Frode nelle pubbliche forniture: sono “inutilizzabili” le analisi di
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Frode nelle pubbliche forniture: sono “inutilizzabili” le analisi di
AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 Frode nelle pubbliche forniture: sono “inutilizzabili” le analisi di revisione su un’aliquota alimentare spedita irregolarmente* Francesco Aversano 1.- La sentenza che si annota è stata pronunciata dalla Corte di Appello di Salerno ed è passata in cosa giudicata; essa concerne, dal punto di vista sostanziale, la fattispecie di cui all’art. 356 cod. pen. (frode nelle pubbliche forniture) e, da quello processuale, il delicato profilo della “utilizzabilità” in sede dibattimentale delle analisi su campione di prodotto alimentare “irregolarmente” portato all’esame dell’ente revisore1. Più specificamente si è trattato di analisi comunque effettuate, ma su un’aliquota dichiarata “inidonea” dal medesimo organo procedente2. Il giudizio ha riguardato un imprenditore caseario, fornitore ad una struttura ospedaliera di formaggi freschi a pasta filata, con una presenza di “latte di bufala” in percentuale riscontrata in misura inferiore a quella pattuita (è bene precisare che si trattava di formaggio “misto”, con una percentuale di latte di bufala “assicurata” per contratto, giammai di mozzarella di bufala campana DOP). 28 All’esito delle analisi di revisione, richieste ritualmente dall’interessato ed effettuate presso l’Istituto Superiore di Sanità, nonostante le rituali contestazioni del difensore sulla “genuinità” del campione e, quindi, sulla generale improcedibilità, si è proseguito comunque nell’analisi, accertandosi comunque una percentuale di latte bufalino contenuto nella mozzarella fornita pari al 12,5%, quindi inferiore alla soglia pattuita (20%). Tale valore, si badi, è risultato palesemente difforme dal primo “rapporto di prova” conseguente alle (pre)analisi svolte dall’Istituto Zooprofilattico inaudita altera parte, ove si è evinta una percentuale di latte bufalino prossima all’inesistente. Ergo la notizia di reato elevata dalla P.G., inizialmente qualificata nell’alveo dell’art. 515 c.p. (frode in commercio), poi rubricata dal P.M. in corso di indagini preliminari nel ben più grave delitto di cui all’art. 356 c.p., stante la rilevanza pubblica della fornitura3. 2.- Ciò premesso, per un più agile commento appare utile, dapprima, inquadrare la fattispecie penale oggetto della pronuncia: l’art. 356 c.p., reato che, secondo condivisa giurisprudenza, si consuma “ogni qual volta il soggetto deputato all’esecuzione di un contratto di appalto o somministrazione stipulato con un ente pubblico, dolosamente non adempia alla propria prestazione, fornendo beni o servizi diversi o di qualità e quantità inferiore rispetto a quanto previsto nel contratto. Lo scopo della norma è quello di rafforzare con la sanzione penale la corretta e leale esecuzione del contratto di pubbliche forniture, ponendo tale contratto al riparo dai comportamenti fraudolenti del fornitore”4. (*) La sentenza qui commentata, Corte di Appello Salerno, 30 ottobre 2012, n. 2251, è pubblicata in calce alle presenti note. (1) Il problema della utilizzabilità dei risultati analitici è stato affrontato da qualificata dottrina, che ha considerato dapprima la sentenza n. 434/1990 della Corte costituzionale, la quale, “ribaltando l’orientamento precedente”, ebbe a dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 legge 283/1962 “nella parte in cui non prevedeva che, per i casi di analisi di campioni di sostanze alimentari deteriorabili per le quali non si possa eseguire la revisione, fosse dato avviso agli interessati dell’inizio delle operazioni al fine di una loro presenza, eventualmente con l’assistenza di un consulente tecnico. Nel frattempo era entrato in vigore il nuovo codice di procedura penale che all’art. 223 n. coord. sancisce l’ingresso nel fascicolo del dibattimento dei certificati delle analisi irripetibili (oltre che delle analisi di revisione), purché sia stato garantito il contradditorio attraverso gli avvisi di partecipazione all’incombente (nel senso della applicabilità della norma ad ogni caso di irripetibilità delle analisi, anche se per effetto della esiguità del campione disponibile)”. Cfr. Relazione di V. Pacileo, Reati alimentari. Analisi di laboratorio e utilizzabilità processuale, in Atti del Convegno Frodi in materia alimentare e tutela del consumatore, Cuneo, 27 gennaio 2011, in www.giustizia.piemonte.it. (2) “La fonte normativa sulle modalità di campionamento è costituita dal D.P.R. 327/80 quale regolamento di esecuzione della legge 283 del 1962, che in via generale prevede delle “regole” ma allo stesso tempo consente anche modalità diverse, giustificabili in sede di verbale. La materia è altresì regolata dal decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 123 (recante attuazione della direttiva 89/397/CEE relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari) che in particolare all’art. 4 (Particolari tipologie di alimenti e modalità di analisi), norma residuata anche dopo le abrogazioni operate dal decreto legislativo 6 novembre 2007 n. 19”. Questo è il quadro proposto da A. Montagna, Sulle garanzie per il produttore e distributore in tema di prelievi e analisi dei prodotti alimentari, in Alimenta, n. 2, 2010, p. 27. (3) Nel caso in esame non andrebbe sottovalutata la possibile invocazione della fattispecie criminosa (contravvenzionale) di cui all’art. 5, comma primo, lett. a) della L. 30 aprile 1962, n. 283 (ed infatti, nel caso in commento trattavasi pur sempre di mozzarella diversa “per qualità” diversa da quella dichiarata); sul punto, integra l’elemento soggettivo colposo del reato di cui all’art. 5, comma primo, lett. a), L. 30 aprile 1962, n. 283 la mera negligenza nelle dovute verifiche sulla conformità alla normativa del prodotto alimentare preparato o detenuto per la vendita. Così Cass. pen., Sez. III, 12.01.2010, n. 14285 (rv. 246810), in CED Cassazione, 2010. Ed ancora: la presenza in percentuale elevata di latte vaccino nel prodotto presentato come “mozzarella di bufala campana” fa sì che o stesso debba essere considerato privato in misura considerevole dei propri elementi nutritivi e comunque trattato in modo da variarne la sua composizione naturale; di qui la configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 5, lett. a) Legge 30 aprile 1962, n. 283. Così, Trib. Salerno, 09.10.2002, su Foro Salern., 2004, n. 1, p. 75. (4) Cfr. Uff. indagini preliminari di Torino, 10.05.2011, n. 913, in www.leggiditaliaprofessionale.it. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 Il reato di cui all’imputazione, inserito tra i delitti dei privati contro la p.a., vede appunto quale interesse tutelato quello del “buon funzionamento” della p.a. contro le frodi dei fornitori, quali che siano i modelli negoziali in base ai quali i privati si obbligano a determinate prestazioni5. L’elemento soggettivo del delitto si fonda, com’è noto, sul dolo generico, ossia su coscienza e volontà di adempiere difformemente dal pattuito, nella consapevolezza degli effetti (economicamente vantaggiosi) che derivano dalla consegna dell’aliud pro alio. Ed infatti integra il delitto di frode in pubbliche forniture anche la condotta di colui che fornisca una cosa diversa da quella pattuita “per origine, provenienza, qualità o quantità, purché la difformità sia apprezzabilmente significativa nel senso di risultare idonea ad incidere sullo svolgimento del rapporto con la pubblica amministrazione”6. 3.- Prima di affrontare il merito dell’annotata sentenza, sembra interessante soffermarsi sull’evoluzione concettuale del termine “frode”7 (elemento centrale del delitto de quo), non integrabile secondo parte della giurisprudenza dal mero inadempimento negoziale8, ma più specificamente dalla “malafede contrattuale”, consistente nell’astuzia (o malizia) operata dallo scorretto fornitore9, o addirittura inverata nell’inganno operato ai danni della p.a.10. Ai fini della configurabilità del delitto di frode nelle pubbliche forniture la norma incriminatrice richiederebbe dunque un “quid pluris” che va individuato nella malafede contrattuale, ossia nella presenza di un espediente malizioso o di un inganno, tali da far apparire l’esecuzione del contratto conforme agli obblighi assunti11. In altri termini, l’art. 356 c.p. finisce per sanzionare sul versante penale quelle condotte pattizie che, nei contratti con la pubblica amministrazione, 29 ledono il principio di “buona fede” nell’esecuzione del contratto, alla luce del principio sancito dall’art. 1375 c.c.12. Ciò premesso, deve considerarsi che la giurisprudenza penale alimentare ci ha consegnato un’interessante posizione13, che - con riferimento ad una frode nell’esecuzione del contratto di appalto – pare aver “ristretto” l’ambito di applicabilità della fattispecie di cui all’art. 356 c.p., fino ad escludere la “mera” somministrazione ad una mensa scolastica di “grana padano e passato di pomodoro”, in luogo del pattuito “parmigiano e pomodoro pelato in scatola o fresco”. Il problema, in quel caso, riguardava il più ampio tema della condotta penalmente rilevante, che - secondo il ricorrente risultava inesistente poiché la diversa somministrazione di prodotti “andava qualificata come semplice inadempimento contrattuale”. Tale assunto si era fondato sulla tesi che, per la configurazione del reato di frode nelle pubbliche forniture, si rendesse necessaria “oltre alla circostanza della dazione di una cosa al posto di un’altra, anche la malafede contrattuale, ravvisabile quantomeno nella cosciente volontà di consegnare cose diverse da quelle pattuite”. Ed invero la successiva pronuncia di legittimità, accogliendo tali motivi di ricorso, fissava altresì veri e propri parametri per la configurabilità della fattispecie di cui all’art. 356 c.p.; ed infatti, la Corte di cassazione rinviava gli atti alla Corte di merito per un nuovo giudizio, che stavolta tenesse “adeguatamente conto della quantità dei prodotti difformi rinvenuti”, della “diversità di valore dei prodotti utilizzati rispetto a quelli pattuiti”, della “effettiva destinazione dei prodotti difformi rispetto a quelli pattuiti alla mensa della scuola” e, con riguardo all’elemento soggettivo del reato al dolo e “agli espedienti maliziosi posti eventualmente in essere”. (5) Noto, sul punto, è l’alto contributo di A. M. Stile, Lineamenti dell’azione incriminata come frode nelle pubbliche forniture, in Foro pen., 1965, p. 276 ss. (6) Si veda Cass. pen., Sez. VI, 05.10.2010, n. 42900 (rv. 248806), in www.leggiditaliaprofessionale.it. (7) Il termine frode, nella legislazione penale, è univocamente inteso come indebito profitto conseguito con modalità ingannevoli e dunque con altrui danno; sic C. Paterniti, Frode nell’esercizio del commercio (Art. 515 c.p.), in G. Marini e C. Paterniti (a cura di), AA.VV., Dizionario dei reati contro l’economia, Milano, 2000, p. 325. (8) Con rimando a G. Dolce, Frode e inadempimento nelle pubbliche forniture, in Enc. dir., XVIII, 1969, p. 149. (9) Il reato di frode nelle pubbliche forniture non richiede una condotta implicante artifici o raggiri, propri del reato di truffa, né un evento di danno per la parte offesa, coincidente con il profitto dell’agente, essendo sufficiente la dolosa in esecuzione del contratto pubblico di fornitura di cose o servizi, sicchè, nel caso in cui ricorrano anche i suddetti elementi caratterizzanti la truffa, sussiste il concorso tra i due delitti. Tanto si rinviene in Cass. pen., Sez. II, 20.03.2009, n. 15667 (rv. 243951), in CED Cassazione. (10) Si veda amplius V. Pacileo, Il diritto degli alimenti. Profili civili, penali ed amministrativi, Padova, 2003, p.260; l’Autore inquadra la fattispecie in rapporto con l’art. 515 c.p., costituendone una species, ove “l’uso del termine <<frode>> non allude a particolari tratti ingannatori della condotta” e il delitto in parola “si attaglia al caso in cui l’acquirente non sia un privato qualunque, ma lo Stato, un ente pubblico ovvero un’impresa esercente servizi pubblici o di pubblica utilità”. (11) Così, Cass. pen., Sez. VI, 10.01.2011, n. 5317 (rv. 249448), in www.leggiditaliaprofessionale.it. (12) I princìpi di correttezza e buona fede nell’esecuzione e nell’interpretazione dei contratti, di cui agli artt. 1175, 1366 e 1375 c.c., rilevano sia sul piano dell’individuazione degli obblighi contrattuali, sia su quello del bilanciamento dei contrapposti interessi delle parti. Sotto il primo profilo, essi impongono alle parti di adempiere obblighi anche non espressamente previsti dal contratto o dalla legge, ove ciò sia necessario per preservare gli interessi della controparte; sotto il secondo profilo, consentono al giudice di intervenire anche in senso modificativo o integrativo sul contenuto del contratto, qualora ciò sia necessario per garantire l’equo contemperamento degli interessi delle parti e prevenire o reprimere l’abuso del diritto. La massima risale a Cass. Civ., Sez. III, 21.01.2011, n. 13583, riportata su Lex24, in www.diritto24.ilsole24ore.com. (13) Si veda in tal senso, Cibo scadente alla mensa scolastica: per frode nell’esecuzione del contratto di appalto necessaria la malafede, Cass. pen., Sez. VI, 02.12.2010, n. 42900, in www.dirittoeprocesso.com. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013 4.- La sentenza in commento, invece, ha ad oggetto una mozzarella “mista”, risultata diversa da quella pattuita (essendo priva della percentuale di latte bufalino di cui al capitolato d’appalto); per questo motivo, il Giudice di prime cure aveva ritenuto colpevole l’imputato, ignorando i rilievi in sede di discussione del difensore e riproposti nei motivi di appello, non solo con riguardo all’inesistenza dell’elemento soggettivo del reato (dunque l’assenza della “malafede contrattuale”), ma emergenti per tabulas con riguardo all’utilizzabilità delle analisi in sede dibattimentale per affermare la penale responsabilità dell’imputato14. Si è trattato, in buona sostanza, della denuncia di “irregolarità” delle attività prodromiche alle analisi di revisione, comportante - come detto - la possibile inutilizzabilità processuale dei risultati analitici, in presenza di un dato oggettivo inequivocabile: la Scheda rifiuto campione compilata da funzionario dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) ed inviata all’Istituto Zooprofilattico competente (IZS), e di rimando all’ASL territoriale. In essa, infatti, si è verbalizzato: “il campione si rifiuta in quanto è arrivato con il sigillo lento non garantendo l’integrità dello stesso”15. E’ il caso di chiarire che il medesimo ISS, in persona dei funzionari delegati, proprio nell’ambito delle attività di revisione richiesta dalla parte, ha rifiutato il campione, rispedendolo al Laboratorio Controllo Microbiologico del latte dell’IZS competente, al fine di ottenere una nuova aliquota sulla quale poter svolgere una corretta e regolare analisi di revisione (non essendo garantita, si ripete, l’integrità dell’unità campionaria precedentemente inviata). E proprio presso l’IZS invece di provvedersi – così come richiesto – all’invio di una nuova aliquota di campione prelevato, appositamente sigillata, si è riapposto (irregolarmente) “sigillo sull’aliquota respinta dal laboratorio revisione di analisi dell’istituto superiore di sanità di Roma”. In più, si è precisato – con nota intestata dell’ASL competente - che “tale riapposizione è stata effettuata senza modificare i sigilli preceden- 30 ti – ossia quelli bocciati e considerati nulli dall’Istituto Superiore di Sanità, n.d.r. – ma semplicemente utilizzando un altro contenitore di alimenti, in cui veniva riposta l’aliquota e sigillata con l’apposizione di un nuovo cartellino recante i dati del cartellino precedente e riportante le firme dei presenti all’operazione”. In buona sostanza, non si è provveduto a inviare una nuova unità campionaria, che potesse consentire una corretta ed intonsa analisi di revisione, ma solo a riconfezionare la precedente aliquota di campione, ritenuta “a monte” difettosa e respinta dall’Istituto Superiore di Sanità. La circostanza è stata puntualmente menzionata (in verbale) dal difensore all’inizio delle operazioni di revisione, quale motivo fondante anche la volontà di non presenziare alle operazioni analitiche, che pur si sono svolte, ma su un’aliquota di campione di per sé oggetto di contestazione. Sul punto, a dimostrazione di una discorde posizione giurisprudenziale, sembra opportuno richiamare anche il principio (minoritario) della Suprema Corte di Cassazione penale (nella pronuncia dell’1 febbraio 2005, n. 3328)16, che riconosce “valore assoluto” alla revisione e - più ampiamente - alla regolarità formale di quelle analisi (e alla loro valenza processuale), solo nel caso in cui siano rispettate le regole poste a garanzia dell’interessato; da ciò, la Cassazione era giunta all’assoluzione dell’imputato, perché il fatto non sussiste, per l’impossibilità di eseguire la revisione, essendo andati distrutti i relativi campioni a seguito di eventi alluvionali. A ciò seguiva l’impugnazione da parte del P.M., deducente invece l’utilizzabilità delle prime analisi (effettuate normalmente senza garanzie difensive) ai sensi dell’art. 515 c.p.p.17, stante l’impossibilità di effettuare le analisi di revisione per causa di “forza maggiore”. Nel respingere il ricorso, la Corte di legittimità si era tuttavia pronunciata anche sul rapporto tra attività “endo” ed “eso” procedimentali, affermando che tutte le attività svolte prima del procedimento penale sono “attività di prevenzione e controllo di (14) Pur tuttavia in tema di prelievi di campioni finalizzati all’espletamento di analisi, è necessario distinguere i prelievi e le analisi inerenti alle attività amministrative, ovvero alla normale attività di vigilanza e di ispezione, disciplinati dall’art. 223 disp. att. cod. proc. pen., dalle analisi e prelievi inerenti invece ad un’attività di polizia giudiziaria nell’ambito di una indagine preliminare per i quali devono operare le norme di garanzia della difesa in applicazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. Cfr. Cass. pen., Sez. III, 09.01.2009, n. 10728 (rv. 243093), in www.leggiditaliaprofessionale.it. (15) “Il Legislatore - considerando che le analisi dei campioni vengono effettuate pur sempre nell’ambito di una fase amministrativa - ha individuato due momenti differenti in cui sorge l’obbligo (pena la inutilizzabilità dei risultati delle stesse) di avvertire gli interessati per assicurare loro un’adeguata tutela: 1) subito dopo il campionamento ed in tempo utile per assistere alle prime analisi, per i campioni per i quali non è prevista la revisione; 2) dopo le prime analisi, quando la revisione sia possibile e venga richiesta dagli interessati, ed almeno tre giorni prima di essa. Ovviamente la concreta possibilità di effettuare la revisione delle analisi è collegata ad un dato obiettivo: la non deteriorabilità del campione, sussistendo altrimenti la fisica impossibilità di una reiterazione di esse; pertanto, quando il campione non è deteriorabile, legittimamente viene esclusa dalla legge la partecipazione degli interessati alle prime analisi, giacché la revisione consentirebbe comunque, anche se in un momento successivo, di esercitare le garanzie difensive spettanti all’interessato (Cass. Pen., III, 13.11.1997, n.11828, Andergassen ed altro)”. In tal senso, TAR Campania, Sez. V, 24.02.2011, n. 1111, in www.giustizia-amministrativa.it. (16) La sentenza è annotata da attenta dottrina che non risparmia vere e proprie critiche alla pronuncia, spingendosi addirittura a considerarla una “brutta” pagina di diritto penale degli alimenti. Così V. Paone, Utilizzabilità delle analisi in caso di impossibilità di effettuare la revisione, in Alimenta, n. 5, 2005, p. 99. (17) L’art. 515 c.p.p., allegazione di atti al fascicolo per il dibattimento, dispone che “i verbali degli atti di cui è stata data lettura e i documenti ammessi a norma dell’articolo 495 sono inseriti, unitamente al verbale di udienza, nel fascicolo per il dibattimento”. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 1 • Gennaio-Marzo 2013 natura amministrativa, non ancora costituenti notitia criminis, quindi non ancora riconducibile ad attività di polizia giudiziaria, espletata ex artt. 347 e segg. c.p.p.”18. Il caso che ci occupa, invece, ha riguardato una revisione “comunque” effettuata, seppure su campione ritenuto “non immacolato”; dunque, il problema dell’idoneità dell’aliquota (per l’analisi) e, di poi, l’utilizzabilità a fini di prova della medesima a seguito dell’inserimento nel fascicolo dibattimentale. Sul punto, non può tacersi il principio giurisprudenziale in base al quale, in caso di revisione delle analisi su campioni di prodotti alimentari, detta utilizzabilità (n.d.r.) è limitata ai soli verbali di revisione e non anche a quelli relativi alle analisi precedentemente eseguite poiché, a norma dell’art. 223, comma terzo, disp. att. cod. proc. pen., solo i verbali delle analisi non ripetibili e quelli di revisione delle analisi devono essere inseriti nel fascicolo del dibattimento19. Il disposto dell’art. 223 ult. comma, peraltro, ha codificato la regola a suo tempo introdotta con la sentenza della Corte cost. n 248 del 15 luglio 198320, chiarendo che “il preavviso costituisce l’unico requisito di utilizzabilità delle analisi”21. 5.- Il giudizio di appello, dal quale la pronuncia in commento, ha seguito quello di “prime cure”, nel quale era stata affermata la penale responsabilità dell’imputato sulla base di un ragionamento che pare tuttavia poco condivisibile: la sussistenza del delitto contestato in base al mero dato oggettivo della percentuale riscontrata. Il Tribunale, invero, aveva ritenuto l’imputato responsabile del reato ascritto, dapprima, sotto il profilo dell’elemento oggettivo “nei termini della condotta posta in essere e consistita nella produzione e fornitura di mozzarella, dichiarata mista, ma contenente una percentuale di latte bufalino inferiore al 20% come previsto nel capitolato di appalto sottoscritto”; di poi, sotto il profilo soggettivo, “attesa la piena consapevolezza e volontarietà del comportamento antigiuridico tenuto avendo il prevenuto sottoscritto le specifiche condizioni del capitolato di appalto”. E ciò senza un’adeguata motivazione soprattutto sulla presenza dell’elemento soggettivo (in ispecie sulla rimarcata assenza del dolo, in luogo di una prospettata ed eventuale “culpa in vigilando” dell’imputato). La Corte di Appello di Salerno, invece, ha riformato integralmente la sentenza di primo grado accogliendo il primo motivo di impugnazione, “essendo emerso, dalla istruttoria espletata, esattamente quanto dedotto sul punto dall’appel- 31 lante”; in buona sostanza, il Giudicante ha fondato il proprio convincimento sul fatto che il sigillo (lento) non poteva garantire l’integrità del campione di mozzarella e, quindi, la mancanza di integrità “aveva indotto l’Istituto Superiore di Sanità a rifiutarne la ricezione”. Tale vizio non poteva considerarsi “sanato dalla seconda ricezione, giacchè l’ASL ha rinviato esattamente lo stesso materiale già giudicato inidoneo, per le sue modalità di conservazione, a garantire la regolarità dell’esame”. Da ciò, secondo la Corte di merito, ne è derivata “la mancanza di certezza dell’integrazione della condotta, mancando la prova, per l’inidoneità delle analisi di revisione, che il prodotto lattiero fornito dall’imputato alla P.A. contenesse una percentuale di latte bufalino del 12,5%, inferiore a quella del 20% pattuita con il contratto di appalto”. Dunque, coerentemente, l’assoluzione dell’imputato perché il fatto non sussiste. 6.- Il tema d’indagine, in ispecie l’utilizzabilità in dibattimento delle analisi e le garanzie dell’interessato, si ritrova anche in sede comunitaria, a livello di regola e di giurisprudenza; ed infatti, proprio con riguardo ai “metodi di campionamento e di analisi” l’art. 11 co. 5 del reg. CE 882/200422 stabilisce che le autorità competenti fissino procedure adeguate atte a garantire “il diritto degli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti i cui prodotti sono oggetto di campionamento e di analisi di chiedere un ulteriore parere di esperti, fatto salvo l’obbligo delle autorità competenti di intervenire rapidamente in caso di emergenza”. Al successivo co. 6, l’art. 11 prevede che tali autorità vigilino affinché gli operatori del settore dei mangimi e degli alimenti “possano ottenere un numero sufficiente di campioni per un ulteriore parere di esperti, a meno che ciò sia impossibile nel caso di prodotti altamente deperibili o dello scarsissimo quantitativo di substrato disponibile”. Le predette regole sono poste secondo un fil rouge caratterizzante tutto il regolamento n. 882/04, e che può ben scorgersi nei considerando n. 11 e 42, posti a motivazione ovviamente concisa delle norme essenziali: le autorità competenti per l’esecuzione di controlli ufficiali dovrebbero soddisfare un certo numero di criteri operativi in modo da assicurare la loro imparzialità ed efficacia. Per contro, gli operatori dovrebbero avere diritto di impugnazione avverso le decisioni prese dalle autorità competenti in seguito ai controlli ufficiali ed essere informati di tale diritto. (18) L’art. 347 c.p.p. disciplina l’obbligo di riferire la notizia del reato nell’ambito delle attività di polizia giudiziaria. La norma riguarda la cd informativa e “fa obbligo agli ufficiali ed agenti della polizia giudiziaria, diretta a riferire al pubblico ministero un fatto ipotizzabile come reato, del quale essi siano venuti a conoscenza per propria iniziativa o su segnalazione esterna: in sostanza si tratta di una specie qualificata della denunzia cui sono tenuti tutti i pubblici ufficiali”. Testualmente, G. Tranchina, in AA.VV., Diritto processuale penale, Milano, 1995, p. 37. (19) Così, Cass. pen., Sez. III, 25.03.2010, n. 17545 (rv. 247169), in www.leggiditaliaprofessionale.it. (20) In www.giurcost.org. (21) Cfr. Cass. pen., Sez. III, 10.5.2005, n. 20510: nell’ipotesi disciplinata dal D. l.vo 3.3.1993 n. 123 all’art. 5, la mancata ripetizione dell’analisi non è causa di nullità quando sia stata, invece, effettuata una prima analisi garantita e la ripetizione non sia stata richiesta dall’interessato. In Diritto & Diritti – Riv. giur. elettr., www.diritto.it. (22) Trattasi del noto Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 Con riguardo al caso in commento, e dunque alla “utilizzabilità” processuale delle analisi, particolare rilievo assume il comma 7 dell’art. 11 del reg. Cee n. 882/04, ove stabilisce che i campioni debbano essere “manipolati ed etichettati in modo tale da garantirne la validità dal punto sia giuridico che analitico”. Da ciò, l’ulteriore conferma di un generico “dovere” per gli organi addetti al controllo di svolgere accertamenti analitici nel rispetto dei metodi e delle regole anche di natura tecnica23 e, praticamente, dell’estrema cautela nel trattamento dei campioni e delle relative aliquote24. A livello comunitario è noto che, in tema di “garanzie difensive”, la Dir. Cee del 14 giugno 1989, n. 397, relativa al controllo ufficiale dei prodotti alimentari, recepita nel d.lgs. n. 123/93, all’art. 7 stabiliva che “a fini d’analisi possono venire prelevati campioni dei prodotti” e gli Stati membri “adottano le disposizioni necessarie per garantire alle persone soggette al controllo il beneficio di un’eventuale controperizia”. Ciò concerne essenzialmente il rilascio alla parte dell’aliquota del campione prelevato ai fini dell’analisi “ufficiale”, per un accertamento di laboratorio che il privato potrà sempre utilizzare quale riscontro dell’analisi ufficiale o, in alcuni casi, per tentarne una confutazione (nei metodi e/o nei risultati) scientificamente fondata. Non sfugga che nei dicta comunitari (sia a livello normativo che, come vedremo, giurisprudenziale) si spende, come detto, il termine “controperizia” che pare essere tutto “italiano”, in mancanza di omologhe locuzioni nelle altre lingue in cui si spiega la citata Dir. CEE n. 89/39725. Ciò a testimonianza di una certa disinvoltura nella traduzione del termine, introdotto nel lessico giuridico evidentemente in senso atecnico, con il rischio di un improprio utilizzo; ed infatti non pare riscontrarsi la presenza del lemma “controperizia” nei 32 nostri sistemi processuali, in luogo della perizia (penale)26 e della consulenza tecnica d’ufficio (civile)27, disposte dal Giudicante, d’ufficio o su istanza dei soggetti processuali. Di “controperizia”, quale strumento essenzialmente processuale, si parla anche nelle conclusioni poste nel procedimento C-276/01 (Steffensen)28, ove - in base al comma 7 dell’art. 1 della direttiva n. 89/397 – è stabilito che un fabbricante possa invocare nei confronti delle autorità competenti di uno Stato membro “un diritto ad una controperizia, qualora le dette autorità contestino la conformità dei suoi prodotti alla normativa nazionale sui prodotti alimentari in base all’analisi condotta su campioni dei detti prodotti prelevati presso negozi al dettaglio”. Spetterà tuttavia al giudice nazionale adito “valutare, tenuto conto di tutti gli elementi di fatto e di diritto a sua disposizione, se i risultati delle analisi condotte su campioni di prodotti di un fabbricante debbano o meno essere ammessi come mezzo di prova di un’infrazione alla normativa nazionale di uno Stato membro relativa ai prodotti alimentari, commessa da tale fabbricante, qualora quest’ultimo non abbia potuto esercitare il suo diritto ad una controperizia previsto dall’art. 7, n. 1, secondo comma, della direttiva”. A questo riguardo, spetterà altresì al giudice nazionale verificare “se le norme nazionali in materia di prova applicabili nell’ambito di un tale ricorso non siano meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi di natura interna (principio di equivalenza) e se esse non rendano praticamente impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico comunitario (principio di effettività). Inoltre, il giudice nazionale dovrà esaminare se occorra escludere un tale mezzo di prova al fine di evitare provvedimenti incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali29, (23) Nota, ad esempio, era la norma UNI CEI EN ISO/IEC 17025 del novembre 2000, sui requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e di taratura. (24) Dottrina già richiamata evidenzia che “resta cruciale per ogni immissione probatoria nel processo penale dell’esito delle analisi – che di per sé si svolgono in una fase amministrativa estranea al contraddittorio – che siano effettivamente garantiti i diritti di difesa”. In tal senso V. Pacileo, Il diritto degli alimenti, cit., p. 438. (25) In inglese: Member States may also empower other laboratories to carry out these analyses; in francese: les États membres peuvent également habiliter d’autres laboratoires à effectuer ces analyses. (26) La perizia è un mezzo di prova o di “valutazione della prova” con una triplice funzione: “1) svolgere indagini per acquisire dati probatori; 2) acquisire gli stessi dati selezionandoli e interpretandoli; 3) acquisire valutazioni sui dati assunti”; così P. Tonini, La prova penale, Milano, 1998, p. 84. (27) La consulenza tecnica d’ufficio, quale espressione del potere del giudice cui è rimessa la facoltà di valutarne la necessità o l’opportunità, è strumento spesso indispensabile per l’esercizio della giurisdizione, allorquando occorra attingere a conoscenze scientifiche per dirimere le controversie che il giudice è chiamato a decidere, richiedendosi tuttavia l’esistenza di un rapporto di congruenza fra gli accertamenti peritali ed i casi concreo oggetto di giudizio. Così Corte cost., 02.04.1999, n. 121, in Cons. Stato, 1999, II, p. 504. (28) Si veda, Corte di Giustizia, 10 aprile 2003, proc. C-276/01, in base a tale provvedimento il giudice nazionale deve delibare l’ammissibilità dei mezzi prova - perizia e controperizia - al fine di evitare provvedimenti incompatibili con il rispetto dei diritti fondamentali, in particolare il principio del diritto ad un processo equo dinanzi a un tribunale (come sancito dall’art. 6, n. 1, della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo). (29) A seguito del mancato rispetto delle formalità volte a garantire la partecipazione della parte privata all’analisi dei campioni si determina una nullità dell’atto, ma una nullità soggetta al cosiddetto regime intermedio previsto dall’art. 180 cod. proc. pen., con la conseguenza che qualora tale violazione non venga ritualmente dedotta, risulta legittima l’acquisizione al fascicolo dibattimentale del certificato di analisi che, in ipotesi di alimenti deperibili, va considerato, al pari del verbale di prelievo dei campioni, atto irripetibile compiuto dalla polizia giudiziaria e, come tale, inserito nel fascicolo per il dibattimento, potendo così essere utilizzato come mezzo di prova. Testualmente, A. Montagna, Op. cit., p. 30. Cfr. in proposito, Cass. pen., Sez. VI, 06.10.2010, n. 36695 (rv. 248527), in CED Cassazione. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 in particolare il principio del diritto ad un processo equo dinanzi a un tribunale, come sancito dall’art. 6, n. 1, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. La Corte di Giustizia torna a occuparsi di controperizia30 nella ordinanza del 19 maggio 2009, C-166/08 (Weber)31, sempre con riguardo all’art. 7 della dir. 89/397, affermando che dallo stesso tenore letterale della suddetta disposizione risulta che “ogni Stato membro è tenuto ad accordare all’operatore interessato un diritto ad una controperizia”. Nel caso di specie, si trattava di una mancata informazione al legale rapp.te dell’impresa dell’avvenuto prelievo del campione controverso nella causa principale, né dell’esistenza del secondo campione; d’altro canto, l’amministratore di tale società è stato accusato, a seguito di dette misure di controllo, di avere immesso in commercio un prodotto alimentare recante una denominazione ingannevole. Orbene, nel caso di specie, la Corte “richiama se stessa” (sentenza Steffensen, cit., punto 48), nel senso che ripropone il principio in base al quale la controperizia “mira a salvaguardare i diritti legittimi degli operatori”, in particolare “il loro diritto di ricorso contro i provvedimenti adottati per l’esercizio del controllo”. 8.- Un’ultima annotazione appare utile prima delle conclusioni. Il commento alla sentenza della Corte di Appello di Salerno ricade in un periodo storico particolarmente delicato per la 33 filiera del formaggio de quo, in particolare per il suo parente “nobile”: la mozzarella di bufala campana Dop. Ed infatti è di recente pubblicazione il D.M. Mipaaf del 6 marzo 201332, la cui entrata in vigore è rimandata tuttavia al 30 giugno 2013, che si compone di un unico articolo e concerne specificamente la separazione degli stabilimenti di produzione della Mozzarella di Bufala Campana DOP. A tale decreto, ratione materiae, sembra doveroso accennare anche in questa sede, stante la prevedibile e ampia incidenza nella filiera bufalina. Il provvedimento non parrebbe riguardare unità produttive ove si fabbrichi la mera mozzarella di latte di bufala o la mozzarella mista, qual era appunto quella risalente all’imputato ex art. 356 c.p., ma solo gli stabilimenti ove si produca la mozzarella DOP. A decorrere dal luglio 2013, gli operatori inseriti nel sistema di controllo della DOP mozzarella di bufala campana, dovranno infatti produrre tale formaggio in stabilimenti esclusivamente dedicati a tale produzione (separati quindi dalle aree aziendali in cui si fabbrichi la mozzarella di latte vaccina, quella mista o anche quella “di latte di bufala”33). All’interno degli stabilimenti che lavorano mozzarella di bufala campana DOP, infatti, sarà vietata la detenzione e lo stoccaggio di materie prime e cagliate diverse da latte e cagliate bufaline dedicate esclusivamente alla lavorazione della DOP Mozzarella di Bufala Campana34, dunque sottoposte alle rigide prescrizioni del disciplinare di produzione35. I produttori inseriti nel sistema di controllo della DOP comu- (30) In dottrina è stato evidenziato come “allo scopo di garantire l’estensione delle garanzie processuali di difesa anche agli importatori di prodotti da paesi extraeuropei, per alimenti sequestrati presso il distributore, la nozione di “persona soggetta al controllo”, come definita ai sensi della direttiva 89/397, sostituita dal reg. 882/04, è stata interpretata nel senso di includere in tale nozione anche le società che hanno importato e successivamente immesso in commercio il prodotto, allo scopo di permettere a queste ultime di presentare una controperizia tecnica a propria difesa (Corte di Giustizia, ordinanza del 19 maggio 2009, C-166/08). Così I. Canfora, Sicurezza alimentare e nuovi assetti delle responsabilità di filiera, in q. Riv., www.rivistadirittoalimentare.it, 2009, n. 4, p. 15. (31) In Giur. it., novembre 2009, p. 2539. (32) Su G.U. n. 68 del 21.3.2013. (33) Il Decreto del Ministero per le Politiche agricole del 21 luglio 1998 (su G.U. 16.09.1998, n. 216), fissava i criteri per l’utilizzo dei termini di designazione relativi al prodotto a denominazione di origine protetta “Mozzarella di bufala campana”. L’art. 1 così disponeva: nell’etichettatura di formaggi freschi a pasta filata, derivati da solo latte di bufala, che utilizzino per la loro designazione il termine “mozzarella” ed analoghi, ma non recanti la denominazione di origine protetta “Mozzarella di bufala campana”, non e consentito l’utilizzo della denominazione “mozzarella di bufala” ma è consentito indicare esclusivamente - anche nello stesso campo visivo - la denominazione di vendita “mozzarella” unitamente alla specificazione “di latte di bufala” a condizione che i singoli termini “mozzarella” e di “latte di bufala” vengano riportati in caratteri di uguale dimensione e che tra il termine “mozzarella” e la successiva specificazione “di latte di bufala” compaia l’indicazione di un nome di fantasia o del nome, o ragione sociale, o marchio depositato del fabbricante. (34) Non è ipotizzabile un divieto di cagliata proveniente dall’estero nella produzione di mozzarelle, fior di latte, scamorze, provole e simili, di origine da latte non di bufala poiché esse non rientrino tra i formaggi con denominazione di origine tipiche; invero, mozzarelle e provole possono essere legittimamente prodotte anche con latte vaccino, ma solo alla mozzarella o provola di bufala è riconosciuta la denominazione tipica; né ad integrare quest’ultima è sufficiente che i formaggi in questione siano tipicamente italiani, in difetto di precise, specifiche caratteristiche, quali natura e pregi speciali che si ottengono solo in zone geograficamente delimitate e mediante esclusive tecniche di produzione. Così la storica sentenza sulla “cagliata” della Cass. pen., 17 febbraio 1989 (Mantella), su Discipl. comm., 1989, n. 3, p. 43. (35) È nota la pronuncia della Suprema Corte che ritenne configurabile il reato di frode nell’esercizio del commercio qualora venga consegnata all’acquirente mozzarella qualificata come di “bufala campana d.o.p.”, la quale sia stata prodotta, anche se solo in parte, con latte bufalino surgelato anziché fresco, dovendosi ritenere obbligatorio, per il detto tipo di alimento, l’impiego esclusivo del latte fresco, come è dato desumere dal disposto di cui all’art. 3 del relativo disciplinare di produzione approvato con D.P.C.M. 10 maggio 1993, nella parte in cui stabilisce che “il latte dev’essere consegnato al caseificio entro la sedicesima ora dalla mungitura”. Sic, Cass. pen., Sez. III, 17.06.2004, n. 34936 (rv. 229561), in www.leggiditaliaprofessionale.it. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it 34 Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 nicheranno altresì, entro il 30 giugno 2013, all’organismo di controllo della mozzarella di bufala campana DOP ed all’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari gli stabilimenti esclusivamente dedicati alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP. Da qui è prevedibile l’istituzione di una vera e propria “anagrafe pubblica” degli stabilimenti di specifica produzione della mozzarella di bufala campana DOP, per una migliore vigilanza da parte degli addetti al controllo sulla rintracciabilità della materia prima e sull’autenticità del prodotto finito (a garanzia del consumatore). Il Decreto in esame racchiude una vera e propria “norma ad hoc” per la filiera bufalina campana, integrante a tutti gli effetti il disciplinare di produzione della mozzarella di bufala campana DOP; esso, prima facie, non sembra essere caratterizzato da finalità repressive, ma di natura “preventiva”, stante l’oggettiva difficoltà di verifica dell’impiego della materia prima (soprattutto in determinati periodi dell’anno) e la compresenza di altre “specie” alimentari evocanti comunque la DOP (appunto, la mozzarella “di latte di bufala”). Da qui la necessità di una maggiore trasparenza per la filiera in esame, attraverso l’individuazione - “a monte” - delle unità produttive dedicate esclusivamente al formaggio DOP. 9.- La sentenza della Corte di Appello di Salerno ha reso possibile un breve excursus su fattispecie di evidente attualità, con rilevanza sostanziale e processuale, consentendo altresì il richiamo ad alcune importanti pronunce della Corte di Giustizia conclamanti un generale diritto dell’interessato (persona soggetta al controllo) ad un’adeguata difesa prima, durante e dopo le attività di “controllo ufficiale”, anche attraverso lo strumento “atipico” della controperizia. In sintesi, l’annotata sentenza è apparsa degna di attenzione anche perché affronta un aspetto inconsueto nella casistica delle “questioni” alimentari devolute alle Corti di merito e di legittimità36. Tuttavia, il motivo di maggiore interesse è che, da valido precedente, essa può costituire un concreto e “coraggioso” tentativo di superare una logica - sedimentata - di salvaguardia dell’operato della P.A., “sempre e comunque”. In tal senso, la pronuncia andrebbe equilibratamente posizionata nell’alveo del rapporto pubblico-privato (fatto di interessi e tutele) che da una parte investe la “effettività” del diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost., dall’altra assicura il “buon funzionamento” della P.A. e dunque l’efficacia del controllo ufficiale37. ABSTRACT The judicial decision here discussed concerns the offence regulated by art. 356 of the Penal Code (fraud in public supplies) and discusses the delicate subject of the “use” in criminal cases of the tests carried out on a sample of food “irregularly” submitted to the inspection of the body by which the revision is carried out. The case under discussion concerns tests that have been all the same carried out, but on a sample unit considered to be “unfit” by the same carrying out body. The First Instance Judge has judged the defendant to be guilty, because the product resulted to be different from the one specified in the contract signed together with the public Body (and also different from the one provided by tender specifications), thus not taking into account the “irregularity” of the sample unit, on which the revision test has been carried out. The Court of Appeal, on the contrary, completely replacing the decision of the first Court, has acquitted the defendant of the charge, assuming that there was no criminal offence; the lack of integrity of the sample unit, due to an unsuitable preservation of it, did not guarantee the regularity of the test, and then the validity of the revision tests (carried out all the same). Then the integration of the penal conduct of the defendant is uncertain, since there is no evidence that the product supplied by the public Administration Body was really different from the one agreed upon by contract. The decision appears really interesting because from one side it concerns the “effectiveness” of the right of defence, guaranteed by art.24 of the Constitution, and on the other side it concerns the “good working” of Public administration Bodies and then the effectiveness of the “official control” in the sector of food products. *** La sentenza della Corte di Appello di Salerno Corte Appello Salerno, 30 ottobre 2012, n. Sergio, Imputato L.M.G 2251, Pres. Est. Frode – pubbliche forniture – formaggio mozzarella – inutilizzabilità – aliquota - campione - analisi – revisione. (36) In proposito può essere di conforto quanto previsto in Cass. pen., Sez. III, 11.05.2006, n. 29737 (rv. 234984), in CED Cassazione; nella sentenza si evidenzia che in tema di tutela degli alimenti e in ispecie alle modalità di prelevamento dei campioni - e non tuttavia di “irregolare” invio di unità campionaria -, le disposizioni tecniche previste dal Legislatore (nella specie D.M. 20 aprile 1978) non sono stabilite a pena di nullità o di inutilizzabilità delle analisi; pur tuttavia, atteso che queste tendono a garantire la “rappresentatività” del campione in rapporto al complesso, “devono essere considerate dal giudice per valutare l’attendibilità delle analisi”. (37) Con riguardo alle problematiche risalenti all’applicazione del Reg. Ce n. 882/04, si veda amplius V. Rubino, Riforma comunitaria del controllo ufficiale sugli alimenti ed adattamento della normativa italiana. Problemi vecchi e nuovi di dialogo fra ordinamenti, in q. Riv., www.rivistadirittoalimentare.it, n. 4, 2009, p. 52 e ss. AL ASSO CI DIRITTO N IT AL IM E TAR EN LIANA E ITA ION Z A IA N FOOD C L AW A S S O I I AT O rivista di diritto alimentare www.rivistadirittoalimentare.it Anno VII, numero 2 • Aprile-Giugno 2013 La mancanza di integrità del campione non garantisce la regolarità dell’esame. Consegue la mancanza di certezza dell’integrazione della condotta, mancando la prova, per l’inidoneità delle analisi di revisione, che il prodotto lattiero fornito dall’imputato alla P.A. contenesse una percentuale di latte bufalino inferiore a quella pattuita con il contratto di appalto. (Omissis) SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza del Giudice Monocratico del Tribunale di Salerno, emessa il 27.11.2006, L.M.G. è stato condannato, con il riconoscimento delle circostanze attenuati generiche, alla pena di otto mesi di reclusione ed € 800.00 di multa per il reato di cui all’art. 356 c.p., ossia per aver, come contestato nel capo di imputazione, fornito all’azienda ospedaliera di Salerno OO.RR. San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona mozzarella contenente latte di bufala nella percentuale del 12,5%, inferiore a quella pattuita del 20%. La pena è stata sospesa. Il fatto è stato accertato in Salerno il 10.10.2003. L’imputato è stato dichiarato colpevole sulla base degli accertamenti compiuti dagli ispettori dell’ASL di Salerno che, in data 3.10.2003, prelevarono 10 campioni di mozzarella, e sui successivi esami svolti su un dei campioni dall’Istituto Superiore di Sanità. Avverso la sentenza ha proposto appello l’imputato. Con il primo motivo di impugnazione ha eccepito l’inutilizzabilità degli esami di revisione eseguiti sul campione dall’Istituto Superiore di Sanità. Ha dedotto, a sostegno, che il menzionato Istituto aveva rifiutato di riceversi il campione di mozzarella spedito per l’effettuazione degli esami perché trasportato in un contenitore non ben sigillato e, pertanto, non idoneo a garantire “l’integrità dello stesso”; che i funzionari del Laboratorio Controllo Microbiologico del Latte competente (ndr), cui il campione era stato restituito, anziché spedire un nuovo campione sul quale svolgere regolarmente l’analisi di revisione, avevano ritrasmesso il medesimo campione limitandosi ad inserire la precedente confezione in un nuovo contenitore, che provvedevano a sigillare, senza modificare i precedenti sigilli; che l’Istituto Superiore di Sanità, questa volta, aveva eseguito l’esame, peraltro riscontrando nel campione la presenza del latte bufalino nella percentuale del 12.5% superiore a quella dello 0% risultante dalle prime analisi. Con il secondo motivo di impugnazione l’appellante ha eccepito la mancanza dell’elemento psicologico del dolo deducendo che non si poteva escludere una mera culpa in vigilando rispetto alla condotta degli operai, stante l’episodicità del fatto. In subordine, l’appellante ha chiesto la derubricazione del fatto nel 35 meno grave reato contravvenzionale di cui all’art. 5 lettera a) della Legge n. 283/62 ovvero nella fattispecie di cui all’art. 515 c.p. originariamente ipotizzata dalla P.G. Ha concluso, quindi, in via principale per l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” ovvero “per non aver commesso il fatto”. In via subordinata, ha chiesto la riduzione della pena, la conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria e, in tal caso, l’esclusione del beneficio della sospensione condizionale della pena. Alla odierna udienza, celebrata nella contumacia dell’imputato, le parti hanno concluso come da verbale: il P.G. ha chiesto la conferma della sentenza; la difesa si è riportata ai motivi di impugnazione. MOTIVI DELLA DECISIONE L’imputato va assolto perché manca la prova della sussistenza del fatto. E’ fondato, invero, il primo motivo di impugnazione essendo emerso, dalla istruttoria espletata, esattamente quanto dedotto sul punto dall’appellante. L’Istituto Superiore di Sanità, a cui il campione di mozzarella venne inviato dall’ASL di Salerno per l’espletamento delle analisi di revisione richieste dall’imputato, rifiutava il campione perché pervenuto “con il sigillo lento non garantendo l’integrità dello stesso”. L’ASL di Salerno si limitava ad utilizzare un nuovo contenitore nel quale inseriva il precedente non correttamente sigillato, ed a rispedire il tutto all’Istituto Superiore di Sanità, che, questa volta provvedeva alle analisi; queste indicavano, diversamente dalle prime che avevano del tutto escluso la presenza di latte di bufala, la presenza di una percentuale di latte bufalino pari al 12,5%. Al di là del divergente esito dei due esami, non può sottacersi che la mancanza di integrità del campione che aveva indotto l’Istituto Superiore di Sanità a rifiutarne la ricezione non è stata sanata dalla seconda spedizione, giacché l’ASL ha rinviato esattamente lo stesso materiale già giudicato inidoneo, per le sue modalità di conservazione, a garantire la regolarità dell’esame. Consegue la mancanza di certezza dell’integrazione della condotta, mancando la prova, per l’inidoneità delle analisi di revisione, che il prodotto lattiero fornito dall’imputato alla P.A. contenesse una percentuale di latte bufalino del 12,5%, inferiore a quella del 20% pattuita con il contratto di appalto. Consegue la riforma integrale della sentenza impugnata. P.T.M. Visto l’art. 605 c.p.p., in riforma della sentenza emessa il 27.11.2006 dal Tribunale di Salerno, in composizione monocratica, appellata dall’imputato L.M.G, assolve il predetto dal reato a lui ascritto perché il fatto non sussiste. Motivazione contestuale. […]