Leggi le prime pagine

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Claro, nato nel 1962 a Parigi, è autore di una quindicina di romanzi
tra cui Madman Bovary e Chaire électrique (entrambi pubblicati
in Italia da Nutrimenti) e di numerosi saggi. È traduttore di più di
cento opere letterarie di autori importanti, tra cui Salman Rushdie,
William Gass, W. T. Vollmann e William Gaddis. Codirige una
collana per la casa editrice francese “Le Cherche-Midi” e tiene
attivo un blog letterario, “Le Clavier cannibale II”.
Gare du Nord
La frenesia e la multiculturalità della parigina Gare du Nord raccontano il
carattere composito della collana di narrativa contemporanea di Edizioni
Clichy, dedicata alla scrittura di stampo letterario, principalmente
francofona ma non solo: storie, esseri umani, vite, colori, suoni, silenzi,
tematiche forti, autori dal linguaggio inconfondibile, senza timore di
assumere posizioni di rottura di fronte all’establishment culturale e sociale o
di raccontare abissi, sperdimenti, discese ardite ma anche voli e flâneries.
«CosmoZ»
de Claro
© 2010 Actes Sud - Arles
Per l’edizione italiana:
© Edizioni Clichy - 2013
Edizioni Clichy
Via Pietrapiana, 32
50121 - Firenze
www.edizioniclichy.it
Isbn: 978-88-6799-004-7
Claro
CosmoZ
Traduzione di Antonella Conti
Edizioni Clichy
CosmoZ
A Fabrice
- stesso luogo, stessa ora
Parte prima
OZ
Siamo spaventapasseri
Tutti fatti di faglia
Tutti ci pieghiamo
Testa ai quattro venti. Ahimè!
Le nostre voci secche, quando
Insieme mormoriamo
Son silenzio e senza senso
Come vento nell’erba secca Scorribanda di topi su vetro infranto
In arida cantina.
Figura senza forma, ombra senza sfumatura
Forza paralizzata, gesto privo di moto;
Coloro che sono andati
Con sguardo diritto nell’altro regno dei morti
Ci ricordano - chissà - non come
Anime erranti, ma soltanto
Come esseri tutti vuoti
Semplici spaventapasseri
T.S. ELIOT
Prologo
DOROTHY
Ti chiami Dorothy, sei una bambina e vivi nel Kansas, nel
bel mezzo delle grandi pianure grigie, con tuo zio e tua zia, anche loro grigi, soltanto il tuo cagnolino Toto non è grigio, ha
il pelo nero e liscio, ti fa ridere, di un riso il cui colore sarebbe
difficile da definire, ma che, con le giuste sfumature, dovrebbe
poterti aiutare a superare tutto questo grigio. Porti uno scamiciato su una camicetta dalla pettorina in garza color crema e
dalle maniche a sbuffo terminanti in un risicato bordino blu.
Vivi nel Kansas con tua zia e tuo zio.
La Zia Em è una donna grigia che ha accatastato gli anni
nelle rughe della fronte e fra le volute della crocchia, chiude le
porte a colpi d’anca, calma la pasta col battente del suo palmo e
alza gli occhi al cielo non appena un pensiero se ne porta dietro
un altro senza averla prima consultata. Lei e Zio Henry formano una coppia che non produce nessuna forza, che anzi sembra
assorbire quel poco di energia che emana dai loro movimenti, e
lo spazio che intaccano si richiude su di loro con una naturalezza sconcertante. Le loro vecchiaie congiunte si sommano e l’affetto che li lega è di gran lunga superiore ai pochi riguardi che
ciascuno ha per se stesso. Tu speri di non diventare mai come
loro, di restare per sempre un’unità refrattaria alle operazioni,
per quanto seducenti possano essere.
Ti chiami Dorothy e il grigio è una sfumatura che non
ammetti per niente al mondo, né fra i capelli né fra i progetti.
Approfitti della disattenzione di zia Em per avventurarti fra
le erbe grigie, ma ecco che, senza nessun avviso, la prateria si
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Claro
appiattisce, ogni stelo preme sul suo vicino, persino gli insetti
mollano la presa e si lasciano portar via da quello che ancora
è solo un debole vento. Gli alberi si apprestano a curvarsi,
la polvere sembra fuggire il terreno. Le bestie scalpitano. Le
molecole d’acqua, ancora solidali fino a qualche attimo fa, si
scontrano in modo disordinato e il piccolo corso d’acqua dietro il boschetto straripa qua e là, restituendo pesci terrorizzati.
È il momento scelto da Zio Henry per annunciare con voce
grigia che si sta preparando un tornado e che bisogna andare
a mettersi al riparo nel rifugio scavato sotto la casa, la casa
grigia. Tu conosci questo riparo perché è lì che passi le tue ore
più preziose, combattuta tra la gioia di sparire e la paura di diventare altro. Questo rifugio, scavato direttamente nella terra
grigia, e sommariamente puntellato da assi anche loro grigie,
misura pressappoco tre metri per cinque, il che lo rende abitabile, ma una volta richiusa la botola, la schiena deve curvarsi
poiché la profondità non supera il metro e venticinque. Se ci si
volesse sopravvivere, bisognerebbe non crescere mai, o pregare
per un tempo indefinito.
L’annuncio del tornado da parte di Zio Henry è risuonato
come un angelus e ti ha dato il coraggio un po’ sciocco di indugiare lontano dalla casa. Non sai bene cosa sia, un tornado,
anche se alcuni racconti serviti insieme alla minestra hanno
continuato a gonfiarsi durante il sonno, anche se a volte, la
notte, ti sei svegliata fradicia di sudore, convinta di essere stata rapita da una lunga figura grigia che rispondeva al nome
di Mister Tornado. Ciò che contava fare di te, non l’hai mai
saputo, ma le sue intenzioni non avevano niente di paterno,
a meno che non esista da qualche parte del mondo un paese
dove i padri abbindolino la loro progenie col fil di seta della
paura.
Ma oggi tutto questo accade veramente. La catena degli
elementi è stata spezzata e la tua storia può cominciare. Ti
chiami Dorothy e il tuo creatore si chiama L. Frank Baum,
se si può chiamare creatore qualcuno che fa cadere le ombre.
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BAUM’S BAZAAR
BAUM!!!
Ed ecco levarsi in alto, lentamente ma irreversibilmente,
nella luce cruda dell’abat-jour verde, un cranio dai riflessi cangianti, che va restringendosi in due zigomi tra i quali si spalanca un buco ornato di smaglianti tessere di domino.
La famiglia Baum assiste senza fiatare alla goffa ascensione
del Dr. Bergfield, che la caduta di una matita ha costretto un
attimo prima a una serie di torsioni e genuflessioni sotto la
propria scrivania. I suoi occhi sporgenti - occhi da ipnotizzatore di galline o da fumatore di hashish pentito - si posano
successivamente sul genitore (Papà Baum) e sulla genitrice
(Mamma Baum) prima di piantarsi nel mezzo, su quelli del
rampollo (piccolo Baum), di cui gli viene fatta indebita offerta
in questo lunedì 19 marzo 1872.
BAUM!!! - la sillaba ha attraversato la sala d’attesa col solo
scopo di dissolvere l’entità formata da Papà Baum e Mamma Baum e di isolare la particella terrorizzata che è, in questo
frangente, il giovane Frank. Gli sguardi si incrociano, i sospiri si camuffano in tossicchiamenti. Se la malattia è attesa, la
scienza, quanto a lei, non porta pazienza.
Dopo aver ricevuto il consenso del gomito paterno fra le
costole, il bambino, docile, libera la propria mano dalla morsa
materna e avanza verso il Dr. Bergfield, il quale, aureolato di
un profumo di etere e di nicotina (e di qualcos’altro, anche),
ha ancora la mente tutta occupata dai seni della sua assistente,
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Miss Glinda - quest’ultima in disparte dietro di lui, vibratile,
come un orgasmo incerto.
Il piccolo Baum deglutisce tra una smorfia e l’altra, ostacolato dal tumore acquattatosi negli alveoli scoperti della sua
lingua, il motivo per cui si trova fra queste mura. Sono undici
giorni e undici notti che lo sente crescere e consolidarsi - se
beve orzata gli fa male, masticare gli procura dei dolori lancinanti, quanto a parlare, poi, è come succhiare ortiche. (Il
tumore - lo sa, almeno? - è antico, precede la sua nascita e ha
probabilmente frequentato la linfa materna o il seme paterno
prima di aggredire l’utero per poi risalire attraverso il grasso
condotto ombelicale fino al feto ignaro, sondando e testando ogni minima differenziazione cellulare per poter eleggere
il proprio domicilio necrotizzante nell’appendice linguale, la
mucosa ospitante, il suo bersaglio.) È arrivato il momento di
far scoppiare l’ascesso, ha decretato il padre, subito ricompensato dallo sguardo vacuo di sua moglie.
Viene portato in una stanza adiacente, dove la vernice
scrostata dei muri lo istruisce a sua insaputa sulla sorte che
lo aspetta. Svestito, disteso, vanamente rassicurato, poi fasciato nel ruvido e bianco sudario degli anestetizzati - sulla pelle ghiacciata delle braccia, il bambino sente correre le gracili
lucertole di cui sono inguantate le dieci dita di Miss Glinda
-, Frank vede un buffo asteroide catapultarglisi sul viso: una
nuvola di garza gonfia di etere. La tavola metallica che ha sotto la schiena s’incurva e cede all’improvviso, sabbie mobili si
richiudono senza riguardi sul bambino. L’accesso di sudore
procuratogli dall’etere gli ricorda vagamente le ambasce della
masturbazione e della preghiera. Risucchiato dalla vertigine, il
suo corpo fugge, cade a cascata dentro se stesso, il tempo cessa
di essere il tempo, un piccolo grumo di muco gli stuzzica la
glottide, la notte diventa legge, allora acconsente ad assentarsi
ed è meglio così. Baum baum baum baum baum baum...
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CosmoZ
Oh-oh, osserva il Dr. Bergfield gettando la spugna odorosa
in direzione del secchio di stagno che - ahimè - non viene raggiunto e dove qualche ora dopo, fulgido esempio di eroismo
ereditario, una topina verrà a partorire sei piccoli aborti - perché nello stesso momento Miss Glinda, con la sua scarpetta di
vernice, ha preferito spingere la spugna sotto il tavolo piuttosto che raccoglierla da terra, cosa che, considerata la sinuosità
del suo didietro, è, diciamolo pure, più prudente, essendo Abe
Bergfield soggetto alle distrazioni.
Uhm. Cosa c’è qui, vediamo un po’, ma sì, un tumore di
un genere... particolare, una specie di fungus ostile che non
solo ha depositato del... questa poi!... del... salnitro... eh? no...
della... dei... insomma, sulla parte inferiore della lingua, diciamo una polvere verdastra e nauseabonda, ma che sembra...
sì... è strano... palpitare... - oh-oh! eccessivamente alveolata
e la cui struttura, uhm, diciamo frattale, prenda nota Miss
Glinda, prenda nota, a proposito, l’appuntamento delle 16.30
è confermato? ops, questo ragazzino ha le unghie sporche,
guardi qui, l’indice soprattutto, poverino, allora, pronti, pinza
ovatta sigaro, cominciamo.
Coronado?
Non troppo secco, Miss Glinda, la prego. Lì, nella scatola,
accanto alla lampada.
Catturata dalla pinza emostatica, la lingua ancora novellina
di Frank sporge appena dalle mascelle, a otto anni le è capitato ancora talmente poco di mentire che è strano che sia così
grigia.
Frank, le cui fibre nervose strillano in sordina dalla prima
all’ultima, sente tutto dal fondo della sua tomba di etere. Sente tutto ma non vede niente. Sente i seni di Miss Glinda contro la spalla e, proprio al di sopra del naso, effluvi di sigaro e
whisky, che sono, secondo il metro della sua esperienza olfattiva, gli equivalenti della tisana di sua madre e del sudore di suo
padre, in altre parole i profumi gemelli del suo quotidiano.
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