La rivoluzione industriale in Gran Bretagna e nel

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La rivoluzione industriale in Gran Bretagna e nel
La prima rivoluzione industriale in Inghilterra trasforma drasticamente il panorama
economico, sociale e politico dell’epoca. Per prima cosa nasce lo stabilimento industriale
moderno, dato che le nuove macchine, di funzionamento più complesso delle precedenti, sono di
dimensioni talmente grosse da non poter essere impiegate nella tradizionale industria a domicilio.
Questo nuovo edificio raggruppa numerosi macchinari azionati dalla forza motrice della macchina a
vapore. Per questo motivo, ossia la presenza di una nuova forza inanimata che ha sostituito
l’impiego dei mulini ad acqua, le grandi industrie ora sorgono non più nei pressi dei corsi d’acqua,
bensì vicino a quelli che stanno diventando i grandi agglomerati urbani, dove si concentra pure la
nuova forza-lavoro del mondo industriale.
Si va così imponendo il nuovo modello del sistema di fabbrica basato sulla divisione del lavoro e
sulla cooperazione dei singoli addetti in un unico processo produttivo. Come abbiamo visto, in un
primo tempo l’industrializzazione coinvolge la produzione di beni materiali come i tessuti e di
energia come la macchina a vapore, per poi interessare i trasporti e le comunicazioni, stimolando
sempre più la tecnologia nella ricerca di nuove soluzioni e miglioramenti. Infine viene creato un
mercato più vasto con la conseguente circolazione crescente di denaro che dà impulso al sistema
bancario. In questo nuovo panorama economico si configura una nuova figura di imprenditore
caratterizzata dalla disponibilità a investire e a rischiare il proprio capitale nella produzione di
merci. Il denaro viene ora investito nei fattori della produzione, come ad esempio le materie prime e
i nuovi macchinari, allo scopo di ricavare profitto dalla vendita delle merci. Questo viene poi a sua
volta reinvestito in un ciclo continuo di guadagno-investimento. Approfondiremo nelle prossime
lezioni questo meccanismo di accumulazione di capitale che prende il nome di capitalismo.
Quest’ultimo porta a un cambiamento radicale di ogni aspetto della vita economica, favorendone lo
sviluppo.
Dall’altra parte, però, questo nuovo sistema mostra in breve tempo anche il risvolto della medaglia.
A intervalli regolari si riscontrano delle crisi (nel 1825, 1836, 1847, 1857) Importante appare capire
come si tratti di un tipo di crisi nettamente diversa rispetto a quelle del passato che erano legate a
degli squilibri tra le risorse alimentari e la popolazione. Con la rivoluzione industriale ci troviamo di
fronte a una crisi legata a uno squilibrio tra la domanda e l’offerta o in altre parole a un eccesso
di produzione rispetto alla capacità di assorbimento del mercato. Altri importanti cambiamenti sono
riconducibili al settore dei trasporti e delle comunicazioni. La locomotiva a vapore e le rotaie di
ferro segnano il XIX secolo più di qualsiasi altra innovazione tecnologica. Grazie alle ferrovie si
riesce ad ovviare il problema delle inadeguate strutture di trasporto che inibivano lo sviluppo
dell’industrializzazione. Il primo tratto ferroviario a essere inaugurato è la Liverpool-Manchester
nel 1830. Da qui in poi la rete ferroviaria britannica conosce un vero e proprio boom passando dai 2
mila km di ferrovie nel 1840 agli oltre 32 mila alla vigilia della prima guerra mondiale.
La rivoluzione industriale con il suo carico di innovazioni dall’Inghilterra attraverserò la Manica
per imporsi anche sull’Europa continentale con tempistiche e modalità differenti. Importante è
allora vedere le analogie e le differenze tra due modelli di industrializzazione. Da una parte
abbiamo il modello britannico che ruota intorno a una consolidata mentalità imprenditoriale che fa
della ricerca del profitto il proprio obiettivo e che vede nel mercato il fattore più importante nella
regolazione dell’economia. Cardine di questa mentalità è la libertà di iniziativa economica per
chiunque volesse rischiare i propri capitali in un quadro che vede come compito principale dello
Stato quello di rimuovere gli ostacoli all’attività imprenditoriale. Tutto ciò si basa sulle teorie del
pensiero economico liberista, che culmina in Gran Bretagna nel 1846 con l’abolizione da parte del
parlamento inglese dei dazi sui cereali introdotti dalle Corn Laws. Così facendo si impone in Gran
Bretagna una politica di tipo liberista che vede nella abolizione di ogni vincolo sugli scambi
commerciali il proprio obiettivo principale. Dall’altra parte abbiamo il modello continentale che si
caratterizza per il contributo determinante dato dalla Stato al decollo industriale. In questi Stati
vengono adottate politiche economiche di stampo protezionistico con lo scopo di proteggere le
nascenti industrie nazionali dalla concorrenza straniera. Inoltre i governi provvedono a finanziare in
prima persona le varie imprese economiche.
Facciamo ora un passo indietro e vediamo più nel dettaglio il processo di sviluppo industriale sul
coninente. Nell’Europa continentale l’agricoltura nel XIX secolo è ancora l’attività dominante
dando impiego a ben oltre il 50% della popolazione attiva (cioè il numero di persone che svolgono
attività lavorativa all’interno di una determinata popolazione). Tuttavia all’inizio dell’Ottocento
l’agricoltura registra anche sul continente, come abbiamo già visto per l’Inghilterra, alcuni progressi
significativi:
ampliamento della superficie coltivata;diffusione di moderni metodi di coltivazione
Questi si ripercuotono sul piano dei rapporti sociali vigenti nelle campagne europee:
innanzitutto sparisce la servitù della gleba (che sopravvive solo in Russia fino al 1861);parte del
patrimonio ecclesiastico viene confiscato e messo in vendita;la tradizionale distribuzione della
terra si modifica a favore di medi e grandi proprietari e affittuari borghesi, disposti a investire i
propri capitali nell’ammodernamento delle tecnologie.
Il Belgio è la prima nazione dell’Europa continentale ad adottar il modello industriale britannico, in
quanto disponeva di particolari condizioni favorevoli allo sviluppo industriale:
ha una lunga tradizione industriale che risale al ruolo economico delle Fiandre nel
medioevo;possiede un sottosuolo ricco di materie prime come il ferro e giacimenti carboniferi
facilmente accessibili;grazie alla sua posizione geografica e alle sue tradizioni politiche nel corso
della sua storia ha ricevuto importanti afflussi di capitali, tecnologie e iniziativa imprenditoriale
stranieri consentendogli di affermarsi anche all’interno di mercati esteri, soprattutto francesi.
A metà dell’Ottocento il Belgio è il paese più industrializzato del continente e riesce ad avvicinarsi
molto alla Gran Bretagna. Questo sviluppo è essenzialmente legato a due fattori che si impongono
dopo la conclusione della rivoluzione belga: la decisione del governo di intervenire a sue spese
nella costruzione di una estesa rete ferroviaria e nelle innovazioni istituzionali in campo bancario e
finanziario come ad esempio la costituzione di una banca azionaria per favorire l’industria
nazionale.
Tra tutti i paesi della prima ondata industriale la Francia rappresenta il caso più particolare. La
crescita economica francese inizia nel 1700 e per tutto il secolo i suoi tassi di crescita si
mantengono pressochè uguali a quelli della Gran Bretagna. Sul finire del secolo però i due percorsi
si distanziano con l’affermazione dello sviluppo industriale in Gran Bretagna e con lo scoppio della
rivoluzione francese in Francia. Questa differenza segna il successivo divario tra le due economie.
In Francia si afferma un modello di sviluppo economico con alcune peculiarità:
un basso ritmo di urbanizzazione dovuto a un modesto tasso di incremento demografico e
all’elevata percentuale (la più alta tra le grandi nazioni industriali) di addetti nel settore agricolo;una
ridotta dimensione delle imprese. A differenza delle grandi concentrazioni industriali della Gran
Bretagna in Francia troviamo industrie molto diversificate e disperse sul territorio. Questo è legato
anche alla natura delle energia a disposizione;una forte dipendenza (circa un terzo del consumo
totale) dalle importazioni di carbone. Anche per questo la Francia si affida molto di più rispetto
agli altri paesi all’energia idraulica.
Infine abbiamo la Germania che è stata l’ultimo paese di quelli della prima ondata a intraprendere
il processo di industrializzazione, tanto che alcuni storici parlano di inerzia tedesca. Questa
arretratezza è legata a diversi fattori tra cui vanno ricordati il precario stato dei trasporti e della
comunicazioni e l’esistenza di numerose entità politiche diverse con diverse sistemi monetari e
imposizioni fiscali. Alla vigilia della prima guerra mondiale però la Germania risulta essere la
nazione industriale europea più potente. Questo straordinario sviluppo può essere riassunto in tre
periodi della storia tedesca:
il primo va dall’inizio dell’ottocento al 1833 con la costituzione dello Zollverein (l’unione
doganale tra i vari stati tedeschi) e registra una presa di coscienza dei cambiamenti in atto in Gran
Bretagna, Belgio e Francia;il secondo dura fino al 1870 e vede la realizzazione delle fondamenta
materiali dell’industria, del commercio e della finanza;l’ultima fase vede l’affermarsi della potenza
industriale tedesca e il raggiungimento in poco tempo di una posizione di supremazia in Europa
grazie soprattutto alla crescita esponenziale dell’industria del carbone grazie alla presenza del
bacino carbonifero della Ruhr.