Notiziario Accademia Italiana Cucina

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LE OSTRICHE DEL POVERO
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celebri e celebrati “Escargots à la bourguignonne”,
piatto d’alta cucina francese mi sembrano poca cosa
di fronte alle lumache alla lombarda. E spiego il perché. Un confronto tra il piatto francese e quello italiano
mi ha ricordato la recente sentenza di un gran cuoco d’oltralpe il quale ha dichiarato che la gastronomia italiana ha
grandissimi meriti e vantaggi, in quanto dispone di materie prime d’alta qualità e varietà e del formidabile retroterra culturale delle cucine regionali. Ma la gastronomia
francese, ha soggiunto, si presenta al mondo con una
maggiore capacità professionale. Ad iniziare dalla denominazione e presentazione dei piatti.
Le lumache, com’è opinione comune, sono il piatto nazionale dei francesi. Almeno è una pseudo opinione comune che pare sia partita da un gastronomo inglese, un
certo Hackwood, che nel 1911 definì i francesi “mangiatori di lumache, rane e minestre”, in contrapposizione ai
suoi connazionali che sarebbero divoratori solo di “beef
and pudding”. Due stereotipi, come quello degli italiani
“mangiamaccheroni”.
Le lumache, nella tradizionale ricetta che le vede presentate nel loro guscio, con prezzemolo ed aglio, cotte
con il burro, sono invece un tipico ed antico piatto italiano, come dimostra la storia delle lumache in cucina. Senza risalire alle lumache mangiate dall’uomo preistorico e
dai cacciatori-raccoglitori, Apicio (IV secolo d. C.) consiglia le lumache cotte nell’olio od alla griglia, condite con
l’immancabile “garum”, pepe e cumino o semplicemente
bollite. Non bisogna quindi stupirsi che le lumache, già
presenti nella cucina romana, siano rimaste in quella italiana e d’altri territori occupati dai romani (e non solo in
Francia). Il ruolo preminente della cucina italiana delle lumache sulla cucina francese risulta poi da antichi documenti. Nel “Kalendrier des Bergiers” (1495), ad una donna francese, esasperata per le lumache che divorano le
sue vigne, viene consigliato di cuocerle con pepe e cipolla e di servirle a “certi lombardi”. Poco dopo, Nicholas
de la Chesnaye (“La Nef de Santé”, 1507) giudica le chiocciole un cibo buono e lodevole e consiglia di cacciarle
con dei cani ben edotti ed istruiti in questa materia, “secondo la moda d’Italia”!
Nel secolo successivo, Joseph du Chesne (“Pourtraict de
Santé”, 1606) afferma che in Italia ed in Guascogna si dà
più importanza (alle lumache) che in Francia. Poiché in
quei paesi le chiocciole sono considerate una carne appetitosa e deliziosa quando sono ben preparate, questa carne è molto comune ed ordinaria (in Guascogna). Al contrario, in Francia non sanno cosa siano ed hanno quasi
orrore non solo di vederle mangiare, ma anche di vederle
preparare. Un anonimo francese del 1654 (“Délices de la
campagne”) parlando delle chiocciole afferma: “mi stupisce come la bizzarria dell’uomo sia giunta a cercare questo gusto depravato per soddisfare la stravaganza della
sua golosità, perché con qualunque cottura o salsa si prepari, mi è impossibile darvi la mia approvazione”, anche
se poi cita le lumache preparate a modo di zuppa, stufate, in fricassea come il pollo o ridotte a frittelle. Anche nei
secoli successivi la lumaca è rifiutata dalla cucina francese
e l’autore di un “Cours de gastronomie” (1809) si domanda “come può piacere questo rettile disgustoso?”. Al più
la lumaca è accettata com’espressione di una certa cucina
rustica, associata anche al gusto ed alla cucina dei guasconi e si mantiene un certo uso regionale: oltre alla già
citata Guascogna sono da segnalare la Lorena, l’Aunis, la
Saintonge ed in generale le regioni meridionali vitifere.
Durante il secolo XIX vi è un ritorno della lumaca e
Jourdain Lecointe nelle ultime edizioni del suo “Cuisinier
des Cuisiniers” (circa 1840) indica le ricette delle lumache alla “poulette” ed alla “bourguignonne”. Questa seconda ricetta, definita succulenta, diventerà la preparazione per eccellenza della cucina francese.
La prima ricetta di lumache servite nel loro guscio con
un burro d’erbe pare essere quella del tedesco Rumpoldt
(1581). La prima ricetta francese intitolata “Lumache alla
bourguignonne” è nel “Nouveau Dictionnaire de cuisine”
di Borel (1825). Le lumache erano considerate cibo magro, come il pesce, e magri dovevano essere anche i grassi erano usati nella loro cottura: olio e burro, non lardo o
strutto.
Nel 1859 l’inglese Simmonds rileva che la lumaca è un
alimento molto alla moda a Parigi, dove è servita in cinquanta ristoranti e milleduecento case private, con un
consumo mensile di circa mezzo milione di chiocciole. Il
loro successo è però, in buona parte, dipeso dalle “brasseries “e trattorie parigine che a metà dell’Ottocento le
proposero come alternativa economica alle ostriche. Birra
e lumache erano e sono certamente più economiche di
champagne e ostriche! L’uso gastronomico francese delle
lumache era però stato preceduto dalla gastronomia italiana. Il Platina (1475) e lo Scappi (1570) menzionano, tra le
altre, delle salse all’aglio per accompagnare le lumache, e
lo Scappi le serve nel loro guscio, condite semplicemente
con l’olio.
GIOVANNI BALLARINI
Presidente del Centro Studi “Franco Marenghi”
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