la religiosita` primitiva
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la religiosita` primitiva
LA RELIGIOSITA’ PRIMITIVA L'inizio del cammino La vita dell’uomo primitivo si svolgeva a contatto con la natura. Era una vita difficile: l’uomo dalla natura traeva il suo sostentamento attraverso un lavoro duro e faticoso, spesso con risultati insufficienti per vivere. L’ambiente era piuttosto ostile, gli animali feroci attaccavano l’uomo, a volte indifeso, e le grandi forze della natura (come il fulmine, il terremoto, la pioggia, il sole, la luna, il vento) potevano dimostrarsi alleate o nemiche. Come tutti gli altri animali anche l’uomo si è trovato a dover affrontare grandi difficoltà per difendere la sua vita. Ma nell’uomo c’era qualcosa di diverso: usava la ragione, rifletteva anche su se stesso e l’istinto non era l’unico modo che lo spingeva ad agire. Proprio per questo possiamo dire che da sempre l’uomo si è posto domande sul senso della vita: chi sono? Da dove vengo? Che cosa veramente conta? C’è qualcosa dopo la morte? Sono le domande fondamentali della persona umana, proprio le domande che si fa anche l’uomo d’oggi. A queste domande l’uomo primitivo tentava di dare delle prime risposte riflettendo sul mondo nel quale era inserito. Non è stato facile, perché l’esperienza della sua vita strettamente legata alla natura, aveva abituato l’uomo a credersi debole ed indifeso di fronte ai molti fenomeni naturali di cui non sapeva darsi spiegazione. La paura e il terrore erano esperienze quotidiane: l’attacco di animali feroci più forti e vigorosi, il bagliore del lampo e l’esplosione del fulmine che incendia un albero e lo consuma in pochi minuti, lo scuotersi della terra e la violenza delle eruzioni vulcaniche, in grado di ridisegnare un intero territorio. L'uomo primitivo pensò allora che proprio nelle forze della natura potessero celarsi le risposte ai suoi interrogativi. Fu così che la natura e le sue manifestazioni assunsero sempre di più i caratteri di essere superiori più grandi dell’uomo. Ma nonostante questo legame con la natura, l’uomo non iniziò dalle sue manifestazioni potenti per cercare la strada dello spirito, la sua scelta fu diversa e certamente sorprendente. Il mistero delle statuette Il nostro viaggio nella storia dell’esperienza religiosa parte da alcune piccole statuette ritrovate in Europa (circa sessanta esemplari) che risalgono tra il 30000 – 25000 a.C. Queste statuette, che vengono definiti “Veneri”, rappresentano figure femminili con caratteristiche molto evidenziate: hanno una corporatura robusta, seni estremamente pronunciati, ventre enorme, fianchi larghi e, in certi casi, gli organi genitali molto sviluppati. Nella foto qui accanto puoi vedere la cosiddetta Venere di Willendorf, dal nome della località in Austria dove è stata ritrovata (ca 23.000-19.000 a.C.). Come certamente hai notato, queste statuette ci portano a riflettere sul tema della fecondità, cioè sul mistero della vita che nasce. Le statuette rappresentano simbolicamente una donna, forse incinta, (il ventre enorme), pronta a dare la vita (i fianchi larghi e gli organi genitali molto sviluppati) e ad assicurare cibo abbondante al nascituro (i seni enormi e la corporatura robusta). Ma a chi corrisponde questa immagine simbolica di donna? Siamo di fronte alla prima raffigurazione di una divinità nella storia umana: le statuette raffigurano la dea Madre, la madre terra! La terra, la natura, era pensata come Madre che si prende cura dei suoi figli e non solo da a loro la vita, ma gli assicura il sostentamento con l’abbondanza del cibo. A lei ci si rivolgeva nel momento della nascita dei bambini, lei si invocava per ottenere abbondanza di cibo e protezione dai pericoli. A lei, come vedremo più avanti, ci si affidava nel momento della morte. É quindi, con incredibile stupore, che all’inizio del nostro percorso troviamo questa splendida testimonianza religiosa lasciataci dai nostri antenati: la divinità è innanzitutto pensata come una Madre che dona la vita. Sperare l'insperabile? Un altro fenomeno importante all’interno delle prime esperienze religiose, lo possiamo trovare in alcune antichissime sepolture. Le prime sepolture di cui abbiamo testimonianza risalgono al paleolitico medio (120.00040.000 a.C.) Nelle località di Le Moustier e La Ferrassie, in Francia, intorno al 1920 gli archeologi hanno trovato sepolture neanderthaliane che testimoniano un particolare di grandissimo interesse: i defunti furono sepolti in posizione rannicchiata, circondati da utensili, fiori e cibo. Ciò che vogliamo sottolineare a proposito di questi ritrovamenti è la posizione del defunto: era quella fetale, ossia quella del bambino nel grembo della madre. Questo particolare ci permette di affermare che già l’uomo di Neanderthal aveva sviluppato l’idea della possibilità di una vita dopo la morte. Infatti, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, la prima “divinità” raffigurata dall’uomo primitivo, rappresentava la madre terra. Questo ci permette di affermare che molto probabilmente gli uomini primitivi che riponevano i defunti in posizione fetale, consideravano possibile una “seconda nascita” dell’uomo dopo la morte dal grembo della madre terra. Una dimostrazione di quanto stiamo dicendo la ritroviamo, in modo evidente, in una sepoltura del 5000 a.C., ritrovata di recente (marzo 2006) presso la località di Vicofertile in provincia di Parma. In questa sepoltura gli archeologi hanno rinvenuto i resti di una donna in posizione fetale e, davanti al suo viso, una statuetta raffigurante la dea madre. Vicino alla donna erano presenti i resti di quattro maschi di età differenti, anche loro nella classica posizione fetale. Anche questa ulteriore prova ci mostra come gli uomini primitivi credessero che la morte non fosse l’ultima parola e così, accanto al defunto, riponevano del cibo e degli attrezzi che gli sarebbero potuti servire nella sua “seconda vita” pensata, probabilmente, molto simile alla “prima”. Certo, questa idea di una vita dopo la morte era ancora molto primitiva, ma testimonia un dato fondamentale all’interno dell’esperienza religiosa: se esiste un essere superiore, allora è lecito sperare che la morte non sia l’ultima parola sulla vita dell’uomo. I Dolmen Un altro prezioso dato ci viene offerto dalla civiltà megalitica (mega = grande, lithos = pietra) tra il VI e il II millennio a.C. Tra le varie maestose costruzioni (una delle più famose è quella del complesso di Stonehenge in Inghilterra dell’epoca Neolitica) un posto di particolare rilievo spetta ai “dolmen” (dal bretone tol = tavola e men = pietra). I dolmen sono camere funerarie costituite da tre o più grosse pietre, piantate in modo verticale nel terreno, che sostengono un masso disposto orizzontalmente. Molti esempi di questo tipo, o con temi architettonici più evoluti, sono stati ritrovati nel Regno Unito, in Francia, in Germania, in Spagna ed in Italia, soprattutto in Sardegna ed in Puglia. Anche queste testimonianze ci dimostrano come già in epoca primitiva si andava sviluppando non solo la pratica della sepoltura (come abbiamo visto molto più antica), ma anche quella del riconoscimento del luogo dei morti come uno spazio sacro, ossia un luogo di particolare vicinanza con il divino. Anche i nostri antenati si ponevano la grande domanda che caratterizza la storia dell’intera umanità fino ai giorni nostri: che senso ha la vita umana se tutto finisce con la morte? I luoghi sacri Nell'esperienza religiosa primitiva troviamo anche la testimonianza riguardo la presenza di luoghi sacri. L'uomo ha cercato all'interno del mondo che lo circondava luoghi di particolare importanza che, in modo misterioso, consentissero di entrare in maniera particolare con il mondo del divino. I primi luoghi sacri sono senza dubbio le caverne che, molto probabilmente, simboleggiavano il ventre della Dea Madre, luogo accogliente, che proteggeva e consentiva di sentirsi più vicini allo spirito della grande Madre. Non a caso nelle caverne troviamo splendide incisioni rupestri, tra le quali meritano una sottolineatura quelle raffiguranti scene di caccia (nelle foto si possono ammirare alcune incisioni ritrovate nelle grotte di Altamira in Spagna, e in quelle di Lascaux in Francia). Queste incisioni erano parte integrante del rito propiziatorio prima di una battuta di caccia. Gli animali, disegnati sulle pareti delle caverne, venivano colpiti con lance per indebolire lo spirito degli animali che il giorno dopo sarebbero stati cacciati. E tutto questo avveniva nel grembo della Madre. Questo contesto certamente infondeva coraggio agli uomini che il giorno successivo avrebbero rischiato anche la vita per procurare il cibo necessario alla sopravvivenza.