PDF Babel 014 - Parliamo Di Videogiochi

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PDF Babel 014 - Parliamo Di Videogiochi
MAGGIo 2009
www.bab3l.splinder.com
c o n t e n t s
014
2 0 0 9
PROGETTO EDiTORiALE
federico res
COPERTiNA
tommaso “gatsu” de benetti
GRAFiCA E iMPAGiNAZiONE
federico res
gianluca girelli
EDiTiNG DEi TESTi
giovanni “giocattolamer” donda
SiTO wEB
http://bab3l.splinder.com
BABEL è OSPiTATO DA
www.qb3project.net
www.issuu.com
COVER STORY
The Path 003
015
SAiNTS ROw 2
SChERZA COi FANTi
REDAZiONE
alvise “kintor” salice
cristiano “amano76” ghigi
emanuele “emalord” bresciani
ferruccio cinquemani
federico res
giovanni “giocattolamer” donda
gianluca “sator” belvisi
gianluca “unnamed” girelli
marco “il pupazzo gnawd” barbero
michele “guren no kishi” zanetti
michele “macca” iurlaro
simone “karat45” tagliaferri
tommaso “gatsu” de benetti
vincenzo “vitoiuvara” aversa
hA COLLABORATO
Alessando “Neon” Mazzega
FRAME
Meteore: che fine hanno fatto i film
interattivi? 3a parte 008
REViEw
Saints Row 2 015
Ar Tonelico 2 016
Cryostasis 018
Afro Samurai 020
The Path 021
Flower 022
NOSTRADAMUS
Dante’s inferno 011
UNDERRATED
Conflict: Desert Storm 023
018
ODiO Di GOMiTO
il popolo ha paura del cambiamento
005
ESCO Di RADO
Sulle salme fresche 004
CRYOSTASiS
ACQUA PASSATA
ARS LUDiCA
La sessualità negata dei personaggi
videoludici (parte seconda) 007
COPYLEFT
2007/2008/2009 Babel Edizioni
LAMER ROTANTi
wii console inutile 006
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LA TV ChE ViDEOGiOCA
La TV dà i numeri 026
BABEL
002
GiOChi Di MERDA
Kakuto Chojin 010
023
CONFLiCT: DESERT STORM
6 GiORNi DiMENTiCATi
TiME wAiTS FOR NOBODY
Episodio 5 024
NEXT MONTh
Zeno Clash 027
014
C O V E R
c
STORY
appuccetto Rosso lo
sa. Puoi arrivare
dalla vecchia in
pochi minuti, tirando
dritto sul sentiero
stabilito come se dietro di te il
mondo si stesse sgretolando.
È una strada veloce, sicura e
impossibile da perdere di
vista. Ma cappuccetto Rosso
sa anche che ci sono altre
strade per arrivare dalla
nonna, strade nascoste dall'erba alta, percorsi che spesso
non portano da nessuna parte,
ma che di tanto in tanto rivelano parti del bosco difficili da
immaginare altrimenti. Posti
bui, forse meno rassicuranti
delle zone più in vista, ma allo
stesso tempo luoghi in cui si
verificano fenomeni ed eventi
molto diversi da quelli a cui
siamo tutti abituati. Mai come
in questi mesi l'indie gaming ci
ha mostrato spunti difficili da
liquidare con una scrollata di
spalle. Molto più spesso ci ha
sbattuto in faccia meccaniche
e tematiche che giochi con
budget molto più alti non si
ThE PATh
permetterebbero mai di sfiorare. A partire dal devastante
Braid (miglior gioco di questa
generazione, per chi scrive),
passando per le minimali distese di Flower, per i fogli
stropicciati di crayon Physics
Deluxe o per i metafisici pixel
di Don’t Look Back, arrivando
alle principesse obese prossime venture: l'indie gaming è
"la strada nuova" dell'adagio
"chi lascia la strada vecchia
per quella nuova, sa quel che
lascia ma non sa quel che
trova." Babel, di fronte al coraggio a cui stiamo assistendo, finalmente forte di un
modello distributivo sostenibile, vi offre gli stivali da funghi e una spintarella
amichevole. Muovete i primi
passi lì dove non siete mai andati, vuoi per mancanza di
tempo, per supponenza o per
paura del lupo: potreste scoprire che arrivare dalla nonna
non è mai stato meno importante di adesso.
Tommaso De Benetti
003
Vincenzo Aversa
Professore Nerd
Ritenendosi da sempre uno dei cinque
migliori giocatori al mondo di Tetris, il Dr.
Vitoiuvara ha deciso di condividere con
il mondo le sue conoscenze e abilità portando avanti su youtube quel “Corso per
Videogiocatori Professionisti” che oltre a
renderlo famoso, lo ha definitivamente
consacrato al ruolo di pagliaccio. Vive
solo e abbandonato in compagnia del
suo fidato quaranta pollici ma, come ama
ripetere, risparmia un sacco sui preservativi. Nonostante attualmente passi
tutto il suo tempo libero a videogiocare, è
fermamente convinto che, nell’arco di
massimo cinque anni, sarà fuori da
questo ambiente di sfigati.
ESCO DI RADO (ma gioco pure TROPPO)
sulle salme fresche
I
La vignetta incriminata di
Vauro. Potente, senza dubbio, ma opportuna?
004
n Italia, vera palestra del
mondo per quanto riguarda la
censura preventiva, si è fatto un
gran parlare negli ultimi giorni di
buon gusto e appropriatezza. Per
tutti quelli che giocano troppo, scopano poco e non guardano la tV
(quindi la maggior parte di voi che
leggete) riassumo in breve. Vauro,
da qualcuno definito il miglior vignettista italiano, è stato bannato a
tempo determinato dalla Rai per la
vignetta che trovate da qualche
parte in questa pagina. scandaloso,
a detta del silvione nazionale e di
una lunga schiera di politici, fare
umorismo su un argomento tanto
delicato. ora, tralasciando per un
momento che la vignetta si bullava
della politica edilizia e non certo dei
morti, possiamo discutere a lungo
sulla presunta inadeguatezza della
stessa. sono troppo amante della
satira per fermare una vignetta e
non trovo giustizia nel condannare
Vauro lasciando Michele cucuzza a
piede libero, ma è quantomeno lecito domandarsi se sia opportuno
sorridere sulle bare a pochi giorni
di un disastro. Perché di ridere si
tratta, perché bare si vedono e magari non ha importanza solo il destinatario del messaggio. Magari,
eh.
Il perché di questo mastodontico
preambolo è presto detto. se siete
tra quelli che scopano poco, lo
avrete anche già capito. six Days
in Fallujah, videogioco solo annunciato e già al centro di polemiche a
non finire, sta letteralmente spaccando l’opinione pubblica di tutto il
mondo. Qualcuno vota per la libertà a tutti i costi, qualcuno censura prima così non si sbaglia mai
e qualcun’altro gioca a Wii sports,
che i videogiochi sono un’altra
cosa. Prendere una posizione a
prescindere, però, mai come in
questo caso è un passo da imbecille. Perché six Days in Fallujah
andrà giudicato non per quello che
rappresenta, ma per quello che
avrà da dire.
non è l’idea stessa di un’opera
che racconta un fatto storico di
pochi anni fa ad essere discutibile,
ma lo è la sensazione che si voglia
associare il divertimento spensierato alla morte di più di 1500 uomini. Può andare bene con la
seconda guerra mondiale, i nazisti
hanno raggiunto col tempo una dimensione più epica che reale. Loro
sono il male, qualcosa da combattere, ma nell’immaginario collettivo
non esistono più di quanto non esista il diavolo in persona. non sto
dicendo che sia un modo giusto di
intendere la realtà, sto dicendo che
fa meno male. se prendi una
guerra in corso, americani ed iracheni, invece, non funziona allo
stesso modo. Perché la linea di demarcazione tra buoni e cattivi non
è ancora abbastanza chiara e perché alle bare di quei giorni se ne
aggiungono altre ogni giorno che
passa. Quindi no, se six Days in
Fallujah deve essere un call of
Duty in salsa arabeggiante, io dico
decisamente no, non s’ha da fare.
Ma in tutto questo chiacchiericcio
da bar c’è solo un punto decisamente importante. son davvero
pochi quelli che credono che six
Days in Fallujah possa essere molto
di più di un videogioco for fun. se
domani annunciassero un film o un
libro sull’argomento, ci si aspetterebbe un’opera con un approccio
accurato e rispettoso. Perché il videogioco non merita la stessa attenzione? Perché persino i
videogiocatori temono i quindici
colpi in testa per sbloccare un
achievement? Perché, oggi rispondo, un videogioco del tipo B
non l’abbiamo ancora mai visto.
seppure mi sembra tutt’altro che
un’operazione semplice, però, non
riesco a vederci dietro una missione impossibile. non è nella logica delle uccisioni che si può
trovare il responsabile unico di
tanta diffidenza. sarebbe come dire
che Salvate il Soldato Ryan non è
rispettoso perché al suo interno ci
sono delle grandi scene d’azione o
che Full Metal Jacket ridicolizza il
Vietnam perché la prima mezz’ora
è al tempo stesso comica e drammatica. La differenza tra un Medal
of Honour e Apocalypse Now, invece, sta piuttosto nella diversa
rappresentazione della morte di un
soldato: insapore e inodore nel
primo, tragica e sofferta nel secondo. È il dramma a mancare nei
videogiochi, sia questo un essere
umano da 28kg o una mamma che
ha smesso di piangere suo figlio.
solo con la voglia di dipingere un
quadro che non sia monco, si potrà
rendere possibile e accettabile un
six Days in Fallujah che non venga
spolverato da critiche, censura e insulti.
Quel giorno, se mai arriverà, sarà
il funerale di ogni altra forma di intrattenimento.
Giovanni Donda
Un uomo per due stagioni
Giovanni Donda, in arte Giocattolamer, è
italiano di nascita e inglese d’adozione.
“Scozzese, prego” aggiungerebbe lui. È
entrato a far parte dell'industria dei
videogiochi dalla porta di servizio, e lì è
rimasto. Oggi è a capo di una piccola
azienda indipendente di Quality Assurance e localizzazione, il cui nome e/o
prodotti qui non verranno mai men-
zionati. Questo ci ha costretti a scriverlo
lui. Va da sé che le sue opinioni siano appunto tali. Pure questo. La moglie, invece, gradirebbe che simili premure le
riservasse a lei, e alla figlia, non a quella
ditta del... Ma lo ama tanto. Fortuna che
non capisce l'italiano e crede ancora che
“Odio di Gomito” sia solo il romanzo che
gli pagherà il mutuo.
ODIO DI GOMITO
Il popolo ha paura del cambiamento
I
l mese scorso edge ha raggiunto i duecento numeri.
nessuno ha cantato la solita
canzoncina perché è coperta da
copyright, e poi non è un vero e
proprio compleanno, ma hanno
saputo festeggiare lo stesso. e
perché stiamo parlando di edge,
lo hanno fatto in un modo del
tutto sborone. Di nuovo. non mi
riferisco infatti alle duecento diverse copertine in cui il suddetto
numero è stato stampato, ma
della domanda che si sono posti
all’interno. La stessa, appunto,
che si posero con l’uscita del
centesimo numero: come saranno i nostri cari videogiochi
fra altri cento di questi numeri?
Io, sul di finire di leggere la domanda, me ne stavo inevitabilmente porgendo un’altra: ma ci
saranno davvero altri cento di
questi numeri?
Ma mi sono “pitturato in un
angolo”, come dicono da queste
parti. Lo spunto di questo mese,
infatti, lo troviamo facendo un
passo indietro. Più precisamente, in una delle risposte alla
domanda posta da edge di cui
sopra, nonché l’unica cosa intelligente venuta fuori da un’intervista con calibri riveriti quali
Peter Molineux ed esponenti del
collettivo Media Molecule. ovvero, il gaming on-demand. e
neanche su piattaforma unica,
piuttosto su piattaforma inesistente. tempo qualche ora,
giorno o settimana, a seconda
se dalle vostre parti il servizio
abbonati di edge è peggio di
quello del fu super console, e
tutti hanno potuto vedere con il
proprio streaming di cosa si
stesse effettivamente parlando.
Facciamo entrare onLive sul
palco del GDc, allora, è scap-
pato di casa da sette anni, ha
messo incinta le mucche più
grasse dell’industria, ed adesso
la Maria de Filippi di turno si
chiede se si prenderà le responsabilità delle proprie azioni. e
noi se sia o meno tutto preparato.
Ma sempre con “se” i nostri
interrogativi iniziano. Se funzionasse, se potesse, se fosse. eppure lo sappiamo già, e lo
sapevamo dal primo istante in
cui il nostro cervello ha registrato dove onLive volesse andare a parare. non è una
questione di “se”, è una questione di “quando”. e non sto
parlando di onLive. onLive fallirà miseramente, come Phantom prima di lei. Ma soprattutto
come 3Do. Perché questo il fato
riserva a chi per primo cerca di
fare qualcosa di rivoluzionario. e
lo so che state pensando al Wii
di nintendo, ma se ci anche solo
provate io vi faccio uno specchio
riflesso grosso quando un Virtual
Boy. Ma sto tergiversando. È
una questione di “quando”, dicevamo, e non me la pongo perché voglia fare il nostradamus
dei poveri (quello è a pagina
11), ma per capire quando mi
dovrò cercare un altro lavoro.
Perché ognuno ci vede quello
che vuole in questa rivoluzione
on-demand, chi la morte della
pirateria, chi la morte della console war. Io, che non ci vedo
particolarmente bene, ci vedo
solo la morte del porting. e oggi
il porting multi-piattaforma
(quello stesso decantato dal nostro Federico Res su Babel 006)
mi dà il pane, a me e a tutta la
mia ditta.
Vi ho mentito poc’anzi, chiedersi se edge vedrà mai le tre-
cento uscite c’entra eccome con
questa discussione. Perché la
carta stampata morirà davvero
a favore del digitale, come la
radio morirà definitivamente a
favore del video. eppure, uno
potrebbe ribattere, esiste ancora
chi preferisce leggersi la rivista
sulla tazza del cesso. come esiste ancora chi vuole giocarsi i
propri giochi sul proprio maxischermo, sulla propria console,
quando vuole, senza che nessuno gli rompa la palle. sì, ma
per quante generazioni ancora?
e non mi riferisco alle generazioni di console. Io stesso, se
me lo aveste chiesto anche solo
cinque anni fa, vi avrei detto che
mai e poi mai avrei comprato
nulla online. oggi, invece, non
mi azzarderei mai e poi mai a
comprare qualcosa da quei morti
di fame di high-street retailers.
La gente cambia, punto. Prima o
poi.
Parafrasando un massimo
esponente della letteratura contemporanea (quello stesso che,
per pura testardaggine o forse
solo pazzia, si è recentemente
privato la gioia di godersi sul
grande schermo il suo miglior
tributo cinematografico): il popolo ha paura del cambiamento,
ma è il cambiamento a dover temere il popolo ancora di più. temerlo perché non è mai una
questione di “se”, ma di
“quando”. temerlo perché il
cambiamento avverrà sempre e
comunque, che il popolo lo voglia o meno, ma se almeno tutti
lo volessero, ci metterebbe
molto meno ad avverarsi. e vivremmo tutti felici e disoccupati,
probabilmente, ma con meno
onLive nell’armadio.
Vedere il futuro deve fare
piuttosto male. Non si
spiega altrimenti questo ottuso diniego. Piaccia o
meno, il gaming on-demand
è ka, e noi tutti siamo katet, come direbbe Roland
Deschain di Gilead. Ma questa è un’altra storia
005
Alessandro Mazzega
Siamo diventando dei vecchi baroni
bavosi, e come si dice in questi casi dobbiamo dare spazio ai giovani, ai belli, ai
capaci, e a tutte quelle che ce la danno.
Babel e quindi lieta di presentarvi Lamer
Rotanti, l’unica rubrica a conduzione alternata che avrà lo scopo di farvi leggere
opinioni one-shot provenienti sia da col-
laboratori interni che da quelli esterni. Se
credete di avere qualcosa di non troppo
noioso da gridare al mondo, fatecelo
sapere attraverso la nostra casella email
([email protected]); il nostro
servitore Grimo Vermilinguo attende fremente i vostri contributi.
LAMER ROTANTI
Wii console inutile
W
Da quando Reggie è al timone
di NOA la società va a gonfie
vele. O meglio: è dal lancio del
Wii che Reggie siede su un
trono dorato. Speriamo che
alla conferenza di Nintendo
del prossimo E3, tra una
mezz'ora di Iwata con i dati di
vendita e la presenza della
Dunaway, questa volta ci
siano anche i giochi. E di
prim'ordine
006
ii console inutile, anzi no,
viva il WiiWii. È la console
del momento, questo è indubbio. se ne può parlare bene,
male, analizzandone il successo con
curiosità o invidia, basandosi sulle
dichiarazioni degli ormai celebri
analisti di settore o ragionando
semplicemente sui dati di vendita.
Vorrei però proporre alcuni punti di
vista differenti dai soliti, basati
sempre e comunque sulla diffusione, sugli eventuali tagli al prezzo
di vendita e sulla diatriba casual
gaming vs. the world che tanto
tiene banco in questi ultimi mesi.
Pronti? Partiamo.
È da alcune generazioni che acquisto le console casalinghe di nintendo solo in versione ntsc UsA. I
vantaggi sono sempre stati indubbi
e anche con Wii mi sono mosso con
la stessa modalità, procurandomi
una console americana pochi giorni
dopo il lancio statunitense. In principio la scelta si rivelò nuovamente
vincente: edizioni occidentali dei
giochi in uscita molti mesi prima rispetto alle controparti europee,
prezzo degli import basso a causa
della debolezza del dollaro rispetto
all’euro, possibilità di accedere ai
servizi Virtual console e WiiWare
con contenuti resi disponibili in ritardo - o semplicemente mai - sui
canali del vecchio continente. col
passare del tempo, però, la situazione iniziò timidamente a cambiare: uscite occidentali quasi in
contemporanea, prezzi allineati e
semplice disponibilità hanno fatto il
miracolo; ciò che square-enix non
raggiungerà mai: il mercato europeo sullo stesso livello di quello
americano, almeno dal punto di
vista dell’utente. nell’ultimo periodo, poi, si è arrivati al paradosso,
con titoli arrivati in europa ma mai
oltre oceano. come non citare Disaster: Day of crisis, bocciato dal
grande (letteralmente) Reggie in
quanto poco soddisfacente dal
punto di vista audio (?) o Fatal
Frame IV, la cui pubblicazione è in
mano a nintendo ed è quindi ap-
pesa ad un filo.
ecco quindi la prima domanda:
quali sono le politiche di nintendo a
riguardo? Ha senso non far uscire
un gioco come Disaster, di matrice
nipponica ma con larga possibilità
di venir apprezzato anche in America, alla luce del successo dei molti
disaster movie provenienti dagli
states? oltretutto la localizzazione
esiste già e la versione distribuita in
Inghilterra non avrebbe bisogno di
alcuna modifica in termini di doppiaggio e sottotitoli. Discorso analogo per Fatal Frame: nintendo
vuole davvero negare l’uscita di
giochi adulti sulla propria console?
Perché Mad World sì e l’horror di
tecmo no?
Il possesso di una console di importazione, di conseguenza, mi ha
costretto ad andare a documentarmi in quegli oscuri sobborghi in
cui si mischiano pirateria e superamento del territorial lockout, in
modo da poter giocare a qualunque
titolo senza più la restrizione regionale. A ridosso dell’annuncio del
nuovo firmware avvenuto durante il
keynote di nintendo alla GDc 2009
ho quindi iniziato a crearmi un’idea
in merito. come è noto la comunità
di hacker e modder per Wii è decisamente attiva, seconda forse solo
a quella che si è creata attorno a
PsP, quindi non è stato difficile reperire le informazioni necessarie a
bypassare il blocco regionale. ovviamente, come ho già sottolineato
e come è da tradizione, il superamento di tale ostacolo va decisamente a sfumare verso la pirateria
in quanto una console che legge gli
import molto spesso non si fa problemi se il disco che viene inserito
non è stato regolarmente acquistato. con mia somma sorpresa, il
rilascio della versione 4.0 del
software di sistema, che ricordiamo
abilita l’uso delle schede di memoria sD ovviando in parte ai cronici
problemi di archiviazione che affliggono il Wii sin dal lancio, non va ad
intaccare in alcun modo qualunque
modifica software sia stata appli-
cata alla console. certo: ne inibisce
l’installazione in un secondo tempo,
ma non ne rimuove alcun componente né cerca in alcun modo di
bloccarne il funzionamento.
seconda domanda: qual è a questo punto la politica di nintendo nei
confronti della pirateria? Perché su
piattaforma Ds viene fatta una
guerra su più fronti alla diffusione
di R4 ed affini, mentre su Wii non si
tenta di limitare il fenomeno con
l’arma più ovvia: l’aggiornamento
del firmware della console? La navigazione in wiki e forum sull’argomento è stata illuminante anche
per quanto riguarda l’approccio
della comunità underground verso
la console nintendo. In media sono
moltissimi gli utenti che ne denigrano la natura, sottolineando le
solite motivazioni: è solo per i casual gamer, non ci sono giochi meritevoli, graficamente fa pietà e così
via. ovviamente tali loschi figuri
sono però impegnatissimi a scaricare Gigabyte e Gigabyte di
software illegale, sprecando decine
e decine di supporti in modo da
provare ogni titolo uscito, rimanendo soddisfatti solo se la console
è in grado di eseguirli tutti, ma non
giocandone mai nessuno. In fin dei
conti, il collezionismo pirata è una
malattia di vecchia data e a quanto
pare il passare degli anni non ha
cambiato questo tipo di comportamento. tornando quindi al titolo:
Wii console inutile, certo.
terza domanda: perché all’uscita
di Mad World tutti si sono affrettati
a domandare se il firmware era aggiornabile senza pericolo, in modo
da poter continuare a giocare alla
propria copia contraffatta del titolo
di Platinum Games? Basta un gioco
intriso di ultra violenza praticamente gratuita per far cambiare
diametralmente opinione sulla qualità dell’offerta di una console?
Basta un DVD masterizzato ad arte
per passare da “Wii console inutile”
a “Viva il Wii”?
Simone Tagliaferri
Si perde troppo spesso per mondi virtuali
Simone Tagliaferri nacque e sta ancora
cercando di recuperare da quella faticaccia immane. Nel frattempo ha scritto articoli per molte testate, tra le quali
Gameoff, Xoff, PSW, PC Games World e
altre di cui non ricorda molto (sapete... la
senilità). Attualmente scrive articoli su
multiplayer.it, cura la sezione videogiochi
del Mediaworld Magazine e scrive assiduamente su Ars Ludica, progetto nato
nel lontano 2005 che si occupa di spammare un po' di cultura videoludica in giro
per il web. Tra le sue altre attività, oltre
allo spaccio internazionale di pannolini
usati, traduzione di guide ufficiali e di
videogiochi.
ARS LUDICA
www.arsludica.org
La sessualità negata dei personaggi videoludici (parte seconda)
nello scorso numero avevo preso in
considerazione the Witcher e Mass
effect, proponendoli come esempi
di videogiochi che contengono
scene di sesso esplicito piuttosto
dozzinali, quando non legate a un
immaginario pornografico. In quel
caso ho voluto sottolineare l’incapacità degli scrittori di videogiochi di
pensare scene di sesso senza dargli
connotazioni pruriginose o ammiccanti, in un certo senso morbose,
pur in titoli tematicamente più
complessi della media. In questo
numero vorrei proporre due opere
in cui il sesso viene rappresentato
in un contesto più normale, ovvero
viene inserito nella narrazione
senza forzature o stonature e, soprattutto, senza trasformarlo in una
specie di Achievement da raggiungere. In entrambi i casi non darò
giudizi qualitativi complessivi, ma
mi limiterò a esaminare come il
sesso sia stato inserito nel contesto
videoludico.
nella nona scena di Fahrenheit
(Quantic Dream, 2005) Lucas Kane,
il protagonista, braccato dalla polizia, oppresso da visioni da incubo e
alla ricerca della verità su ciò che
gli sta succedendo, riceve la visita
di tiffany, la sua ex-fidanzata ed
ex-convivente. La donna vuole
semplicemente recuperare le sue
cose, tenute dentro delle scatole di
cartone. Una serie di azioni piuttosto spontanee, come offrirle da
bere e aiutarla a trasportare la sua
roba, faranno partire un dialogo
con cui, toccando le giuste note, si
potrà creare un ultimo momento di
tenerezza tra i due, che sfocerà in
una scena di sesso. Due ex-fidanzati che fanno sesso, tutto qui. La
sequenza è interattiva, ma non è
fatta vivere al giocatore come una
conquista virile, ovvero come un:
“ma quanto sono macho e potente”
urlato implicitamente dallo
schermo; è più una richiesta d’affetto del protagonista che sta attraversando un periodo difficile.
sempre in Fahrenheit, nella trentaseiesima scena, poco prima del fi-
nale, Lucas fa l’amore con carla,
l’investigatore della polizia che ha
indagato sulla sua storia. Anche
questa scena di sesso è costruita in
senso narrativo e non arriva per
caso. carla indaga su Lucas, rimane
coinvolta dalla sua storia comprendendo che il ragazzo non ha colpe e
che ci sono forze più grandi che lo
stanno manipolando. Decide quindi
di proteggerlo facendolo andare a
vivere a casa sua. Lucas passa
quindici giorni a casa di carla, dormendo sul suo divano. Il freddo attanaglia la città. tiffany,
l’ex-ragazza di Lucas, è morta venti
giorni prima in un incidente causato
dall’oracolo, il deuteragonista principale, mentre tyler, il collega con
cui carla ha seguito le indagini, è
fuggito da new York a causa del
gelo. I due sono soli, new York
sembra una scultura di ghiaccio,
immobile e morta. Dopo una sequenza d’azione, Lucas e carla vengono aiutati da un gruppo di ribelli
che combatte in segreto contro l’oracolo e si ritrovano a dormire insieme in un vagone della
metropolitana dismesso, dove consumano l’atto sessuale. Anche in
questo caso il sesso nasce da premesse narrative e assume senso e
importanza all’interno della storia
dei due personaggi, producendo effetti che si espliciteranno nei tre finali.
In Prince of Persia: Le sabbie del
tempo (Ubisoft, 2003) c’è una
scena di sesso che dà il la al finale.
Il principe e Farah hanno ‘danzato’
insieme per tutta l’avventura, si
sono conosciuti in modo conflittuale, si sono aiutati tra dubbi e diffidenze e, infine, sono arrivati a
fidarsi reciprocamente innamorandosi. La scena di sesso in sé è costruita in modo da ricordare quelle
dei blockbuster americani, con inquadrature di dettagli montate in
modo serrato. In realtà non ha
nulla di particolarmente originale,
se non che si trova in un videogioco
pensato per il grande pubblico e
che, soprattutto, non è gratuita e
forzata, ma è ben armonizzata con
il contesto di gioco.
I personaggi non arrivano a fare
sesso spinti da chissà quale forza
invisibile (solitamente il voyeurismo
dello sceneggiatore, che poi riflette
quella del sistema produttivo e dei
fruitori), ma dalla conoscenza reciproca che si è trasformata in
amore. soprattutto il principe è un
personaggio diverso da quello che
era all’inizio, diversità che diverrà
esplicita nella scelta finale e che
verrà rovinata dai due episodi successivi della trilogia. Insomma, la
scena di sesso arriva a corollario di
tutte le volte che i due si sono
stretti la mano per superare un
ostacolo, a tutte le volte che hanno
combattuto insieme e a tutti i piccoli momenti chiarificatori sparsi
per il gioco. Anche in questo caso la
sceneggiatura è scritta per cercare
di evitare di far vivere l’amplesso
come una semplice conquista virile,
rendendola parte naturale di
quanto “giocato” fino a quel momento, un passaggio naturale che il
fruitore vive come tale.
scrivendo questo articolo mi sono
reso conto di non potermi limitare a
parlare solo dei momenti sessualmente espliciti visibili nei videogiochi. Per una questione di
completezza, nel prossimo numero
parlerò di alcuni titoli in cui la sessualità è presente, ma mascherata,
ovvero è parte del contesto, è movente dei personaggi, ma non viene
mai resa esplicita. In questa descrizione rientrano in realtà moltissimi
titoli, ma cercherò di porre dei limiti
precisi, prima di dedicarmi alle conclusioni finali (che credo richiede-
Fahrenheit e forse il videogioco in cui il sesso
viene meglio armonizzato
con il contesto di gioco,
senza scadere nel volgare
o nel gratuito
ranno un quarto numero).
007
f
r
a
m
e
di Gianluca Girelli
METEORE: che fine hanno fatto
i film interattivi?
parte terza
erza parte del
viaggio attraverso il filone
dei film interattivi, questa volta incentrato sulle proposte in
ambito cinematografico.
I primi esperimenti
nell’ambito del cosiddetto “cinema interattivo” risalgono agli anni
’50, anche se per il
primo film bisognerà
aspettare la fine della
decade successiva. sebbene concettualmente
simile alla controparte
videoludica, il cinema interattivo è stato fin dall’inizio molto più legato
alla struttura dei libri
game rispetto ad essi. Il
principale problema era
quello di dover girare
numerose sequenze parallele relative a bivi
narrativi diversi, aumen-
T
008
tando così non solo le
ore di girato, ma anche
tempi e costi. se nei film
interattivi era prassi che
bivi narrativi confluissero in un unico filone,
nel cinema interattivo
era preferibile che i bivi
restassero slegati, in
modo da avere una
trama il più diversificata
possibile nel limitato
tempo concesso dalla
pellicola. Altra limitazione fu l’impossibilità di
troncare l'esperienza in
caso di scelta sbagliata,
la narrazione in ogni
caso doveva essere portata alla fine pena la visione di un film monco.
Mancando le comodità
dei sistemi multimediali
moderni, la difficoltà fu
quella di dover gestire le
proiezioni in modo che
le procedure di cambio
delle pellicole-bivio fossero per lo spettatore le
più rapide e meno indolore possibili. Più tardi,
grazie a mezzi più sofisticati, fu possibile girare, montare, e
distribuire i film su supporti in grado di rendere
più semplice questo lavoro. solo una cosa non
fu mai risolta: i costi di
gestione.
Benché esistesse una
sorta di sfida implicita
tra videogioco e cinema
su chi dei due sarebbe
riuscito a proporre per
primo un prodotto interessante, ben pochi prodotti cinematografici
verranno distribuiti a cavallo tra gli anni ‘80 e
’90, e quasi tutti molto
distanti da essere prodotti considerabili validi
commercialmente. Le
poche sale adatte al film
e gli enormi costi di produzione delle pellicole
furono le cause del mancato interesse da parte
delle major cinematografiche. se ancora oggi
i problemi nella realizzazione di sale per la
proiezione 3D non sono
stati del tutto risolti nonostante la tecnologia
stia prendendo piede (le
sale sono ancora la
metà di quelle preventivate), potete capire
quali dovessero essere
ai tempi i problemi da
affrontare per dare visibilità a questi “esperimenti”.
con l'avvento del
DVD, il filone sembrò
aver qualche possibilità
di rinascere, ma ben
presto si ritrovò ad affrontare molti dei pro-
In Mr. Payback: An Interactive Movie del 1995, lo spettatore munito di una sorta di
pulsantiera alla Chi vuol essere Milionario, decideva la
direzione della trama in anticipo di qualche secondo
rispetto agli eventi per
evitare che il film non
perdesse di continuità; il
maggior numero di voti determinava come la storia
sarebbe proseguita. Il risultato non fu troppo appagante,
però, la maggior parte della
gente in prossimità dello
"scambio" perdeva tempo a
rumoreggiare con il vicino di
sedia deconcentrandosi sulla
visione del film, a quanto
pare piuttosto bruttarello già
di suo. Le sale adibite inoltre
non superavano il centinaio di
persone, troppo poche per
pensare di poterci ricavare
grandi somme. Altri produzioni come “Cause and Effect” si basavano su altri tipi
di interazione, ma non ebbero
esiti diversi
Nel 1967, il primo esperimento di cinema interattivo: il cecoslovacco Kinoautomat, commedia nera diretta da
Raduz Cinera. Seppur con mezzi ben
lontani da quelli usati oggi, la filosofia
non era troppo dissimile. Nel mezzo del
film, un moderatore appariva al centro
dello stage per offrire due scelte narrative. Per non dover bloccare e sostituire ogni volta la bonina, i proiettori
erano due, e lo spostamento di una
lente determinava lo scambio. Nonostante gli otto punti di scelta, i bivi
erano sostanzialmente due in modo
tale che si intrecciassero tra loro, mentre il finale era unico in tutti i casi. Il
film venne successivamente mandato
in onda sulla tv pubblica contemporaneamente su due reti diverse, lo
spettatore si limitava a cambiare
canale in base alle scelte sulla trama. Il
film ricevette buoni consensi di pubblico e critica, ma più per l’effetto
novità che per le effettive qualità. Kinoautomat non venne mai distribuito
sui canali ufficiali poiché adattare i cinema alla proiezione sarebbe stato difficile e costoso, e si limitò dunque a
comparire in soli altri quattro eventi
dedicati
blemi dei prodotti cinematografici usciti
qualche anno prima.
I'm Your Man, the Misadventures of James
spawn, Point of View,
stab in the Dark! ebbero un limitatissimo
successo, tant’è che
molte delle successive produzioni furono
realizzate con un budget limitato e indirizzate principalmente
ad un pubblico infantile. La multimedialità concessa dai DVD
venne perlopiù utilizzata nella
registrazione di concerti per la
visione da angolazioni diverse.
Da notare che se i film interattivi – quasi - sparirono per
tramutarsi in qualcosa di molto
diverso, il cinema interattivo se
ne porta dietro strascichi ancora oggi. tecniche e principi di
funzionamento utilizzati
nella realizzazione di
film interattivi vengono
tutt’oggi riproposti
nella gestione delle sequenze video in contesti multimediali per il
web. La diffusione della
banda larga unitamente
all’utilizzo di piattaforme come
shockwave/Flash ha
reso più facile la realizzazione di prodotti multimediali assimilabili
alle vecchie produzioni.
si pensi, ad esempio, a
quei banner che utilizzano in maniera massiccia sequenze video
in streaming. Da qualche anno, inoltre, vengono realizzati veri e
propri film, come ad
esempio the outbreak,
Hypnosis, Lost cause o
17LifeFable che sfruttano le nuove potenzialità del web per
riproporre gli stessi
concepì. Per iPhone, in-
tanto, è prevista l’uscita del videogioco-film interattivo Hysteria a breve.
L’ultima delle forme in cui si
sarebbe evoluto il cinema interattivo fu quello del Mutable cinema, concettualmente simile ai
film interattivi, ma con un’interfaccia giocatore tale da permettere una diversa, e per certi
versi migliore, gestione delle sequenze. A differenza di altre
proposte, il Mc non seguiva necessariamente una trama definita, piuttosto era il giocatore
che modificando e ribaltando
spezzoni o generando bivi diversi creava la sua personale
trama. Per questo motivo l’ “artisticità” del prodotto finale non
dipendeva più solo dalla direzione dell’autore, che non poteva più controllare la validità di
spezzoni disposti in maniera diversa, ma anche dalle scelte del
giocatore. In pratica è come se
in un film la validità di questo
venisse compromessa da chi si
occupa del montaggio. sebbene
l’autore potesse considerare le
sequenze del film facenti sempre parte di un’opera, chi ne
usufruisce avrebbe potuto percepire il Mc come un normale
videogioco, dando poco peso
agli elementi che lo compongono (sceneggiatura, fotografia,
regia, etc.).
Appuntamento con l’ultima
parte dell’articolo relativa all’evoluzione finale del cinema interattivo sul prossimo numero di
Babel!
009
giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda
giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda
GIOCHI DI
MERDA!
Dreamfactory
Microsoft Game Tudios
Xbox
2002
Kakuto Chojin : Back Alley Brutal
di gianluca “unnamed” girelli
s
e sei bello ti tirano le pietre.
se sei brutto invece no. La
canzone mentiva, il brutto
non se l’è mai filato nessuno. A
volte capita però che per un motivo o per un altro, anche a qualche “brutto” venga concessa una
certa visibilità. Kizuna encounter
per neoGeo, ad esempio, è famoso
per la sua rarità; della sua versione PAL, infatti, dovrebbero esistere qualcosa come una decina di
esemplari, a causa - così dice la
leggenda - di un incendio che ha
distrutto le poche copie importate
ufficialmente. non scomodatevi a
giocarlo sul MAMe, è un picchiaduro piuttosto squallido, se non
fosse raro non meriterebbe alcuna
attenzione. carmageddon è un racing game (?) da martellate sui
coglioni, ma il clamore mediatico
lo ha reso uno dei giochi più popolari su Pc.
Kakuto chojin, invece, è un prodotto strano. È salito alla ribalta
per la polemica legata ad uno dei
brani della soundtrack che riprendeva dei versi del corano, ed è per
questo stato ritirato in America e
Giappone, mentre in europa non fu
mai commercializzato. Raro e polemizzato, l’accoppiata migliore si
direbbe. eppure nessuno se lo
caga.
L’ultima valutazione su eBay lo
ha visto venduto per meno di un
dollaro, deprimente anche per un
picchiaduro non particolarmente
originale, ma in fondo nemmeno
tanto bruttarello. si dice che Kc
sia frutto del lavoro di ex dipendenti di namco che in precedenza avevano lavorato a
tekken, e le somiglianze si vedono tutte. Purtroppo verrebbe
da dire. Il sistema di combattimento ricorda molto tekken 2,
non male ma nemmeno sufficiente
quando i tuoi avversari si chiamano soul calibur e Virtua Fighter.
eppure Dream Factory vantava nel
suo repertorio picchiaduro indubbiamente interessanti come tobal
2 e ehrgeiz e Ultimate Fighting
championship: tapout. Persino
the Bouncer, al di là della sua ripetitività, non era certo così deprecabile. Kakuto chojin, invece, è
un prodotto mediocre che sa di
vecchio e stravecchio.
Una tech demo, questa la prima
impressione di chi lo vide mostrare
la capacità del nuovo mostro Microsoft. Questa anche l’ultima impressione, una volta messo a terra
il pad, dopo poche ore di gioco. I
personaggi sono stati realizzati con
un gran numero di poligoni, decorati da texture e normal mapping a
profusione e con tessuti che si
muovono in maniera realistica, ma
il loro aspetto è un po’ troppo plasticoso e lucido, ricorda molto i pupazz… ehm, i combattenti di Virtua
Fighter 5. Il look invece tende al
tamarro, ma non posso non amare
quel character che assomiglia alla
mia amata Jessica stam. I fondali
però sono da dimenticare, nella
maggior parte dei
casi sono formati
da gabbie realizzate con quattro
poligoni, (bumpmappati anche loro) con la buona
vecchia bitmap circolare come ai
tempi di… tekken, appunto. solo
che non siamo nel 1996, e Dead
or Alive proponeva stage almeno
4 volte più grandi. su Dreamcast.
Poco divertente in multi per via
del limitato parco di mosse, ancora meno in single per colpa di
una cPU che fa ben poco all’inizio
e bara pure troppo alla fine. Ma è
un mondo difficile, anche per i videogiochi in fondo.
Dream Factory si sarebbe dedicata in seguito ad altri prodotti,
di fattura un poco migliore, ma
ugualmente trash. In noi, invece,
rimane il ricordo di quel titolo
giapponese per i giapponesi (quei
pochi che hanno comprato l’Xbox), che fin dalla nascita aveva
osato puntare alto.
Ma anche no.
giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda giochi di merda
010
022
NOSTRADAMUS! previsioni videoludiche
di Michele “Macca” iurlaro
DANTE’S INFERNO
Dante la trottola
piattaforma 360 ps3 sviluppatore studios ea redwoods shores produttore ea provenienza usa
a cura di Giovanni “Giocattolamer” Donda
Grosso è bello. È una verità che ci portiamo dietro da quando abbiamo calpestato l’ombra della giostra più grande
della fiera. Quel sense of wonder che ci
pervade e ci fa rispondere con una mascella spalancata al passaggio della
prima carrozza. troppo grandi per farsi
fotografare con topolino, oggi quella
sensazione la ritroviamo a teatro, al cinema, nei videogiochi. Più grande è il
baraccone, più grande è il divertimento.
Questo il mantra, questi i suoi più assidui seguaci: God of War e Devil May
cry. L’apparenza potrà ingannare, ma
Dante’s Inferno si presenta con il moccolo in mano, perché il mondo non è abbastanza grande per due Disneyland, e
di certo non è abbastanza grande per
tre Danti.
certe volte, però, le apparenze non
ingannano. e le apparenze buttavano
davvero male per Dante’s Inferno già da
anni, più precisamente da quando il regista Jonathan Knight decise di rispondere alle domande degli utenti di
eurogamer. La sviolinata presentò infatti
due stonature da ortaggi sul palco: il
team dietro a Dante’s Inferno non era lo
stesso dietro a Dead space e c’era uno
smoderato amore nei confronti dei
Quick time events. Da interpretarsi, rispettivamente, con: il gioco lo sta sviluppando il team B e sarà pieno zeppo
di sequenze coreografate dal cugino di
John Woo, tutte neanche per sbaglio
controllabili dal giocatore. salvo un
certo “ma”, Dante’s Inferno fa proprio
quello che c’è scritto sulla scatola, ovvero fa tutto lui. era dai tempi dei Metal
Gear solid di Hideo Kojima, che un
gioco non tradiva in modo così recidivo
il primordiale patto che ogni buon designer dovrebbe stringere con la propria
clientela. se succede in una cut-scene,
deve poter succedere anche in gioco.
Dante’s Inferno non se ne cura e passa,
non curante anche del fatto che i Qte
avevano già rotto il cazzo nel 2007 di
God of War 2, figurarsi nel 2010.
Il sopracitato “ma”, però, arriva con le
sequenze in sella a belve di varia natura
e soprattutto dimensione, che collegheranno i vari gironi dell’inferno. A gran
sorpresa, infatti, sono le più riuscite e
interattive dell’intero pacchetto ludico.
così abili a pompare adrenalina da ribaltare ogni pronostico pre-release, facendo sembrare il resto dell’esperienza
tattile una mera aggiunta dell’ultimo minuto. se la demo rilasciata il mese
scorso si fosse concentrata su queste
fasi, anziché l’aleatorio boss-fight contro
il conte Ugolino (e figli), la zappa sarebbe cascata ben lontano dai piedi. Ma
anche pericolosamente vicino alle sportellate già viste eoni fa nel bistrattato
Wheelman, da cui Dante’s Inferno attinge bellamente a piene mani. Riuscendo comunque a sciupare il tutto,
aggiungendo di suo vari one-liners da
parte del narratore Virgilio, a commento
della propria prestazione. Preparatevi
all’atroce: “Lasciate ogni speranza, voi
che ci incontrate!”.
Ironicamente, più facciamo scendere
questo irriconoscibile Dante nelle
profondità dell’Inferno, più la retta via si
smarrisce del tutto. L’interattiva narrazione con Virgilio si farà dimenticare
giusto il tempo di averla richiamata a
schermo e i combattimenti si tramuteranno sempre più in una partita a
simon. La versione Junior. Un po’ come
l’ultimo, abominevole Prince of Persia,
del resto, ma con più tette (Paolo Malatesta non aveva tutti i torti, in effetti). Il
finale, non leggete se non volete rovinarvi la magra sorpresa, è un chiaro
omaggio a un altro massimo esponente
culturale italiano, l’idraulico Mario. La
bionda e bisbetica Beatrice sarà infatti
in un altro castello, parrebbe voler suggerire l’esplosiva sequenza finale. Forse
in cima ad un certo monte? Forse in un
inevitabile seguito? chissenefrega, noi
intanto usciamo a rivedere le stelle. e
possibilmente del vero gameplay.
6
Con l'esoso Caronte (qui barca e traghettatore tutt’uno), si chiude il tutorial del
gioco. Insegnato infatti al giocatore come
collezionare abbastanza anime dei dannati
per passare l’Acheronte, il viaggio proseguirà senza sorprese in fatto di meccaniche di gioco. Peccato che se si muore
durante la traversata, si debba rifare tutto
da capo. “Un fiorino”, anyone?
011
360 ps3 pc
SAINTS ROW 2
A volto coperto
piattaforma 360 ps3 pc sviluppatore volition inc. produttore thq versione pal provenienza usa
a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa
i vorrebbe una metafora per descrivere
questo gioco, una bella
metafora che comprendesse prostitute,
droghe pesanti e bollini delle banane, ma ho fatto voto di non
abusarne. come un gentiluomo
che vende Corna Vissute ai minorenni, però, la mia moralità vale
meno di 2500 lire, 4000 se compravi il pacco da tre. ecco allora
che saints Row 2 è come una
chiquita notturna che spaccia
coca nelle scuole, non c’è nessuno porca mignotta. non sforzatevi, non ha senso. Almeno
credo…
e pure saints Row 2 sembra
non averlo un senso, soprattutto
se non lo guardi a testa in giù.
Dal verso giusto si presenta
come un pessimo seguito di se
stesso, miracolosamente peggiorato nell’aspetto dopo anni di
evoluzione tecnologica e tristemente a secco di buone idee.
Perché, per chi non lo sapesse, il
primo saints Row non era solo la
copia denunciabile di un Grand
theft Auto qualsiasi, ma pure la
smussatura evolutiva della saga
Rockstar prima maniera. È nel titolo Volition che, dopo i giri della
montagna di san Andreas, nasce
il tom tom a striscia verde. È
nello stesso titolo che si fa strada
un modo nuovo di intendere il
free roaming: meno cazzeggiare,
più giocare. saints Row era GtA
senza la noia, senza realismo e
credibilità in molte situazioni, ma
estremamente più divertente da
giocare.
La formula ludica di questo seguito è rimasta invariata, ma la
mancanza di una forte spinta
creativa si sente eccome. Piuttosto che rinnovare, saints Row 2
si limita ad esasperare la sua eccentrica visione del mondo.
stilwater è più putrida di una
fogna a cielo aperto, la sua melmosa corruzione si è infiltrata in
ogni possibile commercio clandestino e le povere bande criminali
sono costrette a dividersi la torta
con gentaccia in giacca e cravatta. Uhm, a raccontarla non
C
pare tanto eccentrica. Quello che
colpisce subito in saints Row 2,
dopo aver sventrato almeno una
quarantina di poliziotti nel solo
tutorial, è la sua assoluta mancanza di etica. I demoni della distruzione, della volgarità, della
violenza gratuita e dei parcheggiatori abusivi sembrano essersi
uniti per dare vita al gioco più discutibile che la storia ricordi. non
è solo questione di merda da
buttare sui palazzi, non è nemmeno la gente nuda da picchiare
per le telecamere di Cops, è proprio la sua totale incuranza per la
buona educazione a sorprendere.
Laddove GtA è spesso vittima di
clamori indesiderati, Volition
sembra volerli chiamare a sé con
un videogioco talmente scorretto
da sembrare parodia. nelle missioni principali uccidi tutti, in
quelle secondarie uccidi tutti e
spacchi tutto. Una città per spaccarli e basta, né più né meno.
carica omicida ampliata dalla
possibilità di giocare l’intera avventura in compagnia di un
amico. Perché non c’è niente di
meglio della violenza se non la
violenza fatta per bullarsi con gli
amici.
saints Row 2 è l’equivalente ludico di una sega solitaria: c’è sicuramente di meglio nel mondo,
ma perché smettere? ora dopo
ora si rafforza la sensazione di
trovarsi di fronte ad un gioco
brutto più che bello, superficiale
più che satirico, paraculo più che
ingenuo, eppure il divertimento
non scade mai. che si voglia
spaccare la testa a fan esuberanti o dare fuoco a qualche palazzo, è lo spensierato gusto
amaro della violenza fine a se
stessa a vincere sempre. Ma un
gioco brutto resta un gioco
brutto, pure sa a sua madre
piacciono gli scarafaggi. sì? no?
Forse? Magari quando lo trovo a
17 sterline, che la sterlina vale
quanto un granturchese ormai?
Quello che volete, ma su uno
scaffale, pronto a tappare i buchi
di una brutta giornata, male non
ci sta.
Fate attenzione, la pistola che
vedete nella
fantastica
limited edition è di
carta, pessima carta.
Non sia mai
che qualche
sprovveduto la
scambi per
una vera riproduzione
6
015
playstation2
AR TONELICO 2: MELODY OF METAFALICA
Detekoidetekoilallalallalaa,detekitedetekitelallalallalaaaaa...
console ps2 sviluppatore gust. produttore nis america. versione ntsc/us provenienza giappone
a cura di Michele “Guren no kishi” Zanetti
o ancora la canzoncina
della magia sunsun
summon nella testa,
nonostante non la usi
da una cinquantina d’ore. Grandioso. A parte questo, Ar tonelico
II: Melody of Metafalica arriva finalmente in Usa e vista la bontà
del primo episodio, le aspettative
per questo seguito erano alte. non
sono state tradite in sé, ma da
altri. La spiegazione del voto sta
nella seconda didascalia. L’originale Ar tonelico nasceva da una
costola della più famosa serie
“Atelier” di Gust, ponendo maggior
enfasi sulla parte musicale, fondendo un JRPG con una sorta di
simulazione d’appuntamento volta
a potenziare parte del cast femminile. Melody of Metafalica migliora
tutto. Visivamente Gust raggiunge
nuove vette, tra cui degli scenari
che potrebbero passare per 2D se
non si rivelassero in 3D completo
al primo spostamento.
A livello più tecnico, però, il titolo presenta la solita miriade di
micro rallentamenti sempre dietro
l’angolo: quando vi spostate negli
scenari, nei dungeon, durante i
dialoghi, nelle animazioni di vari
attacchi e - addirittura - quando
aprite le casse del tesoro. Pare
che tutti questi scatti si manifestino solo sulle Playstation 2 con
ottica più datata. Pare, appunto,
io non ci metterei la mano sul
fuoco.
Musicalmente parlando, invece,
ritorna una buona colonna sonora,
potenziata a dismisura nella parte
delle canzoni e degli Inni, ancora
eseguiti in una lingua immaginaria
molto d’atmosfera, caratteristica
distintiva della serie. ovviamente
canzoni e Inni sono direttamente
collegati alla buona trama del
gioco. non potevano così non tornare le Reyvateil dalle sembianze
femminili: Luca e cloche sono le
due Reyvateil principali nonché
eroine di AtII (insieme ad un altro
paio). ovvero, sono delle comuni
ragazze in cui si manifesta un caratteristico potere giunte ad una
certa età. Da quel momento in
poi, infatti, cantando potranno accedere a vari tipi di magie e saranno obbligate per tutta la loro
esistenza ad assumere ogni tot
mesi delle sostanze che ne allun-
rEviEw
H
016
ghino la vita. Pena la loro morte in
breve tempo. A causa di una
strana “malattia”, però, alcune R
vanno in berserk e attaccano gli
esseri umani causandone la
morte. Le R infette dalla sindrome, dette I.P.D., sono direttamente collegate sia alla trama del
gioco che a parte delle sue meccaniche.
Mentre vi aggirate nei dungeon
è ancora presente un indicatore
che segnala quanto manca al
prossimo scontro casuale e che si
svuota pian piano. svuotato completamente non sarete più assaliti
dai nemici. Un nuovo indicatore,
invece, è dato dal radar per l’individuazione delle I.P.D., che ne segnalerà la presenza o meno nelle
vicinanze o in altre zone del
mondo (qui funziona maluccio, indicandovi alle volte degli obiettivi
presenti in determinati livelli in
momenti della storia in cui non
potete proprio recarvici e dimenticandosi totalmente delle I.P.D. di
ottavo e nono livello). sconfitta
un’I.P.D. potrete immergervi nella
sua coscienza con l’equipaggiamento adatto e nell’apposito negozio, cercando di curarla tramite
un mini game (una variazione
della vecchia meccanica di gioco
chiamata cosmosphere). Alcune,
appena curate, si aggiungeranno
subito al fanclub di cloche, altre,
invece, si uniranno solo dopo che
saranno state soddisfatte determinate condizioni. Alla fine, comunque, dovrete recarvi nel luogo
dove risiedono per reclutarle effettivamente. Potrete poi assegnarle
ai vostri combattenti e farle aumentare di qualche livello, sbloccandone così abilità di supporto di
cui godrete in battaglia. L‘abilità
Instant Kill, per esempio, vi aiuterà immensamente.
tutta la parte delle I.P.D. è
come una side quest gigantesca,
ma va ad influire enormemente
sulla “magia” Replakia di cloche:
ogni Reyvatei reclutata, infatti,
darà un po’ della sua forza per aumentarne l’efficacia, un boost immenso di cui si può godere
durante gli scontri. L’unico modo
per potenziare Luca e cloche procurando loro nuove magie, evolvendo quelle vecchie e ottenendo
nuovi costumi in grado di influen-
zare le statistiche base, sarà
quello di addentrarsi nei meandri
delle loro cosmosphere. Qui si
segue fondamentalmente una storia cercando di risolvere i problemi
della R di turno, conoscendola più
a fondo e formando un legame di
fiducia reciproca. Poche volte vi
verrà chiesto di prendere delle decisioni. In pratica una simulazione
d’appuntamento già scritta e
pronta. Potrete anche decidere se
formare un legame più serio con
la R, scegliendola come partner,
influenzando così parzialmente la
parte della storia che andrete a
seguire nel gioco principale e il finale a cui avrete accesso.
Metti una vasca da bagno nipponica bella grande e piena di
acqua calda, prendi da uno a
nove cristalli e buttaceli dentro. Aggiungici una tsundere,
una dojikko, una hinnyu e stai
a guardare che succede: magari una chiacchierata tra
ragazze, magari no. Alla fine il
processo di Dualstall sarà completo e le Reyvateil avranno
guadagnato esperienza e altro
(“il contenuto dei cristalli si
scioglie nell'acqua ed entra nel
corpo caldo e umido...”).
Chissà che si inventeranno al
prossimo giro
nuove canzoni/magie guadagnate
vi assicureranno una marcia in più
negli scontri, veloci, adrenalinici,
strategici e divertenti: un enorme
passo avanti rispetto alla lentezza
di quelli di At. All’inizio dello scontro potrete scegliere quale incantesimo cantare con le due R nelle
retrovie. I Magic Point inizieranno a
scendere e la canzone comincerà
ad acquisire potenza. Potrete lanciarla in qualsiasi istante. nel frattempo, i pochi secondi a
disposizione per il turno di attacco
inizieranno a scarseggiare, con voi
che dovrete decidere come far proseguire il combattimento usando i
due combattenti in prima linea,
portando a segno colpi diversi che
influenzeranno l’umore delle R.
Dopo un certo punto dell’avventura,
acquisiranno maggior peso gli attacchi per aumentare le armoniche
e lo stato psicologico delle R: le
prime daranno accesso a Replakia,
mentre il secondo vi metterà a disposizione le magie combinate. Preparatevi ad una magia di livello 4 +
Replakia a
2.500.000% di
potenza: roba con
cui annientare
qualsiasi cosa.
AtII purtroppo
non offre un
grande livello di
sfida. Molta enfasi
viene posta sul risolvere gli scontri
il più in fretta
possibile, cercando di ottenere
un’ottima valutazione. Più è alta,
infatti, e più rari
saranno gli oggetti ottenuti a
fine scontro da
usare negli appositi workshop per
sintetizzare armi, armature e
quanto altro poteva essere preso
dalla serie “Atelier”. tutto l’ambaradan di cui sopra tra vari tipi di attacchi, evoluzioni magiche, etc. lo si
sfrutta appieno solo contro i boss.
La vera sfida sta nel difendere le R
nella fase d’attacco nemica, schiacciando i tasti al momento giusto,
così da annullare totalmente o parzialmente i danni subiti dai colpi avversari. cosa non sempre facile,
grazie alla pletora di effetti speciali
che intralciano la vista e al fatto
che molti attacchi nemici causino lo
scuotimento totale dello schermo,
deconcentrandovi parecchio. considerando che le R sfruttano un sistema totalmente diverso di level
up, molto più semplice e veloce, diventeranno presto dei mostri di
forza. Quasi quasi potrebbero essere loro a proteggere i compagni
in battaglia... se nel prossimo episodio riuscissero a riproporre tutto,
ma bilanciando meglio l’avventura,
gli scontri e la forte componente testuale, forse questa volta non
avremo solo un titolo discreto, ma
un ottimo prodotto. certo, dovrebbero anche pagare il reparto QA.
7
Il reparto QA di NISA
colpisce ancora. Il numero
di refusi è imbarazzante:
dalla mancanza di articoli
determinativi e indeterminativi alla confusione di vari
nomi (Sanri-Sanli, LucaLuka, Viola-Vior-Viole, Despedia-Deathpedia e altro), a
vari “your” al posto di
“you're”, testo che sborda,
nuovi glitch fatali per il
gioco assenti dalla versione
nipponica (ai limiti dell'assurdo), alcuni dialoghi che
non si capisce chi stia dicendo cosa a chi, consigli su
dove andare come prossima
destinazione nel gioco che
non stanno né in cielo né in
terra, etc. Se questi sono i
risultati a 14 mesi dalla release nipponica...
017
pc
CRYOSTASIS: IL SONNO DELLA RAGIONE
Il sonno della ragione genera videogiochi
console pc sviluppatore action forms ltd produttore 1c company/505 games versione pal provenienza ucraina
a cura di Gialuca “Unnamed” Girelli
’è qualcuno, là fuori, che si
chiede se il solito vecchio
metro di giudizio utilizzato nelle
recensioni da venti anni a questa parte non abbia fatto il suo tempo.
Gioco a cryostasis e qualche dubbio
viene pure a me. c’è qualcosa di sfuggente in un prodotto di questo tipo, la
sensazione è che qualcosa di più poteva
essere fatto, ma la direzione su cui
porre i miglioramenti non mi è del tutto
chiara. Anche a volerli criticare, non si
poteva chiedere molto agli elementi che
compongono il gioco, poiché sufficienti
allo scopo che si prefiggono.
Il sistema di combattimento è funzionale, in fondo si impersona un povero
esploratore alla continua caccia di zone
di calore con cui riscaldarsi, nonché
unica fonte di energia. La lentezza nei
movimenti (soprattutto nella ricarica
delle armi), una non perfetta mira e una
certa latenza nei combattimenti sono
quindi giustificati dal realismo e dalla
notevole sensazione di stanchezza/pesantezza con cui vengono scagliati i
colpi. Una trama che poggia su continue
metafore e che segue un’iter evolutivo
alla Memento, facendo rivivere parti
della storia sia attraverso cut-scene parzialmente interagibili, sia attraverso una
sorta di “trasmutazione dell’anima” capace di alterare il corso degli eventi.
Questa è anche associata ad una serie di
enigmi non particolarmente brillanti,
anche forse un po’ ripetitivi, ma tutto
sommato efficaci. e per quanto riguarda
la varietà di ambientazioni, non si può
pretendere chissà che da una nave rompighiaccio. eppure un po’ di amaro in
bocca rimane.
si potrebbe recensire cryostasis evitando la solita analisi grafica-giocabilitàlongevità, puntando invece sui molteplici
altri aspetti, come l’atmosfera o l’apporto del gameplay al coinvolgimento
della trama. Perché, almeno a livello
emozionale, cryostasis non colpisce distante dall’obbiettivo. Le peregrinazioni
attraverso la nave offrono un alto senso
di inquietudine, il gelo virtuale attanaglia come se fosse reale, gli scontri, al-
rEviEw
C
018
Il doppiaggio
di Cryostasis è
eccellente, tra
l’altro le voci
sono molto simili a quelle
della versione
originale
meno quelli iniziali, sono capaci di offrire
il senso di precarietà. Una tensione dettata anche da un comparto sonoro completamente assente, basato
completamente su rumori che tengono
in costante allerta il giocatore. e quando
quelle rare volte, nel più completo silenzio, parte quella musichina russa stile
anni ’50, il brivido nella schiena è di
quelli potenti.
Ma se cryostasis mi ha lasciato con
l’amaro in bocca, ci dovrà essere pure
un motivo, e non possono essere solo
un comparto tecnico non all’altezza e
altri vari altri problemucci di carattere
tecnico ad azzopparlo. Mi chiedo se il videogioco non debba esimersi dal saper
offrire intrattenimento, il che non significa necessariamente “divertimento”, e
soprattutto in che modo. Le pecche di
cryostasis minano non solo la capacità
di intrattenimento, ma - a volte - persino quell’atmosfera che ha cercato di
costruire con altri mezzi. ci si rende
conto che le pecche del motore grafico
pesano, perché non è possibile che un
numero irrisorio di poligoni metta quasi
in ginocchio un Pc tanto quanto il più famigerato crysis. Il timore nell’affrontare
nemici funziona fino a che non ci si
rende conto che è tale in relazione al rischio di essere accoppati, perchè se la
tensione si basasse sulla sola I.A. dei
nemici ci sarebbe solo da ridere.
e poi una struttura di gioco che presta il
fianco alla monotonia, visto che principalmente si risolve in accendi l’interruttore, vai da A al punto B, segui la
lucina, schiaccia un altro interruttore. e
certi bug inaccettabili risvegliano dal
sonno della ragione in maniera fin
troppo brusca.
sebbene mi renda conto di non essere sfuggito all’analisi critica degli
aspetti più comunemente citati, è
anche vero che se non fosse stato sorretto da una narrazione così atipica,
cryostasis sarebbe crollato come un castello di carte. Altri titoli, che pur funzionavano narrativamente, non
peccavano nelle altre componenti. si
veda Penumbra, il più simile come meccaniche e ambientazione, oppure il
primo silent Hill per PsX, afflitto da
problemi tecnici e di controllo la cui atmosfera però non era limitata alla sola
trama, ma supportata da un sistema ludico complessivamente migliore e soprattutto da enigmi molto validi.
cryostasis, invece, fa il suo “gioco”:
punta molto su una trama particolare,
cercando di supportarla tramite soluzioni audio-visive e di gameplay, con
quest’ultime che però hanno un apporto
marginale. non è incapace di creare atmosfera, ma da poco sostegno a causa
di un comparto grafico altalenante e
nemici un po’ troppo assenti. si era
detto che gli elementi che compongono
cryostasis sono funzionali all’opera, ritengo però che debba essere il gameplay a supportare la narrazione e non
viceversa. Perché quando si capisce che
si sta andando avanti non tanto per le
qualità intrinseche del gioco, ma solo
per scoprire solo cosa c’è dopo, allora
c’è da riflettere su quali debbano essere
i componenti che fanno “funzionare”
questo gioco. A questo punto il vecchio
metodo di valutazione, tutto sommato,
può ancora tornare utile.
6
Vi ricordate la splendida tech demo basata su
Physx di nVidia che mostrava la notevole interazione dell’acqua basata sulla fisica? Ecco,
non cercatela nel gioco finito, non ce n’è traccia. Gli sviluppatori confidano di poterla ripristinare per l’uscita americana prevista a fine
aprile. Il motore grafico, già pesante di suo,
non ringrazia
019
360 ps3
AFRO SAMURAI
La lama negra!
formato 360 ps3 sviluppatore namco bandai games produttore namco bandai games versione pal provenienza giappone
a cura di Vincenzo “Vitoiuvara” Aversa
giochi come Afro samurai li odio. tutti,
indiscriminatamente, da onimusha a ninja Gaiden, da God of
War a Devil May cry. troppo
pigro per approfondire tattiche
e movimenti di battaglia, mi rimangono tra le mani solo le
ondate dei nemici, protagonisti
che risucchiano i morti e vesciche sulle dita. colpa mia,
muoia chi legge se non è vero,
ma non puoi cambiarmi, non
prima di avermela data gratis.
eppure a tranciare pupazzi a
ripetizione non mi sono annoiato stavolta. non abbastanza da abbandonare il
gioco, almeno. nemici sacrificali hanno provato a bloccarmi
la strada in più e più occasioni,
a volte persino con un barlume
di intelligenza, ma io ho risposto con durezza, con velocità,
con sanguinolenta ferocia. Io
ho tranciato teste e gambe
mentre le mani si inzuppavano
di sangue e fango, ho sbaragliato gruppi di nemici con generosi poteri cheateroni, e ho
superato barriere inesistenti
con lo scalpo dell’ultimo nemico sconfitto. Ho fatto tutto
questo premendo tasti a caso,
godendo dello spettacolo acrobatico prodotto e persino applaudendo le mie doti da
macellaio e giocoliere. niente è
mai stato troppo facile, ma era
indubbio che la consistenza
della melma avversaria fosse
discutibile, velenosa a tratti,
quasi mai mortale. e dopo la
morte, richiamato alla vita da
un urlo che ancora mi ronza
nelle orecchie, era la benedizione dei comodi checkpoint a
spingermi di nuovo sul campo
di battaglia.
Afro samurai, il gioco, lo
odio lo stesso. Qualche ora di
spensierato pigiamento casuale non può mutare i miei
sentimenti per il genere. È il
mondo surreale e volgare che
gli ruota intorno ad avvinghiarmi con prepotenza. A
partire dal carisma a quattro
rEviEw
I
020
palle dei suoi protagonisti,
pesci sguazzanti in un mare
che non gli appartiene; passando poi per un’ambientazione povera tecnicamente
quanto appropriata nei suoi
scopi: un feudalesimo giapponese raccontato con lo stereo
a palla e una musica da ghetto
americano; finendo con una
qualità dei dialoghi superba,
quasi sprecata per un videogioco, sicuramente insolita.
tutti insieme appassionatamente per raccontare una storia semplice, non banale,
liberata nell’aria a piccole dosi
disordinate. Una storia di vendetta già vista resa poetica da
una sceneggiatura leggera e
minimalista. se la colpa è
dell’anime che ha partorito
questo videogioco non so dirlo,
non ancora, ma prendo quello
che legge il mio 360 e me lo
faccio bastare.
sono a 1100 caratteri dal limite minimo e ho finito le parole per raccontare questo
gioco dimenticato da Dio. Perché a misurarlo col metro dei
giusti ci metti poco più di
nulla: lineare all’inverosimile,
poca varietà di nemici, discreto
ritmo, bella trama e caratterizzazione fantastica (rubata ai
disegni animati). In mezzo non
c’è niente oltre ad un macabro
gioco di poker in battaglia che,
dopo ore di gioco, non son
neanche riuscito a capire. Una
sola arma, nessun upgrade,
zero enigmi, niente scie o vasi
luminosi lungo il cammino.
troppo poco se non vi basta.
I giochi come Afro samurai li
odio ancora. Meglio un puzzle
game con pinguini e merendine di questi insulti alla mia
pigrizia manuale. Ma Afro samurai è la storia che racconta,
come la racconta, prima ancora di vendersi come videogioco. Una vita disperata e
sofferente raccontata attraverso le macchie di sangue
sulla camicia, l’unico segnale a
video tra la vita e la morte.
calcolatrice in mano, ci sono
periodici motivi per non amare
questo gioiellino, ma nessuno
è quello giusto.
7
Dal primo giugno saranno disponibili nel
Regno Unito i blu-ray della prima e seconda stagione cartonesca dell’africano.
Potrebbero essere un acquisto migliore
del gioco stesso
pc mac
THE PATH
Attardarsi nel bosco
piattaforma pc mac sviluppatore tale of tales produttore tale of tales versione digital delivery provenienza belgio
a cura di Simone “Karat45” Tagliaferri
he Path è il gioco che ti
aspetti dopo averne seguito lo sviluppo con interesse crescente e con
una grande fiducia.
Dopo the endless Forest e the
Graveyard, due titoli fortemente
sperimentali, i tale of tales si sono
dedicati con grande passione nel
realizzare quello che forse è il videogioco più visionario di sempre.
sei ragazze, tutte vestite di
rosso e di nero e tutte con lo
stesso compito: percorrere un
sentiero che attraversa un bosco
per arrivare alla casa della nonna.
Le ragazze vengono dalla città,
presenza lontana appena visibile
all’inizio di ogni capitolo (uno per
ogni ragazza). non sappiamo il
nome della città e non sappiamo
perché tutte e sei debbano percorrere la stessa via. La strada asfaltata termina nel sentiero, ai lati c’è
un bosco oscuro e minaccioso, un
messaggio ci dice di seguirlo e di
non entrare nel bosco. ovviamente
seguendo il sentiero si perde.
seguire le regole significa starsene al sicuro, in un mondo pieno
di colore e senza nessuna vera minaccia. seguire il sentiero significa
rinunciare alla conoscenza di sé,
ovvero alla possibilità di esplorare
il bosco, allegoria della perdita dei
punti di riferimento, di ogni certezza creata dalla linearità di poter
seguire una strada tracciata da
altri. Penetrare il bosco non è un
obbligo, ma una possibilità. non
farlo sarebbe rifiutare il gioco, con
tutto ciò che implica.
entriamo. Il bosco è un grande
contenitore, una sfera in cui si gira
senza sapere bene dove andare.
soprattutto durante le prime
esplorazioni, nelle quali si riesce a
trarre il massimo da the Path, i
segni del bosco sono poco chiari.
ci sono dei fiori. Raccogliendone
uno appare un conteggio. Una
specie di sottogioco? Il viaggio
continua. Una poltrona? La ragazzina con il cappuccio rosso ci si
siede sopra. Dopo un po’ si alza e
l’esplorazione prosegue. c’è una
luce in lontananza. che altro fare
se non seguirla? ci troviamo in un
parco giochi... nel bosco? Un parco
giochi, un prato fiorito con uno
spaventapasseri, un lago, un teatro, un cimitero e così via. Il bosco
è pieno di non-luoghi. spazi men-
T
tali in cui s’intrecciano i ricordi
delle bambine generando una rete
di significati e stati emotivi difficilmente descrivibili.
non c’è nulla che narri le loro
storie, nulla che permetta di capire
quello che si sta facendo. Il giocatore è come una delle ragazze,
perso nel bosco e lasciato privo di
punti di riferimento. I luoghi permettono delle interazioni, spesso
minime, in altri casi più corpose,
ma non ci sono enigmi da risolvere
o nemici da eliminare. c’è solo il
nebuloso rapporto che lega le fanciulle a questi spazi che sembrano
ritagliati nel mezzo del nulla.
the Path sembra un sogno con
spazi condivisi, una lotta contro il
rimosso. In uno dei luoghi del
bosco le ragazze troveranno il loro
lupo. Dopo l’incontro si ritroveranno spossate davanti alla casa
della nonna, sotto una pioggia battente. Una volta all’interno percorreranno i corridoi di un luogo
ameno e senza alcun contatto con
la realtà. Un albero piantato in un
letto, una testa di cervo, una
stanza dei giochi gigantesca, dei
palloncini legati a delle sedie, un
corridoio infuocato... arrivati alle
fine del loro percorso, rigorosamente lineare e in prima persona
in questa fase, delle immagini
montate molto velocemente porranno termine al capitolo in atto,
lasciando sullo schermo una
schermata di riepilogo che
sembra uscita da un vecchio
First Person shooter. Una
chiara dichiarazione metalinguistica che afferma con forza la
natura videoludica di the Path,
andando contro tutti quelli che,
per nobilitarlo, vorrebbero evitare di chiamarlo “videogioco”.
10
La direzione artistica del gioco è
curatissima e non
lascia nulla al caso
021
ps3
FLOWER
Perdition City
console ps3 sviluppatore thatgamecompany produttore scee versione pal provenienza usa
a cura di Tommaso “Gatsu” De Benetti
ove Flower voglia andare a parare lo si intuisce subito. Lo
spoiler arriva immediatamente, ancora prima di
caricare il primo livello. non è
che thatGamecompany ce lo
dica esplicitamente, ma per
non capirlo ci vuole un certo
impegno: il messaggio che
Flower ci sbatte in faccia non è
che i fiori sono belli, né che se
vuoi fare il fioraio non puoi entrare nell’esercito, ma che le
città sono opache e brutte. se
fossimo dei cinici stronzi potremmo irridere la paraculaggine di un tema del genere, che
si svende come il più insicuro
degli artisti. Quelli, per capirci,
che artisti si autoproclamano.
come se, di fronte ad un prodotto di un certo livello, non
potessimo tirare delle conclusioni senza che qualcuno ci
gridi nelle orecchie “capolavoro”. A Flower gli dice culo che
forse siamo stronzi, ma non cinici, e che indipendentemente
dalle paranoie di ipotetici calcoli
soggiacenti, il titolo è uno di
quelli che rafforzano l’immagine
di un Playstation network votato a splendidi esperimenti
indie.
ci sono due cose fantastiche
in Flower: la prima è il menu
iniziale, grazie ad un’interfaccia
minimale ed innovativa. La seconda sono i titoli di coda, che,
caso più unico che raro, non si
fanno guardare e basta. tutto
quello che c’è in mezzo è in
balia del vento della qualità, a
volte diretto verso altezze notevoli, altre volte costretto ad
incanalarsi in meccanismi di
gameplay contraddittori. La
non ovvietà di alcune scelte stilistiche, la narrazione muta, flebile ed elegante di una storia
genuina e semplice - concediamogli il beneficio del dubbio viaggiano sulle ali di correnti
rEviEw
D
022
ascendenti, mentre l’obbligatorietà di affrontare gli sterminati
paesaggi in un ordine preciso,
negando il libero librarsi ludico,
restituisce un certo olezzo di
Ungaretti al fronte.
Anche se afflitto da un tenue
alone da demo tecnica, bisogna
riconoscere a Flower le qualità
di un prodotto in piena fioritura. I controlli rispondono
puntuali e mostrano la rilevazione di movimento in stato di
grazia, tanto che, assieme ad
un comparto tecnico stilisticamente pregevole, potrebbero
senza dubbio funzionare come
originale biglietto da visita per
chi non capisce cosa offra Ps3
più della concorrenza. La durata, poco più di una novantina
di minuti, è allineata al prezzo
del download e non diminuisce
in alcun modo il valore dell’esperienza, che anzi ne guadagna in intensità. Vagamente
deludente la colonna sonora dinamica, il cui mestiere accompagna l’azione dei petali con
dignità senza però restituire la
carica emotiva di titoli concettualmente affini (penso al metafisico Riff: everyday
shooter).
Alcuni l’hanno definito un’esperienza spirituale, rilassante,
addirittura rivelatrice. se dovessimo giudicare un software
in quest’ottica, sarebbe complesso giustificare l’inopportuna
presenza di trucchetti come i
trofei. nonostante uno straordinario ultimo stage, Flower va
preso per quel che è, un gioco
con grosse pretese artistiche,
che è probabilmente legittimo
assecondare, ma che non possono e non devono mascherare
i petali appassiti. Buon per
sony che nei verdi pascoli del
Psn cresca, fra le poche erbacce, un mare di splendidi
fiori.
7
I colori in Flower
sono importanti. I
petali sono infatti
strutturati secondo
un preciso ordine
gerarchico. Per
esempio, far sbocciare i fiori gialli è
conditio sine qua
non affinché i fiori
rossi crescano.
Sfortunatamente
non è possibile volteggiare liberamente per l'aere: è
necessario far
schiudere un certo
numero di fiori
prima di poter passare alla zona successiva
playstation2
CONFLICT: DESERT STORM
Quando la guerra era divertente
console ps2 sviluppatore pivotal games produttore sci versione pal provenienza uk anno 2002
i fu un tempo in cui la
guerra era noiosa. Localizza i terroristi, studia la strategia di
ingaggio migliore, disponi i commilitoni, fai scattare l’attacco
chirurgico e fulmineo. La routine
lavorativa è una brutta bestia
che logora anche arcobaleni e
fantasmi più duri, oggigiorno impegnati in battaglie più caciarone, in quel di Las Vegas o in
moderne metropoli futuribili. Un
genere, quello degli FPs tattici,
nato per soddisfare le voglie dei
Pc gamer che, persi tra configurazioni e palle varie, hanno un
modo tutto loro di concepire il
“divertimento”.
ci volle parecchio per far digerire il genere al mercato delle
console, eppure, quando fu mostrata la via, in molti la rinnegarono. La stessa via che, per
ironia della sorte, oggi percorrono in molti. Poveri Bradley,
Foley, connors e Jones, compagni di sventura che professarono
il nuovo gameplay e per questo
furono derisi dalle testate del
tempo, affibbiando loro giudizi
molto poco lusinghieri. e il mio
fu tra quelli.
ero giovine, non sapevo quel
che scrivevo. Una Realtà Alternativa mi proponeva di recensire
giochini con la promessa che li
avrei tenuti. Un giudizio forse influenzato dalla necessità di fare
bella figura e da un background
filo Pc-ista. eppure, con il senno
di poi, non posso fare a meno di
apprezzare quel modo divertente
di “giocare alla guerra”, lontano
dall’eccessiva complessità delle
produzioni Pc, ma nemmeno limitato come le prime conversioni
di queste. Il genere (ri)nasceva
su console, socoM sarebbe arrivato da li a poco, Full spectrum
Warrior qualche anno più tardi.
tedioso il primo e troppo complicato il secondo. conflict, invece,
offriva un gameplay vivace ma
allo stesso tempo relativamente
elaborato, basato sull’intelligente
uso della croce direzionale nel
comandare i 3 commilitoni, con i
restanti lasciati al giocatore per
C
controllarne il controllabile. 4 direzioni corrispondenti a 4 diverse
azioni: semplice, rapido, funzionale. oggi, invece, mi ritrovo a
giocare un Brothers in Arms con
i tasti disposti a casaccio e mi
viene da piangere.
Lo stesso sistema sarebbe potuto essere ottimamente implementato in molti altri FPs,
pensate ad esempio ad un Halo
(in cui la croce serve fondamentalmente a nulla) dove i commilitoni vengano controllati dalla
croce direzionale: niente più
massacri ingiustificati dettati da
fallaci algoritmi dell’Intelligenza
Artificiale, e allo tempo stesso
una velocità d’azione quasi inalterata.
A volerlo rigiocare oggi, bisognerebbe passare oltre un comparto grafico che ha fatto il suo
tempo, ma a ripensarci faceva
già abbastanza schifo pure all’epoca. conflict, però, era precursore anche nell’offrire il gioco in
cooperativa, dove due giocatori
si dividono il controllo dei commilitoni. solo offline, sia chiaro,
ma è colpa delle sparate di Kutaragi, non di Pivotal Games.
La serie purtroppo non riuscirà
mai a decollare, forse anche a
causa di un comparto tecnico
non all’altezza e qualche problemuccio mai completamente risolto: tra tutti un’I.A. altalenante
che vedeva i nostri lanciarsi a
viso aperto contro i fucili spianati
del nemico o qualche incastramento di troppo.
È giunto dunque il momento di
fare del revisionismo storico,
dando a conflict ciò che gli
spetta, cioè il merito di essere
un prodotto seminale nel suo genere. Molti FPs odierni che si
definiscono tattici devono in
realtà molto alla serie, la prima
capace di dosare strategia ed
azione nella maniera più adatta
al mondo delle console. ed ora
non mi resta che tornare a giocare a Brothers in Arms, chissà
che magari un giorno non mi
venga di chiederne il revisioni-
undErrA tEd
a cura di Gianluca “Unnamed” Girelli
Aahh, quanto
tempo è passato… e quanta
fatica per dare
alla recensione
una parvenza
di italiano, il
Giannone si
sarà messo le
mani nei capelli
nel correggerla.
Ora, invece,
scrivo molto
megl... ehm...
vabbe’
smo anche per lui.
023
#5
#4
a cura di michele “guren no kishi” zanetti
V
isto che Babel lo
stampate in ufficio e a
star dietro a tutti i titoli
da me giocati, in termini di numero di pagine, farebbe girare
troppe teste, è nato Time waits
for Nobody. Una serie di uscite
colme di ogni ben di dio Made in
Japan, in un’orgia cromatica pensata per rovinarvi la vista prima
ancora di iniziare a giocare!
ETErnal poison
C
onosciuti più per la serie Summon Night che per gli altri titoli
sviluppati dal ‘95 ad oggi, e depositari del prossimo episodio della serie
Shining Force per conto di SEGA, FlightPlan insiste su PlayStation 2. Atlus passa
da quelle parti, schiva Dragon Shadow
Spell e ci porta Eternal Poison (PS2,
ntsc/uc, Flight-Plan, Atlus Co., Poison
Pink in Giappone), uno strategico interessante, ma con non pochi difetti. Le
linee base di questo titolo, però, ricompenseranno chi andrà oltre i difetti, in
primis il comparto tecnico da passaggio
di generazione tra PS1 e PS2. Le uniche
cose in 3D realizzate davvero bene, sono
la micro città-hub del gioco e qualche
campo di battaglia. Animazioni imbarazzanti per mostri e personaggi, entrambi
con pochi dettagli, fanno il resto. Ancora
peggio l’impressione che si ha sfogliando
il mini artbook in allegato con i primi preorder del gioco, guardando le illustrazioni
nella
galleria
(sbloccabili
risolvendo un piccolo puzzle game davvero divertente), o semplicemente ammirando i disegni dei personaggi durante
i dialoghi.
Al titolo hanno partecipato non pochi
designer - e si vede - ci ha poi pensato
l’inesperienza di questa software house
su console più performanti di un DS ad
affossare tutti i modelli in battaglia. Shirogumi, del resto, con le sue sequenze in
CG ha trasformato i personaggi in dei
bambolotti plasticosi. Thage, una dei
protagonisti, è a dir poco inquietante nei
filmati. Con un comparto tecnico che
pesa poco “computazionalmente” parlando, in battaglia sarebbe lecito attendersi caricamenti brevi. Tutto nella
norma per quelli classici, ma visto le prodezze di cui è capace, Flight-Plan ha pensato - con un colpo di genio - di
aggiungere delle scenette per rappresentare ogni attacco andato a segno o
subito. Ognuna di queste impiega una
vita a caricarsi, spezzando in maniera
024
barbara il ritmo degli scontri e facendo
sbadigliare possentemente il videogiocatore che correrà subito nella schermata delle opzioni a disattivarle.
in questo modo EP diventa uno strategico finalmente giocabile, anche se
un’opzione di zoom sul campo di battaglia sarebbe stata gradita. Ancora, se invece di dover schiacciare il tasto
triangolo sopra ogni mostro (per vedere
a quali elementi e tipi di armi è debole o
resistente), si fosse pensato ad elencare
tutte le informazioni non appena evidenziato l’avversario, il ritmo ne avrebbe
giovato. Tutti i mostri nel gioco (Majin) e
i personaggi hanno un certo livello di resistenza o debolezza ad otto elementi
magici e a tre tipi di armi. Sapere con
cosa è meglio colpire chi, porta enormi
vantaggi, soprattutto se state mirando
ad un Overkill. Ogni Majin ha, oltre alla
barra degli hit Point, una barra Overkill
hP. Dare il colpo di grazia che tolga sia
gli hP rimanenti, che quelli richiesti per
la Overkill, incatenerà a terra il Majin
rendendolo imprigionabile nel proprio
libro magico. A patto, certo, che non
venga prima ucciso da un suo compagno
o liberato. i Majin catturati possono essere usati in vari modi visitando l’apposito negozio. Possono essere venduti per
soldi e per sbloccare nuovi oggetti negli
inventari del mercante, oppure possono
essere sottoposti ad estrazione per guadagnare skill peculiari, oggetti di ricarica
o punti da usare per poi evocare gli
stessi mostri in combattimento.
Lo scopo del gioco è quello di sbloccare
tutte le storie a disposizione e di completare la catalogazione dei Majin nel
libro. Non è obbligatorio catturarli, basta
incontrarli. Nel gioco sono presenti vari
bivi e battaglie opzionali. Per ottenere i
finali positivi (o accedere a battaglie
extra) è bene fare estrema attenzione ai
dialoghi dei personaggi, sia durante le
cut scene che direttamente in battaglia.
Ad esempio, ogni boss e mid-boss è cir-
condato da una barriera distruttibile
solo tramite un particolare attacco che
vi verrà indicato in qualche dialogo. Se
non avete l’occorrente per infrangere la
barriera, il boss scapperà dopo che gli
avrete sterminato tutti i compagni.
il gioco prevede un’opzione di New
Game+ in cui solo i personaggi relativi
alla storia mantengono i livelli raggiunti
e gli oggetti; quelli extra reclutati per pareggiare le forze in campo verranno resettati,
con
vostro
grandissimo
dispiacere per le ore perse a farli progredire. in compenso i personaggi relativi alla storia in un New Game+ saranno
talmente forti da arrivare a più di 2/3
dell’avventura in un soffio e senza problemi, al contrario delle ore impiegate
alla prima tornata. Facendo in fretta e
sapendo dove andare e cosa fare, vi andranno via tra le cinquanta e le sessanta
ore per completare tutte le storie e vedere il vero finale. Alla fine, le vostre
orecchie sanguineranno
per il doppiaggio mediocre,
ma almeno vi
sentirete liberati di tutte
quelle
fastidiose
costrizioni legate al
game design,
come il controllo
delle
skill e il settaggio
dei
Majin solo in
determinate
locazioni. Maggiore flessibilità e minore
ripetitività
avrebbero giovato non poco
a Eternal Poison.
5
4
astonisha story 2 / Crimson gem saga /
Garnet Chronicle
S
apevate che è uscito Astonishia Story 2 in
Corea? Se avete cancellato il primo episodio
dalla vostra testa avete fatto solo bene, tanto
che in Giappone il seguito è stato chiamato Garnet
Chronicle e nell’area asiatica Crimsongem Saga
(PlayStation Portable, Asia, iron Nos, SK telecom).
Gioco con un potenziale più che buono, ma reso
appena sufficiente a causa di un numero di difetti
notevoli che in parte ne pregiudicano l’esperienza.
Personaggi bidimensionali si muovono su sfondi
disegnati a mano solleticando le vostre pupille. Nei
dungeon, però, preparatevi a vedere varie scie
comparire nel momento in cui la telecamera si sposta per seguirvi, lasciando indietro i contorni che
delimitano le varie strutture. il medesimo problema del remake di Star Ocean.
Ancora prima, però, sarete venuti a botte con la
pessima traduzione. Tutti i testi sono pieni di errori
di spelling, sintassi, grammatica, traslitterazione
e typo come se piovesse. Personaggi che cambiano
nome nel giro di due righe, nomi di luoghi diversi
che contrastano con quanto
scritto a caratteri cubitali
sulla mappa. E se la storia
è comunque comprensibile, lo stesso non si può
dire per le descrizioni di
magie, abilità e oggetti:
alcune talmente astruse
che farete prima a provarle sulla vostra pelle,
piuttosto che capire cosa
vogliano dire. Certe frasi
sembrano tradotte con
Babel Fish. Caldamente
consigliata l’attesa della
versione americana ad
opera di Atlus Co., in
uscita questo mese, che
verrà ovviamente localizzata
da zero e guadagnerà anche un
intero doppiaggio (se me l’avessero detto a gennaio, col cavolo che avrei recensito la versione
Asia).
Problemi più gravi sono dati da vari fattori di
game design. in battaglia potete portare quattro
personaggi. Su sei. L’esperienza viene divisa tra
tutti, rendendo troppo lenta l’evoluzione del party.
i due in panchina non guadagneranno nulla, se
non gli Skill Point in comune a tutti. Ogni guerriero
ha uno Skill Tree dove spendere gli SP per conoscere le tecniche e poi, se vi aggradano, comprarle.
Bella stronzata, soprattutto considerando che i nemici lasciano molti soldi (gli equipaggiamenti costano uno sproposito) ma pochi SP. Tanto che in
un particolare livello del gioco la proporzione tra
soldi e SP guadagnati è drasticamente invertita,
forse come ammissione di colpa da parte degli sviluppatori. è bello notare che in un New Game+ le
abilità imparate vengono tenute, ma tanto a Crimsongem Saga non ci rigiocherete, e questo nonostante duri solo una quarantina d’ore.
Molte skill possono essere aumentate di rango
con l’uso di particolari medaglioni. Neanche a dirlo
quelli per ottenere i ranghi 4 e 5 sono molto rari.
La stessa distribuzione delle abilità è pensata piuttosto male, ancora di più considerando gli eventi
finali del gioco. Alcuni personaggi ne hanno tantissime, altri molte meno. Esistono abilità in comune a più personaggi che se imparate possono
essere usate come combo in battaglia, a patto che
le icone nella barra dei turni di chi sfrutterà la
combo siano vicine, vera e propria cazzata. Ci sarà
quasi sempre l’icona di un nemico in mezzo alle
scatole e dovrete sfruttare come degli strateghi il
comando di guardia per far passare il turno e trovarvi così in qualche modo accanto al personaggio
con cui volete usare la combo. Troppo macchinoso.
il sistema di battaglia di CS è semplice, veloce e
letale, sia nei vostri confronti che riguardo i nemici. Negli scenari vedrete scorrazzare sempre il
solito sprite ad indicare un possibile scontro. Nel
caso veniate avvistati avrete pochi istanti per
schiantarvici contro e iniziare il combattimento,
con i turni dei personaggi distribuiti secondo i loro valori
di
velocità.
Aspettare che sia il
nemico a venirvi addosso vi farà subire un
attacco preventivo che
nelle fasi finali del
gioco sarà in grado di
mandarvi
direttamente in Game Over
una volta sì e l‘altra
pure. è almeno possibile salvare ovunque:
ecco, salvate spesso,
che è meglio. Notare
anche come i nemici
abbiano un campo visivo
piuttosto esteso e, non appena vi vedono, questi mettano il turbo. Così, a meno che non vi troviate vicini
al passaggio tra una schermata e l’altra di uno scenario, potrete anche consideratevi spacciati.
La difficoltà del gioco è a dir poco sbilanciata.
Anche con gli equipaggiamenti più forti subirete
danni imbarazzanti. Ecco perché toccare i nemici
quando sono girati di spalle si rivela fondamentale
per garantirvi un attacco preventivo in grado quasi
sempre di fare piazza pulita degli avversari. Ahimé,
ci penserà l’algoritmo di calcolo dei danni a funzionare come bastone tra le ruote. Di tanto in tanto
sembra che i danni siano calcolati a casaccio. Mi
ricordo di un boss opzionale (mica tanto, però) che
mi ha asfaltato al primo tentativo, ma dopo aver
ricaricato il salvataggio mi causava danni microscopici. E la cosa vale, ovvio, anche per i danni che
voi infliggete. Tutti i difetti elencati fanno di quello
che sarebbe potuto essere un gioco molto godibile
un’avventura consigliata con molta, molta riserva.
Peccato per gli eventi lasciati a metà che fanno
presumere un futuro seguito… in caso che chi di
dovere riesca a trovare qualcuno che sganci.
025
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BABEL
COVER STORY the Path ODIO DI GOMITO il popolo ha paura del cambiamento ESCO DI
RADO sulle salme fresche ARS LUDICA la sessualita’ negata ai personaggi videoludici parte seconda LAMER ROTANTI wii console inutile FRAME meteore parte terza
GIOCHI DI MERDA kakuto chojin back alley brutal REVIEW saints row 2 / ar tonelico
2 melody of metafalica / cryostasis il sonno della ragione / afro samurai / the
path / flower NOSTRADAMUS dante’s inferno UNDERRATED conflict desert storm
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quando al tv dà i numeri NEXT MONTH zeno clash
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