Responsabilità e Contributi del T.S.R.M. - TSRM Torino

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Responsabilità e Contributi del T.S.R.M. - TSRM Torino
Master Universitario di I livello in Professioni Sanitarie Forensi:
responsabilità e implicazioni
Ed. I a.a. 2009/2010
Università degli Studi di Torino - Facoltà di Medicina e Chirurgia
RISCHIO E SICUREZZA IN AREA RADIOLOGICA:
RESPONSABILITA' E CONTRIBUTI DEL T.S.R.M.
Studente: Marisa Desogus
Tutor Accademico: Prof. Claudio Cardellini
Tutor Aziendale: Dott. Franco Viazzi
DIRETTORE DEL MASTER Prof. Claudio Cardellini
INDICE
INTRODUZIONE
pag. 2
CAPITOLO 1
CONCETTI GENERALI DI RISCHIO E RISCHIO IN SANITA’
pag. 11
CAPITOLO 2
IL RISCHIO IN RADIOLOGIA
pag. 18
2.1 Evidenza scientifica: esposizione alla radiazione medica
ed i suoi effetti
pag. 21
2.2 Esposizione alla radiazione medica in TC:
Evidenze scientifiche e riflessioni
pag. 31
CAPITOLO 3
LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO IN RADIOLOGIA
pag. 37
CAPITOLO 4
PROPOSTE PER RIDURRE IL RISCHIO IN RADIOLOGIA
pag. 48
CONCLUSIONI
pag. 53
BIBLIOGRAFIA
pag. 55
SITOGRAFIA
pag. 56
1
INTRODUZIONE
L’impiego delle radiazioni ionizzanti, in medicina, costituisce la fonte
principale di esposizione della popolazione a sorgenti artificiali ed è in continuo
aumento in Italia così come in tutti i Paesi con un elevato grado di assistenza
sanitaria.
Si è assistito, nel corso degli anni, ad un graduale ammodernamento delle
apparecchiature, ad un'evoluzione nelle tecniche d’indagine ed alla diffusione di
macchinari sempre più sofisticati come la Tomografia Computerizzata (TC), la
Radiologia Interventistica, la Tomografia ad emissione di positroni (PET): tutte
metodiche che comportano l’utilizzo di alti valori di dose per le persone esposte.
Nella società attuale, i media quotidianamente non mancano di riferire di
episodi più o meno gravi di cosiddetta “malasanità”, di danni più o meno gravi
che i medici ed i professionisti sanitari in generale, direttamente o
indirettamente hanno procurato ai pazienti; dell’assurda lunghezza delle liste di
attesa; della spesa sanitaria che pesa sempre di più.
Questi esempi credo rendano piuttosto bene l’idea di un’organizzazione
sanitaria in crisi che, per vari motivi, come ad esempio l’iperconsumismo dei
“generi sanitari”, da un lato non riesce a far fronte alla domanda di salute della
popolazione, dall’altro aumenta paradossalmente le possibilità di recare
qualche danno alla salute dei cittadini.
Inoltre, oltre all’innalzamento dei costi per il continuo ricorso all’innovazione,
la sanità dei Paesi industrializzati si caratterizza anche per l’alto tasso di
iatrogenicità
sociale;
pertanto
direi
che
la
sanità
sta
diventando
economicamente, ecologicamente e socialmente insostenibile.
E’ proprio in questo contesto che si inserisce l’imaging diagnostico, con il suo
alto contributo in termini di continuo innalzamento dei costi legato alla crescita
della domanda di prestazioni ed anche all’elevato ritmo di obsolescenza delle
varie strumentazioni.
2
Ancora più preoccupante è che il costo dell’innovazione tecnologica oltre a
non essere giustificato dai benefici clinici spesso sempre più marginali, si
associa anche ad un progressivo aumento dei rischi sociali.
In questo caso specifico, si tratta soprattutto del fenomeno del forte aumento
dell’esposizione della popolazione occidentale alle radiazioni ionizzanti
artificiali,
agenti cancerogeni di classe I (IARC), a causa dell’elevata diffusione degli
esami radiologici e scintigrafici.
Gli effetti indesiderati dei raggi x sono emersi a distanza di pochi mesi dalla
loro scoperta (1895) e già nei primi anni del 1900 si era a conoscenza che le
radiazioni potevano indurre la leucemia.
In passato però, esisteva solo la certezza dei rischi ad alte dosi; ma con il
passare degli anni sono apparsi a mano, a mano numerosi articoli
(specialmente negli ultimi 30 anni) che lanciavano un chiaro segnale di allarme
sui rischi da radiazione per i pazienti sottoposti ad esami a basse dosi, di
pertinenza della radiologia diagnostica.
Gli argomenti sui quali si fondano i molteplici studi effettuati a riguardo sono:
 oltre 100.000 giapponesi sopravvissuti allo scoppio della “A-bomb” sono
stati studiati per oltre 60 anni e i dati sui rischi da bassa dose (35.000
individui esposti) quest’oggi sono acquisiti direttamente, senza bisogno
di teorie o varie estrapolazioni;
 alla luce di tali elementi ci sarebbe un piccolo, ma significativo, rischio individuale di eccesso di neoplasie, durante il corso della vita, nei soggetti
irradiati alle dosi comunemente impiegate, per esempio, con la TC;
 i bambini risulterebbero più sensibili alle radiazioni rispetto ad un adulto
di età media secondo un fattore 10 e le femmine sarebbero più sensibili
dei maschi secondo un fattore 2.
Dalla ricerca sulla “A-bomb” emerge pertanto, un risultato basilare, che
contraddice quanti sostenevano che non fosse provato l’effetto carcino-genetico
delle radiazioni utilizzate in radiodiagnostica.
3
Nel 2000, la TC rappresentava il 5% dell’imaging da radiazioni, ma
determinava il 40% della dose.
L’evoluzione tecnologica ha determinato un rapido aumento del numero delle
indagini eseguite.
L’aumento delle TC “multistrato” ha poi, complicato lo scenario: la tecnica
utilizzata rischia di determinare un ulteriore aumento dell’irradiazione sia per la
possibilità di eseguire scansioni di aree anatomiche molto ampie a strato sottile
(con il conseguente abuso), sia per la possibilità di eseguire esami multifase.
In Italia la radioprotezione è regolamentata con il D.lgs n.187 del 2000, nello
specifico:
“Art. 3.-Principio di giustificazione
1. E' vietata l'esposizione non giustificata.
2. Le esposizioni mediche di cui all'articolo 1, comma 2, devono mostrare di
essere sufficientemente efficaci mediante la valutazione dei potenziali vantaggi
diagnostici o terapeutici complessivi da esse prodotti, inclusi i benefici diretti per
la salute della persona e della collettività, rispetto al danno alla persona che
l'esposizione potrebbe causare, tenendo conto dell'efficacia, dei vantaggi e dei
rischi di tecniche alternative disponibili, che si propongono lo stesso obiettivo,
ma che non comportano un'esposizione, ovvero comportano una minore
esposizione alle radiazioni ionizzanti. In particolare:
a) tutti i nuovi tipi di pratiche che comportano esposizioni mediche devono
essere giustificate preliminarmente prima di essere generalmente adottate;
b) i tipi di pratiche esistenti che comportano esposizioni mediche possono
essere riveduti ogni qualvolta vengano acquisite prove nuove e rilevanti
circa la loro efficacia o le loro conseguenze;
c) il processo di giustificazione preliminare e di revisione delle pratiche deve
svolgersi nell'ambito dell'attività professionale specialistica tenendo conto
dei risultati della ricerca scientifica.
3. Il Ministero della sanità' può vietare, sentito il Consiglio Superiore di Sanità, tipi
di esposizioni mediche non giustificate.
4. Tutte
le
esposizioni
mediche
individuali
devono
essere
giustificate
preliminarmente, tenendo conto degli obiettivi specifici dell'esposizione e delle
4
caratteristiche della persona interessata. Se un tipo di pratica che comporta
un'esposizione medica non e' giustificata in generale, può essere giustificata
invece per il singolo individuo in circostanze da valutare caso per caso.
5. Il prescrivente e lo specialista, per evitare esposizioni non necessarie, si
avvalgono delle informazioni acquisite o si assicurano di non essere in grado di
procurarsi precedenti informazioni diagnostiche o documentazione medica
pertinenti alla prevista esposizione.
6. Le esposizioni mediche per la ricerca clinica e biomedica sono valutate dal
Comitato etico istituito ai sensi della norme vigenti.
7. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), che non presentano un
beneficio diretto per la salute delle persone esposte, devono essere giustificate
in modo particolare e devono essere effettuate secondo le indicazioni di cui
all'articolo 4, comma 6.
8. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, devono mostrare di essere
sufficientemente efficaci per la salute del paziente, tenendo conto dei vantaggi
diretti, dei vantaggi per le persone di cui all'articolo 1, comma 3, nonché del
danno che l'esposizione potrebbe causare; le relative giustificazioni e i relativi
vincoli di dose sono quelli indicati nell'allegato I, parte I.
9. Le esposizioni di cui all'articolo 1, comma 3, sono vietate nei confronti dei
minori di 18 anni e delle donne con gravidanza in atto.
Art. 4- Principio di ottimizzazione
1. Tutte le dosi dovute a esposizioni mediche per scopi radiologici di cui all'articolo
1, comma 2, ad eccezione delle procedure radioterapeutiche, devono essere
mantenute al livello più basso ragionevolmente ottenibile e compatibile con il
raggiungimento dell'informazione diagnostica richiesta, tenendo conto di fattori
economici e sociali; il principio di ottimizzazione riguarda la scelta delle
attrezzature, la produzione adeguata di un'informazione diagnostica appropriata
o del risultato terapeutico, la delega degli aspetti pratici, nonché i programmi
per la garanzia di qualità, inclusi il controllo della qualità, l'esame e la
valutazione delle dosi o delle attività somministrate al paziente.
2. Per tutte le esposizioni mediche a scopo terapeutico di cui all'articolo 1, comma
2, lettera a), lo specialista deve programmare individualmente l'esposizione dei
volumi bersaglio tenendo conto che le dosi a volumi e tessuti non bersaglio
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devono essere le più basse ragionevolmente ottenibili e compatibili con il fine
radioterapeutico perseguita con l'esposizione.
3. Ai fini dell'ottimizzazione dell'esecuzione degli esami radiodiagnostici si deve
tenere conto dei livelli diagnostici di riferimento (LDR) secondo le linee guida
indicate nell'allegato II.
4. Le procedure di giustificazione e di ottimizzazione della ricerca scientifica
comportante esposizioni a radiazioni ionizzanti di cui all'articolo 1, comma 2,
lettera d), si conformano a quanto previsto nell'allegato III. Nei casi in cui i
programmi di ricerca non siano suscettibili di produrre benefici diretti sulla
persona esposta, si applicano comunque le disposizioni di cui all'articolo 99 del
decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 230.
5. In deroga a quanto stabilito al comma 4, nel caso di pazienti che accettano
volontariamente di sottoporsi a trattamento sperimentale terapeutico o
diagnostico e che si aspettano di ricevere un beneficio terapeutico o
diagnostico da tale trattamento, lo specialista programma su base individuale i
livelli massimi delle dosi.
6. Particolare attenzione deve essere posta a che la dose derivante da
esposizione medico-legale di cui all'articolo 1, comma 2, lettera e), sia
mantenuta al livello più basso ragionevolmente ottenibile.
7. Le procedure di ottimizzazione e i vincoli di dose per le esposizioni di cui
all'articolo 1, comma 3, di soggetti che coscientemente e volontariamente
collaborano, al di fuori della loro occupazione, all'assistenza ed al conforto di
pazienti sottoposti a diagnosi o, se del caso, a terapia, sono quelli indicati
nell'allegato I, parte II.
8. Nel caso di un paziente sottoposto ad un trattamento o ad una diagnosi con
radionuclidi, se del caso, il medico nucleare o il radioterapista fornisce al
paziente stesso o al suo tutore legale istruzioni scritte volte a ridurre, per
quanto ragionevolmente conseguibile, le dosi per le persone in diretto contatto
con il paziente, nonché le informazioni sui rischi delle radiazioni ionizzanti. Tali
istruzioni sono impartite prima di lasciare la struttura sanitaria.
9. Per quanto riguarda l'attività dei radionuclidi presenti nel paziente all'atto
dell'eventuale
dimissione
da
strutture
protette,
si
applica,
in
attesa
dell'emanazione del decreto previsto dall'articolo n.105, comma 1, del decreto
legislativo 17 marzo 1995, n. 230, quanto previsto nell'allegato I, parte II”.
6
La Società italiana per la Radiologia Medica (SIRM) fornisce anch'essa il
proprio contributo sottolineando con forza la necessità della condivisione delle
Linee guida con i medici prescrittori, nonché la promozione del principio di
“giustificazione clinica” delle prestazioni, ma sembra che molto debba essere
ancora fatto per ridurre la dose negli esami soprattutto di Tomografia
Computerizzata.
E’ ovvio pertanto che trattare di appropriatezza è questione di tutti: medici ,
medici di cure primarie, medici radiologi, tecnici di radiologia medica e pazienti
che devono conoscere gli effetti dell’esposizione sulla loro salute.
Il Codice di deontologia medica 15/06/2009 recita:
- CAPO IV- Accertamenti diagnostici e trattamenti terapeutici
- Art. 13 - Prescrizione e trattamento terapeutico
“La prescrizione di un accertamento diagnostico e/o di una terapia impegna
la diretta responsabilità professionale ed etica del medico e non può che far
seguito a una diagnosi circostanziata o, quantomeno, a un fondato sospetto
diagnostico.
Su
tale
presupposto
al
medico
è
riconosciuta
autonomia
nella
programmazione, nella scelta e nella applicazione di ogni presidio diagnostico e
terapeutico, anche in regime di ricovero, fatta salva la libertà del paziente di
rifiutarle e di assumersi la responsabilità del rifiuto stesso.
Le prescrizioni e i trattamenti devono essere ispirati ad aggiornate e
sperimentate acquisizioni scientifiche tenuto conto dell'uso appropriato delle
risorse, sempre perseguendo il beneficio del paziente secondo criteri di equità.
Il medico è tenuto a una adeguata conoscenza (OMISSIS) delle
caratteristiche di impiego dei mezzi diagnostici e terapeutici e deve adeguare,
nell'interesse del paziente, le sue decisioni ai dati scientifici accreditati o alle
evidenze metodo- logicamente fondate. Sono vietate l'adozione e la diffusione
di terapie e di presidi diagnostici non provati scientificamente o non supportati
da adeguata sperimentazione e documentazione clinico-scientifica, nonché di
terapie segrete.
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In nessun caso il medico dovrà accedere a richieste del paziente in contrasto
con i principi di scienza e coscienza allo scopo di compiacerlo, sottraendolo alle
sperimentate ed efficaci cure disponibili (OMISSIS)”
Art. 16 - Accanimento diagnostico-terapeutico
“Il medico, anche tenendo conto delle volontà del paziente laddove espresse,
deve astenersi dall'ostinazione in trattamenti diagnostici e terapeutici da cui non
si possa fondatamente attendere un beneficio per la salute del malato e/o un
miglioramento della qualità della vita”.
Quest’oggi riguardo gli indici di appropriatezza e l’incidenza della radioesposizione,
c’è
un’impressionante
carenza
di
comunicazione
infatti,
l’invadenza della tecnologia rischia d’impoverire sempre di più la cultura clinica
dei medici e soprattutto d’inaridire la relazione tra medico e paziente.
Il Codice di deontologia medica 15/06/2009 recita:
- TITOLO III-RAPPORTI CON IL CITTADINO
- CAPO IV - Informazione e consenso
Art. 33 - Informazione al cittadino
“Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi,
sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnosticoterapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate.
Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità
di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte
decisionali e l'adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere
soddisfatta.
Il medico deve, altresì soddisfare le richieste di informazione del cittadino in
tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali
da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere
fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza
escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di
delegare ad altro soggetto l'informazione deve essere rispettata”.
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E’ necessario perciò recuperare questo “pezzo” del puzzle mancante,
mediante l’informazione del cittadino, perché il “tradurre” e “mediare” nei
confronti del paziente diventa compito specifico del professionista sanitario.
La carta vincente è la cultura dell’apertura, della comunicazione e della
collaborazione multidisciplinare e paziente, affinché si affermi sempre più la
capacità di gestione del rischio e di promozione della salute.
A dimostrazione della suddetta affermazione è significativo il
Codice
Deontologico del T.S.R.M. (26 Luglio 2008) che recita:
- “punto 3 - Rapporti con la persona
3.1 Ridurre la persona ad una patologia, un numero od un segmento corporeo
è lesivo della sua dignità personale e sociale. Pertanto, il T.S.R.M si rivolge ad
essa utilizzandone nome e cognome personalizzando la dinamica relazionale.
Tale atteggiamento assume particolare rilievo nei confronti dei soggetti di età
pediatrica.
3.2 Il T.S.R.M. è al servizio della persona. Con essa si impegna ad instaurare
una relazione tenendo in considerazione le variabili fisiche, psichiche e sociali.
A tal fine, il T.S.R.M. attribuisce una particolare importanza all’ascolto,
attraverso il quale è possibile raccogliere informazioni e dati utili alla
realizzazione di atti sanitari di qualità appropriata.
3.4 Il T.S.R.M. contribuisce all’educazione terapeutica necessaria a rendere la
persona capace di partecipare consapevolmente alle decisioni che riguardano
la sua salute. Per lo stesso fine, il T.S.R.M. garantisce un’informazione
qualificata, obiettiva e completa, in particolar modo sugli aspetti tecnologici e
tecnici del processo. (OMISSIS)
3.5 Il T.S.R.M. fornisce informazioni su tecnologie, tecniche, aspetti radioprotezionistici delle attività radiologiche e, se adeguatamente preparato, su
mezzi di contrasto e radiofarmaci; per ciò che non è di sua competenza,
indicherà l’interlocutore più qualificato a farlo.
3.6 Al fine di adottare la procedura tecnica più appropriata e garantire
prestazioni professionali di qualità, il T.S.R.M. raccoglie informazioni e dati
attraverso un’attenta e specifica attività anamnestica”.(OMISSIS)
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3.10 l T.S.R.M. è consapevole che il consenso ad una prestazione sanitaria è
un diritto di ogni cittadino costituzionalmente tutelato. Si adopera pertanto a
garantire che la persona, debitamente informato, possa giungere ad
un'accettazione libera e consapevole della prestazione propostagli. Ritiene
contrario a tale impostazione il ricorso puramente formale alla sottoscrizione di
moduli predisposti. Il T.S.R.M. considera il consenso informato un atto di
concreta partecipazione alle attività sanitarie e ne contrasta l’uso ai soli fini
medico-legali”.
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CAPITOLO 1
CONCETTI GENERALI DI RISCHIO E RISCHIO IN SANITÀ
In questi ultimi anni è stata prestata attenzione sempre più ai rischi connessi
all’esercizio delle professioni sanitarie.
L’efficienza e l’efficacia delle prestazioni del nuovo secolo non sono
sufficienti per garantire un' adeguata qualità delle cure ai cittadini che chiedono
sempre di più dei servizi “sicuri”.
Normalmente quando si parla di “sicurezza” in un’organizzazione si pensa
immediatamente al Decreto Legislativo n. 81/00 Testo Unico coordinato con il
Decreto Legislativo 3 agosto 2009, n. 106 (in materia di tutela della salute e
della sicurezza nei luoghi di lavoro) e spostiamo la nostra attenzione alle
strutture, alle tecnologie e agli operatori che ne fanno parte, lasciando in una
sorta di incertezza e nebulosità la sicurezza del cittadino-paziente.
Il paziente, che si rivolge ad una struttura ospedaliera per avere una risposta
ai propri bisogni assistenziali affinché migliori il suo grado di salute, spesso si
ritrova vittima di un danno sanitario che va a mettere in discussione non solo la
singola prestazione, ma anche la garanzia che il sistema offre.
Mettendo in discussione la garanzia che il sistema offre viene in un certo
qual modo compromessa anche l'attendibilità della Carta dei Servizi propria
della struttura, di seguito la Normativa di riferimento dal Ministero della salute:
“Il Decreto legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito dalla legge 11 luglio 1995,
n. 273, prevedeva l'adozione, da parte di tutti i soggetti erogatori di servizi
pubblici, anche operanti in regime di concessione o mediante convenzione, di
proprie "Carte dei servizi" sulla base di "schemi generali di riferimento"; per il
settore sanitario detto schema di riferimento è stato adottato con DPCM del 19
maggio 1995 (G.U. del 31 maggio 1995, supplemento n.65).
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In generale ai fini della promozione di una nuova cultura della sicurezza, assume
notevole importanza il coinvolgimento dei pazienti nei propri processi di cura. Il
ruolo attivo dei pazienti nella definizione delle procedure cliniche ed assistenziali
favorisce una maggiore attenzione alla prevenzione dei rischi e rafforza il
rapporto di fiducia tra il cittadino e il sistema sanitario. In questa ottica, assume
particolare rilievo la Carta dei Servizi Sanitari.”
Questa realtà ci spiega che è forse giunto il momento di rileggere il concetto
di “sicurezza” come l’elemento cardine del sistema sanitario e “l’evento
avverso” come un accadimento in cui hanno interagito fattori tecnici,
organizzativi e di processo e non più come un singolo errore umano.
Così facendo si promuove un cambiamento culturale già iniziato nel mondo
anglosassone e che sta fermentando sempre più anche in Italia negli ultimi
anni.
Solo dagli inizi del 2000 si sta assistendo in Italia, allo sviluppo di studi volti a
misurare con criteri scientifici l’errore, all’elaborazione delle cosiddette mappe
del rischio e alla promozione di comportamenti che hanno lo scopo di coniugare
la sicurezza con la qualità, fino a dare una identità sempre più definita e meno
incerta al settore particolare del “Risk Management” e del “Risk Assessment”
che si interessa di sanità.
L’attuale sistema sanitario italiano, risulta piuttosto complesso per diverse
variabili: presenza di esperienze professionali multiple, diversi modelli
gestionali, svariate tipologie dei vari processi assistenziali, elevato numero di
procedure sanitarie, complessità degli interventi, “stakeholder” sempre più
diversi e numerosi.
Negli ultimi venti anni si sta assistendo sempre più all’informatizzazione delle
aziende sanitarie, dall’inserimento più semplice di dati (come quello dei dati
anagrafici dei pazienti), alle più avanzate tecnologie di diagnostica utilizzate.
In effetti, le attività sanitarie sono diventate complesse, si basano su dati certi
e sempre di più utilizzano supporti di alta tecnologia, pertanto è maggiore la
possibilità che qualche fase del processo di cura e assistenza possa
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rappresentare un pericolo o rischio per il paziente; tale condizione trova
conferma nell’affermazione di J. Wilson “la sanità è un affare rischioso”.
Riguardo a quanto detto, va aggiunto pertanto che come tanti altri settori,
anche il sistema sanitario, in veste di organizzazione complessa, presenta un
discreto numero di incidenti (alcuni anche piuttosto gravi) dovuti a errori umani.
Partendo dalla considerazione che l’errore è una componente inevitabile
della realtà umana (efficace in questo senso ed esplicativo di una filosofia è il
titolo di un importante rapporto pubblicato nel 1999 dall’Institute of Medicine
(IOM) “To err is human”), diventa pertanto fondamentale riconoscere che anche
un sistema complesso come quello sanitario può sbagliare, creando tutta una
serie di circostanze in grado di verificare un errore (stress, tecnologie avanzate
e magari ancora poco conosciute, eccetera), che restano latenti fino a quando
un errore da parte dell’operatore (active failure) non le rende manifeste.
Se non si può eliminare completamente l’errore umano, diventa allora
fondamentale favorire le condizioni lavorative ideali e porre in atto un insieme di
azioni che rendano difficile per l’uomo sbagliare (Reason, 1992) ed in secondo
luogo, attuare delle difese in grado di arginare il più possibile le conseguenze di
un errore che si è verificato, cercando di limitare il rischio.
Per far sì che predomini sempre più una cultura del “segnalare ed imparare
dagli errori” è necessario partire dal dato di fatto che l’errore non può essere
evitato, poiché è insito nelle limitate capacità sensoriali, cognitive e razionali
della natura umana, ma è invece possibile impedire che giunga a cagionare un
danno.
Contrariamente a come si è operato fino ad oggi sarebbe molto utile invece
implementare un sistema in grado di poter rilevare tutti gli errori, anche quelli
che non hanno generato un evento avverso o rischioso, in modo da consentire
l’analisi e la ricerca delle cause che lo hanno prodotto con la finalità di prevenire
il ripetersi delle stesse condizioni di rischio e/o limitarne il danno quando questo
si è ormai verificato.
Va detto però che nella maggior parte dei casi, gli errori potenziali o effettivi
non vengono segnalati dal professionista che è frenato il più delle volte, dal
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timore di essere giudicato in maniera negativa riguardo il proprio operato dai
colleghi e anche dal timore delle eventuali ripercussioni medico-legali.
Tutto questo va a contrapporsi alla voglia ed al bisogno di cambiamento.
Dobbiamo imparare dall’errore per anticipare l’errore: “…riconoscere gli errori
e correggerli il più presto possibile, prima che facciano troppo danno. L’unico
peccato imperdonabile è nascondere un errore” (Tolleranza e responsabilità
intellettuale
K. R. Popper).
La sicurezza del paziente deriva pertanto, dalla capacità di progettare e
gestire organizzazioni in grado di ridurre la probabilità che si verifichino errori
(prevenzione), sia di recuperare e contenere tutti quelli effetti degli errori che
comunque si verificano (protezione).
Il fenomeno “rischio sanitario” ha ormai raggiunto una portata tale da non
poter più essere ignorato, basti pensare solo ad alcune delle cifre presentate in
proposito:
 da uno degli ultimi rapporti dell’IOM (Institute of Medicine) risulta che
circa un milione di americani, ogni anno, riportano danni dalle cure che
vengono loro prestate dalle strutture sanitarie e almeno 100.000 che
muoiono; gli errori nelle cure comportano anche dei costi aggiuntivi che
ammontano, solo negli USA, a circa 38 miliardi di dollari l’anno.
 Il National Health Service (NHS) ha diffuso negli ultimi anni i seguenti
dati: circa 400 morti all’anno per il malfunzionamento di apparecchiature
mediche; 10.000 persone che denunciano il NHS per danni ricevuti nelle
cure; intanto le spese causate dagli errori sono notevoli.
 Anche in Italia negli ultimi anni, il contenzioso sta subendo una crescita
quasi esponenziale (circa 12.000 nuovi casi all’anno) in quanto su 8
milioni di persone che ogni anno vengono ricoverate negli ospedali
italiani, ben 320.000 ne escono con danni, lesioni e malattie che non
correlate con il motivo che le ha portate al ricovero, ma sono dovute agli
errori nelle cure, ai disservizi ospedalieri ed alle carenze organizzative.
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Tra questi 320.000 danneggiati, il numero dei morti oscillerebbe tra
14.000 e 50.000.
Considerando nel suo insieme i dati sopra riportati, va detto tuttavia, che a
contraddistinguere la situazione italiana è che il problema del rischio sanitario è
stato avvertito notevolmente in ritardo ed è soltanto negli ultimi anni che ha
attirato l’attenzione della stampa, del mondo politico e degli stessi operatori
sanitari.
Molti altri Paesi, invece, hanno già apportato iniziative di misure correttive al
sistema.
Nonostante il notevole ritardo con cui l’Italia ha preso coscienza della gravità
del fenomeno “rischio sanitario”, proprio negli ultimi anni ha avuto inizio uno
spiccato fermento attorno a tale argomento ed in particolare, direi che la
situazione del nostro Paese risulta essere caratterizzata da un momento di
molteplici e significativi cambiamenti che portano alla diffusione di una cultura il
cui interesse primario è quello di orientarsi verso una riorganizzazione
essenzialmente negli aspetti gestionali ed organizzativi del sistema.
Partendo dalla consapevolezza che il rischio in sanità è inteso come la
probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un
qualsiasi “danno o disagio imputabile, anche se in modo involontario, alle cure
mediche prestate durante il periodo di degenza, che causa un prolungamento
del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte”
(Kohn, IOM 1999); esso può dunque essere arginato mediante iniziative di Risk
Management messe in atto a livello di singola struttura sanitaria, a livello
aziendale, regionale e nazionale.
Il Risk Management, in termini strettamente aziendali, può essere definito
come una “funzione aziendale con il compito di identificare, valutare, gestire e
sottoporre a controllo economico i rischi di un'azienda”.
La sicurezza è una componente fondamentale della qualità dell’assistenza
socio-sanitaria.
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L’Institute of Medicine americano la definisce come “assenza di danni o
lesioni accidentali” o ancora come “evitare ai pazienti danni derivanti da attività
sanitarie che hanno lo scopo di aiutarli”.
Quest’ultima definizione esprime, direi, in modo piuttosto efficace la
responsabilità
riguardo
al
concetto
di
sicurezza,
che
distingue
un’organizzazione sanitaria da qualsiasi altro tipo di organizzazione.
Va detto però che non tutti gli errori si traducono in danno o fonte di rischio,
ma quando purtroppo questo accade, si verifica un “evento indesiderato
prevenibile”, cioè un danno evitabile causato o non impedito da un intervento
sanitario anziché dalla condizione clinica del paziente.
Il sistema può e deve per questo attrezzarsi, di modo che si possa prevenire
e contenere l’errore.
Come dice Reason “non possiamo cambiare la natura umana, ma possiamo
cambiare le condizioni in cui gli esseri umani lavorano”.
Parlare di errore in medicina significa in questa ottica parlare di sicurezza
dell’ambiente sanitario e questo è il modo migliore per affrontare l’argomento e
non cadere nel facile equivoco di caccia al colpevole che il termine “errore”
evoca inevitabilmente.
Per rendere esplicite in maniera più chiara le modalità di generazione
dell’errore, è utile presentare il modello “svizzero” proposto da Reason.
Se immaginiamo l’organizzazione del nostro servizio sanitario come costituita
da una serie di settori d’intervento che agiscono in serie (immaginiamoli come
delle fette di formaggio), allora in ciascuna fetta vi possono essere dei buchi
che rappresentano gli errori attivi o latenti.
I primi dobbiamo pensarli come fori molto mobili, che si aprono e si chiudono
molto velocemente e che si spostano in vari punti della stessa fetta.
Questi buchi mobili coincidono con errori individuali (errori attivi) che però di
solito non lasciano tracce né conseguenze rilevanti.
Diversamente invece sono gli errori latenti che vengono raffigurati come dei
fori nel formaggio più duraturi e poco mobili.
16
Si tratta di errori fondamentalmente legati alla progettazione organizzativa di
un reparto, l’insieme delle regole che determinano le modalità lavorative.
Tutte le fette di formaggio che nell’insieme rappresentano le varie fasi del
percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale del paziente, possono
contenere occasioni di errore, ovvero i cosiddetti errori “latenti” che non
aspettano altro che di poter emergere.
Ma ciò non accade molto frequentemente, se non quando i fori nelle varie
fette si allineano tra di loro e non esistono più meccanismi di tolleranza e
compenso nelle varie fasi del percorso del paziente.
Così, per puro caso, l’allineamento dei fori determina il passaggio da “rischio”
ad “evento” (figura 1).
Figura 1
Negli ultimi anni la sicurezza del paziente è diventata una questione centrale
per le strutture sanitarie di molti Paesi e rappresenta oggi una primaria
preoccupazione da parte degli utenti, degli operatori sanitari ed anche degli
amministratori dei servizi sanitari nazionali.
Il ricorso alla gestione del rischio sta diventando sempre più un imperativo
per le strutture sanitarie : “negli ultimi tempi è andata progressivamente
aumentando la sensibilità e l’attenzione di coloro che hanno responsabilità
organizzative all’interno degli ospedali alle tecniche di Risk Management”.
17
CAPITOLO 2
IL RISCHIO IN RADIOLOGIA
Tutto è iniziato il 28 Dicembre del 1895 quando Roentgen comunicò alla
società fisico-medica di Wurzburg la sua scoperta dei raggi X.
Successivamente il 12 Gennaio del 1896, il Corriere della Sera scriveva:
“…con un simile processo sarà agevole riconoscere la natura, l’importanza delle
fratture, le ferite delle armi, specie di quelle da fuoco.
Nell’estrazione delle pallottole soprattutto il nuovo metodo d’investigazione
risparmierà al ferito il metodo attuale così tormentoso nel sondaggio operato a
caso…”.
Così, la tecnologia iniziava il suo lungo percorso accanto alla medicina per
aiutarla ad offrire cure migliori ai cittadini, anche se di lì a poco, già allora,
nascevano i primi contraccolpi negativi dei successi tecnologici in ambito
diagnostico.
Oggi si parla di una Radiologia sempre più precisa e sofisticata: le tecnologie
radiologiche utilizzate sono in grado di “fotografare” l’organismo fin nei minimi
dettagli.
Risonanza magnetica, TC, Ecografia e i tradizionali raggi X, sono entrati
quasi con prepotenza nella routine sanitaria e insieme al balzo tecnologico e
scientifico si sta diffondendo già da qualche anno, una sorta di preoccupazione
da parte dei professionisti sanitari e non solo.
Tutto questo è dovuto al fatto che gli esami radiologici sono in costante
aumento, tanto che negli ultimi anni ci stiamo soffermando sempre più
sull’emergente e importante “fenomeno dell’abuso” di esami radiologici,
partendo dal fatto che probabilmente si tratta di un particolare aspetto
dell’attuale società post-moderna, che sempre più è caratterizzata da un lato,
18
dalla tendenza al consumismo esteso ai “generi”sanitari, dall’altro, da una
marcata dipendenza dai media elettronici e tecnologicamente avanzati.
Riguardo ciò, trovo doveroso ricordare che il Decreto Legislativo n.187 del
2000 sottolinea l’importanza di ben due concetti fondamentali nell’utilizzo clinico
delle radiazioni ionizzanti.
Il primo è il principio di giustificazione, il quale sancisce il divieto
all’esposizione non giustificata e soprattutto ribadisce in maniera chiara: “…Il
prescrivente e lo specialista, per evitare esposizioni non necessarie, si
avvalgono delle informazioni acquisite o si assicurano di non essere in grado di
procurarsi precedenti informazioni diagnostiche o documentazione medica
pertinenti alla prevista esposizione”.
L’altro punto cardine del D.lgs n.187/2000 è il principio di ottimizzazione:
“…tutte le dosi dovute a esposizioni mediche per scopi radiologici…ad eccezione
delle procedure radioterapiche, devono essere mantenute al livello più basso
ragionevolmente ottenibile e compatibile con il raggiungimento dell’informazione
diagnostica”.
Nella società odierna, questi principi che dovrebbero essere ben conosciuti e
applicati, il più delle volte, sono invece disattesi nella pratica quotidiana.
Il rischio è che radiologi e tecnici, costretti ad un numero eccessivo di
prestazioni sempre più complesse e ricche di informazioni, pure se supportati
da mezzi di elevata tecnologia, si trasformino in “cottimisti” dell’immagine,
sfociando nell’alimentare il cosiddetto “consumismo radiologico” sempre più
dilagante e a mio avviso, in parte responsabile della “malpractice” in radiologia.
Questo fenomeno è stato già recepito nel 2001 dalla European Commission
Referral Guidelines for Imaging Radiation Protection:
“Un numero significativo di indagini radiologiche non è utile e quindi comporta
un’esposizione superflua a radiazioni ionizzanti”.
19
Dunque, questo è il vero problema che negli ultimi anni affligge il mondo
radiologico, forse in misura superiore rispetto alle altre discipline sanitarie e
contrapposto alla necessità di contenere la spesa sanitaria.
Tutti noi che operiamo nell’ambito della diagnostica per immagini, ci
rendiamo conto che quotidianamente si esegue un’alta percentuale di esami
superflui o addirittura inutili, che non hanno alcuna incidenza sullo stato
complessivo di salute e cura dei pazienti e che spesso la loro inappropriatezza
è determinata in aggiunta da una sempre più diffusa logica di medicina
difensiva.
E’ ormai reso noto che annualmente in tutto il mondo si eseguono intorno ai
5 miliardi di esami radiologici e che negli ultimi 10 anni il numero di prestazioni
di radiodiagnostica è aumentato del 10% all’anno.
Secondo i dati dell’UNSCEAR (United Nations Scientific Committee on the
Effects of Atomic Radiation), ogni anno nei Paesi industrializzati vengono
eseguiti dai 200 ai 2.000 esami ogni 1.000 abitanti.
Inoltre si stima che nel 30-50% dei casi, gli esami radiologici sembrano
risultare parzialmente o totalmente inappropriati ai fini clinici.
Questi dati ci riportano a quanto già detto sopra, ovvero che il fenomeno del
loro abuso che si sta via, via affermando, riflette senza dubbio la tendenza
iperconsumista della nostra società, dominata fondamentalmente, dai media e
dalla cultura delle immagini che affermano la supremazia dell’apparire
sull’essere, del “look” e delle mode effimere, ma soprattutto dell’egoismo sul
bene comune.
La Commissione Europea per gli Effetti Biologici delle Radiazioni ionizzanti
(BEIR) dichiara che l’esposizione della popolazione a una dose di 10
milliSievert (mSv) comporta un extra-rischio di cancro o leucemia di 1 caso ogni
1.000 abitanti.
La soluzione a quanto i dati affermano quest’oggi, è affidata all’attuazione
nella pratica del “principio di giustificazione” già citato, mediante una minuziosa
sorveglianza dell’appropriatezza delle prestazioni radiologiche.
20
Nella realtà però, sembra congiurare contro l’attuazione di tale principio, in
quanto la sua applicazione trova resistenza in alta percentuale negli operatori
sanitari non appartenenti all’ambito radiologico che spesso, anche per motivi di
“difensivismo” medico-legale, eccedono nelle richieste.
Da quanto detto fin qui, viene da dire che negli ultimi anni i “raggi X” sono
tornati sul banco degli imputati e se conosciamo i dati fino ad oggi elaborati e a
nostra disposi-zione, tale affermazione direi che è ancora più reale e credibile.
Innanzitutto va detto che il dato secondo cui il 30-50% degli esami di
diagnostica per immagini risulti parzialmente appropriato (cioè, esami che si
potevano evitare) o completamente inappropriato (ovvero, esami che si
dovevano evitare) è da valutare attentamente se si pensa per un attimo agli
effetti sociali negativi che può comportare come: il danno morale e materiale
alla salute del cittadino, che si espone inutilmente ad esami potenzialmente
cancerogeni; l’allungamento delle liste di attesa, che impedisce a chi ha più
bisogno di accedere in modo tempestivo alle cure; l’elevato contributo alla
crescita eccessiva della spesa sanitaria (negli USA oggi rappresenta circa il
15% del PIL); l’aumento delle possibilità di errori diagnostici.
Tutto questo si può tradurre pertanto, ad una ridotta qualità del servizio
sanitario.
2.1. Evidenza scientifica: esposizione alla radiazione medica ed i suoi
effetti
Il riconoscimento degli effetti patologici delle radiazioni ebbe inizio
poco
dopo la loro scoperta :
 Nel
1901
Henri
Becquerel
mostrò
un
eritema
della
cute
in
corrispondenza della tasca del vestito nella quale aveva tenuto per
qualche tempo una fiala di vetro contenente dei sali di Radio.
 Nel 1903 fu riconosciuto che l’esposizione a raggi X poteva indurre
sterilità negli animali da laboratorio.
21
Pertanto, già dopo circa 10 anni dalla scoperta di Roentgen una gran parte
della patologia da dosi elevate e intense di radiazioni ionizzanti era stata
riconosciuta e sommariamente descritta.
Successivamente, un altro genere di effetti cominciò ad essere conosciuto
sul finire degli anni '20, quando H.J. Muller (genetista) dimostrò nel 1927 che i
raggi X potevano produrre mutazioni genetiche e cromosomiche nel moscerino
dell’aceto e che possono essere trasmesse ai discendenti secondo le leggi
dell’eredità biologica.
La radioprotezione però, solamente dopo la seconda guerra mondiale,
comincia ad occuparsi in maniera rilevante degli effetti genetici radio indotti e
cioè quando furono considerati come i più insidiosi e gravi dell’esposizione alle
radiazioni.
Oggi, il crescente e massiccio ricorso all’utilizzo della radiologia, è tale che
l’esposizione della popolazione alle radiazioni artificiali mediche, è arrivata ad
equiparare l’esposizione dovuta al fondo naturale (crosta terrestre + radiazione
solare e cosmica), che a seconda delle zone geografiche varia da 1 a 20 mSv
all’anno.
Infatti, l’esposizione alla “radiazione medica” era circa 1/5 dell’esposizione
dovuta al fondo ambientale nel 1987, intorno al 50% nel 1993 e circa il 100%
della radiazione naturale nel 1997 nei Paesi industrializzati (figura 2).
I dati a disposizione accertano pertanto, che circa 10 anni fa ciascun
cittadino dei Paesi occidentali riceveva mediamente per anno, l’equivalente
circa di oltre 100 radiografie del torace.
Figura. 2: Il grafico rappresenta una
visione della dose radiologica del
cittadino medio. L’esposizione media
a radiazioni mediche ammonta già nel
1997 a circa 100 radiografie
toraciche per anno, pari all’intera
dose ricevuta da fonti naturali (dati
elaborati delle Nazioni Unite).
22
Negli ultimi anni, le prestazioni radiologiche, comprese soprattutto quelle che
comportano un’elevata esposizione come le procedure d’interventistica, la TC e
la scintigrafia (soprattutto quella cardiaca), sono continuate ad aumentare ad
un ritmo almeno di circa il 10% all’anno.
A questo proposito dobbiamo considerare con attenzione che la TC e le
procedure di radiologia interventistica (in particolar modo quelle in campo
cardiologico), contribuiscono per il 6% e il 12% rispettivamente alla frequenza
degli esami, ma soprattutto contribuiscono al 47% e al 18% della dose
collettiva, visto che ciascun esame corrisponde a centinaia di volte la dose di
una singola radiografia.
Le rappresentazioni grafiche
(figure 3a-3b-3c) ci danno un’idea alquanto
chiara sulla crescita del numero di esami che comportano un’alta esposizione a
radiazioni (dati originali della Società Americana di Radiologia, di Cardiologia
Nucleare e Società Europea di Cardiologia).
Figura 3(a): Rappresentazione delle curve di crescita delle procedure di radiologia
interventistica (ambito cardiologico) dal 1992 al 2001 nei Paesi industrializzati europei.
23
Figura 3(b): Rappresentazione della curva di crescita di scintigrafie cardiache dal 1991 al 2002
negli USA.
Figura 3(c): Rappresentazione della curva di crescita di prestazioni TC dagli inizi degli anni’80
al 2004 in USA.
In Italia è stimato che ogni anno vengono eseguite da 36 milioni a 43 milioni
di prestazioni radiologiche, in media una per ogni cittadino, bambini compresi.
Al Pronto Soccorso circa il 35% degli esami avviene mediante l’utilizzo di
prestazioni di radiologia tradizionale, in circa il 10% dei casi viene richiesta una
24
prestazione con TC (produce immagini di elevata qualità, ma emette dosi alte
rispetto alla tecnica tradizionale).
Nel panorama europeo, il nostro Paese è uno dei maggiori “consumatori” di
esami diagnostici che comportano l’uso di radiazioni ionizzanti.
A tale proposito è stata avviata dai Radiologi italiani un’indagine in base ai
risultati di un censimento della Società italiana di Radiologia medica (SIRM)
insieme all’Associazione italiana di Neuroradiologia e al sindacato nazionale dei
radiologi.
I risultati si basano sui dati rilevati in 6 regioni e province autonome d’Italia
(Marche, Toscana, Sicilia, provincia di Trento, di Bolzano e Valle d’Aosta).
L’indagine ha rilevato che in 1 anno, tra ASL e ambulatori, sono pervenute
ben circa 8 milioni di prestazioni radiologiche: un dato molto alto rispetto alla
popolazione considerata e che ci riporta ancora una volta a riflettere.
Gli specialisti sostengono che dei 40-50 milioni di esami che attualmente si
effettuano ogni anno nel nostro Paese, il 75% può essere considerato
appropriato, mentre il resto potrebbe essere evitato.
Tale fenomeno, ovvero la crescita esponenziale della domanda di esami
radiologici è dovuto in buona parte al sempre maggiore ricorso a quella che
oggi viene definita “medicina difensiva”, da parte dei medici prescrittori,
soprattutto nelle aree di emergenza e Pronto Soccorso.
Secondo un articolo riportato sul sito “italiasalute.it” 25/2009:
“La così detta “medicina difensiva” consiste in un comportamento diagnostico
orientato a ridurre il livello di esposizione del medico ad un conflitto giudiziale
iniziato dal paziente; si differenzia in medicina difensiva positiva, se si
concretizza in più test o procedure, e in medicina negativa, se si concretizza,
invece, nell’evitare pazienti o procedure diagnostiche ad alto rischio. Gli ultimi
dati rivelano che a praticare questa scorretta forma di “autotutela” sono il 40%
dei dottori italiani.
Il fenomeno della medicina difensiva origina principalmente dal crescente
volume di cause legali intentate dai pazienti contro i medici: circa 30mila
l’anno, con un costo per il settore della Sanità di 500 milioni di euro solo per le
25
polizze di assicurazione professionale; l’incidenza sulla spesa sanitaria
complessiva del Paese invece è stimabile tra un minimo del 12,3% ad un
massimo del 19,5%.
In gioco però non ci sono solo i soldi dei privati e dello Stato, ma la salute
stessa dei cittadini e l’identità, il ruolo e l’immagine della professione medica.
Essere chiamati in Tribunale a seguito di una “malpractice litigation” ha, infatti,
conseguenze per il medico sotto il profilo professionale, morale e psicologico
e la consapevolezza di questi possibili effetti negativi contribuisce a rafforzare
la propensione del medico a praticare la medicina difensiva.
Per conoscere con esattezza le dimensioni del fenomeno nel nostro Paese,
l’Ordine dei Medici e Odontoiatri (OMCEO) di Roma ha realizzato un'indagine,
la prima in Italia, avvalendosi di qualificati esperti sia del mondo accademico
che della ricerca scientifica.
È stato distribuito un questionario a 800 medici di Roma e provincia allo scopo
di evidenziare il quadro delle loro paure rispetto al proprio rischio
professionale e alle conseguenze che ricadono sui costi della sanità pubblica.
I risultati sono stati illustrati a Roma, nella sede dell’Enpam, da Mario Falconi,
Presidente dell’OMCEO-Roma, co-autore della ricerca e da Aldo Piperno,
professore Ordinario di Scienze dell’Organizzazione all’Università Federico II
di Napoli.
All’incontro è intervenuto anche Ferruccio Fazio, Sottosegretario di Stato con
delega alla Salute che ha affermato come “Il problema della medicina
difensiva sia legato allo “sfarinamento” del rapporto di fiducia tra medico e
paziente. E gli effetti sono molto pesanti sia per il paziente che per il servizio
pubblico, basti pensare - ha aggiunto - all'aumento dei ricoveri e del consumo
dei farmaci. I costi per il servizio sono stimati fra i 12 e i 20 miliardi di euro,
che se recuperati potrebbero risolvere in pochi anni il contenzioso con le
Regioni. E’ necessario quindi – ha sottolineato Fazio - intervenire con nuove
regole sulla responsabilità professionale del medico. In merito a ciò al Senato
è stato presentato un disegno di legge firmato dal presidente della
commissione Sanità, Antonio Tomassini, ma ampiamente condiviso da tutto il
Parlamento, che propone la regolamentazione della copertura assicurativa dei
medici con massimali fissati in tutte le strutture, un maggior ricorso all'arbitrato
e uno snellimento dei tempi per il risarcimento dei danni. Ciò non esclude, in
26
futuro – ha concluso – l’avvio di un percorso di depenalizzazione, così come
indicato anche dall'Ordine Nazionale che ne chiede la definizione come reato
specifico: quello, appunto, di colpa medica”.
Rimane comunque difficile per ogni medico conciliare i doveri di curare
efficacemente i propri pazienti, con i rischi, legali e di salute del malato,
connessi alla pratica di terapie innovative e che non danno notevole sicurezza
d'efficacia.”
In campo diagnostico ne deriva che 1 esame su 4 sarebbe superfluo e
l’aumento del 8% della spesa sanitaria si deve proprio a queste indagini.
Non sono poi da dimenticare le cifre rilevate dalla radiologia interventistica in
campo cardiologico: se l’esposizione a radiazioni in una procedura di
angioplastica con impianto di “stent” corrisponde a circa 1.000 radiografie del
torace, non sorprende che nei pazienti cardiologici la dose radiologica media
cumulativa stimata, raggiunge i 60 mSv (3.000 radiografie toraciche), in gran
parte derivanti dall’uso delle procedure più “pesanti” dal punto di vista
radioprotezionistico come TC, radiologia invasiva e medicina nucleare.
Le rappresentazioni grafiche sottostanti rendono chiaramente evidente come
la radiologia interventistica, la TC e la medicina nucleare rappresentano circa il
20% di tutti gli esami ionizzanti in pazienti cardiologici, ma quasi il 90% della
dose totale (figura 4 e 5).
Frequenza degli esami
Radiologia convenzionale
5% 4%
12%
Radiologia interventistica
79%
Medicina nucleare
TAC
Figura 4: Fonti di esposizione nel paziente cardiologico adulto contemporaneo.
27
Dose collettiva totale
17%
14%
Radiologia
convenzionale
Radiologia
interventistica
21%
48%
Medicina nucleare
TAC
Figura 5 : Dose cumulativa nel paziente cardiologico adulto contemporaneo.
Estremamente fondamentale è ridurre il numero degli esami radiologici
“inappropriatamente” richiesti ed eseguiti, ovvero evitare che il paziente, quando non
sia realmente necessario, venga sottoposto all’esposizione di radiazioni ionizzanti,
visto che gli standard di radioprotezione assieme alle pratiche radiologiche, si
basano sul fatto che qualunque dose di radiazione (non importa quanto piccola), può
avere effetti negativi sulla salute.
Questi effetti negativi comprendono lo sviluppo a lungo termine di cancro e danno
genetico trasmesso alla prole.
Stime recenti riguardo all’esposizione da radiazioni mediche nei primi anni’90,
hanno rilevato che dal 1% al 3% dei cancri quest’oggi osservati nei Paesi occidentali
siano causati proprio da tale tipologia di esposizione.
E’ chiaro che tali stime se rapportate ad oggi, sono sottostimate, in quanto rispetto
ai primi anni’90, l’esposizione a radiazioni mediche è attualmente quasi sestuplicata.
Tuttavia come sappiamo, le radiazioni ionizzanti possiedono energia sufficiente
a “strappare” un elettrone dagli atomi che incontrano nel loro percorso nei tessuti,
tanto da produrre dei rischi/effetti biologici assolutamente non trascurabili.
Questi rischi/effetti biologici provocati, dipendono dalle dosi che vengono
rilasciate agli organi/tessuti irradiati; pertanto gli effetti nocivi da radiazioni vengono
distinti fondamentalmente come mostrato in tabella I.
28
Tabella I: Gli effetti nocivi delle radiazioni ionizzanti
EFFETTO
CARATTERISTICHE
Deterministico - Grosse dosi (incidenti
TIPO DI DANNO
- Esposizione in utero:
nucleari,attività lavorative);
a) morte dell’embrione
- Si presentano al di sopra di
b) malformazioni fetali
un valore soglia;
c) deficit mentali nei
- immediati o ritardati;
bambini
- gravità proporzionale alla
- Danni tissutali:
dose assorbita.
Vasculiti, dermatiti, ustioni,
cataratta, infertilità,ecc.
-Sindrome da pan-irradiazione
o “male da raggi”
Stocastico e/o
-Per basse dosi(radiazione
- Cancro
probabilistico
naturale, esami radiologici);
(anche a carico del prodotto)
-Non esiste un valore soglia
- Leucemie
al di sotto del quale non si
- Mutazioni genetiche e
manifestano;
aberrazioni genetiche
-Tardivi (possono
cromosomiche trasmesse alla
manifestarsi anche dopo
prole.
diverso tempo
dall’esposizione);
-Gravità dell’effetto svincolata
dalla dose;
-Frequenza proporzionale alla
dose.
L’ipotesi della proporzionalità diretta tra dose ed effetto è stata assunta dalle
principali istituzioni internazionali che si occupano di radioprotezione UNSCEAR
(United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation) e
ICRP (International Commission on Radiological Protection) come misura
cautelativa, per evitare che il rischio derivante dalle basse dosi venisse sottostimato.
29
Tale ipotesi, anche se talvolta è stata oggetto di discussione, fino ad oggi nessun
studio epidemiologico l’ha smentita.
Gli studi attuali affermano che la probabilità di contrarre leucemie o tumori letali
sia del 5% per una dose di 1 Sievert, ovvero di 5 su 100.000 per una dose di 1 mSv,
nell’arco della vita.
Questo significa che su 100mila persone esposte, ciascuna alla dose di 1 mSv, in
media 5 di esse contrarranno la malattia nel corso della vita.
Quando ci si sottopone ad indagini radiologiche, dovrebbe essere ben chiaro che
non tutte le indagini comportano gli stessi rischi di una semplice radiografia del
torace.
Gli studiosi hanno elaborato una tabella (tabella II) che mette in evidenza la
relazione che c’è fra le più comuni indagini radiologiche e a quante radiografie
toraciche esse equivalgono.
Tabella II
PROCEDURA
DIAGNOSTICA
Dose efficace
(mSv)
A quante radiografie
toraciche equivale
Torace
0,02
1,0
Cranio
0,07
3,5
Bacino
0,7
35,0
Addome
1,3
65,0
Col. Dorsale
7,0
350,0
Col. Lombare
1,7
Clisma opaco
1,7
85
INDAGINI TAC
4,4
85
Cranio
5,1
Col. Cervicale
7,7
220
Col. Dorsale
7,8
255
Col. Lombare
8,8
385
Torace
0,3
390
Addome
1
440
Pelvi
1
INDAGINI RADIOLOGICHE
30
Dalla tabella si ha un’idea concreta di quanto siano “pesanti” alcune indagini
e come necessariamente debbano essere giustificate.
E’ interessante anche il confronto con l’esposizione a radiazione naturale,
mostrato nella tabella sottostante (tabella III), nella quale vengono riportati una
serie di indagini comunemente effettuate, il rischio aggiuntivo d’insorgenza di
neoplasia durante il corso della vita ed il periodo di esposizione alle radiazioni
naturali che comporta un rischio di pari entità.
Tabella III
INDAGINE
Rischio aggiuntivo di
neoplasia durante la vita
Periodo di esp.a rad.naturali che
comporta un rischio di pari entità
Rx torace
1/milione
3 giorni
Rx cranio
1/300.000
11 giorni
Rx anca
1/67.000
7 settimane
Rx addome
1/30.000
4 mesi
Rx col. Lombare
1/15.000
7 mesi
Tc cranio
1/10.000
1 anno
Tc torace
1/2.500
3,6 anni
Tc addome/pelvi
1/2.000
4,5 anni
2.2. Esposizione alla radiazione medica in TC: evidenze scientifiche
eriflessioni
Negli ultimi anni, grazie al progresso tecnologico, sono stati introdotti
macchinari di nuova generazione che hanno consentito di ottenere buoni
risultati diagnostici abbattendo ulteriormente le dosi di radiazioni necessarie.
In Italia però, come negli altri Paesi industrializzati, l’utilizzo di nuove
procedure diagnostiche che rilasciano comunque alte dosi come la TC e la
PET, sono in aumento e spesso vengono usate anche quando potrebbero
31
essere sfruttate altre tecniche che utilizzano dosi minori o addirittura che non
impiegano radiazioni con risultati soddisfacenti.
Da alcuni anni, negli Stati Uniti, la comunità scientifica sta rivalutando il
rapporto rischio/beneficio delle procedure diagnostiche che utilizzano radiazioni
ionizzanti, in particolare della TC, soprattutto alla luce dell’uso massiccio che ne
è stato fatto nel corso degli ultimi decenni.
Dati recenti di un interessante lavoro realizzato dal National Council on
Radiation Protection e pubblicato ad Aprile 2008 sul New England Journal of
Medicine, calcola che negli USA sono state eseguite ben 62 milioni di indagini
TC nel 2006, contro i 3 milioni del 1980 (un dato 20 volte superiore) e 1/3 delle
quali, non giustificate da necessità cliniche.
A somme fatte, risulta che circa 20 milioni di cittadini (oltre 1 milione di
bambini), sono stati irradiati senza motivi adeguati.
In termini poi di quantità di radiazioni assorbite, le TC sono responsabili della
metà della dose collettiva a cui è esposta la popolazione statunitense, pur
rappresentando solo il 12% di tutte le indagini di radiodiagnostica medica,
rispetto agli esami di medicina nucleare come la PET che contribuiscono alla
dose collettiva per il 25%.
C’è da dire che il rischio se visto dal punto di vista individuale resta
bassissimo, quasi da non essere di fatto determinabile, ma in compenso si può
rilevare un rischio statistico sui grandi numeri e il boom di un certo tipo di
procedure che va sempre crescendo in una popolazione, merita un attimo di
attenzione e riflessione da parte di chi si occupa di salute pubblica.
Si stima che tra l’1.5% e il 2% di tutti i tumori negli USA, può essere
ricondotto all’utilizzo sfrenato e sempre maggiore di TC (all’inizio degli anni’90
era lo 0.4%).
Ben due studi pubblicati qualche anno fa sulla più importante rivista
americana di radiologia (l’American Journal of Roentgenology), sostengono che
l’uso fortemente eccessivo e scorretto della TC, stia mettendo a rischio la salute
dei bambini americani, che verrebbero sottoposti all’esame troppo spesso e con
dosi di radiazioni fino a 5 volte più alta del necessario.
32
I dati ottenuti riferiscono che su 1 milione e 600mila bambini statunitensi che
ogni anno vengono sottoposti ad un’indagine TC, ben 1.500 potrebbero
sviluppare in età adulta un tumore provocato dalle radiazioni.
Inoltre, affermano che la TC negli USA viene utilizzata sui bambini anche per
situazioni cliniche non gravi come calcoli renali o appendicite e che la
somministrazione di raggi è pari a quella adottata per gli adulti, quando invece
ne basterebbero assai meno per ottenere immagini di ottima qualità.
Dando un’occhiata alla situazione italiana, è stato rilevato che il numero delle
TC inutili è senza dubbio inferiore rispetto a quello degli USA, ma affermano
che per quanto riguarda l’ottimizzazione dell’esame, la situazione è del tutto
simile e i rischi per i bambini non sono assolutamente da sottovalutare.
A riguardo bisogna anche ricordare che negli USA rispetto ad altri Paesi, è
ormai affermata e diffusa (e forse presto lo sarà anche in Italia), la cosiddetta
“medicina difensiva”, una condotta medica che come sappiamo, non è mirata al
bene del paziente, ma a tutelare il medico, per cui di fronte alle conseguenze
legali di una mancata o ritardata diagnosi, si tende a richiedere in modo
eccessivo esami spesso non giustificati.
E’ da sottolineare inoltre che l’introduzione sempre maggiore anche in Italia
di apparecchiature TC multistrato (MDTC) ha portato ad una maggiore
sensibilità e specificità dell’esame diagnostico permettendo di evidenziare con
più accuratezza e certezza l’eventuale presenza e il tipo di patologia,
sottoponendo però, inevitabilmente il paziente ad una dose sensibilmente
maggiore di radiazioni con conseguente aumento del rischio di effetti dannosi.
Inoltre,
l’introduzione
delle
nuove
MDTC
negli
ultimi
tempi,
sta
incrementando ulteriormente la richiesta di prestazioni TC: l’uso della tecnica si
sta estendendo sempre più anche nello studio di patologie comuni quali, per
esempio, la calcolosi renale e si è già iniziato a studiarne sperimentalmente
l’applicazione in studi di screening in popolazioni a rischio (per esempio ricerca
di calcificazioni coronariche, tumori polmonari, del colon, eccetera).
33
Con le nuove MDTC, l’esame è ancora più rapido e fornisce sempre maggiori
informazioni, tanto che sta diventando una modalità diagnostica “familiare” nella
medicina moderna.
Su queste basi, secondo alcune ricerche, se la situazione continua di questo
passo, la conseguenza più ipotizzabile e certa è che il numero delle prestazioni TC
aumenterà nei prossimi anni in maniera esponenziale.
Nella letteratura scientifica, sono stati pubblicati dati elaborati da diversi centri
di ricerca, sulla potenziale tossicità ormai affermata della TC (vedi tabella IV ).
Tabella IV: TC e rischi biologici
 Il rischio di cancro dovuto ad una TC dell’addome equivale a quello di un
anno di fumo di sigaretta; quello di una TC del torace è uguale a fumare 700
sigarette o al rischio di avere un incidente automobilistico ogni 4000 Km.
 Per ogni TC dell’addome il rischio di morte per cancro è annualmente di
1,25 per mille.
 Ogni anno muoiono per cancro radiogeno dalle 700 alle 1800 persone, di
cui 310 per esami TC eseguiti in età pediatrica.
 Per ogni 600.000 TC eseguite annualmente in pz. con meno di 15 anni, si
attendono 400 morti per cancro.
 Una TC dell’addome in un bambino con meno di un anno aumenta il rischio
di cancro dello 0,18%.
 Un pz. di 45 anni che si sottopone annualmente ad una TC Total Body ha un
rischio di morire per cancro del 2%.
In
quest’ottica,
sono
fondamentali
i
concetti
di
giustificazione
ed
ottimizzazione degli esami, infatti dati recenti affermano che se da una
riduzione del 10% delle prestazioni TC si stima un’altrettanta diminuzione del
rischio, l’ottimizzazione delle procedure darebbe un risultato ancora migliore: si
avrebbe il dimezzamento della dose di esposizione con conseguente riduzione
del rischio del 50%.
In Europa c’è una legislazione avanzata in termini di radioprotezione (in
Italia, D.Lgs. n. 187 del 2000) ed esistono anche linee guida dedicate alla TC
(EUR 16262EN), ma deve essere fatto ancora molto, affinché la dose
d’esposizione
negli
esami
di
Tomografia
Computerizzata
sia
ridotta.
34
La radioprotezione è una disciplina che crea delle norme per proteggere dalle
radiazioni ionizzanti.
I fattori della radioprotezione sono: tempo , distanza e schermatura.
La formula utilizzata per calcolare la Dose assorbita si esprime con il
rapporto tra E (energia) ceduta dalle radiazioni della materia di un dato V
(volume) e la M (massa) di tale volume, lo scopo di tale calcolo è quello di
preservare i tessuti sani.
Nella disciplina della radioprotezione un ruolo fondamentale è quello del
medico specializzato Fisica sanitaria.
L'Associazione italiana di fisica medica definisce quanto segue:
“la fisica medica applicata in ambito sanitario comprende tutte le attività che
comportano la soluzione di problemi di fisica nell’impiego di sorgenti di radiazioni,
ionizzanti e non ionizzanti, in diagnostica ed in terapia e, in generale, le attività di
collaborazione con medici specialisti per la soluzione di problemi che richiedono
specifiche professionalità nelle metodologie proprie della fisica.
Le attività del fisico medico in Diagnostica per Immagini
In diagnostica per immagini, sia nel campo di applicazione delle radiazioni
ionizzanti che non ionizzanti, assume la responsabilità, dal punto di vista fisico,
del corretto funzionamento delle apparecchiature ad elevato contenuto
tecnologico. Dispone la revisione delle apparecchiature non rispondenti ai
requisiti e procede al collaudo di quelle di nuova acquisizione. Promuove e
mantiene appositi programmi di controllo di qualità.
Fornisce
prestazioni
in
applicazione
del
DLgs.
n.187/00,
relative
alla
radioprotezione dei pazienti e, in tale ambito, valuta le dosi di radiazioni agli
organi critici, o all’embrione in caso di donne in gravidanza, conseguenti ad
indagini o trattamenti radiologici ed
esegue misure periodiche mirate alla
valutazione delle dosi o attività somministrate ai pazienti nel campo della
diagnostica e medicina nucleare, per il rispetto dei livelli diagnostici di riferimento
previsti dalla normativa vigente.
Le attività del fisico medico in Radioprotezione
In Radioprotezione, risponde della organizzazione della sorveglianza fisica della
radioprotezione per garantire la sicurezza degli operatori, della popolazione e dei
35
pazienti. Coordina il personale tecnico nelle attività di supporto alle funzioni di
Esperto Qualificato DLgs. n.230/95 e s. m. e i. Gestisce le operazioni di carico e
scarico delle sostanze radioattive e garantisce gli adempimenti di Legge.
Provvede al controllo dei parametri radioprotezionistici degli impianti radiologici in
fase di progettazione, collaudo e verifiche periodiche.”
Secondo la normativa di riferimento ( DLgs. n.187/00), l'ambiente di lavoro in
Radiologia prevede una ben specifica suddivisione:
 ZONA CONTROLLATA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è
compresa fra 6 e 20 mSievert/annui.
 ZONA SORVEGLATA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è
compresa fra 1 e 6 mSievert/annui.
 ZONA LIBERA: è la zona dove la dose di radiazioni ionizzanti è inferiore
a 1 mSievert/annua.
In Radiologia non solo l'ambiente è suddiviso, è anche prevista una
classificazione a norma per gli operatori addetti al campo radiologico:
 LAVORATORI DI CATEGORIA “A”: sono gli operatori cosiddetti “esposti”
in quanto per loro è prevista un'esposizione massima annua di 6
mSievert e comunque non possono superare i
100 mSievert/5anni
oppure i 50 mSievert/anno solare.
 LAVORATORI DI CATEGORIA “B”: sono gli operatori cosiddetti “non
esposti” in quanto per loro è prevista un'esposizione massima fra 1 e 6
mSievert/annui.
 POPOLAZIONE: tutti coloro per i quali è prevista un'esposizione
inferiore a 1 mSievert/annua
36
CAPITOLO 3
LA COMUNICAZIONE DEL RISCHIO IN RADIOLOGIA
Indubbiamente l’elevato progresso tecnologico e l’affermata digitalizzazione
delle immagini in radiologia hanno portato a notevoli progressi in termini di
flessibilità d’impiego delle immagini stesse, muovendosi contemporaneamente
nella direzione dell’ottimizzazione, che rappresenta il motivo guida principale
che ha segnato l’evoluzione della tecnologia applicata alle apparecchiature
radiologiche.
In aggiunta, si è assistito, nel corso degli anni, ad un'evoluzione delle
tecniche d’indagine ed alla diffusione di apparecchiature sempre più evolute in
grado di fornire informazioni dettagliate come la Tomografia Computerizzata
(TC), la Radiologia Interventistica e la Tomografia ad emissione di positroni
(PET) : tutte metodiche che comportano alti valori di dose per i pazienti esposti.
Va detto però, che questo meraviglioso progresso delle tecnologie nel campo
della diagnostica per immagini da una parte ha messo a disposizione del clinico
un “armamentario” diagnostico sempre più dettagliato ed accurato, ma dall’altra
parte, in un certo senso, non è stato accompagnato da una crescita di qualità e
di razionalità nel suo utilizzo e dalla consapevolezza dei rischi.
Una recentissima ricerca, compiuta dal CNR di Pisa, ha rivelato infatti che 1
esame di diagnostica per immagini su 3 è inappropriato.
A tale proposito il Dottor Eugenio Picano, direttore dell’Istituto di Fisiologia
Clinica del CNR di Pisa ha dichiarato:
“…l’utilizzo massiccio delle nuove tecniche di radiodiagnostica pone il problema
della loro ottimizzazione. Oggi,
viviamo nel paradosso dell’abbondanza
diagnostica, dell’obesità diagnostica, che non ha nulla a che vedere con il criterio
dell’appropriatezza”.
37
Quando si parla di questi aspetti, non vanno dimenticati i 2 principi cardine
dell’attuale normativa radioprotezionistica, ovvero quello della giustificazione e
quello dell’ottimizzazione.
Come noto, l’art.3 del Dlgs n°187 del 2000 è intitolato “Principio di
giustificazione” e chiarisce che: “…è vietata l’esposizione non giustificata”.
Ricordare tali principi, può sembrare addirittura scontato a distanza ormai di
alcuni anni dell’entrata in vigore dei D.L 230/95 e Dlgs n.187/00, ma non lo è se
negli ultimi anni sta emergendo una scarsa consapevolezza dei rischi da
radiazioni ionizzanti e alla base della diffusa “presunzione” di innocuità sta
l’ignorare le nozioni di base di radiobiologia e radiopatologia.
La mancata percezione del rischio può portare ad esempio a ripetere in
maniera seriata ogni 6 mesi o 12 mesi l’esame (TC o Scintigrafia) in paziente
con malattia cronica come una coronaropatia o controllo di cisti renale.
Ma una Scintigrafia cardiaca da stress o la TC addome danno
un’esposizione radiologica equivalente a 500 radiografie del torace e ad una
perdita di aspettativa di vita (in termini statistici) di 2 giorni.
Il piccolo rischio individuale si moltiplica per milioni di esami l’anno (60 milioni
di TC e 10 milioni di Scintigrafie miocardiche da stress solo negli U.S.A) e
diventa un’importante rischio per la popolazione.
Alcune statistiche rilevano che i medici di medicina generale nel 20% dei
casi, ritengono che la Risonanza Magnetica utilizzi radiazioni ionizzanti; i
cardiologi, nel 70% dei casi sottostimano da 300 a 1.000 volte la dose di una
Scintigrafia cardiaca; infine, i radiologi nella stragrande maggioranza dei casi,
sottostimano di 50-500 volte dosi e rischi di un comune esame TC.
In aggiunta studi recenti rivelano che sono pochi i medici che realmente
conoscono l’esposizione radiologica dell’esame che prescrivono ai pazienti:
tutto questo è senza dubbio causa di un'inefficace comunicazione della cultura
di radioprotezione.
Il grafico sottostante
rende bene l’idea di come molti medici non siano
consapevoli della dose reale che comporta l’indagine scintigrafia da stress che
loro stessi prescrivono (Figura 7).
38
Figura 7: Conoscenza della dose di una scintigrafia da stress
9%
29%
500 Radiografie
torace
1/2 Radiografie
torace
1 Radiografia torace
13%
3 Radiografie torace
49%
ERRORE
Corretto
Ancora
Lieve
interessanti
e
Medio
curiose
sono
le
Grave
informazioni
riportate
nella
rappresentazione grafica sottostante (dati raccolti da fonti di ricerca), che
dimostra come la non comunicazione e informazione sul rischio da radiazioni,
dilaga anche tra gli specialisti della radiologia (Figura 8 ).
Figura 8: gli specialisti della radiologia
60
RADIOLOGI %
50
40
30
20
10
0
Infer. di 1
da 1 a 10
da 10 a 100 da 100 a 500 Magg.di 500
TAC addome = 500 radiografie del torace
Fonte: Lee et al, Radiology, 2004
39
La causa di tutto ciò, secondo alcuni studiosi, consiste anche nel fatto che
l’informazione radiologica essenziale spesso è difficile da reperire e anche
quando si trova, per molti risulta non facile comprendere le informazioni
riguardo alle dosi ed ai rischi:
“…sommersa com’è in un dantesco velame de li versi strani, dove tutto si legge
di misure largamente esoteriche (milliAmpere e MegaBecquerel, milli-Curie e e
Rad, Coulomb e centiGray) e niente si capisce in termini di dose equivalente in
multipli di radiografie del torace e rischio di cancro ogni mille esposti”.
Per i medici, risulta piuttosto difficile capire e trasferire correttamente
l’informazione ai pazienti, pertanto diventa una priorità medica ma anche
soprattutto sociale l’aumento di una maggiore consapevolezza radiologica.
Una soluzione all'informazione inefficace del rischio, potrebbe essere quella
di esprimere il cosiddetto “costo radiologico” degli esami in termini di multipli di
radiografie del torace, in modo da aumentare la consapevolezza di ciò che
prescrivono i medici e soprattutto di ciò che i pazienti stessi spesso richiedono
al fine di ottenere da entrambe le parti una maggiore informazione di quello che
fanno.
E’ chiaro pertanto che comunicare il rischio radiologico diventa ancora più
problematico se si considera che gran parte dei medici ignora o sottostima gli
effetti radiobiologici, mentre quelli più volenterosi finiscono magari per
arrendersi di fronte a simboli e formule: l’informazione resta il punto cardine per
trasformare la direzione dell’attuale tecnologia d’imaging, verso un nuovo
imaging della responsabilità e della sicurezza.
Secondo alcuni esperti:
“…la cultura dello spreco domina la sanità moderna. Più esami fai, meglio credi
di curare o di essere curato. E così si consumano risorse con disinvolta
arroganza, a beneficio solo dell’industria sanitaria”.
40
La crescita della spropositata richiesta di indagini di diagnostica per immagini
ha come conseguenze l’innalzamento incontrollato della spesa sanitaria,
l’allungamento delle liste di attesa, il possibile incremento della dose radiante
alla popolazione e l’innalzamento del rischio di errore diagnostico.
In una società come l’attuale, per garantire la qualità della medicina e la
sicurezza del paziente, bisognerebbe modificare le cattive abitudini, ma
soprattutto sostenere scelte sicure e responsabili condivise tra medico e
paziente.
Negli ultimi anni sta divulgando il sospetto che la gran parte degli esami
radiologici (secondo le statistiche si parla del 30%) sono inutili.
Risulta pertanto fondamentale ridurre il numero delle prestazioni radiologiche
“inappropriatamente” richieste ed eseguite, ovvero evitare che il paziente
quando non sia realmente necessario, sia sottoposto all’esposizione di
radiazioni ionizzanti.
A tale fine sono state elaborate le “Linee guida per la diagnostica per
immagini” da un’apposita Commissione dell’Agenzia per i servizi Sanitari
Regionali (ASSR) che propone di fornire ai medici radiologi e di medicina
nucleare, “uno strumento formativo” allo scopo di individuare gli esami più
appropriati da effettuare per ogni tipo di patologia, cercando di ridurre al minimo
i casi di “malpractice dell’imaging”.
L’evoluzione tecnologica rischia d’impoverire la cultura clinica e inaridire
sempre più la relazione umana che ci deve essere tra medico-paziente e tra
operatore sanitario T.S.R.M.-paziente, mentre l’importanza dei rischi legati alla
sovraesposizione della popolazione alle radiazioni mediche ionizzanti è sempre
più un problema emergente.
In questa realtà è necessario a mio parere, accrescere la consapevolezza
degli operatori sanitari e dei cittadini riguardo al sempre più affermato
“consumismo radiologico”, stimolando loro una riflessione su aspetti come quelli
di radiobiologia, radioprotezione e medico legali che spesso vengono trascurati
se non, ignorati; per dimostrare come in appropriatezze e sprechi possono
essere cause della crisi generale del sistema sanitario.
41
E’ per quest’ovvio motivo che, anche se ultimamente la percezione del
rischio da radiazioni è diventata quasi evanescente al punto da far dimenticare
gli aspetti radioprotezionistici della professione, non bisogna mai perdere di
vista l’applicazione dei criteri di ottimizzazione e giustificazione negli esami
radiologici, al fine di fornire indagini radiologiche sempre più appropriate ed utili
a diagnosi adeguate e garantire ai pazienti la riduzione del rischio da
esposizione a radiazioni e degli errori sanitari.
Infatti, se l’operatore T.S.R.M. così come il medico radiologo sottovaluta gli
effetti biologici delle radiazioni e gli accorgimenti radio protezionistici, come
potrà a sua volta, ottimizzare le prestazioni radiologiche sul paziente?
E’ necessario pertanto, sviluppare ancora di più la cultura della
radioprotezione, visto che le dosi possono provocare rischi ormai evidenti e
denunciati da diverse ricerche scientifiche.
Sempre secondo il Dottor Eugenio Picano, che negli ultimi anni si è
interessato molto a tale fenomeno:
“…la strada da percorrere è quella della sostenibilità, dell’informazione e del
rispetto della Buona Pratica Medica, che impone la giustificazione e la
responsabilizzazione sia di chi prescrive l’indagine radiologica sia di chi la
realizza”.
Se riflettiamo su quanto affermato dal Dottor Picano, si capisce che bisogna
cominciare fin dalla fase iniziale della prescrizione degli esami, pertanto i primi
interlocutori sono i medici di medicina generale che devono prima di tutto
interloquire in modo più specifico con i colleghi della radiologia e recuperare il
rapporto con il paziente sottoforma di comunicazione.
A tale proposito, la tabella riportata sotto (tab.V), fa emergere chiaramente
come pochi o addirittura nessuno, informi adeguatamente la persona che si
sottopone ad un’indagine radiologica.
42
Tabella V: Comunicare il rischio: quando, dove e chi?
Preventivamente
Scuola
Operatori sanitari
Durante la visita
Ambulatorio
Medico di cure primarie
Al momento della
prenotazione
CUP
Medici specialisti di area
radiologica
Al momento dell’esame
Radiologie
T.S.R.M.
Va sottolineato però, che non è sempre semplice realizzare una
comunicazione efficace e comprensibile che consenta ai cittadini di conoscere i
rischi ai quali vengono esposti. Inoltre, esistono svariate problematiche che
ostacolano la realizzazione di una “buona” informazione e una “buona” pratica.
Tra le numerose problematiche se ne possono ricordare alcune che hanno
maggior rilevanza :
1. Complessità dell’argomento che non sempre è di facile comprensione a
causa dell’utilizzo di termini fisici e tecnici riguardo a dosi e a concetti di
radiobiologia come probabilità dei danni, rischi biologici, eccetera.
2. Difficoltà di tipo organizzativo, ovvero realizzare una codifica chiara ed
inequivocabile
su
chi,
come,
dove
e
quando
deve
effettuare
l’informazione del rischio al quale è esposto l’utente-cittadino.
3. Motivi medico-legali che quest’oggi stanno diventando uno dei maggiori
problemi
legati
all’eccessiva
richiesta
di
esami
radiodiagnostici.
Occorrerebbe cercare di utilizzare un filtro a monte, ovvero al momento
della richiesta di esami diagnostici, ma tutto questo non è così semplice
come sembra.
4. Esistono logiche di mercato, che spesso hanno lo scopo primario di
consumare risorse a beneficio solo dell’industria sanitaria.
Come già detto tra le problematiche, quest’oggi si devono fare i conti anche
con la cosiddetta medicina difensiva che è un problema proprio legato
all’eccessiva richiesta di esami radiodiagnostici e soprattutto di alcune unità
43
operative come quella del Pronto Soccorso, che ne fa un uso piuttosto
significativo che va sempre più crescendo.
E’ necessario anche in questo caso, cercare con i medici del Pronto
Soccorso di aprire una finestra di dialogo, affinché le prestazioni richieste siano
più appropriate visto che sono in continuo aumento gli sprechi nell’abuso di
esami diagnostici spesso proposti dai medici a puro scopo “difensivo” e senza
calcolarne a pieno gli effetti iatrogeni.
Avvalersi della comunicazione anche in questo caso è fondamentale affinché
si informi che l’appropriatezza è una tutela legale, visto che un errore può
ripercuotersi in maniera negativa sull’operatore sanitario.
Senza dubbio, l’universo radiologico in questi ultimi decenni è cambiato in
modo impressionante e proprio per questo che è importante che ci sia una
collaborazione sempre più stretta tra i medici delle altre discipline ed il
personale di area radiologica (medici e T.S.R.M.), affinché si possano effettuare
scelte più corrette per la gestione del paziente allo scopo anche di ridurre
l’esposizione alle radiazioni.
Di pari passo con il progresso tecnologico bisogna acquisire la capacità di
comunicare per sensibilizzare i cittadini all’informazione, perché se la
responsabilità è condivisa, medici e pazienti saranno in grado di selezionare in
accordo esami diagnostici essenziali, valutandone costi e benefici, sia
individuali che collettivi.
E’ necessario che le informazioni siano spiegate con chiarezza, completezza
e disponibilità ai cittadini e il consenso informato trasparente può diventare lo
strumento efficace per consentire il paziente ad essere più conscio dei rischi
previsti; il medico più consapevole delle dosi radiologiche di ciò che prescrive.
Le caratteristiche dell'informazione data deve essere comprensibile (in
relazione al livello culturale del paziente) deve essere completa circa:
a) gli effetti indesiderati / collaterali
b) eventuali ipotesi alternative
c) le possibili conseguenze del rifiuto partecipativa (aspetti psicologici del
rapporto medico / paziente)
44
Con il termine di Consenso informato si intende l’espressione della volontà
dell’avente diritto che, opportunamente informato, autorizza il professionista ad
effettuare uno specifico trattamento sanitario. Con l’eccezione di talune
condizioni normativamente previste, il consenso è indispensabile in quanto i
trattamenti sanitari sono, dalla legge, garantiti in forma volontaria; l’acquisizione
del consenso costituisce pertanto concreta traduzione del rispetto di diritti di
libertà della persona (artt. 12 e 32 Costituzione)1.
Il consenso informato non deve essere visto come un “pezzo di carta” in più
da firmare in una medicina sempre più burocratica e difensiva, ma come il
mezzo ideale per affermare la nuova cultura della responsabilità.
Prendendo spunto dai riferimenti legislativi è opportuno porre l’attenzione su
ciò che costituisce una delle maggiori peculiarità del lavoro in ambito
radiologico: la comunicazione-informazione della persona.
Il paziente per qualche minuto o più, a seconda dell’esame e della specialità
diagnostica cui afferisce, si viene a trovare a contatto con il tecnico di
radiologia.
Tale incontro è finalizzato all’esecuzione tecnica di tutti quegli atti necessari
alla realizzazione corretta dell’esame richiesto dal medico; pertanto il T.S.R.M.
è tenuto ad operare con scrupolosa attenzione e competenza visto che la sua
preparazione professionale è stata finalizzata a questo scopo.
Il profilo professionale del TSRM è normato con DM n.746/94:
“art. 1.1. E ' individuata la figura del tecnico sanitario di radiologia medica con il
seguente profilo: il tecnico sanitario di radiologia è l'operatore sanitario che in
possesso
del
diploma
universitario
abilitante
e
dell'iscrizione
all'albo
professionale, è responsabile degli atti di sua competenza ed è autorizzato ad
espletare indagini e prestazioni radiologiche.
art. 1.2. Il tecnico sanitario di radiologia medica è l'operatore sanitario abilitato a
svolgere, in conformità a quanto disposto dalla legge 31 gennaio 1983, n. 25, in
1
La giurisprudenza non ha definito contenuti e caratteristiche specifiche del consenso
informato. Si utilizzano indicazioni di buona prassi.
45
via autonoma, o in collaborazione con altre figure sanitarie, su prescrizione
medica tutti gli interventi che richiedono l'uso di sorgenti di radiazioni ionizzanti,
sia artificiali che naturali, di energie termiche, ultrasoniche, di risonanza
magnetica nucleare nonchè gli interventi per la protezionistica fisica o dosimetria.
art. 1.3. Il tecnico sanitario di radiologia medica:
a) partecipa alla programmazione e organizzazione del lavoro
nell'ambito della struttura in cui opera nel rispetto delle proprie
competenze;
b)
programma e gestisce l'erogazione di prestazioni polivalenti di sua
competenza in collaborazione diretta con il medico radiodiagnosta, con
il medico nucleare, con il fisico radioterapista e con il fisico sanitario,
secondo protocolli diagnostici e terapeutici preventivamente definiti dal
responsabile della struttura;
c)
è responsabile degli atti di sua competenza, in particolare
controllando il corretto funzionamento delle apparecchiature a lui
affidate, provvedendo alla eliminazione di inconvenienti di modesta
entità e attuando programmi di verifica e controllo a garanzia della
qualità secondo indicatori e standard predefiniti;
d)
svolge la sua attività nelle strutture sanitarie pubbliche o private, in
rapporto di dipendenza o libero professionale.
art. 1.4. Il tecnico sanitario di radiologia medica contribuisce alla
formazione
del
personale
di
supporto
e
concorre
direttamente
all'aggiornamento relativo al proprio profilo professionale e alla ricerca”.
Il D.lgs n.230 e successivamente il D.lgs n.187, sono decreti che come
sappiamo hanno ripercussioni di carattere giuridico sia civile che penale ed
anche il T.S.R.M. è coinvolto in queste responsabilità.
E’ importante, tuttavia, che in quanto professionista egli sia certamente
attento agli aspetti normativi della radioprotezione ma, soprattutto, prenda
coscienza che nell’esercizio della sua professione può irradiare in modo “non
giustificato” il paziente.
46
Tali aspetti e problematiche richiamano il ruolo del T.S.R.M. in quanto
educatore sanitario nei confronti della persona-paziente, un educatore che deve
avere le sue massime competenze proprio sulla radioprotezione e deve sempre
più trasformare il suo ruolo con una diversa concezione della professionalità
imparando ad oltrepassare la sua dimensione tecnico scientifica.
La prestazione del Tecnico di radiologia deve cessare di essere intesa come
atto puramente tecnico : il T.S.R.M. non è uno “schiaccia-bottoni” ma deve
anche contemplare la relazione ed essere consapevole che comunicare è parte
integrante della professione.
Il Tecnico di radiologia è l’operatore che incontra la persona sottoposta a
indagine radiologica e proprio su questo incontro che il T.S.R.M. ha costruito il
suo ruolo professionale in tutti questi anni.
Tale scelta è testimoniata nel Codice deontologico che oltre a contribuire
all’orientamento delle scelte professionali, riconosce la centralità della persona
come punto di partenza per una partecipazione diretta e responsabile del
professionista T.S.R.M. alle varie dinamiche relazionali, con una certa
attenzione ai processi comunicativi e soprattutto alla qualità dell’informazione
fornita alla persona (prima, durante e dopo l’indagine specifica).
L’andare verso la persona, il contatto relazionale e fare della comunicazione
“l’anima profonda” dell’informazione sono gli strumenti necessari per assicurare
qualità e sicurezza della prestazione e per accrescere l’identità professionale
del T.S.R.M.
“ …Si può essere totalmente razionali con una macchina, ma se si
lavora con le persone spesso la logica deve dare spazio alla
comprensione…”
(Akio Morita).
47
CAPITOLO 4
PROPOSTE PER RIDURRE IL RISCHIO IN RADIOLOGIA
Anche se negli ultimi anni sono parecchie le iniziative proposte per diffondere
una buona comunicazione sul rischio dell’esposizione a radiazioni ionizzanti
nella pratica medica, siamo ancora all’inizio di un lungo percorso e sembra che
tanto debba ancora essere fatto.
Per questo motivo, a partire dal singolo professionista sanitario, è necessario
che sia lui per primo, a continuare la promozione dell’informazione al paziente
che incontra quando si verificano situazioni di non appropriatezza.
Non dimentichiamoci che già da anni i T.S.R.M. si battono per
un’informazione chiara e completa ai pazienti ed ai cittadini, infatti i collegi
T.S.R.M. di tutta Italia intraprendono iniziative negli ospedali e nei
poliambulatori pubblici e privati, per evidenziare le procedure ed i protocolli
sanitari più adatti a limitare il danno al paziente associato all’esposizione alle
radiazioni.
Affinché ciò continui a realizzarsi è importante proporre adeguati percorsi
formativi e di sensibilizzazione per i professionisti sanitari anche con il
contributo dell’Educazione Continua in Medicina (ECM).
L’organizzazione di corsi di formazione continua periodici in materia di
Radioprotezione è di fondamentale importanza per divulgare l’acquisizione di
conoscenze radioprotezionistiche, procedure e norme, da parte di tutto il
personale sanitario ed è alla base di un miglioramento nei comportamenti che
garantiscono
sia
l’efficacia
che
l’efficienza,
ma
anche
e
soprattutto
l’appropriatezza e la sicurezza di molte prestazioni diagnostiche e terapeutiche.
A livello ospedaliero riguardo al tema di radioprotezione è importante che sia
sempre
più
costantemente
effettuata
la
verifica
della
qualità
delle
apparecchiature e della dose di radiazioni erogata, grazie alla cooperazione con
la Fisica sanitaria.
48
Ottimale sarebbe anche realizzare nell’ambito dei dipartimenti di Diagnostica
per Immagini, incontri che abbiano lo scopo di ottimizzare i protocolli diagnostici
erogando le dosi di radiazioni più basse possibili e proporre incontri più
frequenti anche a livello interdisciplinare per sensibilizzare circa queste
problematiche di fondamentale importanza e per cercare di promuovere una
collaborazione più stretta nella scelta degli esami più idonei.
Inoltre iniziative di questo tipo è necessario promuoverle con maggior
frequenza (rispetto a quello che già è stato fatto) anche al di fuori dell’ambiente
ospedaliero, dirette in primis ai medici di medicina generale.
Compito delle società scientifiche è quello di diffondere la cultura della
medicina basata sull’EBM (medicina basata sull’evidenza) e produrre linee
guida condivise per l’appropriatezza ed efficacia delle prestazioni, mediante un
uso più razionale delle risorse.
Tutti questi concetti (EBM, linee guida) devono essere sempre più divulgati
attraverso manifestazioni, corsi e convegni anche nell’ambito degli ordini
professionali e della Federazione Nazionale dei Collegi dei T.S.R.M., i quali
hanno l’onere di sorvegliare il comportamento deontologicamente corretto degli
iscritti ove necessario sanzionando abusi ed inadempienze.
Riaffermare l’importanza del “buon uso” del consenso informato, spesso visto
solo come una noiosa procedura cartacea “perditempo”, può essere per
esempio un modo d’informazione efficace ed allo stesso tempo anche una
proposta di “consumo responsabile” dell’indagine.
Vista la complessità e la difficile comprensione (anche da un punto della
terminologia adottata) dei concetti in materia di radioprotezione, per far sì che
l’informazione raggiunga i cittadini, devono essere promosse adeguate
“campagne di informazione” sulla popolazione circa i rischi e i danni provocati
dagli esami inappropriatamente richiesti, talvolta pretesi, ed eseguiti.
A tale scopo potrebbe essere proposta in tutte le strutture sanitarie, la
distribuzione di manifesti, depliant e cartellonistica che in maniera molto
semplice fornisca messaggi d’informazione sul rischio dell’esposizione a
49
radiazioni mediche, mediante magari, un linguaggio ricco di immagini e
metafore, cercando di evitare un uso eccessivo del “gergo medico”.
Uno strumento per comunicare ai cittadini i concetti di radioprotezione
potrebbe essere quello di divulgare l’informazione attraverso l’uso dei media:
“campagne pubblicitarie” vere e proprie che giorno dopo giorno, sensibilizzano
sempre più il cittadino e accrescono nella popolazione la curiosità di informarsi
a riguardo.
Interessante e utile potrebbe essere adottare la proposta del Dottor Picano,
che ha lo scopo di rendere più immediato e maggiormente comprensibile ai
cittadini il “peso” che hanno certe tipologie di indagini (PET, TC, Scintigrafia e
Radiologia interventistica, eccetera), equiparando 1 radiografia del torace ad 1
Euro.
Questa rappresentazione “metaforica” del concetto della “pericolosità” in
particolar modo di alcune tipologie di indagini radiologiche, potrebbe essere
un’idea per far si che il messaggio sia chiaro e venga recepito ad ampio spettro
nella popolazione.
Alla frequente domanda “come contenere la dose?” si può cercare di trovare
varie proposte di soluzione come per esempio :
1. Cercare prima di tutto di aver chiaro il concetto che la tecnologia è
importante, ma ancora più importante è di non farsene travolgere.
2. L’utilizzo di adeguati accorgimenti di protezione radiologica efficace
dovrebbe comprendere l’eliminazione di ogni forma non necessaria di
esposizione alle radiazioni.
3. Ricordiamoci sempre che le Linee guida europee suggeriscono che:
“un’indagine si può definire utile quando il suo risultato - positivo o negativo che
sia - cambierà la gestione del paziente o confermerà la diagnosi del medico. Un
numero significativo di indagini radiologiche non rispetta questo principio e può,
quindi, comportare un’esposizione inutile del paziente alle radiazioni ionizzanti”.
4. Valutare sempre per ogni indagine che viene erogata,il rapporto rischiobeneficio, ovvero realizzare un compromesso accettabile fra la riduzione
dell’esposizione ai livelli ragionevolmente più bassi (principio di ALARA)
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e l’efficacia diagnostica dell’esame : si riduce la dose ma non si
compromette la qualità diagnostica.
Al fine di contenere la dose, alcune possibili proposte di come sia possibile
intervenire sia a livello clinico che tecnico possono essere :
1. A livello clinico :
 Selezione appropriata dei pazienti.
 Non eseguire indagini che non modificano la diagnosi clinica.
 Respingere richieste non motivate.
 Utilizzare linee guida e protocolli codificati (modulabili in base all’età
ed al quesito clinico del paziente).
 Cercare di standardizzare le metodiche al fine di ottenere indagini
qualitativamente uniformi (richiamo all’etica e al rispetto delle norme:
principio di giustificazione).
2. A livello tecnico :
 Ottimizzare sempre i parametri tecnici (milliamperaggio, corrente del
tubo, kilovoltaggio, spessore di scansione, eccetera)
 Utilizzare i sistemi di modulazione automatica della corrente del tubo
di cui sono fornite le più moderne apparecchiature.
 Eseguire periodicamente i controlli di qualità sulle apparecchiature.
Promuovere con ogni mezzo la cultura di apertura all’informazione per
accrescere e divulgare sempre di più l’educazione sanitaria sugli effetti
indesiderati delle radiazioni ionizzanti, non è mai abbastanza, per questo non
dobbiamo mai rallentare nella ricerca di modi e mezzi per evitare inutili e
dispendiose prestazioni.
Ogni mezzo, anche il più piccolo e semplice può essere buono, ovvero
efficace, per contrastare fermamente la divulgazione di una medicina basata sul
profitto e sulla produttività, estranea al bene dei cittadini.
In una realtà sanitaria come l’attuale basata fondamentalmente sul
“consumismo”, non dobbiamo perdere la capacità di proporre l’informazione,
che resta sempre “l’anima profonda” di qualsiasi organizzazione, dove gli
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strumenti comunicativi vanno orientati verso i punti cardine del sistema, ovvero,
i cittadini-pazienti.
Partendo dalla centralità del cittadino-paziente, bisogna impegnarsi per
promuovere la qualità dei processi e dei servizi sanitari, dove “qualità” è prima
di tutto guadagno di salute e sicurezza del paziente, ovvero:
Più sicurezza del paziente = più qualità = meno sprechi
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CONCLUSIONI
Il
problema
ampiamente
trattato
riguardante
l’appropriatezza
della
prescrizione, a mio avviso si innesca su una crisi più profonda della professione
medica, se si pensa che in un’era come la nostra, dominata dalla medicina
tecnologica, ci si aspetta che la diagnosi sia un fatto quasi automatico che può
essere ottenuto dall’uso di una qualche sofisticata apparecchiatura.
Dall’altra parte invece, è sempre minore il tempo dedicato all’ascolto del
paziente, all’analisi dei sintomi, che come sappiamo è necessario per
indirizzare la persona ad un corretto iter diagnostico strumentale anche per
quanto riguarda le prestazioni radiologiche.
Dal mio punto di vista, sostengo che nonostante i numerosi e indiscutibili
vantaggi
delle
nuove
apparecchiature
nell’esercizio della professione
radiologiche
di
alta
tecnologia
radiologica, va sottolineato però che si
impiegano comunque sempre radiazioni ionizzanti (potenzialmente lesive da un
punto di vista radiobiologico) e che pertanto il vantaggio della riduzione della
dose, spesso eccessivamente enfatizzato rispetto alle reali prestazioni e
condizioni d’uso, non svincola i professionisti che impiegano le apparecchiature
diagnostiche dall’osservanza dei principi radio-protezionistici fondamentali e
dalle norme di buona pratica professionale.
In aggiunta, risulta chiaro che sono pochi i medici che conoscono realmente
le vere potenzialità dell’imaging diagnostico e la dose ricevuta dal paziente
durante l’esame; come sono pochi i pazienti che dichiarano di essere stati
informati dei rischi di un esame diagnostico.
Tutto questo fa riflettere che basterebbe una maggiore consapevolezza del
livello di accettabilità dei rischi biologici, una maggiore attenzione alle norme,
alla buona prassi radiologica e responsabilità per far sì che si possa
ridimensionare il fenomeno
divulgante del “consumismo” e dello “spreco”
radiologico, allo scopo di ottenere migliore qualità, sicurezza, sostenibilità
dell’assistenza sanitaria, ma soprattutto per recuperare il rapporto umano con il
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paziente attualmente messo sempre più in crisi dalla crescita “invadente” della
tecnologia.
E’ pertanto, dovere di tutti i professionisti sanitari, considerare tutte le forme
di comunicazione utili per consentire una corretta e adeguata informazione dei
cittadini sulle implicazioni che possono derivare dall’impiego delle tecnologie
radiologiche a scopo medico.
Anche se la comunicazione del rischio da radiazione è ancora uno dei
numerosi
capitoli
incompiuti
della
sanità,
è
necessario
continuare
instancabilmente a promuovere una buona comunicazione con il paziente per
costruire una relazione efficace con esso e una medicina sempre più a “misura
d’uomo”.
La buona pratica clinica e quindi anche la radioprotezione del paziente, sono
questione di cultura e professionalità che, né le linee guida, né i relativi
protocolli possono rimediare a carenze in questi ambiti; pertanto riguardo alla
responsabilità nei confronti del paziente, il T.S.R.M.
deve pretendere
l’applicazione del principio di giustificazione per riaffermare prima di tutto il
valore etico del diritto alla salute da parte del cittadino ed in secondo luogo per
evitare una sua responsabilità penale e civile.
Attuare i principi del “coinvolgere”, ”condividere”, ”collaborare”, ”comunicare”,
significa dare rilievo alle persone, più che alle strutture e ancora questa strada è
lunga da percorrere, così anche l’appello ad un maggior senso di
responsabilità, temo rimarrà ancora tristemente inascoltato.
Mi sembra appropriato concludere questo lavoro con una riflessione di Frush:
“Se tu somministri una dose non corretta di antibiotico, è un errore.
Se tu somministri una dose non corretta di chemioterapia, è un errore.
Se tu somministri una dose non corretta di radiazioni, è un errore?”.
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