La derivata e l`integrale - Io Studio al Fermi

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La derivata e l`integrale - Io Studio al Fermi
L’uso di derivate, differenziali ed integrali definiti nelle definizioni di grandezze fisiche.
Grazie alla scienza, colui che sa scopre tutte le verità in una sola, sviluppandone tutte le conseguenze.
(Plotino
Plotino)
Plotino
1°) LA DERIVATA:
In fisica, è sovente oggetto di studio la “rapidità” con cui varia una determinata grandezza nel tempo oppure
nello spazio.
Ad esempio, consideriamo le seguenti definizioni:
1.
La velocità di un oggetto è la “rapidità” con cui varia la “posizione” di un oggetto nel tempo o più
correttamente la variazione della posizione nell’unità di tempo.
2.
La pendenza di una strada è la variazione della quota nella unità di lunghezza.
3.
La portata di un fiume è indice della rapidità con cui l’acqua attraversa una sezione e più precisamente
viene definita come il volume di acqua che attraversa una sezione nell’unità di tempo.
4.
L’intensità di una corrente elettrica, analogamente, è la quantità di carica elettrica che attraversa la
sezione di un conduttore nell’unità di tempo.
5.
Il gradiente di temperatura è la rapidità con cui varia la temperatura, quando ci si sposta da un punto
ad un altro dello spazio e dunque la variazione di temperatura nell’unità di spazio.
6.
Il gradiente di velocità sarà la rapidità con cui varia la velocità delle acque quando ci si sposta dalla
riva al centro del fiume oppure quando si scende dalla superficie in profondità.
- vista in pianta -
- vista in sezione –
Se la variazione di queste grandezze è costante nel tempo, per definirle in modo “operativo” come
variazione che avviene nell’unità di tempo (o di spazio) non ci serve molta matematica! Basta calcolare il
rapporto tra la variazione della grandezza in questione, misurata in un certo intervallo di tempo (o di spazio)
e l’intervallo stesso! Così, riferendoci ai primi due esempi, risulta:
y
velocità scalare:
v =
∆S
;
∆t
pendenza:
m =
∆y
∆x
x
ripeto: nel caso di velocità costante (nel tempo) e pendenza costante (sottinteso nello spazio).
Qualora la velocità non fosse costante ossia le variazioni di posizione non risultassero sempre le stesse in
tutti gli intervalli di tempo, (idem per la pendenza), i suddetti rapporti anche chiamati “Rapporti
Incrementali”, rappresenterebbero soltanto una velocità media ed una pendenza media:
y
v media =
∆S
;
∆t
m media =
∆y
∆x
x
In questo caso è possibile definire una ulteriore grandezza fisica, definita (e dunque misurabile) in ogni
singolo istante oppure in ogni singolo punto; definiamo dunque:
1. “velocità istantanea” nell’istante t0:
2. “pendenza nel punto x0”:
∆S
dove: ∆t = t – t0;
∆t → 0 ∆t
∆y
= lim
dove: ∆x = x – x0.
∆x → 0 ∆x
vist. = lim
min x
0
1
In generale dunque si definisce “velocità istantanea” di variazione della grandezza
fisica G(t) la derivata della funzione G(t) rispetto al tempo t:
VELOCITA’ DI VARIAZIONE DI G
∆G
∆t → 0 ∆t
= lim
Analogamente (esempi 5,6), se la grandezza G è funzione della posizione si definisce la velocità di
variazione nello spazio della grandezza G, che di solito viene chiamata “Gradiente” della grandezza G (o
meno frequentemente velocità puntuale di variazione):
GRADIENTE DI G
∆G
∆x → 0 ∆x
= lim
Abbiamo detto che stiamo definendo delle grandezze fisiche; allora, siamo certi che queste definizioni siano
“operative” ossia: è possibile definire (e quindi misurare – ovviamente entro il margine di incertezza -) in
modo univoco una velocità istantanea o un gradiente? La risposta è affermativa e la esaminiamo
considerando sempre il problema della velocità.
Occorre dire innanzi tutto che la definizione di velocità istantanea come limite equivale a definire
operativamente la velocità istantanea come velocità media misurata in un intervallo infinitesimo (= molto
piccolo); allora sembrerebbe che questa definizione faccia dipendere il valore della grandezza in questione
dalla capacità tecnologica misurare distanze e relativi intervalli di tempo sempre più piccoli, cosa
evidentemente non accettabile! Quando Galileo pensava alla velocità istantanea, non aveva certo a
disposizione celle fotoelettriche ed orologi atomici per misurarla (il che, ripeto, non risolve il problema!);
eppure aveva chiaro nella sua mente il concetto di velocità in un ben determinato punto (o istante): Egli
definiva operativamente, e dunque misurava, la velocità istantanea all’istante t0 come segue:
velocità istantanea = velocità alla quale si dovrebbe muovere l’oggetto se da quell’istante in poi si
muovesse di moto uniforme.
Misurare una velocità istantanea consiste allora nel trasformare, in un certo punto, il moto dell’oggetto in
moto uniforme e nel misurarne la velocità (ora agevolmente perché non si deve più ricorrere ad intervalli
infinitesimi).
Ad esempio se si vuole misurare la velocità orizzontale istantanea di una sferetta che rotola su un piano
inclinato AB in un certo punto P è sufficiente costruire un piano di lunghezza AP ed ugual pendenza,
lasciando che la pallina cada nel vuoto: a causa delle basse velocità l’attrito dell’aria risulta trascurabile e
dunque dal punto P in poi la componente orizzontale della velocità rimane costante.
A
A
P
P
P
B
Esercizio: Calcolare la velocità = f(t) con cui varia il volume della camera di scoppio di un cilindro di
sezione S=4π cm2, il cui pistone di muove di moto armonico con legge oraria y(t) = [ 12 + 8sin(2πt) ] cm.
y
Y
12
(t=0)
4
0
2
2°) IL DIFFERENZIALE DI UNA FUNZIONE F(x) IN x = x0
(Per il filosofo e lo studioso una definizione è soddisfacente se è pertinente alle cose che definisce e solo a quelle. Ma
nell’insegnamento non è così: una definizione è soddisfacente solo se lo studente la capisce - H. Poincaré)
Problema: consideriamo la grandezza fisica Area = F(X,Y) = X*Y ; nel caso in cui entrambe le misure di
base ed altezza siano errate per difetto, moltiplicandole si commetterà un errore sull’area che si calcola
trascurando l’area del rettangolino chiaro; infatti tanto più sono piccole le incertezze sui lati tanto più è
trascurabile il contributo di questo rettangolino. Più precisamente, l’area del suddetto rettangolino risulterà
essere sempre almeno di un ordine di grandezza inferiore alla somma delle aree dei due rettangoli scuri.
Per esempio, se X = 100 m ± 3 m e Y = 50 m ± 2 m, risulta:
δ (X*Y) = 3*50+2*100 = 350 m2 mentre l’area del rettangolino ha valore di 3*2 = 6 m2 che è di un ordine di
grandezza (l’esponente della più vicina potenza di 10 al numero) inferiore.
δ(Y)
Y
dA = Y*δ(X)+X*δ(Y)
X
δ (X)
Def.1 (qualitativa): Si definisce “Differenziale di una funzione F” l’incremento che subisce il valore di
una funzione, quando le variabili variano per valori “molto piccoli” e si indica con d F.
E’ ovvio che, se le variabili x,y variano di parecchio, non è più vero che l’area del rettangolino risulta di un
ordine di grandezza inferiore e dunque non posso utilizzare il differenziale dF al posto dell’incremento ∆F.
Dunque l’incertezza sul valore di una grandezza fisica che sia funzione di altre grandezze si può quindi
calcolare con la formula del differenziale di tale funzione, in quanto le incertezze strumentali sulle variabili
sono comunque molto più piccole rispetto alle misure (di almeno uno o due ordini di grandezza).
* -------------------------------------- *
Se non si conoscono le regole del calcolo differenziale è possibile determinare di volta in volta, con metodi
geometrici, il differenziale delle funzioni, come nel caso dell’area, e dunque l’incertezza assoluta;
ad es. se G(X) = sen(x) risulta: d G = cos(x)* δx:
Se δx→0, AB tende ad essere ┴ al raggio OB e la
sua lunghezza tende alla lunghezza dell’arco = δx
A
Quindi tendono ad essere uguali gli angoli TÂB e
x = BÔH essendo angoli con lati ordinatamente ┴.
T
B Quindi AT = δ(sinx) = AB * cosTÂB = δx* cosx.
δx
?
x
O
H
“…incertezze”:
* -------------------------------------- *
Studiamo ora se è possibile trovare una regola generale per calcolare, secondo la def.1, i differenziali delle
funzioni, limitandoci a funzioni di una variabile. Considero la funzione F(x) in un punto x=x0 e scrivo
l’equazione della retta tangente al grafico della funzione stessa:
3
Y – y0 = m(X – x0)
Ossia :
Y – f(x0) = f’(x0) (X – x0)
Dove Y e X sono le coordinate di un punto appartenente alla retta tangente r:
f(x)
∆f
R
Y(x)
∆Y = df
f(x0)
x0
X
Posso anche scrivere, ponendo ∆Y =Y – y0 :
∆Y = f’(x0) (X – x0)
E’ chiaro dalla figura che più x è “vicino” ad x0 e più sarà piccola la differenza tra R = ∆F - ∆Y
y
R
∆Y
*
x0
x6
x5
x4 x3
x2 x 1
x
Risulta dunque:
∆F = ∆Y + R con R→0 quando x→0
è pur vero che anche ∆Y →0 (anzi in x=x0 risulta R = ∆Y = 0); però è evidente dalla figura che al tendere di
x ad x0, R risulta molto più prossimo a zero rispetto al valore di ∆Y (di almeno un ordine di grandezza)!
R ( x, x 0 )
In effetti si riesce a dimostrare che lim
= 0 : quindi “al limite” (ossia secondo la definizione di
x → x 0 ∆Y ( x, x )
0
limite) R è nullo rispetto a ∆Y (ossia |∆F-∆Y|<ε). Risulta dunque provato che la differenza ∆F - ∆Y può
essere resa piccola a piacere purchè si scelga un x sufficientemente vicino ad x0.
Abbiamo dunque ricavato una espressione che rispetta la richiesta della def.1, anzi permette di chiarire
meglio e quantificare il senso di quel “molto piccolo”.
Poniamo dunque il nostro differenziale pari al ∆Y:
df = f’(x0).(x – x0) o anche df = f’(x0).dx a
per determinare l’incertezza su f, ossia δf, sarà necessario “prendere” il valore assoluto della derivata in x0:
δf = |f’(x0)| δX
dove δx rappresenta l’incertezza, solitamente strumentale, sulla misura della grandezza x.
Dal punto di vista matematico si dirà quindi che una funzione è differenziabile in x=x0 quando esiste una
espressione df, funzione sia di x che di x0, tale per cui:
R ( x, x 0 )
∆f = df + R(x,x0) con lim
=0
x → x0 dF ( x, x )
0
∂F
∂F
dx +
dy ; ad es. il
N.B. per le funzioni di due variabili f(x,y) [v.esercizio n.2] risulta df =
∂x
∂y
differenziale della funzione area A(x,y) = x*y risulta proprio dA = ydx + xdy, come ricavato in precedenza.
4
3°) L’INTEGRALE DEFINITO
(“…io ho imparato più matematica sui libri di fisica che su quelli di matematica” – E. Fermi)
Ogni volta che una grandezza fisica è definita come il prodotto di una grandezza A per una seconda
grandezza B che dipende dalla prima è necessario, per valutarla, calcolare un’area.
Pensiamo alla determinazione della distanza ∆s percorsa da un oggetto che si muove alla velocità v: la
velocità esprime lo spazio percorso nell’unità di tempo, ad es, in un secondo; se questo valore è costante nel
tempo la distanza complessiva risulta ovviamente pari alla distanza percorsa in un secondo per il numero di
secondi; quindi ∆s = v*∆t; se il valore della velocità varia ma rimane costante “a tratti” come nel grafico
della figura di destra, allora basterà sommare gli spazi percorsi nei successivi intervalli di tempo:
a∆S = v1*∆t1 + v2*∆t2 + v3*∆t3a bbbbbbbb
v(t)
v3
v
v2
v1
t
∆t2
∆t3
∆t
∆t1
E’ dunque chiaro dal disegno che lo spazio percorso ∆s è numericamente uguale all’area della regione di
piano compresa tra l’asse dei tempi ed il grafico della velocità in funzione del tempo e questo capita ogni
volta si moltiplichi una grandezza A per una grandezza B=f(A).
Se infine la velocità, o in generale la seconda grandezza, non fosse costante nemmeno a tratti, ma variasse
istante per istante (in generale punto per punto) potremmo sempre suddividere l’intervallo di tempo
complessivo ∆t in tanti intervallini talmente piccoli da poter considerare costante in essi la velocità e
nuovamente sommare tutti gli spazi percorsi: ∆S = v1*∆t1 + v2*∆t2 + v3*∆t3b + … + vn*∆tn. Il numero A che
troveremmo (funzione di n) sarà ovviamente solo una approssimazione della distanza cercata, che risulterà
essere tanto migliore quanti più intervallini si avrà voglia di considerare. A questo punto ci viene in aiuto la
n
matematica: è stato dimostrato che il valore A(n)= ∑ v i ∆t i aumenta al crescere di n ma la successione A(n)
1
è monotona ma anche limitata e quindi si può dire che lo spazio percorso sarà uguale alla somma degli
infiniti intervallini che si ottengono facendo tendere n a +∞: ma questa non è altro che la definizione
(secondo Cauchy) dell’integrale definito tra zero e t della funzione v(t):
a ∆s
t0 t1
ti
=
t
n
lim ∑ vi ∆ti = ∫ v(t ) dt a
n →∞ 1
0
*
tn (∆t1=t1-t0, ecc)
*
0
t
5
Proviamo a risolvere subito un problema più difficile perché la strategia di risoluzione è universale e la si
mette in pratica ogni qual volta una grandezza varia con continuità: supponiamo di conoscere la lunghezza
L e l’area A della sezione di una sbarretta di cui è nota anche la densità che cambia punto per punto man
mano che ci allontaniamo dagli estremi: ebbene vogliamo calcolarne la massa.
Dati: A = 5 cm2; L = 30 cm; d(x) = 2 + 0,1x2, dove x è la distanza da uno dei due estremi.
Per risolvere questi problemi è bene fare uno sforzo di fantasia e risolvere tutte le volte il problema
immaginando che la funzione, in questo caso densità, sia una funzione costante a tratti: allora la situazione
diventa gestibile: basta sommare le masse dei vari cilindretti, ciascuno di densità costante.
M1
0
M2
x1
…
Mn
...
xn
A
x
aM = M1 + M2 + ... + Mn = ρ1*V1 + ρ2*V2 + ... + ρn*Vn = ρ1*A*∆x1 + ρ2* A*∆x 2 + ... + ρn* A*∆x n
raccogliendo a fattor comune l’area della sezione A e facendo il limite per ∆x che tende a zero (cioè
suddividendo la sbarra in tante masserelle sempre più piccole), otteniamo il valore della massa totale perché
la troviamo come somma delle infinite masse sottilissime (pensate ad un mazzo di carte!) ciascuna nella
posizione x con densità ρ(x) che varia cioè punto per punto. Ma questo limite è proprio l’integrale tra x = 0
ed x = L:
L
n
M = lim A∑ ρi ∆xi = A ∫ ρ(x)*dx =
n → +∞
*
1
0
x=L
1 

= A ∫ (2 + 0,1x 2 )dx = A2 x + x 3  = 5cm 2 * 960 g / cm 2 = 4800 g
30  x =0
0

L
Altri esempi:
1. Il lavoro, definito come prodotto tra F// (funzione di x) e lo spostamento ∆x.
.
2. Il lavoro di un sistema termodinamico pari P(V) ∆V, dove V è il volume e P la pressione del sistema.
.
3. Il lavoro necessario a caricare un condensatore, pari a V(q) q dove V è la d.d.p. tra le “armature”.
4. Il momento d’inerzia rispetto ad un asse pari al prodotto tra il quadrato della distanza di una massa m
dall’asse di rotazione e la massa stessa; se abbiamo più masse mi a distanze xi allora I = Σmi*xi2; ecc.
5. La portata di una conduttura di sezione A, nota la velocità del liquido in ogni punto della superficie
stessa (portata = area * velocità)…
ESERCIZI di fisica risolvibili con applicazione di derivate, differenziali ed integrali:
1. Calcolare la carica Q che passa in una sezione di conduttore percorso da una corrente di intensità
variabile nel tempo secondo la legge I(t) = 1/(t+1)2 in 1s. (maturità scient. Italiana all’estero-1992).
2. Calcolare la gittata teorica xG ed il margine d’incertezza di una zampillo di acqua che esce da un foro
praticato ad una altezza di y = (8,0±0,1) cm dalla base di un cilindro alto h = (12,0±0,1)cm e colmo
fino all’orlo, con la formula: xG = f(y,h) = 2* y (h − y ) .
3. Calcolare il lavoro compiuto da una mole di gas che si espande a temperatura costante T =300°K da
.
un volume di 2 dm3 ad un volume di 3 dm3 (R = 8,31 J/mole °K ).
4. Calcolare la portata di una condotta avente una sezione circolare di raggio R = 5 cm attraversata da
una corrente che si muove con velocità v(x) = 1+(25 - x2)m/s dove x è la distanza dall’asse del tubo.
5. Calcolare la v(t) con cui varia il volume della camera di scoppio di un cilindro di alesaggio d =
8cm2, il cui pistone, che ha una corsa di 12 cm, si muove di moto armonico con frequenza di 500Hz.
.
2
6. f(x) = (2x3-4x) e − x N è la forza a cui e soggetto un punto P libero di muoversi lungo l’asse x;
essendo f(x) = dU/dx , calcolare l’energia potenziale U e rappresentarla nel caso U(0) = - 1. Per quali
valori di x il punto P e in equilibrio, ossia la forza è nulla? Per tali valori di x quali valori assume U?
Specificare il tipo di equilibrio. (maturità scientifica ord. - 1992).
6