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NOTIZIE DALL’EUROPA E DAL MONDO
INSIEME PER SALVARE LA
FORESTA.
Un orango salvato dagli incendi per la palma
da olio
Nelle piantagioni di palma della
compagnia Bumitama Gunajaya Agro
(BGA) nel Borneo, gli oranghi sono
messi in fuga dalle motoseghe.
Per favore, aiutateci a fermare la
deforestazione e l’importazione di olio
di palma.
… Indifeso, un orango si aggrappa ai resti di un ultimo albero. Intorno a lui tutto é
deserto. I lavoratori della Bumitama Gunajaya Agro (BGA) hanno raso al suolo
completamente diversi chilometri della foresta circondante.
Altri tre oranghi affamati, tra loro una femmina in gravidanza, cosí come una madre
con il suo cucciolo sulle spalle, si stringono ai resti di un tronco e alle radici degli
alberi tagliati.
“Ci sono altri oranghi nelle piccole
porzioni rimaste di foresta in mezzo alla
piantagione, e anche altri animali in
pericolo di estinzione come la scimmia
nasica”,
spiega
Adi
Irawan
della
organizzazione
International
Animal
Rescue (IAR).
“Gli animali sono minacciati a causa della
piantagione. La compagnia deve fermare
la sua attivitá immediatamente”.
Difficile da credersi, peró la compagnia palmicultrice dal 2007 vanta il marchio di
certificazione della RSPO per la palma sostenibile. Tra i clienti della BGA si trovano
la IOI, la Wilmar e la Sinar Mas che forniscono di olio di palma le aziende europee
alimentari e di agrocombustibili (“bio” combustibili). Nonostante le tante critiche,
l’Unione Europea riconosce la RSPO come sistema di certificazione per la sostenibilitá
degli agrocombustibili.
(da Salviamo la Foresta – dicembre 2015)
“PESTICIDI ILLEGALI”: COSÌ HANNO CREATO LA XYLELLA
di Tiziana Colluto
«Secondo gli inquirenti, il Piano di interventi
targato Silletti è “univocamente diretto alla
drastica e sistematica distruzione del
paesaggio salentino”».
Comincia a prendere forma anche l'interesse
delle multinazionali Monsanto e Basf nella
vicenda.
**Il Fatto Quotidiano, 19 dicembre 2015 (m.p.r.)
Lecce. Dietro la diffusione della malattia che ha colpito
gli ulivi del Salento, secondo la Procura di Lecce, ci
sono dieci responsabili. Tanti quanti sono i nomi delle
persone iscritte sul registro degli indagati, tra cui il commissario straordinario per l’emergenza
nominato dal governo, il comandante del Corpo Forestale della Puglia, Giuseppe Silletti.
Oltre a lui, ci sono ricercatori di CNR e IAM, e funzionari regionali. I nomi emergono dal
decreto di sequestro preventivo d’urgenza di tutti gli alberi destinati all’eradicazione. Un
blocco ai tagli che si aggiunge a quello già disposto su buona parte delle piante dal Tar Lazio.
Il provvedimento penale è stato firmato dal procuratore capo Cataldo Motta e dai pm Elsa
Valeria Mignone e Roberta Licci ed è stato notificato ieri da agenti del Corpo forestale dello
Stato. I reati ipotizzati a vario titolo sono di diffusione colposa di una malattia delle piante;
violazione dolosa e colposa delle disposizioni in materia ambientale; falso materiale e
ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici; getto pericoloso di cose, distruzione
o deturpamento di bellezze naturali.
Oltre al commissario Silletti, sono indagati Antonio Guario, già dirigente dell’Osservatorio
fitosanitario regionale di Bari, e il suo successore, Silvio Schito; Giuseppe D’Onghia, dirigente
del servizio Agricoltura della Regione; Giuseppe Blasi, capo dipartimento delle Politiche
europee e internazionali e dello sviluppo rurale del Servizio fitosanitario centrale; Vito Nicola
Savino, direttore del centro di ricerca Basile Caramia di Locorotondo; Franco Nigro, docente
di Patologia vegetale all’Università di Bari; Donato Boscia, responsabile della sede operativa
di Bari dell’Istituto per la Protezione sostenibile delle piante del CNR; Maria Saponari,
ricercatrice dello stesso istituto; Franco Valentini, ricercatore dell’Istituto agronomico
mediterraneo di Bari.
Sotto accusa sono finiti non solo i piani di contenimento del batterio adottati dal commissario,
ma anche l’impianto su cui si fondano. La consulenza allegata al decreto «ha posto in serio
dubbio - scrivono i PM - l’attendibilità delle conclusioni scientifiche rappresentate all’Europa e
che hanno costituito il presupposto delle determinazioni assunte sia a livello europeo che a
livello nazionale».
Non solo, secondo gli inquirenti, il Piano di interventi targato Silletti è «univocamente diretto
alla drastica e sistematica distruzione del paesaggio salentino». E questo nonostante «il ruolo
specifico di Xylella fastidiosa nella sindrome del disseccamento degli alberi di ulivo resta
ancora da capire».
Ma come è arrivato il batterio nel Salento? Per i consulenti tecnici nominati dalla Procura, «ci
potrebbero essere state non un’unica introduzione dalla Costa Rica, come qualcuno ha
ipotizzato, ma più introduzioni». Quali? L’attenzione è concentrata soprattutto su due vicende:
la prima è il Convegno sulla Xylella, tenutosi nell’ottobre 2010 presso lo Iam di Bari, e durante
il quale, come scrivono i PM, «è stato introdotto sul territorio italiano un patogeno da
quarantena in violazione della normativa di settore».
Poi, ci sono i campi sperimentali avviati nel Gallipolino, area del primo focolaio, tra il 2010 e
il 2012, per testare prodotti fitosanitari contro la lebbra dell’olivo. In quell’occasione, è stato
concesso l’utilizzo in deroga di fitofarmaci.
Per la Procura, è «altamente probabile l’ipotesi che i prodotti impiegati, unitamente
ad altri fattori antropici e ambientali, abbiano causato un abbassamento delle difese
immunitarie degli alberi di olivo, favorendo la virulenza dell’azione dei funghi e batteri
tra i quali Xylella fastidiosa». Di più, «quel che è dato acquisito è che le due società
interessate alle sperimentazioni in campo nel Salento (Monsanto e Basf) sono
collegate tra loro da investimenti comuni, avendo la Monsanto acquisito sin dal 2008
la società Allelyx (specchio di Xylella…) dalla società brasiliana Canavialis, e avendo
la Basf investito 13,5 milioni di dollari in Allelyx nel marzo 2012».
(da Il Fatto Quotidiano – dicembre 2015)
Appendice all’articolo: leggete cliccando sul titolo
qui sotto:
Xylella, l'ombra del complotto con le
multinazionali. I PM: "Il batterio importato
durante un convegno"
e guardate:
Ulivi, il reportage fra i giganti abbattuti nel
Salento
da Repubblica.it – dicembre 2015
GRATITUDINE
(di Giovanni De Mauro)
Tra le tante storie dell’11 settembre ce n’è una meno nota. Quel giorno di quattordici
anni fa venne chiuso lo spazio aereo degli Stati Uniti e centinaia di voli provenienti
da ogni parte del mondo furono costretti ad atterrare altrove. Alcuni arrivarono a
Gander, una cittadina canadese di diecimila abitanti. Nel giro di poche ore atterrarono
38 aerei da cui sbarcarono 6.122 passeggeri e 473 membri degli equipaggi.
Erano spaventati, disorientati, senza informazioni (all’epoca i cellulari statunitensi
non funzionavano in Canada). La cittadina si mobilitò per aiutare quelli che vennero
chiamati i “plane people” (la gente degli aeroplani).
Le scuole, le caserme dei pompieri, le sale da ballo e le chiese furono trasformate in
dormitori, le persone anziane e le donne incinte vennero ospitate nelle case, gli
abitanti di Gander prepararono pasti, offrirono vestiti, coperte e cuscini, giocattoli per
i bambini, il necessario per lavarsi. A ognuno fu data la possibilità di telefonare e
collegarsi a internet. Furono organizzate gite, vennero impegnati gli studenti delle
scuole superiori. Andò avanti così per giorni.
Poi gli aerei decollarono e tutti tornarono a casa. Potrebbe finire qui, ma c’è un
seguito, e una storia di solidarietà diventa anche una storia di gratitudine: sul volo
Delta 15 appena decollato da Gander, il personale di bordo nota qualcosa di strano.
Tutti si chiamano per nome, si scambiano i numeri di telefono, si raccontano come
hanno trascorso gli ultimi giorni. A un certo punto uno dei passeggeri chiede di usare
il microfono. Di solito non è consentito, ma vista la situazione il comandante accetta.
Il passeggero dice di voler fare qualcosa per ringraziare gli abitanti di Gander e
propone di creare un Fondo con cui pagare delle borse di studio per i ragazzi della
cittadina canadese. Fino a oggi hanno raccolto un milione e mezzo di dollari, e hanno
aiutato duecento ragazzi ad andare all’università.
È anche uscito un libro, “Il giorno in cui il mondo arrivò in città”. (… se volete testare
le vostre conoscenze linguistiche, il libro “The day the world came to town” è
disponibile in lingua inglese su Amazon.it)
(da Internazionale – dicembre 2015)
NON C’È CRISI PER LE SPESE MILITARI
Pochi giorni prima del varo della «Legge di stabilità», contenente gli ennesimi tagli al welfare
e in particolare all’Istruzione e alla Sanità, è arrivato il sì del governo Usa per la vendita al
nostro Paese di due droni Predator e relativo equipaggiamento (156 missili Hellfire e 50 bombe
Laser GBU), per una spesa complessiva di 129 milioni di dollari.
Se è vero che si tratta di un ordine d’acquisto risalente al 2012, è altrettanto vero che mentre
negli ultimi anni la scure dei tagli alla spesa pubblica si è abbattuta senza clemenza su gran
parte dei servizi pubblici, le spese militari sono rimaste nel tempo pressoché invariate. Si
tratta di circa 23 miliardi di euro l’anno, l’1,7% del PIL, di cui 5 destinati all’acquisto di nuovi
armamenti.
In tempi di grandi tagli e austerità, siamo così al 12° posto al mondo per spese militari, ma
ultimi in classifica tra i paesi Ocse per la spesa per la scuola, ferma al 4,6% del PIL, l’università
e la ricerca, dove l’Italia investe appena l’1%. Eppure, come afferma il Codacons in un recente
documento pubblicato in occasione della settimana del disarmo, ci sarebbe tanto da tagliare
nel settore delle spese militari.
Oltre ai recenti aerei senza pilota, di prossimo acquisto, c’è l’annosa vicenda degli F-35, i più
costosi caccia della storia dell’aviazione: ognuno di questi velivoli costa all’erario da 111 a
200 milioni di euro (il prezzo esatto non è ancora noto) e nonostante la sospensione decretata
dal Parlamento sembra che il governo italiano si appresti ad acquistarne altri quattro oltre ai
10 già presenti nella nostra flotta. A questi va aggiunta la gloriosa portaerei Cavour, nave
ammiraglia entrata in servizio nel 2009, il cui solo mantenimento ci costa circa 200.000 euro
al giorno.
C’è poi l’eccezione tutta italiana di una forza armata dove i comandanti sono più dei
comandati: 94 mila ufficiali e sottufficiali, contro 83.400 uomini di truppa. Tra Esercito, Marina
e Aeronautica, assicuriamo ogni mese lo stipendio a 425 generali che comandano 178 mila
militari. Negli Stati Uniti sono in 900, ma guidano una forza armata dieci volte più numerosa
di quella italiana. Un po’ troppo per tempi di magra e soprattutto tempi di pace. E certo la
resistenza a tagliare la spesa militare non può essere giustificata dalle continue minacce che
provengono dall’Is. Il terrorismo non si combatte né con i droni, né con le portaerei.
La pace si tutela riempiendo i granai e le scuole, non gli arsenali.
§§§
Le rinnovabili sono
mature
I
giochi
crescere
che
fanno
(da Terra Nuova – dicembre 2015)
LE FATTORIE VERTICALI POTREBBERO PRODURRE IL
DELL'AGRICOLTURA BIOLOGICA CONSUMATA DAI PARIGINI
30%
Continuare a vivere in città senza peggiorare il riscaldamento globale?
È possibile, secondo l'architetto Vincent Callebaut: la
città deve diventare intelligente, a basse emissioni di
carbonio, autosufficiente dal punto di vista energetico
grazie ad un'economia circolare dove tutto può essere
riciclato all'infinito. Un modo per riconsiderare
l'agricoltura urbana.
Da adolescente, Vincent Callebaut non voleva diventare
un architetto, ma un orticoltore, affascinato com'era dal
giardino dei suoi genitori e dal frutteto dei suoi nonni.
Di origine belga, è cresciuto in una cittadina mineraria
del Borinage, ai tempi in piena deindustrializzazione.
Ma sognava un giorno di vivere a Parigi. Sogno realizzato dopo aver studiato architettura a
Bruxelles. Appartiene alla generazione ecologica allevata con tutte le previsioni più
ansiogene. E che immagina fattorie urbane a New York e Parigi. Le città possono produrre
come i campi? Funzionare come villaggi virtuosi?
Lei sottolinea il carattere generazionale del suo lavoro ...
A 20 anni, eravamo già condannati ad aspettare la fine del mondo differenziando la spazzatura
e spegnendo la spia luminosa della nostra televisione. Ma io appartengo anche alla
generazione 2.0, quella che interconnette i saperi. Tra le nuove tecnologie della
comunicazione e nuove tecnologie di rinverdimento delle città, possiamo creare progetti ibridi
portando la campagna nelle città. Gli architetti della mia età vogliono tutti costruire edifici a
energia positiva, scollegati dalle reti energetiche tradizionali, e perciò dai combustibili fossili.
La mia professione di architetto mi ha permesso di fare proposte per uscire da questa logica
di crisi imposta. Alcuni dei vostri piani sembrano usciti da un film di fantascienza. Bisogna
immaginare futuri possibili e avere progetti entusiasmanti. Il crocevia di vincoli in cui viviamo
è in realtà favorevole al rinnovamento. Quindi io non ho esitato a lavorare su progetti
"manifesto" che possono sembrare utopici, ma che sono realizzabili tecnicamente ed
economicamente.
Come ad esempio Dragonfly (Libellula), una fattoria verticale a New York lungo l'East River.
Per questo prototipo di fattoria urbana gestita dai suoi stessi abitanti, abbiamo collaborato
con il MIT/Massachusetts Institute of Technology che era già ben avanzato sull'agricoltura
verticale. Abbiamo anche creato un progetto di isole galleggianti per i rifugiati climatici,
Lilypad.
Alla base di questi progetti, c'è il concetto di smart city ...
Una città intelligente deve essere auto-alimentata e a differenza di cio' che succedeva prima,
i rifiuti devono diventare risorse. Potremmo, ad esempio, riciclare i rifiuti delle aziende
agricole verticali in facciate fatte di acquari alimentati da bioreattori a base di alghe verdi quelle che troviamo sulle spiagge di Normandia e Bretagna – che trasformano i rifiuti organici
in biocarburante. Nella parte inferiore della torre, lagune di fitodepurazione garantirebbero il
riciclaggio di tutte le acque reflue dell'edificio, in stagni decorati da pesci e piante.
La pescicoltura permette sì di fornire pesce, ma anche di riciclare tutti i nutrienti contenuti
nelle loro deiezioni come concime naturale per le piante dei giardini pensili. Si tratta di creare
un'economia circolare in cui tutto si trasforma all'infinito. Dragonfly, per esempio, è la
giustapposizione di una torre di uffici con una torre - giardino di abitazioni. Di notte, il calore
- compreso quello dei data center – è reindirizzato verso gli alloggi. Spesso l'intelligenza della
città risiede semplicemente nella sua riprogrammazione.
Perchè tanta vegetazione?
E' un modo per combattere contro il forte calore urbano. Abbiamo notato, nell'ultima ondata
di caldo in Francia, che le temperature erano ancora più elevata nelle aree
urbane. Noi viviamo in ambienti grigi troppo impermeabili, bisognerebbe trasformarli in
città verdi permeabili. Una città in grado di assorbire l'acqua piovana e di bioclimatizzarsi
naturalmente. Per questo, dobbiamo limitare il numero di facciate minerali e sostituirle con
tetti e facciate verdi. Abbiamo anche in programma di tornare all'agricoltura urbana.
Potremmo produrre il 30% dell'agricoltura biologica consumata dai parigini. Siccome tutto è
inquinato, vogliamo recuperare siti agricoli.
Sarebbe un cibo più costoso?
Al contrario, eliminandole spese di trasporto e quelle di refrigerazione, riduciamo i costi. E' un
modo per invitare i cittadini a diventare protagonisti dell'economia locale e della solidarietà.
Con l'agricoltura urbana, proponiamo nuovi posti di lavoro che non esistono ancora.
Incrociando un architetto con un ingegnere agronomo, un orticoltore con un droghiere di
vendita al dettaglio. Dobbiamo abbattere le barriere tra le discipline esistenti.
Creare nuovi posti di lavoro un po' funambolici che prendano in considerazione i desideri
schizofrenici delle nostre società: essere “geek” [è un termine di origine anglosassone che
indica una persona eccentrica o non collocabile nella massa, con una forte passione o
esperienza nel campo tecnologico-digitale o in un altro speciale campo di interesse, che lo
porta a essere percepito come troppo intellettuale (da Wikipedia)], ma anche arrampicarsi
sugli alberi.
(da Bio@gricoltura Notizie di AIAB – dicembre 2015)
RENZI, UN ANNO DI
LEGGI SALVA-EVASORI.
COSÌ SI ALZA LA SOGLIA
DI “ILLEGALITÀ
CONSENTITA”.
A CACCIA DI NUOVI
VOTI PER IL PD
"Il fatto non è più previsto come reato". Così nel 2015 sono usciti indenni dai
processi manager e imprenditori, come l'ex patron di Emmelunga, l'ex ad di Sisal,
l'ex consigliere delegato di Ilva... E persino lo showman Luca Laurenti. Grazie a una
serie di provvedimenti del governo che depenalizzano l'abuso del diritto, alzano le
soglie di punibilità e ampliano la zona grigia delle irregolarità consentite. "Meglio
incassare subito le sanzioni", argomenta il presidente del consiglio. "Una mano tesa
ai potenziali nuovi elettori", replicano i critici. Tra cui Economist e Financial Times.
§§§
La prima condanna è stata annullata il giorno stesso dell’entrata in vigore delle nuove norme,
l’1 ottobre. “Il fatto non è più previsto dalla legge come reato”, ha sancito la Cassazione
mandando assolto un imprenditore che in appello si era visto invece confermare un anno di
carcere per dichiarazione infedele. Uno dei decreti attuativi della delega fiscale, varato
durante l’estate dal governo Renzi, stabilisce infatti che chi aggira il fisco con operazioni
mirate solo a pagare meno tasse rischia al massimo una multa.
E’ la filosofia che sta alla base di diversi provvedimenti su fisco ed evasione adottati
dall’esecutivo guidato dal leader PD. Come la depenalizzazione della dichiarazione
infedele sotto i 150mila euro (prima con 50mila si rischiava il carcere) e di
quella fraudolenta “mediante altri artifici”, non più reato se vengono sottratti al fisco meno di
1,5 milioni (la soglia precedente era di 1 milione): meglio badare al sodo, cioè a incassare le
somme evase. Secondo i critici, un modo per strizzare l’occhio a imprenditori, liberi
professionisti e commercianti e ampliare il bacino elettorale del Pd renziano.
Resta da vedere se ampliare la zona grigia delle irregolarità “tollerate” sia la strategia giusta
in un Paese con 122 miliardi di evasione annua stimata sui circa 1000 dell’intera UE, e
meno di 200 persone condannate in via definitiva per reati fiscali. Ma a dirlo sarà il confronto
tra i 14,2 miliardi recuperati dall’Erario nel 2014 e i risultati di quest’anno e dei prossimi. Di
sicuro, per ora, c’è che a un anno dalle polemiche sulla prima versione del decreto
sull’abuso del diritto (quello che sanava evasione e frode fiscale se limitate a somme
inferiori al 3% dell’imponibile) le nuove norme varate nel frattempo da Palazzo Chigi e
via XX Settembre hanno salvato dal carcere molti evasori.
Anche eccellenti. IlFattoQuotidiano.it ha fatto un primo bilancio, per forza di cose
provvisorio, e ha chiesto ad alcuni addetti ai lavori un giudizio sulle scelte dell’esecutivo e una
“diagnosi” sulle motivazioni di fondo: rimpinguare le casse dello Stato o guadagnare il
consenso di alcune categorie di elettori? Intanto, la lista dei provvedimenti borderline si
allunga di giorno in giorno: ora è in fase di approvazione un decreto che toglie rilevanza
penale alla violazione delle norme antiriciclaggio da parte degli intermediari
finanziari.
E le bordate non arrivano solo dalle opposizioni ma anche dalla crème della stampa finanziaria
internazionale, particolarmente critica per esempio nei confronti dell’innalzamento da mille
a 3mila euro del tetto all’uso del contante. “L’immensa economia sommersa dell’Italia
rimane uno dei fardelli più pesanti per il Paese e nulla di buono potrà arrivare da una misura
che serve solo a peggiorare il problema”, è stato il verdetto del Financial Times.
(da IlFattoQuotidiano.it – dicembre 2015)
LE CRISI BANCARIE E LA SOLIDITA' DI BANCA ETICA
Basse sofferenze e indici di patrimonializzazione in linea con
il mercato. Con delle caratteristiche uniche: trasparenza,
partecipazione, niente bonus ai manager, valutazione
sociale dei crediti, niente incentivi per vendere determinati
prodotti. Una banca diversa, che comunque gode delle
tutele previste per tutte le altre...
Leggi QUI tutto l’articolo
FINANZA ETICA CONTRO GUERRA ED ARMI
Abbiamo pubblicato due riflessioni sul ruolo della finanza
nell'attuale scenario di guerra, e sull'importanza delle
nostre scelte per fermare questa spirale di violenza:
 leggi l’editoriale di Nicoletta Dentico:
"Banca Etica ripudia le guerra e la violenza"
 e quello di Ugo Biggeri:
"Per fermare l'economia del terrore"
(da BancaNote News di Banca
Etica – dicembre 2015)
Slow Food – nell’augurare a tutti un prospero Anno Nuovo, ci
propone una semplice scheda con alcuni utili consigli da seguire
per un migliore 2016: ** scaricatela cliccando QUI
Leggiamo dal Brasile:
Rio Doce: un fiume tossico alimenta le comunità
da Slow Food– dicembre 2015
Cellulari: le regole per non andare...a farci
friggere!
Nel 2014 in Italia sono stati venduti 25 milioni di device
mobili tra smartphone, tablet e cellulari tradizionali.
Nel 2013 il 97% degli over 16 aveva un telefonino, e la
maggior parte ci sta attaccata giorno e notte.
Con effetti per la salute che possono essere devastanti.
§§§
La ripresa dei consumi è
comprate il meno possibile
una
sciagura,
Si odono cori di ripresa, c’è la micro crescita, finalmente
i consumi stanno riprendendo e quindi fanfare di gloria
per l’Italia che riparte e riprende a correre. Ma veramente
c’è di che gioire di fronte a tutto questo comprare?
(da Il Cambiamento – dicembre 2015)
JUNIOR VOLEVA ESSERE UN BAMBINO
di Margherita Bo
Quanto costa il vostro smartphone? Badate bene,
non mi riferisco a quanto lo paghiamo, che quello lo
sappiamo tutti, parlo del suo costo umano,
dell’impatto che la sua produzione ha sulla vita degli
altri.
Rispondere a questa domanda è un po’ più
complesso e richiede di risalire di qualche gradino la
catena produttiva. Su fino agli stabilimenti Apple in Cina ad esempio, quelli che persino
l’oramai leggendario Steve Jobs rifiutò di visitare o ancora più su, fino alla Repubblica
Democratica del Congo. Il Congo è un paese enorme, grande quanto tutta l’Europa
Occidentale, ed estremamente generoso: vi si trovano tutti i minerali conosciuti in natura, tra
cui l’80 per cento del coltan estratto nel mondo.
Il coltan è una sabbia nera leggermente radioattiva essenziale per la produzione di
dispositivi high-tech come i nostri smartphone. L’estrazione del coltan è concentrata nella
regione di Kivu, all’estremo est del Congo, di gran lunga la regione più ricca di risorse del
paese, ma anche la più povera nonché la più tormentata da oltre vent’anni di guerre volte ad
accaparrarsi le sue immense ricchezze.
L’area, lontana dalla capitale Kinshasa al punto da essere nei fatti terra di nessuno, è
controllata da fazioni di guerriglieri che, terrorizzando e trucidando la popolazione, hanno
assunto il monopolio di queste preziosissime risorse. È il caso delle principali miniere di coltan
dell’area, Bisiye e Walikale, controllate del Fdlr (Forces Démocratiques pour la Libération du
Rwanda).
In queste miniere, che sono buchi nella terra nei quali i minatori (spesso bambini) si calano
per scavare, i guerriglieri richiedono una tangente sul coltan raccolto, che andrà a finanziare le
armi necessarie alla guerra. In seguito questo viene trasportato nelle città di Rubaya o Goma
e
da
qui
parte
per
il Ruanda,
dove
finalmente
viene
acquistato
dalle
principali multinazionali del settore high-tech.
Il fatto che venga acquistato in Ruanda e non in Congo, tra l’altro, non è casuale: è in Ruanda
che avviene la prima transazione ufficiale e tracciata del materiale, il primo passaggio “pulito”.
Il fatto di trasportare il coltan dal Congo al Ruanda infatti serve proprio a questo: “ripulire” il
materiale, sfumare il legame tra il coltan (e quindi i nostri telefoni) e le guerre, i soprusi, lo
sfruttamento legati alla sua estrazione. Peccato solo che in Ruanda non vi siano giacimenti
del materiale, rendendo tale manovra goffa e sfacciata al punto da risultare crudele.
È proprio qui che sta il principale dramma legato al coltan: proviene
quasi tutto da un paese soltanto, con la conseguenza che con volontà e
impegno sarebbe possibile pretendere e garantire una sua tracciabilità.
Con il Kimberley Process è stato possibile regolamentare il commercio
dei diamanti per evitare che questi finanzino la guerra. Con il coltan
dovrebbe essere più semplice e invece gli interessi di signori della guerra
e multinazionali possono agire indisturbati, cullati dal silenzio dei media,
mentre il sangue versato per il suo controllo viene attribuito a guerre
tribali, un problema loro, che non ci tocca, non ci riguarda.
Da qualche settimana per me il costo umano di uno smartphone ha un
nome e un volto: si chiama Junior e ho avuto il privilegio di incontrarlo
presso il Centro Studi Sereno Regis di Torino in occasione della
presentazione del suo libro “Si ma vie d’enfant soldat pouvait être
racontée”…. (continua QUI la lettura dell’articolo)
(da comune.info – dicembre 2015)
NO AI BREVETTI SULLE PIANTE!
Il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si chiede di vietare i
brevetti di piante ottenute tramite la tradizionale selezione vegetale.
I deputati ricordano che la selezione vegetale è un processo innovativo praticato dagli
agricoltori e dalle comunità agricole sin dalla nascita dell’agricoltura. Inoltre, ritengono che
l’accesso al materiale biologico sia essenziale per stimolare l’innovazione e lo sviluppo di
nuove varietà, al fine di garantire la sicurezza alimentare a livello globale, far fronte ai
cambiamenti climatici e impedire la nascita di monopoli.
I deputati, sorpresi dalla decisione dell’Ufficio europeo brevetti di concedere brevetti su tali
prodotti, chiedono alla Commissione di chiarire con urgenza le norme UE esistenti e di tutelare
l’accesso dei produttori al materiale biologico.
La risoluzione, approvata con 413 voti favorevoli, 86 voti contrari e 28 astensioni, stabilisce
che i prodotti ottenuti dai procedimenti essenzialmente biologici, come piante, sementi,
caratteristiche autoctone e geni, dovrebbero quindi essere esclusi dalla brevettabilità. Già nel
2012 il Parlamento aveva posto diversi vincoli alla brevettabilità di “procedimenti
essenzialmente biologici” andando verso un sostanziale divieto di brevettabilità di varietà,
accessioni ed ecotipi tradizionali. La brevettabilità limita la libertà dei piccoli agricoltori,
pertanto Slow Food accoglie con favore la direzione presa dal Parlamento.
***Leggi QUI il documento di posizione Slow Food sui semi.
§§§
ALLA SCOPERTA DI FORNO DI ZOLDO
Solcata dal Maè, affluente di destra del Piave,
la Zoldana è un’affascinante valle dolomitica,
meta di turismo invernale (oltre 80 chilometri
di piste da sci) ed estivo (escursioni e ascese
ai monti Civetta, Pelmo, Pramper).
Ma, perlomeno alle quote meno elevate, è
godibile anche nelle mezze stagioni. Buona
base di partenza per passeggiate adatte a tutti
e luogo di soggiorno rilassante è Forno di
Zoldo, comune ad altitudini variabili dai 600 ai
2500 metri (il capoluogo è a quota 848),
compreso in parte nel Parco Nazionale delle
Dolomiti Bellunesi.
Il toponimo riflette la presenza antica di forni fusori del ferro a sostegno di un’attività
mineraria fiorente per secoli e oggi abbandonata; eredità tuttora viva del passato è invece
l’artigianato dei gelati, frutto di un’emigrazione stagionale che, prima in forma ambulante e
poi in sede fissa, ha “colonizzato” molte regioni italiane e del resto d’Europa.
Risalendo la valle da Longarone, tra bei panorami, boschi di larici, faggi, abeti e i tipici tabià
– stalle o fienili ora in gran parte convertiti a pittoresche abitazioni –, poco prima della galleria
sulla strada per Forno troverete la Trattoria Insonnia, un’istituzione sia per i locali sia per i
turisti. Sarete accolti in una grande sala o nella più intima stanzetta del fogher o fogolar,
che qui si chiama anche larin: termine di derivazione latina e forse prima ancora etrusca, a
significare la centralità e sacralità di questo luogo della casa sul quale secondo i Romani
vegliavano i Lari, gli spiriti degli antenati.
Da L’Insonnia non si devono ordinare i piatti: il menù è fisso e le portate si susseguono
d’ufficio. Comincerete con insalate di cavolo verza e di fagioli. Intanto il carrello dove
campeggia l’enorme tagliere con la polenta inizierà il giro tra i tavoli: non vi sarà portato il
pane e dovrete accompagnare tutto con la polenta, ottima e abbondante.
Quindi, in rapida sequenza, ecco lo spezzatino, il pastin (salsiccia di maiale e manzo cotta
con vino e spezie), il muset (così si chiama il cotechino anche nel vicino Friuli), il formaggio
fritto servito direttamente dalla padella e con una porzione “minima” rappresentata da un
quarto della forma… Intanto la polenta continuerà a girare fra i tavoli, come pure il resto, di
cui vi saranno proposti bis e tris.
Si beve vino locale sfuso e si conclude con un gelato e l’immancabile grappa. Il conto è di 20
euro, l’accoglienza genuina e i sapori schietti sono in grado di farci ritornare alle radici.
Essendo il locale molto frequentato vi raccomandiamo di prenotare per tempo e, date le
porzioni generose, di avvicinarvi a questa esperienza con buon appetito.
(Carlo Petrini in Slow Food – dicembre 2015)
Oceani di microplastica: ce n'è molta di più di
quanto si credesse fino a ora
§§§
Oddball, il coraggioso pastore maremmanno
che ha salvato una colonia di piccoli pinguini
– (guarda QUI il videotrailer da You Tube)
(da Greenme.it – dicembre 2015)
L’ALBERO MARCIO DELLA FINANZA
C’è un piccolo paese dell’entroterra toscano, in cui
un’intera comunità di trecento famiglie si è
trovata in una notte con i risparmi di una vita
totalmente azzerati. E con la drammatica scoperta
che quel funzionario di quell’unica banca che
incontravano tutti i giorni – che nella comunità locale
era uno dei punti di riferimento cui affidarsi – li aveva
coinvolti in un giro di investimenti ad alto rischio, finito nel peggiore dei modi.
Naturalmente, quel funzionario non era diventato improvvisamente malvagio: stava solo
cercando di eseguire al meglio il suo lavoro, essendo, ormai da anni, la sua efficienza
contrattualmente misurata in base a quanti prodotti finanziari aveva collocato presso i
propri concittadini.
Vero è che fino al 2009, quando una banca
proponeva ad un cittadino un investimento in
obbligazioni subordinate, aveva l’obbligo di
comunicare gli scenari probabilistici dello stesso.
Ma sono arrivati gli anni della crisi, e il mandato di
Bankitalia ad una forte ricapitalizzazione delle banche ha
spinto queste ultime, data la fuga dei classici investitori
istituzionali, ad inondare i cittadini di prodotti
finanziari: ed ecco allora la Consob eliminare prima
l’obbligo di comunicazione degli scenari probabilistici, poi,
dal 2011, persino la comunicazione facoltativa degli stessi.
Solo per fare un esempio, ai cittadini che hanno investito in obbligazioni subordinate
della Banca dell’Etruria e del Lazio nell’ottobre 2013, nessuno ha comunicato una
probabilità pari al 62,7 per cento di perdere la metà del capitale. E, naturalmente,
quanto prescritto dalla normativa europea in merito alla “profilatura del cliente”, ovvero alla
sua conoscenza e propensione agli investimenti finanziari, è stato facilmente aggirato,
facendo risultare, nell’ultimo caso delle banche coinvolte, il 75 per cento dei cittadini come
grandi conoscitori degli strumenti finanziari.
Il via libera alle banche verso la spoliazione dei cittadini ha fatto da specchio alle
contestuali gestioni del credito da parte delle stesse, che, in molti casi, le ha portate
al fallimento. Come sempre, ad ogni scoppio del bubbone, la prima reazione a tutti i livelli
è lo scarico delle responsabilità verso l’anello superiore od inferiore della catena, a cui segue
una levata di scudi generale in direzione di drastiche misure affinché non accada mai più.
Fino all’ormai classica conclusione in cui il nuovo scandalo viene riclassificato nella categoria
di ”mela marcia in albero sano”.
Che le cose non stiano affatto così ce lo dicono i dati: in questi ultimi sette anni sono
oltre 35 i miliardi fatti investire ai cittadini in obbligazioni subordinate e, mentre le
quattro banche, ormai famose, vengono salvate dai provvedimenti governativi, sono
ad oggi altre 12 quelle commissariate per gli stessi motivi.
Per farsi un’idea di cosa sia strutturalmente diventata l’attività di gestione del risparmio, basti
vedere cosa scrive Consob (procedimento 20638/14) in merito all’attività di Poste Italiane,
ovvero la società a cui si rivolge la parte più semplice dei risparmiatori: “vendite di prodotti
in conflitto di interesse con la rete BancoPosta, strutture commerciali pressate per raccogliere
volumi e incentivi legati al budget, forme di marketing scorrette, poche e ottimistiche
profilazioni di clienti che permettevano al 74,5 per cento di essi di sottoscrivere strumenti
complessi (come le opzioni certificates su sottostanti cartolarizzati)”.
Siamo dunque di fronte ad una crisi di “sistema”, che, aldilà delle situazioni specifiche,
può essere affrontata solo con proposte sistemiche. La prima delle quali non può che essere
una legge che sancisca la netta separazione tra banche commerciali e banche
d’investimento (finanza), avviata con un immediato provvedimento di divieto totale di
vendita di prodotti finanziari agli sportelli; in secondo luogo, occorre una drastica inversione
di rotta sulla trasformazione delle banche popolari in SpA ed una loro reale riforma,
che ne sancisca la territorialità, attraverso la gestione partecipativa dei lavoratori e
delle comunità locali.
Il terzo filone non può che riguardare l’inversione di rotta sulla privatizzazione di Poste
italiane e sulla trasformazione di Cassa Depositi e Prestiti, da avviare con la
separazione, e relativa immissione in un circuito pubblico, partecipativo e sociale, del
risparmio postale; in quarto luogo, provvedimenti in favore del risparmio etico e della
diffusione di tutte le esperienze, anche autorganizzate, che vanno in quella
direzione. Perché o si mettono in campo con la mobilitazione diffusa misure che disegnano
un’altra società basata sulla mutualità cooperante, o niente e nessuno ci salverà da un
modello che ci vuole tutte e tutti immersi nella solitudine competitiva.
(da comune.info – dicembre 2015)
La Cooperativa El Tamiso
Augura a tutti gli Amici, Simpatizzanti, Clienti,
Famigliari, Soci, Fornitori, e a quanti hanno piacere – e
pazienza - di leggerci
un sereno e prospero 2016 !!