Dove eravamo rimasti
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Dove eravamo rimasti
CINECIRCOLO “ROBERT BRESSON” Brugherio °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Mercoledì 20, giovedì 21 e venerdì 22 gennaio 2016 Inizio proiezioni ore 21. Giovedì anche alle ore 15 “Se esiste una forma pura di cinema, questa è il riprendere musica dal vivo: in quei momenti si crea una fusione alchemica tra il lavoro di noi filmmaker e quella magia che sta avvenendo dal vivo di fronte a te. Quindi sono impazzito di fronte a un copione che mi dava la possibilità di riprendere tanta musica live.” Jonathan Demme Dove eravamo rimasti di Jonathan Demme con Meryl Streep, Mamie Gummer, Rick Springfield, Kevin Kline, Audra McDonald USA 2015, 100’ °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°° Una mamma 'degenere', di quelle che hanno mollato la famiglia tanti anni prima per inseguire la propria vita, torna a casa nel momento peggiore. La figlia adorata (e dimenticata) è in pieno divorzio e sta molto peggio di quanto lei sospettasse. Un altro figlio invece sta per sposarsi(…). Quanto al secondo figlio maschio, ha molto da rimproverarle, a partire dal non aver mai accettato il suo essere gay. L'unico che sembra volerle ancora bene è l'ex-marito, un tipo molto quadrato e benestante che sembra il suo opposto in tutto e ha pure una nuova moglie più che perfetta, come si scoprirà nella seconda parte del film. Eppure quella rockettara attempata e fuori moda che vive col compagno chitarrista nell'improbabile Tarzana, sobborgo di Los Angeles e patria di E. R. Burroughs, il creatore di Tarzan; quell'egoista non pentita che in tutti quegli anni ha pensato solo al rock, alla sua scalcagnatissima band, e ha pure votato due volte Bush, perché in America gli schieramenti politici non sono mai come ti li aspetti... questa mamma a metà che sembrerebbe proprio imperdonabile, conquisterà poco a poco tutti i personaggi del film, laggiù nella provinciale Indianapolis. E naturalmente anche noi in platea. Perché si tratta di Meryl Streep, in un ruolo opposto ma simmetrico a quello di "Mamma mia". Mentre quella ragazza che le somiglia come una goccia d'acqua, Mamie Gummer, è sua figlia pure nella vita . E si sa che alla Streep perdoneremo tutto. Specialmente se diretta dal sempre magistrale Jonathan Demme, addolcito dagli anni e capace come pochi ormai di dare vita a personaggi femminili memorabili e gruppi famigliari irresistibili (da "Qualcosa di travolgente" al recente "Rachel sta per sposarsi"). Anche grazie alla penna affilata e insieme affettuosa di Diablo Cody, l'exspogliarellista celebre per il copione di "Juno". Che qui gioca su tutti i possibili conflitti (politici, sessuali, razziali, generazionali, culturali) e insieme ci fa capire le ragioni di ogni personaggio, riunendo a suon di musica tutte le anime dell'America in uno di quei finaloni che sanno fare solo oltreoceano. E mandano a casa lo spettatore contento come ormai non capita davvero più. Fabio Ferzetti - Il Messaggero Sicuramente Jonathan Demme sarà rimasto affascinato dallo script di Diablo Cody per la possibilità che gli forniva di tornare a tradurre la musica in immagini. Lo aveva fatto in passato con i Talking Head e con Neil Young perché non riprovarci ancora mutando però il livello di lettura passando dal documentario alla fiction? Da grande regista qual è deve avere anche intuito immediatamente che la storia di base era di quelle già viste innumerevoli volte sul grande schermo(…) Ma Demme sapeva che anche i copioni più deja vu, se hanno dentro un fondo di verità, possono funzionare se affidati a un'interprete che sappia fare emergere quella verità. L'ha trovata in Meryl Streep e anche qui si potrebbe cadere nel risaputo perché si sono sprecati fiumi di parole nel corso dei decenni per dire quanto è brava Meryl Streep e si finisce con il doverlo ripetere per l'ennesima volta. Perché la Streep(…)offre a questa madre tutto il carico degli anni e dei sentimenti provati, le regala sensi di colpa ma anche di orgoglio.(…) Demme le consente anche di lavorare su un piano che mescola finzione e realtà ponendola di fronte al tormentato personaggio di Julie che è interpretato da Mamie Gummer che è figlia di Meryl e ha seguito le sue orme. In tutto questo Demme non dimentica la propria dimensione 'politica' .(…)Ricki sta dall'altra parte rispetto a ciò che pensa Demme ma questo non impedisce di fare emergere passo dopo passo, ruga dopo ruga, un senso di umanità profonda in cui errori e capacità di riconoscerli finiscono con il coesistere. Perché come diceva Giorgio Gaber (per rimanere sempre in ambito musicale) "L'uomo è quasi sempre meglio rispetto alla propria ideologia". Giancarlo Zappoli – Mymovies Demme prende una sceneggiatura fin troppo astuta di Diablo Cody ("Juno") e la carica del proprio amore per gli schizzati, i perdenti e il rock'n'roll. Spalleggiata a tratti da un ottimo Kevin Kline, alle prese con un personaggio sgradevole e irresistìbile, la Streep giganteggia. Emiliano Morreale L'Espresso "Dove eravamo rimasti" è costruito in primo luogo attorno a Meryl Streep, alla sua voce e alla sua corporeità, che gli anni e i decenni hanno reso ancora più intensa. Dove non sa arrivare la sceneggiatura di Diablo Cody arriva la sua presenza, capace da sola di prendersi il nostro sguardo e la nostra attenzione. Senza la grande Streep non ci sarebbero né spettacolo né emozioni. Roberto Escobar – Il Sole 24 Ore Tutto ruota intorno al personaggio di Linda/Ricki e alla letteralmente prepotente interpretazione di Meryl Streep. Nel senso che gli altri, praticamente non esistono. Sono approssimativi e scoloriti. La statura e l’autorità della più importante attrice- star espressa dal cinema americano dagli anni Settanta , in quello che si riduce ad essere un one-woman-show senz’ombra di dialettica e concorrenza, non riesce a dare veramente corpo alle motivazioni e al controverso e contraddittorio dramma del personaggio, tutto dichiarato nel suo monologo finale ma sostanzialmente inespresso nel corso dell’intero film, dilaniato tra rispetto della propria personalità e per i propri sogni, assecondati a costo di umilianti adattamenti a una vita precaria che ha rinunciato a benessere e status sociale, e femminile tormento per non essere stata una brava moglie e una brava madre. Ci sarà un ritorno a Minneapolis, per le nozze di uno dei due figli maschi. Linda affronta a testa alta imbarazzi e disagi circostanti, dopo molti dubbi, perché non può mancare e perché non può non dare al film, altrimenti allo sbando, una coerente chiusura patetica, retorica, orgogliosa e commovente. Paolo D'Agostini - la Repubblica Sulle note di American Girl, l’incipit ci avvicina a Ricki Rendazzo, attempata rocker dalla voce graffiante, costretta a mostrare il suo talento in pub di provincia, con una incursione direttamente on stage, dove il regista, completamente a suo agio sul palco dopo i documentari su Neil Young, si accosta al corpo di Meryl Streep, raccontandone allo stesso tempo il sogno del rock, incollato al suo primo piano, e il suo fallimento, con il controcampo che rivela la mediocrità del contesto. Demme si rapporta allo script rampante di Diablo Cody come Ricki al pubblico dei suoi spettacoli: preferirebbe abbandonarsi al rimpianto di cover ormai vintage, ma è costretto a confrontarsi anche coi nuovi classici di Pink e Lady Gaga, che fanno ballare i teen ager. Nella sua set list fatta di un cinema attratto soprattutto dall’imprevedibilità della vita, deve concedersi a una sceneggiatura fin troppo smart, con la sua bella evoluzione dei personaggi, l’arco narrativo, le battute ‘giuste’ con tanto di critica sarcastica al tempio dei vegani Whole Food, forse troppo da manuale. Prende allora corpo una battaglia tra testo e girato, in cui Demme si prende i suoi spazi indugiando sui dettagli di un personale home-movie che è la parte più sincera del film, culminante nella dolcissima lullaby, Cold One, scritta appositamente dalla sempre più brava Jenny Lewis, sussurrata dalla Streep alla figlia Julie e all’ex marito, nella rassegnata calma prima del sonno. Ma poi lo script incalza e si deve arrivare al finale, con lo scioglimento dei conflitti e l’accettazione da parte di Ricki della sua nuova vita, che passa per un confronto col suo vecchio habitat, la borghesia di Indianapolis e le sue occhiate sdegnate di fronte al chiodo di pelle indossato al ricevimento nuziale. E mentre Diablo Cody porta a casa il suo apologo con tanto di morale femminista, Demme si ritaglia lo spazio per un concerto finale che deflagra in un puro backstage, estendibile pertanto sui titoli di coda e forse oltre. Come nei balli di Rachel sta per sposarsi, o del Racconto d’autunno di Eric Rohmer, attimi sospesi dove il reale penetra nella finzione sino a diventarne indistinto. Fabiana Proietti – Sentieri Selvaggi Dove eravamo rimasti è un prodotto costruito a tavolino per valorizzare al massimo Meryl Streep. Non per questo Jonathan Demme rinuncia al suo stile registico fresco e sincero. Il regista, ormai specializzato in documentari musicali, non accantona la sua passione per le sette note e dedica ampio spazio alle performance di Ricki and the Flash fin dall'apertura nel locale di Tarzana. L'energia che emana dalle perfomance di Meryl deriva dalla scelta di registrare tutte le esibizioni dal vivo, con tanto di vero pubblico. Il repertorio è coinvolgente, il picco musicale viene raggiunto durante la cover di Bruce Springsteen eseguita al matrimonio del figlio maggiore che valorizza la gran voce della Streep. (…) La buona musica non manca e l'ironia neppure. Anche se la pellicola, nei toni, è piuttosto altalenante, qualche gustosa battuta che strappa la risata ci viene garantita. In fin dei conti Dove eravamo rimasti è una visione piacevole e divertente. Forse, però, con ingredienti come questi, avremmo gradito una pietanza un po' più speziata. Valentina D’Amico – Movieplayer.it Si tratta di una godibile e abbastanza prevedibile commedia familiare con qualche risvolto drammatico, sceneggiata però da Diablo Cody – l’autrice di Juno e Young Adult – di cui si percepiscono lo stile e soprattutto la sincera adesione a questo tipo di personaggi femminili. Demme ha realizzato il film, come ha più volte affermato, “per portare sullo schermo una Meryl come non abbiamo mai visto prima, in un personaggio ancora una volta estremo, autentica donna del XXI secolo”. Ma di donne lei ne ha incontrate di migliori, nella sua inimitabile carriera. Questa volta è combattuta tra il miraggio di un impossibile successo nell’ambiente del rock ‘n’ roll, che l’ha condotta ad abbandonare i tre figli e l’indulgente e bolso ex-marito (Kevin Kline), e le nuove responsabilità precipitate su di lei. Che la porteranno a conquistare l’ultima audience nel luogo che meno ci si aspetta: il matrimonio del figlio. Con scatenata danza generale sui titoli di coda Luca Pellegrini – Cinematografo.it L'accoppiata Jonathan Demme - Meryl Streep non può che sortire magia: alla straordinaria libertà/levità registica del primo (il film ricorda Rachel is getting married del 2009) si unisce l'eterna bravura della miglior attrice americana vivente, trasfigurata in una rock star agée che canta e si dimena come nessuna mai. Anna Maria Pasetti - Il Fatto Quotidiano