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UN VOLTO, UNA STORIA
Collezione del Palazzo del Senato di Spagna, Madrid,
Dipinto di scuola fiamminga, XVII secolo, olio su tela, dimensioni cm 220x116
1
Il barone di Seebach
L’immagine che presentiamo costituisce un esempio di come l’arte, spesso, si metta al servizio della
storia non solo per celebrare i grandi avvenimenti di popoli e nazioni ma anche per dare un volto a
personaggi poco conosciuti, protagonisti, talvolta, di avvenimenti rimasti ben impressi nella
memoria storica di una città.
Il dipinto, attualmente conservato presso la Galleria del Senato di Spagna a Madrid, faceva parte
della vastissima collezione di Diego Felipe de Guzman, marchese di Leganes, governatore spagnolo
dello stato di Milano tra il 1635 e il 1641, generale, politico e fine estimatore d’arte; le opere dei più
famosi artisti europei del tempo, spagnoli, italiani e, soprattutto fiamminghi, esposte nella sua
dimora a Madrid, facevano di lui uno dei massimi collezionisti d’arte della sua epoca 1. Tra le
migliaia di tele appartenute al marchese e poi disperse tra gallerie private e musei, c’erano anche i
ritratti dei mastri di campo che lo avevano accompagnato nel corso delle sue campagne di guerra,
da lui fatti dipingere appositamente da pittori di scuola fiamminga che frequentavano il suo palazzo
madrileno.
Tra questi dipinti, uno in particolare risulta essere interessante per la storia della nostra città, non
tanto per la qualità del pennello, di decorosa mano, ma per il personaggio rappresentato che,
nell’angolo in basso a sinistra della tela, una breve legenda descrive come: “El Varòn de Sebach,
Coronel de un Reximiento de Infanteria Alemana” 2. Chi era costui e perché, nella storia della
nostra città, il suo nome risuona tristemente familiare?
Eppure di lui il Borla e il Vittone, i due storici locali più eminenti, riportano pochi appunti: lo
definiscono il “Tedesco barone di Sabach” e lo indicano come colui che ebbe il comando della
guarnigione spagnola di Chivasso durante l’assedio francese del 1639 e che trattò la resa della città,
salvando ai patti il suo reggimento dalla prigionia ma lasciando alla discrezione dei vincitori i
piemontesi che avevano combattuto sotto le sue bandiere. Tuttavia, una ricerca più approfondita su
fonti manoscritte piemontesi, spagnole e tedesche ci può svelare molto di più sul conto di questo
personaggio che dal marzo al giugno del 1639, ebbe nelle sue mani il destino della nostra città e,
fortunatamente, non lo volle sfidare fino all’estremo sacrificio.
Hans Georg, barone di Seebach, signore di Grossfahnern e Osthofen, soprannominato Strassburger
in riferimento alle sue origini 3, nacque nel 1594, ultimo discendente in linea maschile di un’antica
casata originaria della Turingia, un ramo della quale si era insediato in Alsazia nel XVI secolo. Egli
dedicò buona parte della sua esistenza all’esercizio delle armi, combattendo al servizio imperiale
d’Austria prima e di Spagna poi durante l’immane conflitto che insanguinò l’Europa tra il 1618 e il
1648, passato alla storia come “Guerra dei Trent’anni”. Dopo una giovinezza passata a viaggiare
spesso, soprattutto in Italia, nel 1632 si convertì al cattolicesimo per potere essere ammesso come
Consigliere di Camera (Kammerherr) dell’arciduca Leopoldo d’Asburgo e diventare cavaliere di
Malta; nel 1633 era già al servizio di Filippo IV di Spagna come colonnello di due reggimenti di
fanteria e cavalleria (zu pferd und zu fuss) arruolati nei territori tedeschi e operanti in Baviera agli
ordini del duca Massimiliano, alleato cattolico dell’impero. Il 6 settembre 1634, il barone di
Seebach e il suo reggimento facevano parte del corpo di cavalleria spagnolo che, al comando del
conte Giovanni Serbelloni, milanese al servizio di Spagna, partecipò alla battaglia di Nordlingen,
dove le forze imperiali sbaragliarono quelle protestanti, frantumando il mito dell’invincibilià
svedese 4. Dopo le campagne di guerra in Germania, durante le quali i reggimenti del barone
composti da avventurieri di ogni risma, tedeschi, borgognoni, napoletani e spagnoli, si distinsero
per le razzie operate ai danni delle stesse popolazioni che li ospitavano, la corona spagnola richiese
il suo servizio in Italia; nel 1638 fu incaricato di arruolare altri uomini in Tirolo per rinforzare i
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tercios di Lombardia e con questi raggiunse l’armata spagnola sul teatro di operazioni italiano.
Combattè agli ordini del marchese di Leganes e al suo fianco partecipò alla campagna di guerra in
Piemonte nel 1639. Nel 1641 lasciò il Piemonte e divenne membro del Consiglio di Guerra di
Spagna, marchese e maresciallo di campo (Mestre de Campo General) nell’armata spagnola
destinata alla riconquista della Catalogna minacciata dai francesi, ancora una volta sotto il comando
del marchese di Leganes. In quella interminabile e dura campagna guidò il suo reggimento negli
assedi di Tarragona, Tortosa e Lerida, contribuendo alla presa di Barcellona nel 1652. Morì così
come era vissuto, combattendo per il suo re nel corso della difesa della piazzaforte di Gerona;
colpito dalle cannonate mentre, a cavallo, respingeva l’ultimo di tre assalti francesi ai bastioni della
città, il 23 settembre del 1653, spirò la notte seguente quando la città era già stata liberata
dall’armata di soccorso di Don Juan d’Austria. Alcune fonti dicono che il suo corpo fu deposto
nella chiesa di San Francesco, a Girona, altre che ebbe sepoltura nella cittadina poco distante di San
Mateu 5; del suo cenotafio però non rimane più traccia perché nel 1936, durante la guerra civile, le
chiese vennero saccheggiate e i libri parrocchiali bruciati 6. La sua morte interruppe la discendenza
maschile della sua casata perché, da buon soldato itinerante, aveva preferito rimanere celibe per
tutta la vita; i suoi possedimenti alsaziani andarono al figlio della sorella, Jean George Zuckmantel7,
nonostante il re di Spagna avesse disposto, con uno documento firmato di suo pugno, un’adeguata
ricompensa per gli eventuali eredi diretti di un soldato che lo aveva servito così valorosamente 8.
Alcune fonti spagnole lo descrivono come “un caballero de pocos bienes”, cioè con scarse
disponibilità finanziarie, cosa molto comune a quei tempi per i proprietari di reggimenti spesati per
la guerra, ma uomo dotato di grande sobrietà e rettitudine tanto che persino il grande letterato
spagnolo Baltasar Gracian, nel suo celebre e arguto “El Criticon”, per dare un esempio, raro ed
eccezionale, di tedesco astemio lo volle ricordare, definendolo “un alemàn aguado” 9.
Che fosse un soldato dotato di notevoli qualità organizzative e quindi preferito dai suoi superiori
soprattutto quando si trattava di difendere una piazzaforte, lo si capisce dai numerosi assedi che si
trovò a sostenere nella sua carriera (fino all’ultimo che gli fu fatale), compreso quello di Chivasso
nel giugno del 1639, avvenuto durante la guerra tra i principi Tommaso e Maurizio di Savoia,
pretendenti alla successione del ducato, appoggiati dalla Spagna e la reggente Maria Cristina
d’Orleans, vedova di Vittorio Amedeo I, appoggiata dalla Francia.
La città, occupata alle prime luci dell’alba del 26 marzo 1639 dal principe Tommaso con circa 2000
dragoni, approfittando dell’assenza del governatore e della guarnigione, fu messa subito in stato di
difesa e dotata di un presidio di circa 1.300 uomini, alloggiati nelle case messe forzatamente a
disposizione dai chivassesi. La nuova guarnigione era composta dai soldati tedeschi del tercio10 di
Seebach, rinforzati da vari reparti prelevati dai tercios di Lombardia: due compagnie di cavalleria
spagnola agli ordini del capitano Sebastian Vasquez de Coronado, quattro compagnie di fanti
napoletani del capitano Confaloniero e tre di fanti milanesi capitanati da Giuseppe Milano.
All’interno della città vi erano inoltre alcuni reparti di piemontesi simpatizzanti per i principi e,
quindi, non tanto agli occhi della reggente quanto a quelli dei francesi, considerati traditori.
I francesi che non potevano lasciare nelle mani spagnole una città dalla quale veniva minacciata
Torino, circondarono i bastioni di Chivasso il 14 giugno e iniziarono a cannoneggiarne le difese da
più lati mentre il principe Tommaso e il marchese di Leganes, pur superiori di numero, perdevano
tempo nel mettersi d’accordo sulla strategia da adottare per soccorrere la città. La guarnigione,
intanto, sotto la guida del barone di Seebach, resisteva agli attacchi francesi facendo anche delle
sortite per cercare di spezzare l’assedio e dare modo ai soccorsi di travolgere le linee francesi; le
perdite furono ingenti da ambo le parti e lo stesso barone di Seebach venne ferito alla testa
ciononostante non desisteva dal combattere “…soldato veramente altrettanto intrepido di cuore,
quanto valoroso di braccio”.
La lotta però, a causa della resistenza francese e dello scoordinamento tattico degli attacchi lanciati
dal marchese di Leganes, era destinata a volgere al peggio per i difensori di Chivasso, isolati
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all’interno delle mura e privi di rifornimenti; quando poi, dopo quasi quindici giorni di
combattimenti, i francesi riuscirono a ricevere rinforzi e il corpo di soccorso spagnolo si ritirò, al
“… Governatore Sebach non restava speranza di più lungamente potersi difendere…onde risolvette
di capitolare”. Nel consiglio di guerra da lui riunito per stabilire le condizioni di resa però, i
comandanti piemontesi principisti insistettero perché fosse continuata la resistenza per paura di
essere abbandonati al loro destino; il governatore non volle accettare per evitare che la città, se
conquistata combattendo, fosse sottoposta al saccheggio e al massacro degli abitanti.
Così, il 29 giugno 1639, la guarnigione, con in testa il barone di Seebach e il suo stato maggiore,
usciva da Chivasso “…a bandiere spiegate, tamburo battente, palle in bocca, micce accese,
bagaglio, munizione da guerra, carri per comune comodità, massime dé soldati infermi…” 11 e,
attraversato il Po su un ponte di barche sotto la scorta di una compagnia di gendarmi francesi, si
metteva in marcia verso Verrua ( la fortezza era in mano spagnola dal mese di maggio).
La vicenda chivassese del barone tedesco si chiudeva così con una resa senza prigionia; di lì a poco
avrebbe lasciato i campi di battaglia piemontesi per raggiungere quelli della Catalogna, ultima meta
del suo guerresco girovagare. Non avrebbe mai più fatto ritorno in Italia.
Davide Bosso
1
FRANCISCO ARROYO MARTIN, El Marqués de Leganés. Apuntes Biograficos, UNED, Espacio, Tiempo y Forma,
Serie IV, t. 15, 2002, pp. 145-185.
2
“ Il Barone di Seebach, Colonnello di un reggimento di fanteria tedesca”
3
Der Dreissigjahrige Krieg in Selbstzeugnissen, Chroniken und Berichten, articolo web del prof. Warlich.
4
PETER ENGERISSER, Nordlingen 1634: Die Schlacht bei Nordlingen-Wendepunkt des Dreissigjahrigen Krieges,
2009, pp. 56 e 292.
5
Anche in questa città il barone di Seebach organizzò la difesa, vittoriosa, contro un assedio francese nel 1649.
Secondo Tomàs Segarra Arnau, responsabile culturale dell’Ajuntament de Sant Mateu che espone nel museo cittadino
la copia digitale del ritratto del barone, egli morì qui e non a Girona.
6
JOAN BUSQUETS DALMAU, La Catalunya del Barroc vista des de Girona: La Crònica de Jeroni de Real (16261683), 2 voll., Barcellona, 1994, pp. 347-350, nota 868.
7
JEAN-DANIEL SCHOEPFLIN, L’Alsace illustrée, Mulhouse 1852, vol. 5, pp. 816-817.
8
Curiositaten der Physisch, Literarisch, Artistisch, Historischen Vor und Mitwelt… Volume 9, Weimar 1821, pp. 133141.
9
BALTASAR GRACIAN, “El Criticon”, Madrid 1971, vol. 2, p. 65. Un ringraziamento al prof. Serpentini, autore
della traduzione critica italiana dell’opera, per i suggerimenti circa il significato del termine dato al barone di Seebach.
10
Termine che designò i reggimenti dell’armata spagnola fino al XVIII secolo.
11
La descrizione della difesa di Chivasso da parte del Barone di Seebach è narrata nel manoscritto di VALERIANO
CASTIGLIONE dal titolo “Historia della regenza di Madama Reale…”, AST, Storia della Real Casa, cat. III, m. 17.
Proprietà letteraria riservata.
Questo articolo è stato pubblicato sul sito “www.chivassostoria.it”.
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