Isis: il supporto russo alla Siria, Putin propone una

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Isis: il supporto russo alla Siria, Putin propone una
La Russia ha inviato aerei da guerra e un contingente militare in Siria dimostrandosi il primo Paese
straniero a rompere gli indugi intervenendo contro l’Isis (le milizie dello Stato Islamico/Daesh). La
notizia è stata riportata tre giorni fa dalla radio internazionale iraniana Irib e dal giornale israeliano
Ynetnews, facendo riferimento a fonti diplomatiche.
Putin ha criticato la debolezza della Coalizione occidentale e araba contro il Daesh ed il supporto
militare fornito da Mosca in Siria è miarato a sostenere il regime di Assad.
Le forze armate del Califfato islamico, dopo aver ottenuto successi ed essersi avvicinato troppo a
Damasco, hanno messo in difficoltà le truppe del regime nazional-socialista di Bashar al-Assad.
Vladimir Putin, secondo le fonti, avrebbe inviato sei MIG-31 Foxhound intercettori alla base aerea
di Mezze (aeroporto di Damasco), occupata in parte da milizie islamiste finanziate da Arabia Saudita
e Qatar e armate anche da turchi e occidentali, fornendo alla Siria vari armamenti, tra cui mille
lanciamissili anticarro 9M133 Kornet. Tale operazione è avvenuta dopo che sei F 16 americani si
spostavano in Turchia per bombardare le postazioni dell’Isis.
La Russia è scesa in campo affiancando le milizie sciite libanesi di Hezbollah e dei ‘volontari’ iraniani
contro l’Isis e i ‘ribelli’ che osteggiano il governo siriano occupando la base aerea controllata dal
governo di Bahir al Assad vicina a Damasco, ovvero il fronte che le milizie integraliste finanziate da
Arabia Saudita, Qatar e Turchia e il Daesh stanno cercando di sfondare da mesi per impadronirsi
della capitale siriana. E’ stato riferito che, nelle prossime settimane, dovrebbero raggiungere la base
migliaia di soldati russi.
Tracciati radar e foto diffuse via Twitter
A testimoniare la notizia, secondo cui i piloti russi nelle ultime ore partecipano attivamente ai raid
aerei contro l’Isis e i ribelli in Siria, sono le foto che circolano da martedì via Twitter diffuse da
qaedisti di al Nusra. Queste immagini ritraggono nuovi velivoli nei cieli di Idlib (Su 27, Su 34, Mig 29
e droni Pchela 1 T, tutti aerei da guerra). Un indizio che proverebbe il coinvolgimento della Russia
nel conflitto in atto in Siria ma ancora da verificare (o smentire dall’intelligence, si vedrà…).
Ereticamente
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La notizia è partita dal giornale israeliano Yedioth Ahronoth e altre fonti non escludono l’intenzione
di Mosca di aprire una base a Jablah, nei pressi di Latakia. Sono stati segnalati passaggi di munizioni
ed equipaggiamento pesante dal Bosforo, con la presenza nelle navi da flotta di blindati BRT 80. Un
video diffuso dal portale Oryx Blog ritrae questi blindati in uno scontro a fuoco proprio a Latakia e si
sentono uomini parlare in russo.
C’è di più: tracciati radar su Flightradar24 rivelano numerosi IL 76 in volo a Damasco che
dovrebbero essere aerei impiegati per trasferire materiale e uomini per conto della Russia. I russi
hanno una base logistica a Tartus (in Siria) e alcune ‘stazioni’ per la guerra elettronica di spionaggio
per controllare Israele, i ribelli siriani e la coalizione alleata. Una di queste stazioni (Center S in al
Hara) è stata attivata rapidamente mesi fa, dopo che gli insorti avevano prevalso sulla resistenza del
contingente siriano. La stazione di Center S viene gestita, oltre che dalle truppe locali, dagli
specialisti del servizio segreto militare russo, il GRU.
Questa mossa da parte di Mosca, scrivono il Times e il Daily Telegraph, non dovrebbe essere
sgradita a USA e occidentali. Un video di 3 minuti diffuso dalla TV di Stato siriana mostra un
modello avanzato di blindato armato russo: il BTR-82A APC, attivo da un anno che trasporta 3
membri di equipaggio e 7 soldati.
Sempre i due quotidiani Times e Daily Telegraph riferiscono dell’avvistamento il 20 agosto di una
nave da trasporto della marina russa mentre attraversava il Bosforo carica di veicoli militari. Si
tratterebbe della Nikolai Filchenkov, della classe Alligator, probabilmente diretta a Tartous.
La Russia ha smentito la notizia riportata dal giornale israeliano Yedioth Aharonoth e anche quella d
ei media turchi che hanno riferito dell’invio di sei
Mig-31M (caccia inutili, oltretutto, usati per abbattere aerei di cui non dispongono né Isis né altre
forze ribelli). Il Pentagono conferma di controllare costantemente il sostegno russo ad Assad, ma non
ha commentato l’intensificarsi dell’impegno russo al fianco di Damasco.
Nella sua recente dichiarazione, citata dall’emittente Russia Today, Putin considera prematuro
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discutere di un ‘diretto’ coinvolgimento della Russia in azioni militari contro l’Isis, tanto meno di
adesione alla coalizione guidata dagli Stati Uniti. Mosca preferisce elaborare ‘altre opzioni’. Se il
Cremlino conferma il supporto militare fornito dalla Russia alla Siria, non ne ha però specificato
l’obiettivo.
Ciò che Putin propone è di creare una coalizione internazionale contro il terrorismo e l’estremismo:
ne ha parlato col presidente americano Barack Obama, secondo quanto afferma l’agenzia Reuters,
ed ha avviato discussioni riguardo a questa coalizione anche con i leader dell’Arabia Saudita,
Turchia, Giordania e altri Paesi.
Cia e Forze Speciali USA: l’intervento segreto in Siria con i droni
Nel frattempo, s’intensifica il coinvolgimento clandestino della Cia e delle Forze Speciali USA.
L’amministrazione Obama ricorre a due dei suoi strumenti preferiti: il Centro antiterrorismo
pioniere dell’impiego dei droni da guerra a partire dalla campagna che ha portato all’individuazione
e presunta soppressione di Osama bin Laden (ma sarà morto?) e il Joint Special Operations
Command cui sarebbe stata affidata l’eliminazione del leader di al Qaeda in Pakistan nel 2011.
In questo delicato momento, Cia (che fornisce intelligence e individua i bersagli) e Forze Speciali
statunitensi (tramite gli attacchi veri e propri condotti dal Joint Special Operations Command) sono
più che mai coinvolti in una campagna segreta mirata all’individuazione ed eliminazione dei leader
dello Stato Islamico ed esponenti di spicco dell’Isis in Siria attraverso la guerra dei droni che Obama
sta conducendo da sei anni a questa parte.
Tutto questo è stato rivelato dal Washington Post sulla base di fonti militari anonime.
Ma la guerra dei droni condotta dagli Stati Uniti va ben oltre il bersaglio Isis.
Secondo l’analista militare Joseph Trevithick, gli Stati Uniti – che prima detenevano il monopolio in
questo settore militare-strategico – ora vedono nella produzione di droni da parte della Russia, Cina
ed altri Paesi una potenziale minaccia nell’ambito di una possibile ‘guerra ibrida’ che vedrebbe
coinvolti proprio gli USA.
Gli Stati Uniti stanno esaminando le possibilità di neutralizzare i droni dei potenziali nemici: a
quanto pare, questo compito è diventato ancora più importante dello sviluppo dei sistemi per
intercettare i missili, le granate di artiglieria e i colpi di mortaio del nemico.
I metodi per l’eliminazione dei droni nemici (e il programma EAPS) sono inclusi nell’attuale
concezione della dottrina militare statunitense per opporsi alla cosiddetta guerra ibrida. Per
neutralizzare i droni stranieri, gli americani stanno pianificando l’adozione di un cannone automatico
con una gittata di fuoco relativamente piccola.
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E, intanto, gli USA impongono sanzioni contro alcune società della difesa russe…
Mossa maldestra, da parte degli USA. In questo clima d’interventi e attivismo da parte di Putin, c’è
chi ha pensato bene d’imporre sanzioni contro imprese russe sospettate di violare la legge
statunitense sulla ‘non proliferazione delle armi in Siria, Iran e Corea del Nord’. Tra le varie imprese
finite nel mirino delle sanzioni USA (la lista completa è stata pubblicata nella rivista governativa
Federal Register), citiamo Design Bureau di Tula, Katod di Novosibirsk, Rosoboronexport , Npo
Mashinostroyenia, Mig e il Consorzio produttivo di ricerca d’ingegneria meccanica di Reutov.
Insieme alle aziende russe sono state colpite alcune società in Iran, Cina, Corea del Nord, Emirati
Arabi, Siria, Sudan e Turchia.
In base a quanto riporta sputniknews.com, ai ministeri e ai dipartimenti degli Stati Uniti viene
vietato di acquistare i prodotti da queste aziende e di fornire qualsiasi tipo di assistenza. Può fare
eccezioni soltanto il segretario di Stato.
A queste società è stato vietato anche di vendere merci ad uso militare in conformità ad una lista
redatta dal governo degli Stati Uniti. Qualsiasi contratto aperto e non conforme verrà annullato.
Tali misure introdotte saranno valide per due anni. E’ facile capire, secondo quanto hanno riferito le
stesse imprese della difesa in Russia, che tali misure sono state prese dagli USA per dare del filo da
torcere alla concorrenza russa.
Le nuove sanzioni americane – secondo il presidente della Commissione del Senato per la difesa e la
sicurezza, Viktor Ozerov – sono “una forma celata di competizione, perché oggi le nostre armi e i
nostri equipaggiamenti militari sono richiesti nel mercato internazionale, e gli USA vogliono
indebolire questi affari”.
Stranamente, come ha notato il numero due del partito putiniano Franz Klintsevich, questa decisione
americana ha coinciso perfettamente con l’imminente intervento di Putin all’assemblea generale
dell’Onu.
Mosca è indignata, tutto questo mina il disgelo russo-americano e la stabilità internazionale. “Quella
statunitense è una continua distruzione delle basi per la normalizzazione dei rapporti russoamericani” commenta la diplomazia russa che accusa l’amministrazione USA di sfruttare la crisi in
Ucraina per imporre un modello di comportamento che Putin non accetterà mai. I russi puntano il
dito contro l’amministrazione di Obama: la sua ambiguità nel cercare, da una parte, la
collaborazione con il Cremlino su alcuni dossier internazionali (Iran, Isis, Siria) e, dall’altra, nel
lanciare la sfida e aprire la competizione sulla questione Ucraina e controllo dell’Artico potrebbe
avere conseguenze negative ai suoi danni.
La smentita russa e il nuovo piano di lotta elaborato da Putin
Riguardo ad un intervento militare ‘diretto’ in Siria da parte della Russia, Putin smentisce. Ria
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Novosti ha scritto che il rapporto di un rappresentante del Dipartimento della difesa russa afferma
che «Nessuna delocalizzazione di aerei militari russi in Siria ha avuto luogo. Gli aerei da
combattimento della Forza aerea russa si trovano nelle basi permanenti e nelle zone di missione in
conformità al piano di addestramento delle truppe e delle missioni d’emergenza». Questa
dichiarazione, peraltro, non smentisce del tutto la presenza di militari russi in Siria.
In precedenza, il ministro degli esteri russo aveva presentato a Doha – capitale del Qatar che ha
dichiarato guerra al regime nazional-socialista siriano – un piano di lotta contro lo Stato Islamico
preparato da Putin. Il Cremlino ha proposto la creazione di un vasto fronte antiterrorista nel quadro
della legislazione internazionale per contrastare la diffusione del terrorismo in Iraq, Siria e altri
Paesi della Regione. Secondo la Russia dovrebbero far parte di questa coalizione anche l’esercito
irakeno, le truppe del governo siriano di Assad e le milizie kurde attualmente attaccate dalla
Turchia. Secondo il piano di Mosca, questa nuova coalizione anti-Daesh dovrebbe agire sotto
mandato Onu.
Una proposta del genere porrebbe fine ai finanziamenti e alle forniture di armi da parte delle
monarchie assolute sunnite del golfo all’opposizione islamista siriana e significherebbe anche
l’interruzione degli attacchi da parte della Turchia alle milizie kurde del PKK e del Rojava siriano.
Queste milizie sono le uniche che, finora, hanno piegato in campo i tagliagole neri dello Stato
Islamico/Daesh.
Il rischio di un nuovo attentato con armi chimiche e biologiche
L’intervento russo in Siria probabilmente non dispiace nemmeno ad un falco anti-russo come l’ex
vicepresidente Usa Dick Cheney e ha spiegato anche il perchè.
Dick Cheney ha riferito alla CNN: «Penso che potremmo subire un altro attacco simile agli attentati
dell’11 settembre, ma con armi molto più mortali». Secondo l’anima nera di George W. Bush che ha
ispirato il pessimo intervento in Iraq da cui è scaturita la nascita dello Stato Islamico, gli islamisti
potrebbero usare armi chimiche o biologiche. “Il gruppo jihadista Stato Islamico è estremamente
pericoloso considerando la sua capacità di sviluppare armi nucleari in Medio Oriente” ha ammesso
Cheney.
I punti interrogativi di quanto afferma sono diversi. Dove nasconderebbero i miliziani islamici le
strutture, gli scienziati e i materiali per sviluppare un’arma atomica? Ricordiamoci che Cheney ha
‘inventato’ le armi di distruzione di massa di Saddam Hussein (mai trovate) e lo stesso ha consigliato
di bombardare l’Iran per impedirgli di creare una bomba atomica contro Israele (che di bombe
atomiche dovrebbe averne almeno 200). Una mente hollywoodiana, la sua, ma, allo stesso tempo,
Cheney fa riflettere sulla possibilità che i cittadini americani reclutati dal Daesh per combattere in
Iraq e Siria potrebbero tornare negli Stati Uniti allo scopo di reclutare altre persone e fare attentati.
Apro e chiudo una parentesi: i confini negli Stati Uniti non sono chiusi, in fatto d’immigrazione, e la
gente ha timore che possano entrare con facilità terroristi nel loro Paese. Il dettaglio omesso da
Cheney (sempre più hollywoodiano) omette di dire che questi americani erano partiti per la Siria
autorizzati dal governo per combattere con l’opposizione armata. Soltanto dopo, si sono convertiti
con lo Stato Islamico, quando cioè si è separato dalle altre milizie islamiste legate a sauditi,
qatariani e Al Qaeda.
L’attuale situazione in Medio Oriente resta legata alle guerre petrolifere volute dall’amministrazione
di George W. Bush ed al fatto che è stata proprio l’invasione USA a provocare in Siria e Iraq una
lotta armata sunnita che i due regimi laici baathisti erano sempre riusciti a reprimere, in un modo o
nell’altro.
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L’esperto russo Lev Korolkov, circa un anno fa, ha spiegato che “le misure adottate dagli USA non
hanno fermato il terrorismo internazionali: al contrario, lo hanno intensificato”.
La guerra dell’Isis mira alle risorse naturali, la religione non c’entra
Da quattro anni non si parla d’altro che dell’Isis, di rischi legati all’immigrazione e di foreign fighters
con conseguenti sconvolgimenti socio-politici nel mondo arabo, guerre, rivoluzioni che creano un
dissesto geopolitico di una parte del Medio Oriente e del Nord Africa coinvolgendo non poco la
sicurezza internazionale. In tutto questo, la causa religiosa non c’entra. I conflitti sono legati alle
risorse naturali, ad esempio alla scarsità di risorse idriche in Medio Oriente e in Africa, Siria inclusa,
tanto che le forze armate dell’Isis hanno preso il controllo di dighe e del corso del fiume Eufrate.
Le altre risorse naturali ed energetiche che causano il conflitto sono il petrolio, i gas e il coltan, un
minerale usato per produrre dispositivi tecnologici, soprattutto telefoni cellulari, molto richiesto in
Asia.
I Paesi più colpiti in Africa, non a caso, sono quelli più ricchi di risorse. La Nigeria, fra tutti, è il
primo produttore africano di petrolio, anche la Libia è ricca di risorse e il Congo dispone di enormi
quantità di coltan. Tutto è una conseguenza naturale dell’attuale sistema economico, dell’industria
della difesa e di quella energetica. E’ una realtà, non occorre essere complottisti per ammetterlo.
L’Europa è impegnata ad affrontare la crisi Ucraina, punto strategico per la fornitura di gas dalla
Russia. E’ in tutto e per tutto la corsa all’accaparramento di risorse energetiche in un momento in
cui il fabbisogno e i consumi crescono.
Davanti la costa siriana, a largo di Cipro, esiste un importante giacimento di gas e petrolio di ottima
qualità. Chi ha interesse in quelle aree? E’ una delle tante domande che si è posto l’istituto di ricerca
sui rischi geopolitici Triage Duepuntozero. Si è anche chiesto: che fine fanno i pozzi petroliferi
conquistati? I turchi stanno comprando sottobanco vari pozzi petroliferi che non sono stati affatto
resi inaccessibili al nemico in alcune aree conquistate dal califfato.
A maggio, in Iraq, l’ISIS ha preso il controllo del cuore di Ramadi senza incontrare alcuna
opposizione da parte dei vari gruppi preposti alla difesa della cittadina. Ci sono pozzi di petrolio a
Ramadi? Possibile che uomini vestiti di nero in area desertica siano bersagli così difficili da colpire e
possano, senza aerei e armamenti avanzati, conquistare tutto quel territorio agendo quasi
indisturbati?
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