12. L`Inghilterra e il Risorgimento

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12. L`Inghilterra e il Risorgimento
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Benito Poggio
già Docente di Lingua e
Letteratura Inglese
al Liceo “D’Oria”
Il processo di unificazione
dell’Italia e l’Inghilterra
“A dire dello storico, Franco Valsecchi,
il periodo del Risorgimento va guardato,
osservato e analizzato concretamente
e su basi documentali nei suoi fatti e nei suoi uomini,
e non come lo si è tradizionalmente inteso
(e da qualcuno ancor oggi lo si intende, forse in guisa
troppo teorica nonché retorica e ideologica)
“eroismo e mito” ché ‘storicamente fatto dagli uomini,
degli uomini ebbe pregi e difetti, valori e disvalori’.”
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Il Tempietto
Il processo di
unificazione
dell’Italia e
l’Inghilterra
Benito Poggio
1. Premessa d’ordine generale
Come premessa d’obbligo, debbo
confessare ch’io che non sono (né mai
mi sono piccato d’essere) uno Storico
puro, bensì – come tanti altri studiosi,
se così mi è lecito definirmi e in
quella cerchia essere annoverato – non
tanto uno cui piace meditare e
ponderare teoricamente sulle vicende
storiche, quanto piuttosto uno portato
pragmaticamente a riflettere e
indagare su fatti documentati e
documentabili: quelle vicende e quei
fatti, cioè, che entrano a far parte e
incidono sullo spirito degli uomini
appartenenti ad ogni ceto sociale e
sull’indole e personalità di politici o
letterati, patrioti o filantropi ch’essi
siano o siano stati.
È risaputo che sul finire del Settecento
fu fatto ricorso – si dice per la prima
volta – alla voce Risorgimento a
denotare quel lasso di tempo, tanto
della cultura quanto dell’arte, che
usualmente chiamiamo
“Rinascimento” e così per svariati
decenni, possiamo dire tra i due secoli
XVIII e XIX, la voce Risorgimento
continuò a segnalare fatti in ispecie
letterari e culturali. Fu con Vittorio
Alfieri (1749-1803) che il concetto
sotteso alla voce Risorgimento tese ad
ampliarsi semanticamente: “risorgere”
nell’accezione più ampia di “ribellarsi
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e risollevarsi”, indicando altresì la
possibile e sperata “rinascita”
dell’Italia, da intendersi, grazie al
superamento della sua frammentazione
in innumeri stati e staterelli, come
“nazione” nella sua globalità
comprendente cultura, storia, politica,
indirizzate *sia all’aggregazione
nazionale, *sia alle genesi istitutiva di
un solo Stato finalmente unificato, *sia
alla nascita di una Nazione nuova e
moderna. È per questa inusitata
tensione presente nel vibratamente
volitivo astigiano (“Volli, sempre volli,
fortissimamente volli”) che uno dei più
attenti storici dell’età risorgimentale,
Walter Maturi, lo considerò e lo definì
“il primo intellettuale uomo libero del
Risorgimento”.
A dire di un altro storico, Franco
Valsecchi, il periodo del Risorgimento
va guardato, osservato e analizzato
concretamente e su basi documentali
nei suoi fatti e nei suoi uomini, e non
come lo si è tradizionalmente inteso (e
da qualcuno ancor oggi lo si intende,
forse in guisa troppo teorica nonché
retorica e ideologica) “eroismo e mito”
ché “storicamente fatto dagli uomini,
degli uomini ebbe pregi e difetti, valori
e disvalori”.
E per trattare, pur in linea sintetica, il
tema in oggetto, a un secolo e mezzo di
distanza (1861-2011), sono dell’avviso
di prendere le mosse da una serie di
interrogativi di ordine generale:
- Come lo si deve intendere il nostro
Risorgimento nella sua realtà storica?
- Più specificatamente: si tratta,
secondo quanto ebbe a sostenere
Giuseppe Prezzolini (1882-1982), di
“una rivoluzione compiuta da altri”?
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- O non bisogna piuttosto considerarlo,
come sostenne il già nominato
autorevole risorgimentalista Franco
Valsecchi, “il dramma di un popolo e
del suo travagliato sorgere a nazione”?
- O ha ragione il giovanissimo
intellettuale e politico Piero Gobetti
(1901-1926) a intuirlo e definirlo come
“una rivoluzione fallita”?
- O infine si deve accettare la
precisazione di Antonio Gramsci
(1891-1937) che, nella sua disamina,
lo delinea come “una rivoluzione
passiva”?
Certamente la risposta è sì per tutte
quante le suddette differenziate
opinioni e i suddetti contrastanti
giudizi, ma con gli opportuni e ben
soppesati “distinguo”
- sui fattori ideali (l’idea di un’Italia
“una e indivisibile” prima e
successivamente l’idea mazziniana di
un’“Europa dei popoli in
contrapposizione all’Europa dei re”) e
sui fattori reali (reazione ai troppi e
continui abusi dell’occupazione
straniera di marca francese in primis,
ma anche spagnola e austriaca, per
non dire – sotto taluni aspetti
strategico-commerciali – russa);
- su quanti (totalità o minoranza?)
sentirono quindi le esigenze di libertà e
di indipendenza (sotto i plurimi influssi
della Rivoluzione francese e, per
l’Italia, degli anni che vanno dal 1796
al 1799; del periodo napoleonico; del
Romanticismo) o furono spinti al
superamento di fazioni e individualismi
(di ascendenza antica e protrattisi dal
Medioevo di cui erano retaggio).
Probabilmente il coacervo di questi
“distinguo”, presi in considerazione
tutti insieme e nel loro complesso (non
dimenticando neppure quanto in allora
il Papato sia stato troppo restìo a
rinunciare al proprio “potere
temporale”), sono alla base
dell’acquisizione di una nuova
coscienza politica e morale
generalizzatasi lentamente (il
d’azegliano “fare gli Italiani”),
primariamente originata e
pervicacemente animata – pur in modi
e tempi dissimili e talvolta discordanti
– dall’ineliminabile trio costituito dai
due “Padri della Patria”, vale a dire
- il genovese Giuseppe Mazzini (18051872), guida a Genova di quei
cospiratori politici (in tanti, da
“martiri” o “esuli”, fattisi e divenuti,
col loro sangue o le loro sofferenze,
forte richiamo e squillante cassa di
risonanza per un numero sempre
maggiore di nuovi proseliti) che, lui tra
loro, si riunivano nel negozio di tal
Antonio Doria (o D’Oria, 1801-1875),
libraio e patriota;
- il nizzardo, ma di origini chiavaresi,
Giuseppe Garibaldi (1807-1882), spinto
da “un caos di nobili ideali” e
considerato, per le sue imprese non
sempre tutte egualmente cristalline,
“l’eroe dei due mondi” che adottò
l’umanità intera come propria patria e
aiutò, corpo e anima, ogni popolo in
lotta contro il tiranno (Si veda in
proposito “Viva Garibaldi” – Un mito
tra letteratura e realtà, ampio e
approfondito studio che
ineccepibilmente ne inquadra e illustra
la figura, condotto da Quinto Marini
dell’Ateneo genovese e reso pubblico a
Palazzo Ducale in Genova per il 2°
centenario della nascita dell’eroe);
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- con l’aggiunta di colui che è
considerato “l’ago della bilancia” della
politica unitaria, l’acuto (e astuto)
politico torinese Camillo Benso conte
di Cavour (1810-1861), moderato e
riformista più in senso federalistico
giobertiano, contrario com’era alla
linea rivoluzionaria e democratica di
marca mazziniana al punto di
affermare che “in Italia una
rivoluzione democratica non ha
probabilità di successo”.
Alle tre figure or ora delineate, è fuor
di dubbio che ne vadano aggiunte
senz’altro almeno altre due:
- quella del sacerdote Vincenzo
Gioberti (1801-1852), filosofo e
politico, verrà esiliato per essersi
iscritto a società segrete. PapaReligione-Popolo costituiranno i
cardini del suo “neoguelfismo”;
rivestirà, nel Regno di Sardegna, la
carica di primo Presidente della
Camera dei Deputati: stante l’etichetta
gentiliana, Gioberti e Mazzini furono
qualificati “i profeti del Risorgimento”;
- quella del filosofo e scrittore Carlo
Cattaneo (1801-1869), politico
pragmatico e convinto patriota, di fede
repubblicana (talché, eletto deputato,
non giurerà mai davanti al Re),
sostenitore di un federalismo integrale,
da attuarsi secondo il modello svizzero.
C’è da osservare – e a distanza di
tempo (150 anni dopo, come s’è sopra
accennato) lo possiamo sicuramente
asserire con maggiore obiettività – che
l’operazione unitaria (e/o di
unificazione) ebbe esito positivo – pur
se non universalmente condiviso nei
modi e nei tempi – allorquando
rivendicazione e rivoluzione, moti
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risorgimentali e impulsi xenofobi (su
tutti quelli antifrancesi dei sanfedisti e
dei làzzari) rientrarono nell’alveo
moderato (Cavour docet) della politica
e della diplomazia.
Non è qui il caso di passarli in
rassegna, ma sono numerosi negli anni
e sparsi per le varie regioni italiane,
da sud a nord, i moti e le azioni
rivoluzionarie (cui si farà
sporadicamente cenno) e di contrasto
allo status quo che, lentamente ma
inesorabilmente, portarono alla
diffusione delle idee di libertà e delle
aspirazioni all’indipendenza in tutto il
territorio che era destinato a unificarsi
e che doveva diventare “nazione”.
È ormai assodato e riconosciuto,
delusioni e insuccessi a parte e senza
sminuire l’importanza decisiva di altri,
che il merito principale fu del
romantico (di un Romanticismo
precipuamente di tinta patriottica,
però) Mazzini, il quale, da educatore
genuino, aveva il suo credo (“Dio e
Popolo”) e la sua profonda fede – in
una religiosa, sociale e politica – atta e
tesa a risvegliare coscienza e moralità
nel popolo; anche se il realismo
spregiudicato del politico prussiano
Otto von Bismarck-Schönhausen
(1815-1898) doveva alla fine trionfare
sull’idealismo – definito dallo storico
Bolton King “nobile e paziente”, ma
destinato a cadere – di Giuseppe
Mazzini.
In effetti gli assunti e gli ideali di
Mazzini, che danno corpo e sostanza al
mazzinianesimo, pur non riuscendo
appieno nell’impresa diffusiva e di
convincimento specie per mancanza di
presa tra i contadini nei vasti territori
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delle campagne, riuscirono ad essere
più convincenti e trascinanti, più
presenti ed estesi nelle città del
settentrione e del centro Italia tanto da
giungere ad influenzare e sicuramente
a coinvolgere soprattutto popolani e
artigiani, bottegai e commercianti,
studenti e professori: in prevalenza i
membri di quella classe media, dalla
quale anche il Mazzini proveniva, e
che numerosi aderirono alla “Giovane
Italia”, sicuramente fondata su
un’organizzazione meglio congegnata,
più congrua e meno settaria di quanto
era la “Carboneria”.
2. Politici inglesi e Inghilterra:
la loro fattiva azione a favore
del Risorgimento italiano
Sia come sia, chiediamoci ora:
- Quale fu e come si caratterizzò la
partecipazione dell’Inghilterra al
Risorgimento?
- Come presero parte i politici Inglesi a
quel movimento, che possiamo ormai,
in un certo senso, precisare come
rivoluzionario, che sospinse
all’unificazione dell’Italia e che gli
Inglesi, pur acquisendolo
linguisticamente come “the
Risorgimento”, definirono sovente
“Reawakening” (risveglio) o “Revival”
(rinascita)?
- Da chi e in quale misura fu
sollecitata in Inghilterra detta
partecipazione?
- Ma soprattutto, perché l’Inghilterra e
la politica inglese si mostrarono,
almeno apparentemente (o dovrei
meglio specificare: politicamente?
diplomaticamente?) favorevoli
all’unificazione italiana?
- Si trattò di favore autentico e di
appoggio disinteressato all’italica
causa o, per così dire, “c’era anche del
marcio in… Inghilterra” (ad es. tra le
altre azioni politiche portate avanti,
allungare le mani e impadronirsi della
Sicilia, una volta dichiarata
indipendente e, con Francia e Russia,
salvaguardare i propri interessi
strategico-economici nel Mediterraneo)?
Intendendo dire con ciò:
- Forse che, di per sé, la grande e
potente Nazione (…verrà chi le
appiopperà la denominazione di
“perfida Albione”) covava e
(dis)simulava un favore e un appoggio
fittizi, se non inattendibili?
E per aggiungere un ulteriore
interrogativo e caricare di più ancora
la dose:
- Non è che l’Inghilterra mirasse a
fornire e assicurare, agli Stati oltre
Manica, un favore e un appoggio
marcatamente soggettivi e del tutto
tendenziosi?
Sono numerosi ed eterogenei quesiti –
che più d’uno è portato a considerare
astrusi se non provocatorî o addirittura
li ritiene aperte e dissacranti illazioni
– al riguardo di una vexata quaestio;
numerosi quesiti, comunque, ai quali è
facile dare una risposta anche, e
soprattutto, col supporto di quegli
Storici (ma non posso citarli tutti) – da
quelli inglesi come, per citare tre
Storici di peso, Bolton King (18601937), George Macaulay Trevelyan
(1876-1962) e Denis Mack Smith
(1920; egli ritiene sbagliata la cessione
di Nizza e Savoia); al folto gruppo di
quelli italiani: da Luigi Salvatorelli
(1866-1974) a Gaetano Salvemini
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(1873-1957) e a Gioacchino Volpe
(1876-1971); da Pietro Silva (18871954) a Guido De Ruggiero (18881948) e a Carlo Rosselli (1899-1937);
da Walter Maturi (1902-1961) a
Franco Valsecchi (1903-1992) e a
Rosario Romeo (1924-1987), e a tanti,
tanti altri ancora – che su tale
partecipazione hanno detto la loro
analizzandola a fondo, traendone
plausibili conclusioni e che, per
sopraggiunta, presero in
considerazione e tennero in debito
conto, com’era giusto che fosse, un mix
di apprezzabili motivazioni e un potpourri (qui per “armonica e giustificata
mescolanza”) di provate giustificazioni.
È chiaro ed evidente che la mia
trattazione, come detto, alquanto
succinta e forzatamente non esaustiva,
si limiterà a fornire cenni e accenni su
tale presenza e di tale partecipazione:
presenza e partecipazione che, a mio
avviso, vanno distinte, o per meglio dire
poste su almeno due differenti piani:
a) Il primo – se si vuole, in
determinate situazioni, alquanto freddo
e interessato, strategicamente anche
cinico – per forza di cose connesso a e
derivante dalla politica e dalla
diplomazia, vede in gioco una bella
schiera di personalità politiche (se ne
citano qui solo alcune) del peso e
dell’importanza di
- Robert Stewart, marchese di
Londonderry, visconte di Castlereagh,
noto come Lord Castlereagh (17691822, morto suicida), fu in tempi diversi
Ministro delle Colonie, della Guerra e
degli Esteri; determinò la coalizione che
portò alla sconfitta di Napoleone e si
rivelò uno dei protagonisti al Congresso
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di Vienna; fu attaccato violentemente
anche dal poeta Percy Bysshe Shelley
(1792-1822) col quale ingaggiò un
duello perdendolo; appoggiò la
campagna per l’abolizione della
schiavitù, sostenne una linea politica di
equilibrio e di non interferenza negli
affari degli altri stati e propagandò la
forma di costituzionalismo all’inglese per
i vari stati e staterelli assolutistici,
opponendosi con forza all’antiliberalismo
propugnato da Austria e Russia; è noto
il suo dissidio con
- George Canning (1770-1827),
conservatore, che fu collaboratore del
Primo Ministro William Pitt il Giovane
(1759-1806); in seno al Partito dei
Conservatori si diede vita ad una
corrente nella quale i suoi seguaci e
sostenitori, definiti “Canningites”,
risultarono favorevoli
all’emancipazione dei Cattolici e
fautori di un mercato svincolato da
eccessive restrizioni; ricoprì anch’egli
le cariche di Ministro degli Esteri e
Primo Ministro; sostenne il
non-intervento nelle politiche interne
delle altre nazioni, mostrandosi
favorevole ai moti liberali e
all’indipendenza di qualunque paese
(Italia, Grecia, ex-colonie dell’America
Latina, ecc.);
- Henry John Temple, Lord Palmerston
(1785-1865), inizialmente membro del
Partito dei Conservatori alla Camera
dei Comuni, Lord dell’Ammiragliato,
Ministro della Guerra e poi, a più
riprese, fino al 1841, Ministro degli
Esteri, incarico in cui riuscì ad
aumentare prestigio e potenza
dell’Inghilterra e protesse le
monarchie costituzionali. Tornato al
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potere dal 1846 al 1851 difese la
causa dei popoli oppressi. Nelle sue
varie cariche si dimostrò “grande
architetto della politica inglese” e
sotto di lui l’Inghilterra prese le
distanze dall’Austria. Fu Primo
Ministro dal 1855 fino alla morte,
periodo in cui gestì la guerra di
Crimea e assunse una posizione di
aperto favore della causa italiana con
un atteggiamento compiacente al
Risorgimento e con particolari
attenzione e simpatia per
l’indipendenza italiana;
- Gilbert Elliot, conte di Minto (17821859), politico inglese, deputato,
ambasciatore a Berlino. In missione in
Italia nel 1847-’48, si addossò il
compito di stimolare Carlo Alberto, Pio
IX, Ferdinando di Borbone e i principi
italiani a concedere riforme liberali;
- James Robert George Graham (17921861), politico inglese, che entrò alla
Camera dei Comuni e fu Ministro degli
Interni: come tale si scontrò con
Mazzini, esule a Londra, per violazione
del segreto epistolare delle sue lettere.
Mazzini fu difeso dal suo “fraterno
nemico” Thomas Carlyle (1795-1881):
la questione provocò aspri dibattiti in
parlamento; in Inghilterra Mazzini
divenne una sorta di eroe nazionale e lo
stesso ministro Graham, in una seduta
alla Camera, ritrattò le accuse fatte a
Mazzini e gli chiese pubblica scusa;
- Lord John Russell (1792-1878),
nonno del filosofo e matematico
Bertrand Russell (1872-1970) e che,
da Ministro degli Esteri nel governo
Palmerston, oltre a dimostrare capacità
e aperture politiche internazionali, fu
sostenitore dell’unificazione italiana;
- George William Villiers, conte di
Clarendon (1800-1870), politico e
diplomatico. Ministro degli Esteri più
volte. A Parigi appoggiò la politica di
Cavour e cercò di riannodare l’alleanza
con Napoleone III;
- Richard Cobden (1804-1865), da
economista, favorevole
all’espansionismo commerciale; ma, da
pacifista, contrario all’espansionismo
“bellico” in atto da parte dell’Inghilterra;
- Benjamin Disraeli (1804-1881),
ebreo sefardita di origine italiana,
leader dei Conservatori, due volte
Primo Ministro, scrittore; col voto dei
Liberali e con l’appoggio della regina
Vittoria fece approvare una riforma
elettorale che riconosceva il diritto di
voto ai non salariati delle città,
enunciò il principio che “mai una
nazione ha diritto di rassegnarsi alla
sventura” (con chiaro riferimento
anche alla situazione dell’Italia);
- James Howard Harris, 3° conte di
Malmesbury (1807-1889), politico
inglese, due volte Ministro degli
Esteri. Incontrò Cavour in Italia e
cercò di fargli dismettere la politica
audace che era una minaccia per la
pace in Europa. Fu ostile a Mazzini e
ammiratore di Garibaldi e del nascente
regno d’Italia;
- Henry Richard Charles Wellesley,
conte di Cowley (1804-1884),
diplomatico britannico, ambasciatore a
Parigi, nel II Impero, partecipò alle
trattative tra Francia e Inghilterra. A
conclusione della guerra di Crimea
rappresentò la Gran Bretagna al
Congresso di Parigi e dopo l’attentato
di Orsini fu abile arbitro nella contesa
tra Francia e Gran Bretagna e, anche
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se invano, si adoperò per evitare che
l’Austria entrasse in guerra nel 1859;
- William Ewart Gladstone (18091898) fu per ben quattro volte Primo
Ministro; a lui venne appioppato il
nomignolo “GOM” interpretato come
“Grand Old Man” (i.e.: Il Grande
Vecchio), mentre dai suoi avversari era
inteso come “God’s Only Mistake”
(i.e.: Il solo e unico sbaglio di Dio). È
autore di una famosa lettera che fece
inorridire l’intera Europa, nella quale
denunciava le orribili condizioni in cui
versavano i detenuti (tra essi Silvio
Spaventa, 1822-1893; Giuseppe
Poerio, 1775-1843 e Luigi
Settembrini, 1813-1876) nelle prigioni
di Napoli. Da letterato tradusse in
inglese “Storia dello Stato romano dal
1815 al 1850” scritta da Luigi Carlo
Farini (1812-1866), uomo di talento,
impetuoso e generoso, apprezzato da
Cavour che, divenuto ministro, gli
affidò la testata di Il Risorgimento
(quotidiano fondato dallo stesso
Cavour) e in seguito lo volle membro
del suo governo.
Appoggiarono e favorirono la lotta
italiana per l’unità e l’indipendenza
anche altri personaggi inglesi presenti
in Italia a vario titolo e con vari
incarichi:
- il diplomatico Sir James Hudson
(1810-1885), prima a capo della
delegazione inglese a Firenze e poi a
Torino ove rimase oltre dieci anni a
contatto con Cavour delle cui idee fu
sostenitore e Cavour seppe profittare
del suo sostegno per entrare a far parte
della guerra di Crimea; fu ripreso da
Lord Malmesbury convinto che Sir
Hudson, favorendo il Governo
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Sabaudo, volesse provocare la guerra
contro l’Austria. Dopo l’indipendenza,
sir Hudson, rifiutando incarichi più
prestigiosi (ad es. l’ambasciata a
Costantinopoli), volle restare a Torino,
si dice (fors’anche con un certo grado
di gossip malizioso) perchè l’inglese
era in troppo… stretta amicizia e in
troppo… stretta confidenza con il
torinese, impenitente scapolo, amante
di tante donne, ma volutamente sposo
di nessuna: Cavour non ebbe mai
tempo di farsi una famiglia e fare dei
figli perché troppo impegnato, come
diceva lui, a fare l’Italia;
- il diplomatico Sir Henry Elliot
Murray-Kynynmound, 2° conte di
Minto (1817-1907) che fu inviato nel
Regno delle Due Sicilie per
riallacciare i rapporti diplomatici
precedentemente interrotti e quindi a
Napoli ove, però, non riuscì a
dissuadere Garibaldi dall’attaccare
Venezia; successe poi a Sir James
Hudson a Torino e nel 1865 a Firenze,
allora capitale d’Italia. Fu a favore di
riforme costituzionali, senza ottenere
particolari esiti positivi.
Come detto, sono solo alcune delle
personalità politiche inglesi che, con
varie risultanze connesse ai loro
incarichi, ebbero a che fare con l’Italia
nell’epoca risorgimentale, e non
bastano certo queste di cui ho detto a
delineare e inquadrare quanto c’era
sotto al vivo interesse dell’Inghilterra
per le vicende italiane.
Comunque, fu proprio grazie a questo
tipo di influenze e di relazioni che il
processo risorgimentale italiano
acquisì valenza e importanza europea
e l’Italia, i cui modelli erano in
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prim’ordine l’Inghilterra (e in
second’ordine la Francia), cercò di
reintegrarsi nell’Europa liberale.
3. Esuli inglesi in Italia
E tuttavia, al fianco della dozzina o
poco più dei politici inglesi di
professione sopra citati, non si può non
ricordare la partecipazione all’attività
risorgimentale e alla lotta per
l’indipendenza, per lo più come “esuli
volontari” (o come “transfughi”) in
Italia, di tanti cittadini inglesi; tra loro
si impongono due fra i grandi poeti
romantici inglesi:
- il primo, George Gordon Lord Byron
(1788-1824), abbandonando
l’Inghilterra, così – in “Childe Harold’s
Pilgrimage” – si espresse: “Adieu,
adieu! my native shore/Fades o’er the
waters blue” (i.e.: “Addio a te, mia
terra natìa/che lentamente scompari
nell’azzurro mare”), e, ivi rimarcando
la sua decisione di auto-esilio
definitivo, gridò: “My native Land –
Good Night!” (i.e.: “Mia terra natìa –
Buona notte!”); una volta in Italia,
profittando del suo passaporto inglese,
della sua nazionalità ed
extraterritorialità nonché dei suoi
cospicui mezzi finanziari
generosamente e costantemente messi
a disposizione di tutti i perseguitati
(prima Italiani e poi Greci), riuscì a
sfuggire alle perquisizioni e alle retate
della polizia, accumulando altresì armi
nelle sue residenze per aiutare in ogni
modo i Carbonari;
- il secondo, Percy Bysshe Shelley
(1792-1822), rivolgendosi, in “Julian
and Maddalo”, alla sua nuova patria
cantò e concentrò in un famoso verso il
suo pensiero: “Thou Paradise of exiles,
Italy!” (i.e.: O tu, Italia, paradiso degli
esuli!”) e, proclamato “apostolo della
libertà”, non mancò di offrire il suo
apporto alla causa italiana; la sua
morte fu commemorata dal nostro
Giosuè Carducci (1835-1907), che, in
visita al Cimitero degli Inglesi a Roma,
nell’ode “Presso l’urna di P.B. Shelley”
in tono un po’ retorico lo definì “spirito
di titano/entro virginee forme”.
Non sono neppure da passare sotto
silenzio né tantomeno sono da
tralasciare, tra le tante, tre
ragguardevoli figure femminili: due di
nazionalità inglese e una americana,
tutte e tre strettamente e
affettuosamente legate all’Italia
risorgimentale:
- Elizabeth Barrett Browning (18061861), delicata poetessa inglese,
fuggita per amore con il poeta Robert
Browning (1812-1889) in Italia, visse a
lungo a Firenze; partecipò con grande
entusiasmo alla lotta degli Italiani per
la libertà e l’indipendenza dallo
straniero; nutrì particolare stima per
Cavour e la sua morte la rattristò
grandemente; in “Casa Guidi
Windows” (i.e.: “Dalle finestre di casa
Guidi”) raccolse materiali in cui
espose le sue idee – di donna, moglie
e madre – su quella che lei valuta la
lunga lotta di liberazione dell’Italia
dall’Austria; interessante rilevare come
lo spunto le sia offerto da un bimbo
fiorentino che sotto le finestre della
sua residenza fiorentina, detta Casa
Guidi appunto, intona con voce
argentina: “O bella libertà! O bella!”;
- Sarah Margaret Fuller-Ossoli (18101850), colta e intelligente, la scrittrice
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americana, conobbe Mazzini a Londra
in casa Carlyle: dopo quell’incontro,
da acerrima nemica qual era quando
ancora non lo conosceva, ne divenne
accesa sostenitrice tanto da
abbracciare la causa italiana,
distinguersi eroicamente nell’assedio
di Roma, ove aveva sposato il
marchese Giovanni Angelo Òssoli
(1821-1850). Caduta Roma, i due
coniugi, imbarcatisi per tornare in
America, morirono sul veliero
Elizabeth inabissatosi nelle vicinanze
di New York;
- imponente la personalità di Jessie
Jane Meriton White (1832-1906), figlia
di ricchi armatori, nata in Inghilterra
ma naturalizzata italiana, sposò
l’italiano Alberto Mario, tanto da
essere nota più semplicemente come
“Jessie Mario” e come tale fu esaltata
dal Carducci quando, per spronarlo ad
agire, scrisse ad Agostino Depretis
(1813-1887): “La democrazia conta un
solo scrittore sociale: ed è un inglese,
ed è una donna; la signora Jessie
Mario, che non manca mai dove ci sia
da patire o da osare per una nobile
causa”. Anche Indro Montanelli
(1909-2001), giornalista e scrittore,
esaltò, da divulgatore storico qual era,
la figura di questa donna straordinaria
definendola “gran pasionaria della
causa rivoluzionaria italiana”. Jessie
White, prolifica scrittrice (curò tra
l’altro le biografie di Garibaldi e
Mazzini, ma non solo), fu anche
efficace giornalista, svolse con
dedizione la pratica di infermiera al
seguito Garibaldi la cui conoscenza, a
Nizza, l’aveva spinta a dedicarsi anima
e corpo a lottare per l’indipendenza e
167
per l’unificazione dell’Italia. Da
autentica filantropa, conseguita
l’unificazione, si occupò tanto dei
poveri di Napoli quanto dei minatori
siciliani, denunciando altresì la
diffusione dello sfruttamento minorile.
Fece la spola tra l’Inghilterra e l’Italia;
a Londra conobbe l’esule Mazzini e con
lui venne a Genova ove fu catturata e
gettata in prigione per alcuni mesi. Per
le sue molteplici attività fu detta “Miss
Hurricane” e Mazzini le affibbiò
l’appellativo di “Giovanna d’Arco della
causa italiana”.
4. Esuli italiani in Inghilterra
b) Il secondo, certamente più
partecipativo, caldo e fors’anche più
emotivo, legato al “popolo inglese”: in
grado di ingenerare simpatie – da
parte dei politici e degli uomini di
cultura, e non solo della gente comune
– per gli Italiani bramosi di libertà e
che agognavano un ritorno alla patria
lontana; in particolare per gli esuli che
trovarono rifugio in vari stati: da Malta
alla Spagna, dalla Francia alla
Svizzera, ma anche dalla Grecia
(Corfù, Zante) alla Corsica, dalla
Tunisia all’Algeria, oltre, ovviamente,
a cercare una nuova patria, sia pure
temporanea, soprattutto in
quell’Inghilterra vista come modello di
“stato costituzionale” qual era da loro
sognato e agognato e al quale fare
costante riferimento. È comunque
obiettivamente (nonché storicamente)
opportuno ricordare come le due
nazioni che accolsero in gran numero
gli esuli italiani, così la Francia come
l’Inghilterra (il cui governo, ad onor
del vero, non assunse mai alcuna
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Il Tempietto
particolare misura per ostacolare i
piani dei liberali italiani), intendevano
(e, lo si può dire, tendevano)
primariamente (e sovente
opportunisticamente, se non
subdolamente) a favorire – lo si è già
fatto capire – i propri rispettivi
interessi commerciali e di natura
espansionistica più ancora che la
libertà del popolo italiano, o in tutt’uno
con essa. C’è da aggiungere, a onor del
vero, che l’Inghilterra era lodata e
ammirata dai patrioti italiani in esilio
non solo per il suo sistema politico e
per il suo progresso economicoindustriale, ma altresì per la capacità
di sviluppare e diffondere la cultura
anche fra i ceti popolari meno
abbienti, consentendo agli esuli (ne
darò esempi) anche di avviare scuole o
promuovere centri culturali.
Ma quanti erano gli italiani esuli in
Inghilterra?
Se ne calcolarono un centinaio almeno
presenti nella capitale, un altro
centinaio nei dintorni di Londra e una
decina a Jersey.
Capofila degli Italiani, che, per sfuggire
alle persecuzioni e alle torture, al
carcere e alle condanne a morte,
scelsero come seconda patria
l’Inghilterra, è da annoverare Ugo
Foscolo (1778-1827), il quale – come
disse il filosofo e patriota Carlo Cattaneo
(dalle idee federaliste e più pragmatico
di Mazzini e che, dopo il 1848, scelse
l’esilio in Svizzera) nel suo saggio “Ugo
Foscolo e l’Italia” (Napoli 1860) – fu
colui che “diede all’Italia una nuova
istituzione: l’esilio”; e c’è da chiarire che
il Foscolo prima credette in “Bonaparte
liberatore” e come tale lo osannò;
amareggiato dopo Campoformio,
combattè contro gli Austriaci e per non
giurare fedeltà all’austriacante,
dapprima fuggì in Svizzera e da qui,
“profugo alla Fortuna e al Tempo”,
riparò in Inghilterra, inizialmente bene
accolto e in condizioni agiate, poi,
scialacquato tutto ciò ch’era possibile
scialacquare, visse di… articoli,
recensioni e conferenze con al fianco il
sostegno e l’affetto della figlia naturale,
Floriana. E da esule in Inghilterra, fece
conoscere non solo agli Inglesi, ma a
tutta l’Europa – e le fece amare – la
letteratura e la cultura italiane.
Congiuntamente a Vittorio Alfieri,
Foscolo fu certamente tra gli ispiratori
di quel sentimento di ribellione contro
ogni forma di tirannide, contro lo
straniero e contro l’Austria in vista di
un’Italia finalmente “libera e grande”.
- Un ruolo tutto particolare e
significativo spetta a colui che fu detto
“l’esule fortunato” e al quale
scrivevano e si rivolgevano uomini
illustri e politici italiani, vale a dire
Antonio Genesio Maria Panizzi, nato a
Brescello nel 1797 e morto a Londra
nel 1879. Patriota e bibliotecario, fu
condannato a morte per la sua
partecipazione ai moti del 1821; per
salvarsi, fuggì in Svizzera e da qui in
Inghilterra ove strinse amicizia col
Foscolo e andò ad insegnare
letteratura italiana a Liverpool e a
Londra; qui venne in contatto – ma
inizialmente si dimostrò freddo con lui
– con Mazzini, anch’egli esule nella
medesima città. Divenuto assistente e
poi direttore del British Museum, mise
in luce le sue doti e capacità di
amministratore e di bibliofilo. Nel
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Il Tempietto
1868, per i suoi meriti patriottici, fu
nominato senatore. Fu davvero
lungimirante nel dichiarare che
l’Inghilterra mirava precipuamente ai
propri interessi com’è palese in queste
sue diverse affermazioni con le quali
prese una coraggiosa posizione,
senz’alcun timore di andare e di essere
controcorrente:
- dapprima l’Inghilterra, essendo sua
alleata, aiutò l’Austria a mantenere
lo status quo;
- in seguito, una volta sconfitta
l’Austria, l’Inghilterra si mostrò
favorevole all’unificazione dell’Italia
e, opponendosi alla Francia, ad
un’Italia federalista.
- Tra coloro che furono costretti all’esilio
in Inghilterra è da annoverare Gabriele
Rossetti (1783-1824), poeta, critico
letterario e patriota che aveva
appoggiato i rivoltosi, affiliati alla
Carboneria, nei moti del 1820-’21.
Condannato all’esilio, si recò prima a
Malta e da qui a Londra, ove visse fino
alla morte insegnando lingua e
letteratura italiana e pubblicando
raccolte di poesie (ad es. L’arpa
evangelica) e opere di critica (personale
rilettura di Dante e della Divina
Commedia). Sposò Frances, figlia
dell’esule italiano Gaetano Polidori
(1764-1853), medico e poeta, che era
stato segretario dell’Alfieri e che viveva
a Londra insegnando italiano;
- in esilio in Inghilterra troviamo
anche Santorre di Santarosa (17831825): di nobile famiglia, combattè a
Marengo contro Napoleone, aderì alla
Carboneria e nel 1821, grazie ad
accordi con Carlo Alberto e altri
generali, cercò di organizzare un moto
169
che fallì. Dopo l’abdicazione del re
Vittorio Emanuele 1° in favore del
fratello Carlo Felice, venne affidata la
reggenza a Carlo Alberto che concesse
la Costituzione e nominò Santarosa
Ministro della Guerra; ma, al suo
rientro, Carlo Felice fece marcia
indietro e annullò le riforme di Carlo
Alberto. Per evitare la cattura e la
condanna a morte da parte degli
Austriaci, Santarosa fuggì a Ginevra,
poi a Losanna e da qui a Parigi ove fu
riconosciuto e catturato. Consolato e
difeso dal filosofo Vittorio Cousin
(1792-1867), venne liberato, ma
condannato all’esilio. Si recò in
Inghilterra: dapprima a Londra ove
conobbe Ugo Foscolo e ove visse in
condizioni assai precarie, soffrendo
molto per la mancanza di mezzi di
sussistenza e per la lontananza della
famiglia; da qui si trasferì a
Nottingham ove fece il professore, in
attesa di andare a combattere, come
già Byron, per la liberazione della
Grecia (“I dreamed that Greece might
yet be free” (i.e.: “Desideravo
ardentemente che la Grecia potesse
ancora tornare libera”) aveva cantato il
poeta inglese nel “Don Juan”) e lì
l’irrequieto e generoso patriota
Santorre cadde ucciso per mano di un
anonimo soldato.
- Come non dire, parlando di esuli, di
Giovanni Ruffini (1807-1881) e dei
fratelli Jacopo (1805-1833, morto
suicida nel carcere del Palazzo Ducale
di Genova), Agostino (1813-1885) e
Ottavio? Essi diedero tra i primi la
loro adesione alla “Giovane Italia”,
meno settaria e meno contorta, meglio
organizzata e meglio congegnata della
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Il Tempietto
“Carboneria” (e anche dei
“Comuneros” in Spagna e dell’“Eteria”
in Grecia). Giovanni, una volta
individuato e scoperto come
organizzatore di moti rivoluzionari, fu
costretto a fuggire dapprima in
Francia, poi in Svizzera e infine
Inghilterra e fu lì che, con i suoi
romanzi, non si limitò a diffondere e a
far conoscere i veri motivi della lotta
per l’indipendenza e l’unificazione
d’Italia, ma seppe suscitare favore e
comprensione per il destino della sua
patria soggiogata, divisa, angariata,
ancora da considerarsi, in linea con la
percezione dantesca nel Purgatorio:
“serva Italia, di dolore ostello”.
- Una figura di esule e patriota sui
generis è senz’altro Camillo Mapei
(1809-1853) che morirà a Dublino;
sacerdote, abbandona, con l’abito
talare, anche la religione cattolica e
per questo viene perseguitato e
ricercato poi anche per le sue idee
liberali; costretto alla fuga si rifugia a
Malta, poi ad Algeri, quindi a
Marsiglia, poi ancora a Malta e da qui
a Londra ove, esule non soltanto per
motivi politici, trova rifugio e fa la
conoscenza proprio in questa città di
altri due insigni esuli, convertendoli,
compreso Garibaldi e altri fautori del
Risorgimento italiano, all’Evangelo:
Gabriele Rossetti e Giuseppe Mazzini.
Alla pari di quest’ultimo che, con
l’ausilio di altri esuli italiani, aveva
avviato una scuola gratuita italiana dal
1841 al 1848), anche Mapei, con
l’aiuto di altri esuli italiani, apre
scuole gratuite, denominando la sua
“L’Asilo dei Fanciulli poveri italiani a
Londra”; molti bambini italiani, rapiti
o comprati per pochi soldi, erano
costretti a vivere in condizioni
miserrime e di totale degrado e nella
più totale indigenza alla periferia di
Londra, obbligati, per giunta, da
malvagi sfruttatori senza scrupoli a
mendicare per le vie londinesi.
- Altro patriota italiano che sostenne
con tutte le sue forze i moti
repubblicani risorgimentali e, dopo i
moti del 1848, dovette riparare in
esilio a Londra, è Pietro Doro, excanonico a Savigliano, anch’egli –
come il citato Mapei – missionario
evangelico e che a Londra si impegnò
attivamente a vantaggio dei bambini
italiani.
- Ma vi è un esule alquanto singolare
ed eclettico, che fu anche avventuriero
e patriota insieme: risponde al nome di
Antonio Carlo Napoleone Gallenga
(1810-1895): militò nell’esercito
francese e da rivoluzionario prese
parte ai moti del 1831 finendo in
prigione; uscitone e assunto il nome
fittizio di Luigi Mariotti (pseudonimo
col quale firmerà anche le sue prime
opere), viaggiò molto (Malta, Corsica,
Francia, Spagna, Africa); in Svizzera
abbracciò gli ideali mazziniani tanto
da accettare di essere, pur senza
riuscirci, il tirannicida di Carlo
Alberto; da disertore (si ritenne fosse
una spia al servizio dell’Austria),
riparò a New York nel 1836,
tornandone tre anni dopo per rifugiarsi
in Inghilterra, a Londra, ove volle
incontrare Mazzini per chiedergli
perdono. Si mantenne facendo
traduzioni e insegnando italiano. Nel
1854. grazie anche a Cavour, fu eletto
deputato al Parlamento italiano. Come
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Il Tempietto
giornalista del The Times fu testimone
oculare della guerra del 1859, della
spedizione dei Mille, della guerra di
secessione americana e di altri
avvenimenti ancora. La sua
approfondita conoscenza della lingua
gli consentì di scrivere opere storiche
in inglese (tra esse notevoli i tre
volumi della “History of Piedmont”)
che favorirono sentimenti di amicizia e
simpatia dell’Inghilterra per l’Italia e
lo fecero annoverare tra gli scrittori
inglesi dell’Inghilterra Vittoriana.
- Carlo Pisacane, patriota e autore di
sfortunate imprese che mai fecero
venir meno la sua fede politica nei
suoi ideali, con Mameli, Garibaldi,
Saffi e Mazzini, fu attivo co-fondatore
della Repubblica Romana. Conosciuto
Mazzini, per la prima volta, proprio in
tale circostanza, ne divenne fedele
seguace e sostenitore convinto.
Purtroppo l’impresa fallì per l’attacco
dei Francesi fatti venire da Pio IX e
Pisacane fu arrestato e gettato in
prigione a Castel Sant’Angelo; una
volta tornato in libertà, andò in esilio
prima a Marsiglia, poi a Losanna e da
ultimo a Londra e lì visse con
Enrichetta, la sua compagna.
- Perfino il futuro statista Francesco
Crispi (1818-1901) fu esule. Laureato
in Legge a Palermo, fu magistrato a
Napoli. Tra i promotori della
insurrezione siciliana del 1848, dopo
la restaurazione borbonica si rifugiò
dapprima a Torino, in seguito fu a
Malta e da qui, sul finire del 1854, al
fine di consentire agli esuli italiani
che si trovavano nell’isola di
proseguire le loro attività evitando le
possibili ritorsioni degli Inglesi, trovò
171
dapprima rifugio a Parigi da dove,
però, venne espulso in seguito
all’attentato di Felice Orsini e, una
volta allontanato, raggiunse Mazzini in
Inghilterra continuando la sua lotta a
pro dell’Italia. Dopo i nuovi moti in
Sicilia del 1860, ebbe notevole
influsso nel convincere Garibaldi a
compiere l’impresa dei Mille, conclusa
la quale Crispi divenne segretario di
stato del Generale, al quale suggerì di
proseguire la sua impresa su Napoli e
sugli Stati Pontifici. Nel 1861 fu eletto
deputato di Palermo al primo
Parlamento nazionale di cui ricoprì
l’incarico di Presidente della Camera,
di Ministro degli Interni, prima
dell’infelice impresa di Adua (1896) e
del suo definitivo ritiro a vita privata.
- Felice Orsini (1819-1858), avvocato,
patriota inquieto, martire del
Risorgimento e considerato da alcuni,
“il primo terrorista internazionale”.
Associato alla “Carboneria”, per la sua
attività fu condannato all’ergastolo,
fruendo però dell’amnistia di Pio IX.
Dopo spostamenti in diverse città e
peripezie varie, si stabilì a Nizza
svolgendo un’attività commerciale a
copertura della sua reale attività
politica. Nel 1853, su proposta di
Mazzini di cui era seguace, fu a capo
dell’insurrezione, poi fallita, di Massa
e Sarzana; per sfuggire alla cattura, fu
costretto all’esilio in Inghilterra, a
Londra, ove svolse attività di scrittore
raccontando le sue avventurose
memorie. Nel 1858, lasciata Londra, a
Parigi fu autore, con altri congiurati,
dell’attentato con strage a Napoleone
III. Catturato, fu ghigliottinato nello
stesso anno nella capitale francese.
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Il Tempietto
- E nel 1849, dopo la caduta della
Repubblica Romana, anche Aurelio
Saffi (1819-1890) scelse l’esilio:
dapprima in Liguria, poi si unì a
Mazzini in Svizzera e quindi si recò
con lui a Londra.
- Come non citare almeno, anche se di
sfuggita, Carlo De Cristoforis (18241859), patriota e scrittore (“Che cosa
sia la guerra”, un’opera sua), che
prese parte alle cinque giornate di
Milano e alla Prima Guerra di
Indipendenza; lasciata Milano, si
stabilì prima a Torino, poi riparò
all’estero: a Parigi. Fece parte della
“Legione Italiana” organizzata
dall’Inghilterra per la campagna di
Crimea e rientrò in Italia per la
Seconda Guerra di Indipendenza.
Capitano nei “Cacciatori delle Alpi” al
fianco di Garibaldi, morì in
combattimento a S. Fermo.
- Non proprio come esule (lui fu esule
in Sudamerica), ma come eroe, Giuseppe
Garibaldi, nel 1864, fu accolto in
Inghilterra, a Londra, trionfalmente
tanto dagli Inglesi e da Lord Palmerston
in persona che volle conoscere e
complimentarsi con l’eroe cosmopolita,
così come lo vollero conoscere ed
applaudire i numerosi esuli italici
(Mazzini fra loro) che vedevano in lui,
com’ebbe a dire qualche storico “il
cavaliere errante delle cause perdute e
dei popoli oppressi”. A Londra volle
incontrare Mazzini e cercò, “pro bono
patriae”, pur non riuscendovi, di
convincerlo ad appoggiare e sostenere
con lui l’unione dell’Italia sotto la guida
della monarchia Sabauda. Sempre a
Londra Garibaldi accettò la
cittadinanza che gli venne offerta, ma
non accettò le cinquemila sterline
raccolte e a lui offerte per
sottoscrizione. Come Mazzini, sia pure
per altre ragioni, anche Garibaldi, in
fasi diverse, adottò o il nome fittizio di
“Joseph Pane” per celare la propria
identità o nomi di battaglia, quali
“Cleombroto” e “Borrel”.
- Ed eccoci al vero esule: l’esule italiano
per eccellenza (dopo Foscolo), è
senz’altro Giuseppe Mazzini (18101872), ricercato per cospirazione e
costretto all’esilio, si recò dapprima in
Francia (a Lione e a Marsiglia), poi in
Svizzera (a Berna, a Ginevra e a
Lugano), infine in Inghilterra, a Londra
ove, lo si è detto, assurse a simbolo di
“eroe nazionale” e, con l’ausilio di altri
esuli italiani, avviò una scuola gratuita
italiana e, se non ebbe colà l’appoggio e
il favore dei tedeschi Karl Heinrich
Marx (1818-1883), filosofo ed
economista e di Friedrich Engels (18201895), filosofo e politico (entrambi
consideravano “la lotta per l’unità una
truffa borghese”, per loro infatti “l’unica
lotta possibile era la lotta di classe”),
poté contare però sull’amicizia e
sull’aiuto, anche finanziario, di tante
persone generose e solidali: da Lady
Dacre (una delle signore inglesi spinte
all’amore per l’Italia dal Foscolo) a Jane
Carlyle, (moglie di Thomas Carlyle, di
Mazzini “fraterno nemico”, la quale si
innamorò, non ricambiata, di Mazzini);
da Sarah Margaret Fuller (scrittrice
americana, conosciuta in casa Carlyle,
prima ostile a Mazzini, poi sua fan) alle
quattro sorelle Ashurst (figlie di un
famoso avvocato, che, a causa del loro
appoggio finanziario dato a Mazzini,
suscitarono la gelosia di Jane Carlyle):
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Il Tempietto
dopo l’ennesimo fallimento di Mazzini,
gli Ashurst – e loro soltanto – erano gli
unici che a Londra avevano libero
accesso da lui che, per consolarsi,
soleva appartarsi a leggere, riflettere
e… suonare la sua amata chitarra.
Ma è noto che egli fu costretto a vivere
in incognito, si può dire da esule, anche
nella sua patria: in quell’Italia nella
quale fu sovente ricercato e perseguitato
al punto, trovandosi a Pisa, di essere
costretto ad assumere l’albionico nome
fittizio di “Giorgio Brown”.
5. Brevi note sulla presenza
e sui contatti di Cavour
in Inghilterra
Certamente non fu un esule, ma, dopo
il forzato abbandono della carriera
militare (incongruente con le sue idee
liberali e le sue simpatie per la
Rivoluzione francese del 1830) e
prima di fondare il quotidiano Il
Risorgimento (1847-1852), di cui fu il
primo direttore, portavoce di idee e
forze liberal-moderate, si dedicò ai
viaggi attraverso l’Europa e fu a Parigi,
a Ginevra e a Londra per approfondire
i suoi studi di economia politica: si
tratta di Camillo Benso, conte di
Cavour (1810-1861), il quale, in più
occasioni, fu presente a Londra, non in
esilio certamente come i molti esuli
italiani ivi residenti che lo salutavano
e acclamavano quando vi si recava, ma
per incontrare personalità politiche e
specialmente per rafforzare i rapporti
diplomatici con l’Inghilterra che lui –
sono parole sue – considerava “ancora
abitata da una razza maschia e
gagliarda, grande nel bene come nel
male. I suoi moti propulsori sono
173
radicati nel profondo: alla superficie
non si colgono facilmente. (Gli Inglesi)
Discutono senza litigare e hanno un
grande rispetto di tutte le opinioni
individuali.”
A Londra Cavour incontrò,
giudicandolo “l’unico cortese”, lo
statista e storico scozzese, simpatizzante
per la causa italiana, Mount Stuart
Lord Elphinstone (1779-1859), il quale,
come diplomatico, trascorse lungo
tempo in Afghanistan e in India e
lasciò importanti scritti su questi due
paesi; l’economista inglese Senior
Nassau William (1790-1864), seguace
di David Ricardo e docente di
economia politica all’Università di
Oxford, anch’egli favorevole alle lotte
liberali italiane; fu per suo tramite che
Cavour ebbe la fortunata opportunità di
conoscere lo storico e politico francese
Charles-Alexis-Henry-Maurice Clérel
de Tocqueville, (1805-1859), il più
grande saggista politico dell’Ottocento,
che fu deputato e nel 1849, da Ministro
degli Esteri, perché favorevole alle lotte
dei liberali romani, fu costretto alle
dimissioni. Tocqueville si trasferì allora
negli U.S.A e al suo ritorno scrisse,
oltre le sue “Memorie”, due opere
fondamentali: “La democrazia in
America” e “L’ancien régime e la
rivoluzione francese” che lasciò
incompiuta.
E per Cavour fu importantissimo anche
l’incontro con colui che, a disfavore
della Francia e della Russia,
appoggiava le nazioni oppresse (Italia
compresa) e i loro moti insurrezionali:
si tratta di colui che, per circa mezzo
secolo, fu artefice della politica
inglese, Henry John Temple, Lord
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Il Tempietto
Palmerston (1785-1865), nelle sue
varie cariche (Ministro della Guerra,
Ministro degli Esteri, Primo Ministro).
Palmerston ebbe a definire il Piemonte
– da lui visto con simpatia ancorché
isolato in Europa per il suo regime
costituzionale e per il suo rispetto
delle libertà – “il faro dell’Europa” e
“oasi della libertà” in Italia e in
Europa.