L`inno strumento di predicazione

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L`inno strumento di predicazione
A cura del
Dipartimento
di Evangelizzazione
Ucebi - sezione musica
L’inno strumento di predicazione
Q
uesto è il tempo dove per insicurezza, per
mancanza di punti fermi, per paura che la
nostra storia, o la nostra identità sia spazzata
via, dalla globalizzazione di un mondo in movimento, si
cerca disperatamente di ricercare le nostre radici, ci si
volta indietro per vedere il cammino che abbiamo tracciato, e nel fare questo ci attardiamo e perdiamo quel
treno carico di nuovi imput di immagini che forse non ci
appartengono, ma che però faranno parte ogni giorno
di più del nostro quotidiano e diventeranno la nostra
storia. Trovare un equilibrio tra quello che eravamo,
quello che siamo e quello che diventeremo diventa
sempre più difficile.
Perché vi sto parlando di questo? Il motivo è semplice,
sempre più spesso, quando si partecipa ad un culto, ci
si trova, a seconda della comunità che si frequenta,
senza punti di riferimento. Mancano insomma quei segni
identitari che per anni ci hanno dato quel senso d’appartenenza, e quali sono: i canti, appunto, la musica, il
modo di porgere il messaggio, il come la comunità partecipa e ne è parte integrante.
Ho premesso che viviamo in un tempo ricco di storie,
di costumi, di tradizioni e di culture le più diverse, non
possiamo far finta di niente, è inevitabile che anche il
nostro modo di esprimere la fede si dovrà modificare in
base ai tempi, quindi se il passaggio in ambito musicale
sarà dal corale luterano al gospel o ai canti della tradizione più spiritual-evangelica che ci viene dai fratelli e
sorelle provenienti da altri Paesi, questo non ci autorizza
a fare del momento cantato-musicale uno spazio a se
stante al di fuori del testo che sarà meditato e spiegato
nel culto, ma, proprio come ci insegnano i salmi di Davide e come la più antica tradizione riformata ci ha tramandato, l’inno oltre ad essere l’espressione di gioia,
che una comunità esprime nel trovarsi insieme, è predicazione, è lode, ringraziamento, confessione di peccato,
richiesta di perdono, è denuncia della nostra miseria ed
è parte portante ed integrante della Parola predicata.
Lo sforzo che forse si dovrebbe cercare di fare è rendere più adulto l’intervento dell’inno nelle nostre medi-
tazioni, più appropriato, meno banale.
Con la musica il messaggio dell’evangelo corre veloce,
proprio perché aiutato dalla melodia; non affidiamo alle
note che danzano sul pentagramma parole inutili, facciamoci ispirare dai testi biblici, facendo uno sforzo a non
banalizzare il contenuto di un inno perché anch’esso è
parte del messaggio che vogliamo annunciare.
Purtroppo non sempre le nuove composizioni innologiche esprimono un pensiero evangelico e teologico che
ci fa essere fedeli alla Parola. Mi rendo conto che non è
facile, ma dobbiamo fare molta attenzione, perché proprio attraverso il canto, che è il veicolo più fluido per far
passare un pensiero ed un messaggio, rischiamo di predicare una fede che non ci appartiene e un Padre che
non conosciamo.
La responsabilità per un compositore e paroliere di
inni è molto grande, il cantautore evangelico, ha un
compito molto arduo e che non deve sottovalutare, perché rischia di far passare dei concetti che non hanno
alcun fondamento con il messaggio evangelico insegnatoci da Gesù Cristo.
Elisa Baglieri
Marzo 2006
Su questo numero:
Articoli di apertura
• Come lodare il Signore?
• Le armonie del tempo
• Dal sacro al profano e viceversa
Rubriche
• Il criterio dell'inclusività
• L'apostolo Paolo nel coro
• Musicisti ieri e oggi: Debora Russo
Finestra delle composizioni
• Musica e musiche
Animazione musicale nella liturgia
Come lodare il Signore?
che bloccano lo sviluppo mentale e spirituale della
personalità.
Allora niente culti di lode?
Ovviamente no; la lode è un
ambito fondamentale della
nostra fede che esprime la
nostra disposizione umile di
fronte a Dio. Mentre il ringraziamento si esprime per qualcosa, la lode è indipendente
da un oggetto, o un atto specifico. Si loda, perché Dio è Dio
e anche se mi sento afflitto e
colpito da lui, la mia lode si
può innalzare indipendentemente. Pochi modi di preghiera riconoscono in una forma
così perentoria la nostra piccolezza di fronte alla Sua divinità.
La soluzione potrebbe quindi consistere in un amalgamento di vari elementi nel
culto?
Herbert Anders
Prima, alcune domande: perché manifestare una
certa cautela nei confronti dei culti di lode?
Conosco i culti di lode principalmente dagli ambiti
carismatici, in cui sono collegati con stati euforici
della comunità che celebra. A mio avviso un culto di
lode deve essere molto di più che esprimere “emozioni”. Se fosse soltanto una domanda di stare bene
nel culto secondo lo slogan “let’s have a good time”
(trascorrere un tempo di piacere)”, allora si creerebbe un’ora domenicale di entusiasmo che però, appena messo il piede fuori, svanirebbe. In questa logica
della lode si sta bene in chiesa, mentre fuori di essa
c’è soltanto bruttezza e cattiveria. Si crea un fuori e
un dentro e la chiesa diventa un luogo appartato, in
cui uno si può rifugiare per segregarsi dalla realtà
quotidiana. Questo favorisce lo sviluppo chiuso di
chiese che non hanno più alcun contatto con la realtà nella quale Gesù Cristo le ha chiamate. A lungo
andare si possono installare veri e propri meccanismi di dipendenza da questa fonte di pie emozioni
Credo che varrebbe la pena sviluppare dei tentativi
in questa direzione. Nei nostri culti, in cui gli elementi
emotivi ci imbarazzano, si tratterebbe di acquistare
delle modalità che creano un clima di sicurezza in cui
possiamo trovare il coraggio di coinvolgerci anche
emotivamente. Il canto costituisce in questo un’opportunità senza paragoni. Ma anziché richiedere,
pretendere un canto e un ballo come lo vediamo
nelle chiese nere, dobbiamo avvicinarci con degli elementi che ci sono più conosciuti. Imparare, nella
situazione di un maestro che insegna all’assemblea,
è una modalità consone alle nostre aspettative ad un
culto. Formare una corale a più voci, o imparare
qualche movimento deve però anche essere collegato ad un ragionamento del perché. Solo per “have a
good time” non basta per le nostre teste teologicamente allerta. Per far onore alla tradizione o per
comunicare meglio i contenuti del canto, sono argomenti che passano con maggior facilità i controlli
della nostra coscienza spirituale.
Infine, nell’ottica delle affermazioni appena fatte,
Herbert propone nella pagina seguente un esempio
concreto di liturgia della lode.
1. Ingresso con lode
2. Invocazione
canti: Cantiamo un canto nuovo, n. 11 dal Cantate al Signore (Fcei, 2000)
Immensa grazia, n. 48 dall’Innario Cristiano (Fcei,
2000)/ 1-3 strofe
lettrice: Benedetto è il sito, e la casa, e il luogo, e la
città, e il cuore, e la montagna, e il rifugio, e la caverna,
e la valle, e la terra, e il mare, e l’isola, e il prato dove è
stato fatto cenno di Dio e la Sua lode è stata innalzata.
canto: Lode all’Altissimo, n. 169 dall’Innario Cristiano (Fcei, 2000)/ 1-3 strofe
3. I commento:
pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” è stata la mia domanda spontanea quando abbiamo insieme preparato questo
culto. Nei nostri canti l’abbiamo lodato per il creato
- il creato: ma il mondo, non c’è dubbio, si è formato
in un processo di evoluzione degli elementi primordiali
- tutto Egli donaci: forza, benessere. Ma la mia
esperienza quotidiana prende latte e miele, i due doni
proverbiali di Dio, dal supermercato
- tutto Egli donaci: la vita. Ma la scienza mi dice che
la mia esistenza è frutto dell’ingranaggio di ormoni con
processi biologici: la mia vita proviene dalla moltiplicazione delle cellule.
- per la misericordia e l’amore a noi donato. Ma la
mia vita è esposta a miseria, depressione, malattia.
• pausa •
benessere
lettrice: dal Salmo 147: Lodi il Signore! Perché Egli
mantiene la pace entro i tuoi confini, ti sazia con frumento scelto. Egli guarisce chi ha il cuore spezzato e
fascia le loro piaghe. Egli dà il cibo al bestiame e ai piccini dei corvi, quando gridano.
Sì, è cosa buona salmeggiare al nostro Dio; è cosa
dolce, e la lode si addice a Lui.
4. II commento:
pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” L’ultima parte del
salterio ne dà alcune ragioni: lodiamo Iddio perché Egli
ci ha soccorso, Egli ci ha liberato.
lettrice: dal Salmo 148: Alleluia. Lodate il Signore dai
cieli; lodatelo nei luoghi altissimi! Lodatelo, voi tutti i
suoi angeli; lodatelo, voi tutti suoi eserciti! Lodatelo,
sole e luna; lodatelo voi tutte, stelle lucenti! Lodatelo,
cieli dei cieli, e voi acque al di sopra dei cieli! Tutte
queste cose lodino il nome del Signore, perché Egli
comandò e furono create.
canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo
ritornello
6. IV commento:
pastore/ra: “Perché lodare Iddio?”
Lodiamo Iddio perché Egli è Dio sopra tutte le creature e tutto il creato.
lettrice: dal Salmo 146: Alleluia, anima mia, loda il
Signore! Il Signore libera i prigionieri, Il Signore apre gli
occhi ai ciechi, Il Signore rialza gli oppressi,
Il Signore ama i giusti, Il Signore protegge i forestieri,
sostenta l’orfano e la vedova.
Io loderò il Signore finché vivrò.
canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo
ritornello
7. V commento:
pastore/ra: “Perché lodare Iddio?” Lodiamo Iddio
perché:
- perché crediamo in una dimensione ed una forza di
creazione che abbracci i processi di evoluzione
- perché sappiamo che forza, benessere e vita sono
agenti dell’esistenza che non dipendano dalla nostra
canto (seduti): Cantiamo un canto nuovo, solo
ritornello
5. III commento:
pastore/ra: “Perché lodare Iddio?”
Lodiamo Iddio perché Egli ha a cuore il nostro
forza di acquisto, non dal benessere del PIL e neanche
dalla vitalità degli ovuli e spermatozoi:
- perché abbiamo sperimentato a vari punti della nostra
vita che il suo amore per noi ci libera dall’angoscia;
Noi lodiamo Iddio perché Egli nel suo figlio si è rivelato essere la Via, la Verità e la Vita.
canto: Gloria, gloria. gloria, n. 80 dal Cantate al
Signore (Fcei, 2000)
Le armonie del tempo
La musica è temporalità, memoria e ritmo
Deborah D’Auria
completa e il dolore mai ineluttabile, una situazione che non può che rinviare alla dimensione di
riscatto e di fede ebraica nella fiducia in un futuro
migliore che non viene annullata, nella speranza di
un tempo messianico in cui si vivrà pienamente
godendo degli attributi di libertà, pace, giustizia e
misericordia.
Non posso tacere, i nomi di musicisti ebrei come
N
el numero precedente, nel mio articolo intitolato: Le
musiche e il canto nell’esilio, sottolineo come dalla
distruzione del Tempio di Gerusalemme nel 70 d.C., la
musica e il canto della tradizione ebraica seguono il
necessario rimodularsi della vita religiosa, cultuale, culturale delle comunità ebraiche in esilio. In particolare, la
sinagoga in quanto luogo di studio e di preghiera, porta
con sé la nascita di un nuovo modo di fare musica che
attraversa l’intera storia della diaspora. Concludo dunque il nostro cammino con questa terza parte.
Cominciamo col dire che vi è un vastissimo repertorio di canti su testi poetici non liturgici di matrice
ashkenazita in lingua Yiddish individuabili nelle
regioni del Nord e dell’Est d’Europa. In essi frequenti
sono i temi legati alla famiglia e alla casa, alla povertà e
al dolore delle persecuzioni e dell’esilio, che si arricchiranno in un secondo momento anche di canti di protesta sociale contro lo sfruttamento e le condizioni di
miseria in cui versavano le classi operaie in Russia e in
Polonia. Accanto ad essi, occupano un ruolo importante, i canti della tradizione sefardita, di origine spagnola
che si sono diffusi dopo la cacciata dalla Spagna, in
tutto il Bacino del Mediterraneo e che cantano l’amore
felice o infelice, la bellezza della natura, delle stagioni,
del sole e delle stelle tutti doni ricevuti da Dio.
Ciò che traspare tra le righe sia dai canti sefarditi
che da quelli ashkenaziti è che la gioia non è mai
Schönberg
Mahler
Meyerbeer
Mendelssohn
Offenbach,
per citarne solo alcuni.
Ma la lista di musicisti,
compositori, esecutori e
musicologi ebrei, è lunghissima basti pensare
che l’Enciclopedia Judaica dedica quasi trenta
pagine all’elencazione di
questi nomi.
Nell’avviarmi alla
conclusione, non
può essere dimenticata, sia pure
sfiorando semplicemente il discorso, la relazione privilegiata che la
musica ebraica ha
con il tempo. La
vita religiosa ebraica è scandita da ritmi ben precisi che ne costituiscono
l’essenza, l’anima, il suo significato più profondo, ed
anche la musica è temporalità, memoria e
ritmo. Abraham Joshua
Heschel, ne “La terra è
del Signore. Il mondo
interiore dell’ebreo in
Europa orientale” parla
di “musica delle azioni” per indicare che la
musica sta nell’uomo
stesso, non è una sua
creazione in senso
stretto, la musica è la
sua vita, è il ritmo interiore ed esteriore che scandisce il suo comportamento,
è il tempo che prende forma e viene afferrato senza
essere lasciato al suo potere di distruzione e di oblìo.
Un tempo che si riferisce alla quotidianità, all’esserci
fino in fondo con il proprio nefesh, per usare un termine ebraico, con il quale si esprime la totalità della propria persona, un tempo che libera dall’angoscia del
limite umano di fronte alla
arditezza di grandi progetti
che si fanno per un tempo
futuro, e che in quanto tali
per l’appunto inafferrabili.
Tra le cose a me più care
che sono sulla mia scrivania
c’è un piccolo rebbe di
vetro, che mi è stato regalato di recente.
Dalla foto eccovi la
descrizione: un paio d’occhiali poggiano sul lungo
naso, i tipici riccioli incorniciano con la lunga barba la
bella faccia simpatica ed è stato realizzato dall’artista
nell’atto di suonare un violino. Continuo a guardarlo e
solo adesso mi accorgo del grande messaggio di cui è
portatore, il mio piccolo rebbe parla e mi ricorda
anch’egli di una musica delle azioni, la musica della
vita che dev’essere suonata da ciascun uomo e ciascuna donna, in ogni
tempo per tutta la
durata della nostra
esistenza in questo
mondo. Una melodia
che canta nella libertà,
in un susseguirsi di
note che siamo noi,
con le nostre storie, i
nostri tempi, le nostre
pause. Una melodia
che si svolge su un
unico pentagramma
che è la storia di Dio
con l’umanità che
non avrà mai fine, ma
sempre nuovi inizi.
Piccolo glossario
Lingua yiddish – È la lingua parlata dagli ebrei
dell’Europa orientale. È un misto di antico alto tedesco, ebraico e lingue slave. Si scrive con caratteri
ebraici.
Sefarad – Nome con cui veniva designata l’attuale regione della Spagna.
Ashkenaz – È il nome con cui veniva designata
la regione che oggi è identificabile con l’attuale Germania.
Rebbe – È il nome in yiddish di Rabbi.
Pensieri: Ciò che Dio vide
Dio vide che il Cielo e la Terra erano gelosi l’uno dell’altra: pertanto creò l’umanità a partire dalla Terra e la
sua anima a partire dal Cielo.
Tratto da : Racconti dello YiddishLand
Ben Zimet Garzanti 2001
L’Animazione musicale: dal sacro al profano e viceversa
L’esperienza dell’anima in azione con la musica - II
Antonio Celano
sesso, provenienza, formazione). Questa eterogeneità
garantisce di solito una inusuale ricchezza e produttività dei gruppi. Gruppi omogenei andranno poi costituiti
per attività specifiche e su competenze speciali. • Qual è il rapporto che una buona programmazio-
II puntata e finale a cura di Antonio Celano, operatore socioculturale. Carlo Lella lo intervista.
• Dunque Antonio, dopo una carrellata di alcuni
principi “generali” enunciati nella I
parte, in Musica nella liturgia di giugno 2005, potresti indirizzarci verso
l’atto, probabilmente più importante,
cioè quello della programmazione?
Di solito più che un programma predefinito abbiamo dei nuclei di attività
attorno ai quali costruiamo percorsi
flessibili e approfondimenti richiesti.
Ogni membro dell’équipe di conduzione porta una serie di proposte in alcuni incontri di programmazione, le
discute, le mette a punto, e cerca i
nessi con le proposte altrui. Si verifica
la pertinenza con finalità ed obiettivi
del progetto, si provano alcune proposte e attività, ci si procurano i materiali occorrenti e lo strumentario da utilizzare. Si
articolano le varie giornate di lavoro diversificando le
attività e possibilmente gli ambienti di lavoro. Una
cura particolare diamo a questi ultimi poiché molti
comportamenti problematici ci risultano facilmente
abbordabili con cambiamenti operati sull’ambiente più
che richiedere cambiamenti alle persone, ma questo
mi risulta difficile da spiegare in una breve intervista. Il
nostro ambiente di lavoro ha molto di un setting
terapeutico e niente di improvvisato anche quando ha
per oggetto una improvvisazione musicale di gruppo.
C’è, come puoi immaginare, una attenzione particolare alla durata di una proposta, ai tempi di ognuno, al
livello di difficoltà della proposta. Ci si documenta sui
partecipanti e le esperienze già fatte. Si predispongono dei gruppi di riferimento formati, in genere, in
base ad un criterio di eterogeneità (diversità per età,
ne, e l’animazione che ne scaturisce, determina fra i
gruppi e gli individui? Apprendere in uno stato di benessere aiuta a situarsi meglio rispetto al gruppo di lavoro e alle esperienze quotidiane. Un lavoro ben guidato dà fiducia
nelle proprie e altrui possibilità. Si ricomincia a
esplorare il mondo in modo più flessibile, si amplia la
propria mappa del mondo, si prova cos’è la democrazia degli affetti. Non è escluso che una persona vada
in crisi e soffra per la sua inadeguatezza. E’ ovvio che
nostro compito non è mandare in crisi le persone.
Faremo il possibile per accompagnarle ascoltando, facilitando con i mezzi che la nostra professione
ci mette a disposizione. Un fatto è certo, però, l’apprendimento è favorito da buone relazioni. Sono
le relazioni significative che scandiscono i nostri processi di crescita.
• Possiamo dunque passare ad illustrare concreta-
che avrebbe previsto l’uso di vari linguaggi espressivi, soprattutto di tipo
non verbale. Poi abbiamo chiesto che
negli incontri di formazione ci fossero
non solo gli animatori, che avrebbero
avuto in carico i bambini per le attività
, ma anche gli organizzatori, i dirigenti
delle associazioni di volontariato,
amministratori dei comuni ospitanti,
religiosi, rappresentanti delle famiglie
italiane ospitanti ed altre persone
coinvolte a vario titolo nell’esperienza.
Questo è un importante elemento di
metodo che permette di mobilitare le
risorse importanti a disposizione e utilizzarle nelle attività di formazione.
Per il lavoro che vi accingete a fare
sarebbe interessante coinvolgere persone provenienti
da comunità diverse, anche dall’estero se possibile, in
modo da avere un gruppo eterogeneo e ricco. Trovo
questo molto più efficace che fare un lavoro rivolto ad
animatori di una singola comunità che in qualche
modo già si conoscono e vivono dinamiche relazionali
consolidate.
Il gruppo eterogeneo per provenienza territoriale, per formazione e per ruoli, consente una
pluralità di scambi e possibilità nuove per i partecipanti sicuramente più del gruppo omogeneo che
risulta in genere apparentemente più produttivo nell’immediato perchè più affiatato. Chi propone a chi? Gruppo eterogeneo di conduzione e gruppo eterogeneo di partecipanti è un buon principio metodologico.
Vedrei per un buon gruppo di conduzione di uno
stage musicale almeno tre o quattro persone con competenze in ambito musicale, psicologico, pedagogico,
motorio ed artistico.
Esagerato? Non credo.Tu mi chiedi giustamente cosa
fare, pensando evidentemente ai contenuti. Il problema dei contenuti è relativamente semplice. Sapendo
bene a chi ci si rivolge non sarà difficile individuare
quei nuclei di attività che ho già citato. Questi nuclei
dovranno evidentemente coprire un largo spettro di
proposte che mettano le persone in grado di provare molteplici attività, se si tratta di uno stage di
base o se si propone uno stage specifico su una singo-
mente “il come si fa” una programmazione raccontando una tua esperienza significativa di “animazione”? Da dove partire, immaginando che siamo un
gruppo di lavoro che si incontra con te, quali strumenti dovremmo usare, quali errori andrebbero evitati o come rimediare…insomma un piccolo contributo metodologico che sarà utilissimo prima dei laboratori che stiamo progettando per la prima settimana di
settembre 2006.
Carl Rogers (1) riteneva che una équipe, quando
si accinge a fare un lavoro di tipo residenziale con
gruppi, non debba far niente di particolare nei
giorni che precedono l’inizio; bisogna stare insieme e stare bene senza farsi prendere dall’ansia e
senza darsi compiti dettagliati. Dal punto di vista psicologico, bisogna prepararsi ad un incontro importante
accogliendo le emozioni che ci attraversano e capendone la natura.
Mi chiedi di raccontare una esperienza significativa.
Ci provo, pensando a una esperienza che, alcuni anni
fa, ho condotto con animatori che avrebbero accolto
successivamente gruppi di bambini provenienti da Cernobyl per motivi di salute.
Era particolarmente stimolante l’incontro con un’altra cultura e diventava importante il cosa proporre, i
contenuti, oltre al metodo.
Dunque, cosa fare? Innanzitutto integrare, arricchire
il gruppo di conduzione in funzione di un programma
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musicale o altro. Comunque una attività che vede subito tutti al lavoro. Questa prima fase la chiamiamo di
“attivazione” ed è molto importante perché deve
risultare alla portata di tutti e deve fornire le prime
informazioni preziose sul livello di competenza musicale e motoria. Ho partecipato a gruppi in cui questo primo momento è risultato di grande espressività. Alcuni gruppi teatrali e musicali quando cominciano a lavorare fanno
proprio cose di questo tipo. la attività. Un animatore musicale dovrebbe a mio
parere avere dimestichezza con vari strumenti, col
canto ed il movimento senza essere necessariamente uno strumentista. Nella esperienza di cui ho
cominciato a parlare i partecipanti erano molto preoccupati per la lingua che avrebbero usato coi bambini
di Cernobyl. Noi abbiamo proposto alcune semplici
attività: canti, danze, giochi, con una attenzione particolare agli aspetti del proporre utilizzando poche parole e focalizzando l’attenzione sulla gestualità, pantomima, teatralità del conduttore. Comunicare con la musica è diventato gradualmente necessario e liberante
disponendo meglio tutti al lavoro futuro. A questo punto posso descrivere un incontro tipo
praticato. Di solito è diviso in tre parti a prescindere
dal tempo disponibile. Dunque accoglienza, attivazione, riscaldamento
nella prima parte. Ogni inizio d’incontro dovrà essere
così strutturato, ricordandosi che l’accogliere non si
limita al primo incontro in cui ci si presenta. Ho visto
animatori, anche bravi, dimenticare totalmente questo
aspetto. Un buon inizio è spesso determinante per
la tenuta del lavoro successivo. Varianti di queste proposte iniziali possono essere
delle camminate ritmiche proposte a turno da ognuno,
camminate strambe, accelerandi, camminate con vocalizzi, saluti cantati e suonati, saluti di tipo teatrale. Non
c’è ovviamente una successione rigida o una durata
standard di queste attività . Bisogna ogni volta capire
cosa accade e dare un legame significativo ad ogni
scansione successiva. Il conduttore può partecipare a
questa ricerca ed esplorazione oppure osservare.
Quando si è certi che il gruppo possa viaggiare sicuro, l’inizio può anche prevedere una attività più strutturata e guidata centrata su apprendimenti specifici
(un canto, una danza) o partire con una improvvisazione utilizzando tutto lo strumentario. Importante è
assicurarsi che ci sia partecipazione libera e creativa, senza imposizioni e ruoli rigidamente assegnati. Una breve riflessione del gruppo chiuderà questa prima parte senza che l’équipe si dilunghi in chiarimenti, spiegazioni spesso inutili. Le scoperte importanti
verranno comunicate al gruppo quando ognuno sente
di farlo senza l’ obbligo di dover riferire sui vissuti. Il
resto verrà gradualmente .
II parte: lavoro in coppie, triadi o piccolo gruppo. Si
lavora in ambienti separati e di solito la proposta consiste in un invito a creare, in un certo tempo, un prodotto da presentare al grande gruppo. Può trattarsi di
I Parte: dopo l’ attenta predisposizione degli ambienti
di lavoro (una sala grande ed alcune più piccole per i
lavori di gruppo), strumenti ed altri materiali
occorrenti, gli animatori accolgono i partecipanti e
non arriva all’ultimo momento o in ritardo come si usa
nei convegni o all’università. L’equipe dà brevi informazioni organizzative e logistiche, dopodichè si passa
subito alla prima proposta di lavoro. Una attività semplice, di grande gruppo, e di tipo motorio e musicale,
che scioglie le tensioni e allontana l’ansia. Può essere
una semplice camminata su musiche diverse, un gioco
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una creazione con strumenti scelti o assegnati dal conduttore, di una coreografia, di un rito, un canto su un
tema specifico assegnato, o di una improvvisazione
musicale e motoria. E qui devo aggiungere che all’improvvisazione a volte dedichiamo molto spazio,
dando la possibilità ad ogni gruppo di lavorare con
osservatori che hanno il compito di descrivere, discutere quello che hanno visto ed ascoltato analizzando i
molteplici aspetti di una produzione e la complessità
delle relazioni in atto. Formarsi attraverso la pratica
dell’osservazione è molto importante e produce
notevoli cambiamenti nelle persone. Abituarsi ad usare
un linguaggio descrittivo, non valutativo è il primo
passo. Praticare il non giudizio e il non intervento;
situarsi ad una giusta distanza emotiva e fisica;
accogliere le emozioni e i sentimenti che ci attraversano mentre osserviamo; imparare a stilare un
verbale di osservazione; sono questi, alcuni degli
aspetti importanti dell’osservazione praticata con
metodo. Questa strutturazione del lavoro non è un vezzo tecnicistico, essa è essenziale in un fare e pensare essenzialmente dialogante e collaborativo; un’impostazione
applicabile sia in uno stage di base che in uno di livello
avanzato, con bambini e con adulti di culture diverse.
A questo proposito il lavoro di alcuni movimenti a dif-
fusione mondiale conferma la possibilità di praticare
questa metodologia, senza problemi di sorta, in paesi
e culture diverse. L’uso di simbolismi, rituali, pratiche
naturalmente cambia ma non cambiano gli obiettivi.
III parte: ascolto musicale e percezione corporea
con utilizzo di materiali vari. Si lavora al suolo su
moquette, parquet o stuoie con brani di vario tipo adeguatamente selezionati. Durante l’ascolto si lavora in
coppie su singole parti del corpo con alternanza di
ruoli. Non si tratta di rilassamento o tecniche orientaleggianti ma di un lavoro essenzialmente relazionale,
mediato da musica e materiali vari: foulard, palline,
attrezzi vari. Segue una discussione possibilmente maieutica,
invitando ad esprimersi su quello che si è appena fatto.
In questo modo si evita di parlare a vuoto. I conduttori provano a non utilizzare le cosiddette barriere
della comunicazione (dirigere, moraleggiare, giudicare, interpretare, ridicolizzare ecc..), usano
l’ascolto attivo, risolvono i conflitti senza che ci siano
perdenti, invitano a usare il cosiddetto “linguaggio in
prima persona” e danno esempio di gestione democratica dei conflitti e delle differenze di valori.
Avrai riconosciuto sicuramente, dal linguaggio che
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comunicano intensamente e felicemente, i loro corpi
sono impegnati in una sorta di sinfonia audio-visivocinetica, in cui la ritmicità, la rispondenza, l’ordine,
l’organizzazione prevalgono sulle fluttuazioni causali,
sulle turbolenze, sul disordine...I gesti dell’uno vengono ripresi da quelli dell’altro, c’è rispecchiamento nella
postura, nel tono, nel tempo- ritmo, c’è empatia (emozione condivisa), frutto di ascolto e calibrazione reciproca (attenzione ai segnali dell’altro), c’è produzione
di novità nella concatenazione degli scambi, ovverosia
assenza di stereotipie e ripetizione ossessiva; in sintesi,
c’è la condivisione di un progetto espressivo (sul versante esterno) e autoesplorativo (sul versante
interno).(Mauro Scardovelli “Il dialogo sonoro” ed.
Cappelli 1992, pag.44).”
A presto, buon lavoro a tutti e a tutte e un grazie per
questa opportunità di riflessione comune.
sto usando, gli elementi chiave del metodo Gordon
(2). Al riguardo aggiungo, avviandomi a chiudere
questa chiacchierata, che mi sono fatto promotore e
organizzatore nella mia zona , e qui torna l’importanza del legame tra formazione musicale e versante
socioculturale, di una serie di corsi Gordon (Genitori
efficaci, Insegnanti efficaci, Persone efficaci). A questi
laboratori partecipano anche animatori e musicisti
che amano fare percorsi di formazione continua e di
ricerca lavorando ad un aggiornamento dei principi e
metodologie dell’animazione per salvarla dal tritatutto della cultura mediatica e scolastica dominante e
tener vivo l’interesse per una cultura musicale democratica. • Come in una bella sinfonia o un
gioco di fuochi pirotecnici, puoi offrirci
un “gran finale”?
Devo deluderti, se ci fossero altre
persone con noi in questo momento,
chiederei a loro una riflessione finale.
Preferisco non concludere io perché mi
vengono un bel pò di domande piuttosto che delle conclusioni. Spero che
prossimamente tu mi proponga una
conversazione a più voci piuttosto che
una intervista. Dunque, a proposito di
sinfonia, permettimi di affidarmi ad una
citazione di uno dei miei maestri.
Scrive Scardovelli, noto musicoterapeuta italiano: “Quando due persone
(1) Carl Rogers, tra i fondatori della psicologia umanistica ed in particolare del cosiddetto “approccio centrato sulla persona”.
(2) Thomas Gordon, psicologo clinico, stretto collaboratore di Rogers, ha messo a punto programmi di
training per genitori, insegnanti, leaders, realizzati in
tutto il mondo.
Nei locali della chiesa battista di Bisaccia
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Note in musica
ogni studio biblico e sempre in preghiera a fianco a
fianco ricerchiamo di fare la Sua volontà.
Allora perché tanta diversità che non è differenza
che s’incontra e dialoga ma individualismo o ‘comunitarismo’ che separa e disperde?
Chi ha la gioia di visitare le nostre comunità può
notare come si viaggi alle velocità più diverse.
Il criterio dell'inclusività
Virginia Mariani
S
e c’è un testo della Bibbia, in verità un intero libro
sebbene breve, che mi tormenta ogni volta che
penso al suo contenuto evidente e contraddittorio
eppure tanto profondo nell’esprimere la contraddittorietà della vita, alla sua struttura inesistente e sfaccettata ma tanto più rivelatrice dell’esistenza umana, al suo
messaggio antico e tuttavia così contemporaneo…
quello è l’Ecclesiaste: “Tutto è come un soffio di vento:
vanità, vanità, tutto è vanità. […] Non c’è niente di
nuovo sotto il sole.”
Comunità nelle quali a ogni incontro viene presentato
un nuovo canto, contemporaneo inglese adattato italiano
che sia, senza neanche la possibilità di interiorizzare il
precedente; comunità nelle quali ancora non si conosce
la banalità, a dire di qualcuno, di un canto perché più o
meno consciamente affezionate, sempre a dire di quel
qualcuno, al più edificante inno; comunità con proprie
raccolte perché scontente del solito e attratte dal nuovo
preso un po’ qua e un po’ là, il più delle volte tradotto o
trascritto male; comunità tradizionali o tradizionaliste,
comunità moderne o postmoderne; comunità ancorate
alle proprie origini e comunità al passo con i tempi, ma
tutto e sempre per tenere fede alla propria identità.
Comunità che, comunque, dovrebbero ripensare, ma
dovrebbero riuscire a farlo insieme, sul quel semper
reformanda. E che dovrebbero tenere fede a Dio più che
a se stesse.
Molto dipende dalle comunità ma molto più ancora da
chi le guida curandone la crescita spirituale, oltre che
numerica, dal senso di appartenenza, dall’ascolto reciproco e dalla collaborazione.
Nei miei due interventi precedenti mi sono proposta di
riflettere con voi sul ruolo che ha la musica e il canto non
soltanto nei nostri incontri, ma anche nella nostra esi-
Mi tormenta poiché, pienamente cosciente dell’inutilità degli sforzi umani, mi ostino a credere nei figli e
nelle figlie di Dio che ricercano di sapere quale sia la
volontà del loro Creatore anche per l’avvenire. E sin dai
tempi dei tempi in questo non c’è nulla di nuovo perché fratelli e sorelle in ogni comunità, in ogni culto, in
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stenza poiché ognuna nella coralità della vita comunitaria esprime se stessa e lì incontra la Parola e rinnova,
sentendosi direttamente interpellata, il proprio “Sì!” al
Signore e Salvatore Gesù trovando nuovo slancio e
ritrovandosi nelle parole di ogni testo letto o cantato
così come in ogni preghiera detta o ascoltata.
Anche a questo si ispirò il Convegno regionale FDEI
svoltosi a Bari il 10 ottobre 2003 il cui tema era “Ama il
tuo prossimo come te stessa: dall’esclusione all’inclusività”. I lavori non furono mai pubblicati ma anche l’attuale dibattito su Riforma rende l’argomento ancora
molto attuale.
Nei lavori di gruppo, infatti, osammo riscrivere preghiere, inni e addirittura testi biblici proponendoci di
usare non soltanto la lingua italiana in modo non sessista ma di rispettare il criterio dell’inclusività, condizione imprescindibile di una contemporaneità che ha
preso coscienza del valore della differenza che è ricchezza, pluralità, reciprocità, partecipazione.
Vi presento, dunque, le proposte di innovazione che
riguardano, dato il tempo a disposizione, soltanto alcuni
inni tradizionali presenti nell’Innario Cristiano del 2000.
• Per tutti gli inni, e non soltanto per i pochi pure
presenti nella raccolta (come il n. 255), si propone
di scrivere, o semplicemente di ‘pensare’, il maschile e
il femminile impiegando la barra. Es: redenti/e;
grati/e; ognuno/a; solo/a.
Sembra sciocco, oneroso, scomodo, inutile, superfluo, farraginoso, incomprensibile e, per finire, brutto a vedersi
(è tutto quello che mi sento
dire!) ma non c’è nulla di male
nel comunicare, e prima ancora
nello spiegare, a chi sta leggendo che è offerta la possibilità di
scegliere una delle due versioni
in modo da sentire anche nel
canto un po’ più vicino il testo e
non per questo sentire di allontanarsi dalla comunione con il
fratello o con la sorella o, addirittura, con Dio (che avesse
avuto in mente il tipo di unità
che abbiamo noi avrebbe previsto un altro tipo di Creazione!)
• Inno 71 “Innalziam, fratelli, il canto”
Nel primo rigo della prima strofa si propone di sostituire “fratelli” con “insieme”; “Innalziam” diventerebbe
“Innalziamo”.
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• Inno 134 “Padre, alla Chiesa universale”
Si propone di sostituire nella prima strofa “i figli tuoi” con “il tuo popolo”: “Da il tuo popolo nel mondo”.
• Inno 239 “Cantiam, cantiam a Dio”
Nella prima strofa si propone di sostituire “l’uom” con “noi”: “Il Mansueto, il Pio dal ciel per noi discese”.
• Inno 335 “Il Regno tuo, Signor nel mondo venga”
Si propone di sostituire nella terza e nella quarta strofa “l’uomo” con “ci”: “dell’avversario la potenza aumenta,
che ci assale con furor mortal.” e “Contro ogni mal che ci opprime e strazia”.
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Si sa che ci sono problemi teologici e di traduzione, ma sappiamo pure che in quanto esseri finiti non riusciamo
a esprimere totalmente i nostri pensieri, le nostre emozioni e la complessità del nostro rapporto con Dio: la perfezione non è di questo mondo e non dico nulla di nuovo!
Questo, però, ci invita a ricercare e sperimentare sempre nuove forme e nuovi contenuti per raccontare ogni
giorno la nostra esistenza in Cristo e per dare lode, fuori da qualsivoglia vanità personale, al nostro Signore!
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L’apostolo Paolo
nel coro
zionano bene, ma se un organo è malato tutto il corpo
finisce per entrare in sofferenza.
La cosa più interessante in questo paragone è l’idea
che, mentre il corpo è uno, le membra sono tante e
diversificate, ma tutte concorrono con la propria funzione specifica al bene del corpo. Così è, dice Paolo,
anche nella chiesa dove ci sono apostoli, profeti, dottori, guaritori, interpreti ecc... Qualcosa di analogo si può
dire anche per un coro: in esso non tutti sono soprani
o tenori o bassi; se ci sono strumentisti ognuno concorre all’insieme col proprio strumento formando con le
voci un insieme armonico e (si spera) armonioso.
Ci sono inoltre in un coro altre funzioni: quella importan-
Ferruccio Corsani
“Ci sono molte membra, ma c’è un unico corpo;”
“Vi è diversità di doni, ma vi è un medesimo Spirito”
Abbiamo nel nostro paese un discreto numero di cori
e corali: dalle tradizionali corali delle Valli Valdesi, risalenti all’incirca all’inizio del secolo scorso, ai cori di
diverse comunità battiste, metodiste e valdesi oltre che
di altre denominazioni evangeliche; possiamo ad essi
aggiungere i cori delle comunità di fratelli e sorelle che
provengono da varie parti del mondo. Cori, corali...ma
che cos’è una corale?
tissima del direttore, poi, se c’è un fondo cassa, del tesoriere, un archivista per tenere in bell’ordine gli spartiti, e
magari un presidente che diriga e coordini le varie attività.
La Corale è dunque in un certo senso la parabola
vivente di un “corpo” ricco di doni vari, in cui ognuno
svolge in spirito di servizio la propria funzione per il
bene del sodalizio e per metterlo in grado di attuare
con efficacia l’azione collettiva di insegnamento, di
diletto, di edificazione, di evangelizzazione. Ciò va fatto
con senso di responsabilità e, come dice Paolo, con
semplicità, diligenza e con gioia “secondo la grazia che
ci è stata concessa”.
Letture: I Corinzi 12, 12-20; 26-31
Romani 12, 4-7
Ci sono tre risposte, egualmente valide e complementari fra loro.
La prima: è un gruppo di amici con interesse comune
e che si trovano bene insieme.
La seconda: è un sodalizio di persone appassionate
per la musica e che amano cantare.
La terza: è un gruppo di servizio che agisce a vantaggio della propria comunità nei culti ed in altre occasioni, all’interno e possibilmente all’esterno della chiesa. A
queste considerazioni, che ritengo valide, vorrei aggiungere un’ultima idea tratta dal ragionamento dell’apostolo Paolo, il quale paragona il “corpo di Cristo” che è
la chiesa, al corpo umano formato da molte membra
ed organi, ognuno con la sua propria funzione e tutti
costituenti un'armonica unità; questa armonica unità
funziona bene se le varie membra e i vari organi fun-
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Musicisti ieri ed oggi: Debora Russo
Canti o musiche i cui contenuti siano significativi
Carlo Lella
Cosa intendi per “sforzi”?
Nel caso nostro cerchiamo di unirci di tanto in tanto
per imparare canti nuovi, un piccolo gruppo di giovani.
Qui però vorrei esprime un desiderio e cioè che tutta
la chiesa possa partecipare a questo tipo di lavoro. Il
coro non dovrebbe essere un fatto esclusivo per pochi,
per lo meno quando si imparano i canti comunitari.
Debora, incominciamo dalla domanda tipica, e cioè
a quanti anni hai cominciato a suonare in chiesa.
Immagino che questo gruppetto sia composto dai
più giovani, e la fotografia riportata nella pagina ne è
testimonianza. Come fai a coinvolgerli?
Innanzitutto cerco di organizzare un lavoro distensivo e quasi di “gioco”. Impariamo nuovi canti anche
con facili canoni, li armonizziamo a due voci, qualche
volta a tre.
Avevo circa dodici anni quando ho cominciato a suonare in chiesa. Parlo della chiesa battista di Fuorigrotta,
a Napoli. Ho intrapreso lo studio del pianoforte a sei
anni, quando hanno scoperto che ero dotata del famoso “orecchio assoluto” per cui riuscivo a riconoscere i
suoni soltanto sentendoli, senza guardare i tasti del
pianoforte. Poi mi sono diplomata a ventidue anni
secondo il percorso tipico da buona studentessa e di lì
è cominciato il mio cammino da musicista.
E passiamo ad una domanda provocatoria: come mai
i musicisti sono sempre più rari nelle nostre chiese?
Forse c’è poco volontà di impegnarsi, o forse c’è una
sorta di poca disponibilità da parte di tutti. Si va sempre di fretta, il tempo è poco, Il lavoro non c’è... Questo
è un giudizio che cade soprattutto su di me, chiaro.
Credi che ciò possa non riguardare solo la disponibilità ma anche un modo di valorizzare o meno i nostri
musicisti nelle chiese?
Ma, nella mia chiesa in particolare non sento questo,
perché riceviamo molti incoraggiamenti. C’è molta
Passiamo ora ad un’altra domanda “ufficiale”. Come
cantano oggi le nostre chiese?
Ma, sento che alcune sono abbastanza organizzate
nel senso che riescono a cantare intonate, a seguire
abbastanza bene il ritmo, in altre si formano piccoli cori
interessanti, parlo chiaramente delle nostre chiese battiste perché sono quelle che conosco. Insomma ci sono
degli sforzi di miglioramento che vanno sottolineati ed
incoraggiati.
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gioia quando si sentono i ragazzi che s’impegnano.
Anzi vorrei evidenziare l’impegno di una famiglia
rumena che frequenta la nostra chiesa e che hanno
una dedizione notevole anche per quanto riguarda i
canti e la musica. Sono veramente persone consacrate.
Insito sul problema della valorizzazione: una musicista professionista, come te ad esempio, può avere una
sua collocazione professionale anche all’interno di una
chiesa? Mi spiego meglio: ad esempio, la domenica tu
vai anche per suonare, però se la sera prima, come
tutti i musicisti, devi lavorare, e lavorare fino a tardi, e
per tardi significa che prima delle tre o le quattro a
casa non torni, la domenica mattina come ti senti?
Tocchi un tasto, giusto per essere in tema, molto
delicato. Certo è che quando devo lavorare nel senso
che tu dici, ed io spererei che questo possa accadere
tutti i sabati e non solo un sabato, per ovvie ragioni, è
certo che in chiesa, in quel caso, posso andarci con più
difficoltà ed il mio impegno un po’ si ridurrebbe. È
chiaro che fino a che posso il Signore lo voglio servire
fino all’ultimo sacrificio, ma quando ti capita di avere
serate impegnative è proprio “fisicamente” difficile
lasciare il letto...allora il Signore sa che io canterò e
suonerò per lui anche se in quel momento non sono
potuta andare nella mia comunità.
Ti dico allora che forse sì, alla domanda che mi hai
fatto, l’impegno del musicista nelle nostre chiese
andrebbe valorizzato anche dal
punto di vista professionale.
Comunque ho capito che tu
mi stai inducendo a dire che le
chiese dovrebbero pagare i
musicisti. Io credo che se il
musicista ne ha effettivamnete
bisogno o se deve scegliere tra
le serate del sabato o l’impegno costante in chiesa è chiaro
che come accade nella vita ci
deve essere una scelta. In quel
caso si andrà in comunità
quando è possibile, e si fa di
tutto perché ci siano più possibilità, ed invece ci si deve
assentare quando le ovvie
ragioni lo determinano.
Insomma vale per tutti il fatto
che bisogna lavorare per vivere, ma che il lavoro non
basta perché il vero cibo della vita proviene dall’amore
di Dio.
Il problema è anche, diciamolo, che le nostre chiese
sono abbastanza povere, per lo meno la mia. Dunque
conoscendo la situazione cerco di impegnarmi più che
posso, come anche per tutte le altre attività di evangelizzazione oltre che per gli incontri dove tu stesso mi
hai chiesto un aiuto professionale. Del resto ho sentito
di agire così fin da quando ero piccola.
Hai una proposta affinché le comunità possano trovare una strada per valorizzare anche professionalmente i musicisti?
Ad esempio sostenendoli negli studi.
Ora un’altra questione spinosa. Nell’evangelizzazione quali canti e quale musica occorrerebbe proporre?
Lo chiedo soprattutto a te che sei uscita spesso fuori
dalle mura della comunità con la tastiera ed il canto.
Innanzitutto, parlo soprattutto di oggi, l’evangelizzazione non è solo un fatto di uscir fuori dalle nostre
chiese, ma piuttosto di uscir fuori dalle nostre angosce,
dai nostri egoismi. Vedo oggi l’evangelizzazione anche
come un processo interno che non va mai tralasciato,
quindi noi stessi dobbiamo ogni volta, come dire, rievangelizzarci. Questo è un dato che apparentemente
sembrerebbe inutile, ma se noi non sappiamo cantar
bene dentro come andiamo a cantar bene fuori? Dun-
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scegliamo canzoni o musiche i cui contenuti siano significativi e parlino delle nostre sensibilità e delle nostre
esperienze di vita, fede compresa. Certo che se dal palco
proponessi dei canti che cantiamo in chiesa immagino
già quello che potrebbe accadere e quindi questa è
effettivamente una difficoltà. Tuttavia qui si ripropone il
problema esposto prima: dipende dalla bellezza del
canto. Del resto non sono poche le canzoni di artisti
famosi che dai palchi cantano liberamente la loro fede
anche in contesti inimmaginabili per certi messaggi,
come ad esempio in concerti di musica rock.
Ultima domanda: canti tradizionali o canti moderni
nelle nostre chiese?
Tutti i canti belli ed i più belli.
que il primo lavoro è tra di noi. E noi sembriamo a
volte un po’ disillusi o comunque non abbiamo quella
forza che magari un tempo ci distingueva di più, questo
riguarda anche il canto. Dunque incominciamo da noi
con canti nuovi, con testi particolarmente significativi.
Un canto di lode che cantiamo nelle nostre chiese
può essere proposto anche all’esterno?
Penso proprio di sì, l’importante è che sia bello e
ben cantato. La musica quando è bella coinvolge in
modo misterioso, le parole stesse quando si vestono
di note assumono un diverso peso; chiaramente
quando sono, lo ripeto, significative. Le persone recepiscono quando un melodia ed una parola sono in
perfetta armonia sonora fra di loro e recepiscono
anche il tuo impegno nella ricerca di una
bellezza significativa, pur se magari non
condividono i contenuti.
I canti ad esempio che parlano di giustizia,
di pace come quelli spagnoli, latinoamericani, africani, anche tradotti con un buon italiano, hanno un buon riscontro all’esterno.
Ripeto: la traduzione deve essere ben fatta,
cioè il testo deve esser significativo, altrimenti la banalità o la cattiva parola infastidisce
ed irrita. A quel punto meglio cantarli in lingua originale.
Io so che tu hai lavorato con gruppi musicali lontani dalle esperienze per così dire
“religiose” fino ad ora raccontate. Trovi che
le canzoni che tu hai accompagnato o cantato al piano con questi gruppi siano molto
lontane dai nostri canti di annuncio evangelico?
No, forse per alcuni, ma per molti li trovavo, e li trovo oggi, vicini se non in accordo
all’annuncio evangelico, solo che invece di
usare parole tipiche dei nostri inni ne usano
altre, ma i contenuti sono senz’altro simili. Io
stessa quando canto queste canzoni sento
che continuo ad annunciare il messaggio dell’amore che Gesù ci ha insegnato. La mia fede
ha trovato anche in queste canzoni il modo di
farsi parola e testimonianza. Quando io suono
fuori della mia chiesa non mi sento fuori dalla
mia fede e questo anche con i musicisti che
mi conoscono e con i quali lavoro. Insieme
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Musica & Musiche
da Stefano D'Amore
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da Ferruccio Corsani
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da Anna Dongiovanni
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da Anna Maffei
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da Marta D'Auria
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da Clara Berrios
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Le offerte ricevute: quota 1000
Ebbene sì, siamo arrivati a quota 1000 € di offerte per
Musica nella Liturgia. Con tale somma abbiamo coperto
tutte le spese dei tre numeri fino ad ora usciti, quest’ultimo compreso. Noi della redazione pensiamo che sia un
ottimo risultato considerando che questa piccola rivista
sia ancora in fase sperimentale, sia come elaborazione
redazionale che come divulgazione. Fino ad ora le copie
stampate sono state di circa 250 a numero ed inviate per
posta normale singolarmente o per gruppi. Occorrerebbe trovare una soluzione più economica considerando il
costo delle spedizioni. Oltre il numero di copie cartacee
Musica nella Liturgia viene inviata anche per posta
elettronica. Grazie ancora per l’incoraggiamento.
Offerte ricevute dal numero 1 di Dicembre 2005.
Dudley Graves - Viterbo; Berrios Clara e Carlo LucariniChiesa Battista di Chiavari; Chiesa Battista di Cagliari (2
offerte); Chiesa Battista di Gravina; Chiesa Battista di Rovigo; Chiesa Battista Via del Lazzaretto; Girolami MaurizioChiesa Battista di Torino, Via Passalacqua; Dragone MariaChiesa Battista di Conversano; Paschetto EmmanueleChiesa Battista di Torino, via Lucento; Pizzulli M. TeresaChiesa Battista di Val di Susa; Chiesa Battista di Pordenone; Casonato Aldo- Chiesa Battista di Pordenone; Chiesa
Battista di La Spezia; Marzioli Sara- Chiesa Battista di La
Spezia; Formica Nunziatina - Chiesa Battista di Lentini;
Loddo Roberto- Chiesa Battista di Gioia del Colle; Arcidiacono Alessandra- Chiesa Battista di Gioia del Colle; Lancellotti Ernesto- Chiesa Battista di Milano, via Pinamonte;
Samuele Currò- Chiesa Battista di di Milano, via Pinamonte ; Anna Maffei-presidente Ucebi; Pietro Cruccas- Chiesa
Battista di Cagliari; Zugno Luciano- Chiesa Battista di Pordenone; Elisa Vicentini e Nicola Sfredda- Chiesa Valdese di
Verona; Amy Ashwood-Chiesa Valdese di Verona; Matteo
Mollica- Chiesa Valdese di Torino, c. Vittorio Emanuele;
Francesco Romeo-Chiesa Battista di Casorate Primo; Ute e
Silvestro Dupré – chiesa Valdese di Roma, piazza Cavour;
Labate Ester – Chiesa battista di Reggio Calabria; Virginia
Mariani – Chiesa battista di Mottola; Chiesa battista del
Teatro Valle – Roma; Chiesa battista via Foria - Napoli;
Ada Ciambellotti - Chiesa valdese Rovereto.
Novità Novità: il Dvd
Ed ecco la novità del 2006. Un dvd con presentazioni del
canto nelle comunità, parte didattica, chiacchierate spensierate, tutto in forma simpaticamente amatoriale e senza nessuna
pretesa di competere con le riprese professionali! Questa iniziativa è un nuovo atto sperimentale che speriamo un giorno
potrà avere un seguito ancor più incisivo. Anche qui, proposte,
suggerimenti, critiche saranno sempre ben accolti.
Benvenuto a Deborah D’Auria
Un benvenuto a Deborah D'Auria che ha accettato l'invito di collaborare per il lavoro redazionale con progetti, idee e correzioni di bozze! Abbiamo già avuto occasione di conoscere
Deborah con i suoi tre articoli pubblicati in Musica nella Liturgia sulla musica in Israele che
hanno accompagnato tutti i tre numeri di Musica nella Liturgia. Grazie ancora e buon lavoro
insieme!
Musica nella Liturgia
è una pubblicazione in aggiunta al Seminatore. Numero 3 - marzo 2006 (Direttrice
responsabile Marta D’Auria - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 5894 del 23/7/1957) a cura del Dipartimento di Evangelizzazione dell’Ucebi, fotocopiato in proprio. Si regge soprattutto sulle offerte (inviare a: Segreteria Amministrativa Ucebi, P. zza S.
Lorenzo in Lucina,35; 00186 Roma, specificando la voce: offerta per Musica nella Liturgia-Dipartimento di Evangelizzazione).
Ogni autrice o autore di articoli ed inni è direttamente responsabile di ciò che pubblica e delle informazioni che divulga. Lo stesso
vale per i materiali coperti da copyright per cui è a responsabilità delle autrici o autori che pubblicano inni o articoli coperti da
copyright ottenerne l’autorizzazione d’uso. Musica nella Liturgia si propone come obiettivo quello di divulgare notizie, informazioni, storie, studi, inni, in riferimento a contenuti e spazi di fede nel Dio creatore del cielo e della terra.
La redazione di Musica nella Liturgia: Carlo Lella, coordinatore ([email protected]); Virginia Mariani,
della Chiesa Battista di Mottola ([email protected]); Francesco Romeo, della Chiesa Battista di Casorate Primo ([email protected]); Domenico D’Elia, della Chiesa Battista di Mottola ([email protected]); Pietro Romeo, della Chiesa Battista
di Rivoli ([email protected]); Elisa Baglieri della Chiesa Ecumenica di Albano ([email protected]); Deborah D'Auria, [email protected].
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