SEZIONE TERZA

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SEZIONE TERZA
SEZIONE TERZA
L’economia agricola,
le attività boschive
e l’artigianato.
I lavori nel prato
- La concimazione del prato
- La fienagione
- Il trasporto del fieno
- Il lavoro nella “majon” (fienile)
- Il lavoro nella stalla
- La lavorazione del latte
- Pastori e animali
scheda n˚ 32
schede n˚ 33-34
schede n˚ 35-36
scheda n˚ 37
scheda n˚ 38
scheda n˚ 39
schede n˚ 40-41-42
I lavori nel campo
- Il trasporto della terra
- L’aratura e la semina
- La mietitura
- La trebbiatura
- La macinazione
- La panificazione
scheda n˚ 43
scheda n˚ 44
scheda n˚ 45
scheda n˚ 46
scheda n˚ 47
scheda n˚ 48
L’artigianato della lana e della canapa
- Artigianato della lana
- La coltivazione e la lavorazione
della canapa e del lino
- La tessitura
scheda n˚ 49
scheda n˚ 50
scheda n˚ 51
L’artigianato del legno
- Il lavoro nel bosco
- Gestione e utilizzazione dei boschi
- Gli usi civici
- Utilizzazione delle varie parti della pianta
- Il carpentiere
scheda n˚ 52
scheda n˚ 53
scheda n˚ 54
scheda n˚ 55
scheda n˚ 56
L’artigianato del ferro
- Fabbro e maniscalco
scheda n˚ 57
L’artigianato del cuoio
- Il calzolaio
scheda n˚ 58
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I LAVORI NEL PRATO
· LA CONCIMAZIONE
Fino al 1970 l’economia di Livinallongo si basava quasi esclusivamente
sull’agricoltura e l’allevamento.
Nei luoghi non raggiungibili con il “graton”, il letame era trasportato a primavera, appena sciolte le nevi, con la gerla.
Dopo che era stato ammorbidito dalle piogge primaverili, il contadino provvedeva a stenderlo uniformemente sulla superficie del prato con l’erpice “èrpesc” tirato dagli animali o con il rastrello, nei luoghi in forte pendenza.
Sono esposti:
• la slitta per il trasporto del letame “graton da la gràsseda”
• la forca
• le racchette da neve, indispensabili per preparare la strada che, dalla concimaia giungeva al prato.
Il contadino lavorava il prato per ottenere il foraggio indispensabile per l’allevamento del bestiame dal quale ricavava burro, formaggi e latticini.
In genere, il letame per la concimazione era trasportato sul
prato durante l’inverno con
una speciale slitta “el graton
da la grásseda” e ammucchiato in un punto.
Questo sistema, al contrario
di quello richiedente l’uso
della gerla, aveva il momentaneo vantaggio di risparmiare
fatica al contadino che a primavera era però costretto a riprendere il lavoro per spargere lo stallatico su tutta la superficie da concimare.
Trasporto del letame su neve.
Trasporto del letame con la gerla.
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· LA FIENAGIONE
Nel Museo sono esposti i vari attrezzi usati:
• la falce
• il portacote con cote e acciarino per affilare la falce
• l’incudine e il martello per rifare il filo alla falce
• la macchina per rifare il filo alla falce costruita dai fabbri locali
• le fiasche per tenere fresca l’acqua potabile che veniva portata sul prato
• il telo per il trasporto del fieno a spalla “el linzòl dal fen”
• i pali con bracci trasversali (in miniatura) per “fè le mëde de fen”.
Sui prati di bassa montagna (fino a 1600-1700 metri s.l.m.) la fienagione aveva inizio verso la fine del mese di giugno e procedeva ininterrottamente per
15-20 giorni.
Sull’alpe: baita e cucinino.
Se il tempo era inclemente, per non portare nella “majon” il fieno umido, si
piantavano nel terreno dei pali con dei sottili bracci trasversali e, attorno a
questi si ammucchiava il fieno (se fajáva le mëde de fen) in modo che, prendendo aria, non marcisse.
Le “mëde” di fieno.
Verso la metà di luglio il contadino si spostava sui prati di
alta montagna dove lavorava
ininterrottamente per un mese
e più.
Lassù trascorreva l’intera settimana, dormendo nella baita,
sopra il fieno e cucinando frugali pasti con il latte delle poche capre che portava al seguito.
Affilatura della falce.
Bossoli con cote e acciarino e
fiasche per l’acqua.
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· IL MOMENTO DI RASTRELLARE
Caricato il fieno, il telo viene legato e issato sulle spalle dell’uomo che provvederà a trasportarlo alla “majon” o alla baita d’alta montagna.
Il Museo presenta i vari attrezzi
che vengono usati:
Quando il fieno è secco, il contadino approfitta di una bella giornata per rastrellare.
Nelle ultime ore del mattino, il fieno viene rivoltato in modo che asciughi e
secchi perfettamente, quindi viene radunato e spinto verso valle, dove nel
frattempo è stato steso un lenzuolo quadrangolare di tela grezza “linzòl dal
fen” munito ai quattro angoli di corde, due delle quali portano fermi di legno
appuntiti che vengono infissi nel terreno.
Rastrellare.
• il rastrello “da blást” che ha i
denti alquanto distanziati l’uno
dall’altro
• il rastrello “da mesablást” con i
denti più ravvicinati
• il rastrello “da toch” con i denti
molti fitti, adatto a raccogliere
anche la più minuta fogliolina
• l’insieme dei tre semplici attrezzi per preparare i denti del rastrello
• la primitiva macchinetta e una
macchina perfezionata per forare
i pettini del rastrello in modo da
potervi inserire i denti.
Il trasporto del fascio di fieno.
Attrezzi per affilare la falce e per
preparare i denti per il rastrello.
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· IL TRASPORTO DEL FIENO
“la luosa de fen”
Dalle baite di alta montagna “tablèi”, il fieno veniva trasportato alla “majon”
durante l’inverno con l’ausilio della grossa slitta “la luosa da fen”.
Il contadino, era costretto a lavorare a lungo per preparare la strada d’accesso e per liberare dalla neve l’entrata alla baita “palé portón”.
era necessario tirare a forza di braccia; in discesa la fatica non era minore, in
quanto era necessario contenere la spinta della slitta facendo forza sulle gambe, aiutati da una o due catene che venivano fatte scivolare sotto i pattini a
mo’ di freno.
Il Museo propone:
• la grande slitta usata per il trasporto del fieno, con la lunga corda e le catene usate per frenare lungo le discese
• le racchette da neve “ciaspe” per non sprofondare nella neve e per pressarla
• i gambali “calzoni” in “drap” (lana follata) per ripararsi dal bagnato e dal
freddo
• la lanterna a petrolio che veniva fissata al timone per illuminare la mulattiera
• il rastrello dall’asta corta “el strigle” per pettinare e livellare il carico.
Lavorava con la pala, calzando le racchette da neve “ciaspe”, i gambali
“calzoni” per ripararsi dal freddo e dal bagnato e gli scarponi chiodati e
spesso ferrati.
Coloro che abitavano lontano dalla
baita, per raggiungerla con la slitta
in spalla, impiegavano anche due
ore abbondanti, pertanto erano costretti a partire da casa al buio, verso le cinque del mattino: questo
per riuscire a compiere due viaggi
nell’arco della giornata.
Raggiunta la baita, dalla slitta posta in posizione orizzontale veniva
sciolta la lunga corda di ben 20
metri che sarebbe servita per legare il carico in senso longitudinale e
trasversale.
Nella neve, sferzati dal vento, la
fatica per trasportare il fieno a valle era notevole: nei tratti in salita
Trasporto del fieno con la slitta.
Racchette da neve, gambali e scarpe ferrate.
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· IL CARRO DI FIENO
“el ciar de fen”
Da alcune baite, il fieno veniva portato al paese durante l’autunno con l’uso
del carro al quale venivano aggiogate le mucche: esempio classico sono i
“monti alti di Ornella” e parte della montagna di Andraz.
Questo per il fatto che la particolare conformazione del terreno rendeva difficoltoso l’uso della slitta.
Fra le tre e le quattro di mattina, quando era ancora notte fonda, gli animali
venivano aggiogati.
Le mucche aggiogate al pesante carico.
Alle quattro aveva inizio il lungo calvario: tre ore di marcia alla luce di una
lanterna “feral”.
Giunti alla baita, mentre gli animali sudati ed ansimanti riposavano e si ristoravano con una manciata di fieno, aveva inizio il carico: come supporto venivano usate due stanghe “trágli” e un’asse centrale.
Il tutto veniva poi legato seguendo uno schema che veniva tramandato da padre in figlio.
Il carro per il trasporto del fieno “el ciar de fen” è esposto sul pianerottolo antistante la porta d’entrata del Museo.
Sul pavimento, lungo il muro perimetrale della sala, sono sistemati:
• la bigoncia per il cavallo “beguocia da ciaval” alla quale è possibile agganciare il treno posteriore del carro “caderlët”
• la bigoncia dal lungo timone che viene trainata da una pariglia “beguocia
da bestiam” alla quale è agganciato il treno posteriore del carro “caderlët”.
Trasporto del fieno con il carro trainato dalle mucche.
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· IL LAVORO NELLA “MAJON”
Il fienile “la majon”, è costruito sopra la stalla ed è in comunicazione con essa tramite un cunicolo attraverso il quale viene fatto scendere il fieno.
Il contadino preparava la razione di fieno necessaria per un’intera settimana
“el fajáva mescedé” mescolando quello raccolto nella montagna bassa con
quello di alta montagna e con quello del secondo taglio.
Macchina con volano per sminuzzare il fieno.
Il fieno raccolto in bassa montagna è molto lungo, pertanto è necessario sminuzzarlo e ridurlo alla lunghezza di 20-25 centimetri.
Per questo lavoro venivano usati coltelli a forma di mezzaluna, o di falce, o
con grosse dentellature, azionati a forza di braccia.
In seguito entrò in funzione una particolare macchina con un grande volano
al quale erano applicate due possenti lame taglienti.
Agli animali veniva pure preparato un semplice antipasto “la paia” con fieno
di secondo taglio e paglia tritati finemente, sale e acqua calda.
Per questo lavoro veniva usato un rudimentale attrezzo “el bánch dal stram”.
Nel Museo si possono vedere:
• “el bánch dal stram” per sminuzzare la paglia per preparare l’antipasto
“la paia”
• la macchina per sminuzzare il fieno di primo taglio
• vari tipi di coltelli per sminuzzare il fieno di primo taglio ammassato nella
“majon”
• la forca e il tridente per togliere dall’ammasso il fieno da utilizzare
Attrezzo manuale per sminuzzare la paglia.
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· IL LAVORO NELLA STALLA
• il contenitore per la brace con il coperchio bucherellato, usato per scaldare
la pancia all’animale dopo il parto o in altre necessità
• il “pontin” in legno con i due blocchetti di ferro con manico per la castrazione dei vitelli onde ottenere dei manzi
• i siringoni per il clistere.
Fatta una generale pulizia, il contadino usando una zappa di legno “zapa dal
fen” porta al bestiame la prima razione di fieno che preleva dal deposito, alla
base del cunicolo attraverso il quale era stato fatto scendere dalla “majon”.
Fatto ciò inizia la mungitura mentre una seconda persona striglia gli animali.
Porta la seconda razione di fieno e, ai vitelli l’antipasto “da leché” e il latte,
quindi porta la terza razione di fieno.
Dopo l’abbeverata avranno la quarta razione di fieno.
Diversi sono gli attrezzi e gli oggetti esposti:
• lo sgabello a tre piedi usato per la mungitura “banchëta da mouje”
• l’attrezzo con base rotonda e impugnatura verticale per somministrare il
becchime ai pulcini “carpuc”
• la campanella in latta “ciampanela”
• la piccola campana in bronzo “bronsina”
• la museruola per vitelli che impedisce loro di mangiare fieno o paglia e la
museruola per animali adulti “musèl” usata in modo particolare durante
l’aratura
• le catene per legare le bestie alla mangiatoia “morone da cianèl”
• il sottogola per capretti “cianaula” per legarli alla mangiatoia: in tal modo
si elimina il pericolo di strangolamento
• il “flauden”, piccolo coltello per incidere la vena giugulare dell’animale
che viene sottoposto a salasso
• i secchi in legno: il “pazon” per dare il latte ai vitelli e la “sëgla” per somministrare il cibo ai maiali
• il contenitore per l’antipasto per i vitelli “la lada dal leché”
• il cesto in vimini per il trasporto delle galline e quello per trasportare i
gatti.
Il “pontin” e gli zoccoli olandesi “dèrmene”.
La “sëgla”; lo sgabello per la mungitura; zoccoli e zoccoli olandesi.
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· LA LAVORAZIONE DEL LATTE
Ogni famiglia era sufficientemente attrezzata per lavorare il latte e ricavarne
il burro e il formaggio che servivano per l’intero anno.
Nei tempi passati, le massaie mettevano il latte nei catini “cope dal lat” sistemati a castello e attendevano che, in superficie, si formasse la panna.
In seguito venne introdotta la scrematrice “la machina dal lat” che separava
automaticamente la panna dal siero.
Per ottenere il burro, una volta a settimana la panna veniva sbattuta in una
zangola a pistone, di forma cilindrica “pegna dal tournacion”.
Dopo la prima guerra mondiale venne usata la zangola a manovella “la pegna” che sbatteva la panna per mezzo di un sistema di alette.
La zangola a manovella.
Il latte scremato, unito a latte intero, veniva riscaldato e lavorato in un paiolo di rame “ciaudrin” per ottenere il formaggio: come caglio si usava lo stomaco affumicato ed essiccato dei vitelli o dei capretti da latte.
La cagliata veniva compressa nelle forme “cartè” tornite nel legno e poste su
un supporto “ciadin” o su un’asse inclinata “breia dal formai” che aveva due
scanalature ai lati per la scolatura del siero.
Già nel 1876 esisteva ad Arabba una latteria consorziale: da marzo a settembre lavorava circa 50.000 chili di latte e produceva in media 1.900 chili di
burro e 3.500 di formaggio.
Il 20 febbraio 1983, a Renaz, venne inaugurata una moderna latteria con annesso bar bianco.
Stampi per formaggio e burro e zangola antica.
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I PASTORI
· PASTORI E ANIMALI
Gran parte del lavoro svolto in un’azienda contadina nell’arco dell’anno consisteva sì nella cura di prati e campi, ma ancor più nell’allevamento del bestiame.
Nel 1931 a Livinallongo erano censite 488 aziende agricole e venivano
allevati:
259 buoi e manzi - 670 vacche - 7 tori - 889 vitelli - 19 equini - 149 suini 323 ovini - 437 caprini - 996 galline e galli - 139 oche e c’erano 192 alveari.
Se nel censimento del 1951 gli addetti al settore primario (agricoltura) erano
ancora il 72,9%, nel 1981 erano scesi al 21,5%.
Giovane pastore con la sua mandria.
In genere erano persone di una certa età ed erano spesso coadiuvate da un ragazzo “visèl”, se la mandria superava la trentina di unità.
La loro retribuzione era in parte in denaro e in parte in beni materiali.
-
Pastore delle mucche “pàster de le vace”
Pastore dei vitelli “pàster dei vediei”
Pastore dei manzi “pàster dei mánc”
Pastore delle capre “pàster de le cioure”
Pastore delle pecore “pàster de le biesce”
Pastore dei cavalli “pàster dei ciavai”.
Al pastore e al suo aiutante spettava di diritto il vitto: due consumazioni giornaliere a turno “a ròdol” presso ogni famiglia in base ai capi di bestiame che
questa possedeva.
Per il pranzo che era necessariamente al sacco, l’uomo
aveva diritto a 4 forme di
pane duro e ad un pezzo di
formaggio o di speck; la razione per l’aiutante era proporzionata.
Giovanissimi pastori
con le loro capre.
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“LE REGÀLIE”
Ed inoltre
- Un “cartaruol” (1/4 di “cialvia”) di patate per ogni mucca
- e un “cartaruol” di farina per ogni mucca
(una “cialvia” è la misura che contiene 12 chili d’orzo)
Fino agli anni ’50 compensavano la scarsa paga degli addetti ai lavori.
Queste erano d’obbligo ai pastori del bestiame che, a sera, faceva ritorno alla stalla.
- Il giorno di S.Giacomo: mezzo chilo di burro per ogni mucca
- Per S.Michele: una forma di formaggio per ogni mucca
- Per la festa dell’Assunta: i “crafons”
CENA E COLAZIONE: pastore e aiutante venivano ospitati nelle varie famiglie per tanti giorni quanti erano i capi di bestiame da queste posseduti “jì
a ròdol”.
Le famiglie dovevano pure pensare ai frugali pranzi che consistevano in alcuni pani secchi e del formaggio, raramente un pezzetto di speck.
VISÈL CORÉNT: ogni famiglia era tenuta a fornire un secondo aiutante “visèl corent” (un giorno per ogni capo di bestiame), almeno fino a S.Giacomo
(25 luglio).
Il pastore delle mucche con il suo aiutante “visèl”.
La frugale cena con
“papaciuoi e cianciariei”.
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LA GHIRLANDA
“la gherlánda”
Il 29 settembre, ultimo giorno di lavoro per i pastori, il più bel capo di bestiame di ciascuna mandria veniva ornato: al collo erano posti grossi campanacci
appesi a larghi collari di cuoio riccamente decorati e una ghirlanda confezionata con rami d’abete e fiori; uno specchietto veniva collocato fra le corna.
Per il proprietario del capo era un vanto ed un orgoglio: per il pastore significava una mancia e un lauto pranzo.
Ci possiamo soffermare per vedere:
• la mantella del pastore
• la frusta del pastore “la scuriada”
• gli zoccoli olandesi “le dèrmene” anche ferrate per l’inverno
• gli zoccoli in legno “i zòcoi” usati nella stalla
• la rudimentale arnia “l’albina” per le api (nel 1910 se ne contavano 192).
Il Museo sul territorio
• La malga: Malga Cherz
• La latteria, con annesso “bar bianco” a Renaz.
Al rientro alla stalla, questo animale precedeva la mandria fra gli applausi degli abitanti.
Autunno: rientro del bestiame dall’alpeggio.
La ghirlanda.
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I LAVORI NEL CAMPO
· IL TRASPORTO DELLA TERRA
Siccome i campi hanno, in genere, una notevole pendenza, la terra scivola
verso la parte bassa.
A primavera è necessario riportarla lungo il bordo superiore “trè tièra”.
Nella parte inferiore del campo veniva sistemato un trespolo “ciën” che aveva il compito di trattenere il carretto da caricare.
Tirando a forza di braccia il carretto vuoto verso il bordo inferiore del campo, veniva fatto salire quello carico di terra.
Se, a compiere questo lavoro erano le donne, esse lavoravano in coppia afferrando per le estremità un robusto bastone che veniva fatto passare fra i raggi delle due ruote del carretto.
Una persona era addetta ad accompagnare il carretto pieno di terra per scaricarlo; altre due avevano il compito di preparare il nuovo carico.
Oltre il bordo superiore del campo veniva fissato un treppiede “ciaval da la
tièra” ancorato con due pali di ferro infissi nel terreno.
Al treppiede veniva agganciata una carrucola “cerela” attorno alla quale scorreva una lunga e robusta corda alle cui estremità erano agganciati due carretti a tre ruote “gratons da la tièra”.
L’attrezzatura per il trasporto della terra.
Il trasporto della terra.
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È IL MOMENTO DELLA SEMINA
· ARATURA E SEMINA
La parte superiore del campo “saucè” viene seminata più densamente perchè
il terreno è più asciutto.
Se il terreno è magro occorre più semente, così pure se il terreno è secco e si
prevede che non pioverà.
Il seminatore regge con un braccio il recipiente contenente la semente e con
la mano libera la sparge compiendo larghi semicerchi.
A primavera fervevano i preparativi per l’aratura: il contadino zappava una
fascia lungo la parte inferiore del campo “zapé da pe via” e lungo i bordi in
modo da agevolare il lavoro con l’aratro.
Mentre una persona guidava gli animali aggiogati “la menáva bestiam”,
un’altra guidava l’aratro “la tegniva carìa”.
Terminato un solco, mentre gli animali riprendevano fiato, colui che guidava
l’aratro staccava la “outa” e, dopo aver ripulito il vomere, provvedeva a riagganciarla dalla parte opposta.
L’aratura con le mucche.
Nel frattempo altre persone interrano la semente “le cura” con una zappa leggera dal manico lungo “zapa da curì”.
Sono esposti i due tipi di aratro che venivano usati:
- quello provvisto di un lungo timone che era agganciato ad un largo giogo
era trainato da due animali che lavoravano appaiati
- quello che nella parte anteriore era munito di ruota, veniva trainato da un
animale singolo.
• È esposto il giogo usato su strada che è datato 1874: questo è molto meno
largo di quello usato per l’aratura.
• C’è pure il giogo per un animale singolo “jou da rozuol”.
Contenitori - zappa per interrare la semente e “zapon”.
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· LA MIETITURA
seminata per quanto riguarda segala e frumento, e 8 volte superiore se si tratta di orzo.
Quando la mietitrice ha tagliato una manata di culmi la posa a terra e ne taglia altre finché ha formato un mannello “mana”.
Unendo tre mannelli si forma il piede attorno al quale ne vengono sistemati
altri 8-10 per formare il covone “mugle”.
Fino verso gli anni ’60, nel Comune di Livinallongo venivano lavorati moltissimi campi che producevano: segala “siala”, orzo “òrde”, orzo francese
“sciandela”, frumento “forment da mèrz - f. autoné - f. mugol” e avena “vëna”.
Un raccolto di 80-90 “cialvìe” di granaglie era sufficiente al fabbisogno di
una famiglia di 4-5 persone.
Se il terreno è fertile, il raccolto può essere 12 volte superiore alla quantità
Falcetti - incudine e martello - bossolo per cote e acciarino.
Il tutto viene avvolto con due mannelli allargati a ventaglio “ven metù el ciapel” per proteggere le spighe dalle intemperie.
Il Museo presenta diversi attrezzi che il contadino usa per la semina e la mietitura
• Il cesto in vimini con una trama molto stretta per contenere la semente
• La zappa dal manico lungo usata per interrare la semente - la zappa normale - il serchio “sièrcle” usato nell’orto e la zappa grossa “zapon” usato per interrare e scavare le patate e
per dissodare il terreno
• Il falcetto “sëjola” con incudine e martello per affilarlo
• Il bossolo “codè da ciámp”
che contiene la cote e l’acciarino è provvisto di un
lungo sostegno.
Al covone viene
messo il cappello.
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veva essere momentaneamente interrotto.
· LA TREBBIATURA
Durante i mesi di ottobre - novembre, quando il contadino ha terminato i lavori all’aperto, inizia la trebbiatura.
Anticamente si batteva il grano usando lunghi bastoni e stando inginocchiati
sul pavimento della “èra”.
In seguito venne usato il correggiato “frel” che ridusse la fatica in quanto permise di eseguire il lavoro in posizione eretta.
Nella battitura occorreva sollevare ed abbassare il correggiato seguendo un
ritmo preciso; sbagliando il tempo, i correggiati si scontravano e il lavoro doLa trebbiatura con il correggiato.
I chicchi venivano liberati dalle principali impurità per mezzo del vaglio “vegniva draié”, quindi ulteriormente ripuliti con il ventilabro a manovella “molin da vent” e riposti nella madia “blavè”.
Diversi gli attrezzi esposti che ogni famiglia aveva in dotazione:
• vari tipi di correggiato che si adattano alla persona che li usa
• i setacci “a schinele” per setacciare il grano e liberarlo dalla paglia lunga
• il crivello con il fondo in pelle di capra usato per setacciare le impurità ancora presenti tra i chicchi dopo essere passati nel ventilabro a manovella
• il vaglio “van de len” usato per setacciare il grano a mano: la pula era separata dai chicchi agitandolo in presenza di una corrente d’aria
• il capiente vaglio di vimini, più pratico in quanto leggero
• le sessole in legno di acero o in lamiera
• la misura per il grano “la cialvia” che ne contiene 12 chili
e proseguendo
• il ventilabro a manovella “molin da vent”, macchina che sfruttando la forza dell’aria separa la pula e le gramigne dai chicchi
• i sacchi in tela di canapa o in pelle di capra “fòl” nei quali immettere i chicchi puliti per essere portati in soffitta e deposti nel grande contenitore in legno “el blavè”.
“Cialvia” - correggiato sessole - crivello in pelle
di capra.
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· LA MACINAZIONE
La macinazione avveniva per lo più a primavera quando i torrenti hanno una
portata d’acqua superiore. In ogni vicinia c’era almeno un mulino dove si recavano per macinare tutti gli aventi diritto.
Nel Museo sono in funzione i vari macchinari ed è possibile seguire le varie
fasi del lavoro.
La prima macchina ad entrare in funzione è il “pestin” che serve per la pilatura: le possenti mole in pietra, girando in senso circolare, limano i granelli
Il “pestin” e il mulino.
posti nella capiente coppa che è pure in pietra, liberandoli dal loro involucro
coriaceo (la cruscia longia).
La pilatura richiede circa 30 minuti di lavoro.
Il grano, liberato dalla crusca con l’ausilio del ventilabro a manovella, viene
inserito nella tramoggia “antermoia” del mulino che ne può contenere 8-10
“stèr”, ossia 120-150 chili.
Le robuste mole frangono i chicchi e la farina viene separata dalla
crusca.
Sono esposti:
• il vaglio a maglie molto strette
“tameisc” per separare la farina
dal cruschello
• la sessola “ventola” in legno di
acero usata per travasare la farina
• vari tipi di spazzole per pulire a
fondo le varie parti del mulino
• i sacchi in pelle di capra “i fòi”
per il trasporto della farina.
Il Museo sul territorio:
• il mulino ad acqua ad Andraz e
ad Arabba.
Dalla tramoggia alla mole.
Mola inferiore “ciuch”
e mola superiore.
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· LA PANIFICAZIONE
Subito dopo la macinazione che avveniva solitamente durante il mese di
maggio, le famiglie provvedevano alla panificazione.
Solitamente veniva usato il forno comune perché erano poche le famiglie che
possedevano un forno privato.
Si panificava una o al massimo due volte nell’arco dell’anno: le forme di pane venivano fatte seccare perfettamente, conservate in un contenitore di legno e consumate secche.
Fra un’infornata e l’altra, il forno veniva riportato in temperatura usando leLa panificazione al forno comunitario.
gna relativamente sottile, privata della corteccia e della lunghezza di 80 centimetri, mentre all’inizio del lavoro, per portarlo alla giusta temperatura, era
necessaria una notevole quantità di legna grossa “clapons”.
A lato della bocca del forno
c’era un’apertura secondaria
in cui veniva tenuto acceso
un focherello che aveva lo
scopo di illuminare l’interno
e di mantenere costante la
temperatura.
La panificazione al forno privato.
Sono esposti:
• Il forno in miniatura
• La madia “la moutra” per preparare la pasta con il lievito “i levèi”
• Il raschietto in ferro “el rafadou” per pulire madia e assi
• Le assi sulle quali venivano posate le forme di pasta
• I trespi “i pánosc” che potevano reggere da 10 a 16 assi con le forme
• Il rastrello di legno “el redable” per togliere le braci dal forno
• La pala in lamiera “pala da le bronze” per raccogliere le braci dopo che il
forno era stato scaldato
• L’asta con stracci “i scoac” usata per pulire il piano sul quale venivano posate le forme fresche al momento dell’infornata
• La pala in legno per infornare “la pala da nfourné”
• “La palota”: piccola paletta in legno o in lamiera per togliere la forma di
pane dall’asse e posarla sulla pala da infornare
• La casseruola “ciouròla” nella quale si dispongono le forme di pane appena cotto per essere portate ad essiccare nel corridoio areato “palancin” della “majon”.
Il Museo sul territorio:
• i forni comunitari si possono vedere nei vari paesi di Livinallongo: Arabba
- Renaz - Andraz - Cherz - Corte - Larzonei …
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L’ARTIGIANATO DELLA LANA
L’allevamento delle pecore ha sempre avuto molta importanza nel comune di
Livinallongo.
Un tempo la cardatura della lana veniva fatta con una cardatrice rudimentale; in seguito, valenti artigiani hanno costruito la cardatrice meccanica che,
ad Ornella ha svolto egregiamente il suo lavoro fino agli anni ’60.
Lungo il percorso diventava sempre più soffice finché, terminato il viaggio,
si avvolgeva attorno ad un’apposita asta formando un pennacchio “penejel”
pronto per essere filato.
Due erano i tipi di filo che le donne preparavano:
- uno alquanto grosso e resistente “fil dople”, ottenuto unendo due fili sottili, usato per la confezione di maglie, maglioni, guanti, berretti, calze,
sciarpe...
- uno più sottile “fil scemple” che, lavorato al telaio, serviva per preparare il
tessuto di lana “el drap”.
Questo tessuto veniva sottoposto alla follatura che lo rendeva resistente e impermeabile, adatto per la confezione di giacche, panciotti, pantaloni ed anche
pesantissime gonne.
Il Museo sul territorio:
• ad Ornella esiste ancora l’antica cardatrice.
La cardatrice di Ornella.
La lana veniva posata, a batuffoli, su un nastro mobile che la trasportava verso il primo di una serie di rulli “brodoi”.
La lana cardata:
“el penejel.”
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L’ARTIGIANATO DELLA CANAPA
ulteriori scorie legnose: questo lavoro veniva fatto sopra
un vaglio capovolto.
Il filo ottenuto dalla stoppa
grezza veniva utilizzato per
confezionare teli per il trasporto del fieno, grembiuli
da lavoro …
Fin dai tempi più antichi ha sempre avuto grande importanza la coltivazione
e la lavorazione della canapa.
L’abbigliamento sia maschile che femminile era ricavato quasi esclusivamente dalle fibre vegetali e dalla lana.
Il filo ottenuto dalla fibra scelta “dal téil” serviva per confezionare camicie, tovaglie, asciugamani, sottovesti, canovacci, lenzuola per il letto.
Sul territorio comunale funzionavano diversi telai oltre alla cardatrice e alla
tintoria; notevole lavoro aveva il cappellaio.
Di volta in volta, una data quantità di “téil” veniva annodata e si formava il
mazzo; l’unione di 20 mazzi formava la treccia.
La gramolatura della canapa.
La famiglia seminava la canapa in un luogo dove la terra era abbondante e
grassa: crescevano insieme la pianta maschile “fenela” e quella femminile
“cianapia”. Quest’ultima veniva fatta macerare sul prato e essiccata in appositi forni.
Le donne provvedevano alla maciullazione “a gramolé” per staccare la lisca
usando la maciulla “la gràmola”, una semplice macchina a una, due o tre barre.
Quando i culmi erano completamente scotolati iniziava il lavoro alla spigola, attrezzo con al centro lunghe punte di ferro che serviva per separare la
stoppa grezza dalla fibra scelta “el téil”.
La stoppa grezza che si depositava a terra veniva scossa
con un bastone per eliminare
Il lavoro alla spigola.
La treccia formata con 20 mazzi di “teil”.
La filatura con l’arcolaio ad aletta.
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LA TESSITURA
Dopo la filatura la famiglia portava il filo al tessitore che, lavorando con 20
gomitoli, su un grande arcolaio preparava la matassa che in seguito avrebbe
avvolto attorno al subbio del telaio.
Fatti passare i fili ad uno ad uno nella licciata, quindi nel pettine, il tessitore
li agganciava al subbiello, dando corpo all’ordito.
serita una spoletta preparata con una semplice macchina fornita di un grande
volano.
La tela veniva misurata a bracci:
un braccio corrispondeva a 80 centimetri; di 80 centimetri era pure la
larghezza della tela.
Prima di essere utilizzata, la tela
veniva stesa sul prato e sottoposta
all’azione della rugiada (fata rosé)
in modo che sbiancasse e diventasse più morbida.
Nel periodo seguente la prima
guerra mondiale, la paga di un tessitore corrispondeva ad una lira a
braccio.
La famiglia, usando un piccolo telaietto, confezionava in proprio la
fettuccia che serviva per allacciare
i grembiuli o per orlare gonne e
pantaloni.
Il tessitore dà corpo all’ordito.
Il filo trasversale che formava la trama veniva fornito dal ritmico scivolare,
da destra a sinistra e viceversa, della navicella “navijela” nella quale era in-
Il lavoro al telaio.
Si prepara la
spoletta da inserire nella navicella.
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L’ARTIGIANATO DEL LEGNO
· IL LAVORO NEL BOSCO
IL TAGLIO DEL LEGNAME
Il boscaiolo procedeva al taglio della pianta usando il segone tirato a mano
da due persone e si serviva di cunei di legno che, inseriti nel taglio, permettevano al segone di scorrere agevolmente.
Liberato dai rami con l’uso della scure “manarin”, il tronco veniva tagliato in
pezzi di:
- 4 metri e 20 che venivano chiamati “taia”
- 2 metri e 20 chiamati “bótol”
o in pezzi più lunghi dai quali si ottenevano le travi di portata “colmejele” o
quelle di pendenza “degorenc” del tetto.
Il taglio della pianta con il segone.
IL TRASPORTO DEL LEGNAME
Usando la scure a due mani, i tronchi venivano scortecciati e si smussavano
le estremità “fè la gherlánda” per agevolarne lo scorrimento sul terreno, quindi venivano legati “strangolèi” alla slitta “stroza” e trainati a forza di braccia
sulla neve.
Rare erano le famiglie che possedevano un cavallo, in questo caso la slitta era
formata da due parti principali: “la stroza” che costituisce la parte anteriore e
lo slittino “el losin” fatti entrambi di legno di acero e frassino.
Per calcolare la cubatura dei tronchi che venivano venduti era usato il grosso calibro “la cianàola” costruito dallo stesso artigiano.
Sugli utensili da lavoro e sul legname, come sulla pelle del bestiame e sull’orecchio delle pecore e delle capre veniva inciso o marchiato a fuoco il “segno di casa”.
Taglio e trasporto dei tronchi.
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· GESTIONE E UTILIZZAZIONE
DEI BOSCHI
Le piante di mezza età “bòsch da mez” danneggiate dai reticolati, dalle pallottole e dalle schegge di granata, per lunghi decenni non ebbero più alcun
valore commerciale.
In conseguenza di ciò, negli anni ’70 il Comune di Livinallongo si è trovato
ad avere:
- poche piante mature che non crescevano più
- parecchie piante giovani in fase di crescita
- e ad avere scarsità di piante in fase di maturazione.
Fino al 1890-1900, gran parte del legname ad uso commercio fatturato nel
Comune di Livinallongo veniva trasportato a Sedico sfruttando la forza dell’acqua del torrente Cordevole.
Da Sedico raggiungeva Venezia per ferrovia.
Un duro colpo ai boschi
del Comune fu dovuto
alla grande quantità di
legna necessaria per
alimentare i forni fusori per fondere il minerale ferroso estratto
dalle miniere del Fursil
e ancor più da tagli indiscriminati per scopo
di lucro.
La guerra del 1914- ’18
ha inferto un ulteriore
duro colpo: le piante sono state in gran parte tagliate per scopi bellici
prima e per la ricostruzione poi.
Il monte Fursil visto da Palla.
Il recupero di
trincee e camminamenti
- Progetto Interreg III -
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· GLI USI CIVICI
I beni comunali sono di proprietà del demanio e su di essi gravano i diritti di
uso civico che sono: il rifabbrico - il legnatico e il pascolo.
Gli attrezzi esposti:
• segoni tirati da due persone usati per tagliare la pianta
• segone americano, introdotto in seguito, con il quale si aveva una resa maggiore
• la slitta “stroza” con fissati “strangolèi” due tronchi
• “gránfe” per legare l’un l’altro i tronchi
• piccone “zapin”
• il cavalletto “el ciaval da sie su legna” con il segone dall’arco “segon da
l’archët” per segare di misura la legna
• il ceppo con l’accetta “manarìn” per tagliare di misura i rami.
IL RIFABBRICO: è il diritto spettante alla popolazione originaria di ricevere gratuitamente il legname per la costruzione di nuovi fabbricati, il restauro
di quelli già esistenti e per la costruzione di attrezzi agricoli.
IL LEGNATICO: è il così detto “diritto di fuoco” e consiste nel ricevere gratuitamente la legna da ardere necessaria ai bisogni della famiglia.
IL PASCOLO: consiste nel diritto di far pascolare il proprio bestiame su tutta la proprietà comunale, compresi i boschi.
La ricostruzione di una “majon” nell’immediato dopoguerra.
Il trasporto dei
tronchi con la “stroza”.
Mandrie al pascolo.
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LA LEGNA USATA IN CASA
· UTILIZZAZIONE DELLE
PARTI DELLA PIANTA
“Legna da metro”: viene tagliata della lunghezza di 1 metro ed è ricavata
dalla ramaglia e da parte del tronco.
“Legna da pán”: viene tagliata in pezzi relativamente sottili della lunghezza di 80 centimetri ed è scortecciata.
Serve per riscaldare il forno per la cottura del pane, fra un’infornata e l’altra.
Ogni parte della pianta viene utilizzata.
“Legna da fegolé”: è tagliata in pezzi di 20-25 centimetri ed è usata per alimentare il fuoco nella cucina economica.
I pezzi di tronco della lunghezza di 1 metro “bore” vengono tagliati longitudinalmente e ridotti in pezzi relativamente sottili “clapons” mediante la mazza e i cunei di ferro.
“Legna da fornel”: viene tagliata in grossi pezzi di 80 centimetri di lunghezza e serve per riscaldare il soggiorno.
I rami ripuliti vengono ridotti della lunghezza di 1 metro.
I rametti sottili vengono raccolti in fasci “fascine”: saranno utilizzati per accendere il fuoco nella stufa a muro
del soggiorno.
La corteccia era pure utilizzata anche se, bruciando produce parecchio fumo che
sporca la canna fumaria.
Lavoro con mazza e cunei.
Si prepara la legna
da “fegolé”.
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· LA SQUADRATURA DEL LEGNAME
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•
•
•
•
•
tegame per la colla: tenuta calda a bagnomaria
compassi, filettatrici per viti “madrevida”
rivetti “ris”, compassi, sagome per “pazons” o per racchette da neve
mazzetta: martello in legno per preparare i denti per il rastrello
torchio, morsetti, coltello a petto “cortel da scorzé”
servo/garzone “famei” per sostenere lunghe tavole di legno durante la lavorazione.
Per squadrare le travi “scaré”, veniva usata dapprima una scure pesante con
lama stretta e lunga “lòdum” per togliere la parte grezza, quindi la scure per
squadrare “manèra da piz”.
Per segnare la linea del taglio si faceva scoccare una cordicella “fil da bol”
bagnata in un liquido colorato che veniva srotolata da un mulinello “pontin”.
Ogni famiglia disponeva del locale laboratorio “la berstòt”
con il tavolo da falegname “la
taula da maringon” e una miriade di attrezzi.
Gli attrezzi
del carpentiere.
Sono esposti:
• pialle e pialloni aventi ognuno
una funzione diversa
• scalpelli, trivelle, seghe, seghetti, martelli
• squadre e squadra con alidada
mobile ”schèra zòta” per misurare angoli non retti
La squadratura dei tronchi
per ottenere le travi.
Il tavolo da lavoro
del falegname.
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L’ARTIGIANATO DEL FERRO
Se il contadino fodom era essenzialmente artigiano del legno, non potè tuttavia fare a meno di imparare a lavorare il ferro: gran parte degli attrezzi da
lavoro che ognuno costruiva con le proprie mani richiedeva l’uso del ferro.
Inoltre era indispensabile la ferratura dei cavalli e delle mucche, lavori questi affidati a persone esperte o al fabbro ferraio.
Il travaglio “el travai” e la ferratura delle mucche.
Le mulattiere accidentate e ciottolose che portavano al pascolo rovinavano le
unghie alle mucche.
Verso la fine di giugno gli animali venivano portati al “travai” e aveva inizio
la ferratura che consisteva nell’applicare alle 8 dita un ferro “clapa” che veniva fissato con 5 chiodi “clauc”.
La pietra incavata - chiodi - chiavistello.
In questo settore si possono vedere:
• la forgia per i carboni ardenti
• un antichissimo incudine e un maglio azionato dalla forza dell’acqua
• gli attrezzi usati dal fabbro
• gli attrezzi usati dal maniscalco per la ferratura
• i ferri da cavallo e quelli usati per ferrare le mucche “clape”
• diversi attrezzi forgiati dal fabbro: trivelle - trance - pinze - cerniere per le
porte e chiodi di varie misure
• la pietra leggermente incavata per contenere l’acqua che serviva per rendere resistente “tempré” la punta del chiodo
• un’antica serratura con relativa chiave
Il Museo sul territorio:
• il travaglio “travai”: a Corte - a Salesei di Sopra - a Cherz - a Larzonei a Ornella - a Livinè e in molti paesi.
Ferratura dei cavalli e delle mucche.
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L’ARTIGIANATO DEL CUOIO
Non disponendo della macchina per cucire, per unire più strati di cuoio a formare la suola, il calzolaio usava sottili chiodini di legno “semenzine” che si
rivelavano più resistenti dei chiodi in ferro che spesso arrugginivano e si staccavano.
I sottili chiodini venivano inseriti a mollo: in tal modo il legno si gonfiava
formando un tutt’uno con il cuoio.
Una volta all’anno ogni famiglia necessitava del calzolaio a domicilio: in genere c’erano scarpe da risuolare e rattoppare; solo raramente ne veniva commissionato un paio nuovo.
In un angolo della ”stua” venivano sistemati il deschetto e la “crama” contenente le arti.
Le scarpe da lavoro venivano chiodate con “bròce d’ascia” e “bròce torone”;
sovente venivano fissate le mezzelune e i ramponi.
Scarpe chiodate e ferrate.
Il calzolaio al deschetto.
Il Museo propone:
• le galosce con la suola in legno rinforzata con lamiera e chiodi
• le scarpe da lavoro chiodate e ferrate sia per uomo che per donna
• le scarpe festive con la mezzaluna sulla punta
• le scarpe a stivaletto da accompagnare al costume “el mesalana”
• i chiodini in legno di varie misure “semenzìne”
• le “bròce d’ascia” che venivano applicate esternamente per proteggere anche il bordo della suola
• “bròce torone” che proteggevano la suola nella parte centrale
• il deschetto sul quale il calzolaio posava gli attrezzi da lavoro
• la “crama” che conteneva gli attrezzi e serviva da sedia
• le macchine per cucire le pelli.