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I DIARI DI CLARA PETACCI
L’editore Rizzoli ha dato alle stampe, nello scorso mese d’aprile, il secondo
volume1 dei diari di Clara2 Petacci, curato da Mimmo Franzinelli.
Certamente, come scrisse Emilio Re (l’allora dominus degli archivi di Stato) al
ministero dell’Interno nell’ottobre 1950, “i veri e più importanti diari di Mussolini
sono proprio questi della Petacci, dove il dittatore ridiventa uomo, si rivela senza
trucchi e senza artifici, per quello che è: al naturale.”3
Delle migliaia di pagine scritte dalla giovane amante (dal 1936) del Duce, i
volumi rizzoliani offrono soltanto una scelta4: i curatori, però, non solo non ne
precisano l’ampiezza5, ma nemmeno c’illuminano – se non vagamente 6 – sui criteri in
base ai quali essa è stata compiuta.
Clara Petacci riversava nei suoi diari tutti i momenti che scandivano la sua
relazione con Mussolini, nella quale telefonate, incontri, amplessi, reciproche scenate
di gelosia si alternavano a confidenze e giudizi su uomini e momenti del regime e
della politica internazionale... Sono pagine in cui ella mostra d’essere stata anche la
valente, efficiente e particolarissima segretaria del Duce, del quale sembra quasi
stenografare ogni pensiero, ogni parola o manifestazione d’affetto, ogni scatto d’ira o
d’insofferenza7.
Claretta Petacci, Verso il disastro. Mussolini in guerra. Diari 1939-1940, a cura di Mimmo Franzinelli, Milano,
Rizzoli, 2011. Il primo volume è apparso due anni or sono: Mussolini segreto. Diari 1932-1938, a cura di Mauro
Suttora, Milano, Rizzoli, 2009.
2
“Tanto per cominciare si chiama Clara, non Claretta. Clara lei si fa chiamare. Così la chiama Mussolini…” (Pasquale
Chessa-Barbara Raggi, L’ultima lettera di Benito. Mussolini e Petacci: amore e politica a Salò 1943-45, Milano,
Mondadori, 2010, p. 5). Precisazione opportuna, visto che neppure la pubblicazione dei suoi diari sembra poterla
liberare “da quel diminutivo affibbiatole dalla madre” Giuseppina Persichetti (ibidem), “qualcosa − come scrisse, nel
1949, Luigi Freddi − fra il pugilatore e la cariatide, espressione vivente di quel matriarcato risoluto e invadente che
sopravvive ancora in certe famiglie della provincia italiana” (cit. da Renzo De Felice, Mussolini l’alleato, vol. I, t. 2,
Torino, Einaudi, 1990, p. 1070). – Sulla relazione tra il Duce e Clara Petacci fino al 25 luglio 1943, cfr. Renzo De
Felice, Mussolini il duce, vol. II, Torino, Einaudi, 1981, pp. 275-281; e Id., Mussolini l’alleato, vol. I, t. 2, cit., pp.
1069-1078 e 1086-1088.
3
Apud Pasquale Chessa-Barbara Raggi, L’ultima lettera di Benito, cit., p. 185. Anche Suttora e Franzinelli, nelle
succinte pagine introduttive ai volumi da loro curati (male, peraltro), richiamano questo documento, ma non ne
forniscono la collocazione archivistica (che ricaviamo dalla citata monografia di Chessa e Raggi, p. 220, n. 18 della
postfazione: Archivio Centrale dello Stato, carte Emilio Re, busta 4, fascicolo archivio Mussolini-Petacci, lettera del 14
ottobre 1950). Suttora e Franzinelli, però, la datano al 15.
4
Non si capisce, tuttavia, come lo storico Aldo G. Ricci, già sovrintendente all’Archivio centrale dello Stato,
recensendo (L’occhio dell’amante, in “Storia in rete”, n. 69-70, luglio-agosto 2011, p. 90) il volume dei diari della
Petacci curato da Franzinelli, abbia potuto scrivere che l’edizione in corso sia “integrale e corretta”. Che non sia
“integrale”, lo dichiarano gli stessi curatori dei due volumi finora apparsi; quanto alla “correttezza”, giudichino i miei
venticinque lettori in base a quanto dirò più avanti.
5
Mauro Suttora, però, afferma (Questo diario, in Claretta Petacci, Mussolini segreto, cit., p. 5) che “le pagine del solo
1938 sono 1810” e che, editandole, ha eliminato “quasi la metà dei fogli”. Dal canto suo, Mimmo Franzinelli ( Autopsia
di un falso. I Diari di Mussolini e la manipolazione della storia, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, p. 122) scrive che i
diari di Clara sono “una massa impressionante di fogli, nell’ordine delle decine di migliaia (…) e ne è in corso la
pubblicazione parziale [corsivo mio] presso Rizzoli”.
6
Cfr. Mauro Suttora, Questo diario, cit., p. 5 (“Abbiamo […] operato una selezione, eliminando […] fantasie amorose
ripetitive o episodi insignificanti”) e Mimmo Franzinelli, Introduzione a Claretta Petacci, Verso il disastro, cit., p. 6
(“Sono qui trascritte le parti di gran lunga più significative degli autografi del 1939-1940”).
7
Commentando − con incomprensibile e immotivata ostilità − l’apparizione del bel libro di Pasquale Chessa e Barbara
Raggi, L’ultima lettera di Benito. Mussolini e Petacci: amore e politica a Salò 1943-45, cit., Aldo G. Ricci (Inutili
lettere da Salò, in “Storia in rete”, n. 67, maggio 2011, p. 91) accenna, en passant, a un non meglio precisato “suo [di
Clara] ruolo di agente-informatore per non si sa quali e quanti servizi segreti” nei seicento giorni di Salò: son certo,
1
1
Purtroppo, l’apparato di note esplicative che correda i due volumi finora editi8
risulta essere fin troppo parco9, lasciando assai spesso il lettore d’oggidì nella sua
ignoranza riguardo a molti personaggi gravitanti intorno a Mussolini 10. Si deve
constatare, inoltre, il notevole pressapochismo che pervade le scheletriche
presentazioni di esponenti del regime fascista: ad esempio, Suttora (o chi per lui)
indica Attilio Teruzzi come ministro delle Colonie [recte: dell’Africa italiana, dall’8
aprile 1937!] già nell’aprile 193811 (lo fu, però, soltanto dal 1° novembre 1939); e
Franzinelli, a sua volta, arriva (p. 108, n. 60) non solo a fare “senatore del Regno” il
prefetto Celso Luciano12, ma anche a qualificare come “capo di Stato Maggiore
dell’esercito” sia Pietro Badoglio, sia Rodolfo Graziani (pp. 66, n. 30 e 320, n. 175),
generando nel malcapitato lettore un certo qual senso di vertiginosa confusione –
poiché Badoglio era (dal 4 maggio 1925) capo di Stato Maggiore Generale (e lo
rimase fino al 4 dicembre 1940), mentre Graziani fu capo di Stato Maggiore
dell’esercito dal 3 novembre 1939 al 24 marzo 1941, succedendo ad Alberto
Pariani13.
Ma queste sono quisquilie (fors’anche pinzillacchere…) rispetto ad altri
svarioni: infatti, Franzinelli (o un suo “negro”?) riesce perfino a sbagliare l’anno di
nascita di Mussolini (p. 28, n. 6)14, a definire Margherita Sarfatti “intellettuale
fiorentina” (p. 7) e a far nascere Myriam Petacci nello stesso anno di Clara (p. 433).
Veramente surrealistica, poi, appare (p.73, n. 33) la definizione di Dino Alfieri come
“il più bistrattato – e il più filosofo – dei gerarchi”!15
comunque, che Ricci non intenda in alcun modo avallare i vaniloqui su Clara Petacci spia o tramite fra Churchill e
Mussolini, oppure Claretta: un’agente inglese a Palazzo Venezia che il nipote dell’amante del Duce ha inserito (o
preteso che fossero inseriti, in quanto unico erede e detentore dei “diritti”) nei due volumi dei diari di sua zia finora
apparsi.
8
“Il terzo e conclusivo volume dei diari consacrerà la versione di Claretta Petacci sul tradimento dei generali, sulle
persecuzioni badogliane [contro di lei e i suoi familiari], sui tormentati giorni della Repubblica sociale” (Mimmo
Franzinelli, Introduzione a Claretta Petacci, Verso il disastro, cit., p. 17).
9
Anche Aldo G. Ricci (L’occhio dell’amante, cit., p. 90) ha incidentalmente osservato che il volume curato da
Franzinelli è corredato da un “apparato di note abbastanza limitato”, pur non segnalando al lettore della rivista diretta da
Fabio Andriola che esse contengono qualche svarione di non poco conto...
10
Per es., Franzinelli non identifica – nell’Ilari menzionato alle pp. 96, 99 e 154 di Claretta Petacci, Verso il disastro,
cit. – il generale di squadra aerea Eraldo Ilari, Capo di Gabinetto del Ministero dell’Aeronautica: cfr. Mario Donosti
[Mario Luciolli], Mussolini e l’Europa. La politica estera fascista, Roma, Edizioni Leonardo, 1945, p. 208.
11
Cfr. Claretta Petacci, Mussolini segreto, cit., p. 288, n. 116. Nella stessa pagina, n. 117, è storpiato in Rossani il
cognome del gerarca fascista e ministro dell’Agricoltura e foreste Edmondo Rossoni.
12
Su Celso Luciano, cfr. Jo’ Di Benigno, Occasioni mancate. Roma in un diario segreto 1943-1944, Roma, Edizioni
S.E.I., 1945, p. 48 (“aveva pontificato per anni [fino al febbraio 1943] alla Cultura Popolare”); e, soprattutto, Giordano
Bruno Guerri, Galeazzo Ciano. Una vita (1903-1944), Milano, Mondadori, 20012, pp. 104-105 e 117 (note 46, 47 e 48
del cap. 4).
13
Il generale Pariani fu capo di Stato Maggiore dell’esercito dal 7 ottobre 1936 al 3 novembre 1939.
14
Tu quoque, Maure… Infatti, se lo pseudo-Mussolini dei diari dellutriani in corso di pubblicazione presso la Bompiani
(per fine novembre, sia detto per inciso, è annunciato il terzo volume) sbaglia, nell’annotazione del 1° gennaio 1938, il
proprio mese di nascita, un “malpensante” potrebbe osservare che, con sconcertante lapsus, Franzinelli va ben oltre,
facendolo venire al mondo nel 1895 anziché nel 1883…
15
Ma, facendo eco a giudizi di ben altro tenore (e ben altrimenti fondati), Mario Luciolli (Mussolini e l’Europa, cit., p.
204) scrisse che Dino Alfieri, Achille Starace “e qualche altro, (...) dal punto di vista dell’intelligenza, rappresentavano
quanto di peggio c’era nel fascismo (...). Alfieri era uomo di doti intellettuali incredibilmente limitate. Doveva la sua
carriera politica in gran parte al fatto di essere uno dei pochi fascisti di modi civili, il che lo faceva prescegliere per ogni
carica o incarico in cui fosse necessario sapere stare a tavola e non dire parolacce. La sua abilità di equilibrista e di
adulatore gli aveva procurato posti sempre più importanti, fino a collocarlo a capo di uno dei Ministeri [quello della
Cultura popolare] più delicati. Si era attaccato a Ciano con tutto l’entusiasmo che poteva destargli un eventuale
successore di Mussolini e con tutto lo zelo consentitogli dalla pieghevolezza della sua schiena.” Mussolini, da parte sua,
lo considerava “un semplice imbecille” (cfr. Eugen Dollmann, Roma nazista, Milano, Longanesi, 1949, p. 408).
2
Tutto ciò, in ogni caso, non eguaglia la trascuratezza che porta Franzinelli a
pubblicare, come se fosse dell’ottobre 1940, l’annotazione (pp. 394-397) fatta da
Clara Petacci il 25 agosto16. L’errore di datazione è forse imputabile a chi ha
inventariato e ordinato, nei primi anni Cinquanta, i diari dell’amante di Mussolini; ma
sta di fatto che Franzinelli non s’è accorto che i passi di quel brano – in cui Clara
riporta la reazione del Duce al telegramma che gli annunciava la rottura delle
trattative fra Ungheria e Romania e il conseguente pericolo di guerra fra le due
nazioni – si riferiscono al fallimento dei negoziati sulla questione transilvana che i
governi di Budapest e di Bucarest avevano avviato a Turnu Severin il precedente 16
agosto17 e che si erano bruscamente interrotti alle 14,05 (ora dell’Europa centrale) del
24 agosto18.
Questa, però, non è la sola “distrazione” in cui incorre Franzinelli nella sua
edizione dei diari petacciani relativi al 1939-1940. Vero è che il diario di Clara è
oltremodo “sterminato” (Suttora dixit) e che qualche taglio s’impone; ma quando il
nostro “stakanovista della saggistica” storica19 scrive – nel riassuntino premesso
all’annotazione dell’11 aprile 1939 – che il Duce “dopo un articolo sgradito
[pubblicato dall’“Osservatore Romano”] autorizza la costruzione di una moschea
nella capitale”20, il lettore si aspetta, naturalmente, di trovarvi riscontro alla
“decisione” mussoliniana (registrata da Galeazzo Ciano nel suo diario 21) “di erigere
una moschea a Roma, in considerazione del fatto che ormai [con l’occupazione
dell’Albania] ben 6 milioni di sudditi italiani sono musulmani.” Vana attesa, tuttavia:
nella pagina scritta22, quel giorno, dalla giovane e ardente (non solo di fede
fascista23...) amante di Mussolini, non v’è proprio traccia, infatti, della volontà del
Nel brano attribuito da Franzinelli all’ottobre 1940 e che – dopo la telefonata delle 12 e ¼ (“Amore, adesso vado a
casa…”) – ne riporta altre sette, la Petacci annota che il Duce giunge alla Camilluccia “alle 19 meno qualche minuto” e
le dice di essere “inquieto (…) perché Ungheria e Romania sono per venire alle mani. Sembrava si mettessero
d’accordo, ma oggi hanno rotto ogni trattativa: ho avuto il telegramma poco prima di uscire” (p. 395). Il riferimento al
telegramma sulla rottura delle trattative romeno-magiare è certamente a quello che il ministro d’Italia a Bucarest,
Pellegrino Ghigi, inviò a Palazzo Chigi il 25 agosto 1940, spedito dalla nostra legazione nella capitale romena alle ore
5,50 e pervenuto a Roma alle 18,45 [cfr. I documenti diplomatici italiani, serie IX (1939-1943), vol. V, doc. 486, pp.
472-473].
17
Cfr. Gianluca Andrè, La guerra in Europa (1° settembre 1939-22 giugno 1941), Milano, ISPI, 1964 (Annuario di
politica internazionale 1939-1945, vol. VI, t. I), p. 618; nonché Enzo Collotti, La politica dell’Italia nel settore
danubiano-balcanico dal patto di Monaco all’armistizio italiano, in Enzo Collotti, Teodoro Sala, Giorgio Vaccarino,
L’Italia nell’Europa danubiana durante la seconda guerra mondiale, Milano, Istituto Nazionale per la Storia del
Movimento di Liberazione, [1967], pp. 47-48.
18
Cfr. le memorie del delegato romeno alla Conferenza di Turnu Severin, Valeriu Pop (Bătălia pentru Ardeal, Bucarest,
Editura Enciclopedică, 1992, pp. 123 e 131).
19
Cfr. E. A. [Enrico Arosio], Il caso Franzinelli. Saggista e stakanovista, in “L’Espresso”, a. LVII, n. 34, 25 agosto
2011, p. 20.
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L’ennesima “incongruenza” presente nel diario similmussoliniano del 1939 pubblicato dalla Bompiani (e che, per non
annoiare troppo i miei venticinque lettori, non avevo ritenuto di segnalare negli scrittarelli del dicembre scorso) è
costituita proprio dal fatto che lo pseudo-Mussolini non solo attribuisce a Ciano la “proposta” di edificare una moschea
nel centro della Cristianità, ma la registra alla data del 10 aprile! Di ciò Franzinelli, nella sua Autobiografia di un falso
non s’è per nulla accorto – tanto che, comparando il diario similmussoliniano con quello di Clara, scrive (p. 124) che
“l’incontro pomeridiano [del Duce con la giovane amante] include sfoghi anticlericali e ricordi nostalgici di una
poetessa [Ester Lombardo] amata in tempi lontani”.
21
Galeazzo Ciano, Diario 1937-1943, a cura di Renzo De Felice, Milano, Rizzoli, 1980, p. 283 (annotazione dell’11
aprile 1939).
22
Almeno come la pubblica Franzinelli, il quale − invece di riprodurre il contenuto della conversazione telefonica fra
Mussolini e il genero − pone il classico segno [...] che indica un’omissione.
23
Cfr. (in Arrigo Petacco, L’uomo della Provvidenza. Mussolini, ascesa e caduta di un mito, Milano, Mondadori, 2004,
p. 84) la lettera che la quattordicenne Clara inviò al Duce, scampato all’attentato (7 aprile 1926) dell’irlandese Violet
Gibson.
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3
capo del fascismo di sfidare il Vaticano costruendo, nel cuore della Cristianità, quella
moschea che, come attesta Galeazzo Ciano, tanto piace a Vittorio Emanuele III,
“sempre all’avanguardia allorché si tratta di fare una politica anticlericale”.
In altra occasione (e cioè il 12 novembre 1939), il Duce avrebbe detto alla sua
favorita – stando al testo edito da Franzinelli – di avere scritto il secondo articolo
della propria carriera giornalistica “a Lugano su di un giornale politico. Lì ho scritto
tanto e poi tanto che se ne possono fare 5 volumi solo di quelli che ho raccolto a
Trieste…” (p. 241). Ma se la trascrizione fosse corretta, Clara Petacci avrebbe
riportato in maniera erronea le parole dell’amato ben. Mussolini, infatti, collaborò al
settimanale “L’Avvenire del Lavoratore” (organo del Partito socialista italiano in
Svizzera, che si stampava a Losanna – e non a Lugano!) a partire dal 2 agosto 1902 e
alla fine dell’anno vi aveva pubblicato, stando a Renzo De Felice, nove articoli 24:
come si vede, “lì” [in Svizzera, cioè] il giovane ribelle romagnolo non scrisse poi
“tanto”; per contro, intensissima fu la sua produzione nell’altrettanto breve
permanenza a Trento (e non a Trieste!), dal 6 febbraio al 26 settembre 1909 25. Di
fronte alla discrepanza tra quanto scrive Clara nel suo diario e ciò che positivamente
risulta agli storici, mi chiedo se la trascrizione del brano edito da Franzinelli sia
corretta; o se non sia stata lei a fraintendere le parole del Duce. In ogni caso,
Franzinelli non avrebbe dovuto eludere il problema!
Perfino nella breve bibliografia (un po’ scombinata, invero) che chiude il
volume dei diari della Petacci da lui curato, Franzinelli riesce a fornire informazioni
del tutto errate. A p. 456, infatti, egli menziona “Mussolini, Benito, La mia vita,
Rizzoli, Milano 1983 (1a edizione 1911-1912)” – confondendo la giovanile
autobiografia cui l’irrequieto romagnolo attese nel carcere di Forlì 26 con quella che il
fratello Arnaldo gli scrisse, nel 1928, su sollecitazione di Richard Washburn Child
(ex ambasciatore americano in Italia, che ne curò pure la traduzione in inglese) e a
uso del pubblico angloamericano27: essa apparve, in ri-traduzione italiana, soltanto
nel 1983, con prefazione di Silvio Bertoldi28.
Mimmo Franzinelli era finora noto, alla comunità dei devoti di Clio, come
studioso serio e scrupoloso, anzi come “un autore che sulla pubblicazione di
documenti o di libri basati sostanzialmente su documenti ha fatto in questi anni la sua
Cfr. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883-1920, Torino, Einaudi, 1965, pp. 26-29 [ma in Benito
Mussolini, Opera omnia, a cura di Edoardo e Duilio Susmel, Firenze, La Fenice, vol. I (1951), pp. 9-26, figurano
soltanto sette articoli e una poesia, Nel dì dei morti, scritta “pei caduti di Berra, Candela, Giarratana”]. Quando
“L’Avvenire del Lavoratore” (non “dei lavoratori”, come erroneamente scrive Franzinelli) si trasferì a Bellinzona,
Mussolini vi pubblicò – nell’estate del 1903 – qualche altro articolo (ibidem, pp. 32-33).
25
Come osserva Renzo De Felice (Mussolini il rivoluzionario, cit., p. 69), “In sei mesi o poco più scrisse oltre un
centinaio di articoli, note, corsivi, corrispondenze, bozzetti e racconti”.
26
La mia vita dal 29 luglio 1883 al 23 novembre 1911, ora in Benito Mussolini, Opera omnia, cit., vol. XXXIII (1961),
pp. 217-269: nella “Nota informativa” che apre il volume (p. X) i curatori precisano che “l’autobiografia venne stesa su
un piccolo quaderno, il quale passò poi per le mani di Arturo Rossato e di Margherita Sarfatti, che se ne servirono per le
loro biografie di Mussolini. Ritrovato, fu pubblicato nel 1947 per i tipi dell’Editrice «Faro» di Roma”, col titolo La mia
vita.
27
Cfr. Marcello Staglieno, Arnaldo e Benito. Due fratelli, Milano, Mondadori, 2003, pp. 309-329 e 546-551 (note al
cap. XIV). Lo stesso Duce (Vita di Arnaldo, Milano, Tipografia del «Popolo d’Italia», 1932, p. 104) scrisse: “La
redazione della mia autobiografia appartiene a lui. Vi mise molto impegno, molta diligenza, vi impiegò moltissimo
tempo e tradusse gli eventi della mia vita in una prosa non ridondante, ma semplice e schietta, così come gli Americani
desideravano.”
28
Cfr. Benito Mussolini, La mia vita, Milano, Rizzoli, 1983, trad. di Monica Mazzanti. Questa (più volte ristampata
nella BUR) è l’autobiografia mussoliniana inclusa da Franzinelli nella bibliografia: sfugge a ogni mio tentativo di
comprensione il motivo che lo induce a farne risalire la prima edizione al 1911-1912…
24
4
fortuna, costruendosi la fama di esploratore di archivi (…) uno dei pochi casi, nel
nostro paese, di ricercatore che si sostiene con il ricavato delle proprie ricerche” 29. Da
qualche tempo, però, nella sua produzione sembra essersi introdotta una certa
frettolosa sciatteria (forse addebitabile a collaboratori un po’ troppo faciloni), che ben
poco ha da spartire con la scienza storica e, ancor meno, con le sue discipline
ausiliarie. Di ciò mi rincresce assai – anche perché mi piacerebbe tanto che egli, nei
tempi bui in cui ci tocca vivere, fosse effettivamente “una delle punte di diamante
della reazione storiografica antifascista”30.
Milano-Genova, 18 novembre 2011
Lauro Grassi
ricercatore all’Università degli Studi di Milano
Cfr. Aldo G. Ricci, L’occhio dell’amante, cit., p. 90.
L’espressione è di quel Fabio Andriola che dirige (vogliamo gratificarlo un po’…) la “punta di diamante” della
volgarizzazione storiografica anti-antifascista, ovvero il periodico “Storia in rete”. Cfr. Fabio Andriola, Agli storici
restano solo il Ventennio e Mussolini, in “Area”, a. XVI, n. 168, maggio 2011, p. 41.
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