scarica PDF 5,1 - Piccole Sorelle del Vangelo

Transcript

scarica PDF 5,1 - Piccole Sorelle del Vangelo
“Fratelli e sorelle, siamo tutti riuniti oggi perché qualcosa ha
toccato il nostro cuore in un certo momento, un giorno della
nostra vita, fr. Charles di Gesù ha lasciato un segno in noi.
Cosa abbiamo ricevuto? il suo messaggio cosa ci può portare?
Sì, possiamo interrogarci: cosa ci ha portato fr. Charles? Certamente è molto diverso per gli uni o per gli altri. C’è chi ha
impostato la propria vita completamente al suo seguito, altri
hanno trovato un sostegno, un approfondimento per la loro
vita cristiana.
Fr. Charles è un peccatore convertito. E’ il figliol prodigo che il
padre abbraccia, è colui che, con la sua conversione, ha procurato più gioia in cielo di tutti i giusti che non hanno bisogno
di conversione.
Torniamo al momento della sua conversione e a quelle parole
di Gesù che lui ricordava sempre: “Chi mangia la mia carne e
beve il mio sangue dimora in me, e io in lui …” … dimorare
… è una stabilità di comunione e di relazione. Fr. Charles, passando le notti in adorazione, soprattutto nel periodo di Nazareth, è stato colmato di tante grazie, perché era diventato
la “dimora di Gesù”.
Tocca a ciascuno di noi vedere nella propria vita ciò che fr.
Charles gli ha portato in questo campo: il Corpo di Cristo,
l’umanità di Cristo e il suo volto. E in quel gesto di Giovanni,
con la testa appoggiata sul petto di Colui che lo amava appassionatamente, scopriamo che c’è un mistero di relazione di
amore tra Gesù Cristo e i suoi amici. Chi può penetrare il segreto delle notti d’adorazione di fr. Charles?
Allora nasce una domanda per noi: pensiamo di essere chiamati a un tale amore di Cristo? Non un amore “molle”, poco
esigente, un amore qualunque, come quando diciamo di amare
tutti. Siamo chiamati a un amore profondo, quello che fece
scoppiare in singhiozzi Pietro quando prese coscienza di aver
rinnegato il Maestro. “Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti
amo”.
Credo che, in fondo, sia questo ciò che ci porta Padre de Foucauld. In un momento o l’altro della nostra vita abbiamo scoperto in lui un “appassionato amante di Gesù”. E questo
cambia tutto nella vita!”.
(Estratto dell’omelia di padre René Voillaume,
il 30 novembre 2001, a Aix-en-Provence)
2
Dicembre 2016
Carissimi amici,
Eccoci alla fine di un anno trascorso in compagnia di Charles de
Foucauld. Il centenario della sua morte ha suscitato molte belle iniziative,
molti incontri, pubblicazioni, film e rappresentazioni teatrali. È stata
un’occasione di feconda collaborazione tra tutti i membri della famiglia
spirituale e d’incontro con varie persone affascinate da fr. Charles: il
messaggio di quest’uomo “appassionato di Dio”, che ha voluto diventare
“fratello di tutti”, resta di grande attualità.
Toccato profondamente dall’amore misericordioso di Dio, ha
speso la sua vita per trasmettere questo Amore a ogni persona che incontrava. Il suo più profondo desiderio è stato diventare amico di tutti,
fratello accessibile, buono, testimone dell’amore di Colui che è bontà,
bellezza, origine e termine di tutto, Dio Padre.
Alla sequela di Charles de Foucauld, anche noi desideriamo essere “sorelle” di tutti, piccole e facilmente avvicinabili, accanto a chi è
nel bisogno, a chi soffre l’esclusione, a chi vive nella precarietà.
Lo facciamo poveramente, perché abbiamo poco da offrire, ma
siamo contente di essere presenti, lì accanto a loro, come “amiche”,
come “sorelle”, camminando con loro, condividendo con loro il tesoro
che ci fa vivere, l’Amore del Signore.
Grazie a tutti voi che camminate con noi, per la vostra amicizia
e il vostro aiuto, sulla strada della fraternità.
Le Piccole Sorelle del Vangelo
3
Ecco alcune risonanze dei momenti di festa, a cui abbiamo partecipato.
FRANCIA 20-21-22 maggio
Sui passi del “fratello universale”
Sedici piccole sorelle hanno partecipato alle tre giornate di festività
organizzate dalla Famiglia Spirituale dell’Ile de France (periferia di Parigi),
in occasione del centenario della morte del beato Charles de Foucauld.
C’erano le sorelle delle tre fraternità del luogo, ma anche alcune sorelle
venute appositamente o che erano di passaggio in Europa.
Tre giornate per …
4
Festeggiare l’incontro tra tutti
i membri delle fraternità:
religiose e religiosi, preti, laici,
amici, tutti quelli che vivono
del carisma di fr. Charles, ma
anche semplici parrocchiani
interpellati dalla sua persona.
Oltre 150 persone della Famiglia Spirituale sono state presenti all’una o all’altra giornata
e c’erano anche dei discendenti della famiglia di sangue di Charles de
Foucauld. Molto interessante è stata la proiezione preparata da fratel
Xavier Gufflet (piccolo fratello del Vangelo) sulla relazione di fr. Charles
con la sua famiglia.
Gioia di incontrarsi, di fare conoscenza, di condividere, di pregare
insieme; piacere di ascoltare le conferenze di Pierre Sourisseau, archivista
della causa di beatificazione e di fratel David, abate di En Calcat e
pronipote di Charles de Foucauld.
Abbiamo vissuto tre giorni intensi, secondo un itinerario scandito dalle
tappe importanti della vita di fr. Charles.
La prima è stata venerdì 20 maggio nella chiesa di Sant’Agostino,
a Parigi: luogo della sua conversione. L’incontro con il padre Huvelin condusse fr. Charles ad un incontro ben più profondo, quello con la misericordia di Dio e gli donò la gioia della Comunione con il Corpo di Cristo.
L’entrare in questa chiesa ha provocato in noi una profonda emozione:
qui fr. Charles cambiò vita, si lasciò condurre e invadere dalla grazia di
Dio. Nella chiesa c’era una bella esposizione: su ogni pannello si potevano leggere e meditare frasi di fr.
Charles, del Vangelo, o altre. Tutti
siamo stati toccati dalla profondità
dei testi.
Secondo appuntamento, sabato 21
maggio, basilica del Sacro Cuore a
Montmartre. Ha aperto la giornata
una bella meditazione di fratel
David, sul tema “Fr. Charles e la Parola di Dio”. Nella sua lettura della
Parola di Dio, fr. Charles si lasciò
guidare dall’assoluta centralità
della persona di Gesù, vivente nella
Scrittura. Per fr. Charles niente è
statico nella Parola di Dio: essa è
5
più viva, più attiva, più “pericolosa” di un virus …
Una solenne celebrazione eucaristica ha concluso la mattinata nella Basilica, dove fr. Charles era salito tante volte per rimanere a lungo in adorazione davanti al Santissimo esposto.Il pomeriggio è stato ritmato da
un pellegrinaggio con diverse tappe:
- la chiesa di San Bernardo, dove la comunità parrocchiale, con le piccole
sorelle di Nazareth, accoglie i rifugiati;
- la chiesa di San Paolo, alla Plaine saint Denis, presenza in un quartiere
in forte mutazione con tutto ciò che ne consegue;- la cattedrale di Saint
Denis, dove, tutti insieme, ci siamo raccolti per un tempo di adorazione
del Santissimo Sacramento, Presenza tanto cara a Fr. Charles.
Tutto il percorso a piedi è stato occasione di incontri informali tra di noi,
per approfondire i legami fraterni e darci appuntamento per altre manifestazioni che si sarebbero vissute durante l’anno.
Infine domenica 22 maggio nella basilica di Saint Denis il nostro vescovo, monsignor Pascal
Delannoy, ha concelebrato insieme ad alcuni
preti e diaconi della Famiglia Spirituale. La cattedrale era gremita di
parrocchiani e di membri della Famiglia Spirituale di Charles de
Foucauld. Nell’omelia il
vescovo ha fatto il parallelo tra il cuore della Trinità, sorgente dell’Amore,
Celebrazione nella Basilica di S. Denis
e il cuore di Charles de Foucauld, ardente d’amore per Dio e per l’umanità. Dopo la Messa, Francesco Agnello e Fitzgerald Berthon hanno mirabilmente interpretato
un’opera teatrale che metteva in scena la vita di Charles de Foucauld.
6
Che cosa ci rimane del vissuto di quei giorni?
Certamente la bella collaborazione tra tutti! Con
grande disponibilità ciascuno dei membri della famiglia
spirituale
ha
assicurato una parte dell’organizzazione e, nonostante
le poche forze, tutto si è
svolto serenamente, sempre con gentilezza e il sorriso sulle labbra:
accoglienza, organizzazione, tempi di preghiera e celebrazioni, acquisto
e preparazione accurata dei pasti … Ognuno ha messo i propri talenti a
servizio dell’insieme e la diversità dei doni ha reso possibile la ricchezza
di questo tempo forte. La possibilità di vivere in un clima fraterno ogni
proposta, è stata una grazia … forse ci ha aiutato fr. Charles, lui che ha
sempre desiderato diventare “fratello universale”.
“L’amore di Dio, l’amore degli uomini, è tutta la mia vita e lo sarà per
tutta la mia vita.”
Possano questi tre giorni riempirci dell’amore di Dio e spingerci a testimoniarlo a tante persone assetate d’amicizia, di incontri, del senso
della vita, alla ricerca di quella fraternità universale, tanto cara a Charles de Foucauld.
7
ITALIA
Nell’incontro svoltosi a Roma in occasione
del centenario di Charles de Foucauld,
Anna, della fraternità di Bari, ha dato la
sua testimonianza su come ha vissuto e
vive oggi la spiritualità di fr. Charles
All’interno della famiglia foucauldiana desideriamo “unire, come ha detto padre
Voillaume, un’autentica vita contemplativa
con le molteplici attività e preoccupazioni
dell’impegno apostolico a servizio della Chiesa e dell’umanità. … è… un
ideale che vediamo nel la vita stessa di Charles de Foucauld, specialmente negli ultimi 12 anni della sua esistenza.”
Ho vissuto in varie fraternità d’Europa e ho conosciuto anche fraternità
in altri continenti, ma ovunque ho goduto della vicinanza con i poveri e
i semplici e nello stesso tempo ho sentito con gioia la possibilità di contribuire alla loro crescita e al miglioramento delle loro condizioni di vita.
La vicinanza di abitazione e di status sociale ha portato con
naturalezza a condividere anche la vita di
preghiera mia e della
mia comunità; e gli
amici e i vicini facevano della nostra cappellina il luogo dove
venire a posare i loro
pesanti fardelli.
8
Il gruppo “famiglia”
Ricordo con immensa gratitudine ciò che ho vissuto con il gruppo di riflessione sul Vangelo, a Foggia, un gruppetto di donne, sole, vedove o
separate, con figli a carico, che io chiamavo “anawim”¹. La loro freschezza nell’ascoltare la Parola, il loro stupore nello scoprire la persona
di Gesù, sono state per me un grande dono. Anche con il gruppo “famiglia” abbiamo fatto un cammino simile e poi, piano piano, è venuta da
sè l’apertura alla vita della Chiesa e ciascuno ha maturato un impegno
a servizio degli altri.
In ogni fraternità dove ho vissuto, ho sentito una chiamata chiara a condividere con i più poveri la mia vita e mi ritrovo bene in quello che dice
fr. Charles:
“La vita di Nazareth, la mia vocazione,non devo viverla nella Terra Santa
che tanto amo, ma fra le anime più malate, le pecore più perdute e abbandonate. Il divino banchetto bisogna presentarlo non ai fratelli, ai parenti, ai vicini ricchi, ma agli zoppi, ai ciechi, ai poveri, alle anime più
abbandonate …”
È così che, dopo un
tempo passato ad
Haiti, quando mi sono
trovata a vivere in una
città del nord Italia,
dove sembrava che i
poveri non ci fossero,
ho cercato un lavoro
che mi mettesse a
contatto con persone
in difficoltà. Per 10
anni ho lavorato come
educatrice in una comunità di accoglienza
per mamme con bambini: donne che avevano subito gravi violenze, donne con disagio psichico,
donne provenienti dal mondo della prostituzione.
1
“I poveri di Dio” in ebraico nella Bibbia
9
Condividendo la vita con loro, con lunghi turni di notte e di giorno, ricostruendo piano piano la fiducia, nell’amicizia profonda, nell’ascolto e nel
dialogo con ciascuna di loro ho avuto la grazia di mettermi al servizio
della vita e di imparare proprio da loro come la vita è più forte di ogni
male e, se custodita, aiutata, amata, può rinascere e ritrovare speranza.
Ognuna di loro sarebbe una storia da raccontare, per me è stata un libro
aperto dove Dio ha scritto il suo amore e l’ho visto soprattutto nel loro
animo che si apriva alla fiducia, alla speranza, al desiderio di futuro. Non
parlavamo spesso di temi religiosi, ma ricordo un giorno, con una donna
vittima di tratta: era disperata e sconsolata, io non sapevo più cosa dirle
per darle coraggio, sentivo che sia per me che per lei c’era un’unica ancora di salvezza.
Le dissi: “Mary (nome fittizio), io so che tu preghi, ti sento la notte
quando fai le tue preghiere e i tuoi canti a Dio; non credi che lui ti ascolti
e si occupi di te? Non credi che lui abbia cura di ogni suo figlio, lui che è
Padre buono?” Per lei fu come illuminare una stanza buia, una stanza
nella quale già stava, ma non vedeva nulla. Quella piccola e semplice
luce la fece ripartire, riprese animo e coraggio e da allora non si è più
fermata, ora vive autonoma con i suoi bambini.
Poi mi è stato chiesto di passare alla fraternità di Bari e nel giro di poco
tempo mi sono trovata a collaborare in una associazione iniziata da
un’altra piccola sorella per un banco di abbigliamento solidale. Non era
proprio il mio campo di competenza e temevo di non essere in grado di
portare avanti il progetto, con le relative responsabilità che richiedeva.
Le parole scritte da fr. Charles mi hanno spinto ad accettare e a vedere
questo come la volontà di Dio:
“Siate umili, umili in parole, umili in azioni, umili in tutta la vostra vita …
prendendo ovunque e sempre l’ultimo posto. Ma l’umiliazione, l’ultimo
posto, posso darvelo o togliervelo, come mi piace, non ve lo ordino in
una maniera assoluta, ma solo nella misura richiesta all’obbedienza alla
mia volontà …”
10
Ho sentito che l’umiltà era vivere nell’obbedienza gioiosa, convinta che
in questo, Dio mi chiedeva di fare un passo in più nella fiducia e nell’abbandono.
Dopo 3 anni di questo servizio posso dire che davvero ho ricevuto il centuplo! Non solo ho imparato a fare cose che non avrei mai pensato di
fare, ma ho scoperto che il dare il vestito a chi ne ha bisogno e il darglielo
in un certo modo, poteva diventare per me una scuola di Vangelo. Il vestito per i ricchi ha una importanza relativa, ma per i poveri è il mezzo
per esprimere la propria dignità. Le persone che vengono al banco abbigliamento cercano nel vestito uno strumento di promozione sociale,
un mezzo che dia loro dignità e riconoscimento.
Ricordo una donna senza fissa dimora, che dormiva alla stazione, veniva
da noi regolarmente, ci conoscevamo bene. Un giorno è arrivata dicendo
che doveva andare al matrimonio della figlia, in un’altra città e non voleva che lei sapesse che faceva quella triste vita. Ci siamo fatte in quattro
e in men che non si dica la donna era vestita di tutto punto: abitino nero
elegante, calze velate, scarpe col tacco alto ed una giacchina di pelo che
dava un tocco davvero signorile. Mentre la donna provava i vestiti e si
guardava allo specchio diceva tra sé: “Così sono veramente degna di accompagnare mia figlia all’altare!”.
11
Per me quella è stata la conferma che ero al posto giusto.
Con i volontari cerchiamo di mettere in atto tutto ciò che può raggiungere il nostro scopo: allestimento del locale come un vero negozio, scelta
dei capi che siano in perfetto stato, gentilezza nell’accoglienza e … tanta
tanta pazienza.
Le persone si sentono riconosciute, rispettate, tornano, portando amici,
figli, mariti.
A volte qualcuno ci esprime la sua riconoscenza, come la donna georgiana che ha portato i cappuccini per ogni volontario, che, a suo dire,
erano lì dalla mattina senza mangiare, oppure la donna marocchina, che
ci ha portato il dolce fatto in casa per la festa della fine del Ramadan.
Il sentirsi accolte senza pregiudizi fa cadere tante
chiusure e difese e piano
piano anche le persone
più chiuse o ribelli accettano che ci siano delle regole da rispettare e si
adeguano ai giorni, agli
orari, alle scadenze, e si
mostrano disponibili a
mostrare i documenti che
chiediamo. Credo che
questo sia un piccolo, modesto aiuto per la loro integrazione nella società.
Cercando di vivere quello che fr. Charles chiama l’apostolato della bontà
mi sono trovata, da alcuni anni, a diventare volontaria al carcere. Anche
questa esperienza di prossimità con delle persone ai margini della società è un grande dono del Signore e una ricchezza di umanità che mi
viene donata.
12
Incontro le donne detenute per dei colloqui personali, ascolto molto,
hanno bisogno di parlare e anche quando , straniere, non posseggono
la lingua, ugualmente vengono ad incontrarmi e tentano come possono
di esprimere quello che portano dentro
A volte sono sensi di colpa, che maturano e rendono responsabili delle
proprie azioni, ma vanno poi accompagnati verso una liberazione interiore e verso modalità nuove di comportamento.
Altre volte sono le preoccupazioni per la famiglia lasciata fuori,
per i figli la cui lontananza è una terribile
ferita aperta, per tutte.
Oppure è la solitudine,
il sentirsi abbandonate
e lontane da tutto e da
tutti.
Ma devo dire che, in
questo ambiente di coercizione e di soffeUna detenuta accolta in fraternità
per due giorni di permesso
renza, ho visto anche
tanta solidarietà, donne
che si aiutano tra di loro, che sono capaci di attenzione e comprensione
verso chi in quel momento sta più male, donne che mi hanno testimoniato una fede grande, molto grande , certe , come dice il salmo che
“Dio farà giustizia ai suoi poveri”.
Io mi sento solo di ringraziare il Signore per tutte le persone semplici e
umili che mi ha fatto incontrare, esse sono per me un tesoro che non
invecchia e non marcisce e che sicuramente ritroverò ancora intatto e
prezioso quando ci incontreremo tutti insieme al banchetto nella casa
del Padre.
13
CHARLES
Confessione (H)Ospitalità Abbandono Relazioni Laici Eucaristia Silenzio
Nell’anno del centenario della morte di Charles de Foucauld, Marie
Christine, della fraternità di Azet, ha scritto diversi testi. Ecco una riflessione che prende spunto dalle lettere che compongono il nome
Charles .
C = Confessione
A tutti quelli che minimizzano l’importanza del sacramento della riconciliazione nella vita spirituale, l’esperienza vissuta dal padre De Foucauld,
offre un’autentica smentita. La sua confessione, avvenuta nel confessionale della chiesa di S. Agostino, un mattino di fine ottobre 1886, fu il
punto di partenza per un radicale cambiamento di vita.
In realtà Charles, che era entrato in questa chiesa per chiedere un insegnamento catechistico a don Huvelin, reputato per le sue competenze
in materia, si sentì rispondere: “Si confessi e crederà”… Ricevere il perdono di Dio significa ritrovare la casa del Padre, come il figlio prodigo
della parabola di S. Luca, significa conoscere Dio come tenerezza misericordiosa. Come non esserne sbalorditi? Infatti, Charles, una volta riconciliato con Dio, si sentì pienamente appagato. Questo sacramento,
vissuto intensamente, gli fece apprezzare per tutta la vita le grazie che
ne derivano. Non esitava a percorrere centinaia di chilometri nel deserto
del Sahara per trovare un confessore e rivestirsi della “tunica di innocenza”, secondo la bella espressione che usa nella meditazione sul ritorno del figlio prodigo.
H: Ospitalità (in francese Hospitalité)
Credo che la frase che meglio esprima l’importanza dell’ospitalità per fr.
Charles, sia quella che si trova alla pagina 87 del “Regolamento e Direttorio”, sovente ripresa dalle costituzioni dei gruppi religiosi che si ispirano a Charles de Foucauld: “La loro fraternità è un porto, un asilo, dove
ogni persona, soprattutto povera o sofferente, a qualsiasi ora, è fraternamente invitata, desiderata e accolta”.
14
Proprio Charles, che si dice tanto attirato dalla tranquillità e dalla solitudine, Charles, che ha il desiderio di procedere alacremente con il suo
importante lavoro di linguistica, confessa anche quanto sia “divorato”
dalle persone che si rivolgono a lui: “Gli ospiti, i poveri, gli schiavi, i visitatori, non mi lasciano un momento … ho tra sessanta e cento visite al
giorno”² .
Il 30 settembre 1902 descrive a monsignor Guérin la sua vita a Beni
Abbès,: “Per avere una
giusta idea della mia vita,
bisogna sapere che bussano alla mia porta almeno dieci volte all’ora …
in modo che, insieme a
tanta pace, ho molto movimento.”
A: Abbandono
La famiglia spirituale ha diffuso una celebre preghiera di Charles de Foucauld: la preghiera d’abbandono, recitata, cantata, raccomandata nei
momenti difficili della vita, per ritrovare una serenità fiduciosa nella misericordia del Padre. Una sera recitavamo questa preghiera insieme ad
una giovane che stava vivendo una situazione tragica. All’uscita della
cappella ci ha letteralmente aggredite: “Avete un bel coraggio a dichiarare “Fa di me ciò che ti piace, accetto tutto”. Si è tranquillizzata poi
quando ha saputo che in realtà questa preghiera è una meditazione sul
Vangelo di Luca 23,46, quando Gesù sulla croce completa il dono di sé
con le parole “Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito”. Per cui questa
preghiera non è quella di fr. Charles, ma quella di Gesù. E’ una preghiera
che egli fece sua perché rappresentava l’offerta di sé verso cui tendeva,
più che la tappa finale di un dono che aveva ben coscienza di non aver
²
lettera a Dom Martin, 7 febbraio 1902
15
ancora raggiunto. Notiamo tra l’altro che nella nostra preghiera cristiana
è innanzitutto Dio, il suo Spirito che prega in noi. Pensare altrimenti sarebbe presunzione. E’ la preghiera di un innamorato e sappiamo che gli
innamorati sono pronti ad ogni follia. Sappiamo anche che un libro influenzò fortemente fr. Charles, il libre di Padre Caussade “L’abbandono
alla Divina Provvidenza”. Quest’opera mette l’accento sulla necessità di
vivere l’abbandono giorno dopo giorno vivendo pienamente il momento
presente. Fr. Charles si nutrì di questa spiritualità, scrisse a sua cugina:
“Da due anni non smetto di rileggere questo libro e ci trovo sempre qualcosa di nuovo”.
R: Relazione
Fratel Charles fu un uomo
di relazione. Potrebbe essere questa la definizione
della sua identità profonda. Innanzitutto relazione con Dio, che cercò
di scrutare, conoscere e
amare, con tutte le sue
forze. La scoperta di Dio
nella sua vita provocò
una miriade di relazioni
umane perché ogni essere umano è infinitamente amato da Dio e dunque degno di interesse.
A Beni Abbès, e in seguito a Tamanrasset, (nonostante le sue risoluzioni
di vivere in clausura, più teoriche che reali), praticò la politica della porta
aperta, senza discriminazioni di sorta: militari, indigeni, nomadi di passaggio, schiavi. E’ così che invitò un militare, di nome Paul Joyeux, che
aveva delle crisi di tristezza, a venire a passare un momento da lui ogni
sera, per conversare. Le sue relazioni erano intessute di delicatezza che
sa “con poco o niente, mettere un balsamo nel cuore: piccoli dettagli
sulla salute, sulle necessità quotidiane …”. L’importante è saper “consolare”.
16
L: Laici
Charles de Foucauld intravide, con grande anticipo sui tempi, il ruolo
che potevano avere i laici nella Chiesa e nell’evangelizzazione. Non dimentichiamo che solo col Concilio Vaticano II, si è rivalutato il ruolo dei
laici, ricordando che Gesù non apparteneva alla casta sacerdotale ed ha
vissuto per 30 anni il destino comune di tutti i laici: una vita di famiglia,
di lavoro, nel suo paese di Nazareth, lontano dal Tempio di Gerusalemme.
Ben presto, a contatto con i nomadi del deserto, fr. Charles si rese conto
della grande distanza fra il mondo ecclesiastico e quello della gente comune, si sentiva impotente per “far penetrare la luce cristiana in ambienti dove il prete non può andare”, e questa distanza era ancora
maggiore considerando la diversità di cultura fra l’evangelizzatore (e colonizzatore!) e le persone del posto.
Sognò allora di inviare nelle colonie “onesti commercianti, coltivatori,
artigiani” per aiutare nella promozione umana; sognò delle infermiere
che potessero curare le popolazioni senza né nome né abito religioso.
Sognò la fondazione di “una specie di terz’ordine missionario, come Priscilla e Aquila, ma senza essere affiliato a un ordine religioso”(Lettera a
Mons. Guerin, 1 giugno 1908) e aggiunse “dei buoni cristiani dei due
sessi …di tutte le condizioni sociali, celibi o sposati … le conversioni verranno da sole, man mano che si diffonderà l’istruzione, come maturano
i frutti”
E: Eucaristia
In tutti gli studi su Charles de Foucauld e sulla sua spiritualità, si è, a giusto titolo, insistito molto sul posto centrale che ha l’Eucaristia nella sua
vita … Cercherò qui, senza pretendere di essere esaustiva, di esprimere
ciò che personalmente mi tocca nel modo con cui fr. Charles si avvicinò
all’Eucaristia: questo grande mistero che bisogna avvicinare in punta di
piedi. Ciò che segue sono dunque delle riflessioni soggettive. Fr. Charles
non finì mai di meravigliarsi per il dono che il cristiano ha di vivere una
relazione con un Dio che, non solo gli viene incontro nell’Eucaristia, ma
17
si dona a lui, si lascia divorare da lui nel vero senso del termine … Il maresciallo Lyautey, che aveva assistito ad una messa celebrata da fr. Charles, era stato affascinato dalla sua maniera di vivere il mistero, pur in un
ambiente esteriormente miserabile e racconta così: “Questo eremo: una
catapecchia. La cappella: un miserabile corridoio a colonne, coperto di
ramaglie. Per altare: un asse. Come decorazione: un pannello con l’immagine di Cristo e dei candelieri di ferro bianco. Avevamo i piedi nella
sabbia. Ebbene, non ho mai visto dire la messa come la diceva Padre De
Foucauld. E’ una delle più grandi impressioni della mia vita”. …
Ricevendo il dono dell’Eucaristia, Charles
diventò dono a sua
volta, perché visse
con la stessa intensità
del sacramento del
Pane di vita, il sacramento del fratello, soprattutto del fratello
povero, sofferente, bisognoso
d’amore.
Charles de Foucauld
Come poter amare l’alquando celebrava la Messa nel deserto
tro se non si è fatta
l’esperienza di essere stati amati? Fr. Charles visse intensamente questo
va e vieni tra l’amore di Dio e l’amore del fratello. Passò dall’Eucaristia,
dono ricevuto, ad una vita eucaristica, cioè donata, condivisa. Con la sua
vita fuori dagli schemi, padre De Foucauld fu un testimone dell’invisibile.
È commovente quando esprime la sua gioia: “Dal 2 dicembre il Santissimo Sacramento è presente nella piccola cappella che Gesù si è dato a
Beni Abbès. Dunque ora ho, giorno e notte, questa dolce compagnia.
Sono molto felice.” (2 dicembre 1901) Sì, fare l’esperienza dell’Eucaristia
come “dolce compagnia”, è scoprire che nella vita non si è mai soli, poiché l’incarnazione del nostro Dio si prolunga fino a noi. Rifiutare di rice18
vere la comunione, - scrisse al suo amico Paul Joyeux, - è “un atto strano
e insensato, è come rifiutare di ricevere, di accettare, di possedere
Dio …!” (23 dicembre 1903). E’ privarsi di un grande bene!
S: Solitudine
Malgrado il suo continuo sogno di riunire dei fratelli intorno a sé, per
condurre con loro una vita cenobitica, fr. Charles visse da solo la maggior
parte della sua vita religiosa. C’è stato l’intervallo di fr. Michel ma fu di
breve durata. Ai suoi familiari, che si preoccupavano di vederlo restare
da solo, lontano dalla sua patria, in un ambiente così particolare, scrisse
per rassicurarli: “Non preoccupatevi di vedermi da solo, senza amici,
senza un aiuto spirituale; non soffro per niente di questa solitudine, la
trovo molto dolce, ho il Santissimo Sacramento, il migliore degli amici,
ho la Vergine Maria e San Giuseppe, ho tutti i santi; sono felice, nulla mi
manca”³.
A suo cognato ripetè, come un leitmotiv, il 9 dicembre 1907: “Sono felice,
felice della grande solitudine di questo
luogo (Tamanrasset)… felice soprattutto della gioia infinita di Dio”.
La solitudine fa da cassa di risonanza
per la sua vita interiore. E’ una solitudine abitata, da qui le sue esperienze
mistiche notturne quando il suo silenzio vibrava della presenza di Dio: “Intorno alla mia capanna tutto è così
buio! Nel mio cuore c’è tanta luce, o
mio Gesù … Io ti parlo e tu mi senti, mi
guardi; non sono solo … Solitudine, tu
sei una parola senza senso … non sono
mai solo, Gesù è sempre con me …”⁴ .
La cappella nell’eremo di Benì Abbès
³ Lettera a sua cugina Marie de Bondy, 16 dicembre 1905
⁴ Considerazioni sulle feste dell’anno
19
Ma soprattutto nella preghiera, nell’intimità con Gesù la solitudine diventa preziosa: “più saremo soli ai piedi di Gesù, più lo gusteremo”⁵.
Questo solo a solo è un “segreto delizioso”⁶.. Eppure l’accoglienza dei
fratelli, soprattutto dei poveri farà sì che la sua solitudine sia sovente interrotta: “Bussano alla porta almeno dieci volte all’ora … in modo tale
che pur con tanta pace, c’è tanto movimento” scrive a monsignor Guerin
il 30 settembre 1902.
L’alternanza tra la solitudine (il ritirarsi con Dio nella preghiera) e l’immersione nell’amicizia coi fratelli e le sorelle che ci circondano è come
un marchio di fabbrica di tutti i gruppi religiosi che si ispirano alla spiritualità del Beato Charles.
L’equilibrio tra questi due aspetti non sempre è facile, a volte crea tensioni, ma il nostro maestro Gesù di Nazareth non ha forse aperto per
primo questa strada, lui il Figlio diletto, tutto rivolto verso il Padre e totalmente aperto ai suoi fratelli?
⁵ Opere spirituali
⁶ Meditazioni sui santi Vangeli
20
FRANCE - Bonnefamille
Per più di 25 anni, le piccole sorelle Chantal, Jacqueline e Marie Thérèse
hanno vissuto nomadi con i nomadi, vivendo con il camper e la roulotte
negli accampamenti … Oggi, anche se si sono in parte sedentarizzate
e vivono nella fraternità di Bonnefamille, vicino a Lione, restano tuttavia fedeli al mondo dei nomadi e testimoniano le difficoltà e le gioie
di questa vita.
In un campo, nella Francia Centrale …
Siamo esterrefatte,
guardiamo bruciare
una casa, circondate
da donne e bambini
che piangono, che
hanno perso tutto … gli
uomini mettono rapidamente al riparo le
roulotte … i pompieri
sono al lavoro, ci vorrà
tutta la mattina per
spegnere il fuoco … arNella roulotte delle piccole sorelle:
rivano i familiari, qualpreghiera con i loro amici nomadi
che amico … questo
incendio è certamente doloso ed è la terza volta che si ripete in pochi
mesi per questa famiglia: hanno perso sette roulotte e adesso anche la
casa. Ci vuole un bel coraggio per appiccare il fuoco ad una casa dove si
sa che ci sono solo donne e bimbi piccoli. Devono la vita a un fattorino
che, passando da quelle parti alle 7 del mattino, ha visto del fumo uscire
dalla casa: ha svegliato tutti, ha fatto uscire i bambini, ha chiuso il gas e
ha chiamato i pompieri. Povera famiglia! La prima presso la quale c’eravamo fermate 20 anni fa arrivando nella regione del Berry … Il padre è
deceduto un anno fa, due figli sono morti di morte violenta, i generi
sono in prigione, drammi, storie complicate, ragazzi sempre al limite
21
dell’illegalità … e le donne cercano di far fronte alla situazione, tengono
duro, crescono i bambini nella precarietà, resistono con coraggio e anche
con la fede, nonostante tutto, la loro preghiera è un grido verso Dio …
“Signore, non ne posso più” ci diceva la madre.
Questo incidente è significativo del vissuto difficile di
molte famiglie “manuche”
del Berry. Grazie a Dio non
ci sono tutti i giorni dei
drammi così, ma spesso la
sedentarizzazione porta
con sé anche povertà, miseria, disadattamento …
Dovrebbero poter continuare a viaggiare, ma da
molto tempo le roulotte si
sono fermate, l’erba ha invaso ruote e assi e l’umidità
le arrugginisce … non
hanno il permesso di circolazione, né l’assicurazione e
i veicoli sono in pessimo
stato … anche nel mondo dei nomadi, il loro mondo, sono disadattati e
sopravvivono come possono. E’ un processo che non è nuovo e che non
riguarda solo loro, quante minoranze nel mondo hanno le stesse difficoltà! Ce ne sono alcuni che riescono a cavarsela, che cercano di trovare
un posto nella società, di dare un futuro ai loro figli, senza perdere
troppo la propria identità … La realtà dei manuche del Berry, è anche
quella di molti altri nomadi.
Noi abbiamo fatto un lungo cammino con questi “piccoli” e sentiamo
quanto le relazioni create siano ormai diventate amicizia, accompagnamento , a volte, condivisione profonda, quasi sempre … non abbiamo
22
fatto granché con loro, se non
stabilire delle relazioni semplici e
profonde, riconoscendoli per ciò
che sono: nostri fratelli e sorelle
… L’annuncio del Vangelo è passato, e continua a passare per
questi canali, nel rispetto e nell’ascolto di ciò di cui hanno bisogno per crescere.
Dalla primavera fino a tutto agosto, è per noi il periodo dei
viaggi: nel Berry per dei funerali
e per visitare le famiglie conosciute … poi i tre grandi pellegrinaggi, le Sante Marie del mare,
Ars e Lourdes, che ci permettono
di vivere insieme dei tempi forti,
Il pellegrinaggio alle Sante Marie del mare
per consolidare le relazioni, per
incontrare molta gente, vecchi e
nuovi amici. Dopo, durante l’anno, manteniamo i contatti con le telefonate e con i messaggi … fino agli incontri dell’estate successiva.
A livello nazionale, la pastorale dei nomadi sta rinnovandosi profondamente: per la prima volta nella storia il responsabile è un manuche (lo
conosciamo da oltre 30 anni) e il suo assistente è pure un giovane manuche; sono accompagnati dal cappellano nazionale del mondo dei giostrai e da un diacono di Metz. Anche il vescovo responsabile conosce
molto bene questa gente nomade, abbiamo lavorato con lui per oltre
10 anni.
Questa nuova equipe ci fa sperare che i nomadi abbiano un posto nella
Chiesa e che ciò li stimoli ad impegnarsi ulteriormente, là dove vivono,
a servizio dei loro fratelli. Apprezziamo l’impegno di questo gruppo per
i più poveri, per quelli che non si spostano e che non fanno parte di nes23
suna comunità carismatica. Il rinnovamento del gruppo passa anche attraverso la presenza e il lavoro dei diaconi e delle loro mogli: data la carenza di preti, i Vescovi nominano sempre di più dei diaconi come
cappellani.
A Bonnefamille, questi due ultimi anni, abbiamo intensificato la nostra
presenza presso i nomadi del territorio, molto numerosi nell’Isère …
sono un po’ diversi nel loro modo di vivere rispetto ai manuche del
Berry. Per lo più sono del gruppo Yeniche: più “ambiziosi”, più adattati
al nostro mondo, più desiderosi di riuscire … questo non impedisce che
ci siano problemi, anzi a volte li complica! Per il momento abbiamo
scelto di essere presenti nel territorio vicino a noi … e ad altre famiglie
meno raggruppate . È già un bel po’ di gente!
Andare nei campi nomadi significa: molte visite, date e ricevute, presenza quando c’è qualche avvenimento, preparazione ai sacramenti, accoglienza quando vengono nella nostra fraternità.
Per il clan di Bourgoin (la città vicina) l’impegno è anche maggiore; infatti
il loro cappellano si è ritirato per raggiunti limiti di età e le donne ci
hanno chiesto di fare il catechismo ai bambini. Abbiamo accettato a condizione che anche loro si coinvolgano; ne è nato un bel lavoro d’équipe
in collaborazione ed amicizia.
Ci tengono molto e questo è anche occasione di formazione per loro
stesse; è una catechesi semplice, ma che le obbliga a leggere la Parola
di Dio, a preparare ciò che devono fare con i bambini … Entusiaste di
questa esperienza sette di loro hanno chiesto la cresima e si sono preparate con molta costanza e serietà per diversi mesi.
Nel lavoro di evangelizzazione collaboriamo con un diacono, con sua
moglie e con un’amica di Villefontaine, molto in gamba.
Bonnefamille è veramente una fraternità d’accoglienza, infatti delle famiglie nomadi, amiche di lunga data, cominciano a venire per passare
qualche giorno di condivisione e di preghiera con noi. Le famiglie più vicine a volte vengono per la messa e per un pasto insieme.
24
FRANCE - Montpellier
In giugno abbiamo celebrato, a Bruxelles, il giubileo (50 anni di vita
religiosa) di tre piccole sorelle belghe, Maria, Rita e Sabine. Sono le
prime tre che hanno fatto i voti nella Fraternità delle Piccole Sorelle
del Vangelo, unendosi al gruppetto delle Piccole Sorelle di Gesù che
avevano dato inizio alla congregazione.
Ecco la testimonianza di piccola sorella
Maria.
50 anni di vita religiosa. Spontaneamente,
nel mio cuore nasce un canto di ringraziamento. Il Signore ha fatto per me meraviglie
… Nella sua Fedeltà e nel suo Amore, mi ha
guidata, mi ha accompagnata giorno dopo
giorno sul mio cammino.
Nel 1956 cominciò per me un cammino imprevedibile. Conclusi gli studi, partii per Bruxelles per vivere in una comunità di accoglienza per donne provenienti
dal mondo della prostituzione; per me, che all’epoca ero uscita poco dal
mio paesino, fu una vera avventura. Vissi contenta questo servizio per
10 anni. Dopo i primi anni si formò un’équipe di quattro educatrici, tra
cui Sabine e Rita e tutte cercavamo una forma di vita religiosa che si coniugasse con la nostra vita in casa-famiglia. Fu padre Voillaume ad illuminarci. Ci parlò della recente fondazione delle Piccole Sorelle del
Vangelo nella spiritualità di Charles de Foucauld: una vita contemplativa
che sarebbe stata la sorgente della missione vissuta tra i poveri e gli
esclusi. Nell’agosto 1965 andammo a Bonnefamille, un paesino in provincia di Lione, dove cominciammo il postulato, seguito dal primo noviziato della nascente congregazione.
Per me lasciare il Belgio, la mia famiglia, la casa famiglia e partire per la
Francia, era un po’ una follia, ma spinta da una forza interiore, mi impegnai con i voti il 13 novembre 1966.
25
1968: grande partenza verso l’incognito, l’avventura con Dio continuava.
Dopo una traversata di 12 giorni in mare, arrivai in Venezuela, a Caracas,
una grande città, e subito proseguii il viaggio verso l’interno del paese
per raggiungere Santa Maria, villaggio indio in piena foresta amazzonica,
a circa una settimana di piroga.
L’adattamento non fu
cosa da poco, ma aiutata dalle sorelle già
presenti, avanzai passo
passo nella conoscenza della lingua e
della cultura.
Dopo 5 anni di vita in
foresta, ritornai in
Francia per due anni di
studi di teologia, per
prepararmi meglio alla
missione presso gli indios. Ma, sorpresa!, fui
inviata a Beni Abbès,
una bella oasi nel deMaria al centro nell’eremo di Benì Abbès
serto dell’Algeria, dove
visse fr. Charles. Là una
realtà ben diversa mi attendeva. Dopo 5 anni ritornai in Francia, questa
volta per un servizio di congregazione.
Tappa dopo tappa, la strada degli imprevisti continuò.
1988 … Una nuova partenza, verso un paese che non conoscevo, per
fondare una fraternità ad Haiti, a Port au Prince. Temevo questa missione e dicevo: “Signore, non io ma tu realizzerai quest’opera”. Ebbi il
tempo di amare questo popolo, di lavorare insieme per la fondazione di
una piccola scuola e di avviare la comunità cristiana, prima parrocchia
in mezzo alla bidonville.
26
Lasciare tutte le relazioni di amicizia createsi in 22 anni non fu senza sofferenza, ma la missione non ci appartiene; tutto è DONO e la chiamata
esige una risposta d’AMORE. Gesù domanda a Pietro: “Mi ami tu?” Poi
gli dice: “Seguimi”. Nelle tre domande che gli pone non c’è nessun rimprovero, eppure Pietro lo aveva rinnegato tre volte. La fiducia è rinnovata e Gesù ci viene incontro.
Grazie alle diverse esperienze vissute posso affermare che Gesù conosce
le nostre fragilità, le nostre paure, i nostri rifiuti di amare, ma la sua domanda, piena di tenerezza e di misericordia mi è posta nuovamente ogni
volta: “Mi ami tu?”. Allora, nella certezza di essere amata così da Dio,
continuo il mio cammino ora a Montpellier. Nell’oggi voglio vivere la
bella vocazione di piccola sorella del Vangelo, vocazione che amo, e nella
fiducia ripeto il mio “sì” semplicemente nell’umiltà: il Signore continuerà
la sua opera.
Allora, con fr. Charles prego: “Padre, mi abbandono a te”.
Le fraternità vogliono essere un luogo fraterno,
dove sgorghi il vangelo di amore, di giustizia, di pace”
Costituzioni n. 37
27
MADAGASCAR - Arivonimamo
Piccola sorella Cathe racconta gli inizi della
nostra terza fraternità in Madagascar.
Fare del grande terreno annesso alla casa
una fonte per l’autofinanziamento della
fraternità è uno dei compiti affidati alle
quattro piccole sorelle presenti: Giovanna,
Cathe, Marie e Emilienne
Oggi, dopo quasi due anni di presenza ad
Arivonimamo, voglio ripercorrere ciò che
abbiamo vissuto dal nostro arrivo qui.
La prima preoccupazione è stata cercare una
casa e un terreno da coltivare e questo non è stato facile. All’inizio, parlando con delle persone della parrocchia, avevamo pensato di comperare un terreno fuori città. Abbiamo avuto una proposta, ma dopo un
tempo di riflessione, vi abbiamo rinunciato perché era troppo lontano
dal centro città. Siamo passate attraverso momenti di scoraggiamento
con la tentazione di abbandonare il progetto, ma finalmente la “stella
del mattino” si è levata, attraverso la parola del presidente del distretto
che ci ha detto: “Andate a parlare col prete e con il vescovo per chiedere
se potete occupare
quel tale terreno che
appartiene
alla
Chiesa diocesana e
che è abbastanza vicino al centro città”.
Quando abbiamo
visto il terreno in
questione, abbiamo
avuto un momento
di esitazione, perché
era coperto da una
28
vera foresta di eucalipti e inoltre in alcuni punti era stato occupato dai
vicini per i loro orti. Tuttavia, con l’accoglienza e l’incoraggiamento dei
responsabili, abbiamo finito per accettare. Le persone che coltivavano
alcune parti di questo terreno hanno quasi tutte accettato di ritirarsi e
hanno persino manifestato la loro gioia che una comunità religiosa venisse a stabilirsi lì. La loro accoglienza ci ha molto colpito.
Per raggiungere il terreno che sarebbe diventato il nostro bisognava costruire una strada. In chiesa è stato dato l’annuncio di costituire un
gruppo di volontari per aiutarci. Il giorno fissato si sono presentate una
quarantina di persone, ognuno con una pala, un badile, un piccone, o
una cesta (per trasportare la terra)… e tutti si sono messi all’opera. E’
stato molto bello, peccato che non avessimo di che filmare! La gente
che passava si fermava per vedere questo strano cantiere. Una “nonna”
pure ha voluto partecipare pur sapendo di non poter fare granché. Era
commovente! Altri, che non hanno potuto venire, hanno mandato del
riso o del denaro per comprare da mangiare, perché naturalmente abbiamo preparato da mangiare per tutti. Ancora oggi, quando abbiamo
bisogno, c’è sempre chi è pronto a venirci ad aiutare. Ora la casa comincia a sorgere da terra e noi cerchiamo di coltivare una parte del campo
con le colture tradizionali del paese: patate, mais, soia, fagioli, riso. Bisogna dire che, per il momento, non lottiamo ad armi pari contro le erbacce che, in questa stagione delle piogge, lavorano più svelte di noi.
D’altra
parte
anche i polli e i
buoi dei vicini
contribuiscono a
diserbare, ma
non sempre nel
modo giusto!
Meno male che
le postulanti e le
sorelle di Antananarivo ogni
29
tanto vengono a darci
una mano, ma fin
quando non avremo
recintato il terreno e
non vivremo sul
posto, non possiamo
sognare di avere un
buon raccolto. Inoltre
bisogna considerare
che il terreno è
grande quasi un ettaro e mezzo.
Tuttavia non abbiamo aspettato di avere questa “terra promessa” per
cominciare a vivere la nostra missione. Per il momento abitiamo in una
piccola casa in affitto, proprio immerse in mezzo alla gente. E’ una tappa
importante per conoscere la popolazione attraverso le relazioni della
vita ordinaria. Le nostre giornate sono già ben occupate. Marie va regolarmente “in tournée” col parroco nelle zone di campagna, per le messe
domenicali, incontra la gente e talvolta fa il catechismo. Partecipa pure
alle riunioni del distretto, formato dalla parrocchia con le varie cappelle
sparse nella campagna.
Quando glielo chiedono, è disponibile per accompagnare i parrocchiani
per dei ritiri spirituali. Con una catechista ha risposto alla richiesta di un
gruppo di ragazze che volevano imparare a cucire e, in cambio, loro sono
venute due giorni a darci una mano nel campo. Marie partecipa anche
alla preparazione della chiesa per le celebrazioni della domenica.
Per quel che mi riguarda ho trovato un lavoro nel dispensario del liceo,
quattro mattine la settimana. Sono anche impegnata nella catechesi e
quest’anno accompagno il gruppo di “integrazione”: si tratta di una ventina di persone provenienti dalla Chiesa protestante, che desiderano essere integrate nella Chiesa cattolica. Ci sono molti ragazzi che
partecipano al catechismo, ma ci si può domandare in che modo più
30
tardi la fede sarà veramente una luce per la loro vita, poiché il contesto
è piuttosto lontano dai valori cristiani. E’ importante, nonostante tutto,
camminare con questi ragazzi e cercare di trasmettere loro qualcosa di
questi valori.
Da un po’ di tempo ho cominciato ad andare alla prigione, una mattina
alla settimana, con due signore che mi aiutano nella catechesi; abbiamo
preparato tre uomini alla cresima e attualmente altri tre si preparano
al battesimo. Cerchiamo anche di insegnare loro a intrecciare la rafia
per confezionare dei cappelli o delle borse; questo può permettere loro
di guadagnare qualcosa per quando usciranno dalla prigione. Sempre
con i carcerati abbiamo anche fatto dei dolci e delle pizze, con i mezzi
che avevamo a disposizione: solo una pentola!
C’è anche una signora che insegna loro a costruire dei camioncini giocattolo. Purtroppo manchiamo un po’ di continuità in questo lavoro, se
noi non ci andiamo, il lavoro si blocca. Bisogna anche occuparsi di vendere i manufatti; i cappelli sono venduti presso la chiesa e poi abbiamo
trovato una signora che accetta di vendere gli altri prodotti sul mercato,
insieme al proprio commercio.
Ultimamente la fraternità di Antananarivo ci ha dato due scatoloni di
libri e della carta per scrivere, che abbiamo distribuito ai carcerati. Tutti
ne sono stati molto contenti.
Vi ho voluto trasmettere ciò che abbiamo vissuto e i segni della Provvidenza che Dio ci ha donato. Posso dire che, malgrado i nostri limiti e la
nostra fragilità, la gioia di vivere la nostra missione è più forte di tutto.
Dobbiamo aver fiducia in questo Dio che ci ama tanto e dobbiamo cercare, attraverso quello che viviamo, di manifestare la nostra tenerezza
e il nostro amore per tutti.
31
SALVADOR - San Salvador
Numerosi uomini e donne del Salvador scelgono di emigrare verso il
nord America, come unica possibilità di avvenire, ma l’avventura è pericolosa e sovente fallisce. Piccola sorella Maryse ci parla di ciò che
vive in Salvador accanto a coloro che ritornano dopo aver tentato inutilmente di attraversare la frontiera degli Stati Uniti.
Dal febbraio 2015 partecipo, con delle religiose, alla commissione “Giustizia, pace e salvaguardia del Creato”, della Conferenza dei Religiosi/e
del Salvador. Andiamo come volontari ogni settimana in un Centro governativo che accoglie i migranti rimpatriati, arrestati in Messico, mentre
tentavano di raggiungere clandestinamente gli Stati Uniti. Vorrei parlarvi
di ciò che rappresenta qui il problema dell’emigrazione.
Dal tempo della guerra civile (anni ’80) l’emigrazione è una realtà quotidiana, in Salvador, per diverse cause. Oggi è specialmente la mancanza
di lavoro, le poche opportunità che il paese offre di vivere dignitosamente, l’attrattiva degli Stati Uniti, il ricongiungimento familiare, a cui
si aggiunge la violenza delle “maras”⁷, che provoca una migrazione interna ed esterna per intere famiglie e per i giovani che rifiutano di entrare in queste gangs.
I paesi verso cui emigrano sono, innanzitutto gli Stati Uniti, ma anche il
Messico, l’Italia, la Spagna, il Canada, l’Australia e altri paesi dell’America
Centrale e del Sud. Ogni giorno, circa 300 persone lasciano il paese, la
maggior parte verso gli Stati Uniti, passando per il Guatemala e il Messico e praticamente lo stesso numero, ogni giorno, dal lunedì al venerdì,
viene rimpatriato, in bus o in aereo, e torna al punto di partenza. Diventa
sempre più difficile entrare negli Stati Uniti: c’è un forte controllo in tutto
il territorio messicano, il governo degli Stati Uniti passa al governo del
Messico una somma di denaro per ogni persona rinviata al proprio
paese, c’è dunque una vera caccia al migrante, per la maggior parte salvadoregni, honduregni e guatemaltechi. Inoltre il percorso è molto pe⁷ Nome dato a dei gruppi violenti e criminali, che controllano il territorio,
vivendo di rapine e di droga.
32
ricoloso; si tratta del corridoio migratorio più grande del mondo, circa
5000 chilometri di frontiera e ci vogliono 25 giorni per percorrerlo a
piedi, con temperature estreme, umiliazioni, violenze all’integrità fisica
ed emotiva, stupri, rapine, rapimenti, fino al rischio di perdere la vita.
L’altra settimana ha avuto luogo una conferenza stampa, organizzata da
istituzioni che operano a favore dei migranti, per denunciare i maltrattamenti che subiscono sia in Messico che negli Stati Uniti e per chiedere
la libera circolazione delle persone e la loro sicurezza.
Il numero di cittadini salvadoregni che vivono negli Stati Uniti supera i 2
milioni, un terzo dell’intera popolazione del Salvador; alcuni hanno la
residenza, ma molti sono illegali, anche se vivono nel paese da più di 10
anni. Le leggi sulla migrazione sono molto severe e oggi è diventato
quasi impossibile essere regolarizzati, i migranti in situazione illegale vivono nella continua paura di essere arrestati dalla “Migra”⁸. Eppure tutte
queste difficoltà non scoraggiano il desiderio di andare al nord e non
bloccano il flusso migratorio.
Ogni martedì vado al
Centro di Accoglienza;
è il giorno, insieme al
venerdì, in cui arrivano le famiglie e i minori
non
accompagnati, gli altri
giorni ci sono gli adulti
soli. Abbiamo una
buona relazione con il
personale, che ci ha
chiesto di dare una
mano per intrattenere
i bambini, mentre i genitori sono occupati per le
pratiche amministrative.
Alcuni migranti rinviati nel loro paese
⁸ Nome della Polizia per le Migrazioni
33
Li riceviamo in un apposito spazio, dove possono giocare, colorare, ascoltare le storie, distrarsi dopo quello che hanno vissuto. Ogni volta arrivano una ventina di bambini, da pochi mesi ai 14 anni, e un ugual
numero di adolescenti, dai 15 ai 18 anni, che hanno viaggiato soli. Gli
adolescenti vengono presi in carico dall’Istituto Governativo per l’Infanzia e l’Adolescenza (ISNA) fin quando un adulto della famiglia, dopo un
lungo iter amministrativo, viene a recuperarli. Ho pure l’occasione di
parlare con le famiglie
e gli adulti che arrivano e di ascoltare la
loro storia, quello che
hanno vissuto durante
il viaggio e il motivo
della loro partenza.
Hanno bisogno di raccontare la loro sofferenza, cosa li ha
condotti a prendere la
decisione di partire, di
lasciare la famiglia, la
casa, il paese dove
Maryse intrattiene i bambini al Centro di Accoglienza
erano cresciuti, dove
avevano lavorato e si
erano costruiti una vita a costo di tanti sacrifici e che hanno dovuto abbandonare, alcuni dall’oggi al domani. A volte non sanno neppure dove
andare, ora che sono tornati, perché non hanno più niente e per ragioni
di sicurezza non possono più tornare là dove vivevano. Sono dei veri
drammi quelli che ascolto ogni martedì, mi sento impotente, non ho
nessuna soluzione da offrire, posso solo dir loro che li porto nella mia
preghiera. Ringraziano per l’ascolto e per il tempo che dedico loro. Sono
gli stessi drammi che ascolto dai familiari che vengono a prendere gli
adolescenti: il più delle volte questi ragazzi sono dovuti fuggire per sottrarsi alle bande delle maras e alla morte. Un giorno una mamma mi diceva: “Mio figlio vive un inferno, ha dovuto abbandonare la scuola e non
34
può uscire da casa perché è sorvegliato; se esce, lo sequestrano e non
lo rivedrò più. Preferisco che cerchi di andare al Nord, pur con tutti i rischi che corre, ma,almeno, se ce la fa, ha una speranza di vita. E’ lui che
deciderà se vuole riprovarci”. Questo vi dice fino a che punto la situazione dei giovani è critica. In Salvador è un delitto essere giovani, è ciò
che sentiamo dire quasi ogni giorno.
Una buona notizia per tutte queste persone in fuga: Monsignor Romero,
di cui abbiamo celebrato il primo anniversario della beatificazione, il 23
maggio, si è fatto migrante per accompagnare il suo popolo.
Nel mese di maggio una sua statua ha visitato diverse parrocchie del
Salvador, tra cui la nostra e poi, nei giorni successivi, Monsignor Romero,
ha passato la frontiera del Guatemala, poi ha attraversato il Messico, seguendo la stessa strada dei migranti, e ha continuato il suo viaggio fino
negli Stati Uniti, dove è stato accolto da dei migranti che vivono là. Egli
non abbandona il suo popolo che soffre e il suo popolo non lo dimentica.
Nell’anno della misericordia siamo stati chiamati a tenere aperto il nostro cuore per accogliere lo straniero là dove siamo.
“Gesù vuole che abbiamo tra di noi e per ogni uomo un
amore tenero e forte e non dobbiamo stancarci di realizzarlo, nonostante gli ostacoli più insormontabili, i fallimenti
più evidenti, nella pazienza di un continuo ricominciare,
aspettando l’ora in cui Gesù verrà a cambiare tutto in noi”.
(Padre René Voillaume: “Lettere alle fraternità, libro II”
Tamanrasset, 25 dicembre 1950)
35
FRANCE - Pierrefitte
Piccola sorella Christine racconta le sue impressioni e la sua esperienza
nel campo di rifugiati a Calais, la cosiddetta “giungla”, dove vivevano
circa 10.000 migranti. Nel frattempo la situazione del campo è cambiata, ma la realtà di tanti uomini e donne, alla ricerca di una terra
che li accolga, rimane la stessa.
Da parecchi mesi in Europa si continua a parlare di migranti e di crisi migratoria. Anche questo week-end abbiamo sentito parlare di centinaia
di morti, naufragati nel Mediterraneo. Tante frontiere si chiudono, nuovi
muri si innalzano … A volte si ha l’impressione che si parli di numeri o di
pedine e non di persone: uomini, donne e bambini. Vorrei raccontarvi
qualche incontro con questi nostri fratelli e sorelle venuti da lontano e
che porto dentro di me.
Comincio da Calais, questa città portuale sulla costa francese, partenza
per l’Inghilterra. Da diversi anni è conosciuta soprattutto a causa di migliaia di migranti presenti in attesa di poter raggiungere clandestinamente l’Inghilterra. Regolarmente Calais riempie la cronaca dei
mass-media: evacuazioni, violenze tra migranti o con la polizia, gravi incidenti di migranti che tentano di saltare su un camion o di passare attraverso il tunnel della Manica. Quanti vi hanno perso la vita!
Il 12 maggio 2016 ho potuto accompagnare una delegazione di vescovi
francesi a Calais, tra cui il presidente della conferenza episcopale, e il responsabile della Pastorale dei Migranti, dove lavoro. Abbiamo vissuto
questa giornata lontano dalle cronache mediatiche o dai discorsi politici:
era una giornata di incontri e di condivisioni, che mi ha molto toccata.
Già all’uscita della stazione ci siamo resi conto di trovarci in una situazione particolare. Sembrava di essere in una prigione: filo spinato, diverse barriere di inferriate disposte parallelamente tra di loro, terreni
inondati … tutto è fatto per impedire ai migranti di avvicinarsi ai treni
che partono per l’Inghilterra. Siamo stati accolti e accompagnati per
tutta la giornata dai responsabili e volontari del Secours Catholique (Caritas francese) e da due preti di Calais, tutti molto attivi. Ci hanno per36
messo di conoscere dal
di dentro questa realtà,
entrando nella bidonville e soprattutto ci
hanno fatto incontrare
delle persone.
Dopo una breve introduzione, eccoci partiti
verso la grande bidonville alla periferia della
città, che da un anno è
il solo posto dove i miFra tende e baracche
granti possono installarsi (al momento della
nostra visita il loro numero era stimato tra i 3000 e i 4000). All’inizio era
solo un terreno vago, con un piccolo centro di accoglienza. Ultimamente
è stata realizzata qualche struttura di servizio, pur lasciando le persone
in condizioni molto precarie. Avvicinandosi al campo si vede innanzitutto
l’immenso terreno evacuato in primavera, ove quasi tutto è stato distrutto; si notano qua e là, sul terreno, resti di stoffa o di plastica. Qualche mese fa qui c’erano ancora centinaia, se non migliaia (o più), di
tende e baracche. Oggi rimane solo una chiesa e due o tre strutture comuni scampate alla distruzione di questa parte sud del campo. Ci sono
poliziotti ovunque e poi i migranti che vanno e vengono sulle stradine o
sulla strada che costeggia la baraccopoli.
Ci avviciniamo al centro Jules Ferry, un piccolo centro di accoglienza per
donne e bambini, qualche container per i malati e dei grandi capannoni
aperti, per la distribuzione del cibo e la ricarica dei cellulari, poi dei container per le docce e un campo sportivo …
Oggi il tempo è bello (quasi niente fango!) e c’è tanta gente in giro, dei
migranti, ma anche dei volontari e stipendiati facilmente riconoscibili
dai giubbotti col nome delle associazioni a cui appartengono: Secours
37
Catholique, Vie Active,
e altre. Sono sia pensionati sia giovani, francesi
o immigrati già integrati
in Europa, che a loro
volta si mettono al servizio dei loro fratelli e
sorelle. Incrocio lo
sguardo dei migranti:
alcuni stanchi, altri sorridenti, altri ancora con
uno sguardo profondo
che
la dice lunga sulla
Anche dei piccoli negozi
loro storia di erranza, di
sofferenza. Ci sono tantissimi giovani, molti africani. Hanno percorso migliaia di chilometri prima di arrivare qua; certi sono passati dal deserto,
altri hanno attraversato il Mediterraneo con imbarcazioni di fortuna. La
storia di ognuno rimane nel loro intimo.
Costeggiamo una grande roulotte. Un pannello, scritto a mano con colori
vivaci, in inglese e in arabo, indica: “MEDICINA ALTERNATIVA CONTRO I
DOLORI”. Il responsabile, anch’egli migrante, ci spiega che fanno soprattutto dell’agopuntura per lenire i dolori. Allusione a tanti traumi, sofferenze e tensioni che le persone portano nella propria carne.
Un po’ più in là entriamo nel “Centro di accoglienza provvisorio” (CAP),
installato di recente: un villaggio di container per 1500 persone; in
ognuno ci sono 12 letti in uno spazio riscaldato e rassicurante. In mezzo
qualche container più grande, spazi comuni come quello per le famiglie.
Incontro un papà afgano con i suoi due bambini. Scambiamo qualche
parola in inglese. Abita in un container con tutta la famiglia e uno zio.
Non oso chiedergli se aspettano l’asilo in Francia o una possibilità di passare in Inghilterra. Poi il bambino reclama rapidamente la nostra attenzione, per giocare, come tutti i bambini!
38
Dopo la visita della parte strutturata, entriamo a piccoli gruppi nella
“giungla”, la grande zona dove ognuno si installa come può: con tende
o baracche. Lungo la strada principale troviamo piccoli negozi con prodotti di prima necessità, o anche dei “ristoranti” che vendono piatti preparati. Sono impressionata dall’ingegnosità e dalla tenacia delle persone,
dalla loro forza di vivere. Incontriamo un gruppo di Afgani. Siccome il
nostro accompagnatore del Secours Catholique parla persiano, possiamo parlare un po’ di più con loro. Quasi tutti sperano di poter raggiungere l’Inghilterra, la metà di loro ha dei familiari laggiù. Il capo del
gruppo è un imam afgano. Dietro di lui vediamo una grande tenda: la
moschea, una fra le tante, nel campo. I musulmani vi si riuniscono regolarmente per la preghiera. La fede ha un posto essenziale per loro …
L’imam ci tiene a condurci un po’
più in là, fuori dalla strada principale, verso una baracca in
legno, 3 metri per 4, è la
scuola! Costruita dall’’UNICEF ci dice. Ci sono una decina di
persone che imparano il francese. Le frasi sulla lavagna lo
testimoniano:
“Bonjour”,
“Comment
allez-vous?”.
Uscendo ci invita a prendere il
tè, un buon té zuccherato, con
qualche biscotto!
Continuando il nostro percorso, vediamo più lontano la
chiesa eritrea ortodossa, che si
innalza in mezzo al terreno
sgomberato, dove si mescolano terra e macerie. È fatta di
legno e di teloni di plastica, a
forma di croce. L’interno è at-
La chiesa eritrea ortodossa
39
trezzato con cura, con immagini della Madonna e di qualche santo e con
dei tappeti sul pavimento. Ci togliamo le scarpe ed entriamo per qualche
minuto. Davanti a noi un uomo in ginocchio prega; sentiamo i suoi singhiozzi … La mia preghiera sale in silenzio, abitata da tutti questi volti,
tutte queste persone incontrate. Guardo la croce al centro della chiesa.
Quante sofferenze e quante speranze sono depositate ai suoi piedi?
Uscendo parlo un po’ col guardiano della chiesa (con l’inglese si riesce
ad avere un minimo di comunicazione con la maggior parte delle persone). Mi dice quanto la fede sia importante per lui, per tutti i cristiani
che si riuniscono in questa chiesa.
Durante tutta la visita, incontriamo diversi volontari e stipendiati, tante
persone che si mettono a servizio. Molti vengono da fuori: da altre parti
del dipartimento o della Francia; molti anche dall’’Inghilterra.
Più tardi incontro fratel Johannes, giovane benedettino belga, molto impegnato con i migranti. Lo riconoscono facilmente col suo lungo abito e
la sua presenza di religioso sembra essere importante. Mi parla del progetto di una casa per giovani volontari e qualche migrante, in collaborazione col “Secours Catholique”, impostata su una vita comunitaria
semplice, a servizio dei migranti o di altre persone in condizioni precarie,
e una vita di preghiera e di fede. Ascoltandolo ho voglia di restare e investirmi nel progetto …
Il pomeriggio è dedicato all’incontro con i parrocchiani e i volontari.
Monsignor Pontier⁹ li invita a parlare della loro esperienza, a esprimere
gioie e difficoltà: “Questa esperienza che cosa ha smosso in voi?” Poco
a poco le persone prendono la parola: “Non ho potuto restare indifferente”, “Abbiamo accolto dei migranti a casa nostra, sovente per ricaricare il cellulare, a volte anche per la notte, quando c’era posto”;
“Riceviamo tanto da loro, molto di più di ciò che noi possiamo dare”. E’
un momento forte di ascolto, di condivisione. Emergono anche le sofferenze: “Mio figlio non viene più a trovarmi da quando ricevo i migranti”.
⁹ Il presidente della Conferenza Episcopale Francese
40
Si sente quanto la fede sia il motore per queste persone, senza tanti
discorsi. Mettersi a servizio, dare una mano come si può, senza far
rumore …
Terminiamo la giornata con l’Eucaristia in parrocchia, celebrando la presenza di Cristo in questa realtà, pane del cammino, per continuare a servire …
Quello che vedo in questa giornata a Calais, evoca in me la realtà in
Seine-Saint-Denis,10 dove abito. Anche là ci sono tanti migranti, certo
meno concentrati, eppure mi viene da pensare a tutte quelle persone
che incontro quando faccio l’accoglienza al Secours Catholique, ogni lunedì, tutti quei volti che portano i segni dell’esilio, ripenso alla storia di
ognuno. Penso a quel giovane a cui avevano ucciso quasi tutta la famiglia, davanti ai suoi occhi; o un altro giovane, bengalese, amputato ad
una gamba … A volte possiamo aiutarli per le procedure amministrative
per ottenere i documenti, o l’assistenza sanitaria, oppure li aiutiamo per
le spese di trasporto. Per altre cose siamo piuttosto impotenti. Però possiamo sempre offrire un cuore aperto, un cuore che ascolti, una parola
di incoraggiamento o di comprensione. E per molti di loro è già qualcosa.
Penso anche alle piccole sorelle che vivono con me: Catherine, che fa
corsi di francese nel quartiere, e Anne Marie che, nelle sue visite all’ospedale di Saint Denis con la pastorale dei malati, incontra tanti immigrati.
Naturalmente penso anche al mio lavoro al Servizio Nazionale della Pastorale dei Migranti. Non è direttamente con le persone migranti, ma è
al servizio dei migranti in tutte le diocesi, attraverso la rete dei gruppi
che s’impegnano in questo settore. Sono in contatto con la realtà dei
migranti in tutta la Francia: lavoro di sostegno, di accompagnamento
delle equipe, di formazione. Sono molto toccata dalla generosità e dalla
creatività delle persone che continuano a occuparsi dei fratelli e delle
sorelle migranti, nonostante il clima di paura e di xenofobia che ci cir10
Dipartimento alla periferia di Parigi
41
conda. Vi porto qualche esempio: a Nizza, la pastorale dei migranti raccoglie cibo, abiti e prodotti per l’igiene personale, che poi distribuisce
ai migranti, che sono trattenuti alla frontiera tra l’Italia e la Francia. A
Besançon c’è un gruppo che organizza attività ricreative e incontri, nei
mesi estivi: gite, serate di barbecue, week end in campagna presso famiglie francesi. A Mans, la delegata si è battuta per ottenere i documenti
per diverse persone, c’è riuscita e ha persino trovato un lavoro per loro,
in un’impresa locale. Potrei citare tanti altri esempi che ho potuto conoscere in questi ultimi mesi. Grazie, Signore, per tutte queste persone
che si coinvolgono!
La Chiesa ha detto più di una volta che le migrazioni sono un segno del
nostro tempo. Sono convinta che attraverso di esse Dio ci chiami e ci voglia dire qualcosa. La nostra umanità e la nostra fede ne sono interpellate. Apriamo il nostro cuore o lo chiudiamo? Ogni incontro ci invita ad
un cammino per diventare veramente umani. E ci spinge oltre, su questo
cammino, a seguire il Cristo, presente in ognuno dei più piccoli (Mt. 25).
Quanto è importante che i cristiani siano presenti nei luoghi di frattura!
E non c’è qui anche una chiamata per i religiosi, per le religiose, per la
Fraternità?
42
LA NOSTRA CASA COMUNE
Piccola sorella Vanna ha partecipato ad un forum sulla vita della
Chiesa, all’Istituto Cattolico di Parigi. Fa il collegamento fra la sua esperienza concreta ad Haiti e l’enciclica del Papa “Laudato sii”. Ultimamente Haiti è stata colpita dal ciclone Matthieu, un ulteriore dramma
che distrugge la “casa comune”.
Prima di venire in Francia per un periodo di studi, sono stata 4 anni ad
Haiti nella nostra fraternità alla periferia di Port-au-Prince, in un quartiere, “prodotto delle disuguaglianze e della ingiustizie del paese e del
mondo”. Durante quel periodo ho avuto dei comportamenti da far rivoltare qualsiasi lettore della “Laudato sii”: a causa della mancanza di
un sistema di raccolta delle immondizie, bruciavamo in un bidone tutto
ciò che era infiammabile e gettavamo tutti gli altri rifiuti quotidiani in
un piccolo ruscello. L’organico era molto apprezzato dai maiali che vivono là liberamente.
Questo ruscelletto passa nel
mezzo del quartiere, un agglomerato “selvaggio” super popolato, privo di un sistema di
acqua e di fognatura.
Nella fraternità abbiamo un
pozzo nero, ma la maggior
parte della gente del quartiere
non ha neppure potuto scavare un buco abbastanza profondo per questo uso.
Si servono perciò di un secchio
che svuotano regolarmente
nello stesso ruscelletto dove,
ogni mattina presto, degli uomini, camminando in queste
43
acque, raccolgono gli oggetti in plastica. Durante questi anni ho anche
usato un’enorme quantità di candeggina, bisognava scegliere tra inquinare l’acqua o prendere il colera.
Anch’io ho distrutto la natura. Non avevo scelta! In quest’isola tropicale
resta solo l’1,5% di foresta! Il disboscamento è una piaga profonda che
ha distrutto l’ecosistema e peggiorato la vita, già tanto difficile, della
gente.
Ho visto coi miei occhi quanto l’assenza di natura contribuisca a disumanizzare l’uomo, quanto la violenza dei bambini del quartiere fosse
dovuta anche a questa mancanza.
Come può un bambino vivere 365 giorni all’anno in un ambiente sporco
dove dominano il cemento e la polvere? Io per prima avevo un bisogno
viscerale di verde!
Davanti a questa realtà, le parole del Papa assumono forza: “Vorrei osservare che spesso non si ha chiara consapevolezza dei problemi che colpiscono particolarmente gli esclusi. Essi sono la maggior parte del
pianeta, miliardi di persone. (…) un vero approccio ecologico diventa
sempre un approccio sociale che deve integrare la giustizia nelle discussioni sull’ambiente, per ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido
dei poveri” (Laudato Sii, n. 49)
Tutto è legato … bisogna rispettare la natura senza dimenticare l’uomo
e pensare all’uomo senza dimenticare la natura … “Non c’è ecologia
senza un’adeguata antropologia. (…) Un antropocentrismo deviato non
deve necessariamente cedere il passo a un “biocentrismo”, perché ciò
implicherebbe introdurre un nuovo squilibrio” (LS n. 118).
Là dove l’uomo non ha il suo giusto valore, anche la natura ne soffre e
là dove la natura non è rispettata, l’uomo si disumanizza ancor più: “Il
degrado sociale e il degrado ambientale si alimentano a vicenda” (LS n.
122)
L’atteggiamento di vita, individuale e collettiva, ha un impatto sugli altri
44
esseri umani e sulle “dinamiche cosmiche”; per prenderne coscienza ci
vuole un lungo cammino. Non bisognerebbe partire da un atteggiamento di apertura sulla realtà di ciò che è “altro”? L’altro considerato
come un essere sacro che merita una vita dignitosa. Il cammino dell’ecologia integrale non è forse semplicemente un cammino di fraternità?
Haiti dopo il passaggio del ciclone Matthieu
45
VITA DI FAMIGLIA
Le sorelle del “primo noviziato” Sabine, Rita e Maria, festeggiano 50
anni di vita religiosa.
Grazie a ciascuno di voi per il cammino fatto in questi anni!
Incontro internazionale in Francia
Agosto 2016
46
Tempo
di incontri,
riflessione
e divertimento
insieme.
47
INCONTRO/FORMAZIONE DELLE GIOVANI SORELLE
In agosto diciassette giovani
piccole sorelle hanno vissuto insieme un mese ricco
di incontri e di scoperte.
Prima hanno partecipato
all’incontro internazionale
proposto a tutte le piccole
sorelle e poi si sono trasferite all’abbazia de « La
Pierre qui Vire » per alcuni
giorni di silenzio e di preghiera, seguiti da un tempo
di riflessione e di condivisione.
Con l’aiuto di due
relatori/animatori hanno affrontato il tema del “vivere
insieme”, poi quello del nostro carisma, approfondendo le figure di Charles de
Foucauld e di père Voillaume.
Poi, equipaggiate di scarpe buone e zaino in spalla hanno raggiunto a
piedi il gruppo di giovani che era in pellegrinaggio verso Taizé, per celebrare il centenario della morte di Charles de Foucauld.
A Taizé hanno trascorso una settimana, con altre centinaia di giovani,
proponendo, a chi fosse interessato, di conoscere la figura di fr. Charles
e quello che quest’uomo può dire al mondo di oggi.
48
TAIZÈ
49
50
SOMMARIO
2017
2
Estratto dell’omelia di padre René Voillaume
4
Francia:20-21-22 maggio
3
8
14
Introduzione delle Piccole Sorelle del Vangelo
Italia
Charles
21
Francia-Bonne Famille
28
Madagascar-Arivonimano
25
32
36
43
46
48
Francia-Montpellier
Salvador-San Salvador
Francia-Pierrefitte
La nostra casa comune
Vita di famiglia
Incontro/Formazione delle giovani sorelle
Piccole Sorelle del Vangelo
Viale Riviera Berica 790
36100 VICENZA
Tel. 0444.248171
e-mail: [email protected]
Petites Soeurs de lÊEvangile
Fraternité Générale
31, Rue Georges Politzer
93200 SAINT-DENIS
FRANCIA
Tel. 0033/148233228
Fax 0033/148211954
e-mail: [email protected]
SITO INTERNET : www.piccole-sorelle-del-vangelo.org
Questo notiziario è un segno di amicizia e di fraternità e non prevede abbonamento.
Chi volesse contribuire alle spese di stampa e spedizione può farlo secondo due modalità:
1) Bonifico bancario a „ASSOCIAZIONE FRATERNIT¤ DEL VANGELO‰
Conto BANCA ETICA-Filiale 12-Via OTTAVIO SERENA 30-70126 BARI
N° Conto Corrente 000000145961
Codice IBAN IT59E0501804000000000145961
2) Oppure, se vi serve una ricevuta fiscale, si può fare un versamento
sul c.c.p. n. 12196226 intestato a „ASSOCIAZIONE IL GERMOGLIO ONLUS‰
In ambedue i casi non dimenticate di mettere la causale del versamento:
PICCOLE SORELLE DEL VANGELO
Oppure, se lo desiderate, indicate il progetto che volete sostenere.
MAGMA GRAFIC 080.5014906
Piccole Sorelle del Vangelo
Strada Attolini, 2
70122 BARI
Tel. 080.5585286
e-mail: [email protected]