Caterina Caselli, 70 anni trascorsi tra grandi successi sul palco e in

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Caterina Caselli, 70 anni trascorsi tra grandi successi sul palco e in
Personaggi | La signora del disco
Caterina Caselli, 70 anni trascorsi tra grandi successi
sul palco e in sala di registrazione
Una vita
per la musica
Da casco d’oro simbolo del beat a manager di successo dell’industria musicale capace
di trovare e lanciare talenti come Andrea Bocelli, Elisa e Malika Ayane. L’imprenditrice sassolese
ricorda gli esordi e l’entusiasmo degli anni Sessanta, e racconta i tanti decenni da talent scout
per la sua casa discografica, in un Paese dove la musica non è abbastanza valorizzata
di Stefano Marchetti
a musica nuova, lei l’ha sempre sentita e
cantata, fin da quando, giovanissima,
voleva vestirsi con i pantaloni a zampa
d’elefante, come i giovani di Carnaby Street a
Londra, e sua mamma la rimproverava: «Non ti
azzardare a uscire così». La musica nuova correva lungo la via Emilia: era quel beat che avrebbe cambiato tutto, anche le regole e la società. E
anche quando quegli anni sono passati, sono
diventati memoria e talvolta nostalgia, lei ha
continuato ad ascoltare musica nuova: l’ha scoperta, curata e proposta non soltanto in Italia.
L
Caterina Caselli al suo debutto
nel 1966 al Festival di Sanremo
Personaggi | La signora del disco
A partire dal successo
di «Nessuno mi può giudicare»
a Sanremo Caterina Caselli
è entrata in contatto
con l’industria della musica:
«A quei tempi erano molto
attenti a curare l’evoluzione
di un artista a partire
dalle sue potenzialità»,
commenta. «Si poteva sbagliare
perché c’era più tempo»
Il Festival 1966 fu vinto dalla coppia Domenico Modugno
e Gigliola Cinquetti, ma «Nessuno mi può giudicare»
della Caselli divenne subito una hit che la rese famosa
Per Caterina Caselli e la sua famiglia la musica è arte ma anche impresa. «In generale ci sono anche alcuni segnali
di risveglio ma fra il 2001 e il 2014 il mercato italiano della musica è calato di quasi il 70 per cento, c’è ancora
molta strada da fare», ricorda la manager. «Non bisogna farsi abbagliare da fenomeni come la crescita del vinile,
che è una forma particolare di modernariato. La lotta contro la pirateria, poi, non deve diminuire di intensità
perché alla base c’è ancora la mentalità del consumo “tutto gratis” che siamo ben lontani dall’aver cambiato»
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Nel 1966 a Sanremo era il casco d’oro, oggi è una delle
più affermate e stimate signore dell’industria discografica: Caterina Caselli ha festeggiato i suoi 70 fantastici
anni, celebrando un eccezionale percorso con la musica,
nella musica e per la musica. Nessuno, davvero, la può
giudicare: la sua esperienza e il suo fiuto nell’individuare i talenti sono da sempre imbattibili. Ha tenuto a battesimo Elisa e Malika Ayane, gli Avion Travel e Raphael
Gualazzi, Giovanni Caccamo e i Negramaro, ma soprattutto Andrea Bocelli, che oggi è il tenore italiano più amato e acclamato nel mondo. «Cantare è sicuramente
un’emozione speciale», confida. «La sfida imprenditoriale tuttavia è un’avventura più complessa».
Per raccontare Caterina Caselli, comunque, bisogna
partire sempre da là, da quegli anni Sessanta, quando
Modena e Sassuolo erano come paesoni immersi nella
Pianura padana: «Sono nata in una famiglia semplice,
di origine contadina, e in occasione di alcuni momenti
legati al lavoro dei campi, come la vendemmia o la mietitura, si organizzavano feste con balli e canti», ricorda
Caterina. «Da noi in Emilia nascevano le orchestre da
ballo e chi aveva voglia poteva farlo. Da noi c’era spazio
e c’erano le scuole private». Come quella del maestro Ivo
Callegari, che ascoltò la giovanissima Caterina, la definì «acerba ma con molta musicalità e timbro originale»,
le insegnò a suonare uno strumento, e la indirizzò nel
canto. «E poi c’erano le balere. Io ho costruito le basi del-
la mia carriera nelle balere del modenese, ed è lì che ho
imparato cosa voglia dire il rapporto con il pubblico.
Quando sono andata al Piper mi sembrava fosse una
delle tante balere dell’Emilia, solo con un pubblico diverso, più internazionale. Insomma, tutto questo mi ha
permesso di entrare più a fondo nell’essenza della canzone. Devo ringraziare mio padre che mi ha sostenuto,
mia madre che non mi ha ostacolato troppo, il maestro
Callegari e anche don Rino, mio cugino sacerdote, che
faceva compostamente il tifo per me». A Roma e a Milano, Caterina Caselli è entrata in contatto con l’industria
della musica, «che a quei tempi era molto attenta a curare l’evoluzione di un artista a partire dalle sue potenzialità», fa notare. «Si poteva sbagliare perché c’era più
tempo». La carriera di Caterina è stata fulminante e
costellata di perle: nel 1966 «Nessuno mi può giudicare»
a Sanremo e undici settimane al primo posto in classifica, lo stesso anno il trionfo al Festivalbar con «Perdono»,
nel 1967 «Sono bugiarda», versione italiana di «I’m a believer», nel 1968 «Insieme a te non ci sto più», scritta da
Paolo Conte, nel 1969 «Cento giorni», e poi Cantagiro,
Canzonissima, i musicarelli e la tv. Anche Caterina sicuramente ha contribuito al mito degli anni Sessanta, un
mito che resiste ancora: «Perché allora è nata la cultura
di massa, la radio e la televisione hanno messo in circolo le notizie del mondo. Ci pensi bene: quella era la prima fase della globalizzazione», sorride. «I ragazzi nati
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Caterina Caselli al Festival di Sanremo 1969:
in coppia con Johnny Dorelli porta «Il gioco dell'amore»;
arrivando in finale e piazzandosi all'ottavo posto,
mentre, sulla moto, è insieme a Riccardo Del Turco,
Massimo Ranieri, France Gall e Gigliola Cinquetti
All’apice del successo, nel 1970 Caterina Caselli sposa Piero Sugar, figlio di Ladislao fondatore
dell’omonima casa discografica, un gigante dell’industria del disco. Per lei è stata una vera svolta:
«Dopo avere avuto mio figlio Filippo (insieme nella foto), pensavo che sarei tornata a cantare.
Invece, quel periodo di pausa è stato anche molto stimolante sul piano umano e per la mia formazione personale.
Avevo meno voglia di esibirmi e più desiderio di aiutare altri talenti a esprimersi e a trovare la loro strada»
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dopo la fine della seconda guerra mondiale si sono affacciati al mondo e hanno pensato che si potessero cambiare i modelli di comportamento, anche perché i loro genitori erano troppo impegnati a godere per la prima volta
di un benessere materiale reale, seppur modesto. E in
quegli anni la musica si è affermata come il veicolo più
potente di cambiamento culturale, trascinandosi dietro
la moda. Il mondo sembrava effettivamente un grande
paese».
Caterina aveva visto lontano, aveva sentito che c’era
in giro un’atmosfera tutta diversa. Nel mondo della
musica è stato fondamentale per lei incontrare Ladislao
Sugar, fondatore dell’omonima casa discografica, un
gigante dell’editoria musicale e dell’industria del disco,
che la ingaggiò per la Cgd e poi è diventato suo suocero.
All’apice del successo, infatti, nel 1970 Caterina Caselli
ha sposato Piero Sugar, figlio di Ladislao: ed è stata per
lei una vera svolta. «Quando ho scelto di sposarmi e
avere un figlio (Filippo, oggi dirigente della Sugar e presidente della Siae, ndr), pensavo che magari, dopo un
po’, sarei tornata a cantare», spiega. «Invece, quel periodo di pausa è stato anche molto stimolante sul piano
umano e per la mia formazione personale. Quando ho
ricominciato a pensare alla musica, avevo meno voglia
di esibirmi e più desiderio di aiutare altri talenti a esprimersi e a trovare la loro strada». Caterina dunque ha
iniziato l’attività di produttore discografico e ha fondato
una piccola etichetta, «Ascolto», con cui negli anni ha
imposto all’attenzione del pubblico artisti come Pierangelo Bertoli, Mauro Pagani, gli Area con Demetrio
Stratos, Enrico Ruggeri, Raf, Francesco Baccini.
«Cantare è un’esperienza ineguagliabile: il rapporto che
si instaura con il pubblico inebria e può far perdere la
testa. Dedicare se stessi interamente a costruire l’interpretazione o a migliorare la voce e l’espressività, senza
doversi preoccupare d’altro è una specie di benedizione,
perché sai che c’è qualcun altro che si occupa degli aspetti organizzativi della tua vita artistica. Quando però quel “qualcun altro” diventi tu, ti rendi conto di come
eri fortunata prima».
I nuovi talenti sono stati sempre al centro della professione di Caterina Caselli. Ma quale talento serve per
scoprirli e poi coltivarli? «Ci sono tanti fattori, alcuni del
tutto emozionali, altri molto razionali. In primo luogo
devo avvertire qualcosa di profondamente vero in quella voce o quel modo di scrivere, devo avvertire magari
una scossa o qualcosa che non c’era prima. E poi si comincia a lavorare come fanno gli artigiani: il talento
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deve essere rafforzato e messo alla prova. Chiaramente
lavorare sul talento degli altri è un’esperienza del tutto
diversa, rispetto a quella di essere sul palco, ma è altrettanto forte e appassionante. Guai a pensare di rivivere le
emozioni di prima attraverso un altro: è un’altra cosa
eppure, per quanto mi riguarda, la concentrazione emotiva è la stessa». Di certo, molti dei talenti che Caterina
Caselli ha aiutato a crescere sono diventati protagonisti
del panorama musicale. Il più grande di tutti è Andrea
Bocelli, con oltre 70 milioni di album classici, lirici e pop
venduti in tutto il mondo: «Lo ascoltai una sera a Bassano
del Grappa, in occasione di un concerto di Zucchero, e
rimasi subito impressionata dalla sua voce. Lo invitai a
Milano ed è iniziato così il nostro percorso insieme.
Andrea ha davvero conquistato il mondo: è un artista
molto intelligente, dal carattere forte, e soprattutto ha la
capacità di incantare le persone con la sua voce e la interpretazione. È una forza che non tutti hanno».
Lanciare artisti emergenti è una scommessa rischiosa: «Certo, c’è un gran daffare intorno ai pochi veri talenti. Noi li valorizziamo: l’Italia non so. La valorizzazione è un processo complesso, e in questo Paese c’è poca
predisposizione a mettere in piedi un sistema dove confluiscano e possano lavorare insieme pubblico e privato.
Caselli dal 1975 inizia l’attività di produttrice discografica, fondando
una piccola etichetta, «Ascolto», con cui negli anni ha imposto
all’attenzione del pubblico molti artisti, tra cui Pierangelo Bertoli,
Mauro Pagani, Enrico Ruggeri, Raf, Francesco Baccini
Dall’alto:
Andrea Bocelli,
Enrico Ruggeri,
Pierangelo Bertoli
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Si dovrebbe pensare a un’infrastruttura di base, molto
collegata alla scuola e al territorio, con un’offerta di
corsi e di percorsi strutturati: ai giovani si potrebbe così
dare la possibilità di provare, proponendo anche uno
sbocco professionale, che non sarebbe necessariamente
garanzia di successo, ma almeno di lavoro». I talent
show non sembrano la soluzione, in questo senso: «Sono
decisamente troppi e non tutti allo stesso livello. E poi il
talent è un format televisivo, e nasce per uno scopo che
non ha niente a che vedere con il vero sviluppo dei talenti musicali. Quello che interessa il canale tv è che lo
spettacolo sia in grado di attirare un pubblico sufficientemente ampio da “rivendere” agli inserzionisti pubblicitari. Se andiamo a vedere, dopo tre o cinque anni,
quanti partecipanti o vincitori di talent show sono ancora in circolazione, se ne trovano pochi».
Il gruppo Sugar è una galassia con le radici in Italia
e un’espansione internazionale, che comprende numerose società. Accanto alla casa discografica (la più
importante etichetta indipendente italiana), fanno
parte dell’universo Sugar anche alcune fra le principali
edizioni musicali, come le Suvini Zerboni, con i cataloghi di musica di compositori del Novecento, da Ennio
Morricone a Goffredo Petrassi, Ivan Fedele e Luigi
Dallapiccola, e dal 2011 le edizioni Cam, specializzate in
musica per il cinema, con le straordinarie colonne sonore di Morricone, Rota, Ortolani, Bacalov e tanti altri.
Caterina Caselli, da parte sua, ha sempre l’entusiasmo
e l’energia di lanciarsi in progetti innovativi e spesso
eclatanti: nel 2011 si è cimentata nell’organizzazione
del mastodontico concerto di Andrea Bocelli a Central
Park, New York, a cui hanno assistito più di 70.000 persone, e nel 2014, ancora nella Grande Mela, ha lanciato
un format, «La Dolce Vita», dedicato alla musica nel ci-
Il maestro
Ennio Morricone
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nema italiano, con due anteprime mondiali sold out al
Lincoln Center. Accanto ai progetti editoriali e discografici, continua a coltivare l’interesse per la musica sperimentale e per nuovi autori come Yakamoto Kotzuga e
JoyCut, sorprese e avanguardie.
Per Caterina Caselli e la sua famiglia, la musica è
arte ma anche impresa. «In generale il mercato dà qualche segnale di risveglio: forse siamo vicini a una svolta.
Nel 2015 si è avuto il 25 per cento in più: è un bel numero, ma fra il 2001 e il 2014 il mercato italiano della musica è calato di quasi il 70 per cento, e quindi c’è ancora
molta strada da fare», è l’analisi della manager. «Non
bisogna farsi abbagliare da fenomeni come la crescita
del vinile, che è una forma particolare di modernariato:
i suoi numeri possono soddisfare una piccola etichetta o
un singolo artista, non l’industria che ha bisogno di ben
altri volumi. La lotta contro la pirateria, poi, non deve
diminuire di intensità, perché alla base c’è ancora la
mentalità del consumo “tutto gratis” che siamo ben lontani dall’aver cambiato. Purtroppo ci sono ancora molti
giovani che vorrebbero lavorare nelle industrie creative
ma non si rendono conto che scaricando gratuitamente
la musica depauperano le risorse che potrebbero essere
reinvestite su di loro».
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Anche l’impresa musicale, oggi in Italia, «affronta le
difficoltà di un Paese viscoso, afflitto da un secolare
attrito burocratico che sembra fatto apposta per frenare
invece che per liberare risorse e dare velocità», ammette. Fare impresa è difficile e faticoso «perché, nonostante i progressi degli ultimi anni, il contesto in cui ci muoviamo rimane poco propulsivo. La musica come arte
popolare è vista dalle istituzioni come un’arte minore,
quasi un artigianato artistico, una definizione che per
me resta un complimento, ma per molti è diminutiva.
Per la musica sarebbe essenziale poter contare su una
buona cultura di base: invece la nostra scuola, a differenza di quella inglese, tedesca, scandinava e perfino
francese o spagnola, non ha mai dato importanza alla
formazione musicale, e la relega in spazi angusti o in
qualche pigro pomeriggio». Servirebbe promuovere
ancor di più la nostra musica sul mercato globale,
«anche adottando politiche fiscali di sostegno e politiche
di difesa del progetto nazionale sulle reti di comunicazione». Eppure, nonostante questi freni e queste disattenzioni, fare impresa musicale resta meraviglioso, conclude Caterina, «perché quando riesci lo stesso a rompere il muro del suono e fare bang, beh, non c’è soddisfazione maggiore». È il miracolo della musica.
Fare impresa
in questo settore
è faticoso
perché in Italia
«la musica
è vista come
un’arte minore,
e la nostra
scuola,
a differenza
di molti Paesi
europei,
non ha mai
dato importanza
alla formazione
musicale
e la relega
in spazi angusti»
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