Giornale del 01/10

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Giornale del 01/10
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Koin otes
OVAIE E SVILUPPO FEMMINILE
cura di Franco Pastore
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* Ovaie e sv. femm.
* Maria Oldoini
* L’Olimpo
* Aristofane
* A proposito di…
* Il racconto: Maria
* Una reg. da scoprire
* Proverbi e semantica
* Momento tenero
* Note antropologiche
* Jacques Prévert
* Pagina medica
* Critica letteraria
* L’uomo falena
* Aida
* piatti tipici
* Ildebrando di Soana
* Passeggiando per …
* Canis fidelis
Ogni
forma di disago
* L’eros nei secoli
* Progetto pianti
* villa carrara
* Il Seicento musicale
* Se Francesco II …
* Leviora
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Durante la pubertà, le ovaie aumentano di volume e variano in morfologia. L‟ovaio puberale non varia significativamente le sue dimensioni dalla nascita alla pubertà: il volume ovario, infatti, rimane compreso entro 2-3 ml in età prepuberale,
per passare a volumi superiori a 4 ml dalla pubertà in poi.
Fin dalla nascita, le ovaie normali contengono numerosi piccoli follicoli cistici, che rappresentano altrettante uova che iniziano la maturazione e vanno poi in atresia; ciò è indice di secrezione gonadotropinica.
Attraverso le osservazioni anatomiche, gli esami istologici e le ecografie
si è dimostrato che, anche durante l‟infanzia, l‟ovaio non è mai a riposo;
si assiste ad una crescita follicolare continua ma asincrona che può
essere distinta in due tappe:
 all‟inizio, con follicoli piccoli;
 in fase di sviluppo, con follicoli antrali, che aumentano di volume e
di numero.
Il numero ed il volume dei follicoli ovarici aumentano con l‟avvicinarsi della pubertà, quando possono raggiungere dimensioni notevoli
prima di regredire, senza che avvenga ovulazione. Quest‟ultima, infatti,
come già detto, si verifica spesso dopo numerosi cicli anovulatori.
Con la comparsa del menarca, le ovaie raggiungono la dimensione
definitiva, raggiungendo i 4 cm di lunghezza, i 3 cm di larghezza e l‟1
cm di spessore. Al loro interno si contano circa 400.000 follicoli di cui
400 arriveranno all‟ovulazione, mentre gli altri verranno degenerati.
Le trasformazioni della vagina e della vulva sono indotte prevalentemente dagli estrogeni.
La vagina inizia ad aumentare in lunghezza già molto prima della
comparsa dei caratteri sessuali secondari; continuando a crescere fino a
oltre il menarca. Le mucose vaginali e vulvari diventano più morbide e
più spesse durante il periodo pre-menarcale, le ghiandole di Bartolino
divengono attive e l‟imene s‟ingrandisce, raggiungendo il suo orifizio un
diametro di circa 1cm. In epoca prepuberale le cellule dello striscio
vaginale (smear) sono solo per il 10% rappresentate dalle cellule
superficiali; in epoca puberale lo strato superficiale dell‟epitelio vaginale diventa più spesso e le cellule contengono glicogeno; il numero di
cellule superficiali nello striscio vaginale aumenta gradualmente
finché, al menarca, lo striscio è rappresentato quasi interamente da
cellule superficiali adulte, alcune delle quali sono cornee; la reazione
del fluido vaginale, basica o neutra in pubertà , diviene acida. Le grandi
labbra divengono più grosse, con comparsa di rugosità che diventano
più marcate in epoca immediatamente pre-menarcale; il clitoride
aumenta lievemente di dimensioni e il monte de pube (monte di
Venere) aumenta di volume con deposizione di grasso.
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CARBONE TIRELLI L.;” PUBERTA’ ED ADOLESCENZA”; FRANCO ANGELI, 2006.
CHARLES SULTAN, FRANCESCO ORIO; “LA PUBERTA’ FEMMINILE ED I SUOI DISORDINI”; ED G. DE NICOLA
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Andropos in the world
LA DONNA NELLA STORIA
Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria
Oldoini, ovvero, la Contessa di Castiglione
A cura di Andropos
Suo padre, il marchese Filippo Oldoini, era nato a La Spezia il 25 febbraio 1817, primo deputato
della Spezia nel 1848, al parlamento del regno di Sardegna, in seguito ambasciatore d'Italia a
Lisbona. Sua madre la marchesa Isabella Lamporecchi era nata a Firenze, figlia di Luisa Chiari,
ballerina di teatro, e del grande giureconsulto Ranieri Lamporecchi.
Irrequieta, estremamente consapevole della propria bellezza e intrigata fin
da giovanissima da storie galanti, ma anche ambiziosa e intelligente, Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini nacque a Firenze, il
23 marzo del 1937. A 17 anni, sposò il conte Francesco Verasis Asinari di Costigliole d'Asti e Castiglione Tinella, dal quale ebbe un figlio,Giorgio Verasis
Asinari, erede del titolo. Il matrimonio la introdusse alla corte dei Savoia,
dove ebbe gran successo, con il re Vittorio Emanuele II, ma anche con i fratelli Doria, il
banchiere Rothschild e Costantino Nigra, ambasciatore del Piemonte sabaudo in Francia.
Considerata la sua intraprendenza e le sue doti di fascino, forse un po' imbarazzanti per il
parente ma molto utili per il politico, il cugino Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, nobile dei
Marchesi di Cavour, nel 1855 la inviò in missione alla corte francese di Napoleone III, per
perorare presso l'imperatore l'alleanza franco-piemontese.
La gran presenza mondana e seduttiva della contessa, definita dalla principessa di
Metternich "una statua di carne", diede i risultati attesi: ospitata lussuosamente a Compiègne, mondanissima, costosissima, la contessa fu per un anno l'amante pressoché ufficiale
dell'imperatore, suscitando invidie, grande scandalo e la furia della cattolicissima imperatrice Eugenia, diciannovesima contessa di Teba e decima contessa di Montijo.
La rivalità giunse al punto che essendo stato l'imperatore oggetto di un attentato, nella casa della contessa in Rue Montaigne, si disse che si fosse trattato
di una messinscena orchestrata dall' imperatrice stessa per danneggiare la rivale. L' intrigo diede comunque i suoi buoni frutti, con l‟ appoggio francese alla
partecipazione italiana alla Guerra di Crimea, ma la fortuna della contessa cominciò ad
appannarsi. Il marito chiese ed ottenne il divorzio e morì infine in un incidente; Vittorio
Emanuele, divenuto re d'Italia, non fu poi così generoso e la vita dispendiosa della Castiglione si fece sempre più difficile. Anche dal ritorno in Francia non ricavò granché. Si
stabilì tuttavia a Parigi, in un ammezzato di Place Vendôme, chiudendosi nel lutto per la
propria bellezza in disfacimento, rifiutando perfino proposte di nuovi e ricchi matrimoni.
Ed a Parigi morì, il 28 novembre del 1899, nella sua casa di Rue Cambon 14, dove era
stata costretta a trasferirsi dopo essere stata sfrattata, nel 1893, dal prestigioso
appartamento di Place Vendome, essendo stato acquistato l'intero stabile dal gioielliere
Boucheron. Le sue carte, che testimoniavano i contatti da lei avuti con molti importanti
personaggi dell'epoca, furono sottratte e - si dice - bruciate dalla polizia, subito dopo la sua
morte. È sepolta al cimitero del Père Lachaise, a Parigi.
UNA MASSIMA SU CUI RIFLETTERE:
Gli affetti profondi somigliano alle donne oneste. Hanno paura di essere
scoperte e passano nella vita con gli occhi bassi. (Gustave Flaubert)
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Andropos in the world
MITOLOGIA GRECO-LATINA
L‟OLIMPO
A cura di Andropos
In greco Óυ, è un monte nella Grecia settentrionale,al confine tra
la Tessaglia e la Macedonia, vicino al mare Egeo. Con i suoi 2917 metri,
è la cima più alta della Grecia; per tale motivo di venne, nello immaginario popolare, la sede degli dei nella mitologia greca.
Al 1938 risale la creazione del parco nazionale del monte Olimpo.
Nella mitologia greca la cima dell'Olimpo era considerata la dimora degli dei: i palazzi
erano stati costruiti da Efesto, dio del fuoco. Le Stagioni proteggevano la vetta della
montagna con una coltre di nubi. Zeus era il dio supremo: a corte gli dei festeggiavano con
nettare e ambrosia ed erano allietati dalle Muse.
Le dodici divinità dell'Olimpo erano Zeus, la sua sposa Era, i fratelli Poseidone (dio del
mare) e Ade (dio dell'Oltretomba), la sorella Estia (dea del focolare) e i figli Atena (dea
della saggezza), Ares (dio della guerra), Apollo (dio del Sole), Artemide (dea della Luna e
della caccia), Afrodite (dea dell'amore), Ermes (messaggero degli dei) ed Efesto.
La luminosità a cui l'Olimpo dovrebbe il suo nome non è il consueto bagliore delle nevi
inondate dal sole, o lo splendore di una cima che emerga improvvisa al di sopra delle nubi,
ma la fantastica luce che l'aurora boreale accende nel cuore della notte. Infatti, dal 19 al
20 ottobre, si notava un grande arco, attraverso il quale si vedevano talora le stelle. Posato
sull'orizzonte dal lato nord, quest‟arco formava una concentrazione di luce, da cui nasceva
una zona concentrica luminosa, da cui si slanciavano delle colonne verticali. Il monte
Olimpo è coperto di foreste di pini larici e di cedri del Libano. La zona è conosciuta fin
dall‟antichità per le sue miniere. I monasteri bizantini che vi trovano luogo sono stati
dichiarati patrimonio dell‟umanità. James George Frazer scrive: “ l‟alta catena del monte
Olimpo (l‟odierno Troodos), coperto di neve per la gran parte dell‟anno, protegge Paphos dai
venti settentrionali e orientali e la separa dal resto dell‟isola. Sulla sommità del versante
indugiano gli ultimi boschi di pini di Cipro, dando riparo qua e là a dei monasteri in uno
scenario non dissimile dagli Appennini”.
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 .J. Dortous de Mairan, Traité physique et historique de l'Aurore Boreale , Paris 1733; 2^ ediz. 1754.
 Id., Conjectures sur l'origine de la fable de l'Olympe, en explication et confimation de ce qu'en a été dit dans
l'un des éclaircissemens au Traité physique et historique de l'Aurore boreale in: Mémoires de l'Acadèmie
Royal des Inscriptions et Belles-Lettres (t. XXV), 1761
Ve s uvi ow e b. co m
Cultura, arte, ricerche di sapore antropologico, sulla vasta area tra il vulcano ed il mare
La porta di Capotorre – Villa Angelica – Le torri aragonesi – Vico Equense -Sorrento e
Capri - I Funari – La villanella – Diz.rio torrese – Eros a Pompei – La lenga turrese NOVITA’:
S. Paolo a Sorrento – Composizioni sul Vesuvio, geopoesie – I Funari –Via Nuova Trecase – Santa Maria di Costantinopoli a Torre del Greco di A.Langella - L‟incendio
vesuviano del 26 aprile del 72 – Il monastero della SS. Trinità di Vico Equense - Gita
nella valle del Sarno – Breve guida archeologica – Rassegna d‟Ischia – Schedario
napoletano – Villa Oplonti – Usi diversi del corallo mediterraneo – Soprannomi sarnesi.
www.vesuvioweb.com - [email protected]
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Andropos in the world
I COMMEDIOGRAFI GRECI
A cura di Andropos
La parola commedia è tutta greca: κωμῳδία, "comodìa", infatti, è composta da κῶμος, "Kòmos", corteo festivo e ᾠδή,
"odè", canto. Di qui il suo intimo legame con indica le antiche feste propiziatorie in onore delle divinità elleniche, con
probabile riferimento ai culti dionisiaci . Peraltro, anche i primi ludi scenici romani furono istituiti, secondo Tito Livio, per
scongiurare una pestilenza invocando il favore degli dèi. I padri della lingua italiana, per commedia intesero un
componimento poetico che comportasse un lieto fine, ed in uno stile che fosse a metà strada fra la tragedia e l'elegia. Dante,
infatti, intitolò comedìa il suo poema e considerò tragedia l‟Eneide di Virgilio. La commedia assunse una sua struttura ed
una sua autonomia durante le fallofòrie dionisiache e la prima gara teatrale fra autori comici si svolse ad Atene nel 486 a.C.
In altre città si erano sviluppate forme di spettacolo burlesche, come le farse di Megara, composte di danze e scherzi.
Spettacoli simili si svolgevano alla corte del tiranno Gerone, in Sicilia, di cui purtroppo, non ci sono pervenuti i testi.
Secondo Aristotele, i primi autori di testi teatrali comici furono i siciliani Formide ed Epicarmo, per cui, la commedia
siracusana precedette quella attica. Di Epicarmo ci restano pochi frammenti di un'opera comica (mimo). A differenza della
tragedia greca, che iniziò il suo declino negli anni immediatamente successivi alla morte di Euripide, il genere comico
continuò successivamente a mantenere per molto tempo la propria vitalità, sopravvivendo fino alla metà del III secolo a.C.,
adattandosi sia a cambiamenti politici, che culturali e sociali.
I commentatori antichi distinserò tre fasi della commedia greca:
 quella arcaica, che va dalle origini, al IV secolo a.C.;
 la commedia di mezzo, che va dal 388 a.C., all'inizio dell'Ellenismo (323 a.C.);
 la commedia nuova, che coincide con l'età ellenistica.
Dopo l'ultima fase, il genere comico continuò all'interno della cultura latina, con i commediografi latini, autori delle
“palliate”. Il maggiore rappresentante della commedia attica è Aristofane l'unico commediografo di questo periodo, di cui ci
siano pervenuti testi completi. Egli utilizzò elementi fantastici e introdusse la satira politica fino all'attacco personale,
secondo il principio dell' , cioè ironizzare su di una persona attraverso il suo nome. La Commedia Attica di
mezzo ebbe tra i suoi maggiori esponenti sono Antifane, Anassandride e Alessi. In questo periodo, il teatro comico perde le
sue caratteristiche di satira politica e si orienta verso commedie "disimpegnate". I protagonisti sono personaggi tratti dalla
realtà quotidiana, specialmente gli umili. Nella commedia Attica di mezzo è presente anche un capovolgimento comico di
episodi mitologici, quasi una sorta di "parodia mitologica".
L'ultima fase della commedia attica coincide con l'età ellenistica. I temi della commedia si adattano alla nuova realtà,
spostandosi dall'analisi dei problemi politici all'universo dell'individuo. I personaggi rientrano tutti in uno schema, che
diventerà tipico nella commedia romana e, più tardi, nella commedia dell'arte: i giovani innamorati, il vecchio scorbutico, lo
schiavo astuto ed il crapulone. Il maggior esponente della commedia nuova è Menandro (IV-III secolo a.C.)
ARISTOFANE - Visse nel V secolo a.C., forse tra il 444 e il 388. Le sue due prime commedie sono state
rappresentate nel 427, negli anni in cui Atene combatteva contro Sparta la Guerra del Peloponneso. M orì probabilmente attorno al 385. Scrisse: Gli Acamesi, I cavalieri, Le nuvole, Le vespe,La pace, gli uccelli, Le donne alle Tesmoforie, Lisistrata, Le rane, Le Ecclesiazuse e Pluto.
I CAVALIERI (Ἱππεῖς – primo premio Lenee 424 a.C.)
Luogo dell‟azione: Atene
Protagonista: Diceopoli
Rappresentata: nel 423 a.c.
Il barbaro Paflagone è disprezzato da due servi del vecchio Popolo, poiché, assicuratosi i favori del padrone con l‟ipocrisia e l‟adulazione, ora spadroneggia in casa facendo
tutto ciò che vuole. I due allora decidono di: contrapporgli un salsicciaio, col lo scopo di
portare Popolo a preferire a Paflagone quest'ultimo, un individuo ancora più immorale e
cinico di Paflagone e quindi, particolarmente adatto allo scopo. Il salsicciaio (appoggiato
dal coro dei cavalieri) si lancia in una serie di atteggiamenti tra il meschino e il ruffiano nei
confronti di Popolo, e Paflagone tenta di fare lo stesso, ma alla fine è il salsicciaio che riesce
a guadagnarsi i favori del padrone. Nell'ultima scena Popolo viene incoronato re dei Greci
dal coro esultante dei cavalieri.
SINOSSI : L‟opera è una metafora riferita a Cleone, successore di Pericle, alla guida del
TRAMA :
"partito" dei democratici nella Atene dei tempi di Aristofane. Popolo, infatti, rappresenta il
popolo d‟Atene, blandito e adulato da Cleone (Paflagone), un politicante senza scrupoli, che
e contrastato Demostene e Nicia ( il salsicciaio ed i due servi di Popolo ) 1. La classe dei
cavalieri era quella più ostile a Cleone, e questo spiega perché il coro, che sostiene il salsicciaio, sia costituito appunto da cavalieri. Quest'opera documenta la sfiducia del commediografo verso la classe dirigente ateniese. La politica è rappresentata, infatti, come una attività per persone prive scrupoli, che promettono e lusingano per raggiungere il potere.
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1) όάύίίόίό (I Cav.,vv 976) 
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Andropos in the world
A PROPOSITO DI “PACE E PACIFISMO”
Sul numero di settembre, Renato Nicodemo Scriveva: “ La pace, si sa, è un bene
soprattutto perché si basa sul profondo rispetto della vita umana, che è un valore non
negoziabile. Essa deve essere definita in positivo e non in negativo, quale assenza della
guerra o parentesi fra due guerre; va, pertanto costruita nella verità, secondo giustizia,
nella solidarietà e nella libertà (Giovanni XXIII). Ne deriva che nei gulag e nei campi di
concentramento non c‟è pace, così come gli abortisti non possono parlare di pace. L‟aborto,
infatti, come disse Madre Teresa di Calcutta, è contro la pace. Se la madre può uccidere il
suo bambino, chi può impe-dire a qualsiasi uomo di uccidere? Perciò la Bonino, ad esempio,
o la sua sodale Rosy Bindi, che l‟ appoggiò nelle elezioni laziali, non possono essere donne
di pace. Per noi cattolici la pace è un dono di Dio e di Maria e va chiesta con la preghiera e
col perdono. Per questo la Giornata mondiale della pace coincide con la festività della
Maternità divina: Maria ci dona Cristo, la nostra pace, che dichiarò beati i pacifici, quelli
cioè che possiedono la pace, che sono in pace con sé e con Dio e con il prossimo….”
Stefano Gargini inviava in redazione le seguenti argomentazioni: “Gentile Signor Direttore,
[…] Io sono un pacifista convinto, ma come si può accostare il problema drammatico
dell‟aborto alla pace?. E come si può parlare di “UCCISIONE” del figlio da parte della
madre senza indagare il motivo vero, drammatico, disperato che la portano a tale gesto.
Nessuno vorrebbe un aborto (sono pienamente consapevole che si impedisce ad una vita di
sbocciare), è una sconfitta, una sola vita, seppure in embrione, perduta è una tragedia per
il mondo intero. Voglio dire che il Sig. Nicodemo ha ragione quando afferma che il
sentimento della pace deve nascere dentro di noi (scusate se parlo di me, non è mia
abitudine perché credo che il mondo si possa cambiare solamente tutti assieme) ma DIO
non c‟entra nulla, io sono un non credente eppure il pacifismo l‟ho coltivato dentro di me, e
l‟ho cullato, accarezzato, protetto come se fosse proprio un bambino e, nella mia vita, non
ho mai fatto violenza alcuna a chicchessia. E mi inalbero anche quando mi dicono, dato che
non ho il dono della fede, che sono privo di spiritualità. Probabilmente ne ho da vendere
anche a lei e tanti come lei, caro Sig. Nicodemo. Poi, confonde la realtà delle persone con i
sacri testi. Ne avrei paura se divenisse capo del governo. Sarebbe una perfetta icona di uno
Stato teocratico. Subito dopo l‟aborto attacca le ideologie (per carità solo da un parte non è
vero?) e nello specifico quelle comuniste o catto-comuniste. Ha mai pensato a quante vite
uccidono (senza nemmeno il coraggio di portare armi) questi tipi di società basate sul
mercato (si possono vendere anche occhi, cuori, reni…basta avere denaro da una parte e
disperazione dall‟altra. Naturalmente sto seguendo la sua logica verbalmente estremista),
sul capitalismo, le multinazionali, lo sfruttamento dell‟uomo da parte dell‟uomo. […] Avrei
da dire mille cose ancora (probabilmente scritte meglio, anche se ho studiato solo fino alla
terza avviamento al lavoro, e non di getto come queste) ma mi fermo qua, immaginando che
sia inutile continuare. Sono considerato peccatore non è vero? Se risponderà ai miei quesiti
avrò la bontà, la gentilezza e la cortesia di leggerli ma poi, per favore, cancellatemi dalla
vostra mail-list. Distinti saluti. Stefano Gargini
Renato Nicodemo risponde: “Caro Franco, ho letto la lettera del Sig. Gargini a commento
del mio pezzo “Pace e pacifismo” e cerco di rispondere come egli desidera. Anzitutto fa
piacere essere letti, quale che sia il commento dei lettori. Il Sig. de quo afferma di essere
ateo e quindi ritiene che Dio non c‟entri nel discorso. Siccome io sono credente ritengo che
sia Dio a donarci la pace. Non vedo quindi dov‟ è il problema. Siamo, come tanti, su due po-
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Andropos in the world
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sizioni opposte.Lo stesso dice di essere pacifista: buon per lui.Se non ha bruciato bandiere americane o israeliane, se è sceso in campo contro tutte le
guerre, anche quelle sovietiche, non rientra tra quei falsi pacifisti che io ho
stigmatizzato. Non trova nessun rapporto tra aborto e pace.
Il rapporto lo ha trovato invece Madre Teresa di Calcutta, che espresse
Il concetto da me riportato nel discorso per il premio Nobel della pace. Lui
forse trova un rapporto tra i carri armati sovietici e la pace e, invece di Madre Teresa di
Calcutta avrebbe citato il nostro beneamato Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che mentre i cannoni sovietici sparavano ebbe a dire:” L‟intervento sovietico ha non solo
contribuito a impedire che l‟Ungheria cadesse nel caos e nella controrivoluzione, ma alla
pace nel mondo”. Si tratta, come si vede, di riferimenti diversi. Io ho riferito fatti, nomi e
cognomi, ho parlato della bandiera della pace, il Sig. de quo non li ha smentiti limitandosi
a sparare sciocchezze, come quella dello Stato teocratico, della società del mercato,
capitalismo e altri luoghi comuni, orecchiati da un discorso di Bertinotti prima della caduta
del Muro di Berlino. Ritiene poi di essere pieno di spiritualità a tal punto da venderla. Si
vede che, da materialista, la confonde con i cavoli o qualche altro ortaggio.
Una ultima notazione. Il Sig. de quo chiede di non ricevere più la Rivista. Se rifiuta di
leggere tutte le riviste che pubblicano qualcosa che non gradisce, penso che alla fine non gli
resterà che leggere i suoi appunti: Se ne ha. Me lo saluti caramente: in fondo questi
personaggi, alla fine, risultano simpatici. Ti saluto
Renato Nicodemo
Conclusioni: Come egli stesso chiede, cancelliamo, con gioia, l‟e-mail del sig. S. Gargini dalla mail-list del giornale.
Il Direttore
____________________
2)Renato Nicodemo è nato a Laurito (SA) nel 1941. Abilitato per l‟insegnamento di materie letterarie negli Istituti superiori,
è stato Dirigente scolastico. Saggista e mariologo, cura la pagina mariana di alcune riviste religiose. Oltre a saggi di
argomentopedagogico –didattico, ha pubblicato: Umile e alta – La Vergine nelle poesie di tutti i tempi, Napoli-Roma 92;
Maria nella vita e nelle opere del beato redentorista Gennaro Maria Sarnelli, Pagani 1996; Maria nella Divina Commedia.
Aspetti delpensiero teologico di Dante Alighieri, Firenze 2001. Ha curato, inoltre, la pubblicazione della Canzoncine spirituali
di S.Alfonso M. de‟ Liguori, Caposele 1996.
QUANDO LA STORIA SI FA SPETTACOLO
Nel contesto dei festeggiamenti in onore dei Santi Martiri, domenica 3 ottobre,
nella piazza Corpo di Cristo, in Pagani, alle 20,30, sarà rappresentato il dramma
storico di Franco Pastore ARECHI II.
L‟opera, la prima di cinque, inizia un discorso di apertura verso gli avvenimenti
della dominazione longobarda e normanna, così significativi nello sviluppo socioculturale del meridione. Seguiranno successivamente: Guaimario IV, Sichelgaita,
La battaglia della Carnale e Roberto il Guiscardo. La realizzazione della rappresentazione avviene con la direzione artistica e la regia di Gaetano Stella e Matteo
Salzano, con la scenografia di Luciano Cappiello. Oltre alla presenza della Stampa
locale e nazionale, si prevede la presenza di un pubblico numeroso, da tutta la
provincia.
L‟evento si concluderà con i fuochi pirotecnici.
Flaviano Calenda
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IL RACCONTO DEL MESE
MARIA
(Da “ IL GUSTO DELLA VITA” di F. Pastore – Ed. Palladio Sa 2006)
La luce tagliava la penombra attraverso le fessure del pagliaio sconnesso disegnando
sul terreno nero lunghe strisce chiare tra le balle di paglia secca. Il corpo di Maria giaceva
abbandonato sul materasso ruvido di spoglie. Le palpebre chiuse nascondevano agli occhi il petto
ancora ansante per il recente amplesso. Le gambe aperte, sotto un sesso che si offriva ancora,
fremevano di un‟ansia senza fine mentre Angelo, seduto sui bordo del letto improvvisato, disegnava sulla terra segni incomprensibili con un piccolo ramo disseccato.
Nel silenzio di quel pomeriggio ricco di sole, rotto di tanto in tanto dall'abbaiare di un cane,
che inseguiva un gatto, tra un filare e l‟altro di pomodori, i due giovani sposi rimandavano
penosamente un discorso che andava assolutamente fatto.
L‟ambiente interno del pagliaio era fresco nonostante il sole avesse infuocato le pareti di
lamiera, il tetto di canne provvedeva al ricambio dell'aria. Maria si mise a sedere, il grosso seno si
adagiò in avanti, mostrando i capezzoli scuri, mentre i capelli le coprivano le spalla robuste. Era
piena di forza e di salute, come quasi tutte le nostre donne del Sud.
- Hai già deciso il giorno della partenza? - chiese con una nota di malinconia.
- Si, giovedì - rispose Angelo, girandosi lentamente verso di lei.
La donna si distese nuovamente e non disse più una parola. L‟uomo le passò un braccia sotto la
nuca e cominciò a carezzarle il ventre, indugiando a lungo là dove la peluria incominciava ad essere
più fitta. Maria sembrava di marmo, tutto il desiderio di prima si era spento con le lacrime dei suoi
grandi occhi. Angelo si alzò, infilò i pantaloni e uscì dal pagliaio, gli occhi gli si chiusero istintiva mente sotto i raggi di quei caldo sole di agosto. Si diresse al pozzo e tirò un secchio d‟acqua fresca.
Bevve a lungo, con la faccia nell‟acqua cristallina. Quando si girò, la moglie gli porgeva un
asciugamani logoro, ma bianchissimo. Il cotone aderì alla pelle del viso e l‟uomo avvertì il fresco
profumo di bucato. La donna si allontanò in fretta per ripararsi, subito dopo, sotto il pergolato. Il
marito la raggiunse e si accomodò á sua volta sotto il fitto fogliame.
Una lucertola cadde da uno dei tralicci di sostegno e scappò via.
- Quando saremo in tre, mezzo moggio di terra non basterà più - diceva l‟uomo, a voce bassa,
fissando il tavolo di legno bruciato dal sole.
- Lo so, ma è triste averti lontano per due lunghi anni ! - Maria gli carezzò le grosse mani scure e continuò a parlare, guardando verso i pomodori che
avevano bisogno d'acqua: - Compreremo altra terra!
- Almeno un anticipo ci vuole e noi abbiamo nemmeno gli occhi per piangere - aggiunse Angelo,
Maria sospirò.
- Diamo l‟acqua alle piante altrimenti seccano tutte -.
Prese la zappa mentre l‟uomo avviava la pompa. Il motore si mise subito in moto e l‟acqua corse
veloce verso la terra avida.
Al tramonto, smisero di lavorare e si prepararono per far ritorno al paese. In breve
percorsero la carrara1 che li separava dalla nazionale ed imboccarono la strada principale.
Attraversarono via Murelle e girarono nel vicolo S. Giuseppe. Il "tre ruote avanzava lento, mentre,
sui cassone, due cassette colme di insalata rumoreggiavano sui metallo lucido.
S. Valentino Torio, un paese con poche migliaia di abitanti e tanta buona terra da coltivare;
terra nera, generosa e ricca d'acqua. Angelo vi era nato venticinque anni prima, vi aveva trascorso
felice tutta l‟infanzia e se ne era allontanato solo per fare il soldato. Un anno prima aveva sposato
Maria perché con lei aveva fatto all‟amore per la prima volta, durante la festa dell'Addolora tata. L‟aveva presa dietro casa sua, sotto le stelle, mentre esplodevano i fuochi di mezzanotte,
che segnavano la fine della festa. Era un fiore la sua Maria e solo a guardarla si sentiva rimescolare il sangue. Aveva fatto le cose in fretta, per non correre il pericolo di perderla. Si erano sposati nella vecchia chiesa del paese e c‟erano tutti, pure il sindaco con la moglie, Mastro Ciccio,
l‟amico Gaetano, i Massari, i Carresi e Peppe Cirillo. Padre Marco aveva fatto suonare l'Ave Maria
e tutti si erano commossi.
Ripercorse a piedi tutto il vicolo S.Giuseppe, salutando distrattamente i conoscenti che incon-
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trava. Giunse in piazza e si diresse verso il bar Rosa per prendere un caffè con gli amici. Entrò.
Su di un tavolino, a lato della finestra, un grosso portacenere fumava per l‟ultima cicca, mentre
altre si stavano consumando sul tavolo bruciacchiato. L‟amico Alberto e Mastro Ciccio giocavano a
"scopa". Si accomodò a sua volta, sbirciando le carte del muratore.
- Dovevate mettere a terra la donna, ed avreste preso il sette oro!- suggeriva con calore .
-Non avrebbe più giocato l‟asso!- rispose Mastro Ciccio, laconicamente.
Una mano sulla spalla richiamò la sua attenzione, si girò lentamente e scorse il compare che
lo invitava ad alzarsi. Uscirono in piazza.
- Allora, parti davvero giovedì? - gli chiedeva Miliùccio (2) con tono affettuoso.
- Si, compare» la terra ve la devo pur pagare e poi… mio figlio quando nascerà dovrà vivere bene –
- Quanto conti di rimanere in Germania? –
- Due anni, ma verrò a casa per il Natale –
Era ormai buio, quando si diresse verso casa. Udiva, di tanto in tanto un rumore di piatti e di
posate. Un carretto, uno dei pochi rimasti ancora in circolazione, avanzava lentamente in senso
opposto e si ricordò, per un momento, di suo padre, del carretto che avevano e che caricavano ogni
settimana, per andare a vedere le sementi nel Cilento.
Il padre, cumpa Nunzio, partiva alla due del mattino, col suo carico di fagioli, di lenticchie, di ceci
e di lupini, e ritornava, una settimana più tardi, dopo un lungo giro per Ogliastro, Vallo ed
Omignano. Quanto aveva lavorato, il povero vecchio: si contentava di zuppa di soffritto per
portare a casa tutto il ricavato. Ora toccava a lui fare sacrifici per la sua Maria e per quel figlio
che avrebbero fatto con amore e che si sarebbe chiamato Nunzio, per onorare la memoria del
padre. Un ragazzino in bicicletta lo urtò distogliendolo dai suoi pensieri, poi stava per entrare in
casa e Maria avrebbe dovuto vederlo sereno, altrimenti si sarebbe preoccupata. Chiuse la porta
dietro di sé ed il profumo della pasta e fagioli lo mise di buon umore, ne avrebbe mangiato due
piatti, sicuramente. Maria andò á letto prima di lui e si accomodò sotto le lenzuola che aveva
appena cambiato. Angelo la raggiunse dopo di aver bevuto un secondo bicchiere di vino. La
moglie avevo messo troppo peperoncino a bollire con i fagioli ed aveva la bocca secca. Si
spogliò adagio, si coprì con il lenzuolo e spense la luce. Come avrebbe fatto a partire e restare
lontano due lunghi anni? La mano fresca di Maria lo distolse da quei pensieri. Fecero
all‟amore baciandosi con l‟ardore della prima volta ed assaporarono un piacere senza fine. Maria
tenne a lungo la testa del suo uomo sul seno caldo d‟amore, carezzandogli il petto villoso e le spalle
bruciate dal sole. Si addormentarono così, sognando la fine della loro miseria.
Venne il giorno della partenza, il compare caricò la valigia sulla vecchia Fulvia e li
accompagnò a Napoli. La stazione era gremita, una trentina di persone sostavano presso i vari
binari ed ognuno, dal modo di vestire, tradiva la sua origine e la sua occupazione. I “Signori”
attendevano nella sala di prima classe l‟arrivo del treno, la povera gente, quella con i calli alle
mani, attendeva seduta sulle grosse valigie, che contenevano il pane duro, il formaggio ed un buon
fiasco di vino. Era una esplosione di dialetti, mentre, negli occhi irrequieti, la paura dell'ignoto
disegnava ombre di sgomento.
Era incredibile come, anche a distanza di anni, l‟uomo del sud partiva con il medesimo
spirito degli emigranti di inizio secolo. Angelo sorrideva e piangeva insieme, Maria non pronunciava una parola, né partecipava alle battute di spirito del compare. Il treno arrivò al sesto bina rio, l‟uomo si allontanò un attimo e si diresse verso il posto di ristoro; comprò due "sfogliatelle” e le
porse alla moglie.
- Tieni, ti piacciono tanto... A Natale te ne porterò ancora! Maria prese il piccolo fagotto con le mani tremanti, mentre, dall‟altoparlante una voce annunziava
l‟imminente partenza del treno. L‟uomo salutò il compare e si girò verso la moglie. L'abbracciò e la
baciò come se fosse l‟ultima volta. Entrambi avevano gli occhi umidi di pianto.
- Pensa ai pomodori –
- Còre mie, rimàne ccà| - Ti manderò i soldi per il compare! –
- Me sènte sola, nu‟ me lassà! –
- A Natale! … Il treno, lentamente, s‟allontanò. Sui binari, rimase soltanto la disperazione di Maria.
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Andropos in the world
NAPOLI, UNA REGIONE DA SCOPRIRE
di F ra nc o Pa sto re
SALERNUM, LA SUA HISTORIA
(dal 1052, al 1060 d. C.)
Sichelgaita nacque a Salerno nel 1036 da Guaimario IV , della dinastia dei
longobardi di Spoleto , e da Gemma , figlia del conte Landolfo di Teano . Il principe diede a
sua figlia il nome di sua nonna , nobildonna logobarda di gran lignaggio. La principessina
trascorse l'infanzia e tutta la fanciullezza nel monastero di S. Giorgio , dove, tra gli altri
insegnamenti, si appassionò alla medicina, ai classici latini e greci ed alle Sacre scritture.
Trascorse, così, anni indimenticabili, amata teneramente da suo padre, in una Salerno
ricca, potente e sede della scuola medica, di risonanza europea.
Aveva sedici anni, quando Guaimario IV fu barbaramente trucidato in una
congiura di palazzo, il 3 giugno del 1052. Il misfatto, che trovò la sua motivazione nel
grande potere economico e politico raggiunto dal principe longobardo, aprì la via della
successione a suo figlio Gisolfo II. Sichelgaita, non potendo aspirare al potere per la sua
condizione di donna, ben presto, divenne famosa per le sue opere sociali e culturali.
Slanciata, regale nell‟incedere e dallo sguardo penetrante, aveva carisma ed una
personalità forte, tanto che colpì la fantasia di principi e condottieri del tempo, come
Roberto D‟Altavilla, detto il Guiscardo. Costui divorziò dalla moglie Alberada, madre di suo
figlio Boemondo e chiese in moglie la principessa longobarda. Invano Gisolfo cercò di
opporsi al progetto del tenace condottiero, scusandosi per le momentanee difficoltà
economiche e che l‟erario del principato non poteva sostenere le spese occorrenti per
organizzare le nozze. Roberto, com‟era nel suo carattere, tagliò corto e pretese Sichelgaita,
provvedendo lui ad un ricco corredo con feudi, terre fertili e castelli in Calabria. Fu così che
Sichelgaita, all‟età di 22 anni, unì al titolo di principessa longobarda quello di duchessa
normanna, divenendo l‟amata e rispettata consorte del duca D‟Altavilla detto il Guiscardo.
Fu un connubio tra culture diverse: da una parte la raffinata saggezza di una donna di
grande cultura e dall‟altra la forza prorompente di un condottiero, nelle cui vene scorreva
indomito sangue vichingo, non avvezzo alle rinunce ed ai compromessi.
Intanto, nell'aprile 1059 , il papa Nicolò II iniziò uno dei più rivoluzionari concili
della storia , in cui furono sancite le norme che travolsero l‟assetto tradizionale della
Chiesa . I riformisti, attenti alle possibili reazioni della corte tedesca, cercarono di
guardare ai normanni , come a possibili difensori della strategia indipendentista della
Chiesa. Tale valutazione politica spinse Sichelgaita a veicolare il marito verso un singolare
disegno di revisione degli antichi rapporti con il papato, attraverso una opportuna
riappacificazione e l‟abbandono di ogni conflittualità.
Nonostante la sua arrogante fierezza, Roberto comprese il disegno di sua moglie e
ne seguì i consigli, iniziando a favorire intese ed alleaze con i personaggi di quel tempo e ,
quando il nuovo papa Nicolò II accettò di indire un nuovo concilio a Menfi, provvide
all'intera organizzazione , riservando al pontefice una formidabile accoglienza. Roberto e
Gaita si inginocchiarono dinanzi a lui, che li abbracciò e ,li benedisse. La scalata alla
completa conquista del Mezzogiorno era iniziata. Il papa consacrò ufficialmente Roberto ,
duca di Puglia e Calabria , con la possibilità della conquista della Sicilia, mentre il
Guiscardo si impegnò a difendere la Chiesa contro l'impero bizantino e germanico ed a
garantire l'elezione del Papa, secondo le norme del concilio. Il piano di Sichelgaita aveva
avuto pieno successo. Alla fine del 1059 , nacque il primogenito Ruggero e, dopo di lui,
verranno altri sette figli, due maschi e cinque femmine.
[ Da “Sichelgaita” di F.Pastore]
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Andropos in the world
PROVERBI E MODI DI DIRE

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Pane 'e nu juorno vino 'e n'anno e guagliona 'e quinnece anne.
'O ciuccio nun cammina, si n'abbusca
Chi nun fraveca e nun mmarita, nun sape 'o munno.
'O barbiero te fa bello 'o vino te fa guappo 'a femmena te fa fesso.
Dora Sirica
Esplicatio: Per vivere alla grande non occorre poi molto, bastano: un po‟ di pane fresco, del
buon vino di un anno ed una moglie giovanissima. Solo gli asisi non comprendono ciò. Chi
non si sposa e non marita, non avrà mai la conoscenza reale della complessità della vita,
dove tutto è labile.
Aspetti semantico-antropologici:
JUORNO: sost. masch., giorno. Etimologia: dal latino diurnu-m, evoluto in jòrnu-m (b.
lat.), da cui juòrno; d'altronde, in prov. Jorn ed in fr. Jour. Derivati: jurnàta, con evidente
influsso francese da jurnée.
GUAGLIONA: sost. f. ragazza. Etimologia: secondo il Rohlfs, dallo spagn. Guaimon >
colui che piange; secondo altri, dall‟acc. Lat. Ganeone-m, bordelliere, crapulone, amante
della vita sregolata, del resto, ganeum è appunto la bettola. Altri ancora sostengono, in
linea con vae = guai, dal latino volgare valione-m, dal verbo valēre, con suffisso freq. ionis,
che in alcuni dialetti ha valore diminutivo, da cui ragazzo valido, vispo, in gamba, in buona
salute. Derivati: guagliunéra. In poesia:
Staje sempe ccà// 'mpuntato ccà//'mmiez'a 'sta via//nun mange cchiù//
nun duorme cchiù//che pecundrìa! //… Curre 'mbraccio addu mammà//
nun fà'o scemo piccerà'// dille tutt''a verità// ca mammà te pò capì
...E passe e spasse sott'a stu barcone// ma tu si‟' guaglione...//
Tu nun canusce 'e ffemmene// si' ancora accussà giovane! …
CIUCCIO: sost. Masch., asino. metaf. Ignorante; già trattato in altro numero.
ABBUSCA‟: verbo intrans.,prendere botte. Etimologia: dal latino volgare ad-buss-ic-are,
frequentativo di bussare (pulsare, battere)FRAVECA: verbo trans., fabbricare; ma anche sost. fabbrica. Etim.: dal lat. fābrica, con
metatesi e cambio di labiale in fravica; da cui fravecà. Derivati: fravecatòre, „a fràv eca
„MMARETA‟: verbo trans. maritare. Etimologia: denominale, dal lat. maritus, con
raddoppio iniz. per assimilaz. regressiva. Derivati: mmar etata
SAPE: verbo trans., sapere. Etimologia: dal verbo latino di terza decl. Sapio – sāpere: aver
sapore, gustare, capire, intendere. Derivati: sapùte.
MUNNO: sost. m., mondo. Etimol.: dall‟acc.lat. mundu-m, con nd>nn (vedi onda>onna).
In poesia:
Si t' 'o ddico nun me cride
manco si pittass' 'o sole
pecché 'o munno d' 'e pparole
mpara ll'arte d' 'o pparla'. (da “‟O munno d‟‟e paròle” di E.De Filippo)
GUAPPO: sost. masch., galletto. Etimologia: dal lat. vappa= fannullone, uomo corrotto; da
cui lo spag. guapo. Deriv.: guapparia. Fraseologia: guappe „e cartòne.
FEMMENA: sost. masch., femmina. Etimologia: dall‟acc. Lat. fēmina-m, term.già trattato.
FESSO: sost. Ed agg., ingenuo, sciocco, allocco, stupido. Etimologia: dall‟acc. lat fessu-m,
part. pass, di fratisci= stanco, spossato. Derivati: fessarìa, sfessàte
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Andropos in the world
MOMENTO TENERO
TRAMONTO SALERNITANO
Non c’è pietra
che non abbia
il profumo del mare,
nelle ore belle
che ti fan cantare.
Nei lunghi addii
del sole,
sei più vera:
le rondini
preannunciano la sera.
Dalle ombre del porto
alla Carnale,
appari gemma
di bellezza rara:
rioni, parchi
e poi …
Villa Carrara. 1
___________
1) Da “Le tue labbra” di Franco Pastore- Ed. Antropos in the World – Sa 2010
AP P ROF ONDI ME NTI LI NGUI S TI CI
La figura retorica , dal greco ῥητορικὴ τέχνη, rhetorikè téchne, «arte del dire» del parlar bene, e un artificio nel
discorso, finalizzato a creare un particolare effetto. L'identificazione e la catalogazione delle figure ha creato
problemi di base agli studiosi di retorica, dall'antichità al Settecento.Tradizionalmente si distinguono le
seguenti categorie di figure:
 figure di dizione per le quali avviene una modifica nella forma delle parole: aferesi, apocope, sincope ecc.;
 figure di elocuzione che riguardano le parole più adatte: sinonimi, contrari, epiteti ecc.;
 figure di ritmo che seguono gli effetti fonici ottenuti mediante la ripetizione di fonemi, sillabe, parole:
l'onomatopea e l'allitterazione;
 figure di costruzione o di posizione che si riferiscono all'ordine delle parole nella frase: anafora, chiasmo,
iperbato, zeugma ecc.;
 figure di significato o tropi che riguardano il cambiamento del significato delle parole: la metonimia, la
sineddoche, l'antonomasia ecc.;
 figure di pensiero che concernono l'idea o l'immagine che appare in una frase: esclamazione, apostrofe,
iperbole, litote, reticenza ecc.
Secondo gli autori appartenenti al cosiddetto "gruppo μ"5 le figure retoriche possono suddividersi in figure semantiche, quelle che alterano il campo semantico della parola, figure logiche, quelle che modificano il significato logico della frase, figure sintattiche, quelle che intervengono sulla struttura sintattica della frase 1.
La metafora
La metafora (dal greco μεταφορά, da μεταφέρω, «io trasporto») è un tropo, implica, cioè, un trasferimento di significato è la figura più praticata e ricorrente nella storia della letteratura di tutti i
tempi. Nel Seicento se ne fece un uso indiscriminato ed a volte anche bizzarro, come è facile rilevare
dagli esempi che seguono:
 “… O cara bocca, della reggia del riso uscio gemmato,// siepe di rose, in cui saetta e scocca //
viperetta amorosa arabo fiato, // arca di perle ond'ogni ben trabocca, // cameretta purpurea, antro
odorato, // ove rifugge, ove s'asconde Amore // poi ch'ha rubata un'alma, ucciso un core.
“(G.B.Marino, Adone, canto VIII, 122).
 “Ricomincia la fuga venusta; e la scala sembra che si prolunghi come quella di Giacobbe, verso il
cielo soave d'occidente ove le spole delle rondini tessono il velo violetto della Malinconia”
(G.d'Annunzio, La Leda senza cigno, Le sonate di Domenico Scarlatti).
 Sudate, o fochi, a preparar metalli, //e voi, ferri vitali, itene pronti, //ite di Paro a sviscerare i
monti // per inalzar colossi al re de' Galli “ (C.Achillini, Sudate, o fochi, a preparar metalli, 1-4)
______
1) La classificazione in Maurizio Dardano-PietroTrifone, La lingua italiana , Zanichelli, Bologna 1998, pp. 412 e sg.
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andropos in the world
NOTE ANTROPOLOGICHE:
LE DONNE ROMANE
Sia le Etrusche che le Romane erano molto diverse dalle loro sorelle del mondo mediterraneo
e medio orientale. Prima di tutto esse sempre godettero di una certa libertà. Naturalmente niente a
che fare con quello che oggi abbiamo noi, ma erano libere di uscire di casa quando volevano, andare
a visitare famiglie amiche o recarsi nei vari mercati a comprare quello che loro bisognava, quello che
conta fu non furono certo mai chiuse nelle loro case come invece lo furono le Greche. La differenza
tra le Romane e le Greche è anche rispecchiata nelle loro case, aperte a tutti gli amici e visitatori
senza distinzione di sesso. La donna romana era realmente la socia del marito.
Le donne romane potevano avere un loro patrimonio e,qualche volta,erano anche
più ricche dei propri mariti. Per le leggi romane esse non avrebbero potuto amministrarlo di persona, ma potevano ricorrere da un amministratore scelto e pagato da loro.
Alcune furono, poi, legalmente autorizzate a gestirsi da sole, come Livia, che possedeva
grandi proprietà e le gestì da sola, grazie ad una autorizzazione di Augusto.
Tuttavia, spesso, erano le donne ad amministrare tutti i beni di famiglia e molte erano
bravissime a farlo. A lungo Terenzia la moglie di Cicerone si occupò degli affari del consorte. Il guaio
era che essa non era onesta e, per ogni transazione, vendita o acquisto, stornava per sé una
sommetta che poneva sul suo conto. Quando Cicerone si accorse della sua disonestà divenne furioso
e divorziò da lei.
In epoche non sospette, brillarono donne come l‟etrusca Tanaquilla moglie di Lucumone, un
uomo che ,figlio di una donna di Tarquinia e di un immigrato greco veniva considerato uno straniero
e quindi escluso da ogni posizione importante. Sua moglie lo persuase a trasferirsi nella più moderna Roma, che offriva grandi possibilità. Una volta lì, essa aiutò la carriera politica del marito,
che diventò re con il nome di Lucio Tarquinio Prisco.
Tanaquilla fu, senza dubbio, una donna speciale ed una magnifica regina, ma non fu la sola
grande donna di quelle epoche. Tra queste, ricordiamo Clelia, che stupì Porsenna con il suo ardire, e
la virtuosa Lucrezia che, essendo stata stuprata, chiamati a sè padre e marito, dopo aver loro raccontato tutto, per non sopravvivere all‟onta, davanti ai loro occhi si uccise. Molta era l‟ammirazione
dei Romani per queste donne e, con esse, erano rispettate e onorate le loro madri e le loro figlie.
Col lo scorrere del tempo i costumi divennero meno rigidi. Le donne cominciarono a interessarsi dei loro corteggiatori e fu sempre più difficile per i “pater familias” frenare le richieste di
maggiore libertà avanzate dalle loro gentili consorti. Persino le ragazze da marito fremevano e
volevano partecipare alle feste ed ai banchetti. Invano Varrone raccomandava ai loro padri che le
verginali orecchie delle fanciulle non dovevano essere contaminate dal linguaggio di Venere.
Tuttavia, alla fine della repubblica molte ragazze da marito assistevano ai piccanti convivi e si
divertivano tanto che, quando il loro sangue ribolliva, per il vino e ciò che avevano sentito, intrecciavano relazioni. Poi, appena sposate, andavano ovunque con i loro mariti e Marziale raccontava di
averle viste eccitarsi, oltre i limiti della decenza, alle provocanti danze delle ragazze di Cadice.
Concludendo, non bisogna dimenticare che l'etimologia medesima della parola "donna" ha a
che fare sia con domus (casa) che con domina (padrona). Una donna-domus ed una donna-domina:
sono questi, dunque, i due tratti preminenti del profilo della donna romana.
Andropos
La C.AE.S.A.R. onlus mette a disposizione in questo sito www.caesaronlus.com spazi
gratuiti per gli artisti. Chiunque può inviare a [email protected] tutte le immagini e i
testi che vuole; la dire-zione artistica sceglierà cosa inserire. L‟artista dovrà inviare con il
materiale iconografico una breve biografia, i dati ana-grafici e i recapiti. Se in possesso di un
sito personale, verrà creato un link reci-proco. Al tutto andrà allegato il consenso alla
pubblicazione. Per gli artisti che non hanno un sito o indirizzo e-mail po-tranno inviare i loro
materiali per posta cartacea all‟indirizzo:
C.AE.S.A.R. onlus Via Medaglie d‟Oro, 1/A -57127 Livorno - Tel: 0586 1867300
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Andropos in the world
OMAGGIO AD UN GRANDE POETA:
Jacques Prévert
A cura di F. Pastore
Nato a Neuilly-sur-Seine, nella regione dell'Île-de-France, 4 febbraio 1900, da padre bretone e
da madre d'origine alterniate, Jacques Prévert, dopo il servizio militare, nel 1922, si stabilirà con i
suoi due amici artisti e col fratello Pierre, regista, al 54 di Rue del Château a Montparnasse. Il luogo
sarà presto il punto di riunione del movimento surrealista, al quale partecipano Robert Desnos,
Georges Malkine, Louis Aragon, Michel Leiris, Antonin Artaud, Raymond Queneau e il capofila
André Breton, con il quale Prévert manterrà sempre ottimi rapporti, malgrado la crisi e i dissensi
che si verificarono all'interno del movimento surrealista nel 1929. I primi testi risalgono al 1930,
quando il poeta li pubblica sulla rivista “ Bifur Souvenirs de familleon l'ange gardechiourme“ Ricordi di famiglia ossia l'Angelo aguzzino ”. L'anno seguente sulla rivista Commerce,
dove lavora Giuseppe Ungaretti come redattore,esce il Tentative de description d'un diner
de têtes à Paris-France ( Tentativo di descrizione di un banchetto a Parigi, Francia) e recita in un film di Marc Allégret, Pomme de terre.
Si distinse sia in cinematografia che nel teatro, finché, nel 1948, non cade da una finestra degli
uffici della Radio e precipita sul marciapiede dei Champs-Elysées rimanendo in coma per diverse
settimane. Ripresosi si trasferisce con la moglie e la figlia a Saint-Paul de Vence, dove rimane fino al
1951, scrivendo,nel frattempo, un nuovo soggetto, Les Amants de Vérone, per il regista André
Cayatte, e pubblica una nuova edizione del suo best-seller Paroles che erano state riunite per la
prima volta nel 1945 da René Bertelé, la raccolta Spectacle e La Grand Bal du Printemps.
Nel 1955 ritorna definitivamente a Parigi, pubblica una nuova raccolta di poesie, La pluie et le
beau temps e si dedica ad una nuova attività artistica, quella del collage, che esporrà nel 1957 alla
galleria Maeght a Saint-Paul de Vence.
Dopo il 1966, si stabilisce nella sua dimora di Omonville-la-Petite, nel dipartimento della
Manche, ma colpito da grave malattia conduce vita ritirata ricevendo solamente alcuni dei suoi più
cari amici, come Yves Montand, Juliette Greco, Raymond Queneau, il regista Joseph Losey, l'attore
Serge Reggiani e pochi altri.
L'11 aprile 1977 Prévert muore a Omonville-la-Petite, di cancro al polmone.
La poesia di Prévert è la celebrazione dell‟amore, quello che se sottomesso si finisce
inevitabilmente per perderlo "je suis allé au marché aux esclaves mais je ne t'ai pas trouvée mon
amour".Quando apparve l'opera di Prévert in Francia si pensò che fosse nato il poeta che avrebbe
risollevato le sorti della poesia francese moderna. Una poesia, quella di Prévert venuta alla luce
sotto l'influenza del surrealismo e via via, durante il corso degli anni, modificatasi con continue
accensioni di non facili qualità. Prévert passa nella sua poesia dal gioco attento dell'intelligenza al
controllo della sensibilità, dall'uso scanzonato dell'ironia ad una semplicità di espressione che a
volte, ad un lettore superficiale, può sembrare sfiorare la banalità. Egli partecipa in modo
sentimentale ai climi poetici affrontati ma anche con rigorosa obbedienza ad un simbolismo di alta
scuola francese, sempre alla ricerca di un ritmo che non si discosta mai dal linguaggio comune. La
poesia prevertiana è di una facilità pericolosa perché ricca di ritmi interni, di giochi di parole, di
diverse situazioni psicologiche che sono lo specchio di questo grande poeta francese. il dolore che
Prévert canta in molte sue liriche è quel sentimento particolare che discende dallo sgomento del
vivere e che sembra trovare sfogo, alternativamente, tra noia e angoscia. Questo sgomento, questa
noia o angoscia nascono in noi dal costatare come la vita non sia che un‟orribile ripetizione. Di fronte
ad esso esistono però mali collettivi ancora più gravi come la guerra, la violenza e la religione.
Contro di essi l‟anarchico - pacifista Prévert scrive versi di commossa indignazione, consapevole
com‟è che la missione del poeta sia quella di parlare in nome degli innocenti e degli oppressi.
Ateo e laico, Prévert ha per la religione la stessa diffidenza e orrore che per la guerra. Troppo
spesso, a suo avviso, la religione accetta la stessa logica della violenza, la stessa gerarchia sociale.
Sicché, la guerra e la religione sono l‟oggetto dell‟ironia sferzante di Prévert perché i poveri ne sono
le vittime eccellenti. Da questa profonda solidarietà umana verso i deboli e i diseredati, nascono
molte poesie di toccante semplicità.
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Andropos in the world
ANNUNCIO DI CULTURA:
COMUNE DI SARNO
Provincia di Sarno
Servizi alla Persona - Resp. Dr.ssa Clelia Buonaiuto
Ù+
Con il Patrocinio della Provincia di Salerno
SALA CONSILIARE DEL PALAZZO S. FRANCESCO
SABATO 9 OTTOBRE ALLE ORE 10,00
PRESENTAZIONE DEL LIBRO
DEL PROF. ALBERTO MIRABELLA
Docente a.c. Cattedra Pedagogia Generale e Sociale
Università degli Studi di Salerno
IL VALORE PARADIGMATICO DEI SOPRANNOMI A SARNO
( ovvero r’i stuortonòmme )
Termini, mestieri, giochi finiti nell’oblio
Interverranno
Avv. Amilcare Mancusi – Sindaco di Sarno
Prof. Giuseppe Vastola – Dirigente Liceo Classico T.L. Caro
Dr.ssa Clelia Buonaiuto – Responsabili Servizi alla Persona
Prof. Alberto Mirabella – autore del libro
Moderatrice Rossella Liguori - Giornalista
Elena Mancusi Anziano – poetessa e dicitrice
leggerà liriche, filastrocche in vernacolo sarnese e passi significativi del libro
LA CITTADINANZA E’ INVITATA
ù
Il Sindaco
Avv. Amilcare Mancusi
“LADRI DI CARROZZELLE” IN CONCERTO
PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO - 16 settembre 2010, ore 20.30 PER DARE VOCE A CHI VOCE NON HA
http://www.dossetti.it/convegni/2010/0916mr/programmaMR.pdf
IL BASILISCO
A.L.I.A.S.
PERIODICO DI CULTURA
PRESID. ROCCO RISOLIA
E-mail:[email protected]
Tel./fax 089.750196089.7014561
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Mensile satirico-culturale
di Nello Tortora
Salerno – tel. 089797917
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Andropos in the world
LA PAGINA MEDICA
OGGI PARLIAMO DI CELIACHIA
A cura di Andropos
Il glutine è una sostanza proteica presente nel frumento,nel farro,nel kamut,nell‟ orzo, nella segale, nella spelta e nel triticale. La celiachia, intolleranza permanente al glutine, ha una incidenza relativamente alta: indagini europee recenti
stimano la presenza di un celiaco ogni 100 persone, per un totale di circa
400.000 celiaci, solo in Italia. Di questi, solo parzialmente risultano realmente
diagnosticati, sia per scarsa conoscenza della malattia, sia per una non sempre chiara
sintomatologia. Comunque, si stima che, ogni anno, vengano effettuate circa 5.000 nuove
diagnosi e che nascano circa 3.000 nuovi celiaci.
A lungo termine, per l‟assunzione del glutine, si sviluppa gradualmente una
lesione della mucosa intestinale, con un‟atrofia più o meno spiccata dei villi. Queste
modificazioni determinano una riduzione della capacità fisiologica di assorbimento dell‟intestino, con un conseguente deficit nutrizionale, che si aggrega a una serie di sintomi
gastro-intestinali.
Per la diagnosi, ci si basa sulla positività dei testi sierologici motivati dal fatto che
i celiaci presentano livelli elevati di anticorpi che “erroneamente” agiscono contro cellule o
tessuti dell‟organismo stesso. La diagnosi di celiachia è confermata anche dal riscontro di
una atrofia intestinale, che si evidenzia effettuando una biopsia del duodeno.
Seguire una dieta del tutto priva di glutine è, attualmente, l‟unica terapia capace
di eliminare la sintomatologia e prevenirne le eventuali complicanze. Tuttavia, eliminare
totalmente il glutine dalla dieta non sempre è facile, perché i cereali non consentiti si
trovano in moltissimi cibi; inoltre, durante i processi di lavorazione dell‟industria
alimentare, si può incorrere in una contaminazione accidentale da glutine.
Oggi, con una maggiore disponibilità di prodotti mancanti di glutine, la qualità
della vita dei celiaci è fortemente migliorata, perché ha permesso loro di includere nuovi
alimenti nell‟alimentazione: dolci, gelati ed tanto altro.
Nel 1979, è nata l‟AIC (Ass. ital. Celiachia) membro dell‟AOECS (Association of
European Coeliac Societies), federazione delle associazioni europee dei celiaci.
Dal 1999, l‟AIC è strutturata in federazione di associazioni regionali. Le 19
associazioni presenti sul territorio nazionale, tramite un loro delegato, costituiscono
l‟assemblea federale. A marzo 2006 il Ministero della salute ha diffuso dati parlando di
circa 60.000 diagnosi in Italia, si stima che ad oggi il numero di diagnosi sia di circa 75.000.
Le finalità delle associazioni regionali sono:
 promuovere l‟assistenza ai celiaci, agli affetti da dermatite erpetiforme e alle loro
famiglie ed informare la classe medica sulle possibilità diagnostiche e terapeutiche;
 studiare, in stretta collaborazione con la Soc. It. di Gastroenterologia ed Epatologia
Pediat.ca (SIGENP) e la Soc. It. di Gastroenterologia (SIGE), i problemi dei celiaci;
 stimolare la ricerca scientifica in tre direzioni: genetica, immunologica e clinica;
 sensibilizzare le strutture politiche, amministrative e sanitarie.
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Andropos in the world
CRITICA LETTERARIA
“Il VALORE PARADIGMATICO DEI SOPRANNOMI A SARNO”
Di Alberto Mirabella
PRESENTAZIONE DI FRANCO PASTORE
Per aver compiuto una qualsivoglia impresa, quasi sempre di genere guerresco, un tempo, si
conquistava un titolo nobiliare ed una rendita che s‟imponevano per la drastica differenza tra prima
e dopo, tra il nuovo titolato e gli altri, rimasti a livello di gleba o poco più sopra dell‟artigianato.
Tra la gente comune, per una caratteristica psicofisica o un‟accentuazione caratteriale e, a volte,
per il semplice gioco della combinazione di elementi occasionali, si arrivava a conquistare, sul campo
relazionale, il soprannome, una identità al di fuori delle convenzioni sociali. Esso era quasi sempre
ristretto entro l‟ambito di una circoscritta comunità ed aveva senso solo per essa.
Il soprannome è l‟orma di una identità forte, che si è imposta per una consuetudine emersa
d‟improvviso, il riconoscimento di una nobiltà popolare, conquistata in virtù di un ruolo circoscritto
alla persona, quasi una spinta naturale a proseguire nella ricerca travagliata di un altro sé.
In effetti, i nomi propri di persona, secondo le teorie linguistiche, sono puri significanti, suoni
senza referenti specifici e senza significato. Se emetto il suono "gatto", tutti capiscono che mi
riferisco a quell‟animale che ha quattro zampe, che miagola, che è amico dell'uomo, et cetera; ma se
io dico "Antonio", al di fuori di un contesto determinato, nessuno sa chi è la persona con tale nome e
nessuno sa a chi mi riferisco. Di "Antonio" ce ne possono essere a migliaia ed ognuno diverso
dall'altro. Soltanto se il nome proprio diventa nome comune, per antonomasia, esso acquista un
significato preciso: tutti sappiamo che un “giuda” è un traditore, perché Giuda, fu quello che, dicono
le sacre scritture, tradì Cristo nell‟orto degli ulivi. Il soprannome, dunque, qualifica la persona in
modo inconfondibile, così che mentre in una comunità si tollera che ci siano dieci, venti, cento
individui che si chiamano Antonio, non è possibile trovare un soprannome che indichi due persone
diverse, a meno che non si tratti di nomignolo riguardante un casato (ad es.: " I Virdiniélli").
La necessità di aggiungere al cognome il soprannome è chiaramente dovuta al fatto che il
patrimonio dei cognomi, in ogni comunità, è piuttosto limitato. Nell‟antica Roma, ad esempio i nomi
erano alquanto pochi: Caio, Marco, Publio, Sempronio e poi i nomi numerali Secondo, Quinto, Sesto,
e così via. Anche i cognomi, o nomi gentilizi, erano pochi ed il popolo Romano era diviso in appena
trecento gentes, e che quindi c‟erano solo trecento cognomi, cosicché, quando la struttura sociale
diventò più articolata, fu necessario adottare un terzo cognome o soprannome: il cognomen, che si
aggiungeva a quello della gens, equivalente al nostro cognome ma anche al nostro soprannome.
Nella comunità di Sarno, come in altre comunità, il soprannome era, una volta, l'unico modo per
individuare le persone: Quando qualcuno parlava " do‟ ferraro", non si poteva sbagliare, perché nel
paese uno solo era quello che esercitava il mestiere di fabbroferraio.
In ogni piccola comunità, dunque, non solo sarnese, ma in tutte le piccole comunità del mondo, in
cui il sistema antroponimico è complesso, il soprannome è una denominazione fortemente
identificante, la cui attribuzione è dovuta a tutta la comunità nel suo complesso. Per tale motivo, si
può dire che quest‟ultima esercita sugli individui un controllo sociale, che si materializza nel
soprannome. Difficilmente l'individuo può sottrarsi, può solo adottare una sorta di “ ribellione
passiva", nei confronti di quella comunità che lo vuole configurare secondo i suoi criteri di giudizio.
Tralasciando l‟analisi di spazi storico-temporali, già ampiamente trattati dal Mirabella, c‟è solo da
aggiungere che, nel periodo medievale, al momento della nascita delle lingue neolatine, si formarono
i nuovi nomi e i nuovi cognomi. Il sistema antroponimico era dunque binominale, formato da un
nome seguito o da un‟indicazione di luogo (per es.: Jacopone da Todi), o da un patronimico (Jacopo di
Ugolino) o da un matronimico (Domenico di Benedetta) o da un attributo relativo al mestiere
(Andrea Pastore), et cetera. Il patrimonio dei cognomi era pertanto così scarso, che diventava
necessario ricorrere ai soprannomi, la cui origine non ha tempi e leggi tali, da permettere la
conoscenza di come si siano formati, e la maggior parte di essi resta inspiegabile a studiosi e
ricercatori. Spesso, la nascita di un soprannome rimanda ad accostamenti di immagini paradossali
ed arbitrari. Inutilmente ci si sforzerebbe di capire il significato e l‟origine di soprannomi come
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Andropos in the world
"centrellaro" o come "strifizzo" o "trusiano", lavorando solo a livello di ricerca storica e filologica. E
così, moltissimi soprannomi raccolti da Alberto Mirabella restano inspiegabili, incomprensibili,
perché si è perso ormai il contesto storico, sociale e culturale o, addirittura, il ricordo dell‟occasione
in cui il soprannome è nato. Solo dunque i soprannomi che hanno un preciso riscontro nel mondo
quotidiano e quelli di conio più recente possono essere interpretati, spiegati e capiti; per gli altri
dobbiamo accontentarci di avere le raccolte. La microanalisi storica ci ha insegnato che lo studio di
una comunità ci può offrire un archetipo, che serve poi alla comprensione di una società più ampia.
Così lo studio dei soprannomi di Sarno, nel modo in cui è stato fatto dal Mirabella, ci consente di
conoscere quali sono la funzione e gli scopi dei soprannomi in un territorio più vasto, comprendente i
paesi dell‟Agro sarnese-nocerino, o addirittura della pianura circumvesuviana. Di qui, il valore
incommensurabile del lavoro di Alberto Mirabella, il quale, con questa opera, apre le porte di una
conoscenza, che, attraverso il sistema antroponimico e della soprannominazione ci permette di
individuare strategie occupazionali, strutture, stratificazioni e relazioni sociali, sistemi culturali,
conoscenza e controllo del territorio, implicanze geografiche ed altro ancora.
Dal patrimonio di soprannomi sarnesi viene fuori, così, la storia di una comunità formata da
contadini e da artigiani, questi ultimi immediatamente ricondotti dentro i parametri sociali della
valle del Sarno, trasformati in " zeppolari", “zoccolari”, o ancora in “scassacarròzze”. Il sistema dei
soprannomi configura Sarno come una comunità relativamente chiusa in se stessa, tra la montagna
ed il fiume della pianura, con le sue acque termali, il guizzare delle anguille ed il profumo dei
gamberetti, nelle taverne secolari.
Con le sconvolgenti trasformazioni del secondo dopoguerra, i numerosissimi soprannomi,
indicanti le famiglie, che si sono perpetuati fino ai nostri giorni, sono di difficile spiegazione e,
difficilmente, si arriva al loro significato. Difatti, anche se molti soprannomi sono chiari dal punto di
vista linguistico (scazzato, ceciamoscia, centrella), è impossibile venire a conoscere perché e in quale
occasione fu dato quel nomignolo. Da questo perpetuarsi della soprannominazione, dunque, si può
arguire come la comunità sarnese sia rimasta compatta e chiusa in sé, fino a tutto il primo
dopoguerra. Sarebbe un grave errore considerare questo lavoro una semplice raccolta di vecchi
significanti, in quanto esso ha raggiunto pienamente l‟intento del suo autore. L‟opera, con respiro
antropologico, si snoda e corre sulla terra dei Sarrasti a coglierne la vita, lo spirito di un fiume e la
sua storia, fatta di voci e di profumi, del canto delle donne nelle campagne, tra le pendici del monte
Saro e le acque, allora pure e pescose, del Sarno.
Le voci riportate sono state studiate e analizzate dal Mirabella con la coscienza di recuperare e di
conservare un prezioso patrimonio culturale e linguistico, che altrimenti poteva andare perduto; un
patrimonio complesso ed articolato, i cui meccanismi possono essere conosciuti solo attraverso l‟ uso
di strumenti di analisi complessi, di metodologie diverse. Il Mirabella non si è sottratto a questo
compito ed ha così usato metodi interpretativi della semiologia e poi anche quelli della sociologia e
dell‟antropologia. Non si può non sottolineare positivamente lo sforzo fatto, per cercare di penetrare i
significati, spesso reconditi, non solo linguistici, ma anche storici ed antropologici del soprannome e
della sua funzione. Lo studio del Mirabella ricostruisce buona parte del patrimonio culturale e
dell‟identità di Sarno, realizzando una ricerca che completa il ritratto storico ed ambientale di
questa città orgogliosa e fiera nella sua storia, tenera ed appassionata nei suoi canti e nella sue
tradizioni:
“ Era bella la mia terra
contornata d‟alture‚
tra il fiume e la sua storia‚
nella pianura fertile
del Sarno.
Il canto delle donne
preparava il tramonto:
l‟ultimo bacio del sole
alla campagna.
______________
Rintocchi di campane,
nella piana,
raccoglievano amici dai
contadi,
anime semplici,
volti tagliati
dal tempo ed abbronzati,
tra semine e raccolti.
Filosofia antica,
fatta di soprannomi
e di proverbi,
che si spegnevano
nel buio della sera
e si vestivano
di nuovo
a primavera,
tra feste e balli per
l‟Addololorata.1
1) “ La mia terra”, dal testo “LE TUE LABBRA” di F.Pastore, Ed. Antropos in the world, Sa 2010.
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Andropos in the world
I GRANDI MISTERI
L‟UOMO FALENA
A cura di Andropos
Uomo falena o Mothman è il nome con cui viene chiamata una creatura misteriosa, dai
grandi occhi rossi rifrangenti o luminosi e dotata di una velocità innaturale, che sarebbe
stata frequentemente avvistata in West Virginia, Charleston, Point Pleasant e nella regione dell'Ohio, fra il novembre 1966 e il dicembre 1967. Testimoni hanno descritto l‟ entità come un essere fornito di ale e delle dimensioni di un uomo.
Tutto ebbe inizio il 15 Novembre 1966, nei pressi di un' area industriale abbandonata, alla
periferia di Point Pleasant, quattro amici che passavano in auto da quelle parti notarono: "due
grandi occhi rossi" nell' ombra, gli occhi appartenevano a una creatura "con grandi ali piegate
sulla schiena" come disse in seguito uno dei testimoni, all' improvviso gli occhi della creatura
iniziarono ad emettere una luce sempre più forte, sino a quasi acce-carli, i quattro ragazzi
terrorizzati scapparono via; Tornati in città, riportarono gravi ustio-ni agli occhi e uno dei
quattro perse addirittura gran parte della vista (il danno è stato permanente) i medici non
seppero dare alcuna spiegazione allo strano fenomeno accaduto ai giovani. Nei mesi che
seguirono gli avvistamenti furono sempre maggiori, coinvolgendo testimoni attendibili. come
pompieri e poliziotti. Tutti avevano visto una creatura umanoi-de con grosse ali, alta circa 2
metri e mezzo, che emetteva strani squittii a quelli di un topo". I giornali ne iniziarono a
parlare, battezzando lo strano essere "Uomo falena".
La cosa andò all'attenzione di un giornalista appassionato di misteri, John Keel, questi
collegò all' uomo falena le strane telefonate che tempestavano alcuni cittadini, telefonate con
rumori strani e incomprensibili, che non smettevano di giungere all' utente di turno neanche
quando questi cambiava numero. John Keel così decise di insediarsi a casa di uno di questi
cittadini e registrò una di queste stranissime telefonate. Fece analizzare la regi-strazione incisa
e con suo grande stupore scoprì che i suoni erano emesse da corde vocali, ma non erano
sicuramente umane, ma il vero mistero è il messaggio che John Keel scoprì leggendo il nastro a
rallentatore, questi diceva: "Grande sciagura sul fiume Ohio". Keel di-vulgò questa notizia,
daprima si pensava alla fabbrica chimica che si trovava vicino al fiume, purtroppo il 19
Dicembre 1967 ci fù il tragico crollo del ponte Silver Bridge sul fiume Ohio, 46 persone persero
la vita. Keel ipotizzò che il "Mothman", in qualche modo volesse mettere in guardia la cittadina
contro l'imminente disastro, ma chi era quella creatura? da dove veniva? La gente non ha mai
avvistato dischi volanti che facevano pensare ad un U.f.o., e sopratutto come sapeva della
sciagura? purtroppo dopo la sciagura non si sono avute più segnalazioni e dell' Uomo falena non
si è saputo più nulla.
Nel programma Voyager del 25 dicembre 2008 si racconta di alcuni avvistamenti avve-nuti
anche sulla centrale nucleare di Černobyl e persino dopo la caduta delle Torri Gemelle di New
York. In questo programma è stata presentata una fotografia,rappresentante l'Uomo Falena
con gli arti inferiori simili a quelli di uccelli. Nulla è certo e le ipotisi sono tante, come quella di
alcuni occultisti ed appassionati di paranormale affermano che nei dintorni di point Pleasan ci
sia una delle poche porte spazio-temporali della terra.
Edgar Allan Poe : - Non credete a nulla di quanto sentito dire e non credete che
alla metà di ciò che vedete -.
Cir c. Cul tura le
Mario Luzi
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LA DONNA NELLA LETTERATURA
AIDA
(1)
Aida, catturata durante una spedizione militare contro l'Etiopia, è figlia del
Re di Etiopia Amonasro e vive a Menfi come schiava. Gli Egizi ignorano la
sua vera identità. Suo padre organizza una incursione in Egitto per liberarla dalla prigionia. Ma fin dalla sua cattura, Aida si è innamorata del giovane guerriero Radamès, che ricambia appassionatamente il suo amore.
Amneris, la figlia del Re d'Egitto, intuisce che possa essere lei la fiamma di
Radamès, falsamente la consola dal suo pianto. Appare il Re assieme agli
ufficiali e Ramfis che, introduce un messaggero recante le notizie dal confine. Aida è
preoccupata: suo padre sta marciando contro l'Egitto. Alla fine, il Re dichiara che Radamès
è stato scelto da Iside come comandante dell'esercito che combatterà contro Amonasro. Il
cuore di Aida è diviso tra l'amore per il padre e la Patria e l'amore per Radamès. Danze
festose e musica nelle stanze di Amneris, che riceve la sua schiava Aida e ingegnosamente
la spinge a dichiarare il suo amore per Radamès, mentendole dicendo che Radamès è morto
in battaglia. La reazione di Aida alla notizia la tradisce e le fa rivelare il suo amore per
Radamès. Amneris, allora, la minaccia: ella è figlia del Faraone. Con orgoglio Aida dice che
anche lei è figlia di re, ma se ne pente ben presto.
Risuonano da fuori le trombe della vittoria. Amneris obbliga Aida a vedere con lei il
trionfo dell'Egitto e la sconfitta del suo popolo. Aida è disperata, e chiede perdono ad
Amneris. Radamès torna vincitore. Marcia trionfale. Il faraone decreta che in questo giorno
il trionfatore Radamès potrà avere tutto quello che desidera. I prigionieri etiopi sono
condotti alla presenza del Re e Amonasro è uno di questi. Aida immediatamente accorre ad
abbracciare il padre, ma le loro vere identità sono ancora sconosciute agli Egizi. Amonasro,
infatti, dichiara che il Re etiope è stato ucciso in battaglia. Radamès per amore di Aida usa
l'offerta del Re per chiedere il rilascio dei prigionieri. Il Re d'Egitto, grato a Radamès, lo
proclama suo successore al trono concedendogli la mano della figlia Amneris e fa inoltre
rilasciare i prigionieri, ma fa restare Aida e Amonasro come ostaggi per assicurare che gli
etiopi non cerchino di vendicare la loro sconfitta.
Il Re etiope costringe la figlia a farsi rivelare da Radamès la posizione dell'esercito
egizio. Radamès ha solo apparentemente consentito di diventare il marito di Amneris, e
fidandosi di Aida, durante la conversazione le rivela le informazioni richieste dal padre.
Quando Amonasro rivela la sua identità e fugge con Aida, Radamès, disperato per avere
involontariamente tradito il suo Re e la sua Patria, si consegna prigioniero al sommo
sacerdote. Amneris desidera salvare Radamès, ma lui la respinge.
Il suo processo ha luogo ed egli non parla in propria difesa, mentre Amneris, si
appella ai sacerdoti affinché gli mostrino pietà. Radamès viene condannato a morte per
tradimento e sarà sepolto vivo. Amneris maledice i sacerdoti, mentre Radamès viene
portato via. Aida si è nascosta nella cripta per morire con Radames. I due amanti accettano
il loro terribile destino, dicono addio al mondo e alle sue pene, e aspettano la morte.
(1) Soggetto originale di Auguste Mariette, egittologo francese, fondatore del Museo Egizio del Cairo. libretto di Antonio
Ghislanzoni, opera in quattro atti di Giuseppe Verdi. Ismail Pascià, kedivè d'Egitto, commissionò un inno a Verdi per celebrare
l'apertura del Canale di Suez nel 1869, pagandolo 80.000 franchi, ma Verdi rifiutò, dicendo che non scriveva musica
d'occasione. Invece quando venne l'invito di comporre un'opera per l'inaugurazione del nuovo teatro del Cairo accettò. Tuttavia
la prima dell'opera fu ritardata a causa della guerra franco-prussiana dato che i costumi e le scene erano a Parigi, sotto assedio. Il
teatro del Cairo s'inaugurò invece con Rigoletto. Quando finalmente la prima di Aida ebbe luogo, l'opera ottenne un enorme
successo e ancora oggi continua ad essere una delle opere liriche più famose.
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Andropos in the world
PIATTI TIPICI NELLA TERRA DEGLI AUSONI
a cura di Rosa Maria Pastore
La Campania
- Terra degli Ausoni e degli Opici, verso l' VIII sec. a.C.,fu invasa, sulle coste, dai Greci,
i fondatori di Cuma e di Partenope,rifondata poi come Neapolis, tra la fine del VI e l'inizio del V secolo a.C.
Ma nel VI sec., le zone interne della regione furono occupate dagli Etruschi, che diedero vita ad una lega di
dodici città con a capo Capua. Nella seconda metà del V sec. a.C., iniziò l' invasione dei Sanniti, che conquistarono Capua (nel 440 circa) e Cuma (425 circa). Gli invasori imposero il loro dominio e la loro lingua,diventando così un solo popolo: gli Osci. Con la discesa di Annibale, a nulla valse organizzarsi contro Roma,
durante la seconda guerra punica, la regione subì un profondo processo di romanizzazione, e solo Napoli e Pompei
conservarono le loro radici elleniche. La Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé, mantenendo la sua
unità anche sotto gli Ostrogoti e i Bizantini. Con l'occupazione longobarda di Benevento (570 circa), la regione fu
divisa tra il ducato di Benevento, comprendente Capua, Salerno e Napoli e la regione costiera centrale. Amalfi, invece,
arricchitasi coi traffici marittimi, riuscì nei sec. IX-XI a divenire un fiorente ducato indipendente. Dopo la definitiva
conquista di Napoli, da parte dei Normanni, nel 1139, la Campania, nei sec. XII e XIII, fu compresa nel regno di
Sicilia, divenendo prima un possedimento degli Angioini e poi degli Aragonesi. Dal 1503 al 1707, fu dominio della
Spagna e, subito dopo, degli Austriaci (dal 1707 al 1734). Questa fusione di radici culturali, di usi e costumi di popoli
diversi, ha avuto una influenza benefica sulla bellezza delle donne campane e sull’arte culinaria.
OGGI PRANZIAMO A VALVA
Valva è un comune italiano di 1.767 abitanti della provincia di Salerno in Campania. Centro agricolo
dell'alta valle del Sele, è situato sul versante sinistro, ai piedi delle scoscese pendici rocciose del Monte
Eremita (1372 m) e del Monte Marzano (1524 m).
Un Primo piatto: TIMBALLO DI MELANZANE E SPAGHETTI
Ingredienti e preparazione per 4 persone
Ammorbidire 80 gr di pane raffermo. Lavare, sfogliare e tritare 20 gr di prezzemolo. Lavare,
affettare e friggere 2 melanzane e asciugarle con carta assorbente. In una casseruola con olio
extravergine d‟oliva appassire una cipolla tritata, versare 400 gr di passata di pomodoro, salare e
cuocere per 20 minuti. In una ciotola amalgamare 250 gr di carne di manzo tritata, un uovo, il
prezzemolo, il pane ammollato, salare, pepare e preparare alcune polpettine. Immergere le
polpettine nel sugo di pomodoro, farle cuocere per 20 minuti, quindi estrarle e tenere da parte il
sugo. Cuocere 280 gr di spaghetti , scolarli e condirli con la salsa di pomodoro.Foderare una teglia
con le fette di melanzane, disporre la metà degli spaghetti, mettere al centro le polpettine, condire
con 50 gr di provolone grattugiato, coprire con il resto degli spaghetti, terminare con le fette di
melanzane e cuocere in forno a 180° per 15 minuti. Togliere il timballo dal forno e farlo riposare
qualche minuto prima di servirlo.
Un secondo piatto: SPEZZATINO CON PATATE
Ingredienti e preparazione per 4 persone
Pelare 3 patate e 3 carote, lavarle sotto l‟acqua corrente e tagliarle a tocchetti. Pulire una cipolla,
tritarla e soffriggerla in una casseruola con olio extravergine d‟oliva. Unire 800 gr di bocconcini di
manzo, far rosolare, bagnare con vino bianco e lasciare evaporare, quindi aggiungere le patate e le
carote. Salare, pepare, coprire e cuocere a fuoco moderato per 30 minuti, se necessario aggiungere
del brodo di carne. Togliere lo spezzatino dal fuoco, disporlo nel piatto da portata, cospargerlo con il
fondo di cottura e foglie di prezzemolo fresco.
Un contorno: FINOCCHI GRATINATI
Ingredienti e preparazione:
Pulire e lessare 4 finocchi tagliati a spicchi in acqua salata in ebollizione. Scolarli e porli in una
pirofila imburrata. Bagnarli con 1 bicchiere di latte e 70 grammi di burro fuso.Salarli, cospargerli di
parmigiano abbondante e metterli al forno a gratinare. Ritirarli al punto giusto e gustarli
lentamente, con piccoli sorsetti di vino.
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Andropos in the world
Un dolce: MILLEFOGLIE AI FRUTTI DI BOSCO
Ingredienti e preparazione per 6 persone:
Ricavare tre rettangoli uguali da 750 gr di pasta sfoglia, disporli su una placca da forno inumidita
col l‟acqua, spolverare la superficie con zucchero a velo e cuocere in forno a 200 ° per 20 minuti.
Intanto preparare 500 gr di crema chantilly (crema pasticciera più panna montata) o comperarla già
pronta. Spalmare metà crema su uno strato di sfoglia, coprire con frutti di bosco, adagiare un
secondo strato di sfoglia, cospargerlo con l‟altra metà di crema e di frutti di bosco (ne occorrono in
tutto 300 gr) lasciarne un po‟ per la decorazione, terminare con l‟ultimo strato di sfoglia, aggiungere
un goccio di cognac e decorare la millefoglie con i frutti di bosco rimasti e lo zucchero a velo.
Vino: DONNALUNA FIANO PAESTUM Igt
Caratteristiche:
Nelle zone di Paestum, dal vitigno fiano, si produce un vino caldo e fresco ad un tempo, dal
colore paglierino limpido e intensi profumi di frutta matura, pesca bianca, frutta tropicale, sentori
dolci di ginestra abbastanza persistente.
______________
La cucina della Campania “I nostri chef”, Il Mattino - Gastronomia salernitana di A. Talarco, ed. Salernu - Cucina dalla A
alla Z di L. Carnacina, Fabbri Editori - Le mille e una… ricetta, S. Fraia Editore - Mille ricette, Garzanti - L’antica cucina
della Campania , Il Mattino - Giorni ricchi d’ una cucina povera, ricette…/M. F. Noce, Editore Galzerano .
SOTTO IL PATROCINIO
DEL CONSOLATO GENERALE D‟ITALIA IN MELBOURNE, DELL‟ISTITUTO ITALIANO
DI CULTURA NEL CONTESTO DELLA X SETTIMANA DELLA LINGUA ITALIANA NEL
MONDO, CON IL SUPPORTO DELLA CAMERA DI COMMERCIO ED INDUSTRIA
ITALIANA, DEL VICTORIAN MULTICULTURAL COMMISSION
E DEL COMUNE DI MOONEE VALLEY
A. L. I. A. S.
È LIETA DI PRESENTARE LA PREMIAZIONE DEL
XVIII CONCORSO LETTERARIO INTERNAZIONALE
PRESENTANO
FRANK DI BLASI E LINDA DI VIRGILIO
INTRODUZIONE E PRESENTAZIONE DEI PREMI
DAL CONSOLE GENERALE D’ITALIA IN MELBOURNE E
DAL DIRETTORE DELL’ISTITUTO ITALIANO DI CULTURA
DR. MARCO MATACOTTA CORDELLA – DR. STEFANO FOSSATI
LA GIURIA SARÀ PRESENTATA AL PUBBLICO PRIMA DEL LANCIO
DELL‟ANTOLOGIA A.L.I.A.S. 2010
LA SERATA SARÀ ALLIETATA
DAL FISARMONICISTA ALEX DI LEO, DAL CORO A.L.I.A.S. DIRETTO DA NICODEMO LA
ROSA, DAL SOPRANO GIULIANA D’APPIO E GLI AMICI DELL’OPERA
SCENETTE E POESIE DAGLI AUTORI A.L.I.A.S.
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Andropos in the world
ILDEBRANDO DI SOANA (Seconda parte)
« Sono rari i buoni che anche in tempo di pace sono
capaci di servire Dio. Ma sono rarissimi quelli che per
suo amore non temono le persecuzioni o sono pronti ad
opporsi decisamente ai nemici di Dio. Perciò la
religione cristiana- ahimè - quasi scomparsa, mentre è
cresciuta l'arroganza degli empi »
(Ildebrando - Lettera ai monaci di Marsiglia)
Quando a Whitsun il re propose di discutere le misure da prendere contro Gregorio,
in un concilio con i suoi nobili, solo in pochi si presentarono; i Sassoni approfittarono dell' occasione d' oro per rinnovare la loro ribellione, e il partito anti- realista accrebbe la sua forza mese dopo mese. A Canossa - La situazione era ora estremamente critica per Enrico. Come risultato dell' agitazione, che veniva alimentata con
zelo dal legato papale, vescovo Altmann di Passavia, i principi si incontrarono in
ottobre a Trebur per eleggere un nuovo re tedesco, ed Enrico, che stazionava ad Oppenheim, sulla
riva sinistra del Reno, venne salvato dalla perdita del trono solo per via del fallimento
dell'assemblea dei principi nell'accordarsi sulla questione del suo successore. Il dissenso tra i
principi, comunque, li indusse semplicemente a rimandare il verdetto. Enrico, essi dichiararono,
doveva chiedere scusa al Papa e impegnarsi all'obbedienza; decisero inoltre che, se all'anniversario
della sua scomunica, si fosse trovato ancora sotto bando, il trono sarebbe stato considerato vacante.
Allo stesso tempo i principi decisero di invitare Gregorio ad Augusta per risolvere il conflitto.
Questi accordi mostrarono ad Enrico il percorso da seguire. Era imperativo, in qualsiasi circostanza
e a qualsiasi prezzo, assicurarsi l'assoluzione di Gregorio prima della scadenza del periodo,
altrimenti avrebbe difficilmente impedito ai suoi avversari di perseguire le loro intenzioni, di
attaccarlo giustificando le loro misure appellandosi alla scomunica. Inizialmente Enrico tentò di
ottenere i suoi fini per mezzo di un'ambasciata, ma quando Gregorio respinse la sua apertura, si
decise a fare la famosa mossa di recarsi di persona in Italia.
Il Papa aveva già lasciato Roma, ed aveva fatto sapere ai principi tedeschi di aspettarsi una
scorta per il suo viaggio dell'8 gennaio a Mantova. Ma la scorta non apparve quando ricevette la
notizia dell'arrivo del re. Enrico, che aveva viaggiato attraverso la Borgogna, venne accolto con
entusiasmo dai lombardi, ma resistette alla tentazione di impiegare la forza contro Gregorio. Scelse
invece la mossa inaspettata di costringere il Papa a concedergli l'assoluzione facendo penitenza di
fronte a lui a Canossa, dove si era fermato. Questo evento divenne leggendario. La riconciliazione
avvenne solo dopo un negoziato prolungato e precisi impegni da parte del re, e fu con riluttanza che
Gregorio accettò il pentimento, perché dando l'assoluzione, la dieta dei principi di Augusta, nella
quale aveva ragionevoli speranze di agire da arbitro, sarebbe diventata inutile o se fosse riuscita a
riunirsi, avrebbe cambiato completamente il suo carattere. Fu impossibile negare il rientro nella
Chiesa al penitente, e gli obblighi religiosi di Gregorio scavalcarono i suoi interessi politici.
La rimozione del bando non implicava una vera riconciliazione, e non vi furono basi per un
appianamento della grande questione in gioco: quella dell'investitura. Un nuovo conflitto era
inevitabile per il semplice fatto che Enrico IV naturalmente, considerava la sentenza di deposizione
annullata assieme a quella di scomunica; mentre Gregorio d'altra parte era intento a riservarsi la
propria libertà di azione e non diede nessuno spunto sulla questione a Canossa.
Nel 1078 papa Gregorio VII redasse il Dictatus papae, nel cui testo rivendicò la superiorità
dell'istituto pontificio su tutti i sovrani laici, imperatore incluso. In questo testo il papa si arrogava
anche il diritto di deporre qualunque sovrano. Già nel 1075 il papa aveva espressamente vietato ai
laici di poter investire qualunque ecclesiastico, pena la scomunica.
Che la scomunica di Enrico fosse semplicemente un pretesto, non un motivo, per l'opposizione
dei nobili tedeschi ribelli è evidente. Non solo essi perseverarono nella loro politica anche dopo
l'assoluzione, ma presero un ulteriore e più deciso passo nell'installare un re rivale nella persona
del duca Rodolfo di Svevia (Forchheim, marzo 1077). (Continua)
Calenda Flaviano
- 22 -
Andropos in the world
PROGETTO PIANTO
Di Renato Nicodemo
Est quaedam flere voluta (Ovidio)
Abbiamo già avuto modi di parlare di quel progettificio vacuo che è la scuola italiana.
Se continuiamo a parlarne è perché non crediamo in una riforma seria, radicale dal momento che tutti la reclamano ma nessuno la vuole, sia a destra che a sinistra, come
dimostrano le contestazioni sia a Berlinguer - De Mauro che alla Moratti - Germini.
Progetti dunque. Dopo quella sul porco (vedi nota del 15.10.2008 ) ecco quello sul
pianto, proposto da chi scrive. La motivazione prima sta nel fatto che a scuola tutti
piangono, chi per una ragione, chi per un‟altra, per cui piangono i presidi, i professori, i
precari, il personale non docente, gli alunni e i genitori. L‟altra motivazione si basa sul
vissuto degli alunni, soprattutto i più piccoli. Nei programmi, infatti, si dà in didattica
grande importanza al “vissuto” degli allievi, e quale “vissuto” è più vissuto del pianto?
I piccoli, si sa, col pianto chiedono, pregano, comandano, esprimono sentimenti, ordinano in modo così chiaro che la parola è superflua. (1)
I motivi per piangere nella vita, poi, sono tanti: dolore fisico e spirituale, paura, perdita
persone care, latte versato (anche se inutile), gioia, etc, etc..
In televisione ti fanno piangere pure i comici!
Sul pianto sono imperniate tragedie, commedie, romanzi, poesie. Cito solo quelli che mi
vengono in mente: Il Pianto della Madonna di Jacopone da Todi, Pianto antico di Giosuè
Carducci, il poemetto “Il Pianto” del francese Auguste Barbier, la geremiade di Thomas
Nashe “ Le lacrime di Cristo davanti a Gerusalemme”, Lugete, o Veneres Cupidinesque di
Catullo.
Abbiamo poi l‟erba “Lacrime di Giobbe ” che cresce in alcune regioni italiane, il vino
“Lacrima Christi “ il dipinto Donna che piange Pablo Picasso.
Piangono i poveri ed i ricchi, piange perfino il telefono. In alcune zone si pagano delle
persone per piangere (prefiche). La Madonna, da parte sua, piange spesso per le offese a
suo Figlio. Anche i fiori piangono, ma ci sono degli stupidi che credono sia rugiada.
Una cosa è certa e cioè che l‟uomo che non piange mai fa piangere un sacco di persone.
__________
(1) A. Volta ha composto questa filastrocca ( tratta da vocedibimbi.it ):
UE UE UE UE UE UE UE UE
Piango fin che mi pare e piango più che posso.
Piango perché non so parlare.
Piango per solidarietà con i miei amici.
Piango come piangono tutti i bambini del mondo.
Piango così qualcuno prima o poi verrà.
Piango perché non so cosa fare.
Piango perché sono stufo di guardare il soffitto
bianco.
Piango perché ho fatto tanta cacca.
Piango perché ho caldo, perché ho freddo,
perché sto bene, ma non voglio darvi la
soddisfazione.
Piango non so perché, ditemelo voi se lo sapete,
oppure chiedetelo al pediatra che lui ha studiato.
Piango perché per ora è la cosa che so fare meglio.
Piango perché così creo un gran bel putiferio.
Piango perché anche voi alla mia età piangevate.
Non ricordo più perché ho iniziato a piangere,ma
prima un motivo sono sicuro che c'era.
Ovviamente piango perché ho fame e
non arrivo ancora alla maniglia del frigo.
Dopo il pasto piango perché ho mangiato troppo
e ho l'aria nella pancia.
Piangere per.. non fa male, non si muore di
pianto, anzi se non piangessi morirei.
Quando piango sono sicuro che vi ricordate di me
e che state male per me.
In realtà io non piango mai per niente, quando
piango è perché voglio qualcosa e alla mia età i
desideri e i bisogni corrispondono sempre.
Perciò non preoccupatevi troppo e sforzatevi
invece di capire di cosa ho bisogno, così ci
mettiamo tutti calmi e tranquilli.
E fra poco si ricomincia...
- 23 -
Andropos in the world
IL SEICENTO MUSICALE (PARTE PRIMA)
Di William Borrelli
Nell'immaginario comune il Barocco coincide ormai
col Seicento, sebbene sia l'ultima parte del Cinquecento
che una porzione del Settecento siano artisticamente
inquadrabili nella stessa corrente. La Musica risentirà del
gusto dominante del secolo, pur riuscendo ad evitare gli
eccessi di certe altre manife-stazioni artistiche, generalmente associate all'idea stessa dell'arte selcetesca, e mantenendo una certa sobrietà ed eleganza. La nascita del
cosiddetto “stile concertato” (di cui abbiamo parlato di
recente), e lo sviluppo ulteriore dell'ormai affermata polifonia, segnarono un decisivo passo avanti nell'arte musicale cinquecentesca, col fiorire della opera di eminenti
com-positori, quali Vivaldi o Monteverdi. Il nuovo e
centrale ruolo della musica strumentale ed i decisivi passi
avanti nella concezione armonica condus-sero alla
definitiva affermazione di due strumenti in particolare: il
violino ed il clavicembalo. Quanto al pri-mo, basti pensare alle meravigliose opere di Vivaldi, in cui questo strumento è esaltato nella ricerca melodica e nell'imi-tazione
dei suoni della natura; lo stesso Bach, insuperabile maetro della tastiera, nonostante la superba produzione cembalistica, considerò sempre il violino lo strumento principe, al centro della propria idea melodica. Oltre al citato
Bach, di cui avremo modo di parlare diffusamente nei
prossimi articoli, il clavicembalo venne consacrato da
grandi interpreti e compositori come lo strumento simbolo dell'età barocca. La possibilità di sovrapporre ed
intersecare varie linee melodiche sulla tastiera, permise ai
compositori dell'epoca di dare un nuovo volto alla polifonia, e di scoprire soluzioni del tutto nuove, rielaborando
generi noti ed introducendone di nuovi: le opere di Bach
sono senza ombra di dubbio il simbolo dello stile e della
tecnica cembalistica nonché, di fatto, la base del moderno pianismo. Vale le pena citare alcuni grandi musicisti,
come i francesi François Coupe-rin,compositore sensibile
e dalle sfumature malinconiche, e Jean-Philippe Rameau,
autore di tragedie e commedie liriche, di balletti e cantate
oltre che di musica per clavicembalo; il danese Buxtehude, molto noto anche come organista e compositore esuberante, nonché maestro di Bach, ed il tedesco Georg
Friedrich Haendel (cui dedicheremo ampio spazio), che
scrisse musica di vario genere e per varie occasioni, e che
sarà l'esempio perfetto del musicista al servizio di uomini
di potere, avendo trascorso gli anni della sua consacrazione presso la corte inglese: parte della sua musica fu
composta per avvenimenti mondani o per ricorrenze della
famiglia reale. Altri illustri musicisti confermerrano la
figura del musicista come “professionista” dell'arte, ovvero dell'artista al servizio di mecenati o istituzioni pubbliche, che vive del proprio lavoro.
E' bene insistere ancora sul fatto che la fuorviante
idea del musicista-profeta è del tutto sbagliata, o
perlomeno, ha senso solo nell'ottica Romantica e
post-Romantica. Non bisogna, però, ritenere che la
professionalizzazione dei musicisti abbia rappresentato un fenomeno deleterio per lo sviluppo della nostra
arte, anzi, tenendo conto della situazione rinascimentale, o addirittura di quella dei secoli XIV e XV, il
fatto che grandi musicisti abbiano messo il proprio
talento al servizio delle più svariate occasioni ha
permesso alla musica di svincolarsi dai generi e dalle
forme tradizionali, dando vita a nuovi ed interessanti
stili compositivi. E' il caso di dire che i grandi maestri
seppero fare di necessità virtù, dando vita a generi che
avranno grossa fortuna nei secoli successivi, come il
melodramma e la musica da camera. In questo
periodo nacquero i primi gruppi strumentali stabili, in
particolare si affermò quello che diventerà il nucleo
della moderna orchestra sinfonica (compo-sto dal
clavicembalo, dagli strumenti ad arco ed
eventualmente da un flauto e da un oboe), e che si
arricchirà progressivamente ampliando il proprio
organico e sostituendo alcuni strumenti ormai superati. Dal Settecento in poi, vedremo, la composizione
per orchestra sarà il banco di prova per molti, grandi,
compositori, e si legherà indissolubilmente ad alcuni
nomi celebri. Accanto ai compositori stranieri, troviamo eccellenti rappresentanti della tradizione italiana, i
cui nomi di spicco furono sicuramente Alessandro e
Domenico Scarlatti, Girolamo Frescobaldi e Domenico Zipoli. E' interessante notare, a testimonianza del
fatto che proprio le innovazioni di questo periodo
rappresentano il nocciolo della concezione musicale
dei nostri giorni, che le opere di Bach, Scarlatti, e dei
maggiori cembalisti italiani (tra gli altri) sono ormai
parte consolidata dei programmi pianistici di tutti i
Conservatori, sia dei corsi di studio in pianoforte che
dei corsi complementari per gli altri strumentisti.
SALERNO IN CARTOLINA
Salerno – Porticato int. del Duomo
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Andropos in the world
AESOPOS ET PHAEDRUS IN NAPOLETANO
(Dal libro di F. Pastore “Fedro ed Esopo in napoletano” )
« L‟etimologia di "favola" implica la fusione di termini appartenenti a differenti lingue antiche : il vocabolo de riva dal latino "fabula", che, a sua volta, lega con il verbo latino "fari“, e dal greco "ί" entrambi col significato di "
dire, parlare, raccontare". Termini che trovano la loro origine nell'antica radice indoeuropea bha. L'etimologia ci
dimostra, in maniera indiretta, quanto antica sia questa forma letteraria, e come si incunea negli usi e costumi di
popoli che amavano trasmettere alle nuove generazioni abitudini, costumanze e credenze popolari. Questo genere
letterario è di origine popolare ed annovera tra i suoi maggiori autori ed iniziatori il Greco Esopo (VII sec. a. C.) ed il
latino Fedro (I sec. d. C.).In questo contesto si colloca la favola greca con Esiodo e in seguito compare soprattutto nei
poeti giambici come Archiloco e Simonide, in Aristofane, Erodoto, Platone, Aristotele ed altri ancora. Nella letteratura
greca la favola comparve sempre a descrivere, con atteggiamento critico, il mondo e a dare esempi, alla stessa stregua
del mito e dell'aneddoto ….»
CANIS FIDELIS: ‘O CANE FEDELE
„A generosità,
mostrata „e presse
lusinga, „a chìstu munno,
sule „e fesse.
La gentilezza
ti nasconde il dolo,
del quale è gran maestro
„o mariuòlo.
Nù ladro vuleve
fa nu cane amico,
pe‟ pute‟ arrubba‟
tranquillamente.
Nu piezze e pane
ce jettàie annanze,
pe‟ chiùre „a vocca
e pe‟ régne „a panza.
Ma l‟animale,
ca nunn‟era strunzo,
„nce rispunnette:
- Tu e mo‟ me faie!
Pozze mangià e beve,
a veverùlo,
ma si te muòve
ie t‟‟o mette „nculo! -
TRADUCTIO
La generosità, mostrata in fretta,
Lusinga in questo mondo
Solo gli sciocchi.
La gentilezza nasconde l’inganno
Del quale è grande maestro
Il ladro.
Un Ladro voleva
Farsi un cane amico
Per poter rubare
Senza problemi.
Gli lanciò avanti
Un pezzo di pane,
per chiudergli la bocca
e per saziarlo.
Ma l’animale,
che non era sciocco,
gli rispose: - Tu non mi gabelli,
posso benissi mangiare
il tuo pane,
ma se ti muovi
sei fregato! -
__________________
Fedro – Canis Fidelis - Repente liberalis stultis gratus est, verum peritis inritos tendit dolos. Nocturnus cum fur
panem misisset cani, obiecto temptans an cibo posset capi, 'Heus', inquit 'linguam vis meam praecludere, ne latrem
pro re domini? Multum falleris. Namque ista subita me iubet benignitas vigilare, facias ne mea culpa lucrum' .
LO SAPEVATE CHE
Anche se considerati gli animali più forti e veloci del mondo, i ghepardi non riescono a
sfuggire ad una malattia mortale chiamata amiloide A, o più semplicemente amiloidosi.
Trattasi di una malattia che colpisce il 70% dei “gatti” in cattività, e ha reso inutili gli
sforzi dell‟allevamento.
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Andropos in the world
L’EROS NEI SECOLI
LA PROSTITUZIONE SACRA
Era una pratica in voga nelle civiltà antiche, soprattutto orientali e medio - orientali (babilonesi,
fenici e assiri), ma non mancano attestazioni in Grecia1: Corinto ed Erice; d’altronde
significava "frequentare prostitute". La motivazione principale che diede origine e impulso alla pratica
della prostituzione sacra era il tentativo di immagazzinare l'energia vitale: nel tempio, il sacerdote (a
volte il fedele stesso) si univa carnalmente alla sacerdotessa, celebrando con la loro unione un rito
inneggiante alla dea della fertilità (Ishtar, Astarte, Afrodite e altre ancora) in modo tale da propiziare
la fertilità delle donne della comunità e, indirettamente insieme a essa, la prosperità economica della
comunità stessa. I riti di accoppiamento sacro venivano celebrati dietro versamento di un obolo (ecco
perché si parla di prostituzione): le prostitute sacre, dette ierodule, però non si arricchivano poiché
tutto quanto veniva offerto andava a formare il tesoro del tempio. La prostituzione sacra è menzionata
anche nella Bibbia2, dove viene stabilito il divieto per gli uomini e le donne di Israele di prendere parte
a tale pratica. La prostituzione è considerata nella Bibbia un abuso ed una perversione della sessualità
umana creata da Dio ed usata per la vita di una coppia mutuamente impegnata nel contesto di un
progetto di vita sanzionato dal patto di matrimonio. E’ espressione della corruzione che il peccato ha
introdotto in ogni aspetto della vita umana.
La prostituzione sacra era particolarmente diffusa presso i Sumeri, che veneravano la dea Inanna,
e successivamente presso i Babilonesi, che veneravano Ishtar. I Fenici la praticavano in onore di
Astarte, i Greci riferirono il culto ad Afrodite. Naturalmente la prostituzione sacra era una
straordinaria fonte di arricchimento per i santuari in cui veniva praticata: particolarmente celebri
furono quello di Babilonia in Mesopotamia, quello di Corinto in Grecia, quello di Pyrgi in Etruria.
Con l'inizio dei tempi storici gli antichi culti della fertilità tendono a essere istituzionalizzati e si
configurano nella forma della prostituzione rituale, la cui funzione era di invocare l'aiuto degli dèi
per assicurare la fertilità della terra, degli uomini e degli animali. Le donne che si offrivano al culto
della prostituzione sacra potevano essere donne libere che occasionalmente si prestavano a questi
riti, oppure vere e proprie sacerdotesse che svolgevano quest'attività in maniera continuativa.
Nelle fasi più antiche sembra che l'esercizio della prostituzione sacra fosse legato a momenti di
carestia o di pestilenza, e questo induce a vedere in questo culto una funzione civilizzatrice che
mitigava le più primitive pratiche del sacrificio umano. I culti monoteistici ebraici prima, cristiani e
musulmani poi, avversarono e censurarono la prostituzione rituale, poiché per le pretese
moralizzatrici del Dio unico era intollerabile legare la sfera della sessualità ai culti sacri.
I riti sessuali potevano svolgersi sotto l'aspetto della ierogamia o della ierodulia. La ierogamia
simboleggiava l'unione fra un dio e una dea (il Cielo e la Terra): durante il rito il sovrano si accoppiava con la sacerdotessa, che gli trasferiva il potere fecondante della dea affinché il re potesse
trasmetterlo ai sudditi. Nella ierodulia le schiave consacrate alle divinità si offrivano a coloro che
visitavano il tempio per rendere omaggio agli dèi. Le schiave che praticavano la ierodulia erano di
rango sociale inferiore alle sacerdotesse che si accoppiavano coi sovrani, tuttavia avevano funzioni
importanti nelle cerimonie religiose. Esisteva anche la forma della prostituzione apotropaica che
poteva essere praticata dalle ragazze che, prima di sposarsi, consacravano la propria verginità agli
estranei per scacciare magicamente i pericoli della vita coniugale, e per raccogliere la dote necessaria al matrimonio. Nell'Italia antica le colonie greche e fenice diffusero l'usanza della prostituzione sacra; anche se le testimonianze letterarie e archeologiche sono lacunose in materia, lasciano
intendere una probabile diffusione di questi culti nell'ambiente della Magna Grecia. In particola-re,
i celebri rilievi del "Trono Ludovisi" sembrano, secondo Panzetti3, provenire dalle colonie greche, e
alludono al rito della nascita di Venere dalle acque. Culti greci di Afrodite vennero acquisiti dai
Romani, ma in versioni più morigerate: la Venere romana era soprattutto una dea della fecondità
legata alla famiglia. I racconti popolari calabresi, sulla "bella dei sette veli", sembrano legati alla
celebre danza dei sette veli che le sacerdotesse eseguivano in onore di Astarte.
_____________
1) Strabone, Geografia, VIII, 378- Cicerone, In Caecilium oratio, 55.
2) Deuteronomio 23, 18-19.
3)Panzetti, La prostituzione sacra nell‟Italia antica, Imola 2006.
- 26 -
Andropos in the world
PASSEGGIANDO PER SALERNO
VILLA CARRARA
Punto di ritrovo per pensionati e bambini, la Villa fu costruita nel 1700 dalla
nobile famiglia Carrara, originaria di Montecorvino, come residenza di campagna.
Era circon-data da un parco che si estendeva fino al mare, l‟attuale giardino è
solo la piccola parte che ne rimane. Villa Carrara ha ospitato il re di Napoli,
durante le sue battute di caccia a Persano e Giacomo Casanova, che la ricorda
nelle sue Memorie.
L‟ultimo discendente, Domenico Carrara, nel 1953 la lasciò in eredità al
Sovrano Ordine Militare di Malta.
Nel 1997 è stata restaurata dall‟Amministrazione comunale; I lavori effettuati
hanno messo in luce, sulla facciata che dà su via Posidonia, un portale di piperno e
un doppio loggiato che poggia su di un alto zoccolo.
Attualmente è sede di una biblioteca-emeroteca, che si può visitare nella
giornata del lunedì, previa prenotazione, ospita manifestazioni culturali e sociali, e
nel suo bel salone spesso si celebrano matrimoni civili.
Rosamaria Pastore
Carlo Pisacane
UNA FOTO D‟ALTRI TEMPI:
Nacque a Napoli il 22 agosto 1818, da una nobile
famiglia che lo avviò alla carriera militare. Dovette
però abbandonare l’ uniforme e fu costretto ad
allontanarsi da Napoli nel 1847 e a vivere tra
Marsiglia, Londra, Parigi e anche l'Algeria, dove si
arruolò nella legione straniera.
Nel 1848 si trasferì in Lombardia, dove combatté
come volon-tario nella prima guerra d'indipendenza.
Di poi, si trasferì a Roma dove, con il Mazzini e
Giuseppe Garibaldi, fondò la Repubblica Romana. Nel
1856, fondò il periodico «La parola libera».
Con il Mazzini, facendo leva sul malessere dei
contadini, preparò la spedizione di Sapri ed il 25
giugno del 1857 si imbarcò a Genova, con 24 nuomini,
su un piroscafo diretto a Tunisi Durante il viaggio
s’impadronirono della nave e la diressero verso l’isola
di Ponza, dove sbarcarono il 27 giugno. Qui
liberarono i trecentoventotto detenuti nella colonia
penale, trecento dei quali parteciparono con
entusiasmo alla spedizione.
Il 28 giugno 1857 sbarcarono a Sapri, ma furono
assaliti dagli stessi contadini locali, ai quali le
autorità borboniche erano riuscite ad annunciare in
tempo lo sbarco di trecento ergastolani «pronti a
uccidere e saccheggiare». Furono Trucidati alcuni ed
arrestati i su-perstiti. Carlo Pisacane si suicidò con la
sua pistola il 2 luglio a Sanza (Salermo).
- 27 -
Andropos in the world
Se Francesco II avesse difeso di persona la Sicilia
di Davide Cristaldi (1)
Che storia avremmo avuto se Ferdinando II di Borbone non
fosse morto nel 1859? Quale "risorgimento" ci sarebbe stato se
Francesco II fosse andato di persona a difendere la Sicilia nel
'60? Che Sud avremmo avuto se i Borbone avessero governato
magari fino ad oggi? Quale cultura e quale economia avrebbe
avuto il Regno delle Due Sicilie senza l'invasione piemontese?
Se è certo che dopo l'unificazione italiana fummo co-stretti
ad essere prima briganti e poi emigranti, è altrettanto certo
che i Meridionali, senza le imposizioni piemontesi e senza le
violenze fisiche e morali, arrivate insieme alle baionette dei
bersaglieri, non avrebbero mai iniziato una guerra tanto
devastante come quella che, in pochi mesi, si diffuse in tutto il
Regno.
Nella storia del nostro Sud, del resto, per motiva-zioni di
carattere essenzialmente religioso e culturale, raramente i
popoli Meridionali avevano impugnato spade, picche o fucili:
non a caso questo succede proprio nel 1799 (Repubblica di
Murat) e nel 1860 di fronte, cioè, a due invasioni straniere che
stavano minacciando la vita stessa di un popolo anche nei
suoi valori più profondi e radicati. I Meridionali capirono che
era necessaria una difesa proprio perché si trovavano contro
un nemico che avrebbe condizionato anche la loro storia
futura.
Nessun brigante, allora, sarebbe sceso in guerra se i
Borbone avessero avuto la possibilità di governare nel Sud. E
briganti sarebbero rimasti quei pochi delin-quenti comuni che
pure esistevano nel regno borbo-nico come in tutti gli altri
paesi del mondo, in percentuali pari a quelle degli altri Paesi
anche italiani e certo non tali da giustificare l'invio di
centinaia di migliaia di soldati piemontesi per oltre dieci anni:
basterebbe semplicemente e banalmente questo dato per
distruggere le basi di una tesi storiografica molto diffusa
presso la cultura ufficiale e accademica secondo la quale il
brigantaggio post-unitario continuava una storia iniziata
quasi nel periodo medioevale.
E nessun emigrante, probabilmente, avrebbe cono-sciuto
l'America o l'Australia o il Belgio o la Germania. Prima
dell'unificazione italiana nessuno era stato costretto ad
emigrare e senza le scelte politiche ed economiche del nuovo
governo unitario avremmo continuato a lavorare e a vivere
dignitosa-mente nella nostra terra. Né briganti né emigranti,
dunque, nel Sud che pote va essere e che non è stato. Né
briganti né emigranti se riflettiamo magari sui fatti più
significativi degli ultimi anni e degli ultimi mesi di vita del
Regno delle Due Sicilie, cercando di capire quali prospettive
avrebbe avuto il Sud in uno stato ancora autonomo. È
opportuno prima di tutto indicare alcune linee di sviluppo
dell'economia meridionale pre-unitaria: Le monete degli
antichi Stati italiani al momento dell'annessione ammontavano a 686 milioni così ripartiti:
Regno delle Due Sicilie, 443,2 - Lombardia 8,1 - Ducato di
Modena 0,4 - Parma e Piacenza 1,2 - Roma 35,3 - Romagna,
Marche e Umbria 55,3 - Sardegna 27,0 - Toscana 85,2 Venezia 12,2. (2)
Una delle risorse più ricche di prospettive era e sarebbe
stata quella del mare: i Borbone dimostrarono di aver capito
concretamente l'importanza commer-ciale e strategica del
Mediterraneo. Nel 1856, nella sola capitale c'erano 25 compagnie di navigazione; la prima, la più poderosa in Italia, era
la Società di navigazione delle Due Sicilie: le navi napoletane
toccavano tutti i porti del Mediterraneo, attraversavano
l'Atlantico arrivando fino a New York, Boston, fino al
Brasile, alla Malesia o all'Oceania.
Nel giugno del 1854 per la prima volta una nave italiana
a vapore, dopo 26 giorni di navigazione, arrivò a New York:
era il piroscafo Sicilia, voluto da Ferdinando II «per il
tragitto periodico tra i Reali Dominii e le Americhe [...]
spezialmente per il traffico di quelle derrate che in lungo
viaggio soggette andrebbero a deteriorarsi»
Alcuni anni dopo l'unità d'Italia, lungo la stessa rotta,
quelle derrate saranno tragicamente sostituite da milioni
di Meridionali costretti ad emigrare.
Quali briganti e quali emigranti avremmo avuto se avessero assecondato lo sviluppo dei cantieri di Castellammare
(il cantiere più grande e moderno d'Europa nel 1860) con i
suoi 1800 operai?
A Pietrarsa avevamo la più grande fabbrica metalmeccanica con 1050 operai mentre l'Ansaldo a Genova ne
occupava solo 480 e la FIAT non era ancora nata. Per non
parlare degli ol tre 2000 addetti complessivi delle ferriere
di Mongiana in Calabria.
Chiusero quasi tutte queste fabbriche perché fummo
conquistati ed era normale che i conquistatori facessero di
tutto per chiuderle e per farci diventare una loro colonia.
Ed è normale che oggi anche pasta e pomodori vengano dal
Nord. Chiusero perché delle 600 locomotive occorrenti alle
ferrovie italiane solo 70 furono ordinate a Pietrarsa. E agli
operai della nostra antica fabbrica, voluta da Ferdinando
II, «per affrancarci dal braccio straniero», quando si
riunirono nel cortile per protestare contro i licenziamenti,
spararono con le baionette: quattro di loro furono
ammazzati e sono stati dimenticati anche se sono stati i
primi martiri della storia operaia. Chiusero quelle
fabbriche, vittime delle 34 nuove tasse del governo di
Torino o schiacciate dalle politiche prima liberistiche e poi
protezionistiche funzionali solo allo sviluppo delle industrie
dell'Italia del Nord.
Che Sud ci sarebbe stato senza quell'unificazione
sbagliata? In questa sintesi troppo breve si è cercato solo di
trovare qualche indicazione. Un Sud certamente senza
briganti e senza emigranti, dove certamente non tutto
sarebbe stato perfetto ma un Sud con una precisa identità
culturale, religiosa, politica ed economica. Un Sud dove
magari industria, agricoltura, commercio o turismo
avrebbero avuto un loro sviluppo forse lento ma adeguato
alle esigenze del territorio. Un Sud che in una confederazione di Stati italiani sarebbe stato rispettato e avrebbe
avuto il ruolo che gli spettava, un Sud rispettato e prot!
agonista anche in Europa e soprattutto nel Mediterraneo.
Se la storia dei se rischia spesso di perdere la sua scientificità, è davanti ai nostri occhi la storia vera, quella che
ha portato alla rivolta di un intero popolo per oltre dieci
anni, al suo massacro fisico e culturale, alla distruzione
della sua economia, alla sua colonizzazione, ad una
diaspora che non ha pari nella storia dell'umanità e che
non è ancora terminata. […]
__________
1) Fonte: etleboro.blogspot.com
2) Francesco Saverio Nitti, Scienza delle Finanze,1903)
.
- 28 -
Andropos in the world
Cose dell’altro mondo
- Mamma, mamma, il limone ha il becco? - No, figlio mio! - Ooopss, allora ho spremuto un canarino! Quando il mondo è pazzo
- Quanti avvocati servono per cambiare una lampadina?
- 54. Otto per arguire, uno per dare continuità, uno per obiettare, uno per schivare, uno per
cercare precedenti, uno per dettare una lettera, uno per stipulare, cinque per timbrare il
cartellino, uno per deporre, uno per scrivere gli interrogatori, due per patteggiare, uno per
ordinare alla segretaria di cambiare la lampadina, 28 per fatturare i servizi professionali.
Sui nostri simpatici carabinieri
Un carabiniere ogni mattina entra in una cabina telefonica, alza la cornetta, pronuncia
qualcosa, dopo ascolta ed esce tutto contento, con un grande sorriso sulla faccia. Un
signore, che ogni mattina di fronte a questa cabina telefonica aspetta il suo autobus, una
mattina si avvicina al carabiniere.
- Mi scusi, so che non sono affari miei, ma La vedo ogni mattina fare questo rituale e mi
chiedevo cosa stesse facendo?
- Entro, alzo la cornetta e chiedo: "Chi è il carabiniere più intelligente del mondo?", e la
voce mi risponde: "Tu, tuuu, tu, tuuu, tu, tuuu..."
Ci fai, o ci sei?
All‟Accademia navale, l‟esaminatore al candidato:
- Se il capitano della nave grida: "Un uomo in mare!", come ti comporti? - Semplice, prendo il primo passeggero che mi capita e lo scaravento in acqua! –
Nel mondo della scuola
Un ispettore scolastico sta ispezionando una scuola, entra in una classe per verificare lo
svolgimento delle lezioni e fa una domanda ad un alunno:
- Dimmi un po‟, chi ha preso la Bastiglia? Il ragazzo, sgomento, risponde: - Io non ne so nulla sono stato tutto il giorno in classe! L'ispettore, allora, chiede spiegazioni al professore, che gli risponde:
- Posso confermarlo: il ragazzo è stato tutto il giorno in classe e poi è di buona famiglia -.
L'ispettore sempre più stupìto dice al professore:- Mi mi accompagni subito dal preside! In presidenza, l'ispettore esplode:
"E‟ inammissibile, sono appena stato in una delle vostre classi ed ho chiesto ad un alunno
chi ha preso la Bastiglia e il ragazzo mi ha detto che non era stato lui … Allora, il preside, conciliante:
"Su, su, sia buono ispettore, quanto costerà mai questa bastiglia ? Se vuole, gliela pago io! Freddure ed altro
 Il colmo per una gallina? Avere la pelle... d'oca!!!
 Il colmo per un benzinaio? Avere la moglie... SUPER!
 LE TUE LABBRA

( Liriche )
di Franco Pastore
POESIE E
RACCONTI.IT

Franco Pastore
CIOMMA
Racconti
Ed. ANTITESI - Roma 2007
B
Blluuee TTeeaam
m
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- 29 -
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( A c q u i s to S p a z i o / w e b d el 2 6 / 0 4/ 0 6 - A r u b a S . P . A . )
Carminello, Nuove tecnologie educative e SS.
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