12. L`Inghilterra e il Risorgimento
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12. L`Inghilterra e il Risorgimento
TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 157 Benito Poggio già Docente di Lingua e Letteratura Inglese al Liceo “D’Oria” Il processo di unificazione dell’Italia e l’Inghilterra “A dire dello storico, Franco Valsecchi, il periodo del Risorgimento va guardato, osservato e analizzato concretamente e su basi documentali nei suoi fatti e nei suoi uomini, e non come lo si è tradizionalmente inteso (e da qualcuno ancor oggi lo si intende, forse in guisa troppo teorica nonché retorica e ideologica) “eroismo e mito” ché ‘storicamente fatto dagli uomini, degli uomini ebbe pregi e difetti, valori e disvalori’.” TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 158 TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 159 Il Tempietto Il processo di unificazione dell’Italia e l’Inghilterra Benito Poggio 1. Premessa d’ordine generale Come premessa d’obbligo, debbo confessare ch’io che non sono (né mai mi sono piccato d’essere) uno Storico puro, bensì – come tanti altri studiosi, se così mi è lecito definirmi e in quella cerchia essere annoverato – non tanto uno cui piace meditare e ponderare teoricamente sulle vicende storiche, quanto piuttosto uno portato pragmaticamente a riflettere e indagare su fatti documentati e documentabili: quelle vicende e quei fatti, cioè, che entrano a far parte e incidono sullo spirito degli uomini appartenenti ad ogni ceto sociale e sull’indole e personalità di politici o letterati, patrioti o filantropi ch’essi siano o siano stati. È risaputo che sul finire del Settecento fu fatto ricorso – si dice per la prima volta – alla voce Risorgimento a denotare quel lasso di tempo, tanto della cultura quanto dell’arte, che usualmente chiamiamo “Rinascimento” e così per svariati decenni, possiamo dire tra i due secoli XVIII e XIX, la voce Risorgimento continuò a segnalare fatti in ispecie letterari e culturali. Fu con Vittorio Alfieri (1749-1803) che il concetto sotteso alla voce Risorgimento tese ad ampliarsi semanticamente: “risorgere” nell’accezione più ampia di “ribellarsi 159 e risollevarsi”, indicando altresì la possibile e sperata “rinascita” dell’Italia, da intendersi, grazie al superamento della sua frammentazione in innumeri stati e staterelli, come “nazione” nella sua globalità comprendente cultura, storia, politica, indirizzate *sia all’aggregazione nazionale, *sia alle genesi istitutiva di un solo Stato finalmente unificato, *sia alla nascita di una Nazione nuova e moderna. È per questa inusitata tensione presente nel vibratamente volitivo astigiano (“Volli, sempre volli, fortissimamente volli”) che uno dei più attenti storici dell’età risorgimentale, Walter Maturi, lo considerò e lo definì “il primo intellettuale uomo libero del Risorgimento”. A dire di un altro storico, Franco Valsecchi, il periodo del Risorgimento va guardato, osservato e analizzato concretamente e su basi documentali nei suoi fatti e nei suoi uomini, e non come lo si è tradizionalmente inteso (e da qualcuno ancor oggi lo si intende, forse in guisa troppo teorica nonché retorica e ideologica) “eroismo e mito” ché “storicamente fatto dagli uomini, degli uomini ebbe pregi e difetti, valori e disvalori”. E per trattare, pur in linea sintetica, il tema in oggetto, a un secolo e mezzo di distanza (1861-2011), sono dell’avviso di prendere le mosse da una serie di interrogativi di ordine generale: - Come lo si deve intendere il nostro Risorgimento nella sua realtà storica? - Più specificatamente: si tratta, secondo quanto ebbe a sostenere Giuseppe Prezzolini (1882-1982), di “una rivoluzione compiuta da altri”? TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 160 160 Il Tempietto - O non bisogna piuttosto considerarlo, come sostenne il già nominato autorevole risorgimentalista Franco Valsecchi, “il dramma di un popolo e del suo travagliato sorgere a nazione”? - O ha ragione il giovanissimo intellettuale e politico Piero Gobetti (1901-1926) a intuirlo e definirlo come “una rivoluzione fallita”? - O infine si deve accettare la precisazione di Antonio Gramsci (1891-1937) che, nella sua disamina, lo delinea come “una rivoluzione passiva”? Certamente la risposta è sì per tutte quante le suddette differenziate opinioni e i suddetti contrastanti giudizi, ma con gli opportuni e ben soppesati “distinguo” - sui fattori ideali (l’idea di un’Italia “una e indivisibile” prima e successivamente l’idea mazziniana di un’“Europa dei popoli in contrapposizione all’Europa dei re”) e sui fattori reali (reazione ai troppi e continui abusi dell’occupazione straniera di marca francese in primis, ma anche spagnola e austriaca, per non dire – sotto taluni aspetti strategico-commerciali – russa); - su quanti (totalità o minoranza?) sentirono quindi le esigenze di libertà e di indipendenza (sotto i plurimi influssi della Rivoluzione francese e, per l’Italia, degli anni che vanno dal 1796 al 1799; del periodo napoleonico; del Romanticismo) o furono spinti al superamento di fazioni e individualismi (di ascendenza antica e protrattisi dal Medioevo di cui erano retaggio). Probabilmente il coacervo di questi “distinguo”, presi in considerazione tutti insieme e nel loro complesso (non dimenticando neppure quanto in allora il Papato sia stato troppo restìo a rinunciare al proprio “potere temporale”), sono alla base dell’acquisizione di una nuova coscienza politica e morale generalizzatasi lentamente (il d’azegliano “fare gli Italiani”), primariamente originata e pervicacemente animata – pur in modi e tempi dissimili e talvolta discordanti – dall’ineliminabile trio costituito dai due “Padri della Patria”, vale a dire - il genovese Giuseppe Mazzini (18051872), guida a Genova di quei cospiratori politici (in tanti, da “martiri” o “esuli”, fattisi e divenuti, col loro sangue o le loro sofferenze, forte richiamo e squillante cassa di risonanza per un numero sempre maggiore di nuovi proseliti) che, lui tra loro, si riunivano nel negozio di tal Antonio Doria (o D’Oria, 1801-1875), libraio e patriota; - il nizzardo, ma di origini chiavaresi, Giuseppe Garibaldi (1807-1882), spinto da “un caos di nobili ideali” e considerato, per le sue imprese non sempre tutte egualmente cristalline, “l’eroe dei due mondi” che adottò l’umanità intera come propria patria e aiutò, corpo e anima, ogni popolo in lotta contro il tiranno (Si veda in proposito “Viva Garibaldi” – Un mito tra letteratura e realtà, ampio e approfondito studio che ineccepibilmente ne inquadra e illustra la figura, condotto da Quinto Marini dell’Ateneo genovese e reso pubblico a Palazzo Ducale in Genova per il 2° centenario della nascita dell’eroe); TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 161 Il Tempietto - con l’aggiunta di colui che è considerato “l’ago della bilancia” della politica unitaria, l’acuto (e astuto) politico torinese Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), moderato e riformista più in senso federalistico giobertiano, contrario com’era alla linea rivoluzionaria e democratica di marca mazziniana al punto di affermare che “in Italia una rivoluzione democratica non ha probabilità di successo”. Alle tre figure or ora delineate, è fuor di dubbio che ne vadano aggiunte senz’altro almeno altre due: - quella del sacerdote Vincenzo Gioberti (1801-1852), filosofo e politico, verrà esiliato per essersi iscritto a società segrete. PapaReligione-Popolo costituiranno i cardini del suo “neoguelfismo”; rivestirà, nel Regno di Sardegna, la carica di primo Presidente della Camera dei Deputati: stante l’etichetta gentiliana, Gioberti e Mazzini furono qualificati “i profeti del Risorgimento”; - quella del filosofo e scrittore Carlo Cattaneo (1801-1869), politico pragmatico e convinto patriota, di fede repubblicana (talché, eletto deputato, non giurerà mai davanti al Re), sostenitore di un federalismo integrale, da attuarsi secondo il modello svizzero. C’è da osservare – e a distanza di tempo (150 anni dopo, come s’è sopra accennato) lo possiamo sicuramente asserire con maggiore obiettività – che l’operazione unitaria (e/o di unificazione) ebbe esito positivo – pur se non universalmente condiviso nei modi e nei tempi – allorquando rivendicazione e rivoluzione, moti 161 risorgimentali e impulsi xenofobi (su tutti quelli antifrancesi dei sanfedisti e dei làzzari) rientrarono nell’alveo moderato (Cavour docet) della politica e della diplomazia. Non è qui il caso di passarli in rassegna, ma sono numerosi negli anni e sparsi per le varie regioni italiane, da sud a nord, i moti e le azioni rivoluzionarie (cui si farà sporadicamente cenno) e di contrasto allo status quo che, lentamente ma inesorabilmente, portarono alla diffusione delle idee di libertà e delle aspirazioni all’indipendenza in tutto il territorio che era destinato a unificarsi e che doveva diventare “nazione”. È ormai assodato e riconosciuto, delusioni e insuccessi a parte e senza sminuire l’importanza decisiva di altri, che il merito principale fu del romantico (di un Romanticismo precipuamente di tinta patriottica, però) Mazzini, il quale, da educatore genuino, aveva il suo credo (“Dio e Popolo”) e la sua profonda fede – in una religiosa, sociale e politica – atta e tesa a risvegliare coscienza e moralità nel popolo; anche se il realismo spregiudicato del politico prussiano Otto von Bismarck-Schönhausen (1815-1898) doveva alla fine trionfare sull’idealismo – definito dallo storico Bolton King “nobile e paziente”, ma destinato a cadere – di Giuseppe Mazzini. In effetti gli assunti e gli ideali di Mazzini, che danno corpo e sostanza al mazzinianesimo, pur non riuscendo appieno nell’impresa diffusiva e di convincimento specie per mancanza di presa tra i contadini nei vasti territori TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 162 162 Il Tempietto delle campagne, riuscirono ad essere più convincenti e trascinanti, più presenti ed estesi nelle città del settentrione e del centro Italia tanto da giungere ad influenzare e sicuramente a coinvolgere soprattutto popolani e artigiani, bottegai e commercianti, studenti e professori: in prevalenza i membri di quella classe media, dalla quale anche il Mazzini proveniva, e che numerosi aderirono alla “Giovane Italia”, sicuramente fondata su un’organizzazione meglio congegnata, più congrua e meno settaria di quanto era la “Carboneria”. 2. Politici inglesi e Inghilterra: la loro fattiva azione a favore del Risorgimento italiano Sia come sia, chiediamoci ora: - Quale fu e come si caratterizzò la partecipazione dell’Inghilterra al Risorgimento? - Come presero parte i politici Inglesi a quel movimento, che possiamo ormai, in un certo senso, precisare come rivoluzionario, che sospinse all’unificazione dell’Italia e che gli Inglesi, pur acquisendolo linguisticamente come “the Risorgimento”, definirono sovente “Reawakening” (risveglio) o “Revival” (rinascita)? - Da chi e in quale misura fu sollecitata in Inghilterra detta partecipazione? - Ma soprattutto, perché l’Inghilterra e la politica inglese si mostrarono, almeno apparentemente (o dovrei meglio specificare: politicamente? diplomaticamente?) favorevoli all’unificazione italiana? - Si trattò di favore autentico e di appoggio disinteressato all’italica causa o, per così dire, “c’era anche del marcio in… Inghilterra” (ad es. tra le altre azioni politiche portate avanti, allungare le mani e impadronirsi della Sicilia, una volta dichiarata indipendente e, con Francia e Russia, salvaguardare i propri interessi strategico-economici nel Mediterraneo)? Intendendo dire con ciò: - Forse che, di per sé, la grande e potente Nazione (…verrà chi le appiopperà la denominazione di “perfida Albione”) covava e (dis)simulava un favore e un appoggio fittizi, se non inattendibili? E per aggiungere un ulteriore interrogativo e caricare di più ancora la dose: - Non è che l’Inghilterra mirasse a fornire e assicurare, agli Stati oltre Manica, un favore e un appoggio marcatamente soggettivi e del tutto tendenziosi? Sono numerosi ed eterogenei quesiti – che più d’uno è portato a considerare astrusi se non provocatorî o addirittura li ritiene aperte e dissacranti illazioni – al riguardo di una vexata quaestio; numerosi quesiti, comunque, ai quali è facile dare una risposta anche, e soprattutto, col supporto di quegli Storici (ma non posso citarli tutti) – da quelli inglesi come, per citare tre Storici di peso, Bolton King (18601937), George Macaulay Trevelyan (1876-1962) e Denis Mack Smith (1920; egli ritiene sbagliata la cessione di Nizza e Savoia); al folto gruppo di quelli italiani: da Luigi Salvatorelli (1866-1974) a Gaetano Salvemini TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 163 Il Tempietto (1873-1957) e a Gioacchino Volpe (1876-1971); da Pietro Silva (18871954) a Guido De Ruggiero (18881948) e a Carlo Rosselli (1899-1937); da Walter Maturi (1902-1961) a Franco Valsecchi (1903-1992) e a Rosario Romeo (1924-1987), e a tanti, tanti altri ancora – che su tale partecipazione hanno detto la loro analizzandola a fondo, traendone plausibili conclusioni e che, per sopraggiunta, presero in considerazione e tennero in debito conto, com’era giusto che fosse, un mix di apprezzabili motivazioni e un potpourri (qui per “armonica e giustificata mescolanza”) di provate giustificazioni. È chiaro ed evidente che la mia trattazione, come detto, alquanto succinta e forzatamente non esaustiva, si limiterà a fornire cenni e accenni su tale presenza e di tale partecipazione: presenza e partecipazione che, a mio avviso, vanno distinte, o per meglio dire poste su almeno due differenti piani: a) Il primo – se si vuole, in determinate situazioni, alquanto freddo e interessato, strategicamente anche cinico – per forza di cose connesso a e derivante dalla politica e dalla diplomazia, vede in gioco una bella schiera di personalità politiche (se ne citano qui solo alcune) del peso e dell’importanza di - Robert Stewart, marchese di Londonderry, visconte di Castlereagh, noto come Lord Castlereagh (17691822, morto suicida), fu in tempi diversi Ministro delle Colonie, della Guerra e degli Esteri; determinò la coalizione che portò alla sconfitta di Napoleone e si rivelò uno dei protagonisti al Congresso 163 di Vienna; fu attaccato violentemente anche dal poeta Percy Bysshe Shelley (1792-1822) col quale ingaggiò un duello perdendolo; appoggiò la campagna per l’abolizione della schiavitù, sostenne una linea politica di equilibrio e di non interferenza negli affari degli altri stati e propagandò la forma di costituzionalismo all’inglese per i vari stati e staterelli assolutistici, opponendosi con forza all’antiliberalismo propugnato da Austria e Russia; è noto il suo dissidio con - George Canning (1770-1827), conservatore, che fu collaboratore del Primo Ministro William Pitt il Giovane (1759-1806); in seno al Partito dei Conservatori si diede vita ad una corrente nella quale i suoi seguaci e sostenitori, definiti “Canningites”, risultarono favorevoli all’emancipazione dei Cattolici e fautori di un mercato svincolato da eccessive restrizioni; ricoprì anch’egli le cariche di Ministro degli Esteri e Primo Ministro; sostenne il non-intervento nelle politiche interne delle altre nazioni, mostrandosi favorevole ai moti liberali e all’indipendenza di qualunque paese (Italia, Grecia, ex-colonie dell’America Latina, ecc.); - Henry John Temple, Lord Palmerston (1785-1865), inizialmente membro del Partito dei Conservatori alla Camera dei Comuni, Lord dell’Ammiragliato, Ministro della Guerra e poi, a più riprese, fino al 1841, Ministro degli Esteri, incarico in cui riuscì ad aumentare prestigio e potenza dell’Inghilterra e protesse le monarchie costituzionali. Tornato al TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 164 164 Il Tempietto potere dal 1846 al 1851 difese la causa dei popoli oppressi. Nelle sue varie cariche si dimostrò “grande architetto della politica inglese” e sotto di lui l’Inghilterra prese le distanze dall’Austria. Fu Primo Ministro dal 1855 fino alla morte, periodo in cui gestì la guerra di Crimea e assunse una posizione di aperto favore della causa italiana con un atteggiamento compiacente al Risorgimento e con particolari attenzione e simpatia per l’indipendenza italiana; - Gilbert Elliot, conte di Minto (17821859), politico inglese, deputato, ambasciatore a Berlino. In missione in Italia nel 1847-’48, si addossò il compito di stimolare Carlo Alberto, Pio IX, Ferdinando di Borbone e i principi italiani a concedere riforme liberali; - James Robert George Graham (17921861), politico inglese, che entrò alla Camera dei Comuni e fu Ministro degli Interni: come tale si scontrò con Mazzini, esule a Londra, per violazione del segreto epistolare delle sue lettere. Mazzini fu difeso dal suo “fraterno nemico” Thomas Carlyle (1795-1881): la questione provocò aspri dibattiti in parlamento; in Inghilterra Mazzini divenne una sorta di eroe nazionale e lo stesso ministro Graham, in una seduta alla Camera, ritrattò le accuse fatte a Mazzini e gli chiese pubblica scusa; - Lord John Russell (1792-1878), nonno del filosofo e matematico Bertrand Russell (1872-1970) e che, da Ministro degli Esteri nel governo Palmerston, oltre a dimostrare capacità e aperture politiche internazionali, fu sostenitore dell’unificazione italiana; - George William Villiers, conte di Clarendon (1800-1870), politico e diplomatico. Ministro degli Esteri più volte. A Parigi appoggiò la politica di Cavour e cercò di riannodare l’alleanza con Napoleone III; - Richard Cobden (1804-1865), da economista, favorevole all’espansionismo commerciale; ma, da pacifista, contrario all’espansionismo “bellico” in atto da parte dell’Inghilterra; - Benjamin Disraeli (1804-1881), ebreo sefardita di origine italiana, leader dei Conservatori, due volte Primo Ministro, scrittore; col voto dei Liberali e con l’appoggio della regina Vittoria fece approvare una riforma elettorale che riconosceva il diritto di voto ai non salariati delle città, enunciò il principio che “mai una nazione ha diritto di rassegnarsi alla sventura” (con chiaro riferimento anche alla situazione dell’Italia); - James Howard Harris, 3° conte di Malmesbury (1807-1889), politico inglese, due volte Ministro degli Esteri. Incontrò Cavour in Italia e cercò di fargli dismettere la politica audace che era una minaccia per la pace in Europa. Fu ostile a Mazzini e ammiratore di Garibaldi e del nascente regno d’Italia; - Henry Richard Charles Wellesley, conte di Cowley (1804-1884), diplomatico britannico, ambasciatore a Parigi, nel II Impero, partecipò alle trattative tra Francia e Inghilterra. A conclusione della guerra di Crimea rappresentò la Gran Bretagna al Congresso di Parigi e dopo l’attentato di Orsini fu abile arbitro nella contesa tra Francia e Gran Bretagna e, anche TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 165 Il Tempietto se invano, si adoperò per evitare che l’Austria entrasse in guerra nel 1859; - William Ewart Gladstone (18091898) fu per ben quattro volte Primo Ministro; a lui venne appioppato il nomignolo “GOM” interpretato come “Grand Old Man” (i.e.: Il Grande Vecchio), mentre dai suoi avversari era inteso come “God’s Only Mistake” (i.e.: Il solo e unico sbaglio di Dio). È autore di una famosa lettera che fece inorridire l’intera Europa, nella quale denunciava le orribili condizioni in cui versavano i detenuti (tra essi Silvio Spaventa, 1822-1893; Giuseppe Poerio, 1775-1843 e Luigi Settembrini, 1813-1876) nelle prigioni di Napoli. Da letterato tradusse in inglese “Storia dello Stato romano dal 1815 al 1850” scritta da Luigi Carlo Farini (1812-1866), uomo di talento, impetuoso e generoso, apprezzato da Cavour che, divenuto ministro, gli affidò la testata di Il Risorgimento (quotidiano fondato dallo stesso Cavour) e in seguito lo volle membro del suo governo. Appoggiarono e favorirono la lotta italiana per l’unità e l’indipendenza anche altri personaggi inglesi presenti in Italia a vario titolo e con vari incarichi: - il diplomatico Sir James Hudson (1810-1885), prima a capo della delegazione inglese a Firenze e poi a Torino ove rimase oltre dieci anni a contatto con Cavour delle cui idee fu sostenitore e Cavour seppe profittare del suo sostegno per entrare a far parte della guerra di Crimea; fu ripreso da Lord Malmesbury convinto che Sir Hudson, favorendo il Governo 165 Sabaudo, volesse provocare la guerra contro l’Austria. Dopo l’indipendenza, sir Hudson, rifiutando incarichi più prestigiosi (ad es. l’ambasciata a Costantinopoli), volle restare a Torino, si dice (fors’anche con un certo grado di gossip malizioso) perchè l’inglese era in troppo… stretta amicizia e in troppo… stretta confidenza con il torinese, impenitente scapolo, amante di tante donne, ma volutamente sposo di nessuna: Cavour non ebbe mai tempo di farsi una famiglia e fare dei figli perché troppo impegnato, come diceva lui, a fare l’Italia; - il diplomatico Sir Henry Elliot Murray-Kynynmound, 2° conte di Minto (1817-1907) che fu inviato nel Regno delle Due Sicilie per riallacciare i rapporti diplomatici precedentemente interrotti e quindi a Napoli ove, però, non riuscì a dissuadere Garibaldi dall’attaccare Venezia; successe poi a Sir James Hudson a Torino e nel 1865 a Firenze, allora capitale d’Italia. Fu a favore di riforme costituzionali, senza ottenere particolari esiti positivi. Come detto, sono solo alcune delle personalità politiche inglesi che, con varie risultanze connesse ai loro incarichi, ebbero a che fare con l’Italia nell’epoca risorgimentale, e non bastano certo queste di cui ho detto a delineare e inquadrare quanto c’era sotto al vivo interesse dell’Inghilterra per le vicende italiane. Comunque, fu proprio grazie a questo tipo di influenze e di relazioni che il processo risorgimentale italiano acquisì valenza e importanza europea e l’Italia, i cui modelli erano in TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 166 166 Il Tempietto prim’ordine l’Inghilterra (e in second’ordine la Francia), cercò di reintegrarsi nell’Europa liberale. 3. Esuli inglesi in Italia E tuttavia, al fianco della dozzina o poco più dei politici inglesi di professione sopra citati, non si può non ricordare la partecipazione all’attività risorgimentale e alla lotta per l’indipendenza, per lo più come “esuli volontari” (o come “transfughi”) in Italia, di tanti cittadini inglesi; tra loro si impongono due fra i grandi poeti romantici inglesi: - il primo, George Gordon Lord Byron (1788-1824), abbandonando l’Inghilterra, così – in “Childe Harold’s Pilgrimage” – si espresse: “Adieu, adieu! my native shore/Fades o’er the waters blue” (i.e.: “Addio a te, mia terra natìa/che lentamente scompari nell’azzurro mare”), e, ivi rimarcando la sua decisione di auto-esilio definitivo, gridò: “My native Land – Good Night!” (i.e.: “Mia terra natìa – Buona notte!”); una volta in Italia, profittando del suo passaporto inglese, della sua nazionalità ed extraterritorialità nonché dei suoi cospicui mezzi finanziari generosamente e costantemente messi a disposizione di tutti i perseguitati (prima Italiani e poi Greci), riuscì a sfuggire alle perquisizioni e alle retate della polizia, accumulando altresì armi nelle sue residenze per aiutare in ogni modo i Carbonari; - il secondo, Percy Bysshe Shelley (1792-1822), rivolgendosi, in “Julian and Maddalo”, alla sua nuova patria cantò e concentrò in un famoso verso il suo pensiero: “Thou Paradise of exiles, Italy!” (i.e.: O tu, Italia, paradiso degli esuli!”) e, proclamato “apostolo della libertà”, non mancò di offrire il suo apporto alla causa italiana; la sua morte fu commemorata dal nostro Giosuè Carducci (1835-1907), che, in visita al Cimitero degli Inglesi a Roma, nell’ode “Presso l’urna di P.B. Shelley” in tono un po’ retorico lo definì “spirito di titano/entro virginee forme”. Non sono neppure da passare sotto silenzio né tantomeno sono da tralasciare, tra le tante, tre ragguardevoli figure femminili: due di nazionalità inglese e una americana, tutte e tre strettamente e affettuosamente legate all’Italia risorgimentale: - Elizabeth Barrett Browning (18061861), delicata poetessa inglese, fuggita per amore con il poeta Robert Browning (1812-1889) in Italia, visse a lungo a Firenze; partecipò con grande entusiasmo alla lotta degli Italiani per la libertà e l’indipendenza dallo straniero; nutrì particolare stima per Cavour e la sua morte la rattristò grandemente; in “Casa Guidi Windows” (i.e.: “Dalle finestre di casa Guidi”) raccolse materiali in cui espose le sue idee – di donna, moglie e madre – su quella che lei valuta la lunga lotta di liberazione dell’Italia dall’Austria; interessante rilevare come lo spunto le sia offerto da un bimbo fiorentino che sotto le finestre della sua residenza fiorentina, detta Casa Guidi appunto, intona con voce argentina: “O bella libertà! O bella!”; - Sarah Margaret Fuller-Ossoli (18101850), colta e intelligente, la scrittrice TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 167 Il Tempietto americana, conobbe Mazzini a Londra in casa Carlyle: dopo quell’incontro, da acerrima nemica qual era quando ancora non lo conosceva, ne divenne accesa sostenitrice tanto da abbracciare la causa italiana, distinguersi eroicamente nell’assedio di Roma, ove aveva sposato il marchese Giovanni Angelo Òssoli (1821-1850). Caduta Roma, i due coniugi, imbarcatisi per tornare in America, morirono sul veliero Elizabeth inabissatosi nelle vicinanze di New York; - imponente la personalità di Jessie Jane Meriton White (1832-1906), figlia di ricchi armatori, nata in Inghilterra ma naturalizzata italiana, sposò l’italiano Alberto Mario, tanto da essere nota più semplicemente come “Jessie Mario” e come tale fu esaltata dal Carducci quando, per spronarlo ad agire, scrisse ad Agostino Depretis (1813-1887): “La democrazia conta un solo scrittore sociale: ed è un inglese, ed è una donna; la signora Jessie Mario, che non manca mai dove ci sia da patire o da osare per una nobile causa”. Anche Indro Montanelli (1909-2001), giornalista e scrittore, esaltò, da divulgatore storico qual era, la figura di questa donna straordinaria definendola “gran pasionaria della causa rivoluzionaria italiana”. Jessie White, prolifica scrittrice (curò tra l’altro le biografie di Garibaldi e Mazzini, ma non solo), fu anche efficace giornalista, svolse con dedizione la pratica di infermiera al seguito Garibaldi la cui conoscenza, a Nizza, l’aveva spinta a dedicarsi anima e corpo a lottare per l’indipendenza e 167 per l’unificazione dell’Italia. Da autentica filantropa, conseguita l’unificazione, si occupò tanto dei poveri di Napoli quanto dei minatori siciliani, denunciando altresì la diffusione dello sfruttamento minorile. Fece la spola tra l’Inghilterra e l’Italia; a Londra conobbe l’esule Mazzini e con lui venne a Genova ove fu catturata e gettata in prigione per alcuni mesi. Per le sue molteplici attività fu detta “Miss Hurricane” e Mazzini le affibbiò l’appellativo di “Giovanna d’Arco della causa italiana”. 4. Esuli italiani in Inghilterra b) Il secondo, certamente più partecipativo, caldo e fors’anche più emotivo, legato al “popolo inglese”: in grado di ingenerare simpatie – da parte dei politici e degli uomini di cultura, e non solo della gente comune – per gli Italiani bramosi di libertà e che agognavano un ritorno alla patria lontana; in particolare per gli esuli che trovarono rifugio in vari stati: da Malta alla Spagna, dalla Francia alla Svizzera, ma anche dalla Grecia (Corfù, Zante) alla Corsica, dalla Tunisia all’Algeria, oltre, ovviamente, a cercare una nuova patria, sia pure temporanea, soprattutto in quell’Inghilterra vista come modello di “stato costituzionale” qual era da loro sognato e agognato e al quale fare costante riferimento. È comunque obiettivamente (nonché storicamente) opportuno ricordare come le due nazioni che accolsero in gran numero gli esuli italiani, così la Francia come l’Inghilterra (il cui governo, ad onor del vero, non assunse mai alcuna TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 168 168 Il Tempietto particolare misura per ostacolare i piani dei liberali italiani), intendevano (e, lo si può dire, tendevano) primariamente (e sovente opportunisticamente, se non subdolamente) a favorire – lo si è già fatto capire – i propri rispettivi interessi commerciali e di natura espansionistica più ancora che la libertà del popolo italiano, o in tutt’uno con essa. C’è da aggiungere, a onor del vero, che l’Inghilterra era lodata e ammirata dai patrioti italiani in esilio non solo per il suo sistema politico e per il suo progresso economicoindustriale, ma altresì per la capacità di sviluppare e diffondere la cultura anche fra i ceti popolari meno abbienti, consentendo agli esuli (ne darò esempi) anche di avviare scuole o promuovere centri culturali. Ma quanti erano gli italiani esuli in Inghilterra? Se ne calcolarono un centinaio almeno presenti nella capitale, un altro centinaio nei dintorni di Londra e una decina a Jersey. Capofila degli Italiani, che, per sfuggire alle persecuzioni e alle torture, al carcere e alle condanne a morte, scelsero come seconda patria l’Inghilterra, è da annoverare Ugo Foscolo (1778-1827), il quale – come disse il filosofo e patriota Carlo Cattaneo (dalle idee federaliste e più pragmatico di Mazzini e che, dopo il 1848, scelse l’esilio in Svizzera) nel suo saggio “Ugo Foscolo e l’Italia” (Napoli 1860) – fu colui che “diede all’Italia una nuova istituzione: l’esilio”; e c’è da chiarire che il Foscolo prima credette in “Bonaparte liberatore” e come tale lo osannò; amareggiato dopo Campoformio, combattè contro gli Austriaci e per non giurare fedeltà all’austriacante, dapprima fuggì in Svizzera e da qui, “profugo alla Fortuna e al Tempo”, riparò in Inghilterra, inizialmente bene accolto e in condizioni agiate, poi, scialacquato tutto ciò ch’era possibile scialacquare, visse di… articoli, recensioni e conferenze con al fianco il sostegno e l’affetto della figlia naturale, Floriana. E da esule in Inghilterra, fece conoscere non solo agli Inglesi, ma a tutta l’Europa – e le fece amare – la letteratura e la cultura italiane. Congiuntamente a Vittorio Alfieri, Foscolo fu certamente tra gli ispiratori di quel sentimento di ribellione contro ogni forma di tirannide, contro lo straniero e contro l’Austria in vista di un’Italia finalmente “libera e grande”. - Un ruolo tutto particolare e significativo spetta a colui che fu detto “l’esule fortunato” e al quale scrivevano e si rivolgevano uomini illustri e politici italiani, vale a dire Antonio Genesio Maria Panizzi, nato a Brescello nel 1797 e morto a Londra nel 1879. Patriota e bibliotecario, fu condannato a morte per la sua partecipazione ai moti del 1821; per salvarsi, fuggì in Svizzera e da qui in Inghilterra ove strinse amicizia col Foscolo e andò ad insegnare letteratura italiana a Liverpool e a Londra; qui venne in contatto – ma inizialmente si dimostrò freddo con lui – con Mazzini, anch’egli esule nella medesima città. Divenuto assistente e poi direttore del British Museum, mise in luce le sue doti e capacità di amministratore e di bibliofilo. Nel TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 169 Il Tempietto 1868, per i suoi meriti patriottici, fu nominato senatore. Fu davvero lungimirante nel dichiarare che l’Inghilterra mirava precipuamente ai propri interessi com’è palese in queste sue diverse affermazioni con le quali prese una coraggiosa posizione, senz’alcun timore di andare e di essere controcorrente: - dapprima l’Inghilterra, essendo sua alleata, aiutò l’Austria a mantenere lo status quo; - in seguito, una volta sconfitta l’Austria, l’Inghilterra si mostrò favorevole all’unificazione dell’Italia e, opponendosi alla Francia, ad un’Italia federalista. - Tra coloro che furono costretti all’esilio in Inghilterra è da annoverare Gabriele Rossetti (1783-1824), poeta, critico letterario e patriota che aveva appoggiato i rivoltosi, affiliati alla Carboneria, nei moti del 1820-’21. Condannato all’esilio, si recò prima a Malta e da qui a Londra, ove visse fino alla morte insegnando lingua e letteratura italiana e pubblicando raccolte di poesie (ad es. L’arpa evangelica) e opere di critica (personale rilettura di Dante e della Divina Commedia). Sposò Frances, figlia dell’esule italiano Gaetano Polidori (1764-1853), medico e poeta, che era stato segretario dell’Alfieri e che viveva a Londra insegnando italiano; - in esilio in Inghilterra troviamo anche Santorre di Santarosa (17831825): di nobile famiglia, combattè a Marengo contro Napoleone, aderì alla Carboneria e nel 1821, grazie ad accordi con Carlo Alberto e altri generali, cercò di organizzare un moto 169 che fallì. Dopo l’abdicazione del re Vittorio Emanuele 1° in favore del fratello Carlo Felice, venne affidata la reggenza a Carlo Alberto che concesse la Costituzione e nominò Santarosa Ministro della Guerra; ma, al suo rientro, Carlo Felice fece marcia indietro e annullò le riforme di Carlo Alberto. Per evitare la cattura e la condanna a morte da parte degli Austriaci, Santarosa fuggì a Ginevra, poi a Losanna e da qui a Parigi ove fu riconosciuto e catturato. Consolato e difeso dal filosofo Vittorio Cousin (1792-1867), venne liberato, ma condannato all’esilio. Si recò in Inghilterra: dapprima a Londra ove conobbe Ugo Foscolo e ove visse in condizioni assai precarie, soffrendo molto per la mancanza di mezzi di sussistenza e per la lontananza della famiglia; da qui si trasferì a Nottingham ove fece il professore, in attesa di andare a combattere, come già Byron, per la liberazione della Grecia (“I dreamed that Greece might yet be free” (i.e.: “Desideravo ardentemente che la Grecia potesse ancora tornare libera”) aveva cantato il poeta inglese nel “Don Juan”) e lì l’irrequieto e generoso patriota Santorre cadde ucciso per mano di un anonimo soldato. - Come non dire, parlando di esuli, di Giovanni Ruffini (1807-1881) e dei fratelli Jacopo (1805-1833, morto suicida nel carcere del Palazzo Ducale di Genova), Agostino (1813-1885) e Ottavio? Essi diedero tra i primi la loro adesione alla “Giovane Italia”, meno settaria e meno contorta, meglio organizzata e meglio congegnata della TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 170 170 Il Tempietto “Carboneria” (e anche dei “Comuneros” in Spagna e dell’“Eteria” in Grecia). Giovanni, una volta individuato e scoperto come organizzatore di moti rivoluzionari, fu costretto a fuggire dapprima in Francia, poi in Svizzera e infine Inghilterra e fu lì che, con i suoi romanzi, non si limitò a diffondere e a far conoscere i veri motivi della lotta per l’indipendenza e l’unificazione d’Italia, ma seppe suscitare favore e comprensione per il destino della sua patria soggiogata, divisa, angariata, ancora da considerarsi, in linea con la percezione dantesca nel Purgatorio: “serva Italia, di dolore ostello”. - Una figura di esule e patriota sui generis è senz’altro Camillo Mapei (1809-1853) che morirà a Dublino; sacerdote, abbandona, con l’abito talare, anche la religione cattolica e per questo viene perseguitato e ricercato poi anche per le sue idee liberali; costretto alla fuga si rifugia a Malta, poi ad Algeri, quindi a Marsiglia, poi ancora a Malta e da qui a Londra ove, esule non soltanto per motivi politici, trova rifugio e fa la conoscenza proprio in questa città di altri due insigni esuli, convertendoli, compreso Garibaldi e altri fautori del Risorgimento italiano, all’Evangelo: Gabriele Rossetti e Giuseppe Mazzini. Alla pari di quest’ultimo che, con l’ausilio di altri esuli italiani, aveva avviato una scuola gratuita italiana dal 1841 al 1848), anche Mapei, con l’aiuto di altri esuli italiani, apre scuole gratuite, denominando la sua “L’Asilo dei Fanciulli poveri italiani a Londra”; molti bambini italiani, rapiti o comprati per pochi soldi, erano costretti a vivere in condizioni miserrime e di totale degrado e nella più totale indigenza alla periferia di Londra, obbligati, per giunta, da malvagi sfruttatori senza scrupoli a mendicare per le vie londinesi. - Altro patriota italiano che sostenne con tutte le sue forze i moti repubblicani risorgimentali e, dopo i moti del 1848, dovette riparare in esilio a Londra, è Pietro Doro, excanonico a Savigliano, anch’egli – come il citato Mapei – missionario evangelico e che a Londra si impegnò attivamente a vantaggio dei bambini italiani. - Ma vi è un esule alquanto singolare ed eclettico, che fu anche avventuriero e patriota insieme: risponde al nome di Antonio Carlo Napoleone Gallenga (1810-1895): militò nell’esercito francese e da rivoluzionario prese parte ai moti del 1831 finendo in prigione; uscitone e assunto il nome fittizio di Luigi Mariotti (pseudonimo col quale firmerà anche le sue prime opere), viaggiò molto (Malta, Corsica, Francia, Spagna, Africa); in Svizzera abbracciò gli ideali mazziniani tanto da accettare di essere, pur senza riuscirci, il tirannicida di Carlo Alberto; da disertore (si ritenne fosse una spia al servizio dell’Austria), riparò a New York nel 1836, tornandone tre anni dopo per rifugiarsi in Inghilterra, a Londra, ove volle incontrare Mazzini per chiedergli perdono. Si mantenne facendo traduzioni e insegnando italiano. Nel 1854. grazie anche a Cavour, fu eletto deputato al Parlamento italiano. Come TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 171 Il Tempietto giornalista del The Times fu testimone oculare della guerra del 1859, della spedizione dei Mille, della guerra di secessione americana e di altri avvenimenti ancora. La sua approfondita conoscenza della lingua gli consentì di scrivere opere storiche in inglese (tra esse notevoli i tre volumi della “History of Piedmont”) che favorirono sentimenti di amicizia e simpatia dell’Inghilterra per l’Italia e lo fecero annoverare tra gli scrittori inglesi dell’Inghilterra Vittoriana. - Carlo Pisacane, patriota e autore di sfortunate imprese che mai fecero venir meno la sua fede politica nei suoi ideali, con Mameli, Garibaldi, Saffi e Mazzini, fu attivo co-fondatore della Repubblica Romana. Conosciuto Mazzini, per la prima volta, proprio in tale circostanza, ne divenne fedele seguace e sostenitore convinto. Purtroppo l’impresa fallì per l’attacco dei Francesi fatti venire da Pio IX e Pisacane fu arrestato e gettato in prigione a Castel Sant’Angelo; una volta tornato in libertà, andò in esilio prima a Marsiglia, poi a Losanna e da ultimo a Londra e lì visse con Enrichetta, la sua compagna. - Perfino il futuro statista Francesco Crispi (1818-1901) fu esule. Laureato in Legge a Palermo, fu magistrato a Napoli. Tra i promotori della insurrezione siciliana del 1848, dopo la restaurazione borbonica si rifugiò dapprima a Torino, in seguito fu a Malta e da qui, sul finire del 1854, al fine di consentire agli esuli italiani che si trovavano nell’isola di proseguire le loro attività evitando le possibili ritorsioni degli Inglesi, trovò 171 dapprima rifugio a Parigi da dove, però, venne espulso in seguito all’attentato di Felice Orsini e, una volta allontanato, raggiunse Mazzini in Inghilterra continuando la sua lotta a pro dell’Italia. Dopo i nuovi moti in Sicilia del 1860, ebbe notevole influsso nel convincere Garibaldi a compiere l’impresa dei Mille, conclusa la quale Crispi divenne segretario di stato del Generale, al quale suggerì di proseguire la sua impresa su Napoli e sugli Stati Pontifici. Nel 1861 fu eletto deputato di Palermo al primo Parlamento nazionale di cui ricoprì l’incarico di Presidente della Camera, di Ministro degli Interni, prima dell’infelice impresa di Adua (1896) e del suo definitivo ritiro a vita privata. - Felice Orsini (1819-1858), avvocato, patriota inquieto, martire del Risorgimento e considerato da alcuni, “il primo terrorista internazionale”. Associato alla “Carboneria”, per la sua attività fu condannato all’ergastolo, fruendo però dell’amnistia di Pio IX. Dopo spostamenti in diverse città e peripezie varie, si stabilì a Nizza svolgendo un’attività commerciale a copertura della sua reale attività politica. Nel 1853, su proposta di Mazzini di cui era seguace, fu a capo dell’insurrezione, poi fallita, di Massa e Sarzana; per sfuggire alla cattura, fu costretto all’esilio in Inghilterra, a Londra, ove svolse attività di scrittore raccontando le sue avventurose memorie. Nel 1858, lasciata Londra, a Parigi fu autore, con altri congiurati, dell’attentato con strage a Napoleone III. Catturato, fu ghigliottinato nello stesso anno nella capitale francese. TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 172 172 Il Tempietto - E nel 1849, dopo la caduta della Repubblica Romana, anche Aurelio Saffi (1819-1890) scelse l’esilio: dapprima in Liguria, poi si unì a Mazzini in Svizzera e quindi si recò con lui a Londra. - Come non citare almeno, anche se di sfuggita, Carlo De Cristoforis (18241859), patriota e scrittore (“Che cosa sia la guerra”, un’opera sua), che prese parte alle cinque giornate di Milano e alla Prima Guerra di Indipendenza; lasciata Milano, si stabilì prima a Torino, poi riparò all’estero: a Parigi. Fece parte della “Legione Italiana” organizzata dall’Inghilterra per la campagna di Crimea e rientrò in Italia per la Seconda Guerra di Indipendenza. Capitano nei “Cacciatori delle Alpi” al fianco di Garibaldi, morì in combattimento a S. Fermo. - Non proprio come esule (lui fu esule in Sudamerica), ma come eroe, Giuseppe Garibaldi, nel 1864, fu accolto in Inghilterra, a Londra, trionfalmente tanto dagli Inglesi e da Lord Palmerston in persona che volle conoscere e complimentarsi con l’eroe cosmopolita, così come lo vollero conoscere ed applaudire i numerosi esuli italici (Mazzini fra loro) che vedevano in lui, com’ebbe a dire qualche storico “il cavaliere errante delle cause perdute e dei popoli oppressi”. A Londra volle incontrare Mazzini e cercò, “pro bono patriae”, pur non riuscendovi, di convincerlo ad appoggiare e sostenere con lui l’unione dell’Italia sotto la guida della monarchia Sabauda. Sempre a Londra Garibaldi accettò la cittadinanza che gli venne offerta, ma non accettò le cinquemila sterline raccolte e a lui offerte per sottoscrizione. Come Mazzini, sia pure per altre ragioni, anche Garibaldi, in fasi diverse, adottò o il nome fittizio di “Joseph Pane” per celare la propria identità o nomi di battaglia, quali “Cleombroto” e “Borrel”. - Ed eccoci al vero esule: l’esule italiano per eccellenza (dopo Foscolo), è senz’altro Giuseppe Mazzini (18101872), ricercato per cospirazione e costretto all’esilio, si recò dapprima in Francia (a Lione e a Marsiglia), poi in Svizzera (a Berna, a Ginevra e a Lugano), infine in Inghilterra, a Londra ove, lo si è detto, assurse a simbolo di “eroe nazionale” e, con l’ausilio di altri esuli italiani, avviò una scuola gratuita italiana e, se non ebbe colà l’appoggio e il favore dei tedeschi Karl Heinrich Marx (1818-1883), filosofo ed economista e di Friedrich Engels (18201895), filosofo e politico (entrambi consideravano “la lotta per l’unità una truffa borghese”, per loro infatti “l’unica lotta possibile era la lotta di classe”), poté contare però sull’amicizia e sull’aiuto, anche finanziario, di tante persone generose e solidali: da Lady Dacre (una delle signore inglesi spinte all’amore per l’Italia dal Foscolo) a Jane Carlyle, (moglie di Thomas Carlyle, di Mazzini “fraterno nemico”, la quale si innamorò, non ricambiata, di Mazzini); da Sarah Margaret Fuller (scrittrice americana, conosciuta in casa Carlyle, prima ostile a Mazzini, poi sua fan) alle quattro sorelle Ashurst (figlie di un famoso avvocato, che, a causa del loro appoggio finanziario dato a Mazzini, suscitarono la gelosia di Jane Carlyle): TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 173 Il Tempietto dopo l’ennesimo fallimento di Mazzini, gli Ashurst – e loro soltanto – erano gli unici che a Londra avevano libero accesso da lui che, per consolarsi, soleva appartarsi a leggere, riflettere e… suonare la sua amata chitarra. Ma è noto che egli fu costretto a vivere in incognito, si può dire da esule, anche nella sua patria: in quell’Italia nella quale fu sovente ricercato e perseguitato al punto, trovandosi a Pisa, di essere costretto ad assumere l’albionico nome fittizio di “Giorgio Brown”. 5. Brevi note sulla presenza e sui contatti di Cavour in Inghilterra Certamente non fu un esule, ma, dopo il forzato abbandono della carriera militare (incongruente con le sue idee liberali e le sue simpatie per la Rivoluzione francese del 1830) e prima di fondare il quotidiano Il Risorgimento (1847-1852), di cui fu il primo direttore, portavoce di idee e forze liberal-moderate, si dedicò ai viaggi attraverso l’Europa e fu a Parigi, a Ginevra e a Londra per approfondire i suoi studi di economia politica: si tratta di Camillo Benso, conte di Cavour (1810-1861), il quale, in più occasioni, fu presente a Londra, non in esilio certamente come i molti esuli italiani ivi residenti che lo salutavano e acclamavano quando vi si recava, ma per incontrare personalità politiche e specialmente per rafforzare i rapporti diplomatici con l’Inghilterra che lui – sono parole sue – considerava “ancora abitata da una razza maschia e gagliarda, grande nel bene come nel male. I suoi moti propulsori sono 173 radicati nel profondo: alla superficie non si colgono facilmente. (Gli Inglesi) Discutono senza litigare e hanno un grande rispetto di tutte le opinioni individuali.” A Londra Cavour incontrò, giudicandolo “l’unico cortese”, lo statista e storico scozzese, simpatizzante per la causa italiana, Mount Stuart Lord Elphinstone (1779-1859), il quale, come diplomatico, trascorse lungo tempo in Afghanistan e in India e lasciò importanti scritti su questi due paesi; l’economista inglese Senior Nassau William (1790-1864), seguace di David Ricardo e docente di economia politica all’Università di Oxford, anch’egli favorevole alle lotte liberali italiane; fu per suo tramite che Cavour ebbe la fortunata opportunità di conoscere lo storico e politico francese Charles-Alexis-Henry-Maurice Clérel de Tocqueville, (1805-1859), il più grande saggista politico dell’Ottocento, che fu deputato e nel 1849, da Ministro degli Esteri, perché favorevole alle lotte dei liberali romani, fu costretto alle dimissioni. Tocqueville si trasferì allora negli U.S.A e al suo ritorno scrisse, oltre le sue “Memorie”, due opere fondamentali: “La democrazia in America” e “L’ancien régime e la rivoluzione francese” che lasciò incompiuta. E per Cavour fu importantissimo anche l’incontro con colui che, a disfavore della Francia e della Russia, appoggiava le nazioni oppresse (Italia compresa) e i loro moti insurrezionali: si tratta di colui che, per circa mezzo secolo, fu artefice della politica inglese, Henry John Temple, Lord TEMPIETTO 10_Layout 1 13/01/10 15:26 Pagina 174 174 Il Tempietto Palmerston (1785-1865), nelle sue varie cariche (Ministro della Guerra, Ministro degli Esteri, Primo Ministro). Palmerston ebbe a definire il Piemonte – da lui visto con simpatia ancorché isolato in Europa per il suo regime costituzionale e per il suo rispetto delle libertà – “il faro dell’Europa” e “oasi della libertà” in Italia e in Europa.