Donna e pari opportunità

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Donna e pari opportunità
Sofonisba Anguissola (Cremona, 1535 ca. – Palermo, 16 novembre 1625)
Autoritratto, 1554, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum
Sofonisba Anguissola fu una delle prime esponenti femminili della pittura europea, Sofonisba
rappresentò la pittura italiana tardo rinascimentale al femminile. Cresciuta nella scuola del pittore
lombardo Bernardino Campi, che non faceva parte della nota famiglia di pittori cremonesi dal più
celebre Vincenzo, Giulio Campi e Antonio anche se lo stile di Bernardino si rifaceva agli esponenti di
spicco della pittura dell'Italia del nord tra il '500 e il '600, la giovane Sofonisba applicò l'arte di
Bernardino Campi rivolgendosi in maniera particolare alla ritrattistica. Sofonisba Anguissola partecipò
come figura di spicco alla vita artistica delle corti italiane data anche la sua competenza letteraria e
musicale, ebbe una fitta corrispondenza con i più famosi artisti del suo tempo.
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ARTEMISIA GENTILESCHI (Roma, 8 luglio 1593 – Napoli, 1653)
Autoritratto come allegoria della Pittura, 1638-39, Royal Collection, Windsor
Nacque a Roma l'8 luglio 1593, primogenita del pittore toscano Orazio Gentileschi, esponente di primo
piano del caravaggismo romano, e di Prudenzia Montone. Presso la bottega paterna, assieme ai
fratelli, Artemisia ebbe il suo apprendistato artistico, imparando il disegno, il modo di impastare i colori
e di dar lucentezza ai dipinti, come sappiamo dalla testimonianza di un apprendista di Orazio, Niccolò
Bedino, che al processo per lo stupro di Artemisia testimoniò che la ragazza aveva dimostrato queste
abilità già nel 1609, pur non dipingendo ancora, ma limitandosi a disegnare bozze per la Sala del
Concistoro nel Palazzo del Quirinale). Dal processo emerse anche che i primi esercizi di pittura della
giovane ebbero per soggetto l'amica Tuzia e il figlio. Artemisia mostrò ben presto un talento precoce,
che venne nutrito dallo stimolante ambiente romano e dal fermento artistico che gravitava intorno alla
sua casa, frequentata assiduamente da altri pittori, amici e colleghi del padre. A Roma vi era un
concentramento di relazioni tra artisti: Artemisia crebbe in un quartiere popolato da pittori e artigiani e
il suo ambiente naturale era legato all’arte: tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento
Caravaggio lavorava a Basilica di Santa Maria del Popolo e nella Chiesa di San Luigi dei Francesi,
Guido Reni e Domenichino gestivano il cantiere a S.Gregorio Magno, i Carracci terminavano gli
affreschi della Galleria Farnese. Poiché lo stile del padre, in quegli anni, si riferiva esplicitamente
all'arte del Caravaggio (con cui Orazio ebbe rapporti di familiarità), anche gli esordi artistici di
Artemisia si collocano, per molti versi, sulla scia del pittore lombardo. Probabilmente Artemisia
conobbe personalmente Caravaggio, che usava prendere in prestito strumenti dalla bottega di Orazio.
Linfluenza del Merisi venne mitigata dall'altrettanta forte influenza del padre: l'apprendistato presso
Orazio rappresentò per Artemisia, pittrice donna, l'unico modo per esercitare l'arte, essendole
precluse le scuole di formazione: alle donne veniva negato l'accesso alla sfera del lavoro e la
possibilità di crearsi un proprio ruolo sociale. Una donna non poteva realizzarsi puramente
come lavoratrice, ma doveva perlomeno sostenersi col proprio status familiare; il lavoro
femminile non era riconosciuto alla luce del sole, ma si realizzava perlopiù "clandestinamente",
come dimostrano i registri delle tasse e i censimenti.
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Rosalba Carriera (Venezia, 7 ottobre 1675 – Venezia, 15 aprile 1757
Rosalba Carriera, Autoritratto con il ritratto della sorella, 1715, Firenze, Galleria degli Uffizi
Fu la prima che utilizzo l'avorio nelle miniature dandogli quella lucentezza caratteristica delle sue
opere. Fu inoltre la prima a non seguire le regole accademiche che volevano la miniatura dover
essere realizzata con tratti e punti brevi e ben amalgamati: lei invece vi trasportò il tratto veloce
caratteristico della pittura veneziana.
Nacque a Venezia, nel 1675, ed ebbe la fortuna di studiare da giovane anche la musica e la pittura
oltre al ricamo, al quale invece si dedicavano molto le sue coetanee del tempo.
Rosalba Carriera si discostò decisamente dallo stereotipo femminile collettivo, della damina
settecentesca tutta frivolezze, ella stessa aveva creato una sorta di circolo a cui appartenevano
personaggi illustri nell'ambiente artistico letterario. Fu la prima che utilizzo l'avorio nelle miniature
dandogli quella lucentezza caratteristica delle sue opere. Fu inoltre la prima a non seguire le regole
accademiche che volevano la miniatura dover essere realizzata con tratti e punti brevi e ben
amalgamati: lei invece vi trasportò il tratto veloce caratteristico della pittura veneziana.
Ottenne riconoscimenti in tutta Europa, i principi e principesse le commissionavano ritratti, giungendo
a ritrarre perfino il re di Francia Luigi XV.
Grazie anche a un intermediario, il suo amico Cristiano Cole, fu accettata dall'Accademia nazionale di
San Luca a Roma, con l'opera "Fanciulla con colomba"; entrò inoltre a far parte dell'accademia reale
durante il suo soggiorno parigino come ospite di Pierre Crozat, amico di Antoine
Mary Stevenson Cassatt (Pittsburgh, 22 maggio 1844 – Château de Beaufresne, 14 giugno 1926)
Mary Stevenson Cassatt, autoritratto.
Mary Cassatt nasce ad Allegheny City, in Pennsylvania, località attualmente diventata parte della
allora vicina Pittsburgh. Viene al mondo in una famiglia molto benestante e colta: suo padre, Robert
Simpson Cassat (in seguito trasformato in Cassatt) è un ricco agente di cambio e mediatore di terreni
mentre sua madre, Katherine Kelso Johnston, proviene da una famiglia di banchieri. Cresce in un
ambiente che considera i viaggi come parte integrante della formazione; trascorre cinque anni in
EuropMentre si trova all'estero impara il tedesco e il francese e prende le prime lezioni di musica e
disegno. Il suo primo incontro con gli artisti francesi Ingres, Delacroix, Corot e Courbet avviene
probabilmente durante l'Esposizione universale di Parigi del 1855. All'esposizione sono presenti con le
loro opere anche Degas e Pissarro, che diventeranno colleghi e mentori della Cassatta, visitando
molte della capitali del continente, tra cui Londra, Parigi e Berlino.
Nonostante la famiglia si opponga alla sua decisione di diventare un'artista professionista, Mary
Cassatt inizia a studiare pittura presso la Pennsylvania Academy of the Fine Arts di Filadelfia quando
ha solo quindici anni
Insofferente ai ritmi lenti degli studi e all'atteggiamento di superiorità nei suoi confronti degli studenti
maschi e degli insegnanti, decide di studiare i grandi maestri europei da sola. Mary sceglie quindi di
interrompere il corso (che all'epoca comunque non garantiva alcun titolo) e, superando le obiezioni del
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padre, nel 1866 si trasferisce a Parigi, accompagnata dalla madre e da alcune amiche di famiglia .
Dato che le donne non possono frequentare l'École des Beaux-Arts, prende lezioni private dagli
insegnanti della scuola e viene accettata come allieva da Jean-Léon Gérôme, molto conosciuto per la
sua tecnica iper-realistica e i suoi dipinti ispirati a tematiche esotiche.
La scena artistica francese sta profondamente mutando, poiché artisti delle idee radicali come
Courbet e Manet tentano di distaccarsi dalla tradizione accademica comunemente accettata; negli
stessi anni si stanno affacciando sulla scena gli impressionisti.
Nell'autunno 1871, solo pochi mesi dopo il suo ritorno in Europa, le prospettive per Mary Cassatt
migliorano decisamente. Il suo Due donne che lanciano fiori durante il Carnevale ottiene una buona
accoglienza al Salon del 1872 e trova un acquirente.
Nel 1874 decide di fissare la propria residenza in Francia. Cassatt continua a criticare la politica del
Salon e il gusto convenzionale che resta prevalente in quell'istituzione. I suoi commenti sono piuttosto
schietti, come riporta la Sartain, che scrive:"le sue critiche sono sempre taglienti e sarcastiche, snobba
tutta l'arte moderna, disprezza i dipinti che si trovano al Salon. Il suo cinismo cresce quando uno dei
due dipinti che ha proposto nel 1875 viene respinto dalla giuria solo per essere ammesso l'anno
successivo dopo che ne aveva reso più scuro il fondale. Nel 1877 entrambe le sue opere vengono
rifiutate e per la prima volta dopo sette anni non ha alcun dipinto esposto al Salon. In questo momento
molto critico della sua carriera viene invitata da Edgar Degas a mostrare i suoi lavori agli
impressionisti, un gruppo di artisti che ha iniziato nel 1874 ad organizzare delle mostre indipendenti
delle loro opere, con buon successo di pubblico. Cassatt ammira Degas, i cui pastelli l'hanno
profondamente colpita quando li ha visti nel 1875 nella vetrina di un gallerista. Accetta quindi l'invito di
Degas comincia a preparare dipinti per la successiva esposizione impressionista, in programma per il
1878 e che, dopo un rinvio dovuto all'esposizione universale, inizia il 10 aprile 1879. Con gli
impressionisti si sente a proprio agio e aderisce alla loro causa con passione, dichiarando "stiamo
sostenendo una lotta impari e dobbiamo radunare tutte le forze". Dato che non può frequentare i café
come i colleghi senza attirare attenzioni sgradevoli, li incontra in privato e alle mostre. Conta di
raggiungere il successo commerciale, vendendo i dipinti ai parigini sofisticati che prediligono
l'avanguardia. Continua ad esporre alle successive mostre degli Impressionisti del 1880 e del 1881,
rimanendo parte attiva del circolo fino al 1886. In quell'anno Mary prepara due dipinti per la prima
esposizione impressionista negli Stati Uniti. Il decennio che va dal 1890 al 1900 è il momento più
creativo della carriera di Mary, e quello in cui lavora di più. È molto maturata ed ha imparato a
manifestare le proprie opinioni in maniera più diplomatica e meno tagliente. Diventa anche un modello
per dei giovani artisti statunitensi che chiedono i suoi consigli. Tra questi Lucy A. Bacon, che Mary
presenta a Camille Pissarro. Anche se il gruppo degli Impressionisti si è ormai sciolto, Mary resta
comunque in contatto con alcuni di loro, tra cui Renoir, Monet e Pissarro. Con l'arrivo del nuovo secolo
diventa la consigliera di parecchi tra i principali collezionisti d'arte, ponendo come condizione che alla
fine questi donassero le loro acquisizioni ai musei statunitensi. Anche se i suoi consigli sono ritenuti
preziosi dai collezionisti, nel suo paese un vero riconoscimento del valore della sua arte tarda ad
arrivare.
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Tamara de Łempicka, pseudonimo di Tamara Rosalia Gurwik-Górska
Varsavia, 1898 - Cuernavaca 1980
Figlia di Malvina Decler, una polacca e di Boris Gurwik-Górski, agiato ebreo russo. A seguito della
prematura scomparsa del padre, dovuta al divorzio secondo le dichiarazioni dell'artista, o a un suicidio
secondo altre ipotesi, Tamara vive con sua madre e i suoi due fratelli (Stanisław e Adrienne),
sostenuta dalla famiglia Decler e vezzeggiata dalla nonna Clementine. Proprio per accompagnare la
nonna compie il suo primo viaggio in Italia nel 1907, nel corso del quale, dopo aver visitato le città
d'arte italiane ed essersi spostate in Francia, Tamara avrebbe imparato alcuni rudimenti di pittura da
un francese di Mentone.
La sua formazione scolastica, seguita dalla nonna Clementine, va posta tra una scuola di Losanna
(Villa Claire) in Svizzera e un prestigioso collegio Polacco di Rydzyna. L'anno successivo, alla morte
della nonna, si trasferisce a San Pietroburgo in casa della zia Stefa Jansen, dove conobbe l'avvocato
Tadeusz Łempicki, che sposò nel 1916. Durante la rivoluzione russa, suo marito venne arrestato dai
bolscevichi, ma venne liberato grazie agli sforzi e alle conoscenze della giovane moglie.
Considerata la situazione politica in Russia, i Łempicki decisero di trasferirsi a Parigi, dove nacque la
figlia Kizette nel 1920. Tamara iniziò a studiare pittura alla Académie de la Grande Chaumiere e alla
Académie Ranson con maestri come Maurice Denis e André Lhote. Qui affinò il suo stile personale,
fortemente influenzato delle istanze artistiche dell'Art Déco, ma al contempo assai originale. Nel 1922
espone al Salon d'Automne, la sua prima mostra in assoluto. In breve tempo divenne famosa come
ritrattista col nome di Tamara de Lempicka. Nel 1928 divorziò dal marito.
Fu anche ospite di Gabriele D'Annunzio al Vittoriale, rifiutando i suoi continui tentativi di seduzione.
Dopo aver viaggiato estesamente per l'Europa, ivi compreso in Italia e in Germania, all'inizio della
seconda guerra mondiale si trasferì a Beverly Hills in California con il secondo marito, il barone Raoul
Kuffner, che aveva sposato nel 1933. Nel 1943 si spostarono nuovamente, questa volta a New York,
dove la pittrice continuò la sua attività artistica.
Dopo la morte del barone Kuffner nel 1962, Łempicka andò a vivere a Houston in Texas, dove
sviluppò una nuova tecnica pittorica consistente nell'utilizzo della spatola al posto del pennello. Le sue
nuove opere, vicine all'arte astratta, vennero accolte freddamente dalla critica, tanto che la pittrice
giurò di non esporre più i suoi lavori in pubblico. Nel 1978 si trasferì a Cuernavaca in Messico. Morì
nel sonno il 18 marzo 1980. Come da sua volontà, il suo corpo venne cremato, e le ceneri vennero
sparse dall'amico, conte Giovanni Agusta, sul vulcano Popocatepetl.
Sonia Terk Delaunay (Hradyz'k, 14 novembre 1885 – Parigi, 5 dicembre 1979).
Studiò inizialmente a San Pietroburgo e nel 1903 seguì un corso di disegno a Karlsruhe, in Germania.
Nel 1906 si trasferì a Parigi, dove dipinse opere ispirate a Paul Gauguin e a Vincent Van Gogh e
dove, nel 1910, sposò il pittore Robert Delaunay.
Già orientata verso una pittura di puro colore, Sonia affiancò il marito nelle ricerche sul colore e sulla
rifrazione della luce, in cui l'effetto dinamico è espresso dalle sole modulazioni del colore e della luce
che danno all'opera un tono lirico, approdando al movimento chiamato orfismo (o cubismo orfico;
termine
che
deriva
da
Orfeo,
mitico
musico
della
mitologia
greca).
Sonia Terk cercò di portare l'orfismo oltre i confini della pittura: a partire dal 1913 realizzò stoffe a
contrasti simultanei, creazioni astratte di carta e tessuto e caratteri di stampa per libri a colori
simultanei, cioè con rapporti cromatici e caratteri tipografici diversi e con il testo stampato in verticale.
Nata nel 1885 ad Odessa in Ucraina, Sonia Delaunay approda a Parigi nei primi anni del ‘900 in pieno
clima di sovvertimento culturale; la matrice ucraina, dalle violente effervescenze cromatiche e la
cultura francese di taglio razionale, hanno formato nella loro salutare contraddizione, la base singolare
dell’inconfondibile, proliferante, creatività di Sonia Delaunay. Nel 1910 diviene la moglie di Robert
Delaunay, il pittore cubista che fornisce una particolare versione cromatica del mondo reinventato da
Picasso; da allora marito e moglie si scambiano le esperienze artistiche, arricchendosi reciprocamente
in perfetta simbiosi. Sonia applica le ricerche cubiste del marito ai suoi tessuti, ai suoi straordinari
bozzetti per abiti pensati per i più disparati impieghi, dagli abitini pret a porter ai costumi carnevaleschi
o teatrali o cinematografici. La regola di riferimento è quella dei contrasti dei colori simulatanei di
Chevreul; la vitalità del corpo sotteso all’abito si trasferisce nella composizione geometrica che
assorbe spazio e forma producendo col movimento continue variazioni.
Risale al 1913 il primo libro “simultaneo” realizzato assieme al poeta Blaise Cendrars dove i colori e
l’immagine grafica sono parte integrante della scrittura con cui si fondono. Del 1914 è il primo abito
“simultaneo” che ha ispirato a Cendrars i versi famosi “Sur la robe elle a un corps”, evidenziando la
compenetrazione abito/corpo. Successivamente al 1918 impianta il suo primo atelier a Madrid
rivelando insospettate doti imprenditoriali; nel ’24 apre a Parigi l’Atelier simultané per la creazione di
abiti e tessuti simultanei. Tra le due guerre, Sonia realizzò i primi vestiti astratti ed affiancò il marito in
alcune grandi decorazioni per l'Esposizione universale di Parigi del 1925. Dominio incontrastato di
Sonia rimase però l'arte dell'arazzo e del tessuto, che essa rinnovò profondamente sostituendo alle
decorazioni tradizionali dei motivi geometrici di sorprendente intensità cromatica, tipici della sua
pittura. Dopo la Seconda Guerra Mondiale continuò ad esporre nelle principali mostre le sue opere di
arte astratta Con straordinaria lungimiranza Sonia Delaunay precorre la moda di mezzo secolo
prefigurando pure le ricerche cinetiche e programmate dell’arte degli anni ’60. La sua parabola
creativa e i successi si moltiplicano negli anni successivi. Si ritira dalla produzione dopo la morte del
marito avvenuta nel ’41, per dedicarsi prevalentemente all’attività pittorica ed espositiva
Muore nel 1979.
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Frida Kahlo, Magdalena Carmen Frida Kahlo y Calderón (Coyoacán, 6 luglio 1907 – Coyoacán,
13 luglio 1954),
Frida Kahlo, “La colonna spezzata” (1944)
Frida Kahlo figlia di Wilhelm Kahlo, tedesco, nato a Baden-Baden da genitori ebrei tedeschi, emigrato
in Messico dall'Ungheria (dalla città di Arad, oggi sotto la Romania). Fu una pittrice dalla vita quanto
mai travagliata. Sosteneva di essere nata nel 1910, figlia della rivoluzione messicana e del Messico
moderno. La sua attività artistica ha avuto di recente una rivalutazione, in particolare in Europa con
l'allestimento di numerose mostre. Affetta da spina bifida, che i genitori e le persone intorno a lei
scambiarono per poliomielite (ne era affetta anche sua sorella minore), fin dall'adolescenza manifestò
talento artistico e uno spirito indipendente e passionale, riluttante verso ogni convenzione sociale.
Rimase vittima di un incidente stradale tra un autobus su cui viaggiava e un tram, a causa del quale
riportò la frattura delle vertebre. Un corrimano le trafisse la schiena, provocandole una forte
emorragia. Ciò la segnerà a vita costringendola a numerose operazioni chirurgiche. Subito dopo
l'incidente, e dimessa dall'ospedale, fu costretta a mesi di riposo nel suo letto di casa col busto
ingessato. Questa forzata situazione la spinse a leggere libri sul movimento comunista e a dipingere
(il padre era pittore). Il suo primo soggetto fu il suo piede che riusciva a intravedere tra le lenzuola. Da
ciò la scelta dei genitori di regalarle un letto a baldacchino con uno specchio sul soffitto, in modo tale
.
che potesse vedersi, e dei colori; cosicché iniziò la serie di autoritratti. Il regalo del letto a baldacchino
con annessa installazione di uno specchio durante il suo prolungato immobilismo, ebbero inizialmente
per Frida un effetto sconvolgente e la portarono al ricorrente tema dell'autoritratto. Il primo che dipinse
fu per il suo amore adolescenziale, Alejandro. Nei suoi ritratti raffigurò molto spesso gli aspetti
drammatici della sua vita, il maggiore dei quali fu il grave incidente di cui rimase vittima nel 1925
mentre viaggiava su un autobus. I postumi di quell'incidente (un palo le perforò il bacino e a causa
delle ferite sarà sottoposta nel corso degli anni a trentadue interventi chirurgici) condizioneranno la
sua salute (ma non la sua tensione morale) per tutta la vita. Il rapporto ossessivo con il suo corpo
martoriato caratterizza uno degli aspetti fondamentali della sua arte: crea visioni del corpo femminile
non più distorto da uno sguardo maschile. Allo stesso tempo coglie l'occasione di difendere il suo
popolo attraverso gli autoritratti, facendovi confluire quel folclore messicano e quell'autobiografismo
utopico che li rende originali rispetto alla canonica pittura di storia. Sotto questo aspetto, forte (ma non
privo talvolta di un certo humour) risulta nei suoi quadri l'impatto di elementi fantastici accostati a
oggetti in apparenza incongruenti. Si tratta di quadri di piccole dimensioni (Frida predilige il formato 30
x 37 cm) dove si ritrae con una colonna romana fratturata al posto della spina dorsale o circondata
dalle scimmie che cura come figlie nella sua Casa Azul. Tre importanti esposizioni le furono dedicate
nel 1938 a New York, l'anno successivo a Parigi e nel 1953, un anno prima della morte, a Città del
Messico. Nella sua casa di Coyoacán, la "Casa Azul", sorge oggi il Museo Frida Kahlo.
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Dorothea Lange (Hoboken, 26 maggio 1895 – San Francisco, 11 ottobre 1965)
Dorothea Lange, Migrant Mother, 1936
Nel 1902, a soli 7 anni, fu colpita da una grave forma di poliomielite, che le causò un difetto alla
gamba destra. Dorothea Lange reagì al suo handicap con estrema motivazione, studiando fotografia a
New York con Clarence White e collaborando con diversi studi, come quello, celebre, di Arnold
Genthe. Nel 1918 si spostò a San Francisco, aprendo un suo studio personale e diventando parte
integrante della vita della città, fino alla morte. Proprio lì dove Genthe aveva costruito il suo successo,
prima di spostarsi a New York, Dorothea Lange consolidò il suo futuro: sposò il pittore Maynard Dixon
ed ebbe due figli, Daniel (1925) e John (1928). Nel frattempo, complice il clima sociale di assoluto
interesse documentaristico, andò per le strade a immortalare la misera realtà dei quartieri disagiati,
aderendo formalmente al movimento della straight photography. La sua capillare opera di ricognizione
tra disoccupati e senzatetto della California suscitò le immediate attenzioni della Rural Resettlment
Administration, organismo federale di monitoraggio della crisi destinata, in seguito, a diventare l'FSA
(Farm Security Administration). Tra il 1935 e il 1939, le venne commissionato un gran numero
reportage, in special modo sulla condizione degli immigrati, dei braccianti e degli operai. Il 1935 fu
anche l'anno in cui Dorothea divorziò da Dixon, sposando l'economista e docente universitario Paul
Schuster Taylor. Taylor divenne l'uomo-chiave della sua attività professionale: ai reportage fotografici
della moglie, Taylor contribuì con interviste, raccolte di dati e analisi statistiche. Alcuni scatti di
Dorothea Lange, grazie alla frequente pubblicazione dei suoi lavori nelle riviste dell'epoca,
diventarono molto famosi. Su tutte, Migrant mother fu probabilmente quella che tutt'oggi viene
considerata un'icona della storia della fotografia: il soggetto è Florence Owens Thompson, una donna
di 32 anni, madre di sette figli, immortalata nei pressi di un campo di piselli in California (il titolo
originale, infatti, è Destitute Pea Picker). Esiste un curioso aneddoto circa questa fotografia: nello
scatto originale (conservato alla Library of Congress di Washington, che è possibile vedere qui),
appare una mano in basso a destra, che però nella foto andata in diffusione di stampa è stata
ritoccata. Nel 1947 collaborò alla nascita dell'agenzia Magnum e nel 1952 fu tra i fondatori della rivista
Aperture. A causa delle cattive condizioni di salute in cui versò negli ultimi anni di vita, la sua attività
subì una brusca battuta d'arresto. Morì a 70 anni per le conseguenze della poliomielite.
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Gina Pane (Biarritz, 1939 – Parigi, 1990)
Gina Pane è nata a Biarritz, in Francia nel 1939 ed è morta a Parigi nel 1990. Dopo una formazione
alle Belle Arti di Parigi, Gina Pane , alla fine degli anni 60, diventa un'importante protagonista della
body-art: mette in scena il proprio corpo in performance di cui rimangono delle fotografie come traccia
simbolica delle sue azioni.La sua prima performance è Escalade nel 1971: l'artista inizia il proprio
lavoro d'investigazione e sfida sul corpo infierendolo con piccoli tagli e/o frustandolo, creando
nell'osservatore uno shock visivo ed emotivo di notevole intensità. Tra le sue azioni performatiche in
cui il pericolo e il dolore dell'artista sono presenti e talvolta portati al limite ci sono: “Azione
sentimentale‿ performance del 1973 presentata alla Galleria Diaframma di Milano, “Death Control‿
performance del 1974 e infine Laure performance del 1976 presentata alla Isy Branchot di Bruxelles.
A partire dagli anni 1980, Gina Pane non metti più direttamente la sua propria persona fisica al centro
delle sue azioni, ma esegue delle istallazioni con accostamenti di differenti materiali mettendo sempre
in evidenza la sua idea di sofferenza umana. Gina Pane nelle sue performance, adopera il suo corpo
per ferirlo,trafiggerlo, oltrepassarlo: sul palmo candido della mano o sul lobo morbido dell'orecchio o
sulle dita del piede, un deciso colpo di lametta sferrato con tensione, provoca una ferita, un solco di
sangue. La ferita e il suo sangue, vengono vissuti come elementi accusatori e infine liberatori, lo
sfidare il corpo penetrandolo grazie a tagli e ferite esprime il desiderio insano di attraversarlo nella sua
totalità, ma anche di approfondire il rapporto con esso, insieme a quello di violare i tabù legati al
sangue e alla violenza fisica. L'esterno da cui salvarsi, i ricordi da cui liberarsi attraverso il trauma
emozionale di una lama che affonda nella carne, il disgusto come dimensione inoffensiva
appartenente alla normalità, viene riattivato dalla Pane e liberato nello shock emotivo delle sue
performance: il suo lavoro è una sorta di navigazione nell'inconscio collettivo. “...I miei lavori erano
basati su un certo tipo di pericolo. Arrivai spesso ai limiti estremi, ma sempre davanti ad un pubblico.
Mostravo il pericolo,i miei limiti, ma non davo risposte. Il risultato non era vero e proprio pericolo, ma
solo la struttura che avevo creato. Questa struttura dava all'osservatore un certo tipo di shock. Non si
sentiva più sicuro. Era sbilanciato e questo gli creava un certo vuoto dentro. E doveva rimanere in
quel vuoto. Non gli davo nulla.... Grazie alla sua sensibilità, le sue azioni hanno un forte aspetto
emotivo più che cruento: sono atti calibrati in cui il sangue esce misuratamente, sono gocce, non
pozze come nel caso di altri artisti suoi contemporanei. Nelle sue azioni colpisce l'incredibile calma e
compostezza contrapposta agli abiti macchiati di sangue, al dolore come strategia di perdita di
identità, come rivolta corporale, come insulto alla quiete sonnolenta in cui si vuole relegare la vita
umana. Gina Pane si espone in prima persona in un rituale che traccia una speciale archeologia
dell'esistenza, della propria vita, dei ricordi, delle esperienze, dei sentimenti, che ritualizza in una serie
di gesti che aprono una ferita, tanto fisica quanto mentale. Con l'artista il privato diviene pubblico in
una dimensione poetica prima ancora che politica, definisce una propria autonomia in cui la ferita
consente un linguaggio , una comunicazione, un dialogo, che irrompe sulle relazioni mancate tra
esseri dalle esistenze separate da convenzioni, scelte, referenze. “...Nel mio lavoro il dolore era quasi
il messaggio stesso. Mi tagliavo, mi frustavo e il mio corpo non ce la faceva più....La sofferenza fisica
non è solo un problema personale ma è un problema di linguaggio....Il corpo diventa l'idea stessa
mentre prima era solo un trasmettitore di idee. C'è tutto un ampio territorio da investigare. Da qui si
può entrare in altri spazi, ad esempio dall'arte alla vita, il corpo non è più rappresentazione ma
trasformazione... Nasce l'idea di un corpo che diviene un nuovo territorio di discorso, una nuova
indicazione di fuoriuscita dai vicoli ciechi di una realtà che ci ha trasformati in utenti, elettori, pazienti,
clienti...nell'esplosione dell'identità e di tutte le sue gabbie di riconoscimento.
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Marina Abramović (Belgrado, 30 novembre 1946)
Marina Abramović durante una performance.
Entrambi i genitori furono partigiani durante la Seconda guerra mondiale: suo padre Vojo fu un
comandante acclamato come eroe nazionale dopo la guerra; sua madre Danica fu maggiore
nell'esercito e alla metà degli anni sessanta fu direttore del Museo della Rivoluzione e Arte in
Belgrado. Abramović ha studiato presso l'Accademia di Belle Arti di Belgrado dal 1965-70. Ha
completato la sua formazione all'Accademia di Belle Arti di Zagreb, Croazia nel 1972. Dal 1973 al
1975 ha insegnato all'Accademia di Belle Arti di Novi Sad, mentre creava le sue prime performance.
Nel 1976 Abramović lascia la Jugoslavia per trasferirsi ad Amsterdam. Nello stesso anno inizia la
collaborazione e la relazione con Ulay, artista tedesco,nato tra l'altro nel suo stesso giorno. I due
termineranno il loro rapporto dodici anni dopo,nel 1989, con una camminata lungo la Grande Muraglia
Cinese: Marina decide di partire dal lato orientale della muraglia sulle sponde del Mar Giallo, mentre
Ulay dalla periferia sud occidentale del deserto del Gobi. I due cammineranno novanta giorni per poi
incontrarsi a metà strada dopo aver percorso entrambi duemila e cinquecento chilometri e dirsi addio.
Negli anni ’80 viaggia in Australia e nei deserti di Thar e del Gobi e in Cina; dal 1992 tiene workshop,
conferenze, mostre personali e collettive in tutto il mondo fino a vincere nel 1997 la Biennale di
Venezia con la performance “Balcan Baroque",dove per tre giorni Marina Abramovic ha grattato e
pulito una montagna sanguinolenta di ossa di animale, cantando litanie e lamenti, tra video che
celebravano la sua appartenenza ad un paese dilaniato dalle guerre in quegli anni.
Zaha Hadid
Nasce a Bagdad nel 1950. È fra gli interpreti più significativi del decostruttivismo in architettura.
Tiene conferenze in tutto il mondo e nel 1994 ha insegnato alla Graduate School of Design
dell'Università di Harvard, occupando la cattedra che fu di Kenzo Tange.
Un’infanzia in Iraq, poi gli studi a Londra. "L'esperienza del trasferimento" - racconta - "fu molto
liberatoria. Londra negli anni Settanta era molto più aperta di oggi. Adesso, so che gli Inglesi in realtà
sono sciovinisti e misogini, ma allora coglievo soprattutto il loro amore per tutto ciò che è eccentrico,
che mi ha permesso di fare ciò che desideravo ... Certo, se fossi stata un uomo avrei avuto vita più
facile" ammette oggi, ma senza acrimonia, lei che viene dal mondo islamico ed è abituata a
combattere il pregiudizio con le unghie della professione, si tratti di una cattedra ad Harvard o una
mostra del suo lavoro al Guggenheim. Ora vive e lavora dividendosi tra Londra e Roma. Nella capitale
inglese ha lo studio, popolato di giovani assistenti che la adorano.
Tra le sue opere ricordiamo il grande complesso alberghiero di Hong Kong; la stazione antincendio
realizzata per la famosa fabbrica di sedie Vitra, a Weil am Rhein, in Germania, il padiglione video musicale a Groningen, il bar ristorante Moonsoon a Sapporo e il Centro di Arte Contemporanea a
Cincinnati. Quest’ultimo sarà ufficialmente inaugurato nel 2001 e rappresenterà il primo museo
americano progettato da una donna.
Inoltre Hadid ha creato la Mind Zone (la Zona del pensiero) all’interno del New Millenium Experience
della Millennium Dome di Greenwich, a Londra.
"Sin dall'inizio ho pensato all'architettura in una forma differente. Sapevo quello che volevo fare e
quello che dovevo disegnare, ma non potevo farlo nel modo convenzionale, perché con i metodi
tradizionali non riuscivo a rappresentarlo. Gli strumenti tradizionali della rappresentazione non mi
erano d'aiuto. Così ho cominciato a ricercare un nuovo modo di progettare, per provare a vedere le
cose da un diverso punto di vista. Poi, con il tempo, quei disegni, quelle prospettive e quelle pitture si
sono trasformati nei miei veri strumenti di rappresentazione, qualcosa di più della semplice
elaborazione di schizzi ... Penso che il massimo impegno per un architetto debba essere
l'organizzazione della pianta, saperci entrare dentro, gestirla e muoversi in essa. La fluidità della
pianta, la sua frammentazione, l'azzardo perfettamente calcolato, sono idee desunte da Malevich e
dai suprematisti, che conducono a nuove forme di utilizzazione e creazione dello spazio. Ci sono
molte altre indicazioni desunte dagli insegnamenti dei suprematisti, come l'idea di leggerezza, la
tensione a staccarsi dal suolo che ha prodotto lo sviluppo dell'ingegneria e ha reso possibile le cortine
di cristallo di Mies van der Rohe a Chicago e New York ... L'architettura deve infondere piacere, il
piacere che si prova quando si sta in un luogo bello o in una abitazione gradevole, indipendentemente
dalle dimensioni. Ciò che di solito la gente non capisce del concetto di lusso, è che esso non ha nulla
a che vedere con il prezzo. La spiaggia di Copacabana, per esempio, ha una sabbia bellissima e per
andarci non bisogna pagare niente! Questo dovrebbe fare l'architettura: offrire l'idea del lusso a
grande scala".
Nel frattempo ha già vinto altri due concorsi, per un edificio a Kitzbuel e per un impianto sciistico a
Innsbruck.
Progettista del MAXXI di Roma Museo d’Arte contemporanea. Già aperto dal maggio 2010.
Kazuyo Sejima
Kazuyo Sejima è nata in Giappone, nella prefettura di Ibaraki, nel 1956.
Nel 1981 si è laureata in architettura presso la Japan Woman's University e
ha iniziato a lavorare nello studio di Toyo Ito. Nel 1987 ha aperto un proprio
studio a Tokyo. Nel 1995 fonda insieme a Ryue Nishizawa lo studio SANAA.
Ha insegnato al Tokyo Institute of Technology, alla Japan Woman's
University e alla Science University di Tokyo. Attualmente è docente presso
il
Politecnico
di
Losanna.
Ha partecipato a concorsi in Giappone e all'estero ottenendo numerosi
premi: ultimo, in ordine di tempo, è quello per il Learnig Center del
politecnico federale di Losanna
Kazuyo Sejima è davvero un architetto di tipo nuovo, il suo modo di
concepire l'architettura non presenta alcun tipo di continuità storica, anzi ,
per usare le sue parole "un edificio è in definitiva l'equivalente del diagramma dello spazio utilizzato
per descrivere astrattamente le attività quotidiane che vi si svolgono". Nessun indugio sui complicati e
contraddittori processi della progettazione in senso "classico", nessuna dipendenza, neppure
inconscia, dagli "archetipi" della storia, e ciò vale anche per i materiali e i colori… Il senso di relazione
fisica con lo spazio che si coglie nei suoi progetti non è, dunque, assimilabile al tipo di relazione di cui
si fa esperienza nell'architettura tradizionale, bensì a qualcosa che dipende in modo puro e semplice
da forme spaziali astratte. Abbiamo la possibilità di vivere un rapporto totalmente nuovo fra spazio e
corpo, siamo spinti a provare un'esperienza simile a quella che risulterebbe dal camminare per le città
e le strutture di un videogioco. Uno spazio di questo tipo non ha trama né odore, ha una dimensione
fisica ed astratta nello stesso tempo […] (Toyo Ito)
Tra i lavori più importanti si ricordano:
Police Box at Chofu Station, 1995;
World City Expo Tokyo, 1996 (progetto);
Housing studies, "A Study For Metropolitan New Housing", 1995;
Pachinko Parlor III, 1996.
La collaborazione con Ryue Nishizawa vede la realizzazione, tra gli altri, dei seguenti progetti:
Multi Media-studio, 1996;
S-House, 1996;
N-Museum, 1997;
M-House, 1997.
Nel 1994 le viene conferito il primo premio al "Commercial Space Design Award".
Opere:
Platform I,Katsuura, Chiba Prefecture, Giappone - 1988
Plarform II e III, Yatsugatake, Tokyo -1990
Castelbajac Sports Shop, Yokohama - 1991
Saishunkan Seiyaku Women's Dormitory, Kumamoto, Kumamoto Prefecture, Giappone - 1991
Pachinko Parlor I,Hitachi, Ibaraki, Giappone - 1993
Pachinko Parlor II,Naka, Ibaraki, Giappone - 1993
Y-House, Katsuura,Chiba, Giappone
Villa in the Forest, Chino, Nagano, Giappone - 1994
Police Box at Chofu Station, Chofu, Tokyo,
Pachinko Parlor III, Hitachiohta, Ibaraki Prefecture, Giappone
N-House, Kumamoto, Kumamoto Prefecture, Giappone
Yokohama International Port Terminal, Yokohama, Kanagawa Prefecture, Giappone
Apartment Building in Gifu, Motosu, Gifu, Giappone
Expo Tokyo 96, (progetto) Koto-Ku, Tokyo, Giappone
Multi Media Studio, Oogaki, Gifu Prefecture, Giappone - 1996 (con Ryue Nishizawa)
S-House, 1996, (con Ryue Nishizawa)
N-Museum, 1997, (con Ryue Nishizawa)
M-House, 1997, (con Ryue Nishizawa)
Metropolitan Housing Studies - 1995
Gifu Kitakata Apartment
O-Museum Usiku New Station Building
Museum of Contemporary Art of Sydney extension