della correzione di un errore materiale di un
atto esecutivo.
L’atto esecutivo è correggibile dallo stesso giudice che l’ha emesso.
Tuttavia, la regola desumibile dall’art. 287 c.p.c. e segg., è nel senso che, ove alla
correzione di un errore materiale non provveda il giudice che l’ha commesso, può
certamente provvedervi il giudice dell’impugnazione, essendo allo scopo sufficiente
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Rassegna delle decisioni della cassazione
523
una mera istanza di correzione dell’errore materiale rivolta al giudice del gravame
(cfr. Cass. n. 7706/03, n. 19284/14).
Traendo le debite conseguenze dalla disciplina anzidetta, ritenuta applicabile al
processo esecutivo (così Cass. n. 7399/92; cfr., anche Cass. ord. n. 1891/15), va
affermato che nel caso in cui sia viziato da errore materiale un atto del processo
esecutivo contro il quale sia stata proposta opposizione agli atti esecutivi ai sensi
dell’art. 617 c.p.c., alla sua correzione può procedere anche il giudice del giudizio
di merito sull’opposizione.
Questo è quanto è accaduto nel caso di specie.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13,
comma 1 bis. (Omissis)
(1) Sul problema dell’applicabilità dell’art. 111 c.p.c. nell’ipotesi della successione a titolo particolare
verificatasi in pendenza del processo esecutivo, significativa appare Cass., 4-9-1985, n. 4612, GC, 1986,
I, 441 ss., con nota di LUISO, L’acquirente del bene pignorato nel processo esecutivo, e RDC, 1986, II,
387 ss., con note di Costantino e Vaccarella, la quale, pur escludendo che possa «trovare applicazione
diretta nel processo esecutivo l’art. 111 c.p.c., dettato per il processo di cognizione», ritiene che possano in ogni caso «ritenersi operanti i principi evincibili dalla norma medesima, previo adattamento con
le caratteristiche del processo esecutivo, e deve conseguentemente riconoscersi la possibilità per il terzo
acquirente di svolgere le attività processuali inerenti al suo subingresso nella qualità di soggetto passivo
e quindi la facoltà di interloquire in ordine alle modalità dell’esecuzione, di proporre opposizione agli
atti esecutivi, di proporre opposizione all’esecuzione, nonché di proporre, in via di surrogazione al
debitore esecutato, opposizione all’esecuzione per inesistenza o sopravvenuta cessazione del diritto di
procedere all’esecuzione medesima».
Altre pronunce hanno al contrario recisamente negato la possibilità di un’applicazione dell’art. 111
c.p.c. al processo esecutivo: cfr. per tutte Cass., 14-4-1993, n. 4409, NGCC, 1993, I, 909 ss., con nota di
GILI, Sulla legittimazione del terzo acquirente del bene pignorato a proporre opposizione agli atti esecutivi,
secondo cui «non ha legittimazione a proporre opposizione agli atti esecutivi colui che abbia acquistato
l’immobile oggetto dell’esecuzione successivamente alla trascrizione del pignoramento»; Cass., 27-81984, n. 4703, secondo cui il cessionario del credito pignorato dovrebbe considerarsi terzo rispetto al
processo esecutivo instaurato contro il suo dante causa e, dunque, legittimato a proporre opposizione
ex art. 619 c.p.c. onde far valere il proprio diritto.
Più di recente, sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo v. Cass., 12-4-2013, n. 8936,
REF, 2013, 473, secondo cui «nel caso di cessione di un credito già azionato esecutivamente, trovano
applicazione (sia pure con gli opportuni adattamenti) sia il primo che il terzo comma dell’art. 111
c.p.c. Quando, invece, un’analoga successione si verifichi dal lato passivo (ove, cioè, un terzo abbia
acquistato, in pendenza dell’esecuzione forzata e dopo la trascrizione del pignoramento immobiliare, il
bene pignorato), è applicabile solo il primo comma della citata disposizione, ostando all’applicazione
anche del terzo il regime di inefficacia delineato dall’art. 2913 c.c.». Nonché Cass., 14-2-2013, n. 3643,
la quale ha affermato che «la sentenza di condanna alla riduzione in pristino dello stato dei luoghi (nella
specie, per l’accertata violazione del limite legale della proprietà stabilito dall’art. 913 c.c.), pronunciata
nei confronti del dante causa, ha efficacia di titolo esecutivo altresì nei confronti dell’avente causa,
che abbia acquistato dopo la formazione del giudicato, per atto tra vivi a titolo particolare, il fondo
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
assoggettato all’esecuzione delle opere eliminative»; Cass., 16-11-2011, n. 23992, secondo cui «la cessione delle attività e delle passività, delle aziende e dei rami d’azienda, dei beni e dei rapporti giuridici
individuali in blocco, ai sensi dell’art. 90, 2° co., d.lgs. 1-9-1993, n. 386 (applicabile ratione temporis),
di un istituto di credito posto in liquidazione coatta amministrativa (l.c.a.) ad un altro istituto di credito
determina una successione a titolo particolare, rispetto alla quale l’adempimento della formalità prevista dall’art. 58 dello stesso d.lgs. n. 385 – per cui la banca cessionaria dà notizia dell’avvenuta cessione
con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – opera soltanto su un piano
sostanziale. Ne consegue che, ai sensi dell’art. 111 c.p.c., applicabile anche al processo esecutivo, permane in capo alla banca in l.c.a. cedente la legittimazione attiva all’esecuzione forzata, pure nel caso di
intervento del successore a titolo particolare, sino a quando l’anzidetta qualità di parte cessi per effetto
della sua estromissione con il consenso delle altre parti».
In dottrina, cfr. MONTELEONE, Diritto processuale civile, III, Padova, 1998, 62, secondo cui «l’art. 111,
avente ad oggetto la successione a titolo particolare nel diritto durante la pendenza di una lite, non è
chiaramente applicabile al processo esecutivo», attesa la «totale ed evidente estraneità ad esso di tutti
i presupposti di fatto e di diritto voluti dalla citata norma», nonché l’«incomparabilità a tal fine fra res
litigiosa e res pignorata». Lo stesso Autore ammette peraltro che il terzo acquirente «possa promuovere
in via surrogatoria le opposizioni di forma e di merito spettanti al debitore». Cfr. anche MICCOLIS, Sulla
legittimazione del terzo acquirente del bene pignorato, RDPr, 1985, 480, il quale ritiene che «anche nel
corso del processo esecutivo può verificarsi il fenomeno della successione a titolo particolare, la cui
disciplina normativa, se non può rinvenirsi in via diretta nell’art. 111 c.p.c., va ricercata nell’adattamento di tale norma al processo esecutivo». In senso analogo LUISO, L’acquirente del bene pignorato nel
processo esecutivo, cit., 450 ss.; MERLIN, Principio del contraddittorio e terzo proprietario in due recenti
pronunce, GI, 1986, IV, 327 ss.; DONATI, Riflessioni in materia di poteri processuali del terzo acquirente
del bene pignorato, DG, 1986, 973 ss.; MONTESANO, Garanzie di difesa ed esecuzione ordinaria contro terzi
e successori particolari dell’obbligato, RTPC, 1987, 925 ss. Contro tale impostazione, si vedano però i
rilievi di VACCARELLA, Il terzo proprietario nei processi di espropriazione forzata. II. La tutela, RDC, 1986,
II, 407 ss., spec. 418 ss., e ORIANI, L’opposizione agli atti esecutivi, Napoli, 1987, 297. V. anche Cass.,
26-9-2000, n. 12762, REF, 2001, 73 ss., con nota di GATTI, Estinzione del processo esecutivo, alienazione
della res pignorata e intervento nel giudizio di reclamo del terzo acquirente: risulta utile l’applicazione
dell’art. 111 c.p.c.?, secondo cui il terzo acquirente del bene pignorato è legittimato ad eccepire l’estinzione del processo esecutivo ed a partecipare al relativo giudizio di reclamo. Per un approfondimento
della questione si rinvia a TOTA, Note sulla successione a titolo particolare nel processo esecutivo, REF,
2002, 605 ss.
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 5 maggio 2016, n. 8951 — Amendola Presidente —
Ambrosio Relatore — Cardino P.M. (concl. conf.); Tecnilens S.r.l. (Omissis) — Velvet di F.A.
& C. S.a.s. e altri.
Esecuzione immobiliare — Vendita — Senza incanto — Legittimazione a presentare le
offerte — Procuratore legale — Nozione — Esercente la professione forense — Asserita
irragionevole disparità di trattamento rispetto alla disciplina della vendita con incanto —
Esclusione — Fondamento.
Il disposto di cui all’art. 571 c.p.c., nella parte in cui sancisce che l’offerta per l’acquisto
deve essere proposta personalmente o a mezzo di procuratore legale, anche a norma dell’ultimo
comma dell’art. 579 c.p.c., prevede due categorie di soggetti che possono proporre l’offerta
nella vendita senza incanto, dovendo per procuratore legale intendersi l’avvocato. Nella vendita con incanto, seppure risultano individuate tre categorie di soggetti legittimati a partecipare all’incanto, deve ritenersi eccezionale la partecipazione di mandatario munito di procura
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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speciale, consentendosi, ai sensi dell’art. 579 c.p.c., al solo avvocato di fare offerte per persona da nominare. Pertanto, deve ritenersi legittima la scelta del professionista delegato per
la vendita senza incanto di non ammettere l’offerta non sottoscritta dalla parte personalmente
(specificamente il legale rappresentante della società), bensì da un mero mandatario munito di
procura speciale (1).
(1) Con la pronuncia in epigrafe la S.C. rileva in motivazione che «la differenza strutturale tra l’una
e l’altra forma di vendita – posto che con l’incanto non si manifesta la volontà irrevocabile di acquistare, ma si dichiara soltanto di voler partecipare al relativo procedimento (senza essere neppure vincolati a tale manifestazione di volontà), mentre l’offerta di vendita senza incanto è irrevocabile almeno
fino a quando il G.E. o il suo delegato l’abbiano esaminata e comunque per centoventi giorni – rendono improponibile l’assunzione come parametro di riferimento ai sensi dell’art. 3 Cost. della diversa
disciplina di cui all’art. 579 c.p.c. per la vendita con incanto; peraltro la delicatezza delle scelte che
l’offerente è chiamato ad assumere nella vendita senza incanto (valga, per tutte, proprio la scelta di
partecipare all’eventuale gara) rendono non irrazionale l’opzione legislativa adottata per la relativa
disciplina, richiedendo la figura tecnica di un legale, ove l’offerta non sia presentata personalmente; di
conseguenza la questione di costituzionalità della norma di cui all’art. 571 c.p.c. risulta manifestamente
infondata». In precedenza, nel senso che «nell’espropriazione immobiliare, se l’offerente in aumento di
sesto non partecipa personalmente alla gara con l’aggiudicatario, può farsi rappresentare da un mandatario munito di procura speciale, non essendo tenuto ad attribuire la rappresentanza ad un procuratore
legale come prevede l’art. 571 c.p.c. in tema di vendita senza incanto», v. Cass., 13-1-2005, n. 578, GI,
2005, 2327.
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 10 maggio 2016, n. 9390 — Amendola Presidente —
Barreca Relatore — Cardino P.M. (concl. parz. conf.); (Omissis) — (Omissis) S.p.A.
Espropriazione forzata — Presso terzi — Ordinanza di assegnazione — Titolo esecutivo
contro il terzo — Condizioni — Conoscenza da parte del terzo — Necessità — Omissione — Abuso dello strumento esecutivo nei confronti del terzo assegnato, non ancora
inadempiente — Conseguenze — Spese del precetto a carico del creditore procedente.
In tema di esecuzione mobiliare presso terzi, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’art. 553 c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui
il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo
esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario, ma acquista tale efficacia soltanto
dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o dal momento successivo
a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione. Pertanto, se
l’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’art. 553 c.p.c. viene notificata al terzo in
forma esecutiva contestualmente all’atto di precetto, senza che gli sia stata preventivamente
comunicata né altrimenti resa nota, è inapplicabile l’articolo 95 c.p.c. e le spese sostenute per il
precetto restano a carico del creditore procedente (1).
Motivi della decisione
1.– Col primo motivo del ricorso si deduce violazione dell’articolo 384 c.p.c.,
in relazione agli articoli 474, 479 e 480 c.p.c., nonché omesso esame di un fatto
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
decisivo per il giudizio di appello, oggetto di contraddittorio tra le parti, “nella
fattispecie non contestato” (articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Il motivo critica il rigetto dell’appello contro la sentenza n. 181/1996 del Pretore di Catanzaro, riguardante l’opposizione proposta dalla (OMISSIS) avverso il
precetto relativo al credito per le spese processuali vantato dall’avv. (OMISSIS), in
proprio, quale procuratore distrattario.
Il Pretore aveva reputato non dovuti dalla (OMISSIS) al creditore procedente le
spese ed i diritti non previsti nelle ordinanze di assegnazione poste a fondamento
degli atti di precetto opposti.
La Corte d’Appello di Catanzaro, in sede di rinvio, ha confermato questa statuizione.
1.2.– Il ricorrente assume la violazione di legge, con riferimento alle norme sopra
indicate, perché la Corte d’Appello non si sarebbe attenuta ai seguenti due principi
di diritto affermati dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 5368/2003, che ha
disposto il rinvio:
– l’ordinanza di assegnazione costituisce verso il terzo titolo esecutivo;
– l’inadempimento del terzo deve poter essere superato dal creditore ed il modo
non può essere rappresentato che da una esecuzione forzata per espropriazione.
Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe disatteso questi principi per
non avere considerato che il titolo esecutivo, quale è l’ordinanza di assegnazione,
può essere notificato unitamente al precetto, per mettere in mora il debitore, ai
sensi dell’articolo 479 c.p.c. e che, una volta notificato quest’ultimo, l’esecuzione
forzata non può essere iniziata prima di dieci giorni ai sensi dell’articolo 480 c.p.c.
Quindi, la Corte d’Appello, quale giudice di rinvio, avrebbe dovuto riconoscere il
diritto del creditore procedente di notificare al terzo, divenuto creditore principale,
l’ordinanza di assegnazione unitamente all’intimazione ad adempiere contenuta nel
rituale atto di precetto ed avrebbe perciò dovuto riconoscere il diritto a richiedere
le spese e i compensi dell’atto di precetto come da tariffe professionali.
1.3.– Il ricorrente censura la sentenza anche ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5
(nel testo risultante dalla modifica apportata dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, convertito nella L. n. 134 del 2012).
La Corte d’Appello, riportandosi all’accertamento dei fatti compiuto dal Pretore, non avrebbe constatato che, invece, nel caso di specie, l’inadempimento
del terzo sarebbe stato “assolutamente certo, documentato e non contestato”, in
quanto sarebbe stato provato che l’ordinanza di assegnazione, emessa il 20 aprile
1994, sarebbe stata “tempestivamente comunicata al terzo – (OMISSIS)”: si tratterebbe – a detta del ricorrente – di “circostanze allegate dal creditore-esecutante
mai contestate dall’opponente” e che perciò la Corte di merito avrebbe dovuto
ritenere provate. Aggiunge che vi è la prova documentale che il precetto è stato
notificato il 14 febbraio 1995 e che a distanza di quasi due mesi ancora non era stato
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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pagato, tanto da “costringere” il creditore ad inoltrare in data 5 aprile 1995 l’atto di
pignoramento. Il giudice di rinvio non avrebbe quindi considerato che ad un anno
dall’emissione dell’ordinanza il debitore era ancora inadempiente.
2.– Il motivo è infondato quanto alla prima censura; inammissibile quanto alla
seconda.
In merito alla questione posta col motivo in esame la Corte di Cassazione, con la
sentenza n. 5368/2003, contrariamente a quanto assume il ricorrente, non ha posto
al giudice di rinvio alcun principio di diritto cui uniformarsi ai sensi dell’articolo
384 c.p.c., comma 2.
Infatti, la Corte di Cassazione ha riscontrato nella sentenza del Tribunale
n. 197/99, portata alla sua attenzione, un’omessa pronuncia su un motivo di appello.
Ed invero, dopo aver premesso che “Il ricorrente denuncia come vizio di difetto di
motivazione (articolo 360 c.p.c., n. 5), quello che nella successiva esposizione si
presenta in realtà come un vizio di mancato esame di un motivo di appello (articolo
360 c.p.c., n. 4, in relazione all’articolo 112 c.p.c.)”, la Corte ha precisato, nello
stesso passaggio della motivazione (punto 2, n. 3), che “Il motivo di appello che
si sostiene non sia stato esaminato è quello che l’attuale ricorrente aveva rivolto
contro la statuizione relativa al diritto di liquidare le spese di precetto nell’atto di
notificare il precetto unitamente alla ordinanza di assegnazione. Su tale punto il tribunale non ha risposto. L’argomento era stato sviluppato alla lettera d) dell’appello
proposto per l’impugnazione della sentenza 181/96 del pretore […]”. Quindi, al
paragrafo 7 della motivazione, nel disporre il rinvio riguardante la “causa di opposizione promossa dalla (OMISSIS) contro l’avv. (OMISSIS) in proprio”, la Cassazione
ha statuito che il giudice di rinvio avrebbe dovuto prendere in esame “la questione
indicata al punto 2, n. 3” (vale a dire quello testualmente riportato).
2.1.– La Corte d’Appello si è attenuta a questo mandato, procedendo all’esame
del motivo di appello che era stato trascurato dal Tribunale.
Ha reputato infondata la censura ed ha confermato la decisione del pretore,
pur riconoscendo che l’ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell’articolo 553
c.p.c., ha natura di titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato e quindi potenzialmente idonea a fondare la pretesa verso quest’ultimo anche di somme ulteriori,
per spese e competenze, rispetto a quelle liquidate nella stessa ordinanza. Ha tuttavia reputato che il terzo possa essere qualificato come soggetto esposto ad una
procedura esecutiva sulla base dell’ordinanza di assegnazione “solo dopo che costui
all’indomani della notifica del provvedimento abbia tenuto una condotta inadempiente all’ordine del giudice in essa contenuto”.
2.2.– Passando all’esame del caso concreto, la Corte d’Appello ha quindi accertato che già il primo giudice aveva verificato che “il creditore procedente aveva
notificato direttamente le ordinanze di assegnazione con gli atti di precetto,
cosicché le somme ulteriori intimate in questi ultimi e non portate dalle predette
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
assegnazioni non potevano ritenersi dovute dal terzo pignorato, in quanto non
legittimate da inadempimento o ritardo alcuno da parte del medesimo”. Ha reputato che fossero infondate le censure mosse dall’appellante a questo accertamento
in punto di fatto.
3.– La decisione è corretta.
Quanto alla questione di diritto, essa segue l’orientamento giurisprudenziale di
legittimità – espresso anche dalla sentenza n. 5368/2003, che richiama, nello stesso
senso, ben più remoti precedenti (nel decidere tuttavia i motivi del ricorso dell’avv.
(OMISSIS) riguardanti le sentenze n. 180 e dal n. 182 al 196 del 1996; non il motivo
che ha dato luogo al rinvio per l’appello avverso la sentenza n. 181/96) e ribadito da
pronunce successive (cfr. n. 19363/07 e, di recente, Cass. n. 11493/15) – per il quale
l’ordinanza di assegnazione è, a sua volta, titolo esecutivo che, munito della relativa
formula, può essere portato ad esecuzione dal creditore assegnatario (già pignorante) contro il terzo pignorato. Con la precisazione che, nel caso in cui il creditore
assegnatario agisca esecutivamente in danno del terzo pignorato inadempiente questi assume la qualità di debitore esecutato ed in siffatta qualità, si può avvalere dei
rimedi riconosciuti dall’ordinamento in favore della generalità dei debitori (così
anche la stessa sentenza Cass. n. 5368/03) che siano esecutati in forza di un titolo
esecutivo di formazione giudiziale (quale è l’ordinanza di assegnazione, anche se
non idonea al giudicato: cfr. Cass. n. 11404/09).
3.1.– Né la sentenza n. 5368/03, che ha disposto il rinvio, né le altre pronunce
successive, si sono occupate specificamente della questione ulteriore, risolta dalla
sentenza qui impugnata ed oggetto di ricorso: se l’ordinanza di assegnazione sia
equiparabile ai titoli di formazione giudiziale anche quanto agli adempimenti necessariamente prodromici all’esecuzione; più in particolare, se sia applicabile all’ordinanza di assegnazione l’articolo 479 c.p.c., u.c., per il quale “il precetto può essere
redatto di seguito al titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché
la notificazione sia fatta alla parte personalmente”.
Al quesito ha dato risposta positiva la più risalente sentenza di questa Corte
n. 3976/2003, che ha ricostruito il sistema nei seguenti termini:
“Il Collegio, conformandosi ad un principio più volte enunciato in sede di legittimità, ritiene che l’ordinanza di assegnazione costituisca titolo esecutivo nei confronti del terzo (Cass. 30 maggio 1963, n. 394; Cass. 5 febbraio 1968, n. 394; Cass.
14 febbraio 1996, n. 453; Cass. 24 novembre 1980, n. 6245). L’ordinanza di assegnazione produce una modificazione soggettiva del rapporto creditorio, in virtù
del quale il terzo, debitor debitoris, è tenuto ad eseguire la prestazione di chi si è
dichiarato debitore, non più al proprio creditore, ma al creditore di questi.
Ciò postula, in un’ottica di tutela del creditore procedente, che il provvedimento,
quale che sia la forma che la legge ad esso impone, debba avere in sé efficacia tale
da assicurare la soddisfazione del diritto attribuito all’assegnatario nei confronti
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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dell’assegnato, che non può essere costretto ad intraprendere un separato giudizio
di cognizione per ottenere il titolo esecutivo. Il fondamento di questa efficacia esecutiva – di individuazione problematica in quanto l’articolo 474 c.p.c., non ricomprende il provvedimento di assegnazione tra i titoli esecutivi e l’articolo 553 c.p.c.,
non fa cenno dell’efficacia esecutiva dell’assegnazione – può ricavarsi da una lettura
sistematica delle norme disciplinanti l’espropriazione presso terzi. L’assegnazione in
pagamento, a norma dell’articolo 552 c.p.c., consegue alla dichiarazione del terzo
di essere debitore di somme (articolo 547 c.p.c.) ovvero, in mancanza, alla sentenza
che definisce il giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo (articolo 548 c.p.c.).
Se il procedimento si conclude con una sentenza di accertamento dell’obbligo del
terzo, non vi sono ovviamente problemi, essendo la sentenza – pur se definita di
accertamento dall’articolo 549 c.p.c. – titolo esecutivo. Ma a conclusioni analoghe
deve pervenirsi nel caso in cui l’assegnazione consegue alla dichiarazione confessoria del terzo. Ai fini dell’assegnazione, infatti, l’articolo 553 c.p.c., pone sullo stesso
piano la dichiarazione del terzo e la sentenza di accertamento. E sullo stesso piano
devono porsi, per le esigenze della procedura esecutiva, l’efficacia della dichiarazione o della sentenza. Ciò per l’ovvia considerazione che, come rilevato in dottrina, il terzo che ha usato della facoltà di rendere la dichiarazione positiva si sottrae
all’accertamento giudiziale a norma degli articoli 548 e 549 c.p.c., cosicché nulla
può poi lamentare se dopo l’ordinanza di assegnazione nessun accertamento sarà
necessario per conseguire quanto egli ha messo a disposizione della procedura esecutiva. In altri termini, l’alternatività tra la dichiarazione resa spontaneamente dal
terzo e la sentenza che accerta l’obbligo del terzo induce a ritenere che in entrambi
i casi il provvedimento di assegnazione abbia efficacia esecutiva. In tal modo si evita
l’incoerenza che la procedura esecutiva possa concludersi con un provvedimento
meramente dichiarativo, tale da imporre nuovamente al creditore il ricorso al giudizio di cognizione nei confronti del debitore ceduto. E non può ritenersi, come
invece lamenta la Banca ricorrente, che il terzo in tal modo vedrebbe deteriorare la
propria posizione, in quanto la dichiarazione è resa spontaneamente dal terzo, in
luogo dell’accertamento giudiziale”.
Da questa ricostruzione si è tratta la conclusione per la quale “versandosi in materia di titolo esecutivo per un diritto esigibile non ha senso parlare di adempimento o
inadempimento, essendo stata intrapresa l’esecuzione, con la notificazione del titolo
esecutivo e del precetto, come previsto dall’articolo 479 c.p.c. Quanto alla doglianza
circa le ulteriori spese che sarebbero contenute nel precetto, si rileva che… il titolo
esecutivo si estende anche alle spese necessarie alla sua concreta attuazione (Cass. 5
febbraio 1968, n. 394)”.
Il Collegio condivide la ricostruzione sistematica di cui sopra, ritenendo tuttavia
che la stessa necessiti delle precisazioni di cui appresso, che comportano anche la
modifica delle conclusioni da trarre sulla questione oggetto di ricorso.
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
È vero che l’equiparazione posta dall’articolo 553 c.p.c., tra la dichiarazione resa
spontaneamente dal terzo e la sentenza (oggi, ordinanza, a seguito delle modifiche
normative dell’articolo 549 c.p.c., su cui infra) che accerta l’obbligo del terzo induce
a ritenere che in entrambi i casi il provvedimento di assegnazione adottato dal giudice dell’esecuzione abbia efficacia esecutiva, senza che sia necessario che il creditore ricorra nuovamente al giudizio di cognizione nei confronti del terzo assegnato.
Tuttavia, la posizione del terzo non è identica nell’una e nell’altra fattispecie.
Da tempo è stato superato l’orientamento giurisprudenziale, sostenuto anche da
una parte della dottrina, secondo cui il terzo pignorato sarebbe parte del processo
esecutivo (cfr., in tal senso, la risalente Cass. n. 1425/77), mediante l’affermazione
– sostenuta da altra parte della dottrina – della estraneità del terzo al processo di
espropriazione. Questo, infatti, si svolge tra creditori (procedente ed intervenuti) e
debitore e, non essendo rivolta domanda alcuna nei confronti del terzo pignorato,
questi ha la veste di terzo estraneo al processo in corso inter alios (cfr. già Cass.
n. 6242/87 e la giurisprudenza successiva, tra cui Cass. n. 6432/03, n. 18352/05,
n. 25567/11; cui adde Cass. S.U. n. 9407/87 e Cass. n. 13247/14 e n. 6843/15, in
tema di inapplicabilità al terzo dell’articolo 96 c.p.c.).
Incidentalmente si osserva che la riforma del processo per espropriazione presso
terzi attuata con la L. 24 dicembre 2012, n. 228 e proseguita con il Decreto Legge
12 settembre 2014, n. 132, convertito con modificazioni dalla L. 10 novembre 2014,
n. 162 e, da ultimo, col Decreto Legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 6 agosto 2015, n. 132 (di cui non è dato occuparsi espressamente
perché non applicabili ratione temporis), non comporta una diversa posizione del
debitor debitoris, che continua ad essere terzo estraneo al processo esecutivo. Anzi,
questa estraneità è fisicamente riscontrata dalla, oramai normale, assenza del terzo
all’udienza fissata ex articolo 543 c.p.c., n. 4, dovendo il terzo rendere la dichiarazione per iscritto al creditore (cfr., sulla ribadita estraneità del terzo al processo esecutivo, nel vigore delle norme introdotte con la riforma del 2012, Cass. n. 11642/14).
Diversa è invece la posizione che il terzo assume nel giudizio di accertamento
dell’obbligo del terzo, sia quando condotto nelle forme dell’ordinario giudizio di
cognizione ai sensi dell’articolo 549 c.p.c., nel testo originario del codice di rito,
sia quando condotto nelle forme dell’incidente dinanzi al giudice dell’esecuzione ai
sensi dell’articolo 549 c.p.c., come sostituito dalla L. n. 228 del 2012, e modificato
dal Decreto Legge n. 83 del 2015, conv. nella L. n. 132 del 2015.
In entrambe siffatte situazioni processuali il terzo “diventa” parte del processo (o
sub procedimento) di accertamento del suo obbligo che si conclude con sentenza
(ovvero, a seguito della riforma predetta, con ordinanza).
Allora, l’equiparazione delle due situazioni che si trae dal disposto dell’articolo
553 c.p.c., non può essere portata fino alle conseguenze tratte dal precedente di cui
a Cass. n. 3976/03.
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Rassegna delle decisioni della cassazione
531
Quando l’ordinanza di assegnazione è pronunciata a seguito di dichiarazione
positiva del terzo (oggi, dopo la modifica degli articoli 547 e 548 c.p.c., di cui alle
leggi citate, anche a seguito di dichiarazione mancata o rifiutata), senza che sia stato
necessario procedere all’accertamento dell’obbligo del terzo (con giudizio ordinario ovvero, dopo le modifiche anzidette, con accertamento incidentale dinanzi al
giudice dell’esecuzione) essa costituisce titolo esecutivo nei confronti del terzo assegnato; tuttavia, è un titolo esecutivo che si è formato in un giudizio del quale il terzo
non è stato mai parte.
Questa situazione processuale vale a distinguere l’ordinanza di assegnazione ex
articolo 553 c.p.c., da ogni altro titolo giudiziale che venga azionato esecutivamente
nei confronti della parte che è stata tale nel giudizio in cui il titolo si è formato. Solo
in tale ultima eventualità si giustifica sistematicamente la previsione dell’articolo 479
c.p.c., u.c., che consente al creditore di notificare il titolo in forma esecutiva contestualmente al precetto: il legislatore del codice ha dato per scontato che il debitore
esecutato, essendo stato parte, appunto, nel processo in cui il titolo esecutivo si è
formato, lo conosca e, malgrado ciò, non vi abbia prestato spontanea esecuzione.
Vi è un’altra norma che corrobora, a contrario, la conclusione appena raggiunta.
L’articolo 477 c.p.c., comma 1, prevede, infatti, che il titolo esecutivo contro il
defunto ha efficacia contro gli eredi “ma si può loro notificare il precetto soltanto
dopo dieci giorni dalla notificazione del titolo”. La ratio del divieto di notificazione
contestuale di titolo esecutivo e di precetto è la medesima: poiché i destinatari erano
estranei al processo in cui il titolo esecutivo si è formato (pur se subentrati nella
posizione debitoria in qualità di successori del defunto), se ne presume l’incolpevole mancata spontanea esecuzione per la presunzione di non conoscenza di un
titolo non formatosi nei loro confronti.
La medesima ratio ha indotto la giurisprudenza di legittimità ad estendere la
disciplina processuale dell’articolo 477 c.p.c., comma 1, alle ipotesi di c.d. efficacia espansiva del titolo esecutivo (nelle quali questo è utilizzabile nei confronti di
soggetti diversi sia da quello contemplato nel titolo sia dal suo successore in senso
stretto), come per il socio rispetto alla società di persone e per il singolo condomino rispetto al condominio. Al riguardo, si è espressamente affermato che il titolo
esecutivo formatosi nei confronti dell’ente collettivo debba essere notificato, nei
confronti del singolo, prima e separatamente dal precetto (cfr. Cass. n. 1289/12).
Nel caso in esame peraltro vi è la complicazione costituita dal fatto che l’ordinanza di assegnazione non è titolo esecutivo contro il debitore originario (cfr., da
ultimo, Cass. ord. n. 30457/11) ma soltanto contro il terzo assegnato. Pertanto,
non ci si trova in presenza né di un fenomeno successorio né di un fenomeno di
espansione soggettiva del titolo esecutivo. Piuttosto, in linea di continuità con la
sentenza n. 3297/03 (che ha fatto propria un’autorevole tesi dottrinale, per la quale
non sarebbe coerente con le finalità della legge che un procedimento espropriativo
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
si chiuda con un provvedimento avente efficacia soltanto dichiarativa), va affermato
che si determina una cessione coattiva del credito, con una modificazione soggettiva
dell’originario rapporto tra il debitore esecutato ed il suo debitore, terzo pignorato
(cfr. Cass. n. 394/68). Di questa modificazione soggettiva, quest’ultimo non può
non essere informato in base al principio generale desumibile dall’articolo 1264 c.c.,
comma 1, dettato per la cessione del credito. In sintesi, se è vero che l’assegnazione
determina la sostituzione del creditore pignorante al creditore-debitore pignorato
sicché il terzo è tenuto ad adempiere nei confronti dell’assegnatario, questo effetto
per il terzo assegnato si determina soltanto quando egli venga a conoscenza del
provvedimento di assegnazione (arg. ex articolo 1264 c.c., comma 1).
Poiché il terzo non è parte del processo esecutivo, anche se sia comparso in
udienza a rendere la dichiarazione ai sensi dell’articolo 547 c.p.c. (nel testo originario, ovvero ai sensi dell’articolo 548 c.p.c., nel testo risultante dalle modifiche di cui
sopra), non è applicabile nei suoi confronti l’articolo 176 c.p.c., comma 2. Pertanto,
la conoscenza dell’ordinanza di assegnazione da parte del terzo dovrà essere assicurata altrimenti.
Soltanto dopo che il terzo, messo a conoscenza dell’ordinanza di assegnazione,
sia perciò messo in condizione di darvi spontanea esecuzione, potrà configurarsi
un inadempimento del terzo nei confronti del creditore assegnatario (restando
così superate le contrarie affermazioni contenute nel precedente di cui a Cass.
n. 9888/95); quindi, soltanto dopo questo momento potrà essere avviata l’azione
esecutiva nei confronti del terzo che non abbia spontaneamente adempiuto (atteso
che, come si afferma nella sentenza n. 5368/03, che ha disposto il rinvio, “è generalmente ammesso che l’inadempimento del terzo debba potersi superare dal creditore ed il modo non possa esserne rappresentato che da una esecuzione forzata per
espropriazione”). Tutto ciò comporta che – ferma restando la valutazione caso per
caso rimessa al giudice del merito – il terzo possa essere considerato inadempiente
soltanto dopo il decorso di un termine ragionevole dalla presa d’atto dell’avvenuta
assegnazione – tale dovendosi intendere un termine almeno non inferiore a dieci
giorni (arg. ex articolo 477, comma 1, nonché ex articolo 480 c.p.c., comma 1).
Giova aggiungere che potrebbe essere opportuno che, emettendo l’ordinanza di
assegnazione, il giudice dell’esecuzione ne differisca l’effetto esecutivo, fissando
egli questo termine, decorrente dalla conoscenza del provvedimento da parte del
terzo, prima del quale il credito in essa contemplato non sia esigibile. Va allora
affermato il seguente principio di diritto: “In tema di esecuzione mobiliare presso
terzi, l’ordinanza con la quale il giudice dell’esecuzione, ai sensi dell’articolo 553
c.p.c., assegna in pagamento al creditore procedente la somma di cui il terzo pignorato si è dichiarato debitore nei confronti del debitore espropriato costituisce titolo
esecutivo nei confronti del terzo ed a favore dell’assegnatario ma acquista tale efficacia soltanto dal momento in cui sia portata a conoscenza del terzo assegnatario o
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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dal momento successivo a tale conoscenza che sia specificamente indicato nell’ordinanza di assegnazione”.
Corollari di questo principio di diritto sono i seguenti:
– il creditore procedente potrà comunicare l’ordinanza di assegnazione al terzo
ovvero potrà notificargli lo stesso provvedimento in forma esecutiva; ma, in tale
seconda eventualità, non potrà essere contestualmente intimato il precetto, risultando inapplicabile il disposto dell’articolo 479 c.p.c., comma 3;
– se tuttavia il precetto venga redatto di seguito all’ordinanza di assegnazione e
notificato insieme con questa, senza che sia stato preceduto dalla comunicazione
dell’ordinanza al terzo assegnato (e/o dalla concessione di un termine adeguato per
adempiervi), si potrà configurare un abuso dello strumento esecutivo nei confronti
del terzo assegnato, non ancora inadempiente (o non colpevolmente inadempiente).
In proposito, il principio di diritto di cui sopra si specifica nell’affermazione per la
quale “se l’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’articolo 553 c.p.c.,
viene notificata al terzo in forma esecutiva contestualmente all’atto di precetto,
senza che gli sia stata preventivamente comunicata né altrimenti resa nota, è inapplicabile l’articolo 95 c.p.c. e le spese sostenute per il precetto restano a carico del
creditore procedente”. Il corrispondente vizio del precetto, per la parte in cui sono
pretese tali spese, può essere fatto valere mediante opposizione all’esecuzione, in
quanto si contesta il diritto del creditore di procedere esecutivamente per il rimborso delle somme auto-liquidate nel precetto.
Dal momento che la Corte d’Appello di Catanzaro, nel decidere un’opposizione
di tale contenuto, ha presupposto che in tanto queste spese potessero essere rimborsate in quanto il terzo fosse inadempiente, la censura di violazione di legge mossa col
primo motivo si rivela del tutto infondata, alla stregua dei principi appena enunciati.
3.2.– Resta da verificare se, come pure dedotto col primo motivo, nella specie
fosse configurabile un inadempimento della (OMISSIS), rimasta colpevolmente
inerte malgrado fosse stata resa edotta dell’emissione delle sedici ordinanze di assegnazione per cui processo.
Orbene, dagli atti risulta incontestabilmente che queste ultime, emesse in data 20
aprile 1994, vennero notificate in forma esecutiva unitamente all’atto di precetto,
in data 14 febbraio 1995 (e, tutte insieme, per il credito dell’avv. (OMISSIS), quale
distrattario, in data 1 marzo 1995). Non risulta affatto dalla sentenza che la notificazione del titolo esecutivo e del precetto sia stata preceduta dalla comunicazione
delle ordinanze allo stesso istituto di credito ovvero dall’invio a quest’ultimo di
solleciti di pagamento.
La contraria affermazione contenuta nel ricorso è del tutto sfornita di riscontri
fattuali, anche soltanto affermati (non contenendo il ricorso nemmeno un cenno
alla data e/o alle modalità con cui l’asserita comunicazione o gli asseriti solleciti
sarebbero intervenuti), oltre che mancante di autosufficienza quanto al fatto che la
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
pregressa comunicazione ed i precedenti solleciti siano stati documentati nelle fasi
di merito e quanto all’indicazione degli atti con cui sarebbero stati documentati.
Essendo in contestazione le spese auto-liquidate negli atti di precetto, sono del tutto
irrilevanti le vicende accadute dopo la loro notificazione (su cui tanto insiste il ricorrente, nel sostenere il permanente inadempimento della (OMISSIS)).
Dato quanto sopra, il fatto della asserita comunicazione alla (OMISSIS) delle
sedici ordinanze di assegnazione in epoca precedente la notificazione del precetto
risulta essere emerso per la prima volta dinanzi a questa Corte di legittimità, senza
che si evinca dal ricorso che sia stato oggetto di discussione tra le parti nei gradi di
merito (arg. ex articolo 360 c.p.c., n. 5). La corrispondente censura va perciò reputata inammissibile. (Omissis)
(1) Non constano precedenti specificamente in termini. Nel senso che «nel regime dell’art. 543 c.p.c.,
come modificato dall’art. 11 della legge 24-2-2006 n. 52, ove si tratti di espropriazione di un credito per
il quale non è prevista la citazione del terzo a comparire per rendere la dichiarazione di cui all’art. 547
c.p.c., bensì la comunicazione a mezzo raccomandata da parte del medesimo al creditore circa l’esistenza
del credito, il termine per proporre opposizione agli atti esecutivi avverso l’ordinanza di assegnazione di
cui all’art. 553 c.p.c. decorre, per il terzo, dal momento in cui questi ne abbia legale conoscenza tramite
comunicazione da parte del creditore o con altro strumento idoneo, e non dalla data di emissione del
provvedimento stesso, non potendo trovare applicazione la previsione dell’art. 176, 2° co., c.p.c.», v.
Cass., 26-5-2014, n. 11642, REF, 2014, 759, con nota di Giordano; ivi, 2015, 471, con nota di Marmiroli.
V. anche Cass., 14-12-2015, n. 25110, secondo cui il termine per proporre l’opposizione agli atti esecutivi, ex art. 617 c.p.c., avverso l’ordinanza di assegnazione di cui all’art. 553 c.p.c., decorre, per il terzo
pignorato, dal momento in cui ha avuto conoscenza legale tramite notificazione da parte del creditore,
e non, se effettuata successivamente, dalla data di notificazione dell’atto di precetto, che costituisce il
titolo per agire in executivis nei confronti del terzo; Cass., 13-4-2012, n. 5895, secondo cui «l’ordinanza
di assegnazione emessa ai sensi dell’art. 553 c.p.c., ancorché presupponga la necessaria verifica da parte
del giudice dell’esecuzione dell’esistenza del titolo esecutivo e della correttezza della quantificazione del
credito operata dal creditore in precetto, non ha alcuna attitudine ad acquisire valore di cosa giudicata,
in quanto il giudice dell’esecuzione non risolve una controversia nei modi della cognizione con una decisione che fa stato tra le parti, ma esaurisce il suo accertamento nell’ambito della procedura esecutiva, ai
soli fini della pronuncia di un provvedimento che opera all’interno e nel contesto di detta procedura. E
poiché siffatto provvedimento costituisce l’atto conclusivo dell’esecuzione forzata per espropriazione di
crediti, configurandosi esso stesso come atto esecutivo, il sistema di controllo di eventuali vizi è garantito – come per tutti i provvedimenti del giudice dell’esecuzione – attraverso il rimedio dell’opposizione
agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c., che può riguardare non solo le irregolarità formali, ma anche i vizi
sostanziali, attinenti alla stessa ordinanza oppure ai singoli atti esecutivi che l’hanno preceduta».
CORTE DI CASSAZIONE, Sezione III civ., 25 maggio 2016, n. 10752 — Amendola Presidente —
Frasca Relatore — Soldi P.M. (concl. conf.); D.P.R. — Banco Popolare Società Cooperativa
e altri.
Esecuzione forzata — Distribuzione della somma ricavata — Controversie distributive —
Contestazione della posizione di vantaggio altrui — Onere della prova.
La cognizione sommaria in funzione degli accertamenti necessari da compiersi dal giudice
dell’esecuzione è regolata, sul piano dell’onere probatorio, dal principio per cui chi solleva la
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Rassegna delle decisioni della cassazione
535
contestazione della posizione di vantaggio altrui coinvolta nella distribuzione, se tale posizione,
quanto a ciò che è oggetto di contestazione, non emerge da elementi certi risultanti da ciò su cui
chi la rivendica la fonda per partecipare alla distribuzione, non è onerato di dare la prova negativa dell’insussistenza di quegli elementi. Viceversa, è chi rivendichi la posizione di vantaggio
a dover dare dimostrazione di tali elementi nel procedimento cui allude lo stesso art. 512 c.p.c.
con il riferimento agli accertamenti necessari (1).
Motivi della decisione
p.1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata per “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove
il Tribunale di Lucca, nel rigettare le istanze istruttorie formulate dall’opponente,
ha ritenuto che non incombesse in capo a Ca.Ri.Lucca l’onere della prova circa l’esistenza del credito dedotto a fondamento dell’aggressione esecutiva, come invero
contestato in sede distributiva dal debitore esecutato”.
In particolare, il ricorrente si duole della decisione del Tribunale lucchese in
primo luogo nella parte in cui essa afferma che, a fronte della contestazione circa
la determinazione dell’ammontare della somma attribuita al creditore procedente,
come operata nel progetto di distribuzione, sarebbe stato onere del debitore opponente fornire la prova dell’illegittimità delle poste creditorie, e ciò in quanto egli
aveva avuto regolare disponibilità, nel corso del rapporto, degli estratti di conto
corrente, sicché l’ordine di esibizione ex art. 210 c.p.c., avanzato dallo stesso D., era
stato ritenuto inammissibile dal giudice, in quanto diretto appunto a sopperire alle
dette carenze probatorie.
Assume il D., al riguardo, la palese erroneità della decisione, giacché, avuto
riguardo alle posizioni sostanziali e considerato che “entro il giudizio di opposizione distributiva, infatti, è la banca ad assumere il ruolo di attrice in senso sostanziale nel corso del procedimento, quale titolare della situazione giuridica soggettiva
attiva posta a fondamento dell’aggressione esecutiva”, sarebbe stato al contrario
preciso onere della Ca.Ri.Lucca ai sensi dell’art. 2697 c.c., dimostrare, nel corso
del procedimento, “il fondamento della propria pretesa mediante la produzione in
giudizio di tutta la documentazione afferente al rapporto bancario intercorso con il
correntista: pena la sopportazione del rischio della mancata dimostrazione del fatto
costitutivo del proprio credito”. Ed invece, a fronte dell’inerzia e della totale mancata prova del credito, il Tribunale di Lucca avrebbe “inopinatamente riconosciuto
la pretesa creditoria ed ha avallato, per l’effetto, l’integrale incameramento delle
somme individuate in sede di progetto di riparto”.
In secondo luogo si sostiene che d’altro canto il ricorrente aveva assolto gli oneri
probatori che su di lui incombevano, in quanto, conformandosi alle prescrizioni del
T.U.B. egli aveva chiesto alla Banca l’acquisizione della documentazione contabile
afferente al conto corrente (Omissis) per il periodo dal 2 marzo 1992 al 29 novembre
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536
Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
2006 ed essa si era sottratta al chiesto adempimento adducendo la supposta genericità della richiesta. Dopo di che il ricorrente aveva introdotto il contenzioso distributivo formulando l’istanza di esibizione dopo avere addotto l’illegittimità della
clausola di cui all’art. 2, dell’atto di costituzione volontaria di ipoteca.
Inoltre, a sostegno della prospettazione viene invocata la giurisprudenza che, in
sede di opposizione a decreto ingiuntivo, esclude che la banca possa far leva sul
saldaconto di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 50, e le impone la produzione degli
estratti relativi al conto corrente.
Onere che non sarebbe escluso dalla previsione di cui all’art. 199 del T.U.B.,
riguardo al quale viene invocata Cass. n. 1842 del 2011.
Si adduce, infine, che la violazione dell’art. 2697 c.c., non sarebbe esclusa dalla
eventuale natura di giudizio di accertamento negativo dell’opposizione distributiva,
evocandosi in proposito giurisprudenza di questa Corte che in tali giudizi onera
chi si afferma titolare del diritto di provare i fatti costitutivi della sua pretesa anche
allorquando sia convenuto in un giudizio di accertamento negativo; vengono evocate Cass. n. 24568 del 2013, n. 16917 del 2012, n. 12108 del 2010, n. 19762 del
2008 e n. 26158 del 2014.
p.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura l’impugnata sentenza per “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 119, u.c., ai sensi
dell’art. 360 c.p.c., n. 3, laddove il Tribunale di Lucca ha postulato un obbligo del
cliente di conservare la documentazione contabile, nonché omesso esame di fatto
decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, laddove il Tribunale di Lucca, nel rigettare
l’opposizione, ha ritenuto inammissibile l’istanza ex art. 210 c.p.c., nonché la richiesta di esperimento di una C.T.U. di tipo tecnico-contabile formulate dal Sig. D.”.
Oltre ad aver mal governato la regola del riparto dell’onere probatorio, e a causa
di ciò, secondo il D. il primo giudice ha anche violato il disposto dell’art. 119,
u.c., del T.U.B., dichiarando inammissibile il duplice approfondimento istruttorio
da lui richiesto (istanza ex art. 210 c.p.c., e richiesta di C.T.U. tecnico-contabile).
In particolare, il ricorrente lamenta come il Tribunale abbia denegato il proprio
diritto, sancito incondizionatamente dalla norma richiamata, di ottenere la documentazione afferente al rapporto intercorso con la banca per l’ultimo decennio, e a
prescindere dalla circostanza che il correntista ne avesse avuto disponibilità, diritto
pure disconosciuto dalla Ca.Ri.Lucca, che non aveva adeguatamente riscontrato
la sua richiesta spedita con missiva del 21.11.2007 e integrata con ulteriore del
19.2.2008.
Da qui, prosegue il ricorrente, la piena legittimità della richiesta ex art. 210 c.p.c.,
erroneamente disattesa dal Tribunale, che aveva del tutto omesso l’esame (errore
rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) delle missive da lui inviate alla
banca, e della lettera di riscontro di quest’ultima, documenti tutti prodotti in questa
sede ai nn. 3 – 5.
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Rassegna delle decisioni della cassazione
537
Analoghe considerazioni svolge il D. circa la richiesta di C.T.U. contabile pure
richiesta e disattesa dal Tribunale in quanto meramente esplorativa e, al contrario,
pienamente giustificata.
p.3. Il primo motivo di ricorso appare fondato nei sensi di cui si dirà di seguito ed
il suo accoglimento determina l’assorbimento del secondo, in quanto le questioni
con esso poste verranno in rilievo davanti al giudice del rinvio e dovranno essere
considerate e risolte alla luce della decisione che dovrà rendere a seguito della cassazione disposta in accoglimento del primo motivo.
p.3.1. Il giudice dell’opposizione ai sensi dell’art. 512 c.p.c., ha deciso la controversia applicando una regola di giudizio errata nella gestione della decisione
dell’opposizione e ciò nel solco dello stesso errore che aveva a sua volta commesso
il giudice dell’esecuzione.
L’errore dell’uno e dell’altro giudice si desume dalla motivazione resa dal Tribunale, che è stata del seguente tenore e si è appiattita sulla motivazione dell’ordinanza
opposta ai sensi dell’art. 617 c.p.c.: “L’opposizione va respinta per l’assorbente
ragione che il debitore, come evidenziato dal giudice dell’esecuzione nel provvedimento del 14.7.2008, compie, in ordine alla inesistenza del credito della Cassa di
Risparmio, delle mere asserzioni, la cui verifica dovrebbe passare per un (richiesto)
ordine da rivolgersi alla stessa Cassa perché esibisca tutti i documenti relativi al
rapporto contrattuale da cui il credito rinviene e per una successiva c.t.u. volta a
rideterminare l’effettivo ammontare del debito previa decurtazione di quanto non
dovuto in ragione di dedotte nullità del contratto. La richiesta di esibizione è inammissibile perché l’ordine non può essere impiegato per sopperire a carenze probatorie della parte nel produrre documenti di cui è incontestato abbia a suo tempo
disposto (gli estratti conto relativi all’intera durata del rapporto), può essere riferito
ex art. 210 c.p.c., solo a specifici documenti di sicuro determinanti per la decisione
della causa e non a una massa di documenti la cui concreta rilevanza potrebbe eventualmente risultare da una c.t.u. esplorativa”.
p.3.2. In questa motivazione si annida la supposizione del convincimento di una
concezione della posizione delle parti nel giudizio ai sensi dell’art. 512 c.p.c., che
non appare corretta in relazione all’oggetto che detto giudizio ha avuto nel caso di
specie.
Queste le ragioni.
In via preliminare si deve rilevare che il giudizio è soggetto alla disciplina di cui
all’art. 512 c.p.c., introdotto dal D.L. n. 35 del 2005, art. 2, comma 2, lett. e), n. 9,
convertito, con modificazioni, nella L. n. 80 del 2005.
Ora, il testo della norma ha, com’è noto, ridisegnato la c.d. opposizione distributiva attribuendole una nuova struttura, che si articola: a) in una fase in cui le contestazioni tradizionalmente inerenti all’ambito del rimedio, che sono rimaste quelle
cui si riferiva il precedente testo della norma, debbono essere prospettate in prima
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Rivista dell’esecuzione forzata 3/2016
battuta direttamente al giudice dell’esecuzione e danno luogo ad un suo provvedimento, che dev’essere adottato con ordinanza e che le risolve prospettando, quindi,
una soluzione della contestazione insorta; b) in una seconda fase eventuale in cui
tale ordinanza può essere impugnata con un’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c.,
al suo contenuto e, dunque, alla soluzione data dal giudice dell’esecuzione.
La struttura della prima fase è descritta nel senso che il contrasto sulle questioni
inerenti la distribuzione – rimaste identiche, come s’è detto, a quelle ipotizzate dalla
norma vecchia – è prospettato al giudice dell’esecuzione, che così viene naturalmente investito del dovere di provvedere e di farlo all’esito di un procedimento, che
viene dalla legge, tipizzato con la prescrizione dell’obbligo di “sentire le parti” (e,
dunque, del contradditorio) e con quella del dovere di compimento dei “necessari
accertamenti”.
Si allude, quindi, ad un’attività accertativa chiaramente di natura lato sensu cognitiva, cioè diretta ad acquisire gli elementi per la soluzione della controversia. Essa è
ispirata al canone della sommarietà, come lo sono tutti gli accertamenti del giudice
dell’esecuzione, ma vede pur sempre tale sommarietà necessariamente connotata
dall’obbligo di rispettare quelle due prescrizioni.
La seconda di esse esprime l’esigenza che, se è necessaria l’acquisizione di conoscenze per risolvere la controversia tale attività risulta necessaria e lo è nell’interesse
innanzitutto di chi sul piano assertivo se ne può giovare ai fini della soluzione in un
senso o nell’altro della questione insorta.
La previsione di tale attività come “necessaria” in funzione dell’accertamento
commesso al giudice dell’esecuzione, significa che, se tale attività è utile a quello
scopo deve essere espletata.
Si tratta di un’attività accertativa che è dal legislatore affidata direttamente ad
un potere del giudice dell’esecuzione e che appare da esercitarsi e svolgersi in via
doverosa certamente sulla base delle allegazioni delle parti e di quanto esse palesano
necessario in funzione della soluzione della contestazione insorta, ma deve e può
svolgersi anche sulla base di iniziative ritenute necessarie dal giudice dell’esecuzione in base alle allegazioni delle parti: ciò si deve giustificare sia quale esplicazione
del potere di cui all’art. 484 c.p.c., comma 1, sia per diretta investitura implicata
dalle due prescrizioni di cui si è detto e segnatamente dal riferimento alla necessarietà degli accertamenti.
L’attività in questione ha naturalmente come scopo l’acquisizione di conoscenze
di elementi per risolvere la questione e, dunque, si connota come attività di natura
probatoria, sicché per quanto attiene alla posizione delle parti si pone il problema di
chi sia onerato dell’attività di acquisizione dei detti elementi sul piano probatorio.
p.3.3. Ritiene il Collegio che l’onere probatorio della parte, poiché la controversia riguarda la sussistenza o l’ammontare del credito o la sussistenza di una causa
di prelazione si debba individuare sulla base della situazione che, nel momento in
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Rassegna delle decisioni della cassazione
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cui insorge la controversia vi è nel processo esecutivo in ordine alla prova della
sussistenza del credito, del suo ammontare, della causa di prelazione, e dunque, al
grado di dimostrazione che in quel momento ha il credito, ha il suo ammontare, ha
la causa di prelazione.
Nella specie la contestazione svolta dal qui ricorrente, debitore esecutato, ineriva
all’eccessività dell’ammontare del credito della banca creditrice procedente nei termini in cui era inserito nel progetto di distribuzione.
Si trattava, dunque, di una contestazione sull’ammontare del credito.
Credito che era basato su titolo esecutivo stragiudiziale, costituito da un atto
notarile.
La contestazione di eccessività concerneva, peraltro, l’ammontare del credito non
già nella misura direttamente emergente dal titolo esecutivo, bensì per quanto la
Banca creditrice procedente postulava dovuto sulla base delle previsioni di esso e,
quindi, delle clausole dell’atto negoziale, in forza di operazioni di appostazione su
un conto corrente strumentale al rapporto consacrato nel titolo esecutivo. Si assumeva, in particolare, dal debitore qui ricorrente che il saldo negativo figurante sul
conto era eccessivo, sia in ragione delle modalità di calcolo degli interessi previste
dal contratto di cui all’atto notarile e ciò tanto sotto il profilo dell’applicazione illegittima dell’anatocismo, quanto sotto quello della effettuazione di quel calcolo in
forza di una clausola contrattuale non rispettosa dell’art. 1346 c.c., sia sotto il profilo
dell’addebito di commissioni in modo da realizzare una illegittima capitalizzazione.
Di fronte a tali contestazioni ed alle allegazioni del debitore gli accertamenti
necessari imposti al giudice dell’esecuzione, mentre supponevano certamente il
riscontro dall’atto negoziale costituente il titolo esecutivo di quanto in esso aveva,
secondo la prospettazione del debitore, determinato il comportamento della creditrice concretatosi nell’addebito nel conto corrente delle somme eccessive per le
indicate causali, e, dunque, la ricognizione delle clausole contrattuali, viceversa,
per quanto concerneva il riscontro della ascrivibilità del saldo negativo del conto
corrente ad appostazioni della banca giustificate dall’applicazione delle clausole
dell’atto negoziale ritenute dal debitore illegittime, supponeva necessariamente
l’esame delle emergenze contabili del conto corrente, in quanto indispensabile per
comprendere se ed in che misura quelle appostazioni vi fossero state.
p.3.4. Ora, la situazione esistente con riferimento alle posizioni delle parti emergeva sotto il profilo fattuale in modo certo dal titolo esecutivo, cioè dall’atto notarile
negoziale sulla base del quale era stata introdotta l’esecuzione, per quanto afferiva
al contenuto delle clausole riguardo alle quali il debitore aveva svolto le sue contestazioni, e, semmai, si trattava di apprezzare in iure se esse erano fondate. Viceversa,
per quanto attiene alle operazioni eseguite sulla base di esse ed alla loro incidenza
sulla determinazione del saldo negativo, non emergendo esse dal titolo esecutivo e
nemmeno dal saldo del conto corrente, vi era una situazione di incertezza.
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Non essendo le operazioni comportamenti tenuti dal debitore è palese che egli
non li poteva allegare. Al contrario, trattandosi di ipotetici comportamenti della
Banca era essa a poterli allegare se tenuti oppure a poterli negare se invece non
tenuti. Il relativo accertamento era possibile sulla base della ricognizione delle risultanze contabili dello svolgimento del rapporto di conto corrente, dal quale potevano
emergere le appostazioni effettuate e la loro imputazione e, dunque, l’incidenza sul
saldo di appostazioni eseguite sulla base delle pretese clausole illegittime.
Poiché la posizione della Banca nel processo esecutivo, per quanto attiene alla
dimostrazione della certezza e della dovutezza del saldo sulla base del titolo esecutivo notarile non emergeva in alcun modo dal saldo e detta posizione era, d’altro
canto, di vanto di un credito non direttamente emergente dal titolo esecutivo, ma
solo ipoteticamente giustificato da possibili comportamenti della Banca sulla base
di esso (cioè delle clausole) e, dunque, da fatti esterni rispetto al titolo stesso, detta
posizione era priva di dimostrazione pur sommaria e, dunque, di fronte all’attività
di contestazione svolta dal debitore riguardo alla debenza dell’intero saldo, lo scioglimento della situazione di incertezza, nell’economia della cognizione sommaria da
svolgersi dal giudice dell’esecuzione, incombeva alla Banca, posto che spetta a chi
vanta verso altri una posizione vantaggiosa dare dimostrazione dei fatti che la giustificano di fronte alla contestazione del soggetto contro il quale il vanto è rivolto.
Tale è la posizione del creditore nell’esecuzione forzata ed anche del creditore procedente per tutto ciò che non risulta direttamente dal titolo esecutivo e si pretenda
dovuto in forza di comportamenti giustificati dal titolo ma che non sono da esso
risultanti e in esso rappresentati.
Incombeva alla Banca, dunque, dare dimostrazione pur sommaria della giustificazione del saldo del conto corrente, perché l’appostazione finale risultante dal
saldo del conto corrente, se in astratto trovava giustificazione sulla base del titolo
esecutivo rappresentato dall’atto notarile, non la rinveniva anche in concreto se
non qualora fossero state rappresentate le operazioni eseguite dalla Banca stessa in
quanto giustificate nella sua prospettazione dalle clausole contrattuali.
Del tutto erroneo allora risulta l’assunto – che il Tribunale nella sopra riportata
motivazione fa proprio, riferendolo alla motivazione adottata dal giudice dell’esecuzione nell’ordinanza opposta e che avrebbe dovuto essere dallo stesso Tribunale
reputato erroneo – che incombesse al debitore qui ricorrente produrre gli estratti di
conto corrente relativi all’intera durata del rapporto perché a suo tempo ne aveva
disposto, perché nessuna norma di legge nell’economia di un rapporto di conto
corrente impone al debitore di conservare gli estratti di volta in volta inviati dall’istituto creditore quale condizione per poter sollevare contestazioni su ciò che in forza
del rapporto di conto corrente esso pretende basate su invalidità di clausole del
rapporto da cui origina il rapporto di conto corrente, che abbiano determinato
appostazioni sul conto.
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È principio consolidato, del resto, quello secondo cui: “Nei rapporti bancari in
conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti
di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la rideterminazione del saldo del conto deve avvenire attraverso i relativi estratti a partire
dalla data della sua apertura, così effettuandosi l’integrale ricostruzione del dare
e dell’avere, con applicazione del tasso legale, sulla base di dati contabili certi in
ordine alle operazioni ivi registrate, inutilizzabili, invece, rivelandosi, a tal fine, criteri presuntivi od approssimativi” (Cass. n. 21597 del 2013). Ed altrettanto consolidato è il principio secondo cui: “Nei rapporti bancari in conto corrente, una volta
che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione
di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca non può dimostrare l’entità
del proprio credito mediante la produzione, ai sensi dell’art. 2710 c.c., dell’estratto
notarile delle sue scritture contabili dalle quali risulti il mero saldo del conto, ma
ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto. Né la banca può
sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere
di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio
credito” (Cass. n. 23974 del 2010; n. 1842 del 2011; n. 19696 del 2014; si veda pure
Cass. n. 21466 del 2013).
L’errore in cui è incorso il Giudice dell’esecuzione e che ha, poi, avallato il Tribunale, in definitiva è stato quello di non considerare che, nel regime dell’art. 512
c.p.c., vigente (ma non diversamente in quello anteriore: si veda Cass. n. 12238 del
2007 per la controversia insorta fra creditori) la cognizione sommaria in funzione
degli accertamenti necessari da compiersi dal giudice dell’esecuzione è regolata, sul
piano dell’onere probatorio, dal principio per cui chi solleva la contestazione della
posizione di vantaggio altrui coinvolta nella distribuzione, se tale posizione, quanto
a ciò che è oggetto di contestazione, non emerge da elementi certi risultanti da ciò su
cui chi la rivendica la fonda per partecipare alla distribuzione, non è onerato di dare
la prova negativa dell’insussistenza di quegli elementi. Viceversa, è chi rivendichi la
posizione di vantaggio a dover dare dimostrazione di tali elementi nel procedimento
cui allude lo stesso art. 512 c.p.c., con il riferimento agli accertamenti necessari.
p.4. Da quanto osservato consegue la cassazione con rinvio della sentenza impugnata in accoglimento del primo motivo.
Il secondo motivo resta assorbito, giusta quanto si è già sopra spiegato.
Il giudice di rinvio, che si designa nel Tribunale di Lucca, in persona di diverso
magistrato addetto all’ufficio, giudicherà dell’opposizione contro l’ordinanza emessa
dal giudice dell’esecuzione tenendo conto del principio di diritto sopra affermato
e, quindi, provvederà a giudicare la controversia insorta fra le parti dando corso
all’eventuale istruzione e considerando anche le questioni che erano state poste con
il secondo motivo rimasto assorbito.
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Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
(Omissis)
(1) Non constano precedenti specificamente in termini. Nel senso che «nei rapporti bancari in conto
corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione
di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca non può dimostrare l’entità del proprio credito
mediante la produzione, ai sensi dell’art. 2710 c.c., dell’estratto notarile delle sue scritture contabili
dalle quali risulti il mero saldo del conto, ma ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del
conto. Né la banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di
conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione
della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito», v. ex multis Cass., 25-112010, n. 23974 e Cass., 26-1-2011, n. 1842. Nel senso che nel giudizio instaurato ai sensi dell’art. 512
c.p.c. le regole della cognizione, ed in particolare quelle probatorie, erano quelle proprie della cognizione ordinaria e, dunque, il creditore il cui credito fosse stato contestato doveva dare prova del credito
allo stesso modo di come avrebbe dovuto darla in un normale giudizio di accertamento dello stesso, v. –
sia pure in relazione al regime previgente – Cass., 25-5-2007, n. 12238.
In dottrina, nel senso che, qualora insorga controversia ex art. 512 c.p.c., il creditore contestato
assume il ruolo di colui che afferma l’esistenza del proprio diritto, sicché è a lui che incombe di provare
i fatti costitutivi del proprio diritto, v. per tutti LUISO, Diritto processuale civile, III, 4ª ed., Milano, 2007,
185.
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