Il deficit di comunicazione dell`Unione Europea
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Il deficit di comunicazione dell`Unione Europea
mercati esteri Il deficit di comunicazione dell'Unione Europea Percorso storico e spunti di riflessione sulle strategie con cui l’Europa informa i cittadini sulla propria mission e sul proprio operato Elena Olloqui I risultati delle strategie di comunicazione dell’Unione Europea non sono stati completamente soddisfacenti e lo sforzo informativo europeo non ha saputo smentire le voci che indicavano Gli europei si l’esistenza di un deficit di comusentono non nicazione. Anche la mancanza di coinvolti a una comunicazione efficace ha sufficienza nel generato nella società europea funzionamento delle un disincanto e un sentimento non appartenenza, soprattutistituzioni di to se si pensa all’occasione persa che ha rappresentato la crisi economica del 2008 per il rafforzamento dell’Europa unita. La popolazione europea non si sente coinvolta a sufficienza nel funzionamento delle istituzioni e spesso rimane distaccata dai meccanismi decisionali che operano a Bruxelles. Deficit o euroscetticismo? Prima di ripercorrere le principali tappe storiche della comunicazione in ambito europeo, bisogna riflettere sul deficit di comunicazione rispetto ad altri fenomeni più noti e analizzati. Ad esempio, il deficit di comunicazione presenta un certo rapporto con il concetto di euroscetticismo. Un fenomeno, quest’ultimo, che si è manifestato sin dall’inizio della Comunità europea e che trova nel deficit di comunicazione dell’UE un motivo in più per alimentare la diffidenza nei confronti dell’Europa unita. Se un’organizzazione non comunica al meglio con i propri interlocutori (nel caso dell’Unione Europea, i propri cittadini), essa è destinata a essere vista in maniera sospetta e perciò criticata, contestata o, peggio ancora, ignorata. PARMA economica 67 mercati esteri L’euroscetticismo si è tradizionalmente analizzato soprattutto tenendo conto di due ambiti: lo schieramento delle posizioni dei partiti politici su temi europei, sia a livello di politica nazionale, sia a livello di politica europea; e l’opinione pubblica. Le due tendenze di analisi però valutano in modo marginale il ruolo dei media e dei giornalisti che nell’informare e nell’offrire spunti di dibattito civico hanno potuto contribuire alla diffusione dell’euroscetticismo. Il ruolo giocato dai media nella costruzione della comunicazione istituzionale europea è affetto da un particolare paradosso: da un lato, l’Unione Europea ha prodotto effettivamente un’enorme quantità di informazione, atta a fornire a tutti i Paesi membri quanto potesse essere utile nel processo di integrazione sociale, politico ed economico; in un senso opposto, tuttavia, sono venute a mancare strategie di comunicazione e di adeguata promozione e sostegno dei valori che giustificavano e davano senso alle scelte compiute dalle stesse istituzioni europee. Si potrebbe dunque affermare che l’Unione Europea rappresenta un singolare caso di surplus d’informazione e di deficit di comunicazione. Colpiscono subito nel parlare di deficit di comunicazione le implicazioni della pri- 68 PARMA economica ma parola: infatti, deficit rappresenta un concetto strettamente economico che, al contrario del surplus, indica una situazione nella quale i costi superano i ricavi. Potrebbe essere più corretto nell’ambito della comunicazione parlare di inefficacia e inadeguatezza, in quanto questa non è riducibile ai soli parametri economici, e il fatto di comunicare va oltre In fondo la stessa il semplice calcolo immediato di costi e ricavi. La comunicazione, partecipazione quando è intesa nella sua totali- democratica è tà, è atto di scambio che produce limitata: solo una valori anche di natura sociale e delle sette istituzioni intellettuale. si elegge a suffragio Collegato al deficit di comunicauniversale zione dell’UE si parla spesso di un altro deficit, quello democratico. Diversi studiosi hanno sottolineato come i meccanismi politici all’interno del sistema Europa non siano tra quelli più rappresentativi e nemmeno tra quelli più legittimati dal popolo europeo. Questo aspetto fa sembrare l’Unione inaccessibile al cittadino a causa della complessità del suo funzionamento. A ogni tappa che ha segnato l’integrazione europea, la questione della legittimità democratica si è imposta all’attenzione pubblica in modo sempre più urgente. I trattati di Maastricht, Amsterdam e Nizza hanno voluto contribuire a migliorare mercati esteri Euroscetticismo Il termine euroscetticismo si trova per la prima volta nel 1985, in un articolo pubblicato sul giornale britannico The Times. In quel momento indicava specificamente l’avversione del governo conservatore del Regno Unito al progetto europeo di integrazione, che tendeva ad assumere una dimensione non più solo economica ma anche politica. «Ma il termine non è onnicomprensivo e circoscrivibile alla sola opposizione britannica all’Europa1». Esistono vari tipi di euroscetticismo che possono riflettere un particolare atteggiamento cittadino. • «Un euroscetticismo basato su un calcolo utilitarista da parte dei cittadini, che valuta l’Unione Europea soppesando costi e benefici dell’appartenenza a essa. • Un euroscetticismo basato sul concetto di sovranità nazionale e/o identità nazionale, in cui i cittadini vedono l’Europa come un’i- stituzione di successo dal punto di vista della cooperazione su temi economici ma che non deve minare o indebolire il concetto di sovranità nazionale al quale si sentono maggiormente legati. • Un altro tipo di euroscetticismo può essere definito di stampo democratico: i cittadini non hanno fiducia in un’Europa dei “burocrati”, in cui loro stessi (e quindi il Parlamento europeo che li rappresenterebbe) non hanno sufficiente peso nelle scelte strategiche dell’Unione. • Un euroscetticismo che ha una dimensione squisitamente politica (o che dir si voglia ideologica o valoriale) per cui, ad esempio, alcuni cittadini di orientamento più socialdemocratico apprezzano ancora poco l’Europa poiché la percepiscono orientata dal pensiero liberale2». 1 F. Cerniglia, L’Euroscetticismo in tempo di crisi, in «Il mulino», I (2013) 2 Ibidem. la legittimità democratica del sistema istituzionale europeo, rafforzando i poteri del Parlamento in materia di designazione e controllo della Commissione, nonché ampliando gradualmente il campo di applicazione della procedura di co-decisione. Il trattato di Lisbona prosegue su questa strada. Da un lato, rafforza i poteri del Parlamento europeo in campo legislativo e di bilancio, permettendogli di esercitare un controllo politico più efficace sulla Commissione europea attraverso la procedura di designazione del suo presidente. Dall’altro, cerca di migliorare la partecipazione dei cittadini alla vita democratica dell’Unione istituendo un diritto d’iniziativa dei cittadini e riconoscendo l’importanza del dialogo tra le istituzioni europee e la società civile. Purtroppo la criticità alla base del deficit democratico ancora sussiste: in fin dei conti soltanto una delle sette istituzioni europee si elegge a suffragio universale e il potere decisionale di questa istituzione (il Parlamento Europeo) è limitato soprattutto rispetto ai poteri della PARMA economica 69 mercati esteri Commissione europea. Un altro concetto con cui il deficit comunicativo si è trovato spesso in relazione è il deficit democratico. Questo rapporto è origine di molta confusione, soprattutto quando si vuol sostenere che l’uno possa essere causato esclusivamente dall’altro. Sarebbe più giusto, piuttosto, affermare che i due deficit coesistono, hanno caratteristiche distinte e diversi punti di incontro. Le criticità rilevate dalla natura poco “democratica” dei meccanismi di funzionamento europeo non possono risolversi con un’ottima comunicazione, anzi: nel peggiore degli scenari possibili, essere a conoscenza in maniera più approfondita di quanto poco contino i singoli voti a livello europeo e avere una nozione certa del potere ristretto del Parlamento europeo potrebbero soltanto aumentare i riscontri negativi nella cittadinanza. Essere informati dell’operato di un “sistema poco democratico” non lo rende democratico ma noto. Se oltre alla poca chiarezza rappresentativa aggiungiamo un buio comunicativo, avremo come risultato un’organizzazione molto lontana dai cittadini europei, circostanza paradossale se parliamo dell’UE, che dal 1992 con il trattato di Maastricht si è preoccupata sempre di più di avvicinare i cittadini europei alle istituzioni di Bruxelles e di fare della trasparenza un cavallo di battaglia. Storia della comunicazione La comunicazione delle attività di Bruxelles però è arrivata solo 20 anni fa, in concomitanza con il trattato di Maastricht del 1992. Prima di questa data il lavoro dei pionieri nel “cantiere Europa” era stato prevalentemente concentrato all’interno dei palazzi della capitale belga, e delle poche altre città sedi di rappresentanze e uffici. L’ampliamento del processo di integrazione dell’UE, con l’arrivo di nuovi Paesi membri, significò mettere in atto delle strategie e delle strutture che tenessero conto di realtà profondamente distanti fra loro sotto il profilo politico, economico, sociale e culturale. Mentre la mediazione tra i Paesi fondatori poté svilupparsi su basi già consolidate dal forte legame originario, l’ingresso del blocco di Stati dell’Europa orientale imponeva un’attenzione molto maggiore proprio sugli strumenti della comunicazione. Oltre a ciò, gli anni Novanta hanno rap- 70 PARMA economica mercati esteri presentato il momento di massima crescita delle tecnologie connesse al mondo dell’informazione e della comunicazione: il paradigma della rete ha visto diffondersi impetuosamente il fenomeno del world wide web, con la prospettiva di rivoluzionare le modalità di rapDiverse questioni porto tra individui, gruppi sociali sono cambiate sulle e istituzioni. L’Unione Europea singole politiche intuì rapidamente che le nuove di comunicazione tecnologie avrebbero potuto fadell'UE dai tempi di cilitare il lavoro di integrazione, una maggior facilità di Maastricht tramite diffusione dei documenti multilingua. Il trattato di Maastricht comporta pure un’apertura dell’UE verso l’opinione pubblica europea, che comincia a essere più consapevole delle attività che si svolgono a Bruxelles e inizia a valutare le politiche europee in termini di potenziali costi o benefici per loro e per i propri territori di appartenenza locale, regionale o nazionale. Rivolgendo lo sguardo alle singole politiche di comunicazione dell’UE dai tempi di Maastricht diverse questioni sono cambiate. In primo luogo, nei primi anni Novanta, si puntò sulla trasparenza e l’accesso ai documenti. Una prima forma di “accountability” e di trasparenza, che diede 1 G. Bocchi, La strategia di comunicazione dell’Unione Europea, la possibilità ai singoli cittadini di consultesi di master alla Fondazione tare ed essere aggiornati sulle politiche e Collegio Europeo di Parma, 2006, p.37 i testi che si approvavano a Bruxelles. Si 2 Consiglio europeo, Dichiarazione trattò di una prima apertura verso l’opisulla ratifica del trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, 16-17 nione pubblica europea. giugno 2005, p.2 Nel 1995 il Parlamento europeo introdusse il programma Prince (Programma d’informazione per il cittadino europeo) rivolto al grande pubblico e suddiviso in tre campagne diverse: “Cittadini d’Europa”, “Costruiamo insieme l’Europa” e “L’euro – Una moneta unica per l’Europa”. Queste prime campagne orientate al grande pubblico europeo erano quasi esclusivamente di carattere informativo, si voleva far conoscere ai cittadini la propria appartenenza all’UE o prepararli per l’arrivo della moneta unica. Bisogna sottolineare che la Commissione Prodi (dal 1999 fino al 2004) ha proceduto alle maggiori riforme amministrative che hanno avuto un forte impatto sull’attività di comunicazione dell’Unione Europea. Gli sforzi per lo sviluppo della politica di comunicazione in quegli anni si riflettono in tre comunicazioni della Commissione, sotto la guida del commissario portoghese Antonio Vitorino1. Nel 2001 si pubblica la comunicazione “Un nuovo quadro di cooperazione per l›attività diplomatica dell›informazione e della comunicazione nell›Unione Europea”, che lanciava un appello per la cooperazione tra le istituzioni europee. Il 25 di luglio 2002 la Commissione europea pubblica la comunicazione “Una strategia di informazione e di comunicazione per l’Unione Europea”. In questo testo si riflette sui processi di comunicazione, si individua la necessità di una nuova stra- PARMA economica 71 mercati esteri tegia e si stabiliscono delle indicazioni su come proseguire. Due anni dopo la pubblicazione di questo documento, il 20 aprile 2004, la Commissione Europea procede a comunicare “L’attuazione della strategia di informazione e di comunicazione dell’Unione Europea”, che definisce le difficoltà incontrate nell’applicazione della comunicazione precedente. Le riforme più significative per la comunicazione a livello europeo arrivano dalla mano della vicepresidente e commissaria svedese Margot Wallström negli anni 2005-2007. Si tratta del “Piano d’azione per migliorare la comunicazione dell’Unione Europea” del 20 luglio 2005 e del “Libro bianco su una politica europea di comunicazione” del 2006, pietra miliare nel parlare del deficit di comunicazione dell’UE. Approfondito, quest’ultimo, dalla comunicazione “Insieme per comunicare l’Europa” del 2007. Nel 29 maggio 2005 la Francia, seguita poi a inizio giugno dall’Olanda, sconvolsero l’Unione Europea con l’esito negativo del referendum nazionale sul trattato costituzionale che avrebbe dotato l’Europa di una Costituzione. Davanti a questo risultato il Consiglio europeo chiese allora un «periodo di riflessione che serva a consentire in ciascuno dei nostri Paesi un ampio dibattito, che coinvolga i cittadini, la società ci- 72 PARMA economica vile, le parti sociali, i parlamenti nazionali e i partiti politici2». è in questo scenario che la Commissione elaborò il “Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito”, approvato il 13 ottobre 2005, che voleva stimolare un dibattito maggiore tra le istituzioni europee e i cittadini in modo da riflettere sul futuro dell’Unione Europea. Il documento mette in luce principalmente due temi: il contributo ai dibattiti nazionali sul futuro dell’Europa, e la pre- Le riforme più sentazione di iniziative volte a significative per rafforzare il dialogo, il dibattito la comunicazione pubblico e la partecipazione dei europea arrivano cittadini. I vari documenti segnalati ar- dalla vicepresidente ricchiscono gli elaborati della svedese Margot Commissione europea, ma la Wallström negli anni loro applicazione non si è mai 2005-2007 conclusa fino in fondo. Il percorso di ratifica del trattato di Lisbona, l’attuale testo legislativo fondamentale dell’Unione Europea, ci mostra come la comunicazione europea deva ancora migliorare. È rilevante ricordare come sia stata la mancanza di chiarezza dell’informazione sull’Unione Europea a rallentare la ratifica dell’Irlanda, che nel primo referendum ha respinto il trattato, per approvarlo poi nel 2009, un anno dopo la prima consultazione popolare. L’Unio- mercati esteri ne Europea tra il 2008 e il 2009 è riuscita a spiegare meglio i contenuti del trattato di Lisbona e correggere le impressioni errate sui cambiamenti apportati nel testo, in maniera tale da cambiare la percezione nella maggior parte della cittadinanza irlandese. Concretamente, i cittadini irlandesi sono stati rassicurati in temi di politica fiscale, neutralità militari e diritti di famiglia e aborto, punti questi che nel 2008 non sono stati ben capiti dalla popolazione causando in parte il “no” del primo referendum. Prospettive attuali Quello dell’Irlanda è un esempio positivo della capacità della buona comunicazione di cambiare prospettiva su una stessa realtà e di valorizzarla. La comunicazione si rivela una risorsa necessaria e multifunzionale su cui l’Unione Europea ha ancora molto da investire e soltanto da guadagnare. Affermare il paradigma di una partecipazione democratica attiva e informata dei cittadini può aiutare a far sì che l’UE diventi un’organizzazione meglio compresa e più sostenuta. L’impegno per un arricchimento della cultura civica in ambito europeo può solo portare beneficio all’UE, che però deve favorire questa ricchezza anche attraverso una politica di comuni- cazione chiara ed efficace. A tal proposito, fra pochi mesi, più precisamente alla fine di maggio 2014, avranno luogo le elezioni al Parlamento europeo, l’unica istituzione eletta a suffragio universale. La debolezza identitaria attuale dei tradizionali partiti politici europei rispetto a quelli nazionali, sommata allo scontento dei cittadini dopo cinque anni di crisi e la mancanza di risposte rapide e decise da parte anche dell’Europa, fanno prospettare un potenziale terremoto nella sede parlamentare europea. Tendenze politiche che non hanno alcun rispetto per i principi né per i valori europei potrebbero sbarcare a Bruxelles. Questa situazione di rischio si sarebbe potuta presentare ugualmente, ma possiamo affermare che la crisi economica sia una mancata opportunità per l’Europa di diventare un complesso più unito e coeso. Le numerose richieste di un intervento “salvifico” da parte dell’Unione nei primi tempi della crisi avrebbero potuto comunque non trovare risposte adeguate, ma se si fosse cercato allora di fare un passo in avanti più deciso verso un’unione politica europea, verso gli Stati Uniti di Europa, ne sarebbe scaturita una realtà più forte e più sicura per fronteggiare le incertezze e i pericoli che si continuano a intravvedere nel nostro futuro. L’euro, una campagna di comunicazione di successo Al di là delle considerazioni strettamente politiche ed economiche legate alla moneta unica, l’arrivo dell’euro ha saputo armonizzare il messaggio dell’UE, i mezzi di comunicazione e la cittadinanza europea. La campagna “L’euro – Una moneta unica per l’Europa” (compresa, come abbiamo visto, nel budget del programma Prince) si è rivelata molto coinvolgente e diffusa, preparando bambini e adulti all’arrivo dell’euro dal primo gennaio 2002. Come prova di questo successo, basti semplicemente pensare alle code davanti alle Poste di persone entusiaste in attesa di prendere le prime bustine di euro, oppure la precisione con cui ci ricordiamo, ancora oggi, del cambio con le lire: un euro uguale a 1936,27 lire. Questo risultato epocale è stato possibile grazie alla realizzazione di una campagna comunicativa efficace, e a una comunione di intenti con i mezzi di comunicazione, impegnati a preparare al meglio i cittadini per il passaggio di moneta. La felice esperienza di quei mesi è tuttora la miglior dimostrazione che qualsiasi progetto politico, istituzionale ed economico dell’Unione Europea necessita della massima cura nei riguardi delle modalità di accesso all’opinione pubblica, quindi di forme di comunicazione che sappiano trasmettere i messaggi in modo propositivo e trasparente: questi crediamo che debbano essere gli elementi fondamentali per un’integrazione e una comunicazione di successo. PARMA economica 73