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Il Sole 24 Ore - UNITELNews24 Le Newsletter de Il Sole 24 ORE Percorsi di informazione ed approfondimento per professionisti, aziende e Pubblica Amministrazione Servizio di informazione ed approfondimento in tema di ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza Chiuso in redazione il 30 aprile 2011 47 © 2011 Il Sole 24 ORE S.p.a. I testi e l’elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 – 20149 Milano a cura della Redazione Elettronica Edilizia, Ambiente e PA de Il Sole 24 ORE Tel. 06 3022.64.83 e-mail: [email protected] www.professionisti24.com n. 47 – 30 aprile 2011 Sommario Pagina NEWS Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco, lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza 4 RASSEGNA DI NORMATIVA Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione 33 RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, inquinamento, pubblica amministrazione, Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro 45 APPROFONDIMENTI Ambiente BONIFICA E DANNO AMBIENTALE: L'UTILIZZO DEI MODULI NEGOZIALI A distanza di quasi cinque lustri dall'entrata in vigore dell'articolo 18, legge n. 349/1986, a quasi quattordici anni dall'adozione dell'articolo 17, D.Lgs. n. 22/1997, e dopo ormai cinque anni dall'entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006, e successive modifiche e integrazioni, in materia di bonifica e risarcimento del danno ambientale, la sola applicazione degli strumenti autoritativi ha dimostrato tutti i suoi limiti e non è risultata idonea a conseguire gli obiettivi sperati. Maurizio Pernice, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6 58 Ambiente RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE PER REATI AMBIENTALI Il 7 aprile 2011 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, uno schema di Dlgs che estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente. Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonchè la direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato dalle navi. Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 12 aprile 2011 64 Appalti DURC E CONTRATTI PUBBLICI: PROCEDURA PIÙ SEMPLICE PER IL RILASCIO E' cambiato dal 28 marzo scorso l'applicativo di rilascio del Durc con nuove funzionalità che permetteranno un iter più snello e funzionale del rilascio del documento stesso: Inps e Inail forniscono le istruzioni operative Aldo Forte, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 8 aprile 2011, n. 15 UNITELNews24 65 2 Edilizia e urbanistica SOFFITTE E MANSARDE NEL COMPUTO VOLUMETRICO Mai come nel caso rappresentato dalla sentenza n. 812 del 7 febbraio 2011 resa in forma semplificata dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, la giurisprudenza amministrativa è stata in grado di colmare le lacune del Legislatore e le carenze della normativa, fornendo criteri guida all'interprete e all'operatore per la definizione del concetto di volume tecnico. Infatti, così come per quello di sagoma per il quale non esiste una disposizione normativa statale che la definisca chiaramente, il concetto di volume tecnico non trova codificazione specifica nel Dpr 380/2001, che, nonostante le diverse modifiche, sul punto resta carente. Pippo Sciscioli, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 aprile 2011 - n. 15 71 Edilizia e urbanistica IN SCADENZA IL TERMINE PER REGOLARIZZARE LE CASE FANTASMA Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art. 5bis del DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011. Franco Guazzone, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 14 aprile 2011 74 Energia ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI, LA PAS HA SOSTITUITO DIA E SCIA. Il Dlgs sulla produzione di energia da fonti rinnovabili è stato pubblicato sul Supplemento alla «Gazzetta» del 28 marzo 2011, n.71 ed è entrato in vigore il 29 marzo. Molte le novità a partire dalle procedure autorizzative: debutta la Pas che sostituisce sia la Scia che la Dia. Carmen Chierchia, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio, 18 aprile 2011, n. 15-16 77 Pubblico impiego IL LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: DALLA RIFORMA ALLA CONTRORIFORMA. IL SISTEMA DELLE FONTI L'ennesimo restyling della disciplina del lavoro pubblico, voluto dall'attuale ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, e definito con l'emanazione della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e del relativo decreto legislativo di attuazione, n. 150 del 27 ottobre 2009, sembra aver preso la mano al suo stesso ideatore ed essere andato ben oltre il segno. Nicola De Marinis, Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, marzo 2011, n. 3 81 Sicurezza sul lavoro SICUREZZA SUL LAVORO NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: IL RUOLO E LA RESPONSABILITÀ DEGLI ORGANI DI INDIRIZZO POLITICO A seguito della riforma dell'assetto gestionale delle amministrazioni pubbliche, con conseguente affermazione del cosiddetto "principio di separazione" tra potere politico e potere gestionale, qual è l'ambito nel quale si configura, a titolo residuale, la responsabilità degli organi di indirizzo politico? Pierguido Soprani, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6 87 L’ESPERTO RISPONDE Acque, agevolazioni, appalti, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro UNITELNews24 92 3 Acque Acqua, intesa Regioni del Sud su distretto idrografico Firmato a Roma tra le Regioni Abruzzo, Lazio, Molise, Calabria, Campania e Puglia il «Documento comune d’intenti finalizzato a un Governo coordinato e sostenibile della risorsa idrica afferente il Distretto idrografico dell’Appennino meridionale». L’intesa tra le Regioni punta ad attuare una strategia comune per il governo della risorsa idrica che assicuri gli usi legittimi (potabili, irrigui e industriali) e tuteli gli ecosistemi nell’ottica della sostenibilità. L’Accordo interistituzionale e interregionale rappresenta il primo passo per l’attuazione del Piano di gestione acque del distretto dell’Appennino meridionale. (Il Sole 24 ORE - Guida agli enti locali, 16 aprile 2011, n. 16) Ambiente Pedalare in città: la giornata nazionale della bicicletta Agevolare l'uso della bicicletta nelle città, con nuovi percorsi ciclabili, competizioni non agonistiche, incontri, dibattiti e, in generale, quanto serve per promuovere la mobilità a due ruote. Il disegno di legge approvato dal consiglio dei ministri del 7 aprile 2011 istituisce la giornata nazionale della bicicletta per la seconda domenica di maggio. Saranno previste iniziative volte ad agevolare la percorribilità nelle città, individuando percorsi ciclabili e la chiusura al traffico veicolare di alcune aree. Saranno inoltre favorite, da parte di Enti ed Istituzioni, competizioni non agonistiche per adulti e bambini, incontri, dibattiti ed attività di animazione volti alla valorizzazione del ruolo della mobilità ciclabile nella storia e cultura nazionale ed all'educazione dei ciclisti al rispetto del codice della strada. Il disegno di legge prevede, inoltre che negli edifici adibiti a pubbliche funzioni, con attività al pubblico, che le amministrazioni riservino apposite aree per le biciclette degli utenti, segnalandone sui propri siti istituzionali l'esistenza e l'ubicazione. Nelle vetture tranviarie, nei giorni festivi e feriali senza limiti di orario o di numero, potranno essere trasportate biciclette pieghevoli. Le amministrazioni locali dovranno prevedere parcheggi per biciclette in ogni stazione metro di nuova realizzazione, per favorire e facilitare lo scambio bici-treno. Quest'anno il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in occasione della 2^ edizione della Giornata Nazionale della Bicicletta, indice il “Concorso Premio Bicity” al fine di promuovere la mobilità sostenibile nelle città, riservando esclusivamente alle biciclette, strade, piazze, luoghi di pregio ambientale, artistico, storico e architettonico per sottolineare come la bicicletta sia il mezzo di locomozione più pulito e a impatto zero. (Fonte www.governo.it) Bruxelles vara una road map per tagliare le emissioni di CO 2 Rispetto ai livelli del 1990, ridurre dell'80-95% entro il 2050 le emissioni di carbonio quale contributo a lungo termine della Ue per sventare pericolosi mutamenti climatici. Con una road map pubblicata poco prima della "settimana dell'energia sostenibile", la Commissione europea punta a raggiungere questo obiettivo in modo economicamente sostenibile. Il modello economico globale su cui si basa la tabella di marcia prevede che, per un taglio di CO2 dell'80% entro il 2050 all'interno della Ue, occorra abbattere le emissioni del 25% entro il 2020, del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040. Raggiungere il traguardo dell'80% entro la metà del secolo comporterà un cospicuo sforzo d'innovazione tecnologico, ma – sottolinea il documento della Commissione – non richiederà strumenti avveniristici quali la fusione nucleare. Le armi vincenti sono contenute nel Piano strategico per le tecnologie energetiche della Ue: energia solare, eolica, bioenergia, reti intelligenti, cattura e stoccaggio del carbonio, edilizia a consumo energetico basso o nullo, città intelligenti. Va da sé che nei prossimi 40 anni la Ue dovrà effettuare ulteriori investimenti annui pari all'1,5% del Pil, cioè 270 miliardi di €. Gran parte di tale somma sarà compensata da una bolletta per gas e petrolio meno onerosa, che consentirà di risparmiare tra 175 e 320 miliardi l'anno. Il taglio più cospicuo di CO2 si potrà realizzare nella produzione elettrica, settore che sarà quasi del tutto "decarbonizzato" entro il 2050. La tabella di marcia in campo elettrico prevede emissioni di UNITELNews24 4 CO2 ridotte del 54% entro il 2030 e del 93% entro il 2050 (sempre rispetto ai livelli del 1990). Dal lato dell'offerta, la quota di tecnologie a basse emissioni di carbonio nel mix di produzione elettrica subirebbe un rapido aumento, passando dall'attuale 45% a circa il 60% nel 2020, al 75-80% nel 2030, per sfiorare il 100% nel 2050. Trasporti e agricoltura restano i principali settori in cui la decarbonizzazione non sarà totalmente realizzata, neppure a lungo termine. Nei trasporti, nonostante l'inversione della tendenza all'aumento dell'ultimo ventennio, entro il 2050 le emissioni potranno essere globalmente ridotte solo del 60% rispetto al 1990. La CO2 generata dai trasporti sarà tra il 20% superiore e il 9% inferiore entro il 2030 e del 54-67% inferiore entro il 2050. Fino al 2025 la decarbonizzazione dei trasporti proverrà da un aumento dell'efficienza energetica dei motori convenzionali a benzina e diesel. Dopo il 2025, con l'adozione su larga scala di veicoli elettrici o ibridi ricaricabili, si assisterà a un passaggio più deciso verso l'elettromobilità per le autovetture private. Per l'agricoltura il modello è invertito: forte riduzione di emissioni da qui al 2030, poi ritmo assai più lento. I settori industriali ed energetici che fanno parte del sistema di scambio delle quote di emissione Ue potranno realizzare riduzioni notevoli, e con un miglior rapporto costo/efficacia, rispetto ai settori non compresi nel sistema. La roadmap prevede che le emissioni di CO2 dell'industria calino del 34-40% entro il 2030 e dell'83-87% entro il 2050 (rispetto ai livelli del 1990). Dopo il 2035 le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (Csc) saranno applicate su larga scala alle emissioni di CO2 dei processi industriali che non possono essere abbattute in altri modi (ad esempio, nella produzione di acciaio e cemento), consentendo riduzioni assai più cospicue entro il 2050. Nel settore residenziale e dei servizi le riduzioni delle emissioni di CO2 saranno nell'ordine del 37-53% entro il 2030 e dell'88-91% entro il 2050. (Maria Adele Cerizza, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011 ) Sicurezza alimentare, aumentano frodi e contraffazione Sono in aumento i reati accertati relativi alla contraffazione alimentare. In crescita fortissima anche il numero delle persone denunciate all’autorità giudiziaria e gli illeciti amministrativi contestati, per un valore di un milione e mezzo di euro. Il corpo forestale dello Stato tira le somme sul bilancio delle attività operative relative al 2010: i reati accertati sono stati 102 rispetto ai 75 rilevati nel 2009, le persone denunciate sono state 120 contro le 64 dell’anno precedente e gli illeciti amministrativi contestati sono passati dai 359 del 2009 alle 775 del 2010. Incrementati anche i controlli, che sono passati dai 4.423 effettuati nel 2009 ai 5.056 effettuati nel 2010. Il danno per l’industria agroalimentare è altissimo. (Il Sole 24 ORE Guida agli enti locali, 9 aprile 2011, n. 15) Appalti Decreto sviluppo, altolà ai ricorsi infondati sugli appalti La sfida è di quelle epocali: cancellare quel surplus strutturale di costi e di tempi che affligge storicamente il sistema italiano degli appalti, anche nelle comparazioni europee. Ci prova ora il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, che riserva alle semplificazioni dell'edilizia pubblica e privata il capitolo più importante (e al momento più massiccio) del decreto legge per accelerare la crescita economica. Via via che si avvicina il 6 maggio, data indicata per il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il provvedimento urgente, il decreto prende corpo e nuovi capitoli vengono affinati. Confermato il freno alle «riserve» che le imprese possono mettere a verbale per variare il progetto originario e aumentarne i costi, posto sotto il tetto del 5% anche le opere compensative di mitigazione ambientale finora escluse, riconfermato lo stop agli arbitrati che costringono la Pa a soccombere nel 90% dei casi e a pagare costi elevatissimi, ora è il turno delle liti temerarie, altra orribile abitudine italiana: fatta la gara, piovono dalle imprese classificate seconde ricorsi in via amministrativa per tentare di bloccare l'iter dell'aggiudicazione. UNITELNews24 5 Una norma allo studio stabilirà che il ricorso dovrà essere fondato e, appunto, non «temerario»: se così non sarà, l'impresa sconfitta al giudizio dovrà pagare tutte le spese processuali e anche una sanzione che si sta definendo. Una norma che si pone per obiettivo la riduzione del contenzioso e la fine di questo doppio appesantimento per la pubblica amministrazione, con l'intasamento delle aule dei tribunali e il rallentamento degli appalti.Intanto il ministero delle Infrastrutture lavora agli altri capitoli del pacchetto appalti: per esempio, la trattativa privata per i lavori, per cui si dovrebbe proporre una soglia di mezzo fra i 500mila euro di oggi e l'1,5 miliardi contenuti nel Ddl sullo statuto delle Pmi, approvato dalla Camera. Il ministro Matteoli e i suoi collaboratori vorrebbero anche mettere un paletto di trasparenza, prevedendo in queste «procedure negoziate» la consultazione minima di dieci imprese da parte dell'amministrazione appaltante. Si lavora anche per coprire la fascia da 1 a 5 miliardi con il meccanismo di esclusione automatica delle offerte anomale, che sta particolarmente a cuore alle imprese piccole e soprattutto medie dell'Ance, oggi costrette a un vero e proprio far west con centinaia di partecipanti alle gare proprio nella fascia media dei lavori. Infine si cerca con il Viminale di rendere operativa la legislazione sulle white list nelle zone ad alto tasso di criminalità mafiosa: saranno le prefetture a indicare i subappaltatori che le imprese appaltatrici potranno scegliere senza il rischio di favorire aziende colluse con mafia, camorra e 'ndrangheta.Fin qui il decreto per le semplificazioni degli appalti. C'è poi il capitolo dei fondi su cui Tremonti qualche segnale dovrà pur darlo, come chiede il presidente dell'Ance, Paolo Buzzetti. Si attende il maxi-Cipe che, forse già il 29 aprile o più probabilmente il 6 maggio, dovrebbe avere almeno tre partite all'ordine del giorno: lo sblocco dei programmi regionali finanziati con 15,4 miliardi di Fas 2007-2013; la riassegnazione alle grandi opere strategiche (mediante i contratti istituzionali di sviluppo) delle risorse Fas e Ue «liberate» dai vecchi progetti incagliati; il piano casa finanziato con i 294 milioni di fondi dell'edilizia abitativa pubblica, per un investimento complessivo di 2,6 miliardi, già concordato dal ministero delle Infrastrutture con le Regioni. Non è escluso, per altro, che si aggiungano a queste somme i 550 milioni della Regione Lazio, ultima grande regione a chiudere l'intesa istituzionale, forse in tempo per arrivare al Cipe. Più difficile (ma non escluso) che arrivi al comitato interministeriale, già per la prossima convocazione, la partita aeroportuale con lo sblocco di aumenti tariffari e investimenti per Adr, Sea e Save. (Giorgio Santill, Il Sole 24 ORE 26 aprile 2011) Autodenuncia” per gli appaltatori Pa. La delibera dell'Autorità. Trenta giorni è il tempo che viene concesso agli imprenditori per comunicare all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici tutte le eventuali infrazioni (dalle più gravi alle più lievi) di cui sono responsabili. Il termine è inderogabile e non comunicare o farlo in ritardo può costare molto caro: l'Autorità può comminare sanzioni che possono arrivare anche a 25mila euro. A stabilire tutto ciò è la delibera n. 3 del 6 aprile scorso della stessa Autorità, che ha messo a punto la procedura che gli imprenditori devono seguire per l'autodenuncia delle violazioni commesse. L'elenco delle possibili infrazioni è piuttosto lungo ed è quello contenuto nell'articolo 38 del Codice dei Contratti (Dlgs 163/2006). Si va dalle violazioni più gravi (quali la non adozione delle misure di prevenzione antimafia, la bancarotta fraudolenta, il patteggiamento per corruzione o frode), alle più lievi (irregolarità contributive, la negligenza nell'esecuzione degli appalti, il mancato rispetto delle legge sul collocamento dei disabili, ecc.). Alla delibera dell'Autorità sono allegati due modelli da compilare nell'autodenuncia (che, per ora, va inviata solo in formato cartaceo). Il primo modello è rivolto alle imprese di costruzioni e serve per segnalare il cambio di direttore tecnico; il secondo modello, invece, riguarda tutti gli imprenditori, anche quelli che offrono servizi e forniture, e serve per comunicare la perdita (ma anche il riacquisto) dei requisiti di ordine generale. Le sanzioni alle imprese sono l'unica parte del Regolamento Appalti già in vigore da dicembre scorso. Come detto, le imprese hanno ora un mese di tempo per comunicare all'Autorità eventuali infrazioni a proprio carico. La scadenza è importante perché la comunicazione tardiva o incompleta non può essere sanata e sarà considerata al pari di una comunicazione del tutto omessa. Le sanzioni possono arrivare anche a 25.582 euro, e comprendono anche quella per la mancata risposta alle richieste della stessa Autorità dei Contratti. Se si dichiara il falso, invece, la multa può addirittura arrivare fino a 51.545 euro. (Valeria Uva da Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 20 aprile, sintesi redazionale) UNITELNews24 6 In arrivo regole per appalti veloci Il decreto per la crescita in arrivo a maggio consisterà soprattutto in un pacchetto di semplificazioni. Dalle ultime riunioni degli uffici legislativi dei vari ministeri sta prendendo forma il provvedimento che potrebbe arrivare al consiglio dei ministri nella prima metà del mese prossimo, in tempo anche per dare un segnale in vista delle elezioni amministrative. A giugno arriverebbe invece il decreto di "manutenzione" sui conti da 3,3–3,5 miliardi. Il "decreto semplificazioni" dovrà essere a costo zero, conterrà alcune delle misure inserite nel Piano nazionale di riforma e, soprattutto, andrà a recuperare interventi già da tempo congegnati dai ministri Brunetta, Calderoli e Matteoli e fermi nel cassetto. Riduzione oneri L'obiettivo è mettere in pratica lo Small business act per le piccole e medie imprese. Si punta a snellire la burocrazia fiscale e a ridurre gli obblighi in materia di sorveglianza antinfortunistica sul lavoro. Un intervento ad hoc dovrebbe riguardare il Codice della Privacy che non si applicherebbe ai trattamenti di informazioni relative a persone giuridiche nei rapporti tra loro (per le sole finalità di natura amministrativo-contabile). Dal disegno di legge Brunetta-Calderoli fermo al Senato dovrebbero invece arrivare le norme relative alla digitalizzazione del servizio sanitario nazionale e al debutto della pagella elettronica. Probabile l'obbligo di utilizzo della posta elettronica certificata per comunicazioni tra i Comuni e l'introduzione del principio secondo cui negli atti normativi non potranno essere previsti nuovi oneri regolatori o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri soggetti privati, a meno di una contestuale riduzione di altri oneri già esistenti. Appalti e piano casa Dopo diversi annunci caduti nel vuoto, dovrebbero trovare una sede le misure per accelerare gli investimenti nelle infrastrutture. Saranno introdotte percentuali fisse predeterminate sia per le "riserve" (lo strumento con cui l'appaltatore contesta in corso d'opera vizi del progetto o imprevisti e chiede l'aumento del prezzo) sia per le "opere compensative" richieste dai governi locali sul cui territorio si progetta un'opera pubblica. Secondo quanto anticipato anche dal Pnr dovrebbe poi passare una disciplina statale di principio, cui dovrà seguire la disciplina regionale, che autorizzi interventi di demolizione e ricostruzione (anche con delocalizzazione degli edifici dismessi) e di aumento volumetrico premiale. Liberalizzazioni e Sud Sono i capitoli che presentano maggiori incertezze. Lo scorso 9 febbraio il Ddl annuale per la concorrenza arrivò sul tavolo del consiglio dei ministri ma non venne approvato. Una parte dei contenuti potrebbe migrare nel decreto semplificazioni. Nel Ddl, oltre alla deregulation della rete dei carburanti, si ampliavano i poteri Antitrust in materia di pratiche commerciali scorrette. Per quanto riguarda il Mezzogiorno, il Piano nazionale di riforme si sofferma su fiscalità di vantaggio e zone a burocrazia zero. Nel primo caso va detto che il negoziato con la Commissione europea potrebbe essere lungo ed è difficile che la misura trovi spazio già nel decreto di maggio. Anche le zone a burocrazia zero per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali non rappresentano una novità. Sono previste dal Dl 78 del 2010: a istituirle dovrà essere un decreto della presidenza del consiglio. Il Tesoro pensa di introdurle anche lungo le coste creando dei «distretti balneari». Si starebbe discutendo infine della possibilità di aumentare la compensazione alle tv locali che dovranno liberare le frequenze digitali da mettere all'asta per il servizio di banda larga mobile. Ipotesi realizzabile però solo con un intervento a saldo zero. Se il nodo non verrà sciolto i tempi e i risultati dell'asta sarebbero sempre più a rischio, con tutte le relative conseguenze (gli scostamenti dall'incasso previsto in 2,4 miliardi andrebbero coperti con tagli lineari ai ministeri). (Davide Colombo e Carmine Fotina, Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 16 aprile 2011) Nuove interpretazioni ministeriali - Durc – regolamento attuativo del codice dei contratti pubblici Premesso che con il D.P.R. 5.10.2010, n. 207 è stato emanato il Regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici, le circolari offrono chiarimenti in merito ad alcune disposizioni in esso contenute che riguardano il Documento unico di regolarità contributiva (Durc). Inoltre, si informa che, per il miglioramento dei servizi telematici, l’applicativo www.sportellounicoprevidenziale.it è stato oggetto di un intervento di reingegnerizzazione che si concretizza nelle implementazioni di funzionalità aggiuntive riguardanti i contratti per forniture e servizi, anche in economia, i consorzi, la gestione di ulteriori tipologie di richieste, la grafica ed il UNITELNews24 7 contenuto dei certificati, nonché l’emissione di un nuovo Durc in sostituzione di un precedente certificato, oggetto di annullamento. Contestualmente, si è provveduto anche ad aggiornare i dati anagrafici delle stazioni appaltanti e delle Soa e a sostituire, per queste categorie di utenti, gli attuali codici di identificazione con il codice fiscale dell’interessato. (S.Ma., Il Sole 24 ORE - La settimana fiscale, n. 14, 15 aprile 2011) In declino gli appalti "misti" di progettazione e costruzione Appalti Per il terzo anno consecutivo il primo trimestre si chiude con un segno fortemente negativo, 34,5% in valore nel 2011 rispetto al 2010. Nel mese di marzo -1,3% in valore rispetto a marzo 2010. Secondo i dati pubblicati con l'aggiornamento al 31 marzo 2011 dell'osservatorio OICE-Informatel, le gare per servizi di ingegneria e architettura indette nel mese sono state 482 (di cui 32 sopra soglia) per un importo complessivo di soli 52,6 milioni di euro (40,4 sopra soglia). Rispetto a marzo 2010 il numero dei bandi rilevati nel mese corrente sale del 15,3% (-17,9% sopra soglia e +18,7% sotto soglia) mentre il loro valore scende, come detto, dell'1,3% (+9,8% sopra soglia e -26,1% sotto soglia). Complessivamente, nel primo trimestre sono state indette 1.142 gare (102 sopra soglia) per un valore di 114,2 milioni di euro (80,2 sopra soglia). Il confronto con il primo trimestre 2010 è negativo: mentre il numero delle gare sale del 16,6% (+8,5% sopra soglia), il loro valore scende del 34,5% (-40,9% sopra soglia e -11,8% sotto soglia). Rispetto alla media degli importi rilevati nel primo trimestre dei cinque anni precedenti il valore messo in gara nei primi tre mesi del 2011 presenta una flessione del 45,7%, pur non tenendo conto della dinamica inflativa settoriale. Non si arresta la crescita dei ribassi con cui le gare vengono aggiudicate: in base ai dati raccolti al 31 marzo il ribasso medio sul prezzo a base d'asta, per le gare indette nel 2010, è arrivato al 41,6% (era al 41,2% a fine febbraio). Il ribasso si spinge al 76% nell'aggiudicazione di una gara dell' IPES - Istituto per l'edilizia sociale della provincia autonoma di Bolzano per l'accatastamento ed intavolazione di 159 alloggi e relative pertinenze a Bolzano con un importo a base d'asta di 155.466 euro, aggiudicata per 37.000 euro. Analizzando la posizione dell'Italia in Europa, si rileva che il numero delle gare italiane pubblicate sulla gazzetta comunitaria è passato dalle 94 unità del primo trimestre 2010 alle 102 del primo trimestre 2011, +8,5%. Nell'insieme dei Paesi dell'Unione Europea la domanda di servizi di ingegneria e architettura presenta una crescita (+16,7%) decisamente maggiore di quella italiana. Rimane molto modesta, 2,9%, la quota del nostro Paese sul numero totale delle gare pubblicate, risultando di gran lunga inferiore rispetto a quella di paesi di paragonabile rilevanza economica: Francia 45,2%, Germania 11,4%, Polonia 6,5%, Spagna 4,5%, Gran Bretagna 4,3%). Molto negativo anche l'andamento delle gare miste, cioè per progettazione e costruzione insieme, che nel primo trimestre 2011 sono in forte discesa: -67,7% in valore rispetto al primo trimestre 2010. (http://www.immobili24.ilsole24ore.com 13 aprile 2011) Edilizia e urbanistica Piani casa, termini riaperti Saranno le Regioni a decidere: se non lo faranno proroga automatica Il Governo studia un piano casa bis. Non più solo la possibilità di ottenere in fretta il via libera per ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni, ma una vera e propria riapertura dei termini, compresi quelli già scaduti per consentire alle Regioni di fare nuove leggi o di ammorbidire quelle esistenti. Sarebbe questo lo sbocco finale per il rilancio del piano casa annunciato da Berlusconi. Il piano casa ha funzionato veramente finora solo in Veneto (circa 22mila domande) e in Sardegna. La riapertura dei termini per le leggi regionali è la via di uscita individuata per superare il principale ostacolo al rilancio del piano casa: la scadenza ormai matura del programma straordinario in molte Regioni. I termini per aggiungere la famosa stanza in più a ville e villette, infatti, sono già scaduti in Emilia Romagna (il 31 dicembre scorso) e in Lombardia (il 15 aprile). E, salvo proroghe in extremis, sono ormai in chiusura anche Sardegna, Veneto, Basilicata e Toscana. L'ipotesi a cui si lavora invece è di permettere alle Regioni di intervenire di nuovo con una propria regolamentazione che consenta di fare gli ampliamenti in deroga ai piani regolatori e che faccia partire, una volta per tutte, anche la demolizione e ricostruzione (il decreto dovrebbe cancellare anche il pesante vincolo del rispetto della sagoma). Stavolta però il Governo vuole provare a UNITELNews24 8 "forzare la mano": in caso di inerzia della Regione, il proprietario potrebbe appellarsi alla legge statale e ottenere comunque il via libera all'ampliamento. Altrettanto forte è l'altra semplificazione dell'edilizia allo studio: il permesso di costruire rilasciato grazie al semplice silenzio assenso. Sempre. E non solo in via straordinaria per il piano casa. Oggi il silenzio assenso è ammesso solo per gli interventi minori (manutenzione straordinaria, ad esempio). Da domani invece varrebbe su tutti i grandi lavori: dalle ristrutturazioni alla nuova costruzione. Potrebbe cioè bastare presentare la domanda e se il Comune non risponde entro un determinato periodo, iniziare i lavori senza un'effettiva verifica della compatibilità ambientale e paesaggistica. Ora il Governo deve cominciare a cercare il consenso politico e il supporto delle Regioni, che sull'edilizia hanno una competenza concorrente. Operazione non facile: già due anni fa l'avvio del piano casa fu il frutto di una lunga e difficile trattativa con i governatori. L'altro capitolo del decreto sviluppo che sta prendendo forma è quello relativo agli appalti: il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, proporrà bandi tipo che dovrebbero rendere sicure e tassative tutte le cause di esclusione dalle gare di lavori, servizi e forniture. Si lavora poi al giro di vite sulle riserve e le opere compensative per abbassare i costi delle opere pubbliche. L'idea è di ridurre ancora l'attuale tetto del 5% per le richieste di «compensazioni» dal territorio. E di inglobare anche le opere di mitigazione ambientale. Anche per le riserve, ovvero le richieste dell'appaltatore, di aumenti legati a imprevisti e "sorprese" sui progetti, Tremonti ha già detto di volere a tutti i costi mettere un freno, ma in questo caso l'Economia sta ancora ragionando sulla percentuale. Così come una partita ancora aperta è quella sull'arbitrato: Tremonti sembra intenzionato a riproporre il divieto di ricorrere ai giudici privati negli appalti, i costruttori invece premono per mantenere la corsia preferenziale in nome di un contenzioso più veloce. Il decreto sviluppo è in agenda per il Consiglio dei ministri del 6 maggio. Per lo stesso giorno potrebbe sbloccarsi anche un super–Cipe che ha al primo punto dell'ordine del giorno il piano di housing sociale da 2,6 miliardi. Ma il prossimo Cipe è atteso anche per il rilancio di altri capitoli di spesa per le infrastrutture, a partire dalle concessioni aeroportuali (aumenti tariffari per finanziare gli investimenti di Adr, Sea e Save) e dal piano Sud che attende di essere approvato insieme alla ripartizione di 15,4 miliardi del Fas 2007-2013 alle Regioni. Dovrebbe invece prendere forma dopo le elezioni amministrative la manovra di manutenzione dei conti da tre miliardi che deve dare ulteriore slancio agli investimenti infrastrutturali ma anche finanziare, ad esempio, le missioni internazionali, compreso l'ultimo impegno italiano in Libia. (Valeria Uva, Il Sole 24 ORE, 28 aprile 2011) Al via housing sociale da 2,6 miliardi Conti e sviluppo. Il prossimo 29 aprile potrebbe tenersi una seduta del Cipe per rilanciare gli investimenti pubblici per l'edilizia residenziale e le infrastrutture. La conferma della seduta non è ancora arrivata, ma le amministrazioni già si preparano al possibile “evento”, visto che si tratta dell'importante piano di housing del ministero delle Infrastrutture che dovrebbe sbloccare un investimento complessivo di 2.654 milioni, con un contributo del Dipartimento del Tesoro di 295 milioni (l'11% del totale). Al “piano nazionale di edilizia abitativa” partecipano anche i privati con una quota rilevante, 1.925 milioni, ossia il 72% del totale, mentre le Regioni contribuiranno con 263,6 milioni (ca. il 10%) e altri enti pubblici (fra cui i Comuni) con 170,3 milioni (il 6,4%). In tutto si avranno a disposizione 14.790 alloggi, di cui 11.590 di nuova costruzione, 3.023 ristrutturati, 177 acquistati da immobili già esistenti. Di tutti questi appartamenti, 5.991 andranno in affitto (permanente o di lunga durata, minimo 25 anni), 6.001 andranno a riscatto e 2.801 saranno messi in vendita nel libero mercato. Il via libera del Cipe servirà a ratificare l'intesa sottoscritta dal Governo con 14 Regioni. Il “piano nazionale”, per essere valido a tutti gli effetti, dovrà ottenere il via libera della Conferenza StatoRegioni e dovrà attendere l'emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri. Dei fondi del “piano nazionale” ne beneficerà per il 58% la Campania, che otterrà 1.548 milioni, con una larghissima prevalenza dei fondi privati (l'88% pari a 1.366 milioni). Gli alloggi disponibili in Campania saranno 7.059 (il 48% del totale). Il “Piano nazionale” era stato già previsto dall'articolo 11 del Dl 112/2008, ma allora si bloccò la ripartizione delle risorse perché le si volle convogliare in un'operazione più complessa, strutturata in due fronti: uno è quello piano che ora, dopo tre anni, arriva al Cipe. L'altro è il “fondo dei fondi” UNITELNews24 9 imperniato sulla Cassa Depositi e Prestiti e sull'alleanza con le fondazioni bancarie. Questo megafondo oggi ha raggiunto la quota di 1,8 miliardi e serve per dare il proprio aiuto (mai superiore al 40%) ai fondi locali che a loro volta finanziano progetti di realizzazione di alloggi. Al tavolo del Cipe dovrebbero arrivare anche altri capitoli del rilancio infrastrutturale (concessioni aeroportuali, piano per il Sud, ripartizione di 15,4 miliardi del Fas 2007-2013 alle Regioni, ecc.). Per il Sud ci sono anche i contratti istituzionali di sviluppo, che destinano a poche infrastrutture i fondi recuperati dal Fas 2000-2006. Infine, ci sono anche i vecchi mutui non spesi che il ministero dell'Economia può annullare per ridestinare le risorse a nuove priorità infrastrutturali. (Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore – Primo Piano 19 aprile, sintesi redazionale ) La mappa delle regioni senza strade e reti. All'esame il decreto per recuperare il deficit di infrastrutture A Matera neanche a parlarne, perché la ferrovia semplicemente non c'è (unico capoluogo d'Italia in questa condizione). Anche arrivare in treno a Campobasso, però, è un'impresa non semplice, che impone a chi parte da Roma più di tre ore di viaggio su una linea appenninica percorsa da pendolini d'antan (quando va bene) e chiede a chi arriva dall'Adriatico di inerpicarsi su «littorine» a gasolio altrove scomparse da decenni. Cercate una biblioteca in Calabria, o la banda larga nei paesi dell'Umbria, e avrete chiaro il concetto di «gap infrastrutturale». Proprio questo è l'oggetto del nuovo atto del federalismo fiscale, che va in scena in queste settimane nella Commissione bicamerale per l'attuazione della riforma. Il sesto decreto ad approdare sui tavoli di San Macuto è quello dedicato alle «risorse aggiuntive» e agli «interventi speciali» chiamati a rimuovere gli «squilibri economici e sociali». A chiedere questi interventi è la stessa Costituzione, che all'articolo 119 prevede che lo Stato faccia uno sforzo aggiuntivo per promuovere «lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale» in «determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni». La legge delega (la n. 42 del 2009) richiama fedelmente la Carta, ma arricchisce il principio di un nuovo significato: il federalismo fiscale nasce per concedere più autonomia ai territori e per imporre loro standard di spesa omogenei, ma per far atterrare questi concetti sul piano della realtà bisogna dare a tutti condizioni di base più omogenee. Tra gli interventi della complessa architettura federalista, che soprattutto a Sud ha alimentato polemiche sulle distanze fra le varie parti del Paese, questa è la più direttamente votata ad "accorciare l'Italia". La sfida non è semplice, come mostrano i dati in pagina. Il decreto, approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri del 20 novembre all'interno dell'esame sul Piano nazionale per il Sud, non offre una definizione puntuale delle «infrastrutture» che saranno oggetto di perequazione, perché l'individuazione degli interventi sarà oggetto dei programmi di finanziamento e dei «contratti istituzionali» che li attueranno. I numeri proposti, basati sulle analisi dell'Istituto Tagliacarne che per il Cnel cura il censimento ufficiale sul tema, esaminano le infrastrutture sia secondo un criterio tradizionale (strade, autostrade, ferrovie, acquedotti), sia secondo uno "allargato" (scuole, teatri, biblioteche, dotazioni telematiche) su due versanti: la «quantità», per esempio i chilometri di strade o il consumo di energia elettrica, e la «qualità», indicata ad esempio dal numero di caselli con Telepass e Viacard o dall'intensità della raccolta differenziata, il tutto pesato in rapporto alla popolazione. In base a questa radiografia, a nutrire le speranze più vive per una reale efficacia degli «interventi speciali» sono la Basilicata, il Molise e la Calabria, che nell'indice generale raggiungono un punteggio spesso sotto la metà rispetto a Lazio, Lombardia e Liguria. L'analisi regionale, che appare fedele alle condizioni effettive dei territori sottodotati, non deve però ingannare quando si guarda alle realtà più fortunate: il dato del Lazio, per esempio, è influenzato da Roma che – complice anche la scarsa densità abitativa di molte delle zone vicine – riesce da sola ad alzare il dato medio di tutta l'area centrale del Paese, mentre il punteggio ligure è spinto dal carattere strategico del nodo stradale e ferroviario di Genova (i porti sono esclusi dal calcolo). Tornando al Sud, parecchie difficoltà caratterizzano anche l'Abruzzo, mentre la Campania soffre su energia e ambiente ma si trova in cima alla classifica per dotazione scolastica e reti telematiche (in pratica la banda larga, che nelle aree metropolitane ha esteso molto la propria copertura). Per ridurre queste distanze il decreto legislativo prima di tutto punta sulle risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate, che nel nuovo sistema diventa il Fondo per lo sviluppo e la coesione, indirizzato per l'85% al Sud e per il resto al Centro-Nord. Al fondo, oggetto di una programmazione pluriennale a carattere nazionale, avranno accesso i progetti strategici valutati in base agli obiettivi, alle metodologie di analisi degli impatti, alla sostenibilità dei piani di gestione. Le UNITELNews24 10 iniziative saranno oggetto di «contratti istituzionali» chiamati a responsabilizzare i vari livelli di governo coinvolti, sostituiti dal Governo tramite commissari in caso d'inerzia. Dalla dotazione reale di risorse, e dal funzionamento effettivo di questi meccanismi, dipenderà l'efficacia reale dei programmi che saranno attivati in base al nuovo provvedimento federalista. (Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE 19 aprile 2011) L’archistar si arena sui waterfront d’Italia Le architetture griffate ul waterfront italiano non riescono a prendere il largo. Non conta se siano pubbliche o private oppure che siano scelte attraverso concorsi o promosse con operazioni di marketing urbano. Dopo le città spagnole e quelle britanniche, città come Marsiglia e Amburgo dimostrano il forte potenziale delle città d’acqua. L’Italia sembra sorda. I tanti progetti delle star annunciati come volàno di trasformazione urbana restano sulla carta: mancano risorse, non ci sono chiare strategie politiche e pesa la lentezza delle procedure, ricorsi compresi. A sette anni dal concorso per il porto monumentale di Napoli il progetto è fermo al preliminare. A Reggio Calabria, è ancora da approvare il preliminare firmato da Zaha Hadid Architects che nel 2007 ha vinto il concorso internazionale. Congelata la “vela” di Ricardo Bofill a Salerno. Non va meglio a Rimini, dove i due project financing in cui sono stati coinvolti Norman Foster e Jean Nouvel e che sono stati annunciati in pompa magna dal Comune romagnolo sono di fatto arenati. Tra le trasformazioni annunciate sul frontemare italiano con il contributo delle grandi firme internazionali non c’è un’operazione con un iter lineare. L’unico spiraglio di luce arriva oggi, dieci anni dopo il concorso, per la Piazza del Mediterraneo vinta dagli olandesi di Un Studio. Poche settimane fa infatti è stata siglata l’intesa sul cronoprogramma tra Autorità portuale di Genova, Porto Antico Spa e Altarea, aggiudicataria dell’intervento. «Il polo potrebbe aprire al pubblico tra il 2015-2016 – dicono i promotori –. L’investimento sui 160 milioni sarà ammortizzato in 90 anni grazie a un project financing». Da Napoli a Reggio Calabria amministratori e progettisti negano che le operazioni siano ferme. «La macchina non si è fermata – spiega Rosario Pavia, uno dei progettisti della cordata guidata dal francese Michel Euvè per il porto di Napoli – anche se il progetto avanza con una lentezza mortificante. Per far fronte alle nuove richieste della Soprintendenza abbiamo predisposto un tavolo tecnico e redatto un nuovo preliminare prevedendo la ristrutturazione (e la ricostruzione della metà mai realizzata) di un immobile che prima doveva essere demolito ». Con la nuova versione del progetto, «accettata e pagata» ci tengono a precisare gli architetti, le cubature saranno ridimensionate e il nuovo edificio previsto nella fase concorsuale non ci sarà più. (Massimo Frontera e Paola Pierotti, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio – Progetti e concorsi, aprile 2011, n. 16) Catasto In scadenza il termine per regolarizzare le case fantasma Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art.2 comma 5-bis del DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011. Si tratta, in particolare, dei fabbricati indicati nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010, che dovevano essere denunciati entro il 31 dicembre 2010. Per convincere gli obbligati alla denuncia volontaria, il legislatore ha penalizzato gli inadempienti, retrodatando al 1° gennaio 2007 l'efficacia della rendita “presunta” accertata d'ufficio, a partire dal 2 maggio 2011, il cui importo sarà notificato mediante l'affissione degli elenchi all'Albo pretorio dei comuni interessati, previo avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Peraltro, la predetta retrodatazione non si applica agli obbligati virtuosi che presenteranno le denunce entro il nuovo termine, per i quali sarà considerata la data di ultimazione dei lavori indicati nella denuncia medesima. La regolarizzazione catastale I fabbricati da dichiarare sono, in primo luogo, quelli definiti “fantasma”, perché presenti sul territorio ma non iscritti al Catasto, che l'Agenzia del territorio ha individuato con le procedure previste dall'art. 2, commi 36 e segg., del D.L. 262/2006, in collaborazione con l'AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), di cui sono stati pubblicati gli elenchi sulla G.U. in ordine di comune, sezione, foglio e particella, visibili sul sito dell'Agenzia www.agenziaterritorio.gov.it, negli uffici provinciali della medesima e presso i comuni interessati. A tale proposito si ricorda che, ai sensi del comma 12 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, dal 1° gennaio UNITELNews24 11 2011 l'Agenzia ha avviato un monitoraggio costante del territorio sulla base di nuove informazioni derivanti da verifiche tecnico-amministrative, telerilevamento e dalla collaborazione con i comuni. In secondo luogo, sono da dichiarare i fabbricati a suo tempo definiti rurali perché annessi a fondi agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (Iap), che hanno perduto i requisiti di ruralità previsti dall'art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. 557/1993, convertito dalla legge 133/1994. Caso classico sono i rustici agricoli ubicati in zone turistiche, trasformati in case di vacanza, ma anche fabbricati strumentali, ubicati nelle periferie dei centri abitati o in fregio a strade provinciali, utilizzati per attività d'impresa (centri commerciali, ristoranti, depositi, officine ecc.). Di questi immobili, peraltro, l'Agenzia del territorio ha già stilato gli elenchi anch'essi pubblicati sulla G.U. e quindi visionabili sul sito dell'Agenzia e presso i comuni. In terzo luogo, devono essere dichiarate tutte le unità immobiliari già censite al catasto fabbricati che hanno subito modifiche rilevanti, come il cambio di destinazione con opere, la variazione della consistenza e della rendita. Si tratta in genere di appartamenti ristrutturati, con l'aggiunta di un servizio prima mancante o in aggiunta ad altro esistente, ovvero con il recupero di un sottotetto, o l'ampliamento dell'abitazione con la costruzione di uno o più locali sul terrazzo a livello, oppure la formazione di cantinette nelle villette. È opportuno segnalare che le piccole variazioni interne, lo spostamento di una porta o di una parete, non rilevano agli effetti catastali se non cambiano la consistenza e la rendita, come sancito dalle circ. n. 2/T e n. 3/T/2010 dell'Agenzia del territorio. I soggetti obbligati alla denuncia L'obbligo della denuncia al catasto spetta ai soggetti titolari dei diritti reali sui fabbricati: il proprietario o, se questi è minore o incapace, chi ne ha la legale rappresentanza; per gli enti morali, il legale rappresentante; per le società commerciali legalmente costituite, chi ha la firma sociale; per le società estere, chi le rappresenta in Italia. Per le parti comuni condominiali dotate di rendita, obbligato alla denuncia è l'amministratore e ciascuno dei condomini, ma la denuncia di uno dei soggetti predetti però esonera tutti gli altri (art. 3 del R.D.L. 652/1939). Per ottemperare agli obblighi della denuncia, i titolari dei diritti reali sopra citati dovranno affidare l'incarico a un tecnico professionista, iscritto all'Albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici laureati e diplomati. L'accertamento d'ufficio in caso di inadempienza A partire dal 2 maggio 2011 l'Agenzia del territorio rileverà tutti i fabbricati non dichiarati fra quelli a suo tempo individuati, provvedendo ad assegnare ai medesimi una rendita presunta, tramite i propri uffici provinciali, ovvero avvalendosi di professionisti abilitati a operare negli atti catastali sopra indicati, mediante la stipulazione di convenzioni specifiche (previste dal comma 11 dell'art. 19 del D.L. 78/2010), alcune delle quali potrebbero essere sottoscritte in tempi brevi, essendo già stati effettuati gli incontri con i rappresentanti nazionali delle categorie professionali interessate. Nelle suddette fattispecie, l'accertamento con attribuzione della rendita presunta è un'operazione abbastanza complessa in quanto, per individuare i parametri necessari all'attribuzione della rendita, molto spesso sarà necessario eseguire i sopralluoghi per individuare la tipologia degli edifici, il numero delle unità, la loro destinazione e la consistenza. Per quanto riguarda i fabbricati che hanno perduto i requisiti di ruralità, gli operatori dovranno partire dagli elenchi pubblicati inGazzetta Ufficiale ed eseguire l'incrocio con le banche dati dell'AGEA, in quanto nelle richieste di contribuzioni UE presentate dagli agricoltori sono descritti anche i fabbricati aziendali. Invece, le operazioni relative all'accertamento dei fabbricati che hanno subito variazioni potranno essere svolte solo con la collaborazione dei comuni, che dovrebbero mettere a disposizione dei tecnici d'ufficio gli elenchi delle DIA presentate nell'ultimo decennio, per verificare se, dopo l'ultimazione dei lavori, sono state presentate le denunce di variazione al catasto. I costi degli inadempienti per gli accertamenti d'ufficio In ogni caso, l'accertamento d'ufficio dei fabbricati non dichiarati richiede interventi nell'archivio del catasto terreni per l'aggiornamento della mappa, mediante l'utilizzo del programma Pregeo, e in quello del catasto fabbricati, con il programma Docfa, per l'attribuzione della rendita; operazioni molteplici, con costi professionali notevoli, che saranno posti a carico degli inadempienti nella misura disposta dalla determ. del 29 settembre 2009 del Direttore dell'Agenzia del territorio (in G.U. 232 del 6 ottobre 2009) dove sono precisati i costi relativi a ogni tipo di operazione. UNITELNews24 12 Sulla base di tale tariffario, il costo di accertamento d'ufficio per una villetta della superficie coperta di 100 mq su un lotto di terreno fino a 2 mila mq, omnicomprensivo di spese di missione, non potrà essere inferiore a € 1.500, mentre per un capannone industriale di 500 mq, insistente su un terreno esteso fino a 5 mila mq, il costo potrebbe salire a € 3.000. Oltre a tali importi, l'Ufficio provinciale dell'Agenzia competente dovrà applicare la sanzione per la mancata denuncia nei termini da un minimo di € 258 a un massimo di € 2.066 (art. 1, comma 338, legge 311/2004), generalmente determinata in € 300 per unità immobiliare, riducibili a un quarto, se il versamento avviene entro 60 giorni dal ricevimento dell'avviso. La regolarizzazione fiscale Dopo l'accatastamento comunque avvenuto, gli obbligati dovranno procedere alla regolarizzazione fiscale, ai fini delle imposte dirette a ICI, non appena saranno loro notificati gli avvisi d'accertamento dall'Agenzia delle entrate e dagli uffici tributi dei comuni, ricorrendo alla procedura dell'accertamento con adesione, istituito dall'art. 11, comma 3, del D.L. 79 del 28 marzo 1997, convertito in legge 140/1997. L'istituto dell'accertamento con adesione può essere applicato anche all'ICI, qualora il comune lo abbia previsto nelle norme regolamentari, disposte ai sensi dell'art. 59 del D.Lgs. 446/1997, con i criteri stabiliti dal D.Lgs. 218 del 19 giugno 1997. Pertanto, utilizzando questo istituto, i contribuenti potranno ottenere, ai sensi dell'art. 15 del predetto decreto, una notevole riduzione delle sanzioni a un ottavo del minimo (12,50%), oltre al pagamento rateale con il massimo di otto rate trimestrali per importi fino a € 51.645,69 o 12 rate per importi superiori. Ovviamente, in caso di rateazione, dovranno essere aggiunti gli interessi legali sulle somme dovute e dovrà essere fornita la garanzia di pagamento mediante accensione di ipoteca sui beni o con fideiussione bancaria o assicurativa (art. 38-bis del D.P.R. 633/1972). La regolarizzazione urbanistico-edilizia Il comma 8, ultimo periodo, dell'art. 19 del D.L. 78/2010 dispone che l'Agenzia del territorio rende disponibili ai comuni, sul portale loro dedicato, le unità comunque accertate “per i controlli di conformità urbanisticoedilizia”. Di conseguenza, al fine di evitare l'intervento d'ufficio dei comuni, è opportuno avviare spontaneamente le procedure per la regolarizzazione, che in gran parte dei casi è facilmente conseguibile. La maggior parte dei fabbricati mai dichiarati è costituita da manufatti e costruzioni per attività agricole (abitazioni, stalle, rimesse, silos, laboratori di prima lavorazione dei prodotti, spacci per la vendita dei propri prodotti agricoli ecc.), ma anche molte tettoie e ricoveri attrezzi, a volte provvisori. In questi casi, la regolarizzazione urbanistica è piuttosto semplice da ottenere, in quanto le costruzioni erette nelle zone E del D.M. 1444/1968 (zone omogenee agricole) sono compatibili con lo strumento urbanistico vigente, per cui l'adempimento consiste nella presentazione di una DIA in sanatoria, ai sensi dell'art. 37, comma 4, del D.P.R. 380/2001, oltre al pagamento della sanzione dal minimo di € 516 al massimo di € 5.164, di norma applicata al minimo, in esenzione dagli oneri di urbanizzazione e concessione, ai sensi dell'art. 9 della legge 10/1977, sempreché non esistano vincoli ambientali, nel qual caso è indispensabile ottenere preventivamente il benestare dall'ente di tutela del vincolo. Peraltro, anche la regolarizzazione dei fabbricati civili o industriali non presenta grosse difficoltà, qualora la destinazione urbanistica del PRG sia compatibile con i manufatti costruiti, in quanto è possibile utilizzare la stessa procedura prevista al periodo precedente con la sola variante del pagamento degli oneri di urbanizzazione e concessione. Ricordiamo che con la DIA è necessario presentare il progetto edilizio, il progetto delle strutture in c.a., e tutte le altre documentazioni amministrative previste dai regolamenti edilizi vigenti nel comune per il rilascio del permesso a costruire. Il destino dei fabbricati non sanabili Invece, per tutti gli altri casi di fabbricati con destinazione non conforme a quelle del PRG o, peggio, che siano stati costruiti in zone vincolate per rispetto marittimo, lacuale o fluviale, ovvero soggette a vincolo paesaggistico (artt. 142 e 143 del D.Lgs. 42/2004), non è possibile ottenere la sanatoria in quanto, per queste fattispecie, è prevista la denuncia alla magistratura, con l'applicazione di sanzioni penali, la demolizione dei manufatti e addirittura l'arresto fino a due anni (art. 44 del D.P.R. 380/2001) dei responsabili, per i casi più gravi. In queste ipotesi, è prevedibile che gli interessati non adempiano all'obbligo di denuncia ma UNITELNews24 13 stavolta, a differenza del passato, esistono gli elenchi delle particelle sulle quali sono stati realizzati i fabbricati non dichiarati, di cui sono noti i proprietari, circostanza che provocherà, prima o poi, l'intervento del comune, che dovrà procedere d'ufficio e applicare le sopracitate disposizioni di legge. L'unico modo per evitare maggiori danni per i proprietari di questi immobili è quello di demolire le costruzioni, prima che sia avviata la procedura d'infrazione urbanistica, almeno nei casi di manufatti minori, quali tettoie, box, piccoli depositi e simili. (Guazzone Franco, www.immobili24.ilsole24ore.com , 11 aprile 2011) Certificazione energetica degli edifici L'8 ottobre 2005 è entrato in vigore il decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 192 (successivamente modificato dal D.Lgs. 29 dicembre 2006 n. 311) per l'attuazione della direttiva comunitaria 2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia. Scopo di tale normativa è di stabilire i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le prestazioni energetiche degli edifici al fine del "contenimento dei consumi energetici". Ruolo di primaria importanza va riconosciuto, nell'ambito della disciplina dettata dal D.Lgs. 192/2005, alla cd. "certificazione energetica", non solo come strumento di controllo successivo del rispetto, in fase di realizzazione degli edifici, delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni energetiche (art. 8 comma secondo), ma soprattutto come strumento di "informazione" dell'acquirente (art. 6 comma terzo) o del conduttore - nel caso di locazione/affitto - (art. 6 comma quarto), ritenendo il legislatore che una preventiva esauriente conoscenza da parte degli acquirenti o dei conduttori dei dati relativi all'efficienza e alla prestazione energetica dell'edificio e, soprattutto, dei suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente convenienti per il miglioramento della predetta prestazione, costituisca presupposto imprescindibile per ottenere un costante e graduale miglioramento delle prestazioni energetiche anche degli edifici già esistenti (sia come incentivo per gli attuali proprietari a migliorare tali prestazioni per rendere l'immobile più "appetibile" sul mercato sia come incentivo per gli acquirenti di orientare eventuali opere di manutenzione, in via prioritaria, verso quegli interventi che possano in qualche modo consentire il "contenimento dei consumi energetici"). Gli attestati La legge, al riguardo, prevedeva due diversi "attestati" al fine della "certificazione energetica": - l'attestato di qualificazione energetica chiamato a svolgere il ruolo di strumento di controllo successivo del rispetto, in fase di costruzione o ristrutturazione degli edifici, delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni energetiche (art. 8 comma secondo); - l'attestato di certificazione energetica, chiamato a svolgere il ruolo di strumento di "informazione" dell'acquirente o del conduttore (art. 6 commi terzo e quarto) circa la prestazione energetica ed il grado di efficienza energetica degli edifici; in particolare, al fine di assicurare quella funzione di "strumento di informazione" propria dell'attestato di certificazione energetica, il legislatore ha prescritto che lo stesso, in caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità immobiliari, doveva essere allegato all'atto traslativo, e ciò a pena di nullità (relativa) dell'atto medesimo ovvero che lo stesso, in caso di locazione, doveva essere consegnato o messo a disposizione del conduttore, sempre a pena di nullità (relativa) del contratto. I due attestati si distinguevano, oltre che per le diverse "funzioni", anche per quanto riguarda le caratteristiche del "certificatore": infatti mentre l'attestato di qualificazione energetica poteva essere predisposto ed asseverato da un professionista abilitato alla progettazione o alla realizzazione dell'edificio "non ecessariamente estraneo alla proprietà e quindi non necessariamente “terzo”, l'attestato di certificazione energetica è rilasciato da "esperti" o "organismi" "terzi", dei quali dovevano essere garantiti "la qualificazione e l'indipendenza". La disciplina transitoria sino al 1° luglio 2008 l'obbligo di allegazione riguardava i seguenti edifici: A) I "NUOVI EDIFICI" Ossia gli edifici costruiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività rispettivamente richiesto o presentata DOPO l'8 ottobre 2005 (in caso di permesso di costruire è alla data della richiesta e non alla data del rilascio che bisogna fare riferimento). B) GLI EDIFICI RADICALMENTE RISTRUTTURATI Ossia gli edifici di superficie utile superiore a 1000 mq. che siano stati oggetto di interventi di ristrutturazione radicale in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività rispettivamente richiesto o presentata dopo l'8 ottobre 2005. UNITELNews24 14 Per "ristrutturazione radicale" ai fini della disciplina in tema di allegazione della certificazione energica si intendono: - la ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati; - la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 metri quadrati). C) GLI EDIFICI "AGEVOLATI" Ossia gli immobili sui quali siano stati eseguiti, successivamente al 1° gennaio 2007, interventi finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche per i quali si intenda accedere agli incentivi ed alle agevolazioni di qualsiasi natura, sia come sgravi fiscali o contributi a carico di fondi pubblici o della eneralità degli utenti, in relazione ai quali sia già stato rilasciato l'attestato di certificazione energetica o, in via transitoria l'attestato di qualificazione energetica. D) GLI EDIFICI "PUBBLICI" Ossia edifici pubblici o detenuti da soggetto pubblici per i quali dopo il 1 °luglio 2007 siano stati rinnovati ovvero stipulati nuovi contratti relativi alla gestione degli impianti termici o di climatizzazione. E) GLI EDIFICI DI SUPERFICIE UTILE SUPERIORE A 1.000 MQ Ossia gli edifici o singole unità, a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla data in cui è stata fatta la richiesta del titolo edilizio, di superficie utile superiore a 1000 mq, sempre che l'atto traslativo abbia per oggetto l'intero immobile. Dal 1° luglio 2008 l'obbligo di allegazione riguardava oltre gli edifici di cui sopra sub A), sub B), sub C) e sub D) anche tutti gli altri edifici, a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla superficie utile, escluse, soltanto, le singole unità immobiliari di superficie inferiore a 1000 mq. Dal 1° luglio 2009 l'obbligo di allegazione riguarda tutti gli edifici a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla superficie utile. L'abrogazione dell'obbligo di allegazione L'art. 35, comma 2-bis, del D.L. 112/2008, come risulta dalla legge di conversione 6 agosto 2008, n. 133 ha disposto l'abrogazione dei commi 3 e 4 dell'art. 6 e dei commi 8 e 9 dell'art. 15 del d.lgs. 192/2005 che prevedevano - rispettivamente - l'obbligo di allegazione agli atti traslativi a titolo oneroso e la messa a disposizione del conduttore nei contratti di locazione di immobili. Questa disposizione trova applicazione nelle Regioni che non hanno legiferato, restando impregiudicate le diverse disposizioni (anche in ordine all'allegazione) adottate dalle Regioni che hanno adottato una specifica disciplina. Dal 29 marzo 2011 A partire dal 29 marzo 2011 è entrato in vigore il D.Lgs n. 28/2011 in tema di promozione dell'uso di energia da fonti rinnovabili, pubblicato nel supplemento ordinario n.81 della Gazzetta Ufficiale n. 71 del 28 marzo 2011, che ha introdotto il nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs 192/2005 (inserito a seguito dell'apertura di una procedura di infrazione a carico dello Stato Italiano, che - in difformità rispetto alla Direttiva Comunitaria - aveva abrogato l'obbligo di consegna della certificazione energetica). Il nuovo comma 2 ter prescrive l'inserimento negli atti di compravendita e di locazione di un'apposita clausola sulla certificazione energetica dei fabbricati, ricollocando tale aspetto al centro della fase circolatoria degli immobili. Resta da valutare l'impatto che tale nuova disposizione avrà sulle singole Regioni che hanno legiferato. (www.codiceimmobili.ilsole24ore.com 1° aprile 2011) Le frane: monitoraggio, stabilizzazione e bonifica 1. I fenomeni franosi sono sempre improvvisi? No, in molti casi i fenomeni franosi veri e propri sono preceduti da “segni” sul terreno che possono essere individuati e osservati, come fessure di trazione, rigonfiamenti e avvallamenti anomali, distacco di pietrame di piccola pezzatura da pareti rocciose, inclinazione anomala delle piante, lesioni nei manufatti e sulle sedi stradali. Alcuni fenomeni franosi hanno un'evoluzione molto rapida, altri possono manifestare segnali per lungo tempo. 2. L'evoluzione di un fenomeno franoso può essere controllata? UNITELNews24 15 Sì, una volta individuata un'area in cui siano evidenti segnali di franosità incipiente possono essere messi in opera sistemi di controllo del movimento (monitoraggio) che, opportunamente analizzati, possono portare a una previsione abbastanza certa dell'evoluzione del fenomeno. 3. Si può valutare la propensione alla franosità di un versante apparentemente stabile? Sì, un pendio apparentemente stabile può essere soggetto a movimenti franosi in seguito a eventi meteorici importanti, a interventi antropici errati (taglio di strade, drenaggio inefficace o inopportuno delle acque a monte del sito). Tale propensione può essere preventivamente valutata sia in base a considerazioni geomorfologiche (anche attraverso la sovrapposizione di carte tematiche) sia geotecniche, mediante l'esecuzione di opportune indagini in sito (sia dirette sia indirette). 4. È sempre necessario intervenire con opere invasive e con il cemento? No, può capitare che gli interventi di stabilizzazione dei pendii siano sovradimensionati per eccesso di prudenza; spesso sono disponibili soluzioni progettuali più “leggere” ma egualmente efficaci. In alcuni casi opere in cemento armato si sono dimostrate inefficaci o addirittura dannose. 5. È possibile prevenire e stabilizzare i fenomeni franosi nel rispetto del paesaggio naturale? Fermo restando che la sicurezza rimane il primo obiettivo di un intervento di stabilizzazione, si va affermando una filosofia d'intervento che prevede il corretto inserimento delle opere di stabilizzazione nel paesaggio caratteristico di un'area, sia mediante l'utilizzo di materiali naturali sia adottando tipologie costruttive affini a quelle tipicamente utilizzate in zona. (Sergiampietri Luciano, Il Tecnico Legale, Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2011, n. 6) Energia Emendamento del Governo: stop alla realizzazione di centrali nucleari Il Governo ha deciso di soprassedere sul programma nucleare e ha inserito nella moratoria già prevista nel decreto legge omnibus, all'esame dell'aula del Senato, l'abrogazione di tutte le norme previste per la realizzazione di impianti nucleari nel Paese. Cosa prevede l'emendamento Con un emendamento al decreto legge omnibus l'Esecutivo propone «l'abrogazione di disposizioni relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari». Al fine di acquisire ulteriori evidenze scientifiche, si legge nell'emendamento, «non si procede alla definizione e attuazione del programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare». L'emendamento, secondo alcuni ambienti parlamentari, avrebbe anche l'effetto di superare il referendum sul nucleare che incombe a giugno. Giorgetti: su norma Cdp potrebbero esserci modifiche Possibili modifiche anche sulla norma che riguarda Cassa depositi e prestiti. Lo annuncia l sottosegretario all'Economia, Alberto Giorgetti, il quale tuttavia precisa che non si intede «stravolgere la norma né appesantirla troppo». «Posso dire - ha affermato Giorgetti - che alcuni contributi sono compatibili con la norma e verranno recepiti». Il sottosegretario ha spiegato che il governo «intende dotarsi di uno strumento per sostenere i campioni nazionali, non certo aziende decotte, nelle loro potenzialità di fronte a questa congiuntura straordinaria». In Aula è iniziato l'esame degli emendamenti. Secondo il timing stabilito dalla conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama il via libera al provvedimento dovrebbe arrivare domani. Il decreto passerà poi all'esame della Camera. (Claudio Tucci http://www.ilsole24ore.com 19 aprile 2011) Rinnovabili al via con i progetti Procedure amministrative «semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate», sono quelle che prevede il Dlgs 28/2011 per velocizzare l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. L'autorizzazione unica (articolo 12, Dlgs 387/2003) viene modificata, viene introdotta la Pas (procedura abilitativa semplificata) e sono chiarite le attività che costituiscono edilizia libera e possono essere svolte sulla base di una semplice comunicazione. Per il procedimento unificato che conduce al rilascio della autorizzazione unica, i termini vengono dimezzati da 180 a 90 giorni, ma rimane escluso dal termine il tempo necessario alle verifiche ambientali. Sarà un prossimo Dm a chiarire quando le modifiche sono sostanziali e dunque soggette a una nuova autorizzazione unica, mentre le varianti non sostanziali sono assoggettate alla Pas. UNITELNews24 16 La Pas è una procedura abilitativa semplificata che sostituisce a tutti gli effetti la Dia in materia di energia. Al pari della Dia, è legittimato a presentarla presso il Comune competente il proprietario di un terreno o di un manufatto, oppure chi ne abbia la disponibilità giuridica. Alla Pas sono allegati la relazione di un progettista abilitato e gli elaborati progettuali. La relazione assevera la «compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie». Gli elaborati progettuali comprendono tanto quelli relativi all'impianto, quanto anche (e qui è la novità rispetto alla Dia) gli elaborati tecnici per la connessione, redatti dal gestore di rete. Come nel caso della Dia, il Comune entro 30 giorni può inibire l'intervento. Decorso il termine, «l'attività di costruzione deve ritenersi assentita» e possono essere iniziati i lavori. Il termine di 30 giorni non inizia a decorrere se sono necessari atti di assenso di natura non urbanistico-edilizia che non sono allegati alla Pas. Il decorso dei 30 giorni non impedisce che, nel limite di un termine ragionevole, il Comune possa procedere in via di autotuela ad annullare il titolo, così come previsto per la Dia edilizia ai sensi dell'articolo 38, comma 2-bis, del Dpr 380/2001 (annullamento del permesso di costruire) e dell'articolo 21-nonies della legge 241/1990. Il Comune che intervenga in tal senso è tenuto a bilanciare la tutela dell'interesse pubblico con l'affidamento formatosi nel privato (che sulla base della Pas ha legittimamente iniziato a investire nel progetto) e dunque potrà procedere all'annullamento solo in presenza di motivi di interesse pubblico aggiuntivi a quello della mera ricostituzione della legittimità violata dal progetto. I lavori devono essere conclusi entro tre anni dal perfezionamento della Pas e per la parte non ultimata in termini è necessaria una nuova Pas. Da ultimo, è necessario protocollare la comunicazione di fine dei lavori, alla quale devono essere allegati il certificato di collaudo finale di conformità del l'opera al progetto e la ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione catastale (o la dichiarazione di non modifica del classamento catastale). Il limite di capacità per presentare la Pas è indicato nella Tabella A allegata all'articolo 12 del Dlgs 387/2003 (ad esempio, 20 kW per il fotovoltaico), ma le regioni possono estendere tale soglia fino ad 1 MW. Le regioni possono peraltro considerare attività edilizia libera la realizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché gli impianti fotovoltaici di qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici (salva la applicazione della normativa ambientale). Per l'installazione di impianti solari termici è infine prevista una comunicazione a norma dell'articolo 11, comma 3, Dlgs 115/2008, nel rispetto dei criteri di aderenza al tetto, allineamento all'orientamento della falda, rispetto della sagoma del l'edificio e comprensione della superficie dell'impianto in quella del tetto, ivi indicati. Tali impianti possono, inoltre essere realizzati ai sensi dell'articolo 6, comma 2, lettera a), e dell'articolo 123, comma 1, del Dpr 380/2001, nel rispetto dei limiti ivi individuati per tipologia degli edifici e a condizione che vengano installati al di fuori dei centri storici. I Comuni percepiscono per le Pas ricevute gli oneri istruttori commisurati alla potenza dell'impianto, che saranno determinati dall'atteso Dm attuativo della legge 129/2010 che ha previsto tali oneri. (Matteo Falcione e Guido A. Inzaghi, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011 ) L'auto verde dal presente al futuro Fiat: il motore a biometano sarà ecologico come quello elettrico A batterie, a gas, ibride? Energia24.com ha chiesto a Ranieri Honorati (Fiat) qual è la strategia del Lingotto sulle vetture a basse emissioni Sull'auto ecologica del presente e del futuro, le idee sono molte e un po' confuse. Elettrica, ibrida, o a metano/gpl? Queste sono le principali tecnologie che stanno segnando il prossimo terreno di scontro tra le case automobilistiche, sempre più impegnate a definire i contenuti della “mobilità sostenibile”. Tutti i principali costruttori di veicoli stanno elaborando qualche strategia per ridurre le emissioni di CO2 (lo impone l'Europa) e uscire gradualmente dalla dipendenza petrolifera. Il cosiddetto “downsizing” dei motori, con cilindrate minori e consumi ridotti, è già una realtà per molti modelli, così come le campagne informative per insegnare agli automobilisti uno stile di guida più amico dell'ambiente. Intanto, si stanno diffondendo le alimentazioni alternative ai carburanti tradizionali: per esempio, circa il 15% delle auto vendute da Fiat in Italia nel 2010, senza incentivi, possiede la doppia alimentazione benzina/metano (fonte Jato Dynamics). Energia24.com UNITELNews24 17 approfondisce questi temi proprio con il marchio torinese, per capire come si sta muovendo l'industria nazionale dell'auto tra tecnologie consolidate e prospettive per il futuro. A spiegare il punto di vista del Lingotto è Ranieri Honorati, responsabile marketing delle flotte di casa Fiat. L'auto ecologica è un tema sempre più frequente nell'agenda di tutte le case automobilistiche: lei come interpreta il concetto di “mobilità sostenibile”? Significa soddisfare il bisogno crescente di mobilità, riducendo l'impatto ambientale della vettura nel suo ciclo di vita. Secondo la nostra filosofia, non esiste un'unica soluzione per la mobilità sostenibile, ma una combinazione di tecnologie tradizionali e alternative. Per questo motivo, l'impegno di Fiat spazia dall'innovazione sui propulsori benzina e diesel per migliorare l'efficienza e ridurre le emissioni, allo sviluppo di nuove alimentazioni, fino a coinvolgere il cliente per educarlo a uno stile di guida più responsabile, efficiente ed ecologico. Proviamo ad allargare un po' l'orizzonte: secondo lei quale sarà l'auto a basse emissioni più diffusa tra dieci o quindici anni (gpl/metano, elettrica, ibrida)? L'analisi “well to wheel” (dal pozzo alla ruota, ndr), che confronta tra loro le diverse soluzioni tecnologiche, non solo per l'efficienza del veicolo, ma anche per produrre, trasportare e immagazzinare la fonte d'energia, dimostra che lo sviluppo del metano, attraverso il biometano generato da fonti rinnovabili, porterà vantaggi ecologici analoghi a quelli dell'alimentazione elettrica. Quest'ultima, però, ha dei punti aperti difficili da superare, in particolare i costi, i tempi di ricarica e i limiti di percorrenza. Però alcuni concorrenti, come Renault e Toyota, stanno investendo moltissimo sulle vetture elettriche o ibride. Quali sono i principali vantaggi e svantaggi di queste tecnologie? Ritengo che si possa correre un rischio nello spostare tutta l'enfasi su questa tecnologia, che può essere una delle più promettenti a lungo termine, ma non l'unica. Basti pensare al seguente limite: oggi con cento kg di celle elettriche, si riescono a percorrere solo cento km. Focalizzarsi esclusivamente nel promuovere questo tipo di trazione, potrebbe portare a un incremento dei costi senza benefici immediati e concreti. Fiat è la casa automobilistica con le più basse emissioni medie di CO2 in Europa, già sotto il limite di 135 g/km fissato dall'Unione europea per il 2015. Il lancio di nuovi modelli derivati da Chrysler (con dimensioni e cilindrate maggiori), soprattutto nel marchio Lancia, potrebbe compromettere questo primato? Certamente, da un lato, il lancio di nuovi modelli con dimensioni e cilindrate maggiori aumenterà i livelli di emissioni di CO2 su alcune vetture, ma dall'altro lato, le innovazioni tecnologiche sull'efficienza dei propulsori benzina/diesel e la leadership nelle alimentazioni alternative, ci permettono di mantenere solidamente il nostro primato. Pensiamo, per esempio, alla 500 Twinair, che emette 95 grammi di CO2 per ogni km percorso, o alla Punto con il motore Multijet di seconda generazione da 90 g/km. Recentemente, Fiat ha introdotto un motore a benzina più potente (120 cv) sul nuovo Doblò Natural power. Crede che altri modelli adotteranno questo propulsore? La tecnologia Natural power su un propulsore turbo sarà estesa a nuovi modelli. L'approccio di Fiat è ampliare l'offerta, combinando tecnologie tradizionali e alternative. Per proporre un altro esempio, in futuro applicheremo il bicilindrico Twinair a un motore Natural power per raggiungere un livello d'emissioni pari a 80 g/km. Pensa che esista un'ansia da autonomia anche per i veicoli a benzina/metano, dovuta al numero insufficiente di distributori di metano nel nostro paese (in particolare, fuori dei principali centri urbani)? La doppia alimentazione nasce proprio dalla necessità di abbinare ai vantaggi del metano, la facilità di rifornimento della benzina, per fornire una soluzione confortevole anche nelle zone dove i distributori a metano sono meno diffusi. In questo modo il metano non rappresenta un vincolo imprescindibile per il cliente, ma un'opportunità per ridurre i costi e le emissioni di CO2. (Luca Re http://energia24club.it , 7 aprile 2011) UNITELNews24 18 Batterie raccogli-energia Batterie speciali per immagazzinare l'energia ricavata dalle fonti rinnovabili. Le ha presentate Fraunhofer, la nota organizzazione europea per la ricerca. Affrontano uno dei problemi che più minaccia la sostenibilità economica di alcune energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico): la discontinuità della produzione. Da tempo la ricerca ipotizza batterie adatte a immagazzinare l'energia prodotta in eccesso da queste fonti, per poi immetterla in rete nei momenti di calo (se non c'è sole o vento). Le batterie di Fraunhofer sono un tassello in questa direzione. Sono a flusso ricaricabile redox: chiamate così perché entrambe le semicelle della batteria hanno coppie redox di vanadio chimico, per eliminare problemi di contaminazione dovuti alla diffusione di ioni attraverso la membrana. Il vantaggio di questa tecnologia è che per aumentare la capacità basta usare serbatoi di maggiore grandezza. Lo svantaggio principale è il basso rapporto tra energia e volume della batteria. L'obiettivo è quindi realizzare grandi impianti fissi, da almeno 20 MWh (quanto un campo da pallavolo), con queste batterie. Sarebbe un'energia sufficiente ad alimentare circa 2mila abitazioni. Ma si è ancora lontani dal riuscirci. La batteria di Fraunhofer per ora arriva a 2 kW. I ricercatori già lavorano però per migliorare la scala: prevedono la nascita del primo impianto a 20 kW entro fine 2012 e di costruire una batteria da 80 kW nei propri laboratori. Ci vorranno almeno cinque anni, secondo Fraunhofer, per superare la soglia del megawatt. (Alessandro Longo, Il Sole 24 ORE Nova24 7 aprile 2011) Il solare flessibile L'innovazione passa da specchi parabolici più piccoli, turbine a temperature minori e impianti ibridi Il solare a misura dell'Italia nasce in queste settimane ad Hawaii. Dove la Sopogy Usa, specializzata in piccoli specchi parabolici, sta installando un campo solare da 5,5 megaWatt per dare elettricità (là piuttosto costosa) all'isola. Usando come "motori" due turbine della Turboden di Brescia, capaci di lavorare con efficienza anche alle medie temperature dell'olio riscaldato nel campo di specchi. Il primo esempio, in pratica, di un solare termodinamico innovativo. Capace di produzione elettrica (e termica) continua, ma su spazi relativamente piccoli, flessibile, modulare, espandibile e soprattutto a costi bassi e in futuro decrescenti. Forse con una traiettoria verso la "grid parity" (la parità di mercato dell'energia prodotta) pari al fotovoltaico. «Il termodinamico, a grandi campi di specchi parabolici o torri che concentrano il calore solare a 400 o persino a mille gradi finora è stato sinonimo di grandi impianti – spiega Diego Maria Albrigo di Turboden – ovvero taglie da 50-100 megaWatt, alte temperature dei fluidi termovettori (olii speciali o sali fusi), grandi campi da almeno 200 ettari in zone desertiche». Le aziende spagnole e americane i loro conti, a proposito, se li sono fatti bene. Questo solare termodinamico, fino alle grandi turbine a vapore surriscaldato, funziona con efficienza, soltanto su queste scale «ma in Italia, e non solo, sarebbe impossibile trovare estensioni di tale ampiezza. Di qui un approccio diverso». È quello che aziende come la Turboden di Brescia, la Fera di Milano e la Xeliox del gruppo Donati stanno sviluppando. «Il primo punto sta nel "motore". La turbina tradizionale non è efficiente a 2-300 gradi, media temperatura. Le nostre invece, che lavorano con fluidi siliconici basso-bollenti, danno in quella fascia un buon 25% di efficienza. Questo significa che l'intero campo solare non deve lavorare a oltre 400 gradi, con grandi specchi alti cinque metri e tubi di concentrazione in vetro sottovuoto e materiali speciali, ma a 2-300 gradi: in questo modo si possono usare specchi più piccoli, olii minerali normali più economici e rendere ibrido e modulare l'impianto». Per esempio un grande cementificio italiano in Marocco già usa le turbine bresciane per il recupero di energia dai fumi dell'impianto (al 70%). E sta valutando un altro 30% di energia che potrebbe venire dagli specchi solari. «Le fonti di calore a media temperatura si possono combinare tra loro – spiega Paolo Bertuzzi, direttore commerciale di Turboden –. Oggi abbiamo alcuni progetti in aree agricole che associano caldaie a biomassa con il solare. Insieme a un semplice serbatoio di accumulo dell'olio caldo. In questo modo si possono realizzare impianti da un megaWatt su 3-4 ettari. Capaci di energia continua, a chilometro zero e su estensioni ragionevoli». Il costo di investimento di un impianto di questo tipo si aggira intorno ai tre euro per watt e con la tariffa incentivata in vigore (28 centesimi al chilowattora) la stima della Turboden è che l'impianto si ripaghi in otto anni. E infine questi tre euro per watt sono solo l'inizio. I costi scenderanno, per esempio con lo sviluppo di tecnologie più semplici come gli specchi piani di Fresnel che la Fera sta sviluppando in Sicilia. E a due euro per watt il termodinamico ibrido e flessibile «Made in Italy» UNITELNews24 19 potrebbe davvero decollare su vasta scala. (Giuseppe Caravita, Il Sole 24 ORE Nova24 7 aprile 2011) Terna completa la cessione di Rete Rinnovabile Operazione da oltre 600 milioni di euro: la società specializzata nel fotovoltaico passa al fondo Terra Firma Nell'approvare “il miglior bilancio degli ultimi cinque anni”, il consiglio d'amministrazione di Terna chiude il 2010 con investimenti diretti in due direzioni. Non solo verso le attività tradizionali (potenziamento delle linee elettriche nazionali), ma anche verso le fonti alternative; e proprio in quest'ultimo settore, Terna ha completato nei giorni scorsi la cessione al fondo di private equity Terra Firma del cento per cento di Rete rinnovabile, società specializzata nel fotovoltaico e controllata da Terna attraverso SunTergrid. Il valore complessivo dell'operazione, prevista dall'accordo siglato lo scorso ottobre dalle parti interessate, è pari a 641 milioni di euro. Come si legge in una nota della società che gestisce la rete elettrica italiana, “la cessione della partecipazione di Rtr ha generato proventi netti complessivi di circa 204 milioni di euro”. Rete rinnovabile possiede 62 impianti fotovoltaici in undici regioni del nostro paese, con una potenza totale installata di 143,7 Mw di picco; 101,6 Mw riceveranno le tariffe del conto energia 2010, mentre i restanti rientrano nel terzo conto energia in vigore fino al primo quadrimestre 2011. Terna, come stabilito da contratti pluriennali nell'ambito della cessione, fornirà diversi servizi a Rete rinnovabile, tra cui la manutenzione e sorveglianza degli impianti, oltre all'affitto dei terreni. Grazie a quest'operazione, Terna ridurrà l'indebitamento finanziario netto effettivo delle attività continuative del gruppo per oltre 200 milioni di euro. I proventi, aggiunge la nota della società, saranno reinvestiti nel 2011 per sviluppare nuovi progetti fotovoltaici, mentre una parte della somma servirà per integrare la politica di dividendi. (http://energia24club.it , 4 aprile 2011) Il solare termico italiano può cambiare passo Dopo un 2010 positivo, il settore dovrebbe beneficiare della riforma degli incentivi stabilita dal Decreto rinnovabili Per il solare termico italiano sembra arrivata l'ora della svolta: archiviato un 2010 positivo, il comparto è atteso nei prossimi anni ad una grande crescita, grazie alle novità attese nel sistema di incentivazione e allo sviluppo degli interventi di riqualificazione energetica residenziale. Il quadro positivo è tratteggiato dall'ultima edizione del Solar Energy report del Politecnico di Milano. Eppure, a livello europeo, il 2010 non è stato un anno fortunato per il mercato del solare termico: a livello continentale sono stati infatti installati circa 3,6 milioni di m2 di nuovi collettori solari, il 14% in meno rispetto al 2009. La potenza cumulata a fine 2010 risultava invece pari a 24,7 Gwth, a cui corrispondevano circa 35,3 milioni di m2 di collettori solari. Il rallentamento è stato provocato soprattutto dal blocco temporaneo degli incentivi del Paese leader di mercato, ovvero la Germania, dove la nuova capacità installata è diminuita del 26% rispetto al 2009. L'Italia, al contrario, ha fatto segnare una performance in controtendenza: la nuova capacità installata è cresciuta lo scorso anno del 2% rispetto al 2009, per un totale di 400.000 m2 di collettori e un volume d'affari complessivo di quasi 500 milioni di euro. Il dato fa dell'Italia il secondo Paese europeo in termini di installazioni annuali (la Germania resta comunque al primo posto) e la potenza cumulata è così salita a circa 1,7 Gwth a fine 2010. Il comparto, osserva la ricerca del Politecnico, è stato spinto dalla detrazione fiscale del 55% per le spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici, che ha sostenuto efficacemente le installazioni. Eppure il solare termico nel nostro Paese presenta ancora un grande potenziale inespresso, specialmente in quelle aree dove sarebbe più conveniente, ovvero nelle regioni a elevato irraggiamento. Al contrario, la grande maggioranza della potenza installata (64%) si trova nelle regioni del Nord (che in buona parte hanno recepito i requisiti minimi di installazione del solare termico stabilito dal Dlgs 192 del 19/8/2005) il 23% al centro e soltanto il 13% nel Meridione. A cambiare questa situazione potrebbe essere l'attesa rivoluzione nel sistema di incentivazione. Una novità, in realtà,è già stata introdotta dalla finanziaria 2011 e non è stata certo salutata con soddisfazione dagli operatori del settore: il Governo ha infatti stabilito che, a partire dal 2011, la detrazione fiscale del 55% sarà rimborsata in 10 anni e non più in 5. Il provvedimento, secondo le associazioni di categoria, rischia di scoraggiare gli investimenti. In compenso però, il Decreto rinnovabili dello scorso marzo (contestatissimo dalle associazioni del fotovoltaico) riconosce pari dignità all'energia termica e all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, superando così uno storico gap del sistema di incentivazione nazionale. In particolare l'articolo 26 del Decreto stabilisce UNITELNews24 20 l'introduzione di specifici incentivi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per gli interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni. A partire dal 31 dicembre 2011 (periodo in cui dovrebbe aver termine la detrazione del 55%) per questi impianti saranno rilasciati incentivi commisurati alla quantità di energia prodotta, per una durata non inferiore ai 10 anni a decorrere dalla data di conclusione dell'intervento. Al momento l'ammontare di questi incentivi è ancora sconosciuto, ma entro i prossimi cinque mesi il Governo indicherà le tariffe nei decreti attuativi. Sicuramente il solare termico beneficerà anche di una semplificazione normativa: l'articolo 6 bis del Decreto rinnovabili indica che gli interventi di installazione dei collettori sono da considerarsi come attività di edilizia libera, per cui è sufficiente l'obbligo di comunicazione di inizio dei lavori (anche per via telematica) all'amministrazione comunale competente. Queste novità normative, unite alla spinta europea per la neutralità energetica degli edifici, dovrebbero spingere il solare termico in Italia dove, tra l'altro, potrebbe anche affermarsi la tecnologia del solar cooling (climatizzazione con enegia solare). (G. Tor. http://energia24club.it 13 Aprile 2011) La Cina guida la crescita degli investimenti nelle fonti pulite L'incremento nel 2010 è stato del 30%, per un ammontare complessivo pari a 243 miliardi di dollari Gli investimenti in energia pulita (eolica, solare, ecc.) sono saliti del 30% nel 2010, raggiungendo i 243 miliardi di dollari a livello mondiale, con la Cina in testa al gruppo, secondo un rapporto del Pew Charitable Trust, Ong americana. "Il centro di gravità dell'energia pulita è ormai in movimento da ovest (Europa e Usa) a est (Cina, India e altri paesi asiatici)", ha evidenziato l'organizzazione. La Cina è il paese che ha attirato la maggior parte degli investimenti in energia pulita nel 2010, con 54,4 miliardi dollari, seguita da Germania (41,2 miliardi), Stati Uniti (34), Italia (13,9) e Brasile (7,6). In percentuale del prodotto interno lordo, la Germania è il paese che ha fornito il massimo sostegno a favore delle energie verdi nel 2010 (1,4% del Pil). Gli investimenti in Germania sono stati sostenuti da "un aumento massiccio di pannelli solari di piccole dimensioni sui tetti", secondo Pew. La Cina, invece, deve il suo status di "superpotenza energetica pulita" a obiettivi aggressivi e a "una chiara ambizione" di dominare il settore. Nel 2010, Pechino ha fornito quasi metà dei moduli solari e delle turbine eoliche del mondo. Il Paese ha anche concentrato il 47% degli investimenti globali in energia eolica. Al contrario gli Stati Uniti, in prima posizione sino al 2008, hanno perso terreno nella competizione globale a causa della mancanza di politiche energetiche "ambiziose e prevedibili". Per la prima volta, l'India si è iscritta al top 10 della classifica, assorbendo quattro miliardi di dollari, per un aumento del 25 per cento. Il rapporto americano cita anche l'Italia, che ha attirato l'anno scorso 13,9 miliardi dollari, migliorando la sua posizione a livello mondiale al quarto posto, in netto progresso rispetto all'ottava piazza del 2009. Addirittura, secondo la Pew, l'Italia sarebbe il primo paese a raggiungere la grid parity per l'energia solare (in realtà, come dimostra il dibattito sugli incentivi, gran parte del territorio nazionale è ben lontano da questo obiettivo, ndr). Complessivamente la capacità installata globale di energia pulita è stata pari a 388 Gw nel 2010, equivalenti a circa 400 reattori nucleari, di cui il 25% installato in Cina. Il vento costituisce la quota maggiore con 193 Gw, seguita dalle piccole centrali idroelettriche (80 Gw), le biomasse (65 Gw) e l'energia solare (43 Gw). L'energia eolica ha continuato a essere anche la tecnologia favorita dagli investitori, con ben 95 miliardi di dollari di capitali. Tuttavia, il settore solare ha registrato una crescita significativa nel 2010, con investimenti in crescita del 53%, per una cifra record di 79 miliardi dollari e più di 17 Gw di nuova capacità di generazione a livello globale. In questo caso, la parte del leone è stata fatta dalla Germania, che ha rappresentato il 45% degli investimenti globali in energia solare. Dall'analisi degli investimenti emergono aspetti importanti: la grande maggioranza (118 milioni di dollari, +15% rispetto al 2009) è rappresentata da operazioni di asset financing, ovvero denaro investito nella realizzazione di nuovi impianti di generazione. Altri 56,4 miliardi di dollari (+100%) sono stati destinati ai piccoli impianti di generazione distribuita, ovvero con capacità inferiore a 1 Mw. Il public market financing, ovvero il denaro investito nelle aziende “green” quotate in Borsa, vale 15,9 miliardi di dollari, il 27% in più rispetto al 2009, ma comunque sotto ai livelli di picco del 2007 (oltre 23 miliardi). Buona anche la performance del venture capital nelle energie pulite: i finanziamenti dei fondi di investimento sono cresciuti del 26%, per un totale di 8,1 miliardi di dollari, di cui oltre sei arrivano dagli Usa. Trentacinque miliardi di dollari, infine, sono attribuibili a investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo. "Il settore dell'energia pulita sta emergendo come uno dei più dinamici e competitivi del mondo, UNITELNews24 21 come testimonia il 630% di crescita nel campo della finanza e degli investimenti dal 2004 a oggi", ha dichiarato Phyllis Cuttino, direttore del Pew's Clean Energy Program. "Paesi come Cina, Germania e India sono stati attraenti per i finanziatori perché hanno politiche nazionali che supportano gli standard di energia rinnovabile, gli obiettivi di riduzione del carbonio, assicurano incentivi per gli investimenti e la produzione e sono in grado di offrire certezze a lungo termine per gli investitori". (http://energia24club.it , 1° aprile 2011) Fisco Cedolare secca sugli affitti In merito all’esercizio, da parte del locatore, dell’opzione per l’applicazione della cedolare secca, è stabilito che la stessa vada esercitata in sede di registrazione del contratto o, in caso di proroga dello stesso, nel termine di versamento dell’imposta di registro. In caso di contratti che non necessitano della registrazione in termine fisso, il locatore può applicare la cedolare in sede di dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è prodotto il reddito o, in alternativa, in sede di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria. L’opzione vincola il locatore per tutta la durata del contratto o della proroga o per il residuo periodo di durata del contratto (se l’opzione viene esercitata nelle annualità successive alla prima). Si ricorda che la cedolare secca, calcolata sul canone di locazione stabilito dalle parti, sostituisce l’Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dagli immobili cui si riferisce l’opzione, l’imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del contratto e l’imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione. In merito al versamento della cedolare secca, è disposto che lo stesso debba essere effettuato con le modalità di cui all’art. 19, D.Lgs. 241/1997. In particolare, per il versamento del saldo si applicano le norme relative al versamento del saldo dell’Irpef, mentre per il versamento dell’acconto, va fatta la seguente distinzione: - per il 2011, il versamento dell’acconto (nella misura dell’85% dell’imposta dovuta) va fatto in unica soluzione entro il 30.11.2011 (se inferiore a e 257,52), o in due rate (se pari o superiore a e 257,52%) la prima del 40% entro il 16.6.2011 o entro il 18.7.2011 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11.2011; - dal 2012, il versamento dell’acconto (nella misura del 95% dell’imposta dovuta per l’anno precedente) va effettuato in unica soluzione entro il 30.11 di ogni anno (se inferiore a e 257,52) o in due rate (se pari o superiore a e 257,52) la prima del 40% entro il 16.6 di ogni anno o entro il 16.7 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11 di ogni anno. (R.Co. , Il Sole 24 ORELa Settimana Fiscale, n. 15/2011) Scelta sulla cedolare secca: tutto pronto per procedere Con l'approvazione del provvedimento dell'Agenzia delle entrate 7 aprile 2011 è ora possibile optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva (cedolare secca) sulla tassazione del reddito da locazione derivante dal possesso di beni immobili a uso abitativo e relative pertinenze locate da persone fisiche. In particolare, il provvedimento in questione disciplina in merito alle modalità di esercizio dell'opzione, alla durata e revoca dell'opzione e al versamento in acconto e a saldo dell'imposta sostitutiva. Come ormai noto, la possibilità di optare per il nuovo regime facoltativo di imposizione degli immobili locati a uso abitativo consiste nell'applicazione sul canone di locazione di un'imposta sostitutiva determinata come "cedolare secca" (21% per i contratti a canone libero e 19% per quelli a canone concordato). L'imposta dovuta nella forma della cedolare secca sostituirà: • l'Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dalle unità immobiliari alle quali si riferisce l'opzione, nei periodi d'imposta ricadenti nel periodo di durata dell'opzione; • l'imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del contratto per il quale si applica l'opzione; • l'imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione. Inoltre, la cedolare sostituisce l'imposta di registro e l'imposta di bollo, ove dovuta, sulle risoluzioni e proroghe del contratto di locazione qualora: • alla data della risoluzione anticipata sia in corso l'annualità per la quale è stata esercitata l'opzione per la cedolare secca; • venga esercitata l'opzione per la cedolare secca per il periodo di durata della proroga. UNITELNews24 22 Esercizio dell'opzione. Il provvedimento stabilisce che l'opzione vada espressa in sede di registrazione del contratto con le seguenti modalità: • presentazione diretta (cartacea) all'ufficio del "nuovo modello 69" (che per inciso può sostituire anche il modello CDC per la comunicazione dei dati catastali); • invio telematico del software "Siria" (Servizio Internet per la registrazione dei contratti relativi ad immobili adibiti ad abitazione), solo se il contratto rispetta determinate caratteristiche. Il provvedimento prevede poi l'applicazione di una disciplina transitoria avente efficacia per l'anno d'imposta 2011, dove viene disciplinato che per i contratti già in corso alla data di entrata in vigore del provvedimento (7 aprile 2011) il locatore può applicare la cedolare secca in sede di dichiarazione dei redditi da presentare nell'anno 2012 per i redditi 2011. Tale facoltà può essere esercitata anche per tutti i contratti in corso anche se scaduti o volontariamente risolti prima del 7 aprile 2011. Nel provvedimento si specifica poi che per i contratti in corso alla data del 7 aprile 2011 per cui sono state già assolte le imposte indirette applicabili al contratto non si fa luogo al rimborso dell'imposta di registro e di bollo versate. Per ciò che attiene, invece, alle imposte dirette va specificato che, in ipotesi di volontà di avvalersi del regime opzionale fin già dal 2011 il locatore è tenuto per il periodo d'imposta 2011 al versamento dell'acconto secondo le modalità più sotto specificate. Una sorte di "mini proroga" è poi prevista per i contratti per i quali il termine di registrazione scade tra il 7 aprile 2011 e il 6 giugno 2011 dove, anche ai fini dell'opzione, la registrazione può essere effettuata entro tale ultimo termine (1). Alla luce di quanto esposto l'opzione può essere così esercitata: SCADENZA QUANDO OPTARE COMMENTI Contratti in corso già registrati al 7 aprile 2011 (anche se risolti, scaduti o prorogati alla stessa data), con imposta di registro già pagata In dichiarazione dei redditi 2012 (periodo d'imposta 2011) No rimborso imposta di registro e bollo già pagati. Il locatore deve versare l'acconto se dovuto Contratti registrati a partire dal 7 aprile 2011 o prorogati e con versamento dell'imposta di registro non scaduta Con la registrazione del contratto Per i contratti prorogati l'opzione va fatta con il modello 69 Contratti per cui la registrazione scade Entro il 6 giugno 2011 tra oggi e il 6 giugno 2011 Contratti risolti a partire da oggi o per i Entro il termine di versamento dell'imposta di quali non è ancora scaduto il termine registro relativa alla di pagamento dell'imposta di registro risoluzione dovuta per la risoluzione Nel caso di contratti per i quali non sussiste l'obbligo di registrazione in termine fisso, l'opzione potrà essere esercitata direttamente in sede di dichiarazione dei redditi o, qualora il contratto sia registrato per il caso d'uso o volontariamente, in sede di registrazione. Risoluzione del contratto nel 2011. In caso di risoluzione del contratto di locazione in corso alla data del 7 aprile 2011 o di risoluzione per la quale, alla stessa data, non è scaduto il termine per il pagamento dell'imposta di registro, l'opzione per la cedolare secca si può esprimere entro il termine di versamento dell'imposta di registro per la risoluzione, mediante il modello 69, e ha effetto per l'applicazione della cedolare secca relativa all'anno 2011. L'opzione espressa in sede di risoluzione del contratto consente di non versare l'imposta di registro e l'imposta di bollo, ove dovuta, sulla risoluzione stessa e il locatore è tenuto al versamento dell'acconto, se dovuto, della cedolare secca relativa al periodo d'imposta 2011. Contratti aventi a oggetto più immobili. Nel caso in cui il contratto di locazione riguardi unità immobiliari abitative, per le quali viene esercitata l'opzione per l'applicazione della cedolare secca, UNITELNews24 23 e altri immobili per i quali non è esercitata l'opzione, l'imposta di registro è calcolata solo sui canoni riferiti a questi ultimi immobili. Se il canone è pattuito unitariamente, l'imposta di registro è calcolata sulla parte di canone imputabile a ciascun immobile in proporzione alla rendita. In ogni caso, si deve pagare l'imposta di bollo sul contratto di locazione. Contitolarità dei diritti sull'immobile. In caso di contitolarità dell'immobile, l'opzione deve essere esercitata distintamente da ciascun locatore. I locatori contitolari che non esercitano l'opzione sono tenuti al versamento dell'imposta di registro calcolata sulla parte del canone di locazione loro imputabile in base alle quote di possesso. Deve essere comunque versata l'imposta di bollo sul contratto di locazione. L'imposta di registro deve essere versata per l'intero importo stabilito nei casi in cui la norma fissa l'ammontare minimo dell'imposta dovuta. Durata e revoca. L'opzione, una volta esercitata, vincolerà il locatore all'applicazione del regime della cedolare secca per l'intero periodo di durata del contratto o della proroga, salva sempre la facoltà di revoca dell'opzione. La revoca va effettuata entro il termine previsto per il pagamento dell'imposta di registro relativa all'annualità di riferimento e comporta il versamento dell'imposta dovuta. L'eventuale revoca non preclude, comunque, la possibilità di optare nelle annualità successive residue di contratto. Così come il mancato esercizio dell'opzione, nella prima annualità del contratto, non preclude la possibilità di opzione per le annualità successive, nel termine per il versamento dell'imposta di registro, con presentazione del modello 69. Comunicazione all'inquilino. Il locatore (proprietario) che decide di avvalersi del nuovo regime deve darne comunicazione al conduttore (affittuario). La comunicazione va effettuata (pena l'inefficacia dell'opzione) con raccomandata e deve contenere la rinuncia alla facoltà di chiedere, per tutta la durata dell'opzione, l'aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel contratto, inclusa la variazione accertata dall'Istat dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dell'anno precedente. Come si versa. La cedolare deve essere versata entro il termine stabilito per il versamento Irpef (acconto e saldo). Per il 2011, l'acconto deve essere versato nella misura dell'85% e, a partire dal 2012, nella misura del 95 per cento. Il versamento dell'acconto va effettuato con gli stessi criteri dell'acconto Irpef, e quindi in un'unica soluzione, entro il 30 novembre 2011, se l'importo è inferiore a 257,52 euro. Se l'importo dovuto è superiore a 257,52 euro, si versa in due rate, di cui: • la prima, del 40%, entro il 16 giugno 2011 oppure entro il 18 luglio 2011 con la maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse; • la seconda, del restante 60%, entro il 30 novembre 2011. L'acconto non è dovuto se il contratto è stipulato nel mese in cui cade il termine del versamento. In particolare: • l'acconto da versare entro il 16 giugno è dovuto per i contratti stipulati entro il 31 maggio e non è dovuto per i contratti stipulati a partire dal 1° giugno; • l'acconto da versare entro il 30 novembre è dovuto se il contratto è stipulato entro il 31 ottobre. L'acconto non deve essere versato per i contratti stipulati a partire dal 1° novembre. A partire dal 2012 l'acconto (pari al 95%) potrà essere calcolato anche con il metodo storico, sulla cedolare secca dell'anno precedente. I modelli per l'approvazione Come sopra segnalato, pertanto, l'opzione, verrà esercitata o con il rivisto modello 69 o col nuovo modello telematico semplificato di denuncia "Siria". Quest'ultimo modello telematico, tuttavia può essere utilizzato per la registrazione del contratto e della relativa opzione solo se la locazione presenta le seguenti caratteristiche: • numero di locatori non superiore a tre tutti optanti tutti per la cedolare; • numero dei conduttori non superiore a tre; • una sola unità abitativa con massimo tre pertinenze, a condizione che tutti gli immobili siano censiti con attribuzione di rendita; • contiene esclusivamente la disciplina del rapporto di locazione e non altre pattuizioni. UNITELNews24 24 Relativamente al modello 69, si rileva che lo stesso è stato modificato per permettere l'esercizio dell'opzione in tutte le ipotesi contemplate nel provvedimento (quindi, anche in caso di proroghe o risoluzioni del contratto). Il nuovo modello 69 potrà anche sostituire il modello di "Comunicazione dati catastali CDC" (provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 25 giugno 2010) per gli adempimenti a esso connessi. Sul punto si rileva che nel citato modello va posta particolare attenzione ai quadri E ed F da compilare con particolare attenzione in quanto previsti solo in ipotesi di contratti di locazione a uso abitativo. Nella fattispecie, si segnala che nel riquadro di cui alla lettera F va posta particolare attenzione all'ultima colonna, nella quale bisogna indicare l'opzione per la cedolare secca. _____ (1) Ad esempio per un contratto di locazione concluso in data 15 marzo 2011, c'è tempo per poter procedere con la registrazione del contratto, anche ai fini dell'esercizio dell'opzione, fino al 6 giugno 2011. (Lorenzo Pegorin, Il Sole 24 ORE - Guida Normativa, 12 aprile 2011, n. 70) La cedolare secca subito alla prova dell'acconto all'85% La cedolare secca subito alla prova dell'acconto all'85% Per due milioni di proprietari di abitazioni affittate, è arrivato il momento della scelta. Cedolare secca sì o no? L'aliquota al 21% sul reddito da locazione (19% per i canoni concordati) chiama tutti – fin da subito – a destreggiarsi tra due momenti chiave: l'esercizio dell'opzione e il pagamento dell'acconto d'imposta. I proprietari di abitazioni date in affitto in virtù di contratti già registrati potranno applicare la cedolare nel 730 o in Unico 2012. Nell'immediato, le loro incombenze saranno il versamento dell'acconto – entro il 16 giugno – e l'invio della raccomandata all'inquilino, con cui lo informano di aver scelto la cedolare e rinunciano all'aggiornamento del canone. Diversa, invece, la situazione di coloro che stanno stipulando in queste settimane un nuovo contratto. I proprietari che alla data del 7 aprile – giovedì scorso – dovevano ancora registrare il contratto di locazione, avranno tempo per farlo fino al 6 giugno e potranno scegliere la cedolare al momento della registrazione (in via telematica con il software Siria o con il modello 69 cartaceo). Anche per loro, poi, ci sarà l'appuntamento con l'acconto. Il test di convenienza Il calcolo della convenienza va fatto confrontando prima di tutto le aliquote "piatte" (21% o 19%) con l'aliquota marginale Irpef che si applica al contribuente. Bisogna tenere conto del fatto che la cedolare si applica su tutto il canone, mentre l'Irpef ha le deduzioni forfettarie (15% sul canone di mercato, 40,5% su quello concordato). Ma non ci si può fermare qui: va anche valutato il fatto che la cedolare assorbe l'imposta di bollo e di registro (senza restituire quelle già versate) più le addizionali comunali e regionali. Mentre, in negativo, "congela" il canone. In generale, la cedolare conviene a chi si colloca almeno nel secondo scaglione Irpef (dai 15mila euro di reddito in su) e affitta a canone libero, mentre se il canone è concordato la convenienza è certa solo dal terzo scaglione (dai 28mila euro). Tutto questo senza considerare le detrazioni: chi ha il 36 o il 55%, a esempio, potrebbe vedere il bonus fiscale vanificato (per incapienza) dalla minor Irpef legata alla scelta della cedolare. Gli acconti Per stabilire l'importo dell'acconto bisogna calcolare l'85% della cedolare dovuta per il 2011, tenendo conto che: - per importi fino a 51,65 euro l'acconto non è dovuto; - se il risultato è inferiore a 257,52 euro, l'acconto è versato tutto entro il 30 novembre; - se il risultato è uguale o superiore a 257,52 euro, l'acconto è versato in due rate: la prima, nella misura del 40%, entro il 16 giugno; la seconda, nella misura del 60%, entro il 30 novembre. UNITELNews24 25 A esempio, su un contratto con un canone di mercato di 6mila euro all'anno (500 euro al mese) registrato nel 2010, l'acconto per il 2011 è di 1.071 euro, con una prima rata di 428,40 euro e una seconda di 642,60. Inoltre, il versamento della prima rata può essere rinviato al 18 luglio con la maggiorazione dello 0,40% oppure rateizzato seguendo le stesse regole previste per l'Irpef. Dato che la norma è appena entrata in vigore, viene prevista anche una disciplina transitoria: i contratti con decorrenza dal 1° giugno in poi, versano sempre l'acconto in una rata unica entro il 30 novembre; quelli con decorrenza dal 1° novembre, invece, non versano acconto. L'incrocio con il 730 L'acconto va sempre versato con il modello F24, anche da parte dei contribuenti che si avvalgono dell'assistenza fiscale. Chi presenta il 730, quindi, oltre a dover adempiere all'obbligo di calcolare e versare autonomamente l'acconto sulla cedolare, rischia di vedersi prelevare anche gli acconti per Irpef e addizionale comunale dalla busta paga. Infatti, se nel quadro B del modello 730 sono stati dichiarati per il 2010 redditi di fabbricati derivanti dalla locazione di uno o più immobili, il soggetto che presta assistenza fiscale procederà al calcolo degli acconti per il 2011 anche su tale importo. Per ovviare a questo inconveniente, potrebbe essere utile indicare nel quadro F del 730 di voler versare un acconto in misura inferiore, escludendo dall'acconto dovuto in base al metodo storico, il canone di locazione dei fabbricati per i quali si intende optare per la cedolare secca. Lo stesso calcolo potrà essere effettuato da parte dei contribuenti che presentano il modello Unico o Mini-Unico, che sono comunque tenuti a liquidare da sé le imposte dovute. Nonostante il provvedimento delle Entrate non abbia affrontato il tema degli acconti 2011 per Irpef e addizionali, è ragionevole ritenere che questi ultimi non siano dovuti sul reddito derivante dalla locazione di fabbricati per i quali sia esercitata l'opzione per la cedolare. (Cristiano Dell'Oste e Luciano De Vico, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011) Le sanzioni amministrative sono un tesoro da 1,4 miliardi Gli incassi dei Comuni. A Firenze il valore pro capite più alto. Oltre alle entrate tributarie, i Comuni possono contare per il proprio sostentamento anche sulle sanzioni amministrative, prime fra tutte quelle derivanti dalle infrazioni al Codice della strada. Le entrate complessive da sanzioni ammontano a ben 1,4 miliardi di euro,; risorse che da sole valgono il 14% delle entrate comunali non derivanti da tributi. A rilevare questi dati è lo studio condotto dal ministero dell'Economia attraverso Siope, il sistema operativo che monitora e rileva i flussi di cassa di tutte le amministrazioni pubbliche. Il valido salvagente delle sanzioni amministrative si riscontra in tutta Italia, in misura sempre crescente, se è vero che dal 2008 al 2010 le entrate comunali sotto questa voce sono aumentate del 9%. Questo è anche un segnale dell'affinamento della macchina della riscossione locale, sulla quale i sindaci fanno sempre più affidamento per fare cassa e contrastare un po' il problema dello stop ai trasferimenti statali e del blocco dell'aumento delle addizionali. Nei dati rilevati, poi, è compresa anche la “coda” della mini-sanatoria delle multe elevate fino al 31 dicembre 2004: chance aperta dalla manovra estiva del 2009 che, tuttavia, ha riguardato solo alcune grandi città (ad esempio, Roma e Napoli). L'aumento percentuale più rilevante delle entrate da sanzioni amministrative si è avuto nei Comuni delle Isole (+15,4%), ma in valore assoluto i risultati più consistenti si rilevano nelle città e nei paesi del Nordovest (484 milioni di incassi). Questa tendenza è confermata anche dai dati provenienti dai Comuni capoluogo di Regione o Province Autonome. Firenze risulta essere la città con le maggiori entrate in assoluto. Questo si spiega con il maggior numero di autovelox installati, ma anche con il fatto che, essendo una città d'arte, ha un flusso di turismo maggiore e questo fa aumentare il procapite. I centri più grandi, inoltre, sono interessati più di altri dal fenomeno del pendolarismo lungo le strade cittadine, il che fa aumentare le possibilità che si verifichino infrazioni e, di conseguenza, maggiori sanzioni. (G. Par. Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi 12 aprile) Lavoro e previdenza Inidoneità psicofisica e risoluzione di rapporto di lavoro nella PA L’accertata e permanente inidoneità psicofisica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche può essere causa di risoluzione del rapporto di lavoro. Lo stabilisce uno schema di regolamento UNITELNews24 26 esaminato dal Consiglio dei ministri del 7 aprile 2011 che interviene a tutela dell’efficienza e del buon andamento della pubblica amministrazione. La procedura viene attivata in caso di assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto, disturbi del comportamento gravi e ripetuti, condizioni fisiche che facciano presumere la inidoneità fisica al servizio. Destinatari del regolamento sono i dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, delle amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, delle università e delle Agenzie. Al personale in regime di diritto pubblico (come magistrati, appartenenti alle forze di polizia, alla carriera diplomatica, ecc), si applica la disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti. L’iniziativa per l’avvio della procedura per l’accertamento dell’inidoneità spetta all’amministrazione di appartenenza del dipendente o allo stesso dipendente interessato. Il dipendente può presentare la relativa istanza in un qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova. L’amministrazione avvia la procedura nei seguenti casi: assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento; disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, condizioni fisiche che facciano presumere l’inidoneità fisica permanente al servizio. (Fonte www.governo.it) Illegittimo il vecchio spoil system Corte Costituzionale. Cade la norma che fino al 2009 ha permesso di sostituire i dirigenti pubblici. Il ricambio deve escludere chi svolge funzioni amministrative. La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 124 depositata ieri ha dichiarato illegittimo il vecchio meccanismo dello spoil system per i dirigenti pubblici e, anche, l'articolo 19, comma 8 del Dlgs 165/2001 nella sua versione precedente al vigore dell'articolo 40 del Dlgs 150/2009. La Corte ha ricordato che lo spoil system in origine era stato pensato solo per il rinnovo degli incarichi di segretario generale di ministeri, di direttore di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali e incarichi di livello equivalente, ma che poi nel tempo ilo meccanismo aveva avuto delle modificazioni che lo avevano esteso anche anche ad incarichi di livello dirigenziale generale e non generale. Nella sua pronuncia, la Corte Costituzionale analizza la complicata articolazione del meccanismo dello spoil system. Esso si distingue in tre profili. Il primo è quello oggettivo (ossia relativo al tipo e al livello di incarico conferito) e riguarda i titolari degli incarichi di cui all'articolo 19 del Dlgs 165/2001. Il secondo profilo è quello soggettivo (relativo alla provenienza del titolare dell'incarico) e si applica ai dirigenti pubblici non appartenenti ai ruoli di cui all'articolo 23 del Dlgs 1656/2001. Il terzo profilo è quello dell'efficacia nel tempo del meccanismo, visto che a regime esso è destinato ad essere applicato sempre ad ogni avvicendamento di Governo. Ebbene, per quanto riguarda il primo profilo (quello oggettivo), la Corte Costituzionale ha ricordato che già in precedenza ha individuato l'illegittimità dello spoil system applicato a incarichi dirigenziali che comportano compiti di gestione, cioè di “funzioni amministrative di esecuzione dell'indirizzo politico”. La Corte ritiene invece legittimo l'avvicendamento applicato alla dirigenza utilizzata dal Governo per svolgere l'attività di indirizzo politico amministrativo. Infatti, la Corte sottolinea come “non vi è dubbio che la disposizione censurata [con la propria pronuncia] si riferisca a incarichi che comportano esercizio di funzioni di gestione amministrativa. Più in particolare, essa si applica (…) a una tipologia di incarichi (incarichi dirigenziali di livello generale dell'amministrazione dello Stato) con specifico riferimento ai quali questa Corte ha già avuto modo di dichiarare l'illegittimità costituzionale di meccanismi di cessazione automatica disposti in via transitoria dal legislatore (sentenza 103/2007)”. Per quanto riguarda il secondo profilo (il soggettivo), la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale lo spoil system transitorio (una tantum), del tutto analogo, sotto il profilo soggettivo, a quello previsto attualmente. La Corte osserva, al riguardo, che “anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve essere (…) connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione”. Infine, riguardo il terzo profilo, quello dell'efficacia nel tempo, la Corte Costituzionale boccia un sistema che funzioni a regime, viso che la stessa Corte ha già dichiarato incostituzionale il sistema transitorio (una tantum). (Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore – Norme e tributi del 12 aprile, sintesi redazionale) UNITELNews24 27 Da aprile disoccupazione, mobilità e comunicazioni colf solo online Le domande di disoccupazione ordinaria, di indennità di mobilità e le comunicazioni obbligatorie per i lavoratori domestici saranno presentate all’Inps, a partire dal prossimo mese di aprile, esclusivamente attraverso il canale telematico. «L’Inps continua nel suo cammino di accentuata prossimità agli utenti e alla cittadinanza – ha dichiarato il Presidente dell’Istituto, Antonio Mastrapasqua – proseguendo in quel processo di digitalizzazione che coinvolgerà nel corso del 2011, con la dovuta gradualità, tutte le tipologie di domande da presentare all’Inps. I cittadini potranno attivare le procedure che li riguardano senza doversi scomodare da casa per andare allo sportello. Telematizzazione vuol dire trasparenza e semplificazione: l’Inps vuole essere al servizio del Paese e dei suoi cittadini secondo le modalità di comunicazione più moderne ed efficienti. Si tratta di una trasformazione dovuta, che sarà guidata e assistita per assicurare a tutti i cittadini l’accesso ai servizi e alle prestazioni». (www.inps.it , 04/04/2011) Rifiuti Rifiuti speciali: dai dati Ispra all’operatività del Sistri Che cosa s’intende per rifiuto speciale? Qual è la forma prevalente di gestione e recupero di questo tipo di rifiuti? I rifiuti speciali sono tutti pericolosi? Le risposte a queste domande si trovano nel Rapporto Rifiuti Speciali, a cura dell’Ispra che ha reso noti il 13 aprile scorso i dati sui rifiuti speciali relativi al 2008. In particolare, il Rapporto registra un calo della produzione dei rifiuti speciali pericolosi: quasi 70 mila (-0,6%) le tonnellate in meno registrate tra il 2007 ed il 2008 a fronte, però, di una crescita totale di rifiuti speciali di quasi 1,6 milioni di tonnellate (1,2%) per un totale di 138,7 milioni (rifiuti non pericolosi 72,4 milioni di tonnellate, pericolosi 11,3 milioni di tonnellate settore costruzioni e demolizioni 55 milioni). Di questi, quelli complessivamente gestiti nel 2008 (non pericolosi 91,7% e pericolosi 8,3%) ammontano ad oltre 143 milioni di tonnellate. In Italia la gestione dei rifiuti mostra una dimensione crescente nel tempo, fino a divenire talvolta vera e propria emergenza. Ma una risposta al problema, in senso positivo, viene oggi dal SISTRI, il sistema elettronico che consente di monitorare ed acquisire, in tempo reale, i dati sulla movimentazione dei rifiuti speciali, informando sulla gestione di quelli urbani, anche attraverso un efficace sistema di videosorveglianza sugli impianti di smaltimento del territorio. Per garantire la tracciabilità dei rifiuti speciali, a giugno di quest’anno diventa pienamente operativo il SISTRI, il sistema elettronico che consente di acquisire, in tempo reale, i dati sulla movimentazione dei rifiuti speciali, e che ci informa sulla gestione dei rifiuti urbani, anche attraverso un efficace sistema di videosorveglianza sugli impianti di smaltimento del territorio. (www.governo.it) Criteri di qualità per il recupero di rottami metallici e leghe Il 28 aprile p.v. entreranno in vigore (ma si applicheranno a partire dal 9 ottobre 2011 per consentire alle imprese di familiarizzare con il nuovo sistema), i criteri europei che determinano quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti e diventano risorse. I criteri fissati dal regolamento Ce 333/2011 del 31 marzo 2011 (direttamente applicabile in tutti gli Stati membri) rappresentano la prima attuazione della disciplina relativa al cd. “end of waste cessazione della qualifica di rifiuto", introdotta dall’articolo 6 della direttiva quadro sui rifiuti 2008/98 e codificata nell’ordinamento nazionale dall’articolo 184-ter del Dlgs 152/2006. al fine di conseguire livelli più elevati di riciclaggio e limitare l’estrazione di risorse naturali. Il regolamento prevede, in particolare, che i rottami di metallo non siano più classificati come rifiuti, a condizione che i produttori applichino un sistema di gestione della qualità (fondato su una serie di procedimenti documentali come il controllo di accettazione dei rifiuti ed il monitoraggio delle tecniche di trattamento) e dichiarino la conformità ai nuovi criteri per ciascuna partita di rottami trattata. Prima che i rottami possano perdere la qualifica di rifiuti, occorre, inoltre, terminare qualsiasi trattamento (taglio, frantumazione) necessario per preparare i rottami all’utilizzo finale in impianti di lavorazione dell’acciaio o dell’alluminio. (Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Smart Rifiuti, 18 aprile 2011) UNITELNews24 28 Rifiuti: sì popolare alla differenziata obbligatoria Oltre i tre quarti degli italiani (78% contro il 59% della media europea), crede che la raccolta differenziata per il riciclo e il compostaggio aumenterebbe se la separazione dei rifiuti diventasse obbligatoria per legge. Il 90%, poi, dichiara di effettuare già un minimo di differenziata. Questi alcuni dati emersi dall’ultima indagine di Eurobarometro, secondo cui la maggioranza degli europei (70%) e degli italiani (87%) concorda sul fatto che siano necessari migliori servizi di raccolta dei rifiuti. Ogni cittadino europeo in media produce 513 kg l’anno di immondizia, ma solo il 41% (il 38% degli italiani) è convinto di produrre troppi rifiuti. L’83% degli italiani, inoltre, preferirebbe pagare una cifra legata alla quantità di immondizia generata piuttosto che pagare tasse. Allo stesso tempo, però, gli italiani bocciano l’ipotesi di includere i costi di gestione dei rifiuti nei prezzi dei prodotti. (Il Sole 24 ORE Guida agli enti locali, 9 aprile 2011, n. 15) Più vicina la piena operatività del Sistri Secondo il ministro Stefania Prestigiacomo è stato consegnato il 97% delle chiavette Usb e il 95% delle black box La piena tracciabilità dei rifiuti è più vicina. Secondo quanto annunciato dal ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo nel corso di un'interrogazione parlamentare, sono state infatti consegnate quasi tutte le chiavette Usb e le black box per far partire il sistema Sistri, il sistema elettronico di controllo che consente la tracciabilità dei rifiuti speciali. La normativa prevede che ogni produttore dei rifiuti, attraverso un programma fornito con una chiavetta Usb, predisponga la propria scheda per il trasferimento dei rifiuti prodotti. La stessa operazione deve essere effettuata dal trasportatore sulla propria chiavetta Usb, che viene inserita dal conducente del mezzo sulla black box installata sul suo mezzo. ''La tracciabilità dei rifiuti - ha dichiarato la Prestigiacomo - è la prima forte risposta dello Stato al fenomeno delle ecomafie. Quella del Sistri è una rivoluzione di legalità e trasparenza oltre a un enorme risparmio per le imprese''. Il ministro ha ricordato come al 31 marzo 2011 è stato consegnato il 97% delle chiavette Usb e il 95% delle black box e ha sottolineato che, per quanto riguarda i costi, ''il ministero dell'Ambiente ha dimostrato grande sensibilità sul problema dei fondi sollevato dalle piccole imprese e con decreto ministeriale del 9 luglio 2010 ha ridotto i costi proprio per le piccole imprese. In ogni caso si tratta di costi inferiori rispetto a quelli che le imprese sopportavano con il sistema cartaceo. Come certificato dal ministero della Pubblica Amministrazione con il Sistri i costi si ridurranno del 70%''. Il ministro ha infine ricordato come con il Sistri ''l'80% dei rifiuti sarà sotto controllo, 135 milioni di tonnellate annue di rifiuti speciali, di cui 9 di rifiuti pericolosi". Il Sitri è operativo da ottobre 2010 e sarà obbligatorio per tutti da giugno. La proroga dell'avvio è stata fatta per venire incontro agli operatori che chiedevano più tempo per familiarizzare con il sistema. (http://energia24club.it 13 Aprile 2011) Sicurezza Danno biologico: aggiornate le tabelle di Milano e Roma per il 2011 Al via le nuove tabelle di Milano e Roma per la liquidazione del danno non patrimoniale valide per il 2011. Un aggiornamento molto atteso dagli operatori del diritto per l’ampio seguito dei due modelli di liquidazione su tutto il territorio nazionale. Per Milano il via libera ufficiale da parte del presidente del Tribunale all'adeguamento è avvenuto alla fine della scorsa settimana. Di conseguenza, vista la popolarità riscossa dai prospetti meneghini, 97 sedi su 167 - interpellate dall'ultima indagine dello Studio legale Menti-Guida al Diritto -si preparano in questi giorni a far propri i nuovi parametri. A Roma, invece, dopo la firma del presidente Paolo Di Fiore le nuove indicazioni sono già operative da qualche settimana. UNITELNews24 29 Milano e Roma: valori a confronto Per entrambi gli Uffici l’adeguamento è avvenuto sulla base dell’indice Istat che misura il costo della vita. A Milano, il periodo preso in considerazione va dal 1° gennaio 2009 al 1° gennaio 2011, con un aumento del 2,8996 per cento. Per Roma, invece, l’adeguamento è relativo soltanto al 2010, dal momento che la tabella dello scorso anno era già aggiornata al 2009. Dall’esame comparato viene fuori che Milano risulta essere più generosa per le invalidità sotto il 50% mentre con l’aggravarsi della patologia Roma conquista il primato. E questo perché il sistema romano prevede una crescita costante degli indennizzi con l’aumentare della percentuale di invalidità. Mentre Milano che parte più alta via via riduce gli importi della personalizzazione “non standardizzata”. Le tabelle di Roma Nella capitale da quest’anno è in vigore una importante novità, nel tentativo di favorire una maggiore omogeneità nelle liquidazioni operate dai giudici e per standardizzare la “personalizzazione base”, quella riconosciuta nella quasi totalità dei casi. Partendo da 10 scaglioni di invalidità (0-10%; 10-20%; 20-30%, ecc.), il tribunale ha stabilito una percentuale di incremento del danno non patrimoniale da aggiungere per la personalizzazione che parte da un 10% in più (dei punti base), e cresce poi del 5% scalando ognuna delle 10 fasce, fino a raggiungere il 60%, per le invalidità che vanno dal 90 al 100%. Non solo, il sistema prevede anche un margine di discrezionalità per il giudice pari al 50% di questo incremento base. Dunque, per una invalidità del 10%, per la quale è previsto un incremento base del 15%, il range di oscillazione va dal 7,5% (la metà di 15), al 22,5% (15+la metà). In tal modo viene recepita anche nella capitale quella personalizzazione di base standard, come avviene nel capoluogo lombardo. La supremazia di Milano Su un campione di 120 interpellati (indagine dello studio Menti) sono 97, su 167, le sedi di tribunale che applicano i criteri ambrosiani. Vale a dire il 60% del totale, sempre in attesa che il Legislatore intervenga con la tabella unica nazionale prevista dall’articolo 138 del Codice assicurazioni. Un primato importante tenuto conto del fatto che vi aderiscono molti tra gli Uffici più rappresentativi del Paese. Fra le ragioni del successo delle tabelle meneghine: l’essere aggiornate ed in linea con le indicazioni della Cassazione oltre a permettere un alto grado di uniformità su tutto il territorio nazionale nel risarcimento del danno alla persona. Il vecchio sistema Prima della pronuncia della Cassazione del novembre 2008, le tabelle elaborate dal tribunale di Milano erano strutturate in modo da individuare i valori standard di liquidazione del cosiddetto “danno biologico”, parametrati alla gravità della lesione, all’integrità psicofisica e all’età del danneggiato. Prevedendo poi la liquidazione del cosiddetto “danno morale” in misura variabile tra ¼ e ½ dell’importo liquidato a titolo di danno biologico. Ad essi, infine, si aggiungeva la “personalizzazione” del danno biologico con un aumento fino al 30% dei valori standard in riferimento a particolari condizioni soggettive del danneggiato. Il cambio di rotta del 2009 Attualmente, invece, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, si è affermata l’esigenza di una valutazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non patrimoniale connesso alla lesione della salute. Si procede, dunque, ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a “lesione permanente della integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico legale” sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali che relazionali o peculiari, e del danno conseguente alle medesime lesioni in termini di “dolore” e “sofferenza soggettiva”.La tabella ora prevede un valore di partenza, il cosiddetto “punto”, che viene aumentato di una componente relativa alla sofferenza soggettiva, con un incremento percentuale del 25% dall’1 al 9% di invalidità; mentre dal 10% al 34% di invalidità l’aumento è progressivo per ogni punto percentuale, passando dal 26% al 50%; infine dal 35% al 100% la crescita torna ad essere fissa al 50%. Ferma restando sempre la possibilità da parte del giudice di procedere ad un ulteriore aumento “personalizzato” in relazione a “fattispecie del tutto eccezionali”, secondo una percentuale che parte da una maggiorazione di un altro 50%, per le invalidità più basse, e si riduce progressivamente con il UNITELNews24 30 crescere dell’invalidità riconosciuta, fino a fermarsi al 25%, per le invalidità superiori al 33%.Per l’invalidità temporanea vale sempre la regola della liquidazione congiunta dell’intero danno non patrimoniale alla persona. Così, per un giorno di invalidità temporanea al 100%, è prevista una forbice che va da un minimo di 91 euro ad un massimo di 136 euro. Adeguata anche la liquidazione da perdita del rapporto parentale. (Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE - Guida al Diritto 15 aprile 2011) Ispezioni mirate sul sommerso Le indicazioni impartite al ministero alle direzioni regionali e provinciali: 80mila controlli per quest'anno. In secondo piano la qualificazione dei rapporti e il rispetto degli orari. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nella lettera circolare n. 5113 del 7 aprile, ha dato indicazioni chiare alle direzioni regionali e provinciali del lavoro sulle priorità da seguire da parte degli ispettori del lavoro. In sostanza, l'attività degli ispettori deve essere caratterizzata da un “accesso breve”, ossia gli ispettori devono controllare prima di tutto se in un'azienda ci siano forme di lavoro in nero, e lasciare in secondo piano altre irregolarità relative alla “situazione complessiva dell'azienda verificata”. La lettera del ministro, però in questo si discosta dalle linee guida per la programmazione dell'attività ispettiva per il 2011, che sono state sintetizzate in una comunicazione del ministro del 10 marzo scorso. Il tutto rientra nel piano straordinario di verifiche voluto dal ministro per il 2011 che prevede nel corso dell'anno ben 80mila controlli, tutti finalizzati a scovare lavoro sommerso. Ebbene, la direttiva del 10 marzo chiariva che l'attività di verifica doveva concentrarsi anche sulla corretta qualificazione dei rapporti di lavoro, sull'elusione contributiva, sul rispetto delle regole in materia di orari di lavoro, sull'inserimento lavorativo dei disabili, sul rispetto delle pari opportunità, sugli appalti, sulla somministrazione di manodopera, sui distacchi, sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. La circolare del 7 aprile, invece, “corregge il tiro”, o meglio lo circoscrive raccomandando agli ispettori di concentrarsi “esclusivamente” sul lavoro nero, senza allargare ulteriormente l'indagine ad altre problematiche ispettive. Anzi, il ministro chiarisce che la centralità delle azioni di contrasto del lavoro irregolare deve ruotare intorno alla verifica del cosiddetto “sommerso totale”, una situazione che determina una mancanza di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori interessati. Anche se ciò si manifesta nel mancato versamento di contributi da parte del datore di lavoro e nella perdita da parte del lavoratore dei diritti relativi all'instaurazione di un regolare contratto di lavoro. Gli intenti del ministro sono quelli di intensificare i controlli sul lavoro sommerso, così da evitare visite inutili e controlli sovrapposti, che gravano sugli imprenditori. Inoltre, la circolare del ministro invita a concentrarsi maggiormente su quelle realtà imprenditoriali in cui più probabile è la presenza di lavoro sommerso (l'edilizia, l'agricoltura, i pubblici servizi). Non bisogna dimenticare nemmeno il lavoro dei cittadini stranieri immigrati, specie in quelle imprese gestite e organizzate da minorante etniche, che operano al di fuori di qualsiasi regola di carattere lavoristico, previdenziale e fiscale e che, spesso, realizzano vere e proprie forme di sfruttamento della manodopera. In queste realtà, chiarisce la circolare, gli interventi di verifica devono avvenire mediante azioni di “intelligence” coordinate con le forze di polizia e gli istituti previdenziali. (Luigi Caiazza, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi del 22 aprile, sintesi redazionale) Lavori usuranti: in porto il decreto che viene da lontano E’ l’ora dei lavori usuranti. Tutte le riforme degli ultimi venti anni hanno sempre previsto delle norme che riconoscevano requisiti più favorevoli, per il conseguimento della pensione, ai lavoratori adibiti a mansioni di particolare disagio, consentendo agli interessati di anticipare, in modo ragionevolmente congruo, i limiti della quiescenza. La legge Amato del 1992 confermò anche quei limiti previdenti di età pensionabile più ridotti per gli appartenenti alle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco, gli iscritti al Fondo Volo, il personale viaggiante FS e del trasporto locale, i lavoratori dello spettacolo, ecc.. Nel caso di lavorazioni esposte all'amianto si è applicato - con riferimento agli aspetti pensionistici - una disciplina specifica (che riduceva il requisito contributivo con criteri di proporzionalità rispetto agli anni di esposizione) operante anch'essa dal 1992 e recentemente rivisitata in termini più restrittivi. UNITELNews24 31 Quanto ai lavori usuranti, la materia venne regolata - citiamo solo gli atti principali - dal dlgs n. 374/1993 e dalla Circolare interministeriale del 19 maggio 1999 (che aveva recepito le indicazioni di una commissione tecnico-scientifica istituita dalla legge n.449/1997), dall'articolo 78 della legge n.388/2000, la Finanziaria per il 2001. La relativa tutela prevista (ampiamente rivisitata dalla legge n.335/1995) si applicava tanto ai dipendenti, privati e pubblici, quanto agli autonomi e consisteva nell'anticipo dell'età pensionabile in ragione di un anno ogni dieci di impiego in attività usuranti fino ad un massimo di 24 mesi. Nel sistema contributivo il lavoratore poteva scegliere l'applicazione del coefficiente di trasformazione corrispondente all'età anagrafica all'atto del pensionamento, aumentato di un anno ogni sei di lavoro usurante; oppure poteva utilizzare tale periodo per l'anticipazione dell'età pensionabile fino al massimo di un anno rispetto al normale accesso. Nel caso di lavori particolarmente usuranti (già individuati dal dlgs n. 374/1993) erano ridotti fino ad un anno anche i requisiti di età anagrafica della pensione di anzianità. Per questi ultimi casi, contraddistinti da particolari condizioni di disagio, intervenne - una tantum e nei limiti di uno stanziamento di 250 miliardi di vecchie lire - la Finanziaria del 2001, permettendo ad oltre 6mila lavoratori, adibiti a mansioni particolarmente usuranti, di avvalersi degli sconti previsti. In generale, queste norme sono sempre rimaste inapplicate. La spiegazione va cercata nelle modalità di copertura (indicate dalle diverse leggi) consistente nell’individuazione di un'aliquota contributiva aggiuntiva, definita secondo criteri attuariali e raccordati all'anticipo di età pensionabile. Si poneva, pertanto, un problema di maggior costo del lavoro, un problema che le parti sociali hanno sempre preferito evitare. Dopo il tempo delle speranze deluse, tale problematica è tornata in evidenza durante il negoziato del luglio 2007, in pratica come contropartita per l’elevazione dell’età pensionabile di anzianità (che pur veniva rimodulata con criteri più graduali rispetto alla legge Maroni del 2003 e al c.d scalone). La legge n.247 del 2007 (che recepì il Patto sul welfare) stabilì che potevano avvalersi del pensionamento anticipato (a 58 anni a regime e in presenza degli altri requisiti e condizioni) i (soli) lavoratori dipendenti appartenenti alle seguenti categorie: addetti ad attività particolarmente usuranti; lavoratori notturni; addetti alla catena di montaggio; conducenti di mezzi pubblici di trasporto. Lo schema di decreto applicativo, benché dotato di copertura finanziaria per 2,8 miliardi in un decennio, non arrivò in porto perché la fine anticipata della XV Legislatura vide <spirare> la delega. L’attuale Governo ha scelto di riaprire i termini inserendo la norma nel <collegato lavoro> e quindi legandone il destino ai 27 mesi occorsi per la sua approvazione. Anche il decreto delegato varato dall’esecutivo nei giorni scorsi è praticamente come quello predisposto, a suo tempo, dal Governo Prodi. Così, si è ‘lavoratori notturni’ a fronte di un numero di giornate comprese tra 64 e 78 l’anno. La fase transitoria terminerà alla fine del 2017; fino ad allora sarà sufficiente aver lavorato in condizioni di disagio per 7 anni negli ultimi dieci (e non metà della vita lavorativa come dal 2018). Sono previsti criteri di priorità nel caso in cui gli stanziamenti non siano adeguati, nell’anno, a dare copertura finanziaria a tutte le domande presentate. (Giuliano Cazzola, Il Sole 24 ORE Guida al Lavoro n. 17/2011) UNITELNews24 32 Legge e prassi (G.U. 30 aprile 2011, n. 99) Agricoltura, allevamento, alimenti e bevande MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 11 marzo 2011 Modifiche degli allegati al decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 151, di attuazione della direttiva 2001/112/CE concernente i succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati alla alimentazione umana. (11A04201) (GU n. 78 del 5-4-2011 ) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: COMUNICATO del 11-4-2011 Programma di azione nazionale per l'agricoltura biologica e i prodotti biologici per gli anni 2008 e 2009 - «Aumento della domanda interna ed istituzionale» - Azioni 3.1 «Promozione del bio nella ristorazione collettiva biologica» - 3.2 «Promozione del bio al cittadino-consumatore». Comunicazione di pubblicazione dei modelli per la presentazione di proposte progettuali e relativi termini. (11A04329) (GU n. 83 del 11-4-2011 ) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: DECRETO 10 marzo 2011 Istituzione, quale specifica articolazione settoriale, del Tavolo di filiera della frutta in guscio. (11A04769) (GU n. 89 del 18-4-2011 ) AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA: CIRCOLARE 31 marzo 2011, n. 250 Attuazione della riforma della PAC (Regolamento (CE) n. 73/2009. Modifiche ed integrazioni alle circolari ACIU.2005.736 del 30 novembre 2005, ACIU.2007.128 del 2 marzo 2007 e ACIU.2009.812 del 18 maggio 2009 - titoli definitivi 2010. (11A05119) (GU n. 89 del 18-4-2011 ) MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: COMUNICATO del 21-4-2011 Avviso relativo alla determinazione dei criteri e delle modalita' per la concessione di contributi in favore di piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli di qualita'. (11A05389) (GU n. 92 del 21-4-2011) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA DELIBERAZIONE 18 novembre 2010 Riparto fondi assegnati al settore agricolo, ai sensi dell'articolo 2, comma 55, della legge n. 191/2009. (Deliberazione n. 107/2010). (11A05365) (GU n. 94 del 23-4-2011 ) Ambiente MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: COMUNICATO del 2-4-2011 Attribuzione di contributi economici a enti pubblici, soggetti privati, singoli o associati, fondazioni e associazioni per iniziative in materia ambientale. (11A04193) (GU n. 76 del 2-4-2011 ) UNITELNews24 33 MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 14 marzo 2011 Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica continentale in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE. (11A04108) (GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 14 marzo 2011 Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica mediterranea in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (11A04109) (GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 14 marzo 2011 Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (11A04110) (GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 28 gennaio 2011, n. 36 Regolamento recante abrogazione del decreto ministeriale 28 agosto 1995, n. 548 concernente la prevenzione e l'eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai ricevitori di radiodiffusione sonora e televisiva. (11G0075) (GU n. 81 del 8-4-2011 ) MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 28 marzo 2011 Modifiche al decreto 17 agosto 2010 riguardante la disciplina concernente le deroghe alle caratteristiche di qualita' delle acque destinate al consumo umano che possono essere disposte dalla regione Siciliana. (11A04728) (GU n. 82 del 9-4-2011 ) MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 28 marzo 2011 Disciplina concernente le deroghe alle caratteristiche di qualita' delle acque destinate al consumo umano che possono essere disposte dalle regioni Lazio e Toscana. (11A04729) (GU n. 82 del 9-4-2011 ) DECRETO LEGISLATIVO 24 marzo 2011, n. 53 Attuazione della direttiva 2009/16/CE recante le norme internazionali per la sicurezza delle navi, la prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo per le navi che approdano nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri. (11G0092) (GU n. 96 del 27-4-2011 ) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: COMUNICATO 14 aprile 2011 Comunicato relativo al decreto 22 gennaio 2009 recante "Modifica del decreto 17 ottobre 2007, concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone speciali di conservazione (ZSC) e Zone di protezione speciale (ZPS)". (GU n.86 del 14 aprile 2011) MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO COMUNICATO 11 aprile 2011 Deliberazione dell'Albo nazionale gestori ambientali del 14 marzo 2011. (GU n.83 dell’11 aprile 2011) E DEL MARE: DECRETO LEGISLATIVO 31 marzo 2011, n. 55 Attuazione della direttiva 2009/30/CE, che modifica la direttiva 98/70/CE, per quanto riguarda le specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio, nonche' l'introduzione di un UNITELNews24 34 meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva 1999/32/CE per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE. (11G0098) (GU n. 97 del 28-4-2011 ) Appalti AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: DETERMINAZIONE 15 marzo 2011, n. 1 Chiarimenti in ordine all'applicazione delle sanzioni alle SOA previste dall'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. (11A04363) (GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 91) AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: REGOLAMENTO 15 marzo 2011 Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'Autorita' per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, limitatamente alle sanzioni nei confronti delle SOA di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010. (11A04364) (GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 91) MINISTERO DELL'INTERNO COMITATO DI COORDINAMENTO PER L'ALTA SORVEGLIANZA DELLE GRANDI OPERE: COMUNICATO del 19-4-2011 Linee guida per i controlli antimafia, di cui all'art. 3-quinques del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, concernente «Disposizioni per garantire la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo svolgimento dell'Expo 2015». (11A05133) (GU n. 90 del 19-4-2011 ) AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE:COMUNICATO STAMPA 20 aprile 2011 Indagine sugli affidamenti di servizi socio-sanitari da parte della ASL: 35 su 42 non sono in regola. AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: DETERMINAZIONE 6 aprile 2011, n.2 Indicazioni operative inerenti la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, con particolare riferimento all'ipotesi di cui all'articolo 122, comma 7-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. DECRETO LEGISLATIVO 24 marzo 2011, n. 48 Attuazione della direttiva 2009/44/CE che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti. (11G0089) (GU n. 92 del 21-4-2011) AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E FORNITURE: DETERMINAZIONE 6 aprile 2011 Chiarimenti in ordine all'applicazione delle sanzioni alle imprese previste dall'articolo 74 del decreto del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. (Determinazione n.3). (11A05251) (GU n. 92 del 21-4-2011) Economia, Finanze, Fisco e Agevolazioni MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 14 marzo 2011 Aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) dovuta per l'anno 2011. (11A04053) (GU n. 75 del 1-4-2011 ) UNITELNews24 35 MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 14 marzo 2011 Aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'imposta comunale sugli immobili (ICI) dovuta per l'anno 2011. (11A04053) (GU n. 75 del 1-4-2011 ) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 18 marzo 2011 Certificazione relativa al rispetto degli obiettivi del patto di stabilita' interno per l'anno 2010 delle province e dei comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti. (11A04114) (GU n. 75 del 1-4-2011 ) Patto di stabilità 2010 – certi ficazione del rispetto degli obiettivi Il decreto dispone che le Province e i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti soggetti al patto di stabilità interno 2010 dovevano trasmettere entro il 31.3.2011, al Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, IGEPA – Via XX Settembre, 97 – 00187 Roma, una certificazione in merito al rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno 2010 (Allegato A al decreto). La certificazione doveva essere spedita a mezzo raccomandata AR. Gli enti locali che non hanno provveduto a tale invio sono considerati inadempienti al patto di stabilità interno 2010. (R.Co. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 23 marzo 2011 Disposizioni, per l'anno 2011, relative ai comuni che abbiano contribuito all'accertamento fiscale e contributivo secondo le modalita' di trasmissione delle segnalazioni qualificate previste dai provvedimenti attuativi dell'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. (11A04348) (GU n. 75 del 1-4-2011 Parte cipazione dei comuni all’accertamento fiscale – Attribuzione della quota delle maggiori somme riscosse In attuazione dell’art. 44, D.P.R. 29.9.1973, n. 600, dell’art. 1, D.L. 30.9.2005, n. 203, conv. con modif. con L. 2.12.2005, n. 248 e dell’art. 18, D.L. 31.5.2010, n. 78, conv. con modif. con L. 30.7.2010, n. 122, il decreto stabilisce che per l’anno 2011 sia attribuita la quota del 33% delle maggiori somme definitivamente riscosse relative ad Irpef, Ires, Iva, imposte di registro, ipotecaria e catastale, e ai tributi speciali catastali (comprensive di interessi e sanzioni), e alle sanzioni civili sui maggiori contributi previdenziali ed assistenziali riscossi a titolo definitivo, ai Comuni che abbiano contribuito all’accertamento fiscale e contributivo con il sistema delle segnalazioni qualificate. (D.An. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15) MINISTERO DELL'INTERNO: DECRETO 29 marzo 2011 Modifiche al decreto 15 febbraio 2011 relativo alle certificazioni del bilancio di previsione 2011 delle amministrazioni provinciali, dei comuni, delle comunita' montane e delle unioni dei comuni. (11A04394) (GU n. 76 del 2-4-2011 ) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 28 gennaio 2011 Ripartizione delle riduzioni statali tra le regioni a statuto ordinario di cui all'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. (11A04548) (GU n. 78 del 5-4-2011 ) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 11 gennaio 2011 Obiettivi, criteri e modalita' di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013. (Deliberazione n. 1/2011). UNITELNews24 36 (11A04567) (GU n. 80 del 7-4-2011 ) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 febbraio 2011 Determinazione della quota variabile per gli anni 2000-2005 spettante alle province autonome di Trento e di Bolzano. (11A04870) (GU n. 85 del 13-4-2011 ) LEGGE 7 aprile 2011, n. 39 Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. (11G0082) (GU n. 84 del 12-4-2011 ) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 31 gennaio 2011 Proroga degli incentivi agli autotrasportatori per l'utilizzo delle vie del mare di cui al decreto del Presidente della Repubblica 11 aprile 2006, n. 205 («Ecobonus») a valere sui viaggi effettuati nell'anno 2010. Individuazione di nuove rotte incentivate. (11A04878) (GU n. 87 del 15-4-2011 ) MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI: DECRETO 13 dicembre 2010 Approvazione del programma contenente l'indicazione degli interventi relativi alla tutela, ai beni e alle attivita' culturali ed allo spettacolo, per il biennio 2011-2012. (11A04924) (GU n. 87 del 15-4-2011 ) AGENZIA DELLE ENTRATE: CIRCOLARE 14 aprile 2011, n.15/E Articolo 42, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 - Reti di imprese. AGENZIA ENTRATE: PROVVEDIMENTO 7 aprile 2011 Modalità di esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime della cedolare secca, modalità di versamento dell’imposta e altre disposizioni di attuazione dell’articolo 3 del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23. Approvazione dei modelli per la registrazione dei contratti di locazione e per l’esercizio dell’ opzione Cedolare secca sugli affitti – esercizio dell’opzione, versamento dell’imposta e modelli per la registrazione Con riferimento all’applicazione cedolare secca sugli affitti abitativi (art. 3, D.Lgs. 14.3.2011, n. 23 – «La Settimana fiscale» n. 13/2011, pag. 5), il provvedimento ha approvato, con le relative istruzioni, il modello di denuncia per la registrazione del contratto di locazione di immobili abitativi con relative pertinenze e per l’esercizio dell’opzione per la cedolare secca (Allegato 1), da inviare in via telematica all’Agenzia delle Entrate, e il modello per la richiesta di registrazione degli atti (esclusi quelli degli organi giurisdizionali) e per la comunicazione degli adempimenti successivi dei contratti di locazione (Allegato 2), da presentare sempre in forma cartacea sempre all’Agenzia delle Entrate. In merito all’esercizio, da parte del locatore, dell’opzione per l’applicazione della cedolare secca, è stabilito che la stessa vada esercitata in sede di registrazione del contratto o, in caso di proroga dello stesso, nel termine di versamento dell’imposta di registro. In caso di contratti che non necessitano della registrazione in termine fisso, il locatore può applicare la cedolare in sede di dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è prodotto il reddito o, in alternativa, in sede di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria. L’opzione vincola il locatore per tutta la durata del contratto o della proroga o per il residuo periodo di durata del contratto (se l’opzione viene esercitata nelle annualità successive alla prima). Si ricorda che la cedolare secca, calcolata sul canone di locazione stabilito dalle parti, sostituisce l’Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dagli immobili cui si riferisce l’opzione, l’imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del contratto e l’imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione. In merito al versamento della cedolare secca, è disposto che lo stesso debba essere effettuato con le modalità di cui all’art. 19, D.Lgs. 241/1997. UNITELNews24 37 In particolare, per il versamento del saldo si applicano le norme relative al versamento del saldo dell’Irpef, mentre per il versamento dell’acconto, va fatta la seguente distinzione: ●● per il 2011, il versamento dell’acconto (nella misura dell’85% dell’imposta dovuta) va fatto in unica soluzione entro il 30.11.2011 (se inferiore a e 257,52), o in due rate (se pari o superiore a e 257,52%), la prima del 40% entro il 16.6.2011 o entro il 18.7.2011 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11.2011; ●● dal 2012, il versamento dell’acconto (nella misura del 95% dell’imposta dovuta per l’anno precedente) va effettuato in unica soluzione entro il 30.11 di ogni anno (se inferiore a e 257,52) o in due rate (se pari o superiore a e 257,52), la prima del 40% entro il 16.6 di ogni anno o entro il 16.7 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11 di ogni anno. (R. Co. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15) MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 4 marzo 2011 Modalita' di utilizzo dell'ulteriore stanziamento disposto dal comma 236 dell'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191, per le finalita' di cui all'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185. (11A05242) (GU n. 89 del 18-4-2011 ) Edilizia e urbanistica DECRETO 26 novembre 2010 Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale, ai sensi dell'articolo 22 della legge 5 maggio 2009, n. 42. (11A04054) (GU n. 75 del 1-4-2011 ) DECRETO LEGISLATIVO 15 marzo 2011, n. 35 Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture. (11G0076) (GU n. 81 del 8-4-2011 ) MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 31 marzo 2011 Rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009 e delle variazioni percentuali annuali, superiori al dieci per cento, relative all'anno 2010, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi dei materiali da costruzione piu' significativi. (11A04721) (GU n. 89 del 18-4-2011 ) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 22 marzo 2011 Procedure operative di attuazione del decreto ministeriale 4 marzo 2011 e modalita' di svolgimento delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi controlli ai sensi dell'articolo 15, comma 5 del decreto ministeriale 4 marzo 2011. (11A08411) (GU n. 89 del 18-4-2011 - Suppl. Ordinario n.103) DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 2 marzo 2011 Assegnazione alle regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto, di risorse finanziarie ai sensi dell'art. 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326. (11A05244) (GU n. 90 del 19-4-2011 ) AUTORITA' DI BACINO DELLA PUGLIA COMUNICATO Approvazione delle nuove perimetrazioni del piano di assetto idrogeologico della Puglia (11A04619) (GU n. 92 del 21-4-2011) COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA: DELIBERAZIONE 18 novembre 2010 Legge n. 443/2001. Allegato infrastrutture alla decisione di finanza pubblica (DFP) 2010-2013. (Deliberazione n. 81/2010). (11A05393) (GU n. 95 del 26-4-2011 ) UNITELNews24 38 AGENZIA DELLE ENTRATE: RISOLUZIONE del 18 aprile 2011, n. 46/E Consulenza Giuridica - Art. 25 del DL n. 78 del 2010 - Ritenuta del 10 per cento sui bonifici disposti in favore di Fondi Immobiliari per beneficiare degli oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione di imposta. Detrazione irpef 36% – ritenuta del 10% sui bonifici – esclusione dei fondi immobiliari Con riferimento alla ritenuta del 10% sui bonifici effettuati a fronte della detrazione del 36% o del 55% (art. 25, D.L. 78/2010, conv. con modif. Dalla L. 122/2010 l’Agenzia delle Entrate precisa che tale ritenuta non va applicata sui bonifici disposti a favore di fondi immobiliari, in quanto sia quelli istituti ai sensi dell’art. 37, D.Lgs. 58/1998 sia quelli con apporto pubblico di cui all’art. 14-bis, L. 86/1994 (esclusi i cd. «vecchi fondi» che se ancora esistenti versano l’imposta sostitutiva del 25%) non sono soggetti passivi Ires e Irap e le ritenute subite sui redditi di capitale sono a titolo d’imposta. In particolare, al fine di evitare l’applicazione della ritenuta del 10%, il bonifico deve essere compilato in modo che le banche e Poste italiane S.p.a. non codifichino il versamento come soggetto alla stessa ritenuta. Nel caso oggetto d’interpello, nella motivazione del bonifico, l’ordinante deve indicare il fondo immobiliare come soggetto beneficiario, specificando che il versamento è effettuato per l’acquisto di un box o posto auto pertinenziale presso un fondo immobiliare, senza riportare il riferimento alle disposizioni agevolative e senza utilizzare l’apposito modulo (se predisposto dalla banca o dall’ufficio postale). Nel caso in cui i fondi immobiliari avessero subito tale ritenuta, la stessa può essere richiesta a rimborso o utilizzata in compensazione compilando gli appositi campi del Mod. Unico 2011 SC. (R.Co. Il Sole 24 ORE - La settimana fiscale, 6 maggio 2011, n. 17) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 7 febbraio 2011 Procedure e modalita' per la presentazione dei progetti e per l'erogazione dei finanziamenti relativi agli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alla legge 14 novembre 2000, n. 338. (Decreto n. 26/2011). (11A05267) (GU n. 97 del 28-4-2011 ) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 7 febbraio 2011 Standard minimi dimensionali e qualitativi e linee guida relative ai parametri tecnici ed economici concernenti la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alla legge 14 novembre 2000, n. 338. (Decreto n. 27/2011). (11A05268) (GU n. 97 del 28-4-2011) MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 21 marzo 2011 Adozione di un modello informatizzato per la formulazione delle richieste di cofinanziamento relative agli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alle leggi 14 novembre 2000, n. 338, e 23 dicembre 2000, n. 388 e note per la compilazione. (Decreto n. 127/2011). (11A05269) (GU n. 97 del 28-4-2011 ) Energia DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011 Indizione del referendum popolare per l'abrogazione parziale di norme del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, della legge 23 luglio 2009, n. 99, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e del decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare. (11A04207) (GU n. 77 del 4-4-2011 ) DECRETO LEGISLATIVO 23 marzo 2011, n. 41 Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, recante disciplina della UNITELNews24 39 localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' benefici economici e campagne informative al pubblico, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99. (11G0084) (GU n. 85 del 13-4-2011 ) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 1° aprile 2011 Approvazione delle modifiche al Testo integrato della Disciplina del mercato elettrico ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 29 aprile 2009 nonche' ai fini dell'attuazione del progetto di Market Coupling sulla frontiera italo-slovena. (11A04923) (GU n. 88 del 16-4-2011 - Suppl. Ordinario n.101) Pubblica amministrazione DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 9 febbraio 2011 Modalita', limiti e tempi di applicazione del Codice dell'amministrazione digitale. (11A04367) (GU n. 77 del 4-4-2011 ) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011 Indizione del referendum popolare per l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall'articolo 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, e dall'articolo 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del 2010, in materia di modalita' di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. (11A04206) (GU n. 77 del 4-4-2011 ) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011 Indizione del referendum popolare per l'abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte costituzionale. (11A04208) (GU n. 77 del 4-4-2011 ) DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011 Indizione del referendum popolare per l'abrogazione parziale del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. (11A04209) (GU n. 77 del 4-4-2011 ) MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 11 febbraio 2011 Tabella di corrispondenza ai fini dell'inquadramento del personale a tempo indeterminato proveniente dall'Istituto per la Promozione Industriale e trasferito al Ministero dello sviluppo economico. (11A04385) (GU n. 83 del 11-4-2011 ) MINISTERO DELLA GIUSTIZIA: DECRETO 21 febbraio 2011, n. 44 Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24. (11G0087) (GU n. 89 del 18-4-2011 ) UNITELNews24 40 DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 18 febbraio 2011, n. 46 Regolamento recante l'attuazione dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di durata superiore ai novanta giorni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (11G0086) (GU n. 91 del 20-4-2011 ) ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA: NOTA 20 aprile 2011, n.20 Applicazione delle deleghe rilasciate dai titolari di trattamenti pensionistici amministrati dall'INPDAP per contributo sindacale a favore della FIADEL - Federazione Italiana Autonoma Dipendenti Enti Locali. ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA: Nota 13 aprile 2011, n.19 Provvidenze in favore dei grandi invalidi, di cui all'art. 1, comma 4, della legge 27 dicembre 2002, n. 288. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 5 aprile 2011, n.17 (prot. n. 25/I/0004958) Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - indennità economica e contribuzione figurativa per i periodi di astensione dal lavoro per congedo parentale straordinario, ai sensi dell'art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 151/2001. Rifiuti MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E COMUNICATO del 11-4-2011 Deliberazione dell'Albo nazionale gestori ambientali del 14 marzo 2011 (11A04607) (GU n. 83 del 11-4-2011 ) DEL MARE: MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO 18 febbraio 2011, n. 52 Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. (11G0096) (GU n. 95 del 26-4-2011 - Suppl. Ordinario n.107) Pubblicato in Gazzetta il Testo Unico SISTRI E’ stato pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 107 della Gazzetta Ufficiale n.95 del 26 aprile 2011, il Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 18 febbraio 2011 n. 52 “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”. Il provvedimento riunifica in un solo testo tutti i cinque decreti finora emanati sul Sistri che, dal prossimo 11 maggio (data di entrata in vigore del Testo Unico), cesseranno di produrre effetti. Resteranno salve, tuttavia, le proroghe intervenute per: - l’avvio operativo del sistema fissato al 1 giugno 2011; - la trasmissione dei dati di quanto prodotto e smaltito o recuperato nel 2010 e nel 2011 (da effettuarsi rispettivamente entro il 30 aprile ed il 31 dicembre 2011). Il Dm non incide nella sostanza sul quadro esistente relativo al nuovo sistema di tracciabilità dei rifiuti. Vengono, tuttavia, introdotte importanti modifiche che è opportuno evidenziare: • viene spostato dal 31 gennaio al 30 aprile il temine entro il quale è possibile versare il contributo annuo. Si tratta di un vero e proprio mutamento della disciplina di base. Infatti, il 30 aprile rappresenterà il nuovo termine per i versamenti da effettuare anche in futuro. Per il 2011 è evidente il disallineamento temporale tra il pagamento entro il 30 aprile e l'entrata in vigore del Dm (11 maggio). Tale disallineamento non genererà però conseguenze dato che il quadro sanzionatorio entrerà in vigore a partire dal 1 giugno 2011; • è prevista la possibilità per i trasportatori in conto terzi (articolo 212, comma 5, Dlgs 152/2006) UNITELNews24 41 di dotarsi del dispositivo Usb (la chiavetta) relativo alla sola sede legale oppure, in alternativa, di un'ulteriore chiavetta per ciascuna unità locale. In questo secondo caso, il contributo va versato per ogni unità locale dotata di chiavetta. Resta fermo l'obbligo di pagare il contributo annuale e di dotarsi di una chiavetta per ogni veicolo a motore adibito al trasporto di rifiuti; • viene confermata per la microraccolta ed estesa alle attività di raccolta dei rifiuti prodotti da attività di manutenzione (purché i rifiuti siano trasportati direttamente all'impianto di recupero o smaltimento da parte del soggetto che ha effettuato la manutenzione) la possibilità per il trasportatore che intende movimentare rifiuti pericolosi di non dover accedere necessariamente almeno due ore prima al sistema per la compilazione della scheda Sistri Area movimentazione. L’importante è che tale scheda venga compilata prima della movimentazione medesima; • per il trasporto marittimo dei rifiuti è previsto che l'armatore o il noleggiatore che effettuano il trasporto, possano delegare gli adempimenti Sistri al raccomandatario marittimo di cui alla legge 135/77. In tal caso, il raccomandatario consegna al comandante della nave la copia compilata della scheda Sistri - Area movimentazione. All'arrivo, il comandante consegna la copia della scheda al raccomandatario rappresentante l'armatore o il noleggiatore presso il porto di destino; • per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa è prevista la possibilità di adempiere all'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico attraverso la conservazione, in ordine cronologico, delle copie della scheda Sistri Area movimentazione, relative ai rifiuti prodotti. Restano soggetti al registro di carico e scarico i produttori di rifiuti non pericolosi non obbligati ad iscriversi al Sistri. Si informa, inoltre, che sul sito www.sistri.it, nella Sezione “Manuali e Guide”, è disponibile l’edizione aggiornata del Manuale Operativo 2.4 del 26 aprile u.s., in cui è stata aggiunta la procedura per la gestione degli autoveicoli fuori uso (ELV) e chiarimenti circa le modalità per allineare il registro cronologico alle giacenze reali prima del 1 giugno 2011. (Pierpaolo Masciocchi Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 29/04/2011) Sicurezza del lavoro MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 4 febbraio 2011 Definizione dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 82, comma 2), lettera c), del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche ed integrazioni. (11A04783) (GU n. 83 del 11-4-2011 ) Sicurezza del lavoro: in Gazzetta le regole per i lavori sotto tensione elettrica Il Ministero del lavoro ha disciplinato le regole applicabili ai lavori sotto tensione effettuati su impianti elettrici alimentati a frequenza industriale, dettando regole e criteri per il rilascio dell'autorizzazione alle imprese che svolgono tali attività. lavoratori devono essere in possesso del documento di abilitazione, conseguente al superamento della sorveglianza sanitaria, nonché essere appositamente formati. La legge infatti (art. 82, Dlgs n. 81/2008) prevede che i lavori su parti in tensione siano effettuati da aziende autorizzate, con specifico provvedimento del Ministero del lavoro, ad operare sotto tensione. Lavorazioni interessate - Il decreto in commento individua nel campo di applicazione le seguenti attività: • lavori sotto tensione eseguiti da parte di operatori agenti dal suolo, dai sostegni delle parti in tensione, dalle parti in tensione, da supporti isolanti e non, da velivoli e da qualsiasi altra posizione atta garantire il rispetto delle condizioni generali per l'esecuzione dei lavori in sicurezza; • attività in sperimentazione sotto tensione che preveda lo sviluppo e l'applicazione di modalità, di tipologie di intervento e di attrezzature innovative. I lavori sotto tensione sono i seguenti: • manovra degli apparecchi di sezionamento, di interruzione e di regolazione e dei dispositivi fissi di messa a terra ed in cortocircuito, nelle normali condizioni di esercizio; • la manovra mediante fioretti isolanti degli apparecchi sopraelencati nelle normali condizioni di esercizio; UNITELNews24 42 • l'uso di rivelatori e comparatori di tensione costruiti ed impiegati nelle condizioni specificate dal costruttore o dalle stesse norme; • l'uso di rilevatori isolanti di distanze nelle condizioni previste di impiego; • il lavaggio di isolatori effettuato da impianti fissi automatici o telecomandati; • l'utilizzo di dispositivi mobili di messa a terra ed in cortocircuito; • lavori nei quali si opera su componenti che fanno parte di macchine o apparecchi alimentati a tensione non superiore a 1.000 Volt anche se funzionanti a tensione superiore. Autorizzazione all'azienda - L'autorizzazione di validità triennale viene data con decreto dirigenziale del direttore generale della Tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro a quelle aziende in possesso dei requisiti previsti nell'Allegato II al decreto. requisiti minimi possono essere così ricapitolati: 1) le aziende richiedenti devono dotarsi di un'organizzazione in grado di garantire la sicurezza dei lavori sotto tensione mediante l'applicazione di procedure specifiche per ciascun tipo di lavoro; 2) per l'esecuzione di lavori sotto tensione l'azienda deve adottare procedure scritte per l'esecuzione degli stessi. Domanda - La richiesta di autorizzazione deve essere indirizzata al Ministero del lavoro - Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro - Div. VI. Lavoratori - I lavoratori devono essere in possesso del documento di abilitazione, conseguente al superamento della sorveglianza sanitaria, nonché essere appositamente formati, con rilascio di apposita certificazione di idoneità, riferita alle effettive mansioni cui è destinato il personale stesso. Attrezzature - Le aziende autorizzate devono stabilire idonee procedure dirette a garantire l'identificazione delle responsabilità e la rintracciabilità delle azioni per la scelta, l'immagazzinamento, la conservazione, la manutenzione, il trasporto, la custodia, l'uso appropriato e la verifica periodica delle attrezzature secondo le indicazioni dei fabbricanti. Periodo transitorio - Per le aziende già operanti nel settore e in possesso del relativo riconoscimento, sono previsti 24 mesi di tempo per adeguarsi alle norme dell'attuale decreto ministeriale del 4 febbraio 2011, e cioè entro il 26 aprile 2013. (Pietro Gremigni, Il Sole 24 ORE Guida al Lavoro, 22.4.2011, n. 17 ) LEGGE 7 aprile 2011, n. 45 Modifica all'articolo 1 della legge 3 dicembre 1962, n. 1712, concernente la composizione dei comitati consultivi provinciali presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. (11G0085) (GU n. 90 del 19-4-2011 ) MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 20 aprile 2011 Decreto per la qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o confinati. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: CIRCOLARE 19 aprile 2011, n.13 Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; lavori in ambienti sospetti di inquinamento. Iniziative relative agli appalti aventi ad oggetto attività manutentive e di pulizia che espongono i lavoratori al rischio di asfissia o di intossicazione dovuta ad esalazione di sostanze tossiche o nocive. ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO: CIRCOLARE 14 aprile 2011, n.25 Pagamento dei premi ed accessori: modifica del tasso di interesse di rateazione e di dilazione. ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE: MESSAGGIO 7 aprile 2011, n.8386 Sportello unico previdenziale - versione 4.0. Richiesta di DURC relative alle società senza dipendenti. MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 7 aprile 2011 prot. n. UNITELNews24 43 25/SEGR/0005113 Programmazione attività di vigilanza per l'anno 2011. Ispezioni in azienda - attività di vigilanza - contrasto al lavoro sommerso - anno 2011 precisazione MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 11 aprile 2011 Disciplina delle modalita' di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'All. VII del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonche' i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71, comma 13, del medesimo decreto legislativo. (11A05462) (GU n. 98 del 29-4-2011 - Suppl. Ordinario n.111) UNITELNews24 44 Giurisprudenza Ambiente CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 27 aprile 2011, n. 2527 BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Costruzioni abusive – Stato di degrado dell’area – Motivo di giustificazione dell’abuso – Esclusione. Lo stato di degrado e disordine ambientale non può costituire motivo di giustificazione della costruzione abusiva, atteso che diversamente opinando non avrebbe senso neppure l’imposizione del relativo vincolo, finalizzato proprio a prevenire l’aggravamento della situazione e di perseguire il possibile recupero, (C.d.S., sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761; 27 aprile 2010, n. 2377) BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Nulla osta paesaggistico – Verifica della correttezza del giudizio espresso dall’amministrazione preposta – Sopralluogo – Necessità – Esclusione. In tema di rilascio di nulla - osta paesaggistico, l’attività di verifica della correttezza del giudizio espresso dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e del conseguente provvedimento comunale non implica necessariamente il compimento di un effettivo sopralluogo, ben potendo limitarsi alla valutazione documentale della condotta tenuta dalle amministrazioni interessate (C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377). BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Amministrazione preposta alla tutela del vincolo paesaggistico – Prescrizioni dirette ad assicurare la compatibilità delle opere con il vincolo – Dovere – Esclusione. L’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e/o l’amministrazione comunale non è tenuta ad indicare gli eventuali accorgimenti ed interventi volti a rendere compatibile le opere abusivamente realizzate con l’ambiente circostante al fine di consentire la sanabilità delle stesse. Un simile dovere di soccorso, invero, non solo non trova alcun fondamento positivo specifico, ma neppure può trovare radicamento nei principi costituzionali (art. 97 Cost.) cui deve improntarsi l’azione amministrativa, ciò in quanto in ogni caso l’amministrazione deve esercitare il potere conferitole dalla legge per il perseguimento dell’interesse pubblico, nel caso di specie quello della tutela della bellezza del paesaggio dell’area interessata, certamente prevalente rispetto a quello privato alla conservazione delle opere realizzate abusivamente senza i necessari permessi richiesti dalla legge. BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo paesaggistico – Abuso edilizio – Ordine di demolizione – Atto vincolato – Affidamento del privato – Possibile sussistenza – Esclusione. Come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, il provvedimento di demolizione è atto vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n. 5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 4 aprile 2011, n. 2083 CAVE E MINIERE – Attività estrattiva di cava – Assoggettabilità a permesso di costruire – esclusione. L’attività estrattiva di cava, pur non potendo quest’ultima svolgersi in contrasto con la disciplina urbanistica, a pena di violazione dell’articolo 20, lettera a) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non UNITELNews24 45 è tuttavia assoggettabile a permesso di costruire (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 12 febbraio 1980, n. 159 e 11 settembre 2008, n. 4342). CAVE E MINIERE – Attività estrattiva – Pianificazione di settore – Pluralità di interessi coinvolti – Contemperamento. Come la generale pianificazione urbanistica, la pianificazione di settore dell’attività estrattiva deve contemperare la pluralità degli interessi coinvolti: dall’interesse economico dell’impresa esercente l’attività stessa (interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, non meno del diritto di proprietà, riconosciuto e garantito dal successivo articolo 42), a quegli ulteriori interessi di rango costituzionale, che attengono alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini (articoli 9 e 32 della stessa carta costituzionale). Sembra appena il caso di ricordare, poi, come sia la libera iniziativa economica, sia le facoltà del proprietario in ordine all’utilizzo dei propri beni vengano, nella medesima carta costituzionale, subordinati all’”utilità” o alla “funzione” sociale, con riconosciuto carattere di valore primario dell’ordinamento delle esigenze di tutela ambientale o di salvaguardia della salute dei cittadini, quali interessi pubblici idonei a giustificare il sacrificio di singoli interessi privati (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, V, 12 giugno 2009, n. 3770; III, 29 ottobre 2002, n. 2016; IV, 13 maggio 2003, n. 1896; VI, 24 settembre 2007, n. 4924). (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 4 aprile 2011, n. 2087 BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica – termine di sessanta giorni – Decorrenza – Individuazione. La decorrenza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 82, nono comma, d.P.R. n.616 del 1977, per l'esercizio del potere di annullamento, da parte del Ministero dei beni culturali ed ambientali, dell'autorizzazione paesaggistica ex art.7 l. 29 giugno 1939, n.1497, inizia solo dal momento in cui la documentazione perviene, completa, all'organo competente a decidere, a meno che l'interruzione del termine non risulti pretestuosa e persegua fini meramente dilatori (Cons. Stato, VI, 19 giugno 2001, n.3233). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 118 MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 168, c. 2 codice della strada – Prescrizioni ADR – Contrasto – Esclusione. Il comma 2 dell’art. 168 cod. strada rinvia specificamente agli allegati all’Accordo europeo relativo al trasporto internazionale su strada di merci pericolose (ADR) per la disciplina della circolazione dei veicoli che trasportano merci pericolose, nonché «per le prescrizioni relative all’etichettaggio, all’imballaggio, al carico, allo scarico ed allo stivaggio sui veicoli stradali». In tal modo, le prescrizioni contenute negli allegati all’Accordo ADR vengono ad integrare – anche per quanto attiene alla determinazione degli obblighi gravanti sui diversi soggetti coinvolti nelle operazioni – la componente precettiva degli illeciti amministrativi previsti dai commi 9, 9-bis e 9-ter dello stesso art. 168 cod. strada, i quali sanzionano specificamente le violazioni del citato comma 2: il che assicura la piena aderenza della disciplina interna all’atto internazionale di cui si tratta. MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 167, c. 9 codice della strada – Proprietario del veicolo e committente – Corresponsabilizzazione – Accordo ADR – Singoli Stati – Posibilità di ampliare l’area degli obblighi degli “altri operatori”. Il richiamo all’art. 167, comma 9, operato dal comma 10 dell’art. 168 cod. strada, ha una valenza estensiva, e non già delimitativa dell’area della responsabilità. Detta estensione non può reputarsi contrastante con l’Accordo ADR, il cui art. 5 stabilisce espressamente che i trasporti da esso regolati restano soggetti alle norme nazionali riguardanti, in via generale, la circolazione stradale: norme che, per quanto qui rileva, prevedono, come principio di massima, la corresponsabilizzazione del proprietario del veicolo e del committente per le violazioni relative ai trasporti di cose, come emerge non soltanto dall’art. 167, comma 9, ma anche dall’art. 10, comma 23, cod. strada, con particolare riguardo ai trasporti eccezionali o in condizioni di eccezionalità. Inoltre, l’allegato A all’Accordo, se da un lato contempla uno specifico dovere di cooperazione del terzo nell’esecuzione del trasporto, il quale deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari all’esecuzione dei suoi obblighi (punto 1.4.2.); dall’altro, fornisce un’indicazione dichiaratamente non esaustiva degli obblighi degli altri «operatori» (punto 1.4.3), consentendo, in tal modo, ai UNITELNews24 46 singoli Stati di ampliarne l’area. MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 168, c. 2 c.d.s. – Committente – Responsabilità – Natura Applicabilità dei principi generali in materia di sanzioni amministrative. La circostanza che la responsabilità prevista, a carico del committente di trasporto su strada di merci pericolose, dall’art. 168, c. 2 del codice della strada non abbia carattere solidale, dimostra che la responsabilità in questione resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito dall’art. 3 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); principi ai quali non consta che il legislatore abbia inteso nella specie derogare. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) Appalti CONSIGLIO DI STATO, Sezione V – 27 aprile 2011, n. 2479 APPALTI – Subappalto – Divieto di cui all’art. 37 d.lgs. n. 163/2006 – Individuazione delle opere – Criterio sostanziale. L'individuazione delle opere rientranti nel divieto di subappalto di cui all’art. 37 del d.lgs. n. 163/2006 dev’essere di tipo sostanziale, non formale (con riguardo, cioè, alle declaratorie ex d.P.R. n. 34/2000, all. A, delle o.g. e delle o.s.), per cui, ai fini dell'applicabilità del divieto, occorre verificare, di volta in volta, in rapporto a ciascun appalto, se le opere classificate come generali siano in concreto di "notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica", indipendentemente dalla relativa declaratoria formale: prevale l’esigenza di evitare che l’aggiudicataria, classificata per le opere prevalenti, agisca da copertura per una serie di mascherati subappalti concernenti proprio le opere di maggiore complessità tecnologica (cfr. C.S., sez. IV, dec. 19 ottobre 2004 n. 6701; sez. VI, dec. 19 agosto 2003 n. 4671). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, Sezione 3, Sentenza 18 aprile 2011, n. 2344 Appalto di servizi - Contratti della P.A. - Gara - Per l'affidamento dei servizi alberghieri Requisiti soggettivi di partecipazione - Elementi qualitativi dell'offerta - Certificazione ISO - Avvalimento - Ammissibilità - Sussiste - Condizioni. Avvalimento della certificazione ISO L'ampia operatività dell'istituto dell'avvalimento, più volte ribadita dalla giurisprudenza comunitaria, deve essere estesa, oltre che ai requisiti di ordine finanziario ed economico, anche a quelli che attestano elementi qualitativi, quali, ad esempio, la certificazione ISO. Queste le conclusioni contenute nella sentenza in commento, resa dal Consiglio di Stato il 18 aprile 2011 n. 2344. Il ragionamento giuridico seguito dai giudici amministrativi prende spunto dall'esigenza di considerare l'avvalimento nell'ottica dell'ordinamento comunitario, poi trasfuso nelle disposizioni di cui all'art. 49 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Così strutturato, l'istituto in esame assume una funzione incentivante della concorrenza, agevolando l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti e, pertanto, deve essere evitata ogni lettura aprioristicamente restrittiva dell'ambito di operatività della disciplina richiamata. Sulla base di queste considerazioni generali, l'istituto dell'avvalimento può essere utilizzato per dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di "qualità", considerato che la disciplina del codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere comprovati mediante tale strumento. Viene tuttavia precisato che il requisito considerato non può essere oggetto di un "prestito" astratto. Infatti è onere del concorrente dimostrare, in sede di presentazione dell'offerta, che l'impresa ausiliaria non si impegna semplicemente a "prestare" il requisito soggettivo richiesto, "ma assume l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri elementi aziendali qualificanti)". Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo dato assume particolare importanza processuale, poiché UNITELNews24 47 la dimostrazione del presupposto sostanziale (impegno globale dell'ausiliaria) prescinde da una specifica eccezione della controparte. (Avv. Antonio Giacalone, Il Sole 24 ORE Codice degli appalti, 22 aprile 2011) CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II, SENTENZA 7 marzo 2011 n. 5388 Difformità e vizi dell’opera - Riconoscimento da parte dell’appaltatore - Assunzione dell’obbligo di eliminarli - Nuova obbligazione - Prescrizione – È quella decennale. (Cc, articoli 1333, 1667 e 2944) Qualora l’appaltatore riconosca la sussistenza dei vizi della prestazione seguita e, riconoscendo la propria responsabilità, prenda l’impegno di eliminarli, proponendo i rimedi idonei a escludere in modo definitivo gli inconvenienti, sorge - a carico dell’appaltatore medesimo - una nuova obbligazione, novativa di quella originaria ex lege, come tale soggetta all’ordinario termine decennale di prescrizione. (M.Fin. Il Sole 24 ORE - Guida al diritto 16 aprile 2011, n. 16) CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 114 APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Regione Friuli Venezia Giulia – Previsione statutaria di competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale – Previsioni del Codice dei contratti pubblici – Rapporto. Nella Regione Friuli-Venezia Giulia trova applicazione – secondo quanto previsto dall’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – la specifica attribuzione statutaria circa la competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse ragionale, non contemplando il novellato titolo V della parte seconda della Costituzione la materia “lavori pubblici”. Ciò, tuttavia, non significa che – in relazione alla disciplina dei contratti di appalto che incidono sul territorio della Regione – la legislazione regionale sia libera di esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano trovare applicazione le disposizioni di principio contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. La medesima disposizione statutaria contenuta nell’art. 4 sopra citato prevede, infatti, che la potestà legislativa primaria regionale deve essere esercitata «in armonia con la Costituzione, con i principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato (...)», e non vi è dubbio che le disposizioni contenute nel Codice del contratti pubblici – per la parte in cui si correlano alle disposizioni del titolo V della parte seconda della Costituzione e, in particolare, all’art. 117, secondo comma, lettere e) ed l), in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento civile – devono essere ascritte, per il loro stesso contenuto d’ordine generale, all’area delle norme fondamentali di riforme economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. In questa prospettiva, vengono in considerazione, in primo luogo, i limiti derivanti dal rispetto dei principi della tutela della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie. In tale ambito, la disciplina regionale non può avere un contenuto difforme da quella prevista, in attuazione delle norme comunitarie, dal legislatore nazionale e, quindi, non può alterare negativamente il livello di tutela assicurato dalla normativa statale. In secondo luogo, il legislatore regionale deve rispettare i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi sull’intero territorio nazionale, in ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza. APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Criteri di aggiudicazione – Legislatore regionale – Indicazione dell’ordine di priorità nella scelta – Incisione sui livelli di tutela della concorrenza – Esclusione. Nei casi in cui il legislatore regionale non ha escluso in via aprioristica ed astratta uno dei possibili criteri di aggiudicazione, ma si è limitato ad indicare un ordine di priorità nella scelta, tale diversità di disciplina non è suscettibile di alterare le regole di funzionamento del mercato e, pertanto, non è idonea ad incidere negativamente sui livelli di tutela della concorrenza fissati dalla legislazione statale (sentenza n. 221 del 2010). APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Facoltà di esclusione automatica – Numero di offerte inferiore a dieci – Art. 3, c. 1 bis L. r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009 – Disciplina diversa da quella nazionale – Illegittimità costituzionale. UNITELNews24 48 L’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 – a seguito della modifica ad esso apportata dall’art. 1, comma 1, lettera bb), n. 2, del decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152 (Ulteriori disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 25, comma 3, della legge 18 aprile 2005, n. 62) –stabilisce che la facoltà di esclusione automatica «non è esercitabile quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci». Questa Corte ha già avuto modo di affermare che tale modifica è stata imposta dall’esigenza di «aumentare l’area di concorrenzialità» (sentenza n. 160 del 2009). Il legislatore regionale del Friuli Venezia Giulia – non avendo previsto che, nelle stesse ipotesi considerate a livello statale, non si possa disporre l’esclusione automatica – ha introdotto, con l’art. 3, c. 1 bis della L.r. n. 11/2009, una disciplina diversa da quella nazionale, idonea ad incidere negativamente sul livello della concorrenza, che deve essere garantito agli imprenditori operanti nel mercato. Ne consegue l’illegittimità costituzionale del citato comma. APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Art. 122 d.lgs. n. 163/2006 – Forme di pubblicità– Art. 1bis L.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009 – Illegittimità costituzionale. Deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 1-bis della L.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009, nella parte in cui non prevede che, oltre alle forme di pubblicità stabilite a livello regionale, si applichino anche quelle imposte dall’art. 122 del d.lgs. n. 163 del 2006. APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Incarichi di progettazione – Art. 91, c. 2 d.lgs. n. 163/2006 – Affidamento – Invito – Numero minimo di cinque soggetti – L.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009, art. 1 bis, c. 5 – Diversità di disciplina – Numero minimo di tre soggetti – Illegittimità costituzionale. La norma statale di cui all’art. 91, c. 2 del d.lgs. n. 163/2006 prevede che «gli incarichi di progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di quanto disposto all’articolo 120, comma 2-bis, di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 possono essere affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ai soggetti di cui al comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h) dell’articolo 90, nel rispetto dei principi di non discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale numero aspiranti idonei». La norma contempla un sistema di affidamento che non impone il rispetto di regole e procedure rigide salvo su un punto. Il legislatore nazionale ha, infatti, previsto che l’invito debba essere rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono, in tale numero, aspiranti idonei. La norma regionale di cui all’art. 1-bis, c. 5 della L. r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009, invece, stabilisce che la selezione debba avvenire tra tre soggetti individuati dal responsabile unico del procedimento. La riduzione degli operatori economici abilitati a partecipare alla procedura selettiva comporta una diversità di disciplina idonea ad incidere negativamente sul livello complessivo di tutela della concorrenza nel particolare segmento di mercato preso in considerazione. La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede che la procedura selettiva debba svolgersi tra tre e non tra «almeno cinque soggetti». (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA n. 1739 del 21 marzo 2011 Danno da ritardato pagamento – procedimento amministrativo – Ritardo nel rilascio di un’autorizzazione – Danni da ritardi – risarcibili a prescindere Nota Risarcimento del danno causato dal ritardo della Pubblica Amministrazione Con la sentenza n. 1739 del 21 marzo 2011 la V sezione del Consiglio di Stato ha riconosciuto il risarcimento del danno causato dalla Regione Veneto per non aver rispettato il termine, previsto dalla relativa legge regionale, per il rilascio del provvedimento di autorizzazione richiesto dall’impresa ricorrente. In data 30 aprile 2008, l’impresa ricorrente presentava istanza di autorizzazione per la realizzazione di un impianto di stoccaggio e recupero di rifiuti speciali, lavaggio e bonifica in un UNITELNews24 49 Comune situato nella regione Veneto. A causa dell’inerzia dell’amministrazione regionale, l’impresa proponeva ricorso avverso il silenzio e contestualmente chiedeva il risarcimento del danno. La regione Veneto si costituiva in giudizio depositando la deliberazione con cui, in data 27 ottobre 2009, era stato approvato l’intervento richiesto. Per tale ragione il T.A.R. adito dichiarava cessata la materia del contendere e dichiarava inammissibile la domanda di risarcimento del danno in quanto incompatibile con la natura accelerata e semplificata del rito avverso il silenzio. Avverso la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, l’impresa proponeva appello. Il Consiglio di Stato, preliminarmente ha sottolineato come in base alle nuove disposizioni previste dall’articolo 32 del codice del processo amministrativo, deve sempre ritenersi ammesso il cumulo di più domande assoggettate a riti diversi, precisando che “In particolare, l’art. 117, comma 6, del Codice ha previsto che, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare con il rito ordinario la domanda risarcitoria”. Per quanto attiene al merito della controversia, il Consiglio di Stato ha riconosciuto e accertato la sussistenza di un ritardo di oltre un anno nel rilascio dell’autorizzazione e l’imputabilità della colpa in capo all’amministrazione regionale, specificando altresì come il danno può comunque essere risarcito anche ove l’impresa non abbia più ritenuto opportuno iniziare l’attività proprio a causa del ritardo con cui è stata rilasciata l’autorizzazione. Ed infatti “Deve, quindi, ritenersi che il ritardo nel rilascio dell’autorizzazione è imputabile soggettivamente alla regione Veneto e che non sussiste alcun valido elemento idoneo a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo. L’accertamento della sussistenza di un ritardo di oltre un anno nel rilascio dell’autorizzazione e l’imputabilità del ritardo al Comune non risolvono tutte le problematiche della presente controversia, che attiene al risarcimento del danno subito dalla ricorrente a causa di tale ritardo. Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento. Il ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”, costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione per l’esecuzioni di lavori di realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti. In questi casi la giurisprudenza è pacifica nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone che anche il tempo è un bene della vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4 novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se l’esito fosse stato in ipotesi negativo)[…]Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato e ciò proprio al fine di programmare le proprie attività e i propri investimenti; un inatteso ritardo da parte della p.a. nel fornire una risposta può condizionare la convenienza economica di determinati investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno già verificatosi.”. Per quanto attiene alla prova del risarcimento del danno, il Consiglio di Stato ha però precisato come il ricorrente debba comunque fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare, in assenza di prove, né una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. né la consulenza tecnica d’ufficio. Per tale ragione i giudici non hanno accolto la richiesta di risarcimento del danno della ricorrente sia per gli asseriti costi sostenuti per varie consulenze che in riferimento ai mancati utili. Ed infatti per tali danni non era stato dimostrato né l’effettivo nesso causale con la condotta dell’amministrazione nè soprattutto era stata fornita adeguata giustificazione. Al contrario i giudici dell’appello hanno riconosciuto il risarcimento del danno per quanto attiene agli interessi passivi corrisposti dalla ricorrente e non contestati dall’amministrazione regionale. UNITELNews24 50 Secondo la sezione V “Infatti, proprio sulla base della possibilità prospettata di non dare corso all’investimento, il tempestivo rilascio dell’autorizzazione avrebbe messo in condizione l’impresa di rispettare il proprio programma di investimento, mentre il ritardo ha determinato uno sfasamento tra ricorso al credito e attuazione dell’intervento, che ha certamente determinato un danno all’impresa ricorrente, che – ove avesse conosciuto i reali tempi di durata del procedimento amministrativo – avrebbe potuto desistere dall’investimento o comunque non ricorrere subito al finanziamento, non pagando in entrambi i casi gli interessi passivi in questione”. In definitiva con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha riconosciuto come anche il ritardo della Pubblica Amministrazione può essere risarcito dal momento che “…il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione dei piani finanziari relativi a qualsiasi intervento…”, ma è onere del ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno. (Fausto Indelicato Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24 07/04/2011) CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 1 aprile 2011, n. 2055 APPALTI – Offerte anomale – Subprocedimento di verifica – Motivazione. Il giudizio che conclude il sub procedimento di verifica delle offerte anomale, di natura globale e sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, costituisce espressione di un potere tecnico discrezionale dell'Amministrazione, di per sé insindacabile salva l'ipotesi in cui le valutazioni ad esso sottese non siano abnormi o manifestamente illogiche o affette da errori di fatto. Ne discende che la relativa motivazione deve essere rigorosa in caso di esito negativo, mentre la positiva valutazione di congruità della presunta offerta anomala è sufficientemente espressa anche con motivazione per relationem alle giustificazioni rese dall'impresa offerente (da ultimo, ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 852; Consiglio di Stato, sez. V, 23 novembre 2010, n. 8148). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, sentenza n. 1446,8 marzo 2011 Appalto di servizi - Contratti della P.A. - Gara - Per l'affidamento del servizio di trasporto scolastico - Aggiudicazione provvisoria - Annullamento - Mancato avviso di avvio del procedimento - Legittimità – Sussistenza. Nota Rapporto tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva nel Codice dei Contratti Pubblici Il Consiglio di Stato Sez. V, con sentenza n. 1446 dell’ 8 marzo 2011 ha chiarito come nell’ambito di una procedura di scelta del contraente, l’aggiudicazione provvisoria rappresenta un atto necessario ma non decisivo atteso che l’individuazione definitiva del concorrente risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva. La pronuncia in commento aveva origine da un ricorso presentato da un soggetto che dopo essere stato dichiarato aggiudicatario provvisorio, aveva successivamente impugnato il provvedimento con il quale la stazione appaltante aveva annullato, in autotutela, l’aggiudicazione provvisoria. In particolare veniva censurata la mancata comunicazione di avvio del procedimento che si era concluso con l’adozione del provvedimento in autotutela. Per una migliore comprensione della decisione in commento, sembra opportuno riportare le disposizioni del d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che disciplinano l’aggiudicazione provvisoria e l’aggiudicazione definitiva. L’art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento) al suo comma 5 prevede che “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12 comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva”. L’art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento) prevede, al 1° comma, che “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”. Dalla lettura delle norme in oggetto si può vedere come nell’ambito del Codice dei contratti UNITELNews24 51 l’aggiudicazione provvisoria rappresenta solo un presupposto dell’unico procedimento di aggiudicazione che comunque deve essere concluso con il provvedimento di aggiudicazione definitiva. In conformità al dettato normativo il Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; pertanto, versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento in autotutela (cfr. da ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7460)”. In definitiva, con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha contribuito ulteriormente a chiarire come l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo necessario ma non decisivo, considerato la sua natura di atto endoprocedimentale, ai fini della definitiva aggiudicazione dell’appalto (Fausto Indelicato Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24 , 07/04/2011) Nota Anche al mancato vincitore vanno risarcite le spese legate alla partecipazione Il Consiglio di Stato ammette il risarcimento delle spese di partecipazione alla gara anche per l'impresa mancata aggiudicataria, vittima di procedure illegittime. L'indennizzo fa parte della mancata chance. La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è divisa sulla risarcibilità delle spese di partecipazione alle procedure di evidenza pubblica. Con la decisione del 21 marzo 2011, n. 1738, la V sezione del Consiglio di Stato ha disposto il loro ristoro nell'ambito della condanna al risarcimento dei danni subiti da un concorrente per una mancata aggiudicazione. Le spese sostenute per partecipare alla procedura di gara sono state ritenute risarcibili quale danno emergente subito a causa della lesione della chance di divenire aggiudicataria, lesione conseguente a un'illegittima aggiudicazione. In sede risarcitoria, quindi, l'interesse legittimo del concorrente a ottenere l'aggiudicazione di un appalto pubblico o di un'altra commessa pubblica è stato considerato tutelabile anche mediante il risarcimento delle spese di gara. Cambio di linea La decisione è in contrasto con la posizione largamente maggioritaria della giurisprudenza amministrativa in materia di risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione. Un precedente, in realtà, si erà già avuto con la sentenza n. 6544 del settembre 2010 dello stesso Collegio. Fino ad allora, il Consiglio di Stato era stato pressoché unanime nell'escludere il ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla gara. Le spese di gara Le spese sostenute per la partecipazione alla procedura di gara si differenziano a seconda del tipo di procedura. Comuni alla maggior parte delle procedure sono le spese relative al contributo da versare all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, alla prestazione della garanzia provvisoria (ad esempio, il premio per la polizza fideiussoria), alle cd. spese di bollo, quelle di predisposizione della documentazione (in particole, se è richiesta la presentazione di certificazioni o visure da acquisire presso le amministrazioni), nonché quelle di spedizione. A seconda del tipo di procedura e dell'oggetto dell'appalto, il concorrente può sostenere ulteriori spese, in special modo se il bando prescrive la predisposizione di una progettazione o di un'offerta tecnica articolata o richiede la presentazione di un piano economico-finanziario o di un altro documento asseverato da un istituto di credito o finanziario. In questi casi, le spese possono essere particolarmente rilevanti, soprattutto ove si tenga conto anche dei costi legati all'impiego di dipendenti o consulenti del concorrente (compresi i consulenti legali per le gare particolarmente complesse) o del concorrente stesso (ad esempio, l'attività prestata negli appalti di progettazione dagli studi di progettazione concorrenti o dai professionisti concorrenti). La giurisprudenza finora UNITELNews24 52 Secondo la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato queste spese sarebbero risarcibili all'impresa illegittimamente esclusa dalla procedura di gara, al contrario, l'impresa danneggiata per una mancata aggiudicazione non avrebbe diritto al loro ristoro. In particolare, in ipotesi d'illegittima esclusione, verrebbe in rilievo una responsabilità precontrattuale della stazione appaltante, per aver illegittimamente e colpevolmente coinvolto l'impresa in trattative negoziali inutili, trattative da intendersi tali alla luce dell'illegittima esclusione dalla procedura di gara. In simili ipotesi, il risarcimento riguarderebbe il cosiddetto interesse negativo del concorrente, vale a dire l'interesse dello stesso a non essere stato coinvolto in tali trattative. Il risarcimento dell'interesse negativo comporta il diritto dell'impresa a essere reintegrata in una situazione analoga a quella in cui si troverebbe ove non fosse stata coinvolta in queste trattative. Si tratta di un interesse da ristorare, ove possibile, in forma specifica, mediante la riammissione in gara, in subordine, per equivalente, mediante la corresponsione di un equivalente monetario. Nell'ambito del ristoro dell'interesse negativo, sono risarcibili, a titolo di danno emergente, le spese sostenute dall'impresa per predisporre l'offerta e partecipare alla gara, vale a dire per aver svolto inutili trattative (Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 4435/2002). I giudici di Palazzo Spada, al contrario, ritengono non risarcibili le spese di partecipazione, in ipotesi di danni da mancata aggiudicazione. Si tratta dei danni subiti dal concorrente che, alla luce di quanto emerso in sede giurisdizionale, avrebbe dovuto conseguire l'aggiudicazione o aveva concrete chanche di divenire aggiudicatario in luogo dell'impresa illegittimamente dichiarata aggiudicataria. In tal caso, oggetto di risarcimento è il cosiddetto interesse positivo, che comporta il diritto del concorrente a essere reintegrato in una situazione analoga a quella in cui si troverebbe ove le trattative si fossero correttamente svolte e, quindi, presumibilmente concluse con un provvedimento d'aggiudicazione a favore dell'impresa. Secondo la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato, il risarcimento dell'interesse positivo in caso di danno da mancata aggiudicazione non ricomprenderebbe il ristoro delle spese sostenute per la partecipazione alla procedura di gara. E ciò sulla base dell'assunto che in caso di aggiudicazione il concorrente non avrebbe ottenuto il rimborso di queste spese. Si esclude il risarcimento di queste spese, in quanto in sede risarcitoria non si può attribuire all'impresa un'utilità maggiore rispetto a quella che avrebbe conseguito per effetto dell'aggiudicazione (Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 2751/2008). I nuovi principi Con la decisione 1738/2011 la V sezione ha confermato la recente discontinuità. In particolare, nella sentenza è stato ricordato che per previsione degli articoli 1223 e 2056 del codice civile il risarcimento deve comprendere sia il danno emergente (la perdita subita) sia il lucro cessante (il mancato guadagno). La V sezione ha poi osservato che il concorrente sostiene le spese di partecipazione per poter godere della chance di divenire aggiudicatario. La condotta della stazione che determina l'illegittima aggiudicazione non consente al concorrente di usufruire di tale chance, in quanto la possibilità di conseguire l'appalto è pregiudicata da tale illegittima condotta che altera il confronto concorrenziale e impedisce all'impresa di veder correttamente valutata la propria offerta e nel caso giudicata quale migliore offerta. Per questo, nella sentenza si rileva che in tali ipotesi le spese sono sostenute inutilmente dal ricorrente, perché non possono adempiere la loro funzione di assicurare un'effettiva chance di aggiudicazione, da ciò si conclude per la loro risarcibilità. La V sezione afferma la risarcibilità senza ribaltare l'assunto a fondamento della tesi di irrisarcibilità della giurisprudenza maggioritaria. E infatti, nella sentenza non si sostiene che il concorrente avrebbe ottenuto il rimborso di tali spese in caso di legittimo svolgimento della procedura di gara ed eventualmente di aggiudicazione a suo favore. La questione è esaminata e risolta da una prospettiva in parte diversa: l'inutilità delle spese sostenute che è determinata dall'illegittimo comportamento della stazione appaltante. Il concorrente sopporta le spese in ragione della possibilità di divenire aggiudicatario, ma, a causa della condotta della stazione appaltante, la possibilità non può in alcun modo concretizzarsi. La sentenza si pone nel filone giurisprudenziale e dottrinario di superamento della cd. teoria della differenza, secondo la quale il danno risarcibile dovrebbe essere commisurato nella differenza che il patrimonio complessivo del danneggiato avrebbe raggiunto senza l'intervento dell'atto illecito e il UNITELNews24 53 suo effettivo ammontare. Per tale teoria le spese di partecipazione non sono risarcibili, perché in caso di aggiudicazione le spese sostenute dal concorrente non sarebbero rimborsate con il corrispettivo d'appalto e, quindi, sarebbero rimaste a carico del concorrente. La teoria della differenza, tuttavia, è stata criticata perché legata a una visione statica dei rapporti economici. La sentenza 1738/2011 appare, pertanto, in linea con una lettura evolutiva della teoria dei danni risarcibili. A ciò si aggiunga che le spese di partecipazione alla gara sono altresì da risarcire ogni volta che il ricorrente dimostri di aver previsto tali spese tra le spese generali o in altre voci della propria offerta destinate a essere remunerate con il ricavato dell'appalto. (Flavio Iacovone, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio, 4-9 aprile 2011, n. 13) Edilizia TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II – 7 aprile 2011, n. 526 DIRITTO URBANISTICO – Gazebo – Natura di costruzione – Volume edilizio – Esclusione. Un gazebo, costituito da quattro colonne con sovrastante copertura, non configura un volume edilizio, essendo aperta su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione edilizia (TAR Piemonte, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4158): esso può senza dubbio essere qualificato come arredo per spazi esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una concessione edilizia (Tribunale di Napoli, 18 dicembre 2004). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 29 marzo 2011, n. 487 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ARPA – Nota emanata all’esito di un sopralluogo – Giudizio sull’esito del sopralluogo – Natura di parere – Esercizio della funzione consultiva propria dell’ARPA – Impugnazione – Inammissibilità. La nota emanata dall’ARPA all’esito di un sopralluogo, con la quale l’ente comunica le proprie valutazioni al riguardo, contenendo un giudizio sull’esito (ritenuta sussistenza di irregolarità) ma omettendo qualsiasi prescrizione sulle azioni concrete da intraprendere in conseguenza costituisce non già esercizio di funzioni di amministrazione attiva eccedenti la competenza dell’ARPA, quanto esercizio della funzione consultiva di essa propria, a fronte del quale gli organi competenti, la Provincia e il Comune sollecitati, potranno, secondo i principi, conformarsi all’orientamento espresso o motivatamente discostarsene. Ne deriva che la nota in questione costituisce in sostanza un parere, che come tale non riveste carattere provvedimentale, e quindi non può di regola essere impugnato, perché privo di autonoma attitudine lesiva. (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CONSIGLIO DI STATO, IV SEZIONE, SENTENZA n. 2113 del 4 aprile 2011 Espropriazione - per pubblica utilità - controversia - oggetto - risarcimento dei danni derivanti dall'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo adottato in materia di espropriazione per pubblica utilità - giurisdizione del Giudice Amministrativo - sussiste. La controversia concernente il risarcimento dei danni derivanti dall'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo adottato in materia di espropriazione per pubblica utilità spetta al Giudice Amministrativo. Viceversa, le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa, intese come manipolazione del fondo di proprietà privata, avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità, ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia, rientrano nella giurisdizione ordinaria. Sussiste, infine, la giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo in caso di danni conseguenti all'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità. Orbene, nel caso di specie, inerente il risarcimento dei danni patiti per l'illegittima occupazione di aree, a seguito dell'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, risulta infondato l'appello incidentale promosso dal Comune interessato sul difetto di giurisdizione dell'adito Giudice Amministrativo, essendo del tutto irrilevante che il successivo decreto di esproprio era valido ed efficace, posto che l'eliminazione della dichiarazione di pubblica utilità ha effetto caducante sul decreto in parola. UNITELNews24 54 Nota L'edificabilità di fatto come criterio di prova del danno per le occupazioni illegittime dei terreni da parte della PA Con la sentenza n. 2113 del 4 aprile 2011 la IV sezione del Consiglio di Stato ribadisce alcuni fondamentali principi in tema di occupazione illegittima di terreni da parte della Pubblica Amministrazione e profili risarcitori. In primo luogo il Collegio ribadisce i principi che regolano il riparto di giurisdizione precisando che: “spetta al giudice amministrativo” ogni controversia cha ha ad oggetto “il risarcimento dei danni conseguenti all'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo in tema di espropriazione per pubblica utilità” come l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità (Consiglio Stato a. plen., 09 febbraio 2006 , n. 2; n.9 del 30 luglio 2007). “Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa, intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia, rientrano nella giurisdizione ordinaria (omissis) (Cassazione civile , sez. un., 23 dicembre 2008 , n. 30254).” Nel merito poi della richiesta risarcitoria del proprietario del fondo di fatto espropriato il collegio precisa nella liquidazione del danno da occupazione illecita “non ricorrendo il parametro dell’edificabilità legale”, si deve tenere conto del parametro “dell’edificabilità di fatto” e quindi “fare riferimento alle obiettive caratteristiche della zona ed alla possibile utilizzazione del terreno, anche in relazione al contesto spaziale nel quale quest'ultimo concretamente si ponga in ragione del rapporto di fisica contiguità con aree limitrofe edificate o appartenenti alla medesima zona cui l'area espropriata è funzionale, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibilità con le generali scelte urbanistiche ed entro i limiti in ogni caso posti dall'art. 4” T.U. Espropri (DPR 327/2001). Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ricorda che è onere del cittadino proprietario del terreno illegittimamente occupato e di fatto espropriato, dimostrare in concreto il valore del terreno da risarcire - la sua “edificabilità di fatto” - producendo atti notarili di compravendita di terreni limitrofi da cui si possa ricavare tale valore. In base al principio di ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) che impone alla parte la prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, non si può demandare la prova del valore del terreno occupato ad una semplice richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. Essa infatti “ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non possedute” ma non può supplire ad una totale carenza probatoria connessa alla richiesta risarcitoria. (Fabio Agostoni Avvocato, Il Sole 24 ORE - Repertorio di Urbanistica ed Edilizia, 11 aprile 2011) Energia TAR PUGLIA, Lecce, Sez. I – 13 aprile 2011, n. 657 DIRITTO DELL’ENERGIA - Istanza di autorizzazione unica – Oneri istruttori – L. n. 62/2005, art. 4 – Criteri della predeterminatezza e della pubblicità – Momento in cui gli oneri devono essere quantificabili – Presentazione della domanda. La L. 18 aprile 2005 n. 62, all’art. 4, stabilisce che gli oneri per prestazioni e controlli da eseguire da parte di uffici pubblici nell'attuazione delle normative comunitarie sono posti a carico dei soggetti interessati secondo tariffe “predeterminate e pubbliche”. La ratio della norma che prevede la predeterminazione del costo degli oneri istruttori è quella di assicurare che il soggetto proponente conosca l’importo degli stessi oneri nel momento in cui presenta la domanda ; è quindi alla data di presentazione della domanda che deve essere individuato il momento in cui l’onere deve essere quantificabile. In caso contrario, gli oneri istruttori non potrebbero essere quantificati dai soggetti che attivano la procedura, impedendo così agli stessi di formare un piano economico consapevole (fattispecie relativa alla domanda di Autorizzazione Unica alla regione Puglia per la costruzione e l’esercizio dell’impianto fotovoltaico). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 112 DIRITTO DELL’ENERGIA – D.Lgs. n. 22/2010 – Gestione e utilizzazione delle risorse geotermiche - Valore di riforma economico-sociale – Regioni e Province autonome – Osservanza – Obbligo. UNITELNews24 55 Le disposizioni del d.lgs n. 22 del 2010, le quali hanno ad oggetto la gestione e l’utilizzazione delle risorse geotermiche, disciplinandone la ricerca, la coltivazione ed il loro inserimento nel piano energetico nazionale, hanno valore di “riforma economico-sociale” di rilevante importanza e, indipendentemente dal problema delle situazioni dominicali, debbono essere osservate anche dalle Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome, titolari di competenze primarie in tema di “miniere”. Dette disposizioni, inoltre, che perseguono l’unica ratio di ottenere energia rinnovabile e senza inquinamento, derivano dall’esercizio da parte dello Stato delle competenze esclusive in materia ambientale, in necessario concorso con le competenze in materia di energia, sicché, anche sotto questo profilo, esse sono in grado di imporsi all’osservanza da parte delle Regioni e delle Province autonome, le quali sono sprovviste di competenze legislative primarie in materia di tutela dell’ambiente. DIRITTO DELL’ENERGIA – Risorse geotermiche – Provincia autonoma di Bolzano – Canoni relativi ai permessi di ricerca e concessioni geotermiche – Art. 1, c. 6 , d.lgs. n. 22/2010 – Illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede l’inapplicabilità della disciplina alla Provincia di Bolzano. La Provincia di Bolzano è tenuta ad osservare le norme statali costituenti riforme economico-sociali per quegli aspetti che riguardano la gestione e la migliore utilizzazione delle risorse geotermiche, siano esse di alta, media o bassa entalpia, mentre mantiene tutti i suoi diritti per quanto concerne gli aspetti economici. In altre termini, spettano alla Provincia i canoni relativi ai permessi di ricerca ed alle concessioni delle risorse geotermiche. Ne deriva che il comma 6 dell’art. 1 del d.lgs n. 22 del 2010, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la disposizione relativa all’appartenenza delle risorse geotermiche ad alta entalpia al patrimonio indisponibile dello Stato non si applica alla Provincia di Bolzano. (Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) Rifiuti CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 1 aprile 2011, n. 2058 RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Art. 4 D.L. n. 90/2008 - Giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo – Estensione. La devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti alla complessiva azione di gestione dei rifiuti (art. 4 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, convertito, con modificazioni, nella legge 14 luglio 2008, n. 123) presuppone che gli atti o comportamenti della p.a., o dei soggetti alla stessa equiparati, costituiscano espressione dell’esercizio di un potere autoritativo dell’amministrazione pubblica, rimanendone escluse le controversie nelle quali sia dedotto in giudizio un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo negoziale, intesa a regolare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, che continuano ad appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario.(Corte di Cassazione, SS.UU., 11 giugno 2010, n. 14126; 7 luglio 2010, n. 16032); la giurisdizione esclusiva in materia, riguarda inoltre le sole controversie attinenti la complessiva gestione dei rifiuti, nella cui nozione non sono compresi, ai sensi dell’art. 117 e ss. D.Lgs. 3.04.2006, n. 152, gli strumenti di provvista di risorse umane e materiali, che vanno, conseguentemente ritenuti estranei alla giurisdizione del giudice amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2009, n. 1845) (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) Sicurezza CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 3 marzo 2011, n. 5134 SICUREZZA SUL LAVORO - Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - Azione di regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro - Mancato esercizio dell’azione penale - Termine di prescrizione ex art. 112 D.P.R. 1124/1965 - Dies a quo. Con l'azione di regresso prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno del 1965, n. 1124, articoli 10 ed 11, l'INAIL, agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo. L’azione nei confronti del datore di lavoro che ha violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro è, in qualche misura, assimilabile all'azione di risarcimento danni promossa dall'infortunato, tanto che il diritto viene esercitato entro i limiti del complessivo danno civilistico ed é funzionalizzato a sanzionare il datore di lavoro, consentendo contestualmente all'Istituto assicuratore di recuperare quanto UNITELNews24 56 corrisposto al danneggiato. Il diritto dell'INAIL al recupero di quanto erogato al danneggiato deve allora agganciarsi, per la certezza dei rapporti giuridici, alla liquidazione dell'indennizzo assicurativo costituente il fatto certo e costitutivo del diritto a svolgere, nel termine normativamente prescritto, l'azione di regresso. (Conf. Cass. 4015/1992, Cass. 8467/1994; Cass. 13598/2009; Contr. Cass. 968/2004; Cass. 502/1985). (Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it) CORTE DI CASSAZIONE, Sez. pen., 27 settembre 2010, n. 34774 MACCHINE - Sicurezza del lavoro - Sega per il taglio di tovagliolini di carta - Mancanza di segregazione della lama e di dispositivi di sicurezza - Rimozione di tovagliolini inceppati - Infortunio dell'operaio addetto - Responsabilità penale del datore di lavoro e del produttore del macchinario – Prescrizione Nota Macchinario non “a norma”: responsabili datore di lavoro e produttore La quarta sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 34774 del 27.09.2010, è tornata ad affermare un principio di sicuro interesse nella materia previdenziale, chiarendo che, in caso di infortunio provocato da macchinario non conforme alle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro, devono ritenersi ugualmente responsabili in ordine all’accertamento di responsabilità il datore di lavoro e il soggetto produttore della macchina. Nel caso in esame entrambi ricorrevano alla Suprema Corte a seguito di condanna, sia in primo che in secondo grado, per il delitto di cui all'art. 590 c.p. (lesioni aggravate in danno del lavoratore) motivata dall’aver originato la disposizione di lavoro (datore) l’incidente occorso all’operaio, quest’ultimo verificatosi in condizioni di utilizzo di un macchinario privo di dispositivi di sicurezza, posto colpevolmente in commercio (produttore) .A tal proposito, la Corte ha più volte ribadito che, in materia di infortuni sul lavoro, la condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute. La tendenza giurisprudenziale, pertanto, anche alla luce dei primi positivi dati forniti da INAIL in tema di lieve riduzione degli incidenti denunciati, appare, nella materia indicata, orientarsi verso profili di sempre maggiore rigidità interpretativa nei confronti dela posizione datoriale. Si rammenta, infatti, che la stessa Corte, con precedente pronuncia, (sentenza n. 16941 del 4.5.2010) osservava che: “In caso di infortunio sul lavoro provocato dall’utilizzo di un macchinario che risulti privo dei necessari requisiti di sicurezza, il costruttore risponde dei danni subiti dal lavoratore anche nel caso in cui la costruzione del macchinario sia stata affidata ad un progettista”, rifacendosi proprio ad un’ulteriore precedente decisione (n. 15873 del 20.3.2007) nella quale veniva affermato che “il costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza. L’unica eccezione a tale principio si ha nel caso in cui l’utilizzatore risulti aver compiuto sulla macchina trasformazioni di natura ed entità tale da poter essere considerate “causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento”.Quanto alla posizione del produttore del macchinario, il profilo di responsabilità, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, deriverebbe direttamente dal rapporto contrattuale, nel corso del quale la azienda fornitrice della attrezzatura, e per la stessa il soggetto legale rappresentante, avrebbero posto in essere la condotta censurata. Quest’ultima consistita nell’immettere sul mercato uno strumento non conforme alle normative vigenti in materia di sicurezza su lavoro, con cio’ compartecipando insieme al datore di lavoro, che quel macchinario fornirà al dipendente, alla responsabilità per la produzione dell’evento dannoso. (Alberto Stocco, Francesco Cerchio, Il Sole 24 ORE - Ventiquattore Avvocato) UNITELNews24 57 Ambiente Bonifica e danno ambientale: l'utilizzo dei moduli negoziali Maurizio Pernice, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6 Vista l'inefficienza della sola applicazione degli strumenti autoritativi nei settori della bonifica e del risarcimento del danno ambientale, ampiamente dimostrata dai numerosi contenziosi pendenti e dai ritardi che si registrano nelle azioni di risanamento, è sempre più frequente il ricorso a sistemi negoziali e altre misure volontarie più flessibili. In Italia, il primo modulo convenzionale per la risoluzione delle controversie in materia di danno ambientale è stato utilizzato nel 1998; allo stesso anno risale anche la definizione ai sensi di legge delle "transazioni globali" in materia di danno ambientale. Il ricorso all'accordo di programma, disciplinato in via generale dall'articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000, è espressamente previsto dagli articoli 246 e 252 bis, D.Lgs. n. 152/2006, quale strumento di partecipazione attiva e volontaria anche per la definizione delle modalità, natura e tempi degli interventi di bonifica di un sito o di una pluralità di siti. Un'analisi di questi strumenti costituirà il tema del convegno, organizzato dal "Network bonifiche", che si terrà il 12 aprile 2011 a Roma. A distanza di quasi cinque lustri dall'entrata in vigore dell'articolo 18, legge n. 349/1986, a quasi quattordici anni dall'adozione dell'articolo 17, D.Lgs. n. 22/1997, e dopo ormai cinque anni dall'entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006, e successive modifiche e integrazioni, in materia di bonifica e risarcimento del danno ambientale, la sola applicazione degli strumenti autoritativi ha dimostrato tutti i suoi limiti e non è risultata idonea a conseguire gli obiettivi sperati. I numerosi contenziosi pendenti e i ritardi che si registrano nelle azioni di risanamento ne sono la testimonianza più immediata; la situazione è aggravata dalla difficoltà di reperire le ingenti risorse finanziarie pubbliche necessarie al finanziamento degli interventi, anche in via sostitutiva. A livello di ordinamento comunitario e nazionale è stato avviato, ormai da tempo, un approccio più moderno. La tutela dell'ambiente non è più affidata esclusivamente al sistema di "command e control", ma è sempre più spesso attuata con una progressiva e decisa emancipazione da quegli strumenti tradizionali ai quali sono affiancati, in alternativa e integrazione, più efficaci sistemi economici e negoziali e altre misure volontarie più flessibili. Nello specifico tema del risanamento dei siti contaminati, l'intervento volontario è privilegiato anche in altri paesi europei. Ad esempio, in Inghilterra il "Contaminated Land Regime", entrato in vigore nel 2000 a seguito delle modifiche apportate all'"Environmental Protection Act 1990 - Part 2a", non ha sostituito, ma affiancato, il regime del "Land Contamination Planning", in base al quale il problema della bonifica dei siti contaminati è affrontato in sede di elaborazione e approvazione dei piani di sviluppo territoriale e di rilascio di permessi di costruire, in modo che gli oneri di bonifica vengono ad essere compensati dai vantaggi economici dell'iniziativa urbanistica [1]. In Italia il modulo convenzionale per la risoluzione delle controversie in materia di danno ambientale è stato utilizzato inizialmente per la vicenda della petroliera "Haven", con il ricorso, però, a una complessa e specifica procedura stabilita dalla legge 16 luglio 1998, n. 239, recante "Autorizzazione a definire in via stragiudiziale le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei danni subiti dallo Stato Italiano per l'evento Haven e destinazione di somme a finalità ambientali". La transazione è stata poi utilizzata per definire gli impegni per la bonifica e la riparazione del danno ambientale nel sito nazionale di Porto Marghera. UNITELNews24 58 L'accordo transattivo è stato individuato anche come strumento di attuazione degli accordi di programma stipulati nei siti d'interesse nazionale tra il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e le altre amministrazioni coinvolte. Da ultimo, l'articolo 2, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito con modificazioni in legge 22 febbraio 2009, n. 13, ha dettato disposizioni specifiche per la stipula di "transazioni globali" in materia di danno ambientale. Accordi di programma per la bonifica dei SIN Il ricorso all'accordo di programma, disciplinato in via generale dall'articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000, è espressamente previsto dagli articoli 246 e 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, quale strumento di partecipazione attiva e volontaria anche per la definizione delle modalità, natura e tempi degli interventi di bonifica di un sito o di una pluralità di siti. La funzione generale dell'accordo di programma (articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000) è di favorire "la definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e di regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici", assicurando "il coordinamento delle azioni e (...) i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso adempimento". Questi obiettivi, finalità ed esigenze ricorrono anche per l'individuazione, il coordinamento e l'attuazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica di un sito, soprattutto se si tratta di siti di interesse nazionale nei quali la contaminazione coinvolge aree vaste, numerose proprietà private e aree pubbliche e diverse matrici ambientali. In particolare, il problema del coordinamento e della razionalizzazione delle azioni di messa in sicurezza e bonifica è connaturale alle caratteristiche dei siti d'interesse nazionale, nei quali gli interventi sulle acque sotterranee e sui sedimenti marini devono essere necessariamente attuati considerando l'area contaminata nella sua unità e complessità. Per rispondere a queste esigenze, l'art. 246, D.Lgs. n. 152/2006, attribuisce ai soggetti obbligati alla bonifica di un sito e ai soggetti altrimenti interessati un vero e proprio diritto soggettivo a definire le modalità e i tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma stipulati con le amministrazioni competenti. La stessa disposizione prevede che i tempi e le modalità degli interventi di bonifica possano essere definiti con accordi di programma allorché più soggetti debbano provvedere alla bonifica di un sito di interesse nazionale o di una pluralità di siti dislocati su tutto il territorio nazionale o che interessano più regioni. Inoltre, a integrazione del D.M. 18 settembre 2001, n. 468, concernente il programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, l'articolo 6, D.M. 28 novembre 2006, n. 308, ha stabilito che per la realizzazione di interventi con impiego di risorse finanziarie attribuite ai singoli siti dal programma nazionale di bonifica si debba procedere utilizzando lo strumento dell'accordo di programma da stipularsi con la regione interessata. Grazie anche a questo quadro normativo di riferimento, l'accordo di programma ha gradualmente assunto un ruolo centrale tra le iniziative assunte dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare per sbloccare la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica nei siti d'interesse nazionale. Le azioni da realizzare e gli impegni da assumere per la bonifica di siti di interesse nazionale, nonché le modalità e le condizioni per la composizione consensuale delle controversie ambientali pendenti o che potrebbero essere avviate, sono stati individuati e definiti in modo condiviso con apposito accordo di programma stipulato tra il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e le altre amministrazioni (regione, provincia, comune). Con questi accordi, le parti pubbliche firmatarie individuano e assumono l'impegno di realizzare interventi di messa in sicurezza delle acque di falda, di provvedere alla bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche, di procedere alla bonifica dei suoli e delle falde delle aree private in sostituzione in danno dei soggetti privati inadempienti e di effettuare la bonifica degli arenili e dei sedimenti marino-costieri eventualmente interessati dalla contaminazione, riservandosi di agire nei confronti dei soggetti responsabili, anche ai sensi dell'articolo 2051, c.c., per il rimborso delle spese sostenute e per il risarcimento dell'ulteriore danno ambientale [2]. I soggetti responsabili restano terzi estranei all'accordo, ma possono aderirvi tramite la stipula di un negozio transattivo con il quale sono ammessi a godere di specifiche agevolazioni economiche e limitazioni ai propri obblighi [3]. UNITELNews24 59 Per il responsabile della contaminazione e per il proprietario che non ha cagionato l'inquinamento del sito, ma è responsabile ex art. 2051 c.c., la transazione costituisce una mera accettazione e ratifica di quanto definito dalle pubbliche amministrazioni in sede di accordo di programma. In questo modo, l'atto transattivo ha per oggetto anche l'accertamento delle responsabilità per la bonifica e per l'ulteriore danno ambientale individuate nell'accordo di programma, che liquida nel loro ammontare. Di qui le inevitabili contestazioni in sede giudiziale e le conseguenti iniziative con le quali il legislatore è intervenuto per il riconoscimento eteronomo dell'efficacia di questi accordi e delle transazioni già stipulate in attuazione degli stessi [4]. I limiti e le incertezze riscontrate avrebbero potuto essere superate dalla disciplina dettata dall'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, in materia di accordi di programma per l'individuazione e l'attuazione di specifici programmi d'intervento nei siti di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale, con aree demaniali e acque di falda contaminate. Questa disposizione, infatti, prevede che il responsabile della contaminazione o altro soggetto interessato partecipi direttamente alla stipula dell'Accordo di programma, garantendo, però, che i progetti di risanamento e di sviluppo economico produttivo da realizzare in un sito siano condivisi sin dall'inizio tra tutti i soggetti coinvolti, favorendone l'attuazione [5]. Diverse sono anche le modalità con le quali l'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, affronta e risolve il tema della responsabilità per i danni ambientali antecedenti al 30 giugno 2006, ai quali non si applica la direttiva 2004/35/CE. Fermo restando il principio della responsabilità degli autori dell'inquinamento e, in via sussidiaria, dei proprietari del sito contaminato, per i danni ambientali che residuano all'esito degli interventi di bonifica [6], la disposizione in esame delimita direttamente con precisione gli obiettivi da conseguire e i beni oggetto del risanamento, nonché le conseguenze che l'attuazione degli interventi e delle misure a tal fine individuati determinano sulla responsabilità dei soggetti obbligati. Sotto quest'ultimo profilo, la corretta attuazione degli interventi di riparazione del suolo e delle acque e il ristoro dei servizi di queste risorse, pregiudicati dall'inquinamento, costituisce attuazione - e quindi anche definizione - della responsabilità per danno ambientale. La soluzione è particolarmente efficace ai fini della preclusione di eventuali ulteriori contenziosi Infatti, se si considera l'ampiezza che l'ordinamento italiano attribuisce alla nozione di danno ambientale e la sua incertezza, è evidente che alcuni profili di danno non previsti né prevedibili potrebbero non essere ricompresi nell'oggetto di un accordo transattivo, e, quindi, non essere coperti dallo stesso. Invece, la disciplina degli accordi di programma dettata dall'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, che non ha ancora trovato attuazione, sul punto appare in grado di garantire risultati migliori e maggiore certezza per le seguenti ragioni: - si riferisce solo alle situazioni di contaminazione antecedenti al termine ultimo di applicazione della direttiva 2004/35/CE, e, quindi, lascia un margine di discrezionalità al legislatore nazionale non censurabile in sede UE; - individua l'obiettivo degli accordi nella riparazione (ripristino) delle risorse naturali acque e terreno e dei servizi di queste risorse, nonché nell'attuazione di progetti di sviluppo economico; - limita l'oggetto del risarcimento per danno ambientale alle spese necessarie per riparare i danni cagionati alle acque, al terreno e ai servizi di queste risorse; - non è l'accordo di programma, ma è direttamente la legge che individua i beni da risanare e gli obiettivi di risanamento e stabilisce che la realizzazione degli interventi di riparazione e compensazione concordati a questi fini con l'accordo di programma costituisce anche attuazione degli obblighi di risarcimento del danno ambientale [7]. Le transazioni globali Da quanto precede, emerge che uno degli ostacoli maggiori all'attuazione degli interventi di messa in sicurezza e di bonifica dei siti contaminati d'interesse nazionale è proprio il diffuso contenzioso in atto in materia di danno ambientale. UNITELNews24 60 C'è poi il problema, che si è rivelato non meno importante, dei danni patrimoniali cagionati dal fatto lesivo del bene ambiente. Per superare queste difficoltà, il Governo ha adottato in via d'urgenza una disciplina speciale per l'approvazione e la stipula di contratti di transazione globale (art. 2, D.L. 30 dicembre 2008 n. 208 [8], convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2009, n. 13, recante "Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente"). La disposizione in questione prevede, tra l'altro, che "nell'ambito degli strumenti di attuazione di interventi di bonifica emessa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale", il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'esito di un articolato procedimento di autorizzazione [9], può stipulare con le imprese interessate, pubbliche o private, "una o più transazioni globali (...) in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica, degli oneri di ripristino, nonché del danno ambientale di cui agli articoli 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, e 300 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e degli altri eventuali danni di cui lo Stato o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento". La norma precisa che la stipulazione del contratto di transazione comporta, per i fatti oggetto della transazione, "abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per rimborso degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, ai sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, o della Parte VI del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, nonché per le altre eventuali pretese risarcitorie azionabili dallo Stato e da enti pubblici territoriali". A oggi, non si è a conoscenza della stipula di alcuna "transazione globale"; non si dispone, pertanto, di elementi concreti per poterne valutare l'efficacia e l'effettiva portata innovativa ai fini dello sblocco degli interventi di bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale. Tuttavia, alla luce dei principi generali, sembrerebbe che anche quest'ultima soluzione non sia in grado di superare i principali nodi critici che hanno ostacolato e reso difficile la definizione di accordi volontari nella disciplina di settore in questione. In primo luogo, solo il titolare di un diritto, o colui al quale è stato conferito il relativo potere di agire, può disporne. La decisione della conferenza di servizi che approva a maggioranza lo schema transattivo non appare, pertanto, idonea a imporre al soggetto dissenziente di disporre contro la sua volontà di un suo diritto al risarcimento del danno subito. La conferenza di servizi, infatti, è solo uno strumento di semplificazione del procedimento amministrativo e non un organo collegiale con potere di rappresentanza organica dei soggetti che vi partecipano. In secondo luogo, resta irrisolto il problema dei limiti degli effetti della transazione rispetto ai danni non previsti e non prevedibili; evenienza che in tema di danno ambientale è tutt'altro che eccezionale, soprattutto ove si consideri la natura ampia e indefinita della relativa nozione giuridica. Infine, la liquidazione per equivalente del danno ambientale sembra ammissibile solo con riferimento agli eventi antecedenti al 30 aprile 2007, che non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2004/35/CE. Quest'ultima, infatti, impone sempre il risarcimento in forma specifica, pur graduando gli interventi di ripristino in misure di riparazione primaria, complementare e compensativa. In particolare, in caso di riparazione mediante misure compensative, la disciplina comunitaria privilegia l'applicazione di metodi di equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio e in via subordinata prevede il ricorso a tecniche di valutazione alternative, compresa la valutazione monetaria, ma solo al fine di "determinare la portata delle necessarie misure di riparazione" (punto 1.2.2. e.1.2.3 dell'Allegato II alla direttiva 2004/356/CE, riprodotto all'Allegato 3, parte VI, D.Lgs. n. 152/2006). Conclusioni Alla luce di quanto precede, si ritiene che per favorire la collaborazione volontaria dei privati responsabili o interessati alla bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale e al recupero produttivo delle relative aree, è necessario individuare misure in grado di garantire un ritorno economico degli investimenti. Soluzione che presuppone una delimitazione certa delle responsabilità e degli oneri economici da sostenere. UNITELNews24 61 A questo fine, la liquidazione per equivalente del danno ambientale tramite accordi transattivi è sicuramente una soluzione utile, ma solo per le situazioni di contaminazioni storiche antecedenti alla data di applicazione della direttiva 2004/35/CE. Infatti, come accennato, l'ordinamento comunitario esclude il risarcimento del danno ambientale per equivalente; oltre al fatto che la possibilità di definire negozialmente gli obblighi e le responsabilità di riparazione per i danni ambientali futuri potrebbe attenuare le funzione di prevenzione della direttiva 2004/35/CE. Inoltre, la definizione transattiva delle responsabilità e degli obblighi per il risanamento dei siti d'interesse nazionale oggetto di contaminazioni storiche sarà tanto più efficace quanto più il legislatore definirà e circoscriverà in modo preciso i beni ambientali tutelati e gli obiettivi di riparazione degli stessi, facendo discendere direttamente dalla loro esecuzione il venir meno di ogni ulteriore responsabilità per danno ambientale; così da eliminare ogni rischio di insorgenza di danni imprevedibili non coperti dalla transazione. Infine, per favorire la collaborazione dei soggetti obbligati o interessati, gli interventi di bonifica dei siti in questione potrebbero essere inseriti in una programmazione di sviluppo urbanistico dell'area interessata, sul modello anglosassone, in grado di garantire un ritorno economico agli investimenti. In questa prospettiva è evidente la necessità di riconoscere un ruolo centrale alle amministrazioni comunali, anche nell'ambito di specifici accordi di programma. _____ [1] Ai sensi del "Town e Country Planning Act 1990" gli interventi di bonifica sono pianificati con lo sviluppo economico del sito in modo tale che i relativi costi di risanamento siano sostenuti da chi beneficia dello sviluppo. In sede di pianificazione dell'uso del territorio, le competenti autorità locali sono responsabili del fatto che tale territorio abbia i requisiti per l'uso previsto. A questo scopo, il soggetto che attua l'iniziativa è responsabile della bonifica,ma, al tempo stesso, gli enti competenti alla pianificazione e al rilascio della concessione edilizia hanno la responsabilità che la bonifica sia effettuata come concordato a tutela dei rischi per la salute e l'ambiente. In questo contesto, per incoraggiare le bonifiche volontarie perché il proprietario del sito vuole valorizzare il terreno o perché il terreno è inserito in un programma di sviluppo urbanistico - il regime di responsabilità dettato dalla "Environmental Protection Act 1990 Part 2a" è utilizzato in via residuale quando non c'è altra soluzione possibile e, precisamente, quando non esiste una soluzione volontaria, quando lo sviluppo dell'area è avvenuto prima dell'inquinamento, quando non c'è alcuna prospettiva realistica di bonifica volontaria e quando i rischi sono troppo grandi per attendere una riqualificazione volontaria del sito contaminato. Questa soluzione è funzionale al risparmio di risorse pubbliche. (www.environmental-protection.org.uk/contaminated-land). [2] Gli "accordi di programma" già stipulati ricalcano un medesimo schema convenzionale, con le variazioni necessarie e gli adattamenti dei contenuti e delle clausole richiesti per soddisfare la specificità del sito e la natura degli interventi programmati. Ad esempio, le finalità e l'oggetto generale dell'accordo di "accordo di programma" stipulato in data 15 novembre 2007 per il sito di "NapoliOrientale" sono l'eliminazione dei rischi e il recupero del sito inquinato, partendo dalle aree pubbliche. Per conseguire questi obiettivi, le amministrazioni firmatarie assumono l'impegno di realizzare: interventi di messa in sicurezza delle acque di falda; la bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche; la bonifica dei suoli e delle falde delle aree private in sostituzione e danno dei soggetti privati inadempienti; la bonifica degli arenili e dei sedimenti marino costieri. In particolare, con questi accordi, le pubbliche amministrazioni assumono l'impegno a realizzare e finanziare gli interventi di messa in sicurezza della falda e di bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche con diritto di rivalsa nei confronti dei responsabili della contaminazione. Gli interventi di bonifica dei suoli e delle falde delle aree private, invece, devono essere realizzati direttamente dai responsabili della contaminazione e, in qualità di responsabili ai sensi dell'articolo 2051 cc, per il danno ambientale cagionato dalle aree contaminate che hanno in custodia, dai proprietari delle aree contaminate, impregiudicata la responsabilità per il danno ambientale che residua all'esito di questi interventi. In questi casi, dunque, l'accordo prevede l'impegno delle amministrazioni a intervenire in via sostitutiva nel caso in cui il soggetto obbligato non provveda, con diritto di regresso nei confronti dei soggetti inadempienti per il rimborso di tutte le spese sostenute. Per maggiori informazioni: http://www.provincia.napoli.it/Micro_Siti/Ambiente/Navigazione_Sinistra/Tutela_suolo_siti.inquinati_rifiuti/Bonifica_siti_con taminati/Accordi_Programma_ SIN/ http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/bonifiche/napoli/accordo_programma_napoli_15_11_07.p df [3] Per rendere economicamente vantaggioso l'adempimento volontario - e al tempo stesso reperire risorse economiche private necessarie all'attuazione degli interventi programmati sui beni demaniali - l'accordo prevede espressamente che i responsabili della contaminazione e i proprietari delle aree comprese nel sito contaminato possano accedere a una serie di agevolazioni e benefici attraverso la stipula di una transazione. Le reciproche concessioni e l'oggetto del contratto di transazione sono stabiliti in modo preciso dall'accordo, in modo che l'autonomia negoziale dei privati ne risulti alquanto limitata. In dettaglio, a fronte dell'obbligo del privato di concorrere pro quota alle spese per la progettazione e la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda, di corrispondere una somma forfettaria a titolo di risarcimento per danno ambientale da versare in dieci anni senza interessi e di rinunciare a ogni azione di rivalsa nei confronti degli altri soggetti che si siano avvalsi dei benefici della transazione, l'amministrazione si impegna a progettare e realizzare gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda, a liberare il privato dagli obblighi di messa in sicurezza in relazione alla sua area e di riconoscere uno sconto del cinquanta per cento a titolo di contributo sulle somme dovute che il privato deve corrispondere per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda. L'accordo prevede, inoltre, la possibilità di pattuire che le somme investite dal privato per miglioramenti ambientali o per innovazione tecnologiche siano portati in detrazioni dalle somme dallo stesso dovute a titolo di risarcimento per danno ambientale e per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda. UNITELNews24 62 [4] L'ultimo periodo del comma 5, dell'articolo 2, D.L. 30 dicembre 2008, n. 308, convertito con modificazioni in legge 27 febbraio 2009, n. 13, in materia di danno ambientale, fa espressamente "salvi gli accordi transattivi già stipulati alla data di entrata in vigore" del decreto medesimo "nonché gli accordi transattivi attuativi di accordi di programma già conclusi a tale data". [5] Solo "in caso di mancata partecipazione all'accordo di programma (...) di uno o più responsabili della contaminazione" o se "il responsabile non adempia a tutte le obbligazioni assunte in base all'accordo di programma (...), gli interventi sono progettati ed effettuati d'ufficio dalle amministrazioni che hanno diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti che hanno determinato l'inquinamento, ciascuno per la parte di competenza". [6] I differenti obiettivi e il differente oggetto della disciplina della bonifica di siti contaminati e della riparazione del danno ambientale comportano necessariamente che all'esito dei primi residui normalmente un danno ambientale. Infatti, la disciplina della bonifica ha a oggetto solo le matrici terreno e l'acque sotterranee e mira a eliminare i rischi sanitari della contaminazione; la disciplina del danno ambientale, invece, ha per oggetto anche la tutela delle acque superficiali, degli habitat naturali e delle specie protette, nonché dei servizi che ciascuna di queste risorse, unitamente al terreno e alle acque superficiali, assicura alle altre risorse e alla collettività, e ha per obiettivo primario la riparazione (rimessa in pristino) delle risorse e dei servizi danneggiati. Anzi, la disciplina del risarcimento del danno ambientale dettata dall'articolo 18, legge n. 349/1986, in parte ripresa dalla parte VI del D.Lgs. n. 152/2006, considera danno ambientale qualsiasi alterazione dell'ambiente, ampliandone, pertanto, l'oggetto della tutela rispetto alla stessa direttiva comunitaria 2004/357CE. Di conseguenza, se la contaminazione riguarda le acque superficiali (che comprendono anche i sedimenti), gli habitat, le specie protette e i servizi assicurati dalle risorse naturali, nonché altri profili ambientali che non sono oggetto della bonifica, sussisterà sempre un problema di risarcimento del danno ambientale. Se, invece, la contaminazione riguarda le acque sotterranee e il suolo, gli interventi di bonifica sono idonei a soddisfare anche le esigenze di riparazione del danno ambientale. Infatti, la disciplina nazionale della bonifica prevede il recupero completo della qualità delle acque sotterranee. Invece, per il suolo, in mancanza di norme sostanziali sulla qualità del terreno, l'eliminazione dei rischi sanitari, che costituiscono l'obiettivo proprio degli interventi di bonifica, è qualificato ripristino (anche dal legislatore comunitario) anche ai fini della riparazione del danno ambientale. [7] Infatti, ai sensi dell'articolo 252-bis, comma 7, D.Lgs. n. 152/2006, "in considerazione delle finalità di tutela e ripristino ambientale perseguite (...) l'attuazione da parte dei privati degli impegni assunti con l'accordo di programma costituisce anche attuazione degli obblighi" di risarcimento del danno ambientale. [8] In Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2008, n. 304. [9] Lo schema di contratto di transazione, nell'ordine, prevede i seguenti passaggi: a) è predisposto dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e concordato con le imprese interessate; b) è sottoposto alla valutazione non vincolante dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) di cui all'articolo 28 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133; c) è sottoposto alla valutazione non vincolante della Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla programmazione e gestione degli interventi ambientali (COVIS) di cui all'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90; d) è trasmesso a Regioni, Province, Comuni, e reso noto alle associazioni e ai privati interessati mediante idonee forme di pubblicità; e) è trasmesso al parere dell'Avvocatura generale dello Stato previa sottoscrizione per accettazione; f) acquisito il parere dell'Avvocatura dello Stato, è sottoposto all'esame di apposita conferenza di servizi decisoria per comporre gli interessi fra i soggetti pubblici aventi titolo, per cui ciascuno risulti portatore, ed assumere le determinazioni conclusive che sono assunte a maggioranza e sostituiscono a tutti gli effetti ogni atto decisorio comunque denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti; g) è sottoscritto per accettazione dall'impresa e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l'autorizzazione da parte del Consiglio dei Ministri; All'esito di questo procedimento il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e le imprese interessate stipulano il contratto di "transazione globale". UNITELNews24 63 Ambiente Responsabilità delle imprese per reati ambientali Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 12 aprile 2011 Il 7 aprile 2011 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, uno schema di Dlgs che estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto legislativo 8 giugno 2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente. Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonchè la direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato dalle navi.In particolare vengono introdotte due nuove fattispecie di reato nel codice penale: una per sanzionare la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti, esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e l’altra per chi distrugge o comunque deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto. Viene esteso, inoltre, il campo di applicazione del decreto 231/2001 "Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche" che ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di responsabilità dell’impresa per reati commessi da propri dipendenti. Inizialmente circoscritto agli illeciti commessi nei rapporti tra aziende ed amministrazione pubblica, il provvedimento è stato poi esteso successivamente ai reati societari, finanziari e di sicurezza sul lavoro fino a ricomprendere, con lo schema di Dlgs in oggetto, i reati ambientali. Il provvedimento, che passerà ora all’esame del parlamento, conferma il sistema sanzionatorio articolato in misure pecuniarie per quote modulari lasciando al giudice la possibilità di valutare la reale gravità della condotta (ogni quota va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro). Per quanto riguarda in particolare la Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si applicano all'ente le sanzioni pecuniarie per i reati di cui: all’articolo 256 “Attività di gestione di rifiuti non autorizzata”, all’articolo 257 “Bonifica dei siti”, all’articolo 258 “Violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”, all’articolo 259 “Traffico illecito di rifiuti”, all’articolo 260 “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” ed all’articolo 260-bis “Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti – Sistri”. A completare l’intero panorama ci sono le sanzioni interdittive che si affiancano alle quote stabilendo misure possibili, in via preventiva, che possono arrivare sino al commissariamento dell’ente, alla sospensione della sua attività oppure al divieto di pubblicità ed alla revoca delle autorizzazioni o licenze. L’interdizione può essere definitiva se l'ente o una sua unità organizzativa vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. L’introduzione della responsabilità da reato delle persone giuridiche anche per i reati ambientali porrà alle imprese (quelle che valuteranno il rischio rappresentato dalla possibile realizzazione, durante la propria attività imprenditoriale, di uno dei reati introdotti dal decreto legislativo) l’onere di implementazione del proprio modello organizzativo, che dovrà essere idoneo alla prevenzione dell’evento vietato. Il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, può essere inteso come il complesso delle regole interne dell’ente previste per lo svolgimento delle attività “sensibili” (nelle quali sia astrattamente ravvisabile un rischio reato) e per le funzioni di organizzazione e controllo specificatamente previste da quest’ultima normativa (costituzione e funzionamento dell’organismo di vigilanza, e quant’altro previsto negli artt. 6 e 7, D.Lgs. n. 231/2001). Si ricorda che: • sul piano normativo, è la qualità del modello che viene ad assumere un aspetto rilevante; infatti, l’esonero di responsabilità per le persone giuridiche è espressamente collegato alla previa «adozione ed efficace attuazione» di modelli organizzativi idonei a evitare reati della specie di quello verificatosi; • sul piano contenutistico, è prioritaria, in ordine razionale, l’esigenza di individuare i profili di rischio reato attraverso un’attività di risk assessment. UNITELNews24 64 Appalti Durc e contratti pubblici: procedura più semplice per il rilascio Aldo Forte, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 8 aprile 2011, n. 15 Inps e Inail con due circolari identiche (Inail, Circolare 24.3.2011, n. 22 e Inps, Circolare 28.3.2011, n. 59) illustrano le caratteristiche principali del nuovo applicativo di rilascio del Durc e le nuove regole introdotte dal Dpr del 5 ottobre 2010, n. 207, con il quale è stato emanato il regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici. Vediamo di seguito gli aspetti di particolare rilevanza. Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici E' da sottolineare, che il regolamento entrerà in vigore l'8 giugno 2011; nell'ambito del titolo II Tutela dei lavoratori e regolarità contributiva - è stata riservata una specifica trattazione al Durc contenuta nell'articolo 6. Definizione di Durc Il comma 1 dell'art. 6 stabilisce che per Durc si intende "il certificato che attesta contestualmente la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti Inps, Inail, nonché Cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento". In merito al termine di operatore economico, viene fatto rinvio all'articolo 3, comma 22, del Codice il quale precisa che con tale termine si intende fare riferimento "all'imprenditore, al fornitore e al prestatore di servizi o ad un raggruppamento o consorzio di essi". Con tale espressione ci si riferisce a qualsiasi soggetto, sia esso persona fisica o persona giuridica, che sia parte di un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione e che per il rilascio del Durc debba essere iscritto presso gli Enti previdenziali e le Casse edili; a tal proposito, viene fatto presente che, generalmente, il Durc deve scaturire dalla verifica contributiva di almeno due degli Enti tenuti al rilascio del documento stesso. Per i casi in cui vi è l'iscrizione presso uno solo degli enti viene chiarito che in tali casi per la verifica della regolarità contributiva non può essere utilizzato il servizio on line di richiesta del Durc; infatti, sarà acquisita una singola certificazione di regolarità contributiva rilasciata dall'ente presso il quale il soggetto è iscritto ed un'attestazione di non sussistenza dell'obbligo all'iscrizione rilasciata dall'ente presso il quale il soggetto dichiara di non avere l'obbligo di iscrizione. Con questo criterio, si dovrebbero evitare le situazioni di elusione e/o evasione contributiva. Ambito applicativo del Durc nei contratti pubblici In merito all'applicazione del Durc nei contratti pubblici, l'articolo 6, comma 2, del regolamento prevede che la regolarità contributiva si riferisce a tutti i contratti pubblici, siano essi di lavori, di servizi o di forniture. In questo modo, viene confermato l'indirizzo già espresso nell'interpello n. 10 del 20 febbraio 2009 della Direzione generale dell'attività ispettiva del Ministero del lavoro, con il quale era stato chiarito che il Durc deve essere richiesto per ogni contratto pubblico e, dunque, anche nel caso degli acquisti in economia o di modesta entità. Sarà onere della pubblica amministrazione procedente, stabilire se la fattispecie concreta rientri nella tipologia del contratto pubblico e, quindi, se debba essere acquisito il Durc. UNITELNews24 65 Fasi del contratto per le quali vi è obbligo del Durc L'articolo 6, comma 3, del regolamento elenca le fattispecie per le quali il Durc deve essere acquisito in caso di contratto pubblico: a) per la verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all'articolo 38, comma 1, lettera i), del Codice in ordine all'assenza di "violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme in materia di contributi previdenziali e assistenziali"; b) per l'aggiudicazione definitiva del contratto ai sensi dell'articolo 11, comma 8, del Codice, secondo cui "l'aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti"; c) per la stipula del contratto; d) per il pagamento degli stati avanzamento lavori (Sal) o delle prestazioni relative a servizi e forniture (fatture); e) per il certificato di collaudo, il certificato di regolare esecuzione, il certificato di verifica di conformità, l'attestazione di regolare esecuzione, il pagamento del saldo finale. Viene confermato che, in base alla circolare ministeriale n. 35/2010, deve essere acquisito un Durc per ogni singolo contratto pubblico e, all'interno di questo, un Durc per ciascuna delle fasi sopra riportate. Per quanto concerne le ipotesi di cui alle lettere a) e b), il Durc deve sempre essere richiesto dalla stazione appaltante pubblica selezionando l'apposita tipologia "verifica di autodichiarazione" e indicando, quale data alla quale effettuare la verifica di regolarità, quella della dichiarazione sostitutiva prodotta dal concorrente in fase di selezione. Si dovrà applicare la regola dello "scostamento non grave"; essa si realizza, con riferimento a ciascun periodo di contribuzione, se la differenza tra il dovuto e il versato è inferiore o pari al 5%, anche se complessivamente superiore ai 100 euro, oppure è superiore al 5% ma il debito complessivo è inferiore ai 100 euro. L'applicazione di detta regola esclude ogni possibilità di regolarizzazione qualora, invece, lo scostamento sia "grave" in base ai sopracitati parametri. La tipologia di richiesta "aggiudicazione/partecipazione a gara" deve invece essere utilizzata dalla stazione appaltante per richiedere il Durc solo nell'ipotesi in cui siano trascorsi più di tre mesi dal Durc precedentemente emesso per "verifica dell'autodichiarazione". La situazione contributiva del soggetto, infatti, sebbene sia stata già oggetto di verifica, dovrà essere nuovamente esaminata dato che il Durc precedentemente emesso ha cessato il suo periodo di validità. Ne deriva, che la regolarità deve essere accertata alla data di conclusione dell'istruttoria, in quanto è irrilevante la data eventualmente indicata nella richiesta. Di conseguenza, se in fase istruttoria vengono accertate inadempienze contributive, si dovrà invitare il soggetto a regolarizzare la propria posizione contributiva qualunque sia l'entità dell'irregolarità, dato che non si applica il criterio dello "scostamento non grave". In merito ai Durc relativi ai Sal, stato avanzamento lavori pubblici, la data indicata nella richiesta è vincolante per la verifica della regolarità della Cassa edile; invece, Inps ed Inail attestano l'esito della verifica alla data in cui hanno concluso l'istruttoria, invitando sempre a regolarizzare qualsiasi inadempienza contributiva. Soggetti tenuti a richiedere il Durc E' da ricordare che, in base all'articolo 16-bis, comma 10, del Dl n. 185/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 2/2009, le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche attraverso strumenti informatici, il Durc dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in cui è richiesto dalla legge. L'articolo 6, comma 3, del regolamento specifica che il Durc nei contratti pubblici deve essere richiesto d'ufficio dalle "amministrazioni aggiudicatrici". Per questi soggetti, tenuti a richiedere il Durc d'ufficio in via telematica, Inail, Inps e Casse edili rilasciano l'abilitazione per l'accesso al servizio on line dopo aver verificato che il richiedente sia una delle amministrazioni aggiudicatrici sopraccitate. Invece, per i soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, il regolamento prevede che il Durc sia prodotto dagli operatori economici. UNITELNews24 66 Validità temporale del Durc Per quanto concerne la validità temporale del Durc nei contratti pubblici è da ricordare che il Ministero del lavoro con la circolare n. 5/2008 aveva ritenuto, in via interpretativa, che il certificato avesse validità mensile stante, di norma, le scadenze mensili dei versamenti contributivi nei confronti di Inps e Casse edili. Successivamente, con determinazione n. 1/2010, l'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici (Avcp), recependo anche recenti orientamenti giurisprudenziali, aveva ritenuto che per la fase di partecipazione agli appalti pubblici trovasse applicazione la validità trimestrale della certificazione, al pari di quanto disposto per i lavori privati in edilizia. Tenendo conto di tale determinazione il Ministero, con circolare n. 35/2010, ha infine specificato che ha validità trimestrale il Durc emesso per contratti pubblici, nonché per attestazione Soa e iscrizione all'albo dei fornitori. Quindi, in base alla determinazione dell'Avcp n. 1/2010 e della circolare ministeriale n. 35/2010, ha validità trimestrale il Durc rilasciato ai fini: 1) della verifica della dichiarazione sostitutiva; 2) dell'aggiudicazione; 3) della stipula del contratto; 4) dei pagamenti degli stati di avanzamento lavori (Sal) e delle prestazioni relative a servizi e forniture (fatture); 5) dell'acquisizione in economia di soli beni e servizi con il sistema dell'affidamento diretto; 6) dell'attestazione Soa; 7) dell'iscrizione all'albo fornitori. Il periodo di validità trimestrale del Durc decorre sempre dalla data di emissione del certificato. Nelle ipotesi di cui ai punti 1 e 2, i Durc emessi possono essere utilizzati anche per la stipula del contratto, se sono ancora in corso di validità; mentre, per il caso di cui al punto 5, è possibile utilizzare un Durc in corso di validità emesso per un precedente contratto riguardante una diversa stazione appaltante. Negli altri casi, vale la regola che un Durc richiesto per una determinata finalità, indicata sullo stesso certificato, non può essere utilizzato in un ambito applicativo diverso da quello per cui è stato emesso. Ne deriva che è da ritenersi illegittimo l'uso, nei contratti pubblici, di un Durc rilasciato per altre tipologie (ad esempio lavori privati in edilizia o agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e autorizzazioni). Viene ricordato che per le imprese inquadrate o inquadrabili nel settore edile, il Durc deve contenere anche la verifica della regolarità contributiva nei confronti delle Casse edili, che provvedono a rilasciare il certificato. Tale verifica, viene effettuata a condizione che l'impresa dichiari di applicare il contratto dell'edilizia in presenza di personale operaio ovvero in relazione ai soli dipendenti impiegati e tecnici, ai quali si applica uno dei Ccnl dell'edilizia. Nei contratti pubblici di lavori, fanno eccezione a tale regola le imprese edili individuali e le imprese con dipendenti che applicano il Ccnl Metalmeccanico. A tal proposito, è opportuno che la stazione appaltante, ogni qual volta acquisisce un Durc per appalti pubblici di lavori, verifichi se il documento contiene anche l'esito della Cassa edile e, in mancanza, controlli sia la tipologia dell'impresa sia il Ccnl applicato. Nuovo applicativo 4.0 E' stata modificata, in maniera sensibile, l'applicazione www.sportellounicoprevidenziale.it, dedicata alla richiesta ed al rilascio del Durc, con nuove funzionalità ed una diversa veste grafica. La nuova versione 4.0, è disponibile dal 28 marzo 2011 e prevede una serie di novità, di cui riportiamo quelle di particolare rilevanza. UNITELNews24 67 Verifica utenze stazioni appaltanti, Soa e "Altre Pa" Con la nuova versione, gli utenti registrati come stazioni appaltanti pubbliche e Soa accederanno al servizio con il codice fiscale (alfanumerico) del titolare dell'utenza (persona fisica) e non più con gli attuali "codici utente" che iniziano, rispettivamente, con "Sa" e "Soa". A tal proposito, al primo accesso al sito, le stazioni appaltanti pubbliche e le Soa, già registrate sull'attuale versione, dovranno eseguire le operazioni richieste dal sistema (cd. "riautenticazione"). Per le Soa, è stato effettuato un controllo preliminare sulle utenze già rilasciate per verificare l'attualità dei dati; la "riautenticazione" sarà possibile per le sole Soa che risultino formalmente autorizzate dall'Avcp, Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, al 24 marzo 2011. Per le stazioni appaltanti pubbliche, la procedura proporrà la compilazione obbligatoria di alcuni campi necessari all'esatta individuazione dell'utente (Settore/Ufficio/Sede, Tipologia della Stazione Appaltante Pubblica, telefono/fax/e-mail, recapito corrispondenza). Anche gli utenti registrati come "Altre Pa" accederanno al servizio con il codice fiscale (alfanumerico) del titolare dell'utenza (persona fisica). Ne deriva che, al primo accesso al sito, gli utenti, già registrati sull'attuale versione, dovranno eseguire le operazioni richieste dal sistema. Anche per le "Altre Pa" è stato effettuato un controllo preliminare sulle utenze già rilasciate e, quindi, la "riautenticazione" sarà possibile per le sole utenze (avente sigla "Pa" nella versione 3.5) che risultano effettivamente autorizzate ad accedere con detto profilo. Nuovo sistema di rilascio delle utenze a stazioni appaltanti pubbliche, Soa e "Altre Pa" Modificato anche il sistema per il rilascio delle utenze alle stazioni appaltanti pubbliche, alle Soa ed alle altre pubbliche amministrazioni, per adeguarlo ai nuovi standard di sicurezza previsti dal Codice dell'amministrazione digitale e consentire l'identificazione informatica del soggetto titolare della "utenza". Infatti, le stazioni appaltanti pubbliche, se non sono già registrate o hanno bisogno di nuove/ulteriori utenze, dovranno chiedere l'abilitazione ad una qualsiasi Sede di Inail, Inps e Casse edili, utilizzando l'apposito modulo di richiesta che sarà pubblicato sul sito e raggiungibile seguendo il percorso: "Info" - "Informazioni per l'accesso". Il modulo di richiesta per il rilascio dell'utenza stazione appaltante pubblica potrà essere utilizzato anche dalle pubbliche amministrazioni che agiscono come amministrazioni procedenti, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lettera o) del Dpr n. 445/2000, in relazione ai procedimenti amministrativi di propria competenza. Il nuovo sistema prevede che l'utenza stazione appaltante pubblica può essere rilasciata esclusivamente al Dirigente della Struttura che opera come stazione appaltante pubblica o pubblica amministrazione procedente. Al momento del rilascio di tale utenza al Dirigente, il sistema rilascerà una ricevuta contenente, oltre al codice utente del richiedente (codice fiscale alfanumerico) ed alla password provvisoria (da aggiornare al primo accesso), le istruzioni per completare l'accreditamento e quelle per la creazione/gestione delle utenze in capo ai singoli operatori della struttura. La nuova utenza stazione appaltante consentirà al titolare (dirigente) di rilasciare "utenze delegate" al personale, incardinato presso la struttura di cui è responsabile, che avrà il compito di effettuare le richieste di Durc in nome e per conto della struttura stessa. Il Dirigente della stazione appaltante rilascia le "utenze delegate" sotto la propria personale, completa ed esclusiva responsabilità e dovrà provvedere all'aggiornamento dei dati dei propri "delegati" ed alla eventuale revoca dell'utenza rilasciata a questi ultimi. Si evita, in questo modo, la continua richiesta di attribuzione delle password per l'accesso alla sportello unico previdenziale, da parte delle pubbliche amministrazioni che, spesso, le dimenticavano o smarrivano, attribuendo la responsabilità delle deleghe al dirigente la struttura. Per le utenze "Soa" e "Altre Pa" rilasciate con la versione 4.0, ora queste saranno rilasciate al Dirigente/Direttore responsabile della struttura solo dall'"Amministratore Centrale" del sistema presso la Direzione centrale sistemi informativi e telecomunicazioni dell'Inail ed esclusivamente previa autorizzazione della Direzione centrale rischi dell'Inail. UNITELNews24 68 Con il nuovo sistema di accesso, anche queste utenze consentiranno al Dirigente/Direttore responsabile di rilasciare "utenze delegate" al proprio personale, con i limiti e le modalità sopracitati. Accesso al servizio da parte di aziende e loro intermediari Non vi sono novità per l'accesso al sito da parte delle aziende e degli intermediari, che continueranno ad utilizzare le utenze già in uso per i servizi on line di Inps ed Inail. Nuove tipologie di richiesta In merito alle tipologie di richiesta di Durc sono state aggiunte le seguenti: A) "Contratti di forniture e servizi in economia con affidamento diretto": i dati da inserire saranno riportati sul quadro C del modello, fondamentalmente analogo a quello già in uso, con indicazione dell'oggetto del contratto che viene riportato sul Durc. B) "Altri usi consentiti dalla legge": è stata prevista per gestire le richieste concernenti i rapporti contrattuali tra privati, anche se il Durc non sia espressamente previsto da una specifica norma di legge; questa tipologia deve essere quindi utilizzata solo nei casi in cui la richiesta di Durc non rientra in una delle altre tipologie disponibili. Modifiche riguardanti le attuali tipologie di richiesta In merito alle attuali tipologie di richiesta di Durc, sono state apportate le seguenti modifiche: A) la richiesta di Durc per appalti pubblici di forniture e servizi seguirà le stesse modalità previste per gli appalti di lavori pubblici; anche questa tipologia richiede l'inserimento delle informazioni relative alla stazione appaltante ed all'appalto; B) per gli appalti di lavori, forniture e servizi è stato previsto il tipo contratto "affidamento" per la gestione delle richieste relative alle imprese mandanti (in caso di raggruppamento temporaneo di imprese) ed alle imprese consorziate (in caso di consorzio); la funzionalità è analoga a quella già prevista in caso di subappalto ed è finalizzata a "tracciare", in relazione ad uno stesso determinato appalto (Cip), il legame tra l'appaltatore/mandatario/consorzio e le imprese esecutrici/mandanti/consorziate. Assume particolare importanza questa funzione, dato che fa anche venire fuori l'effettiva impresa che esegue i lavori; infatti, si assiste spesso alla partecipazione alle gare di appalto da parte di determinati consorzi, che poi affidano i lavori ad una loro consorziata. Se il Consorzio è quasi sempre in regola, dato che generalmente ha pochi impiegati, non sempre così avviene per l'azienda cui viene affidato il lavoro. C) la richiesta per "verifica autodichiarazione alla data del...", riservata alle sole stazioni appaltanti, è ora un'autonoma tipologia e deve essere utilizzata, oltre che per la verifica della dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 38 del Codice per gli appalti pubblici anche in tutti gli altri casi in cui debba essere verificata la veridicità di una dichiarazione sostitutiva acquisita da una pubblica amministrazione; D) la richiesta per "partecipazione/aggiudicazione appalto" che ora è un'autonoma tipologia; E) per la tipologia "agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni, autorizzazioni" è ora necessario indicare nella richiesta la specifica motivazione (il tipo di agevolazione o autorizzazione, l'oggetto del finanziamento ecc.) nell'apposito campo a testo libero; F) in tutte le richieste di Durc dovrà essere selezionata una delle specifiche previste nella sezione "tipo ditta" che saranno: "datori di lavoro", "lavoratori autonomi", "gestione separatacommittente associante" e "gestione separata-titolare di reddito di lavoro autonomo, di arte e professione"; si tratta di dati che interessano l'Inps per individuare le posizioni contributive oggetto di verifica di regolarità. A tal proposito, è da ricordare che l'Inps procede a verificare il contribuente in tutte le sue vesti; ad esempio, se viene fatta la richiesta come datore di lavoro, si verificherà, oltre la posizione come ditta, anche quella del titolare se ad esempio è iscritto come artigiano ed anche quella come committente se ha dei collaboratori e la regolarità verrà rilasciata se il contribuente è regolare in tutte le tipologie di contribuzioni. UNITELNews24 69 G) in tutte le richieste di Durc dovrà sempre essere indicato l'indirizzo di posta elettronica; in aggiunta, dovrà sempre essere indicato, solo con riferimento alla ditta, l'indirizzo di posta elettronica certificata (Pec) o il numero di fax. Modifiche riguardanti il certificato I Durc emessi nella nuova versione conterranno, in aggiunta a quelli attuali, i seguenti dati: A) per gli appalti pubblici: descrizione completa della tipologia della richiesta, con indicazione del tipo (appalto, subappalto, affidamento), della fase (ad esempio stipula contratto) e, nel caso di contratti di forniture e servizi in economia con affidamento diretto, della descrizione dell'oggetto del contratto (ad esempio acquisto cancelleria) indicata nella richiesta; nel caso di subappalto e di affidamento, indicazione della stazione appaltante e del subappaltatore/consorziata/mandante; B) per "altri usi consentiti dalla legge": descrizione dello specifico motivo della richiesta indicato dall'utente; C) per tutti i Durc: 1. indicazione di una delle specifiche già selezionate in fase di richiesta dall'utente nella sezione "tipo ditta" ("datori di lavoro", "lavoratori autonomi", "gestione separata-committente associante" e "gestione separata-titolare di reddito di lavoro autonomo, di arte e professione") e, nel caso di "datori di lavoro", indicazione del settore del Ccnl applicato (selezionato tra quelli disponibili); 2. indicazione, all'interno del riquadro dedicato all'esito della verifica di ciascun ente, di eventuali note inserite dal responsabile del procedimento di verifica della regolarità. 3. indicazione dei dati del cantiere, all'interno del solo riquadro dedicato all'esito della verifica delle Casse edili, per i Durc relativi ad appalti pubblici di lavori per fasi successive alla stipula di un nuovo contratto; 4. indicazione, sui certificati rilasciati in copia di un Durc già emesso, della dicitura "Stampa effettuata da..." con le informazioni della sede e dell'utente che ristampa; 5. indicazione, sui certificati emessi a seguito di annullamento di un precedente Durc, della dicitura "Il presente certificato, rilasciato in sede di autotutela a seguito di nuova verifica da parte di (Inail, Inps o Cassa edile), annulla e sostituisce il precedente in data..."; 6. indicazione su tutti i Durc emessi, del periodo di validità del certificato (90 o 30 giorni a seconda dei casi) e dei limiti di utilizzo (ad esempio per "altri usi consentiti dalla legge" e "agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni, autorizzazioni", la dicitura in calce al certificato è "Durc valido 30 giorni dalla data di emissione, non utilizzabile per appalti pubblici e lavori edili privati soggetto a Dia o a permesso di costruire"). Tutti i Durc emessi con la versione 4.0 riporteranno, in calce al certificato, un contrassegno generato elettronicamente, che consentirà di verificare la provenienza e la conformità del documento cartaceo (analogico) in possesso degli utenti con il documento informatico presente nella banca dati Durc. Tale verifica potrà essere effettuata utilizzando un apposito software gratuito disponibile sul sito e raggiungibile dall'icona "Verifica autenticità dei documenti". Le istruzioni per l'utilizzo del software saranno contenute nel relativo "Manuale utente". Rilascio del certificato Il Durc verrà emesso nel momento in cui tutti gli Enti hanno inserito nella procedura l'esito della propria verifica e, comunque, al 31° giorno dalla data di richiesta. Il Durc verrà invece emesso al 46° giorno nell'ipotesi in cui la pratica sia stata sospesa per fini istruttori o per regolarizzazione e l'Ente che ha sospeso la pratica non abbia inserito l'esito prima dello scadere del termine massimo di sospensione (15 giorni). Se l'Ente che ha sospeso inserisca l'esito prima di detto termine, il Durc sarà emesso decorsi 30 giorni più i giorni di effettiva sospensione. Infine, è da ricordare che per l'Inail e l'Inps si applica il silenzio-assenso; di conseguenza, se entro il termine di 30 giorni, calcolati dalla data di rilascio del Cip, al netto dell'eventuale periodo di sospensione, uno dei suddetti Enti non si sia pronunciato, nei confronti di tale Ente si considera attestata la regolarità contributiva. UNITELNews24 70 Edilizia e urbanistica Soffitte e mansarde nel computo volumetrico Pippo Sciscioli, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 aprile 2011, n. 15 Mai come nel caso rappresentato dalla sentenza n. 812 del 7 febbraio 2011 resa in forma semplificata dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, la giurisprudenza amministrativa è stata in grado di colmare le lacune del Legislatore e le carenze della normativa, fornendo criteri guida all'interprete e all'operatore per la definizione del concetto di volume tecnico. Infatti, così come per quello di sagoma per il quale non esiste una disposizione normativa statale che la definisca chiaramente, il concetto di volume tecnico non trova codificazione specifica nel Dpr 380/2001, il Testo unico per l'edilizia, che, nonostante le diverse modifiche, sul punto resta carente. Cubatura assentibile Di qui, le incertezze di progettisti privati e tecnici comunali nello stabilire la configurabilità della nozione di volume tecnico, rilevante ai fini della redazione della scheda urbanistica allegata al progetto edilizio presentato. Come è noto, il volume tecnico non rientra in essa, non incide cioè sul calcolo della cubatura assentibile, da cui invece fuoriesce, consentendo così al soggetto attuatore dell'intervento edilizio di poter realizzare volumi in più, ancorché non destinabili alla residenza. È evidente che, a causa dell'indeterminatezza del concetto nel Testo unico per l'edilizia, si corre il rischio di scantonature da parte degli operatori e di pericolose interpretazioni che potrebbero condurre alla realizzazione di veri e propri piani abitabili in eccesso in un fabbricato, mal celati come volumi tecnici. Al fine dunque di evitare questa deriva ermeneutica, è stato sinora prezioso il contributo della dottrina e della giurisprudenza proprio nella definizione giuridica del concetto di volume tecnico. In più, la recente sentenza del Consiglio di Stato fornisce una precisa casistica (di agevole lettura e applicazione da parte degli addetti ai lavori) di interventi rientranti nella nozione di volume tecnico, per il quale è ammissibile il surplus di cubatura non conteggiabile nella scheda urbanistica, e di interventi che, invece, non rientrano in essa e che dovranno essere computati ai fini del calcolo generale della cubatura assentibile. Il caso Il caso delibato dai giudici di seconde cure ha riguardato un contenzioso che ha visto protagonisti il Comune di Pratola Peligna, in Abruzzo, e due proprietari di un fabbricato che si erano visti rigettare l'istanza di permesso di costruire per la copertura del terrazzo del suddetto fabbricato, sul presupposto della presunta violazione degli indici edilizi e urbanistici della strumentazione urbanistica comunale. Infatti, il fabbricato in parola, che avrebbe dovuto essere costituito da un piano interrato destinato ad autorimessa, da un piano terra destinato a locali commerciali, da due piani sovrastanti destinati ad abitazione e da un sottotetto, era stato invece modificato in corso d'opera con la realizzazione del piano terra e di tre piani per uso residenziale con una copertura a terrazza contornata da muri perimetrali di un ulteriore piano incompiuto. Per questo, i proprietari avevano ottenuto il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, che tuttavia non includeva un ulteriore piano abitabile, cioè il quinto, mascherato come volume tecnico. UNITELNews24 71 Alla fine della vicenda giudiziaria, mentre il Tar Abruzzo aveva dato torto al Comune, il Consiglio di Stato ha invece ribaltato l'esito, con la sentenza qui analizzata, dando ragione alla condotta seguita dall'ufficio tecnico ed esplicitando principi guida in un ambito caratterizzato da estrema incertezza normativa. Cosa deve, allora, intendersi per volume tecnico? Secondo il Consiglio di Stato «& al riguardo si deve ricordare che, per giurisprudenza costante, possono considerarsi volumi tecnici (come tali non rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non sono tali - e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita - le soffitte, gli stenditori chiusi e quelli di sgombero, nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma costituente in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di gronda (Consiglio Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 918) &». Passando poi a una casistica esemplificativa, i giudici forniscono un dettagliato elenco, precisando che bisogna distinguere «& la parte di edificio immediatamente inferiore al tetto, a seconda dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell'esistenza o meno di finestre, si distingue in mansarda o camera a tetto (che costituisce locale abitabile), in soffitta (vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio o altro), oppure in camera d'aria sprovvista di solaio idoneo a sopportare il peso di persone o cose e destinato essenzialmente a preservare l'ultimo piano dell'edificio dal caldo, dal freddo e dall'umidità (Consiglio di Stato, Sez. IV, 30 maggio 2005 n. 2767); b) che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati (Consiglio Stato, sez. V, 31 gennaio 2006, n. 354) &». Pertanto, richiamando l'elenco appena enucleato, la mansarda o camera a tetto, la soffitta, il deposito, lo stenditoio o ancora il locale situato sotto il tetto ma comunicante, per esempio con una scala a chiocciola, con il piano a esso sottostante, non possono in alcun modo essere graficamente presentati dal progettista come volume tecnico e, conseguentemente, dall'Ufficio tecnico comunale essere considerati tali, rientrando invece nel calcolo della cubatura assentibile in base allo strumento urbanistico vigente. Infatti a qualificare un locale come volume tecnico, più che la rappresentazione e destinazione progettuale formale, è la sua sostanziale ed effettiva funzione ed utilizzazione, che deve essere esclusivamente adibita al ricovero di impianti tecnologici strumentali alla vita stessa del fabbricato residenziale. A suffragare tale interpretazione restrittiva ma logicamente aderente alla sua nozione è un ulteriore contributo giurisdizionale, questa volta di matrice penale, reso dalla terza sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 450 del 16 marzo 2010. Infatti, il volume tecnico deve consistere in un locale avente una propria e autonoma individualità fisica e conformazione strutturale, destinata a un'esigenza oggettiva della costruzione principale, funzionalmente inserita al servizio dello stesso, priva di valore autonomo di mercato, tale da non consentire, anche per le caraterristiche peculiari dell'edificio principale, una destinazione diversa da quella a servizio dell'immobile cui accede. Peraltro, tale strumentalità rispetto all'immobile principale deve comunque essere oggettiva e non deve risultare dalla destinazione soggettivamente conferita dal proprietario del bene. Sul punto è ancor più chiara la presa di posizione del Tar Napoli con la sentenza n. 1748 del 3 aprile 2009, che indica nettamente tre indici rivelatori della sussistenza del volume tecnico, in mancanza dei quali il locale dovrà essere inteso come volumetria computabile a tutti gli effetti. Al riguardo, i giudici napoletani, esprimendosi su un caso con risvolti anche connessi a un'istanza di sanatoria paesaggistica ex articolo 167 commi 4 e 5 del Dlgs 42/2004 (Codice Urbani), stabilivano i principi fermi per l'individuazione della nozione di volume tecnico. Ovvero, l'esistenza di un rapporto di strumentalità necessaria tra il vano e la costruzione cui accede, l'impossibilità di diverse soluzioni progettuali (nel senso che tali volumi non devono poter essere ubicati all'interno della parte abitativa), infine il rapporto di necessaria proporzionalità tra questi vani e le esigenze effettivamente presenti. In sostanza, traspare dalla lettura della pronuncia, si qualificano volumi tecnici quelle opere che non hanno una propria autonomia funzionale e che sono realizzate solo per inglobare impianti serventi di un edificio principale per assolvere a imprenscindibili esigenze tecnico-funzionali. UNITELNews24 72 La sentenza dei giudici di Palazzo Spada chiude definitivamente il cerchio su una vexata quaestio nella quale, a dire il vero, la posizione della giurisprudenza è stata pressoché granitica e costante, rispetto alla quale, ciò nonostante, le applicazioni in concreto del concetto spesso sono risultate distorte ed errate. Eppure, come già rilevato, la magistratura amministrativa ha spesso fornito criteri identificativi della ricorrenza della fattispecie. Per esempio i sottotetti, quando di altezza tale da poter essere suscettibili di abitazione o di deposito di materiali, non debbono essere considerati volumi tecnici e perciò devono essere computati sia ai fini della cubatura autorizzabile sia ai fini del calcolo dell'altezza, delle distanze e degli altri indici edilizi richiesti dalle norme tecniche degli strumenti urbanistici. «La realizzazione di un locale sottotetto, mediante tramezzature di vani distinti e comunicanti attraverso la scala con il piano sottostante, è senza alcun dubbio rivelatore dell'intento di rendere abitabile il sottotetto ed i vani interessati non possono considerarsi volumi tecnici» (Consiglio giustizia amministrativa Sicilia, sezione giurisdizionale, pronuncia n. 337 del 22 ottobre 2003). Insomma, si può dire che la nozione di volume tecnico è, per così dire, di tipo indiziario, cioè si desume da una serie di elementi rilevatori di natura meramente oggettiva e non soggettiva: non rileva in alcun modo, cioè, l'intenzione del soggetto attuatore dell'intervento ma le modalità attraverso le quali esso si concretizza. Se cioè la strutturazione delle opere edili, i materiali utilizzati, l'altezza del locale, l'assenza di impianti come quello termo-idraulico o di ascensore, denotano più o meno evidentemente che quel vano è adibito a uso abitativo o anche a deposito, ne conseguirà che non sarà qualificabile come volume tecnico ma, al contrario, volume da valutare ai fini del calcolo della cubatura massima assentibile. UNITELNews24 73 Edilizia e urbanistica In scadenza il termine per regolarizzare le case fantasma Franco Guazzone, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 14 aprile 2011 Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art. 5-bis del DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011. Si tratta, in particolare, dei fabbricati indicati nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010, che dovevano essere denunciati entro il 31 dicembre 2010. Per convincere gli obbligati alla denuncia volontaria, il legislatore ha penalizzato gli inadempienti, retrodatando al 1° gennaio 2007 l'efficacia della rendita “presunta” accertata d'ufficio, a partire dal 2 maggio 2011, il cui importo sarà notificato mediante l'affissione degli elenchi all'Albo pretorio dei comuni interessati, previo avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. Peraltro, la predetta retrodatazione non si applica agli obbligati virtuosi che presenteranno le denunce entro il nuovo termine, per i quali sarà considerata la data di ultimazione dei lavori indicati nella denuncia medesima. La regolarizzazione catastale I fabbricati da dichiarare sono, in primo luogo, quelli definiti “fantasma”, perché presenti sul territorio ma non iscritti al Catasto, che l'Agenzia del territorio ha individuato con le procedure previste dall'art. 2, commi 36 e segg., del D.L. 262/2006, in collaborazione con l'AGEA (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), di cui sono stati pubblicati gli elenchi sulla G.U. in ordine di comune, sezione, foglio e particella, visibili sul sito dell'Agenzia www.agenziaterritorio.gov.it, negli uffici provinciali della medesima e presso i comuni interessati. A tale proposito si ricorda che, ai sensi del comma 12 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, dal 1° gennaio 2011 l'Agenzia ha avviato un monitoraggio costante del territorio sulla base di nuove informazioni derivanti da verifiche tecnico-amministrative, telerilevamento e dalla collaborazione con i comuni. In secondo luogo, sono da dichiarare i fabbricati a suo tempo definiti rurali perché annessi a fondi agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (Iap), che hanno perduto i requisiti di ruralità previsti dall'art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. 557/1993, convertito dalla legge 133/1994. Caso classico sono i rustici agricoli ubicati in zone turistiche, trasformati in case di vacanza, ma anche fabbricati strumentali, ubicati nelle periferie dei centri abitati o in fregio a strade provinciali, utilizzati per attività d'impresa (centri commerciali, ristoranti, depositi, officine ecc.). Di questi immobili, peraltro, l'Agenzia del territorio ha già stilato gli elenchi anch'essi pubblicati sulla G.U. e quindi visionabili sul sito dell'Agenzia e presso i comuni. In terzo luogo, devono essere dichiarate tutte le unità immobiliari già censite al catasto fabbricati che hanno subito modifiche rilevanti, come il cambio di destinazione con opere, la variazione della consistenza e della rendita. Si tratta in genere di appartamenti ristrutturati, con l'aggiunta di un servizio prima mancante o in aggiunta ad altro esistente, ovvero con il recupero di un sottotetto, o l'ampliamento dell'abitazione con la costruzione di uno o più locali sul terrazzo a livello, oppure la formazione di cantinette nelle villette. È opportuno segnalare che le piccole variazioni interne, lo spostamento di una porta o di una parete, non rilevano agli effetti catastali se non cambiano la consistenza e la rendita, come sancito dalle circ. n. 2/T e n. 3/T/2010 dell'Agenzia del territorio. UNITELNews24 74 I soggetti obbligati alla denuncia L'obbligo della denuncia al catasto spetta ai soggetti titolari dei diritti reali sui fabbricati: il proprietario o, se questi è minore o incapace, chi ne ha la legale rappresentanza; per gli enti morali, il legale rappresentante; per le società commerciali legalmente costituite, chi ha la firma sociale; per le società estere, chi le rappresenta in Italia. Per le parti comuni condominiali dotate di rendita, obbligato alla denuncia è l'amministratore e ciascuno dei condomini, ma la denuncia di uno dei soggetti predetti però esonera tutti gli altri (art. 3 del R.D.L. 652/1939). Per ottemperare agli obblighi della denuncia, i titolari dei diritti reali sopra citati dovranno affidare l'incarico a un tecnico professionista, iscritto all'Albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici laureati e diplomati. L'accertamento d'ufficio in caso di inadempienza A partire dal 2 maggio 2011 l'Agenzia del territorio rileverà tutti i fabbricati non dichiarati fra quelli a suo tempo individuati, provvedendo ad assegnare ai medesimi una rendita presunta, tramite i propri uffici provinciali, ovvero avvalendosi di professionisti abilitati a operare negli atti catastali sopra indicati, mediante la stipulazione di convenzioni specifiche (previste dal comma 11 dell'art. 19 del D.L. 78/2010), alcune delle quali potrebbero essere sottoscritte in tempi brevi, essendo già stati effettuati gli incontri con i rappresentanti nazionali delle categorie professionali interessate. Nelle suddette fattispecie, l'accertamento con attribuzione della rendita presunta è un'operazione abbastanza complessa in quanto, per individuare i parametri necessari all'attribuzione della rendita, molto spesso sarà necessario eseguire i sopralluoghi per individuare la tipologia degli edifici, il numero delle unità, la loro destinazione e la consistenza. Per quanto riguarda i fabbricati che hanno perduto i requisiti di ruralità, gli operatori dovranno partire dagli elenchi pubblicati inGazzetta Ufficiale ed eseguire l'incrocio con le banche dati dell'AGEA, in quanto nelle richieste di contribuzioni UE presentate dagli agricoltori sono descritti anche i fabbricati aziendali. Invece, le operazioni relative all'accertamento dei fabbricati che hanno subito variazioni potranno essere svolte solo con la collaborazione dei comuni, che dovrebbero mettere a disposizione dei tecnici d'ufficio gli elenchi delle DIA presentate nell'ultimo decennio, per verificare se, dopo l'ultimazione dei lavori, sono state presentate le denunce di variazione al catasto. I costi degli inadempienti per gli accertamenti d'ufficio In ogni caso, l'accertamento d'ufficio dei fabbricati non dichiarati richiede interventi nell'archivio del catasto terreni per l'aggiornamento della mappa, mediante l'utilizzo del programma Pregeo, e in quello del catasto fabbricati, con il programma Docfa, per l'attribuzione della rendita; operazioni molteplici, con costi professionali notevoli, che saranno posti a carico degli inadempienti nella misura disposta dalla determ. del 29 settembre 2009 del Direttore dell'Agenzia del territorio (in G.U. 232 del 6 ottobre 2009) dove sono precisati i costi relativi a ogni tipo di operazione. Sulla base di tale tariffario, il costo di accertamento d'ufficio per una villetta della superficie coperta di 100 mq su un lotto di terreno fino a 2 mila mq, omnicomprensivo di spese di missione, non potrà essere inferiore a € 1.500, mentre per un capannone industriale di 500 mq, insistente su un terreno esteso fino a 5 mila mq, il costo potrebbe salire a € 3.000. Oltre a tali importi, l'Ufficio provinciale dell'Agenzia competente dovrà applicare la sanzione per la mancata denuncia nei termini da un minimo di € 258 a un massimo di € 2.066 (art. 1, comma 338, legge 311/2004), generalmente determinata in € 300 per unità immobiliare, riducibili a un quarto, se il versamento avviene entro 60 giorni dal ricevimento dell'avviso. La regolarizzazione fiscale Dopo l'accatastamento comunque avvenuto, gli obbligati dovranno procedere alla regolarizzazione fiscale, ai fini delle imposte dirette a ICI, non appena saranno loro notificati gli avvisi d'accertamento dall'Agenzia delle entrate e dagli uffici tributi dei comuni, ricorrendo alla procedura UNITELNews24 75 dell'accertamento con adesione, istituito dall'art. 11, comma 3, del D.L. 79 del 28 marzo 1997, convertito in legge 140/1997. L'istituto dell'accertamento con adesione può essere applicato anche all'ICI, qualora il comune lo abbia previsto nelle norme regolamentari, disposte ai sensi dell'art. 59 del D.Lgs. 446/1997, con i criteri stabiliti dal D.Lgs. 218 del 19 giugno 1997. Pertanto, utilizzando questo istituto, i contribuenti potranno ottenere, ai sensi dell'art. 15 del predetto decreto, una notevole riduzione delle sanzioni a un ottavo del minimo (12,50%), oltre al pagamento rateale con il massimo di otto rate trimestrali per importi fino a € 51.645,69 o 12 rate per importi superiori. Ovviamente, in caso di rateazione, dovranno essere aggiunti gli interessi legali sulle somme dovute e dovrà essere fornita la garanzia di pagamento mediante accensione di ipoteca sui beni o con fideiussione bancaria o assicurativa (art. 38-bis del D.P.R. 633/1972). La regolarizzazione urbanistico-edilizia Il comma 8, ultimo periodo, dell'art. 19 del D.L. 78/2010 dispone che l'Agenzia del territorio rende disponibili ai comuni, sul portale loro dedicato, le unità comunque accertate “per i controlli di conformità urbanisticoedilizia”. Di conseguenza, al fine di evitare l'intervento d'ufficio dei comuni, è opportuno avviare spontaneamente le procedure per la regolarizzazione, che in gran parte dei casi è facilmente conseguibile. La maggior parte dei fabbricati mai dichiarati è costituita da manufatti e costruzioni per attività agricole (abitazioni, stalle, rimesse, silos, laboratori di prima lavorazione dei prodotti, spacci per la vendita dei propri prodotti agricoli ecc.), ma anche molte tettoie e ricoveri attrezzi, a volte provvisori. In questi casi, la regolarizzazione urbanistica è piuttosto semplice da ottenere, in quanto le costruzioni erette nelle zone E del D.M. 1444/1968 (zone omogenee agricole) sono compatibili con lo strumento urbanistico vigente, per cui l'adempimento consiste nella presentazione di una DIA in sanatoria, ai sensi dell'art. 37, comma 4, del D.P.R. 380/2001, oltre al pagamento della sanzione dal minimo di € 516 al massimo di € 5.164, di norma applicata al minimo, in esenzione dagli oneri di urbanizzazione e concessione, ai sensi dell'art. 9 della legge 10/1977, sempreché non esistano vincoli ambientali, nel qual caso è indispensabile ottenere preventivamente il benestare dall'ente di tutela del vincolo. Peraltro, anche la regolarizzazione dei fabbricati civili o industriali non presenta grosse difficoltà, qualora la destinazione urbanistica del PRG sia compatibile con i manufatti costruiti, in quanto è possibile utilizzare la stessa procedura prevista al periodo precedente con la sola variante del pagamento degli oneri di urbanizzazione e concessione. Ricordiamo che con la DIA è necessario presentare il progetto edilizio, il progetto delle strutture in c.a., e tutte le altre documentazioni amministrative previste dai regolamenti edilizi vigenti nel comune per il rilascio del permesso a costruire. Il destino dei fabbricati non sanabili Invece, per tutti gli altri casi di fabbricati con destinazione non conforme a quelle del PRG o, peggio, che siano stati costruiti in zone vincolate per rispetto marittimo, lacuale o fluviale, ovvero soggette a vincolo paesaggistico (artt. 142 e 143 del D.Lgs. 42/2004), non è possibile ottenere la sanatoria in quanto, per queste fattispecie, è prevista la denuncia alla magistratura, con l'applicazione di sanzioni penali, la demolizione dei manufatti e addirittura l'arresto fino a due anni (art. 44 del D.P.R. 380/2001) dei responsabili, per i casi più gravi. In queste ipotesi, è prevedibile che gli interessati non adempiano all'obbligo di denuncia ma stavolta, a differenza del passato, esistono gli elenchi delle particelle sulle quali sono stati realizzati i fabbricati non dichiarati, di cui sono noti i proprietari, circostanza che provocherà, prima o poi, l'intervento del comune, che dovrà procedere d'ufficio e applicare le sopracitate disposizioni di legge. L'unico modo per evitare maggiori danni per i proprietari di questi immobili è quello di demolire le costruzioni, prima che sia avviata la procedura d'infrazione urbanistica, almeno nei casi di manufatti minori, quali tettoie, box, piccoli depositi e simili. UNITELNews24 76 Energia Energia da fonti rinnovabili, la Pas ha sostituito Dia e Scia Carmen Chierchia, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 18 aprile 2011 - n. 15/16 La nuova procedura Il Dlgs sulla produzione di energia da fonti rinnovabili è stato pubblicato sulSupplemento alla «Gazzetta» del 28 marzo 2011, n. 71 ed è entrato in vigore il 29 marzo. Molte le novità a partire dalle procedure autorizzative: debutta la Pas che sostituisce sia la Scia che la Dia. Con l'emanazione del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 recante Attuazione della direttiva 2009/28/Ce sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/Ce e 2003/30/Ce (Dlgs 28/2011) si è definito il quadro autorizzativo per le autorizzazioni alla costruzione e gestione di impianti alimentati da fonti rinnovabili, così come avviato nel 2003 attraverso il decreto legislativo 387/2003 e come specificato con il decreto ministeriale 10 settembre 2010. Il decreto legislativo 28/2011 introduce una (formale) novità nell'assetto previsto dal legislatore per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Infatti, accanto alla autorizzazione unica e alla comunicazione da inviare al Comune, già previste dalla normativa previgente, il decreto 28/2011 introduce lo strumento della procedura abilitativa semplificata (Pas). Rapporto con Dia e Scia La Pas sostituisce la procedura della denuncia di inizio attività (oggi Scia) che lo stesso Dlgs 387/2003 ammetteva quale titolo autorizzativo per determinate categorie di impianto. Va detto in via preliminare che l'introduzione della Pas spazza via i dubbi registrati in dottrina sulla applicabilità alle fonti rinnovabili della segnalazione certificata di inizio attività (la Scia, appunto), introdotta nel luglio 2010 dalla legge 122/2010, a sostituzione della procedura di Dia. Pertanto, a partire dal 29 marzo 2011 - data di entrata in vigore del Dlgs 28/2011 il titolo abilitante ammesso per la costruzione e gestione di determinate categorie di impianti sarà la Pas. Come si vedrà in dettaglio tra breve, la procedura di Pas si snoda attraverso la stessa struttura della Dia: il soggetto interessato dalla costruzione deposita la dichiarazione e da tale momento decorrono 30 giorni per l'amministrazione comunale per compiere le verifiche di compatibilità del progetto con le norme urbanistiche e la sussistenza delle condizioni di legge per procedere con l'installazione. Se verifica l'insussistenza di una o più condizioni il Comune potrà ordinare di non procedere con i lavori. È, dunque, evidente che la Pas ricalca la procedura di Dia e non quella della Scia che, invece, ammette l'esecuzione immediata dell'intervento a fronte del potere dell'amministrazione comunale di compiere le proprie verifiche in 60 giorni, termine più ampio rispetto alla Dia e alla Pas. L'applicazione La Pas è ammessa per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 Dm 10 settembre 2010 (recante le linee guida per l'autorizzazione delle fonti rinnovabili). È, dunque, possibile ricorrere alla Pas per: 1) impianti solari fotovoltaici non ricadenti fra quelli considerati di attività edilizia libera e aventi le seguenti caratteristiche i) i moduli fotovoltaici devono essere collocati sugli edifici e ii) la superficie complessiva dei moduli fotovoltaici dell'impianto non deve essere superiore a quella del tetto dell'edificio sul quale i moduli sono collocati; 2) impianti solari fotovoltaici non ricadenti fra quelli di cui al numero precedente (quindi impianti a terra o con superficie dei moduli superiore a quella del tetto), aventi capacità di generazione inferiore alla soglia indicata alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (le soglie dimensionali UNITELNews24 77 della tabella A sono riportate nella tabella in alto); 3) impianti alimentati da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas non ricadenti fra quelli considerati quali attività edilizia libera e aventi le seguenti caratteristiche i) impianti operanti in assetto cogenerativo e ii) aventi una capacità di generazione massima inferiore a 1.000 kWe (piccola cogenerazione) ovvero a 3.000 kWt; 4) impianti da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, non ricadenti fra quelli di cui al numero precedente e aventi capacità di generazione inferiori alle rispettive soglie indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la tabella); 5) impianti eolici non ricadenti fra quelli considerati attività di edilizia libera e aventi capacità di generazione inferiore alle soglie indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la tabella); 6) torri anemometriche finalizzate alla misurazione temporanea del vento nel caso in cui si preveda una rilevazione di durata superiore ai 36 mesi; 7) impianti idroelettrici non ricadenti fra quelli considerati attività edilizia libera e aventi capacità di generazione inferiori alla soglia indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la tabella). È, dunque, evidente che lo strumento della Pas rappresenta un modello di semplificazione procedimentale applicabile a impianti di minore impatto sul territorio (e, quindi, esclusi dalla procedura di autorizzazione unica) ma comunque con caratteristiche industriali che li differenziano dagli impianti per i quali basta la semplice comunicazione. I LIMITI DI POTENZA PER APPLICARE LA PAS Tabella A del D.Lgs. 387/2003. Le Regioni possono elevarli fino a 1 MW. Fonte energetica Soglie Eolica 60 kW Solare fotovoltaica 20 kW Idraulica 100 kW Biomasse 200 kW Gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas 250 kW Le soglie di potenza Come indicato, uno dei parametri di ammissibilità del ricorso alla Pas è il rispetto delle soglie di potenza indicate nella tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003. Grande novità del Dlgs 28/2011 è la possibilità di elevare le soglie di potenza fino a 1 MW. Infatti, dopo anni di attesa (e numerose pronunce della Corte costituzionale) il Dlgs 28/2011 ha conferito alle Regioni e alle Province il potere di estendere fino ad 1 MW elettrico le soglie di potenza che ammettono il ricorso alla Pas. Si ricorda, infatti, che sotto la vigenza del Dlgs 387/2003 la possibilità di ricorrere alla procedura semplificata della Dia era ammessa solo per impianti che rientravano nella potenza indicata nella tabella A. A fronte di tale dato normativo nazionale, non sono mancate le Regioni che hanno esteso l'ammissibilità del ricorso alla Dia anche per impianti di potenza maggiore rispetto alla soglia nazionale, estendendo la potenza fino a 1 MW (tra tutte, la Puglia, la Basilicata, la Calabria). Contro tali Regioni, la Corte costituzionale si è pronunciata molte volte (tra tutte, sentenze 364/2006, 382/2009, 119/2010 e da ultimo sentenza 107/2011) ribadendo che le Regioni non avevano potere di elevare autonomamente le soglie di potenza per ricorrere alla Dia in assenza del decreto del ministro dello Sviluppo economico che consentisse l'elevazione della potenza. Con il Dlgs 28/2001 si dà dunque l'avvio per le Regioni al potere di elevare la soglia di potenza. In ogni caso, è fatto salvo il potere delle Regioni di escludere dalla Pas gli impianti che, sebbene rientrino nella soglia di potenza indicata, necessitano per una completa autorizzazione di nulla osta ambientali o paesaggistici di competenza di amministrazioni diverse dal Comune. In tali casi, le UNITELNews24 78 Regioni possono imporre l'assoggettamento dell'impianto all'autorizzazione unica. Per completezza si ricorda che le Regioni hanno anche il potere di estendere il regime della comunicazione fino a 50 kWe per gli impianti fotovoltaici su edifici a qualsiasi potenza, fatte salve le norme in tema di Via e di tutela delle risorse idriche (al riguardo si veda l'articolo a pagina 9). La procedura La procedura della Pas, che ricalca la procedura della denuncia di inizio attività, è alquanto articolata. Infatti, il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati dall'impianto presenta al Comune una dichiarazione cui deve essere allegata: - una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e gli opportuni elaborati progettuali, che attestino la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici e il rispetto delle norme di sicurezza e di quelle igienico-sanitarie; - gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete; - gli atti di assenso eventualmente necessari (ad esempio nulla osta idrogeologico, autorizzazione paesaggistica, ecc.). Una volta depositata la dichiarazione, i possibili scenari che si aprono sono tre: 1) il Comune ordina di non effettuare i lavori nei trenta giorni dal deposito della dichiarazione; 2) il Comune resta silente nei trenta giorni successivi al deposito, con conseguente formazione del titolo autorizzativo; 3) il Comune organizza l'acquisizione degli ulteriori permessi eventualmente necessari per assentire completamente l'opera progettata. L'ordine di non effettuare i lavori potrà essere notificato entro i trenta giorni dal deposito della dichiarazione qualora il Comune riscontri l'assenza di una o più condizioni per accedere alla Pas (ad esempio, l'incompatibilità dell'intervento con la destinazione urbanistica, l'insussistenza delle condizioni di cui all'articolo 11 delle Linee Guida o false attestazioni dei professionisti, in tale ultimo caso il Comune informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza). Resta ferma la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia. Se il Comune non notifica l'ordine di non procede con l'esecuzione dell'intervento, decorso il termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione, l'attività di costruzione deve ritenersi assentita. Più articolata è la procedura per l'acquisizione di ulteriori atti di assenso nelle materie relative all'ambiente, paesaggio, beni culturali, sicurezza. Infatti, di regola tali atti devono essere allegati alla dichiarazione. Nel caso in cui il proponente non riesca a premunirsi di tali nulla osta, il Comune è incaricato del completamento della pratica. In particolare: a) se l'emanazione di tali atti di assenso rientra nella competenza comunale, il Comune provvede a renderli tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo procedimento (30 giorni). Il rimedio concesso al proponente in caso di inerzia dell'amministrazione comunale è il ricorso avverso il silenzio regolato dall'articolo 117 del codice del processo amministrativo; b) se l'emanazione di tali atti d'assenso rientra nella competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, il procedimento per l'acquisizione dei relativi nulla osta può essere duplice 1) l'amministrazione comunale provvede ad acquisirli d'ufficio o 2) convoca, entro venti giorni dalla presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi. Il termine di trenta giorni per il perfezionamento della procedura autorizzativa è sospeso fino alla acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento della conferenza stessa. Come anche nella procedura di Dia, la realizzazione dell'intervento deve essere completata entro tre anni dal perfezionamento della Pas. La fine dei lavori deve essere comunicata al Comune al quale dovrà essere trasmesso altresì il certificato di collaudo finale da parte del progettista o di un tecnico abilitato. UNITELNews24 79 Regioni e Comuni La procedura delineata dalla Pas enfatizza il ruolo propulsore e di coordinamento delle Regioni le quali hanno il compito di stabilire 1) le modalità e gli strumenti con i quali i Comuni trasmettono alle stesse Regioni le informazioni sui titoli abilitativi rilasciati e 2) le modalità di corresponsione ai Comuni di oneri istruttori commisurati alla potenza dell'impianto. In altri termini, ciascuna Regione individuerà i canali informativi attraverso cui le amministrazioni comunali dovranno rendere noti gli impianti autorizzati tramite Pas e comunicazioni semplici e le modalità di concessione ai Comuni degli oneri istruttori per gli impianti autorizzati. ADEMPIMENTI A FINE LAVORI 1. Comunicazione di fine lavori 2. Deposito del collaudo di conformità dell'opera al progetto 3. Presentazione della ricevuta della domanda di variazione del valore catastale UNITELNews24 80 Pubblico impiego Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: dalla riforma alla controriforma. Il sistema delle fonti Nicola De Marinis, Il Sole 24 ORE - Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, marzo 2011, n. 3 1. La "bilateralizzazione" negata Programmaticamente volto ad intervenire sull'originario corpus normativo posto a disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche in funzione interdittiva di prassi interpretative e gestionali lassiste, riguardate, in modo invero superficiale, quale causa determinante, se non addirittura esclusiva, della perdurante inefficienza e scarsa produttività della pubblica amministrazione l'ennesimo restyling della disciplina del lavoro pubblico, voluto dall'attuale ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, e definito con l'emanazione della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e del relativo decreto legislativo di attuazione, n. 150 del 27 ottobre 2009, sembra aver preso la mano al suo stesso ideatore ed essere andato ben oltre il segno. In effetti, mosso dall'intento di por mano, nella costante opera di risanamento dell'esausta finanza pubblica, ad una razionalizzazione dell'azione e dei costi della pubblica amministrazione, sull'onda del successo mediatico della personalissima tesi di Pietro Ichino, evidentemente ammantata di fascino bipartisan per provenire da un intellettuale politicamente collocato a sinistra ed essere raccolta da un governo di centro-destra, secondo cui l'insufficiente livello di produttività della macchina pubblica si deve ai comportamenti "fannulloni" del proprio personale, il legislatore della riforma supera ampiamente l'originaria ispirazione. Questi va al di là del rafforzamento del sistema di controllo di gestione, perseguito attraverso la formalizzazione del processo di gestione della performance nonché di misurazione e valutazione della stessa, rimesse in ultima istanza ad una apposita authority indipendente, la "Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche", di nuova costituzione, non si attesta su una linea promozionale di incentivazione del personale, pure seguita con l'orientare in senso meritocratico e premiale l'utilizzo delle risorse destinate ai trattamenti accessori e alle progressioni di carriera, ma giunge a riappropriarsi di una funzione di governo eteronomo del sistema dei rapporti interni alla pubblica amministrazione. Ne deriva una rimodulazione della relazione autorità/libertà che dal piano della gestione del rapporto risale ad investire lo stesso sistema di regolamentazione del medesimo fino a contraddire l'ispirazione fondamentale dell'originaria riforma, della quale quest'ultimo intervento vorrebbe porsi come semplice sia pur marcato ritocco, data dalla privatizzazione dell'impiego pubblico. La privatizzazione, in effetti, non solo si poneva quale espressione di libertà relativamente al profilo della regolamentazione del rapporto, rimessa, su un piano di parità, alle parti del medesimo e per esse alle loro rappresentanze collettive ma alle stesse apriva quegli spazi di libertà nella gestione del rapporto recuperati dall'arretramento, fino alle soglie della macro-organizzazione della pubblica funzione, del diritto amministrativo e non presidiati dal diritto comune pur a rigore concepiti come funzionali all'esercizio della discrezionalità e, quindi, dell'autorità del dirigente pubblico che, in attuazione dell'invalso principio di separazione tra poteri di indirizzo politico e poteri di gestione dell'azione amministrativa, ne era investito, con ciò implicando l'effettiva bilateralizzazione del rapporto. E' appunto quella bilateralizzazione, ovvero la libertà riconosciuta alle parti sia sul piano della regolamentazione che della gestione del rapporto, ad essere negata, decretandosi così anche la fine della partnership alla stessa dirigenza pubblica accordata nell'attuazione dell'originaria riforma, con pesanti riflessi sul sistema delle fonti. UNITELNews24 81 2. La competenza ripartita tra legge e contratto A questo riguardo è a dirsi come la chiave di volta del nuovo assetto delle fonti la si ritrovi nella previsione di cui all'art. 32 del d.lgs. n. 150/2009, che, collocato nella sistematica di tale atto legislativo in apertura del Titolo IV, destinato a raccogliere le disposizioni modificative del d.lgs. n. 165/2001, definisce ambito, oggetto e finalità dell'intervento di riforma rispetto alle norme di principio recate dal richiamato d.lgs. n. 165/2001. Ebbene, ivi si legge che le disposizioni successive definiscono "la ripartizione tra le materie sottoposte alla legge, nonché, sulla base di questa, ad atti organizzativi e all'autonoma responsabilità del dirigente nella gestione delle risorse umane e quelle oggetto della contrattazione collettiva", ripartizione di cui si ribadisce la necessità di assicurare il rispetto nell'art. 53 del d.lgs. n. 150/2009, a sua volta inteso a definire oggetto, ambito di applicazione e finalità dell'intervento di riforma in materia di contrattazione collettiva nazionale e integrativa. Il termine ripartizione riporta indietro nel tempo, richiamando il sistema delle fonti a suo tempo delineato dalla legge 29 marzo 1983, n. 93, la cosiddetta legge quadro sul pubblico impiego, che, nell'introdurre a livello generale una prima forma di contrattualizzazione del rapporto di lavoro pubblico, ridefiniva l'area coperta dalla riserva di legge di cui all'art. 97 Cost., per assegnare alla contrattazione collettiva uno specifico ambito di competenza regolativa afferente alle seguenti materie: il regime retributivo di attività; i criteri per l'organizzazione del lavoro; l'identificazione delle qualifiche funzionali, in rapporto ai profili professionali ed alle mansioni; i criteri per la disciplina dei carichi di lavoro e le altre misure volte ad assicurare l'efficienza degli uffici; l'orario di lavoro, la sua durata e distribuzione, i procedimenti di rispetto; il lavoro straordinario; i criteri per l'attuazione degli istituti concernenti la formazione professionale e l'addestramento; le procedure relative all'attuazione delle garanzie del personale; i criteri per l'attuazione della mobilità del personale. Sennonché, nell'allora confermato regime a diritto amministrativo si trattava di competenza almeno formalmente riservata, risultando la contrattazione collettiva, per effetto del necessario recepimento del testo negoziale in un atto normativo qual'era il decreto del Presidente della Repubblica, elevata, quale fonte di diritto oggettivo, al rango della legge e restando, così, rigidamente distinti gli ambiti di intervento di ciascuna delle due fonti . Una tale riserva di competenza a favore del contratto collettivo non è configurabile nell'attuale contesto di privatizzazione del lavoro pubblico inaugurato dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ove si ripropone l'ordinario assetto gerarchico che vede la legge, unica fonte di diritto oggettivo, sovraordinata al contratto collettivo, tornato a porsi come espressione di autonomia privata. Il che prefigura, piuttosto che una ripartizione tra legge e contrattazione collettiva degli ambiti di regolazione del rapporto di lavoro pubblico, una competenza in materia tra loro concorrente, viatico di ulteriori progressioni su quel percorso di riappropriazione di spazi regolativi del rapporto da parte della legge a scapito del contratto collettivo, già seguito nel decreto in commento con l'arretramento sulla linea della competenza ripartita tra contrattazione collettiva e leggi aventi ad oggetto specifico il lavoro pubblico rispetto a quella, emergente nella prospettiva della privatizzazione, sin qui perseguita della competenza generale del contratto collettivo entro i limiti segnati, salvo specifiche e contenute eccezioni, delle comuni leggi sul lavoro. 3. Il primato della legge Una simile concorrenzialità sembra programmaticamente delineata attraverso la modifica già apportata dall'art. 1 della legge delega n. 15/2009 all'art. 2, co. 2, secondo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, disposizione, quest'ultima, che, nel regolare esplicitamente l'ipotesi dell'intervento della legge, interinale o anche definitivo, sempre che così fosse stato espressamente previsto, a limitazione dell'autonomia delle parti collettive, risultava posta appunto a presidio dell'indicazione normativa a favore del contratto collettivo quale fonte privilegiata di disciplina del rapporto. In effetti, l'intervento riformatore, nell'ammettere, con una modifica testualmente quasi impercettibile, la deroga alla legge sopravvenuta da parte del contratto collettivo e, dunque, la sua inapplicabilità pro futuro "solo qualora ciò sia espressamente prevista dalla legge", tende a stabilizzare l'effetto inibitorio delle scelte delle parti collettive sul piano dei contenuti regolativi del rapporto e, pertanto, sul terreno della specifica materia del lavoro pubblico e non su quello generale della limitazione dell'autonomia privata nella definizione delle regole del lavoro. UNITELNews24 82 E' evidente l'affermazione, in palese controtendenza con l'obiettivo, dichiaratamente perseguito con la privatizzazione, di addivenire ad una sostanziale assimilazione del lavoro pubblico al lavoro privato, del rilievo preminente e pervasivo dell'interesse pubblico con riferimento a tale particolare tipologia di rapporto di lavoro, affermazione che, nel sistema a competenza ripartita formalmente delineato dal d.lgs. n. 150/2009, si traduce nella sottrazione alla competenza generale del contratto collettivo, così delineata nell'originario testo dell'art. 40 del d.lgs. n. 165/2001, "La contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni sindacali", delle materie indicate nel testo novellato del medesimo articolo. In effetti, se si eccettua il riferimento alle materie di cui all'art. 1, co. 2, lett. c) dell'originaria legge delega, 23 ottobre 1992, n. 421, sulla privatizzazione del pubblico impiego (relative: alle responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure amministrative; agli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; ai principi fondamentali di organizzazione degli uffici; ai procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di avviamento al lavoro; ai ruoli, alle dotazioni organiche nonché alla loro consistenza complessiva; alla garanzia della libertà di insegnamento e all'autonomia professionale nello svolgimento dell'attività didattica, scientifica e di ricerca; alla disciplina della responsabilità ed incompatibilità), che già limitavano l'area della privatizzazione, tuttavia rimettendo alla contrattazione collettiva l'intera materia dello status giuridico del dipendente pubblico, l'art. 40 nuovo testo nel sancire l'esclusione della competenza della contrattazione collettiva sulle "materie attinenti all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'art. 9, quelle afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, co. 2, 16 e 17, la materia del conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali" e, nel prevedere espressamente la soggezione della contrattazione collettiva ai vincoli legali nelle materie relative "alle sanzioni disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio, della mobilità e delle progressioni economiche" si pone come norma di definizione degli ambiti di regolazione del rapporto di lavoro pubblico recuperati dall'intervento riformatore alla fonte legale in termini ben più ampi di quanto lascerebbe desumere la disposizione viceversa attributiva di competenza alla contrattazione collettiva posta in apertura dello stesso art. 40 e formulata nel senso che "La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali". Si delinea in sostanza un'inversione di rotta su quel percorso di progressiva privatizzazione che, dal piano della regolamentazione del rapporto di lavoro, in una con l'inclusione in quell'orizzonte del livello più elevato della dirigenza pubblica, aveva finito per investire quello dell'organizzazione degli uffici o "micro-organizzazione", con il conseguente arretramento della privatizzazione da quel fronte a quello originario ed oltre. Non altrimenti può leggersi la circostanza che tra le materie escluse dalla competenza del contratto collettivo rientri quella dell'organizzazione degli uffici, per di più indicata tout court, senza distinguere tra organizzazione dell'articolazione funzionale in quanto deputata all'esercizio del relativo segmento di competenza e organizzazione del lavoro interna ad essa, ed altresì la circostanza che la legge si volga a presidiare ogni ambito regolativo idoneo a porsi come punto di interferenza e di snodo tra interesse dell'organizzazione ed interesse del lavoratore pubblico, dagli istituti della partecipazione sindacale, ora rigorosamente circoscritti, per quel che riguarda l'organizzazione degli uffici e la gestione dei rapporti di lavoro, alla mera informazione, ad esclusione di ogni altra modalità di confronto, pur in precedenza individuate nella consultazione e nella concertazione, atta ad involgere profili di codeterminazione tra dirigenza pubblica e organizzazioni sindacali, alle sanzioni disciplinari, alla valutazione dell'apporto individuale del singolo e della sua valenza sul piano delle progressioni economiche e di carriera, ad ulteriore conferma del venir meno della delega alla gestione di tali aspetti frizionali in precedenza accordata alla dirigenza pubblica, ora persino sottratta alla tutela sindacale e su tematiche sensibili quali quella della revoca degli incarichi dirigenziali. Ed il presidio della fonte legale sugli ambiti regolativi indicati è garantita dall'espressa attribuzione del carattere imperativo alle relative disposizioni che proviene dall'integrazione in tal senso operata dal legislatore della riforma al disposto dell'art. 2, co. 2, primo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, cui fa da corollario l'ordinaria sanzione della nullità parziale, ex art. 1419, co. 2, c.c., del contratto collettivo recante clausole in violazione di tali norme imperative e più in generale dei limiti fissati all'autonomia collettiva, con applicazione della sostituzione automatica delle clausole nulle ai sensi dell'art. 1339 c.c., questa volta, peraltro, espressamente sancita dal nuovo co. 3 bis del richiamato art. 2. UNITELNews24 83 Ma ulteriori e ben più penetranti limiti derivano alla contrattazione collettiva dalle disposizioni di cui ai co. 3 ter e 3 quater ora aggiunti al nuovo testo dell'art. 40 in materia di contrattazione integrativa e da quelle poste dal nuovo art. 47 bis sulla tutela delle retribuzioni, secondo quanto si preoccupa di precisare l'inciso ora inserito al co. 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, che quelle disposizioni configura quali eccezioni alla regola, in precedenza incondizionata, che voleva il rapporto di lavoro pubblico ed in particolare l'attribuzione dei trattamenti economici disciplinato "mediante contratti collettivi". In effetti, le richiamate disposizioni nell'aprire, in via stabile o formalmente interinale, spazi di intervento regolativo su materie di pertinenza del contratto collettivo all'iniziativa unilaterale della pubblica amministrazione, al suo esercizio subordinano o sospendono la competenza normativa della contrattazione collettiva. In particolare, oltre all'ulteriore vincolo stabilmente posto in materia di ripartizione delle risorse per la contrattazione decentrata da operarsi ora tenendo conto dei tre livelli di merito in cui amministrazione ed enti pubblici verranno inseriti in relazione alla graduatoria di performance stilata dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (art. 40, co. 3 quater), si ammette che qualora non si raggiunga l'accordo per la stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata, al fine di assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, può provvedere, in via provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione (art. 40, co. 3 ter), ed altresì che, decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento, gli incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati in via provvisoria previa deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative, salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro (art. 47, co. 1), norma qualificata di garanzia dell'adeguamento del trattamento economico del personale ed in questa ottica completata dalla previsione del comma successivo, secondo cui "in ogni caso a decorrere dal mese di aprile dell'anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale di lavoro, qualora lo stesso non sia stato rinnovato e non sia stata disposta l'erogazione di cui al co. 1, è riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, nella misura e con le modalità stabilite dai contratti nazionali e comunque entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in sede di definizione delle risorse contrattuali, una copertura economica che costituisce un'anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale". E' evidente, con particolare riguardo all'art. 47, co. 1, che, per operare in relazione alla contrattazione collettiva nazionale di comparto e su materia di rilievo essenziale quale quella retributiva, assume una significativa valenza, come tali disposizioni mirino a conferire immediata efficacia normativa a quelli che, riguardate in un'ottica eminentemente negoziale, rappresentano soltanto i punti di interesse di una delle parti, finendo, con il consentirne la previa attuazione, per rafforzare la posizione della parte pubblica nel negoziato e condizionare l'esito del medesimo. Si legificano così prassi di delegittimazione sindacale di recente inaugurate, ma in via meramente provocatoria, nel settore privato, in particolare durante la trattativa per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, ma nel settore pubblico, in occasione del rinnovo del c.c.n.l. del comparto ministeri, già apertamente perseguite, facendo sponda sulla contiguità delle componenti minoritarie del sindacato confederale, che non a caso hanno finito per sottoscrivere il contratto, in funzione dissuasiva del dissenso sindacale sui contenuti del negoziato. Ne emerge una chiara tendenza alla neutralizzazione della competenza normativa della contrattazione collettiva e, più al fondo, al disconoscimento ed alla disgregazione di un sistema di relazioni sindacali che, sin dalla prima fase di "contrattualizzazione" del pubblico impiego, le stesse istituzioni avevano inteso fondare. Ed è soprattutto su questo che si misura la distanza dall'originaria ispirazione della successiva operazione di privatizzazione volta alla sostanziale assimilazione del lavoro pubblico al lavoro privato. 4. Dal rapporto "speciale" al rapporto "eccezionale" Sennonché, la riforma va ben oltre, non limitandosi ad accentuare il profilo di specialità del rapporto in ragione della maggiore dose di interesse pubblico travasata, anche a livello micro, nell'organizzazione della pubblica amministrazione, ma muovendo da qui verso un diritto UNITELNews24 84 "eccezionale" in deroga agli stessi principi di quel diritto comune cui in origine avrebbe dovuto conformarsi ed addirittura ai principi costituzionali. Significativo in tal senso è il capitolo della riforma dedicato all'inasprimento della disciplina in materia di sanzioni disciplinari, che, per di più, il legislatore blinda, per un verso rinnovando ad hoc la qualificazione delle disposizioni che lo compongono come norme imperative, alla cui violazione consegue la nullità parziale del contratto e la sostituzione automatica delle clausole nulle, per l'altro, avendo cura di escludere qualsiasi sovrapposizione di regole o canali procedurali alternativi di matrice sindacale, con l'ammettere la contrattazione collettiva soltanto alla definizione di procedure di conciliazione non obbligatorie, per di più limitate ai casi che non comportino la sanzione disciplinare del licenziamento ed altresì condizionate nel loro esito dal momento che la sanzione eventualmente concordata in questa sede non può essere di specie diversa da quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per la quale si procede. Un primo scostamento dal diritto comune, annunciato dalla stessa normativa di riforma, recante all'art. 68, co. 2, la previsione per la quale la competenza assegnata al contratto collettivo in ordine alla definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è esercitata nei limiti delle regole legali contenute nel medesimo Capo IV che già dispongano in materia, si registra in relazione appunto dell'intervento della legge nella definizione del codice disciplinare, intervento, la cui pervasività si misura sul fatto che lo stesso si risolve per lo più, com'è nelle ipotesi che l'art. 55 quater vuole comunque assoggettate alla sanzione del licenziamento, nella riproposizione di una casistica già contemplata dalla contrattazione collettiva. In questo contesto il superamento degli ordinari limiti legali si ravvisa anche con riguardo alla definizione della tipologia delle sanzioni, qui ammettendo per la prima volta la legge l'applicazione della già nota sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ben oltre l'ordinario limite temporale fissato dall'art. 7 st. lav. in dieci giorni, con una estensione che va dai quindici giorni fino ai tre mesi, indice di una inammissibile disattenzione per la natura alimentare del credito retributivo. Sempre in questo ambito più marcata è la deviazione dai principi nel momento in cui, in contrasto sempre con il disposto dell'art. 7 st. lav., secondo cui la sanzione non può comportare mutamenti definitivi del rapporto di lavoro, si ammette, ai sensi dell'art. 55 sexies, co. 2, che, nel caso in cui il dipendente cagioni grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche il dipendente non solo viene assoggettato alla sanzione affatto peculiare della messa in disponibilità, istituto di norma afferente alla problematica della ricollocazione del personale in esubero per ragioni oggettive riguardanti l'organizzazione amministrativa, ma può vedere modificato tanto il trattamento economico, non avendo diritto durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità a percepire aumenti retributivi sopravvenuti, quanto la sua posizione funzionale, riconoscendosi al provvedimento che definisce il giudizio disciplinare la facoltà di definire, unilateralmente, le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l'eventuale ricollocazione e dando, così, per la prima volta ingresso nel nostro ordinamento alla sanzione della degradazione. Con riguardo alla medesima disposizione non si può poi mancare di rilevare sotto un diverso profilo come la costruzione della fattispecie sanzionatoria includa la considerazione di elementi indeterminati o ultronei rispetto a quelli proposti e richiesti dal diritto comune. Oggetto dell'iniziativa sanzionatoria è l'inefficienza o incompetenza professionale causativa di un grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, elementi, i primi, che nell'ordinario contesto normativo potevano tutt'al più risultare espressivi di un giudizio sintetico sul valore della prestazione resa dal dipendente, derivato dalla riferibilità al dipendente medesimo di specifici comportamenti inadempienti a loro volta sanzionati, ed il secondo, il danno, di norma ritenuto irrilevante ai fini disciplinari o, al più, considerato a livello di mera aggravante. Analoghe considerazioni possono valere per la fattispecie sanzionatoria contemplata dal nuovo art. 55 sexies, co. 1, d.lgs. n. 165/2001. Ivi si prevede che la condanna dell'amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'art. 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in proporzione all'entità del risarcimento. UNITELNews24 85 Anche in questo caso per effetto dell'intervenuta condanna dell'amministrazione in sede civile si finisce per dare rilievo, da un lato, a presunti inadempimenti pregressi, prescindendo dall'attivazione in relazione ai medesimi di un procedimento disciplinare e dal tempo in cui quegli inadempimenti sarebbero intervenuti, dall'altro, al determinarsi di un danno a carico del'amministrazione, tra l'altro, configurato quale parametro per la graduazione della gravità della sanzione. Nello stesso senso ma in maniera più eclatante, per la palese differenza dall'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in materia, depone la disposizione relativa alla fattispecie dello scarso rendimento, qui non configurato come risultato di una precedente sequenza di inadempimenti a loro volta sanzionati, ma punito di per sé con la sanzione massima del licenziamento, all'esito di una valutazione negativa della prestazione resa dal dipendente espressa, con riguardo ad un arco temporale non inferiore al biennio, dall'amministrazione di appartenenza, ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche, con riferimento alla quale la reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di comportamento di cui all'art. 54, violazione, come detto, non asseverata dalla precedente comminazione di sanzioni conservative, è destinata a costituire soltanto l'antecedente logico della valutazione medesima. Ma, al di là della rilevata discrasia con il diritto comune, emerge, nei casi da ultimo citati ed in particolare nell'opzione intesa ad elevare a presupposto dell'azione disciplinare inadempimenti in origine non formalmente sanzionati, un ben più grave vulnus recato al principio costituzionale, concepito dal giudice delle leggi e, perciò, imposto anche con riferimento alla fattispecie del licenziamento per mancanze, come espressione di civiltà giuridica, della garanzia del contraddittorio, nel discutibile quanto vano tentativo di veicolare nelle forme del procedimento disciplinare, strutturato sul modello necessariamente bilaterale del processo, l'esito negativo di una valutazione unilaterale della produttività della prestazione. Ancor più clamorosa si rivela la violazione dei principi costituzionali cui il legislatore della riforma perviene con l'ammettere il bis in idem ovvero il reiterarsi a carico del medesimo soggetto e per gli stessi fatti della procedura sanzionatoria, in base alla disposizione di cui al nuovo art. 55 ter, co. 3, ove, una volta imposto ai precedenti commi, in caso di azione penale intentata a carico del dipendente, l'avvio in parallelo e la conclusione anticipata rispetto al giudizio penale del procedimento disciplinare, giunge poi a prevedere, a fronte della successiva emanazione di una sentenza irrevocabile di condanna, la riapertura del procedimento disciplinare conclusosi con l'archiviazione per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale e la riapertura di qualsiasi procedimento che non si sia concluso con l'irrogazione della sanzione del licenziamento per l'irrogazione di quella sanzione ove dall'accertamento definitivo in sede penale discenda l'addebitabilità al dipendente di un fatto avente una tale rilevanza disciplinare. Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: dalla riforma alla controriforma. il sistema delle fonti. Riassunto. Lo scritto tende a dimostrare come il legislatore della recente riforma del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, discostandosi dall'originaria direttiva dell'armonizzazione del lavoro pubblico con il lavoro privato e ridimensionando fortemente la stessa prospettiva della contrattualizzazione del rapporto, giunga ad affermare il primato della fonte legale rispetto a quella contrattuale in funzione del rispristino, sulla base di un diritto eccezionale, tarato al di sotto degli standard di tutela del lavoro privato, di uno stato giuridico speciale del dipendente pubblico. UNITELNews24 86 Sicurezza sul lavoro Sicurezza sul lavoro nelle amministrazioni pubbliche: il ruolo e la responsabilità degli organi di indirizzo politico Pierguido Soprani, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6 Con l'emanazione del D.Lgs. n. 626/1994, l'individuazione della figura del datore di lavoro pubblico, a fini prevenzionali (problematica per molto tempo affrontata raramente "ex professo" e in profondità, sia dalla dottrina, che dalla Giurisprudenza), ha acquisito un impulso via via sempre maggiore, anche per il fatto che questa nozione non era codificata nel sistema normativo precedente. Attualmente il datore di lavoro pubblico in ambito prevenzionistico è definito con valenza generale nell'art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, D.Lgs. n. 81/2008, e convenzionalmente individuato con "il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di vertice medesimo". In base alla legislazione vigente, la responsabilità gestionale nell'ambito della Pubblica Amministrazione è affidata alla figura del dirigente pubblico, come definita in via generale nell'art. 4, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego), e nell'art. 107, D.Lgs. n. 267/2000 (Testo unico degli enti locali), in base ai quali, nell'ambito delle amministrazioni pubbliche, gli organi di governo (ed elettivi, dove esistenti) sono titolari dei poteri di indirizzo politico-amministrativo, di dotazione organica, strumentale ed economico-finanziaria e delle funzioni di controllo dell'ente; ai dirigenti spetta, invece, la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa delle risorse assegnate e la gestione del personale. Il principio della distinzione-separazione tra la funzione di governo (riservata alla competenza dei vertici delle amministrazioni pubbliche) e la funzione di gestione (demandata agli organi burocratici dell'apparato amministrativo), assume una valenza fondamentale nella regolamentazione e nella delimitazione dei rispettivi ambiti di azione. E' opportuno evidenziare ulteriormente che ai dirigenti pubblici è riconosciuta, per diretta attribuzione di legge, la titolarità degli stessi poteri di autonomia decisionale e di spesa propri dei datori di lavoro del settore privato, sintetizzati nel cosiddetto potere di gestione. Il fatto che, rispetto agli obiettivi, alle priorità, ai piani di programma e alle direttive generali fissati dagli organi di governo dell'ente, questi siano soggetti a un controllo di gestione e di risultato (dunque, esplichino un'azione che, sia pure impropriamente, potrebbe essere definita "esecutiva"), non deve ingenerare equivoci; poiché questo rapporto di dipendenza funzionale vale solo e unicamente per gli obiettivi definiti a livello di azione politico-amministrativa, non anche per quegli altri obiettivi (tra cui quello della "tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro") che è la legge stessa (il D.Lgs. n. 81/2008 e la restante normativa prevenzionale) a definire e a imporre, in maniera indifferenziata, a tutte le imprese pubbliche e private. Dall'esame della figura dei dirigenti pubblici si ricava, insomma, la chiara indicazione che, per quanto attiene all'adempimento degli obblighi di sicurezza e di salute, essi non hanno vincoli di subordinazione gerarchica e funzionale, né devono sottostare alla decisione di altri organi di governo dell'ente; i dirigenti pubblici, pertanto, non sono equiparabili ai "dirigenti" del settore privato, ma si caratterizzano piuttosto [tali li qualifica (rectius, convenzionalmente li "intende") il D.Lgs. n. 81/2008] come datori di lavoro. Resta fermo il potere-dovere di controllo sul loro operato, nell'ambito di un sistema di valutazione interna, da parte degli organi di vertice di ciascuna amministrazione (cosiddetta valutazione della dirigenza), che discende più in generale dal rapporto di servizio che li lega all'ente. UNITELNews24 87 Dunque, è ormai imprescindibile tener conto, nell'esame dell'assetto funzionale di tutte le amministrazioni pubbliche e, in particolare, di quello degli enti locali, della cennata distinzione tra organi di indirizzo politico e organi di gestione finanziaria, tecnica, amministrativa. Questo nuovo assetto organizzativo e funzionale degli enti pubblici fa sì che alcuni precedenti indirizzi giurisprudenziali, attributivi della responsabilità a titolo esclusivo o concorrente agli organi di indirizzo politico siano divenuti ormai inattuali (tra le altre, Cass. pen., sez. III, 13maggio 1994; Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 1992; Cass. pen., sez. III, 7 novembre 1995; in particolare, Cass. pen., sez. III, 24 febbraio 1993, secondo cui "In un comune, specialmente se piccolo, al sindaco compete dirigere, mentre all'assessore delegato spetta sovrintendere alle attività svolte dai lavoratori dipendenti nel cimitero comunale, sicchè entrambi sono responsabili in concorso tra loro delle infrazioni alle disposizioni antinfortunistiche poste a tutela dei lavoratori subordinati: il sindaco, quale destinatario ex lege dell'obbligo di prevenzione, può liberarsi dalla relativa responsabilità solo delegando specificamente all'assessore competente o ad altro sovrintendente il compito di osservare l'obbligo a lui incombente"). Per cui, è indubbio che, a seguito delle riforme della PA che si sono concluse con l'emanazione del D.Lgs. n. 267/2000, del D.Lgs. n. 165/2001 e, infine, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni (cosiddetta riforma "Brunetta"), la responsabilità degli organi di governo delle amministrazioni pubbliche (questo vale anche in sede di applicazione della normativa prevenzionistica e di igiene del lavoro e di attribuzione dei correlati profili di responsabilità) operi con valenza del tutto residuale. Peraltro, non può non considerarsi che il conferimento degli incarichi dirigenziali è di esclusiva competenza degli organi di governo di ciascuna amministrazione pubblica (art. 19, D.Lgs. n. 165/2001, e art. 50, D.Lgs. n. 267/2000), così come lo sono la verifica dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione e, in caso di negatività dei risultati, l'adozione dei provvedimenti ablativi della revoca dell'incarico, dell'interdizione dal conferimento di ulteriori incarichi di livello dirigenziale, del recesso dal rapporto di lavoro (art. 21, D.Lgs. n. 165/2001). Questo spiega come, già prima della riforma del pubblico impiego e delle autonomie locali, la Giurisprudenza aveva ritenuto sussistere, in capo agli organi di indirizzo politico e di governo dell'ente pubblico, una specifica posizione di garanzia (significativa sul tema è la pronuncia di Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 1992, secondo la quale "Il sindaco, delegando l'assessore all'uopo designato, gli trasferisce l'esercizio di poteri-doveri nella materia delegata e, con essi, anche la responsabilità per la mancata adozione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e per le relative contravvenzioni; tuttavia il sindaco, quale destinatario delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro ex art. 4 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, è responsabile delle contravvenzioni in materia, anche nel caso in cui abbia delegato l'esercizio dei poteri ad assessore all'uopo designato, quando sia stato, esso sindaco, personalmente sollecitato circa i pericoli che derivano agli interessati dalla mancata adozione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e ciò nondimeno abbia omesso i poteri di autorità delegante - di vigilanza, di direttive, e, al limite, di revoca della delega nei confronti dell'assessore delegato - e comunque di intervenire per porre rimedio alla situazione di pericolo lamentata"). Dopo la pubblicazione del D.Lgs. n. 626/1994 e il contestuale avvio del cosiddetto "nuovo corso" della sicurezza, la Giurisprudenza della Cassazione si è pronunciata sul ruolo e sulla responsabilità degli organi di indirizzo politico in un'importante pronuncia (Cass. pen., sez. III, 27 marzo 1998) inerente alla vicenda infortunistica di un dipendente comunale. Muovendo dalla considerazione che il sindaco (ma lo stesso vale, mutatis mutandis, per il presidente della Provincia) è il soggetto responsabile dell'amministrazione comunale e, in tale veste, ha il dovere di "sovrintendere agli uffici ed alle istituzioni comunali, e di vigilare, dunque, a che gli amministratori ed i funzionari sottoposti adempiano ai compiti ed agli specifici obblighi istituzionali loro demandati", i Giudici di legittimità hanno affermato che, sebbene non sia tenuto a controllare personalmente ogni tipologia di intervento (per esempio, di ordinaria manutenzione) sul territorio e sugli edifici in carico gestionale all'ente, tuttavia, "allorché sia informato delle inadempienze dei preposti alla ripartizione ed al servizio, proprio per la funzione apicale ricoperta nell'ambito dell'amministrazione comunale, ha l'obbligo di intervenire anche con provvedimenti disciplinari", e "perfino con il ritiro della delega ove le relative responsabilità siano imputabili anche all'assessore di riferimento". Il ragionamento consequenziale svolto dalla Cassazione è stato che, qualora il sindaco (come nel caso di specie), pur edotto della situazione di fatto relativa alle "gravi e precarie condizioni igienico-sanitarie dei locali", abbia omesso di intervenire, rimanendo totalmente inerte nonostante le plurime sollecitazioni "a porre rimedio alla grave situazione di degrado lamentata", lo stesso non è esente UNITELNews24 88 da responsabilità "a titolo di concorso con quella dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti e degli assessori di riferimento, cui erano addebitabili le singole violazioni". Lo spunto di stimolante riflessione indotto dalla sentenza è che in capo al sindaco sussiste un dovere di attivazione e di intervento, in presenza di situazioni di mala gestio, da parte dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti, da lui comunque conosciute. In che modo il sindaco sia tenuto a intervenire per ovviare alle situazioni antigiuridiche derivanti da violazioni penalmente rilevanti la Corte non lo ha detto, salvo il riferimento al possibile esercizio del potere disciplinare. Prendendo il dictum della Cassazione a paradigma significativo e riferendolo, più in generale, al ruolo degli organi di governo e di indirizzo politico degli enti pubblici, è necessario fare il punto della situazione. In primo luogo è indubbio che il dovere di attivazione e di intervento degli organi di indirizzo politico dell'ente investa non solo le situazioni di illiceità penale conosciute, ma anche quelle doverosamente conoscibili. Infatti, la quasi totalità delle contravvenzioni in materia di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro si caratterizza come reati omissivi, rispetto ai quali il legislatore, proprio al fine di condizionare positivamente all'azione i soggetti obbligati, ha connotato il precetto come dovere di adempimento. Se, dunque, sono le condotte omissive, negligenti di questo dovere a essere assoggettate a pena, questo significa, sul piano comportamentale, che il fondamento della responsabilità è proprio l'inerzia rispetto al dovere di attivazione legislativamente imposto. Ma, trattandosi di responsabilità attribuita a titolo di colpa ed essendo il fondamento della colpa la prevedibilità (non la previsione) dell'evento del reato, deve essere fatto riferimento non alla conoscenza effettiva, bensì alla mera conoscibilità (intesa quale dovere-potere di conoscere). In secondo luogo occorre aggiungere che, in applicazione dei principi generali in tema di imputazione della colpa nei reati contravvenzionali omissivi, l'inerzia colpevole è misurata con il criterio del consenso. In presenza di una condotta omissiva tenuta di fronte a una situazione conoscibile e in contrasto con l'imposizione di legge, il consenso al permanere, al perdurare di questa situazione si trae per induzione, per inevitabile logica conseguenza, tanto più considerando che molte delle violazioni antinfortunistiche e di igiene del lavoro assumono la struttura di reati permanenti. Nel caso di specie il sindaco, "pur edotto da funzionari ed altri dipendenti delle gravi e precarie condizioni igienico-sanitarie dei locali della polizia urbana" aveva omesso di intervenire; così come era "rimasto totalmente inerte dopo le numerose relazioni inviategli dagli ispettori della AUSL e perfino dopo gli incontri con le organizzazioni sindacali che più volte lo (avevano) sollecitato a porre rimedio alla grave situazione di degrado lamentata". La condivisibile conclusione alla quale è giunta la Corte di Cassazione, di ipotizzare "una responsabilità del sindaco a titolo di concorso con quella dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti e degli assessori di riferimento, cui erano addebitabili le singole violazioni", concerne ovviamente quel particolare profilo di responsabilità, codificato nell'art. 40, comma 2, Codice penale ("Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo"), conseguente all'assunzione di una posizione di "garanzia" che l'ordinamento assegna a un soggetto per la tutela del bene o dell'interesse protetto dalla norma che si assume violata. Considerando che, negli enti locali, sono gli organi di governo quelli ai quali, nell'esercizio delle funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti, compete la nomina dei responsabili degli uffici e dei servizi, l'attribuzione e la definizione degli incarichi dirigenziali e di quelli di collaborazione esterna, nonché il potere-dovere di controllo e di verifica dell'attività di gestione, siffatte prerogative funzionali appaiono idonee a ingenerare un'esposizione al profilo della responsabilità concorrente, riconducibile alla previsione del comma 2, art. 40, c.p. In fondo non si tratta che di trasporre alcuni di quei principi che presiedono all'istituto della delega e che ne costituiscono, anzi, secondo l'insegnamento Giurisprudenziale, requisiti essenziali. Tra questi, quello per il quale il delegante non deve essere a conoscenza dell'inefficienza del delegato ed è anche tenuto a predisporre un sistema di controllo e di verifica periodica della sua attività. Tanto della prima condizione [principio di "non connivenza" (o di "non acquiescenza")] quanto della seconda (principio dell'assenza di "culpa in vigilando") è stata data chiara indicazione da parte della Giurisprudenza. Il dato di sintesi è che, dunque, nel settore della normativa di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, il profilo di responsabilità degli organi di indirizzo politico degli enti pubblici, quali figure apicali di ciascuna amministrazione pubblica, può essere fondato, indipendentemente dall'esistenza di una delega, nella condotta di mancato assolvimento di quel potere-dovere di controllo che li obbliga, di fronte alle situazioni antigiuridiche doverosamente conoscibili, a intervenire per porvi tempestivo rimedio. Il contenuto della censura mosso dalla Cassazione al UNITELNews24 89 sindaco nella vicenda infortunistica de qua (di non essere intervenuto "anche con provvedimenti disciplinari") sembra poi escludere che si tratti di un dovere di controllo sostitutivo, come sostenere che non spetta in ogni caso all'organo di governo (qual è, per esempio, il sindaco o il presidente della Provincia) di sostituirsi personalmente al dirigente o al funzionario pubblico inadempiente; dovendosi, invece, più efficacemente richiamarlo ai propri doveri (anche attraverso l'esercizio del potere disciplinare), ovvero provvedere alla sua rimozione dall'incarico (con altra destinazione funzionale) e alla sua sostituzione. Questa posizione di "garanzia" e di "controllo" trova ora esplicito riconoscimento e amplificazione nell'art. 20, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994. Questa norma, con lo stabilire, nell'ambito del meccanismo sanzionatorio applicabile alle contravvenzioni alla normativa di prevenzione degli infortuni e di igiene del lavoro, che "Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore", ha la finalità di "mettere in mora", infatti, il vertice dell'ente, affinché si attivi tempestivamente per porre rimedio alla violazione commessa dai suoi delegati, a fini di regolarizzazione. Per di più, con il meccanismo della notifica del verbale di prescrizione, la situazione antigiuridica non è più solo conoscibile ma addirittura conosciuta, per cui, se, nonostante questo, non è fatto nulla per rimuoverla, la condotta omissiva potrebbe essere addirittura valutata sotto il profilo della cosiddetta "colpa cosciente", la quale si caratterizza per l'avere il reo "agito nonostante la previsione dell'evento". La notifica al rappresentante legale ha dunque il senso di renderlo, se non partecipe, almeno garante funzionale dell'attuazione degli adempimenti imposti dalla "prescrizione" impartita dall'organo di vigilanza e questo in ragione dei suoi specifici poteri decisionali, anche di ordine economico, all'interno dell'impresa. Dunque, se il legale rappresentante dell'ente pubblico dovesse rimanere colposamente inerte e non intervenire (al più tardi allo scadere del termine fissato dall'organo di vigilanza) a controllare l'adempimento della prescrizione da parte del dirigente/funzionario contravventore, nonché a sostituirvisi in caso di sua inerzia, non potrà non assumere anch'egli la responsabilità del protrarsi della situazione antigiuridica e anche delle eventuali conseguenze lesive che, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, si possano verificare, determinando in tal modo il sorgere a suo carico di un profilo autonomo di colpa per omesso impedimento dell'evento dannoso (ex art. 40, cpv. c.p.). Nel tempo la Giurisprudenza ha confermato l'impostazione che fa leva sul ruolo di garanzia degli organi di indirizzo politico. Tra le pronunce più significative, per lo più attinenti a vicende giudiziarie in cui entrava in gioco il profilo di responsabilità degli organi comunali, possiamo citare quella di Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 1999, secondo cui "In tema di norme per la prevenzione dagli infortuni non si può ascrivere al sindaco, anche se di un comune di modeste dimensioni, quale organo politico, ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, quando esse non si riferiscono a carenze strutturali, addebitabili ai vertici dell'ente, e quando esista un apposito ufficio tecnico, con relativo dirigente ad esso preposto, deputato ex lege alla vigilanza e controllo del patrimonio immobiliare del comune. Sussisterà responsabilità per il sindaco solo se risulti che questi fosse a conoscenza della situazione antigiuridica, e ciò nondimeno abbia omesso di intervenire, con i suoi autonomi poteri, per porvi rimedio", e quella di Cass. pen., sez. III, 28 luglio 2000, per la quale "In materia di prevenzione infortuni ed igiene sul lavoro nell'ambito di un ente pubblico territoriale, quale un comune, attesa la posizione di garanzia del sindaco - e degli assessori - la delega di funzioni in favore di altri soggetti, quale il dirigente o il funzionario preposto, assume valore, al fine di escludere la responsabilità in capo ai deleganti, solo ove gli organi elettivi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato, e non siano neppure stati informati di tali inadempienze, così da escludere un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza". Più recentemente la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema (Cass. pen., sez. III, 15 gennaio 2001), affermando che "In tema di norme per la prevenzione dagli infortuni, non si può ascrivere al dirigente ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche atteso che, sebbene l'art. 2, lett. b), seconda parte, D.Lgs. n. 626/1994, individua la nozione di datore di lavoro pubblico nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, l'art. 4, comma 12, D.Lgs. citato ribadisce il principio fondamentale in materia di delega di funzioni secondo cui, attesa la posizione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in materia di prevenzione, la delega in favore del dirigente assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento di inerzia e di colpevole tolleranza. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito i quali avevano affermato, oltre quella del dirigente che non si era avvalso dei UNITELNews24 90 dipendenti comunali per effettuare le opere minimali necessarie, anche la responsabilità penale del sindaco il quale, messo a conoscenza delle violazioni esistenti e delle misure da adottare, non aveva provveduto a richiedere le necessarie variazioni in bilancio per una partita relativa a poche opere provvisionali e neppure azionato i poteri di impegnativa di spese del cd. fondo di riserva)". Sono conformi le pronunce di Cass. pen., sez. III, 7 agosto 2001, di Cass. pen., sez. III, 20 febbraio 2002, e di Cass. pen., sez. III, 9 gennaio 2003. Oltre a condotte di colpevole inerzia rispetto a situazioni antigiuridiche conosciute o conoscibili, la responsabilità degli organi di governo degli enti pubblici può trovare giuridico fondamento in condotte di ingerenza nelle aree esposte alla sanzione penale. L'ingerenza quale meccanismo di autoassunzione di responsabilità è un fenomeno noto nel campo della responsabilità colposa, giacché uno dei requisiti di efficacia della delega di funzioni è proprio il divieto di ingerenza (o dovere di astensione) del delegante nell'attività oggetto di delega. Ma vi sono anche condotte di autonoma ingerenza che prescindono pur essendo svincolate dallo schema della delega, producono anch'esse il fenomeno giuridicamente rilevante della responsabilità cosiddetta "per assunzione". In linea generale, l'area della responsabilità per assunzione è conseguente a una condotta di volontaria e consapevole ingerenza in un'area funzionale esposta al profilo della responsabilità penale e può comportare, con riguardo al tema trattato, il sorgere di responsabilità in capo all'organo di indirizzo politico dell'ente pubblico, ogniqualvolta lo stesso assuma atti di contenuto tecnico gestionale. Sebbene la responsabilità "per assunzione" debba essere valutata con estremo rigore fattuale (si veda per tutte la pronuncia di Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2000), nondimeno, nel diritto penale del lavoro applicato agli enti pubblici, l'ingerenza dell'organo di indirizzo politico è tendenzialmente un fattore per l'imputazione al medesimo della responsabilità penale. E' così che si può conclusivamente affermare che l'esame dell'assetto gestionale delle amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento agli enti locali, induce alla doverosa "presa d'atto" che la separazione tra potere politico e potere gestionale, con l'attribuzione ai dirigenti pubblici di tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti adottati dagli organi di governo e di indirizzo politico, è stata ormai portata a compimento, ed è divenuta principio informatore di tutta l'organizzazione e l'azione delle amministrazioni pubbliche, al fine di consentire a tutti gli enti, indipendentemente dalle dimensioni, di "gestire in modo flessibile", come ha affermato la circolare del Ministero dell'Interno n. 1/1997, "in relazione alle proprie peculiarità e caratteristiche, il modello organizzatorio di cui hanno deciso di dotarsi". Cassazione penale, sez. III, (ud. 19 aprile 2007) 12 giugno 2007, n. 22843 A seguito della riforma delle autonomie locali operata da ultimo con il D.Lgs. n. 267/2000, con cui si è separata la funzione politica da quella amministrativa, il soggetto tenuto a disporre le misure richieste dalla legge per l'igiene e la sicurezza dei luoghi di lavoro non è più il sindaco ma il dirigente dei singoli settori. Agli organi politici compete il compito di stabilire gli obiettivi da raggiungere e di stanziare le relative risorse mentre la responsabilità della gestione spetta ai dirigenti dei singoli settori aventi autonomia finanziaria e gestionale. Una responsabilità penale del sindaco può configurarsi o per la mancata predisposizione delle relative risorse, essendo quello della sicurezza un'esigenza prioritaria, ovvero qualora risulti che fosse a conoscenza della situazione antigiuridica ed abbia omesso di provvedere senza giustificazione. UNITELNews24 91 Casi pratici Ambiente Art. 3 DM 16 Marzo 1998 D. Abbiamo uno stabilimento classificato a rischio di inciedente rilevante per la presenza di un reparto galvanica. La domanda è la seguente: l'art. 3 del DM 16/3/1998 si applica a TUTTO il personale di sito o SOLO a quello del reparto dove si svolge l'attività considerata a rischio di incidente rilevante (bagni di Cromo VI con quantitativi tra le 5 e le 7 ton - quindi con solo obbligo di notifica), considerando il fatto che la scheda di valutazione RIR ha dimostrato che il rischio eventuale non "esce" dal reparto? ----R. Una valutazione in termini di adeguatezza ed efficacia prevenzionale dell'attività informativa renderebbe plausibile un'interpretazione "estensiva" del disposto normativo intesa a finalizzare l'attività di informazione esclusivamente ai lavoratori del singolo reparto ove si svolge l'attività considerata a rischio di incidente rilevante (bagni di Cromo VI con quantitativi tra le 5 e le 7 ton quindi con solo obbligo di notifica), anche in considerazione della giusta osservazione che la scheda di valutazione RIR ha dimostrato che il rischio eventuale non è presente al di fuori del reparto. Da una lettura testuale dell'articolo 3 del D.M. 16 marzo 1998 non può non ricavarsi, tuttavia, la diversa indicazione in base alla quale è obbligo del fabbricante quello (comma 1) di informare ciascun lavoratore (e non ogni lavoratore esposto) sui rischi di incidente rilevante e sulle misure atte a prevenirli o limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente. Dello stesso tenore il comma successivo, che impone al fabbricante di assicurarsi che l'informazione sia fornita in modo comprensibile ed esaustivo a ciascun lavoratore (e non ogni lavoratore esposto), anche con riguardo ad eventuali specifiche esigenze, ricorrendo alle forme di comunicazione più adeguate. A supporto di tale interpretazione "restrittiva" si fa notare come il legislatore, quando ha inteso restringere la portata degli obblighi formativi, lo ha chiaramente evidenziato nelle norme. Con riferimento, a puro titolo di esempio, all'uso delle attrezzature di lavoro, l'art. 73 del D.Lgs 81/08 prevede infatti che, per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i singoli lavoratori incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una formazione e un addestramento adeguati in rapporto alla sicurezza. Ed ancora, in relazione alla normativa a tutela dell'esposizione dagli agenti fisici, l'art. 184 del medesimo decreto impone al datore di lavoro di erogare opportuna formazione e informazione unicamente ai lavoratori esposti a rischi sul luogo di lavoro. Per evidenti esigenze cautelative nei confronti di eventuali "rigidità" nei comportamenti o nelle interpretazioni degli organi di controllo, si consiglia, quindi, di estendere l'attività informativa a tutto il personale del sito. (Pierpaolo Masciocchi Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 5.4.2011) Appalti Filiera delle imprese estesa ai fornitori D. Sono un appaltatore che ha vinto una gara pubblica e per la sua realizzazione impiega anche subappalti e subaffidamenti (Dlgs 163/2006), che rientrano chiaramente nella filiera. Inoltre, compro con ordini di acquisto (oppure direttamente online) prodotti meccanici, elettronici, informatici, hardware e software, tutti compresi nell'appalto e necessari alla sua realizzazione. L’acquisto avviene da normali fornitori (ad esempio distributore informatico, grossista elettrico).Questi fornitori fanno parte della filiera di cui alla legge 136/2010 e sono da considerare "subcontraenti"? ----R. La risposta è affermativa. Infatti, con riguardo alle disposizioni della legge 163/10, la successiva legge 217/10, all’articolo 6, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica dell’espressione UNITELNews24 92 «filiera delle imprese», precisando che la stessa si intende riferita ai subappalti come definiti dall'articolo 118, comma 11, del Dlgs 163/06 (Codice dei contratti pubblici), nonché ai subcontratti stipulati per l'esecuzione, anche non esclusiva, del contratto. Il legislatore ha inteso assicurare la tracciabilità dei pagamenti riguardanti tutti i soggetti in qualche misura coinvolti nella esecuzione della prestazione principale oggetto del contratto, nel senso che si deve tenere in considerazione non tanto il grado di affidamento o subaffidamento, bensì la tipologia di affidamento (subappalto o subcontratto necessario a qualsiasi titolo per l’esecuzione del contratto principale), a prescindere dal livello al quale lo stesso è effettuato. Pertanto, la tracciabilità dei flussi finanziari deve essere ricondotta sia ai rapporti derivanti dai contratti di subappalto propriamente intesi, sia ai rapporti connessi ai subcontratti “assimilati” ai subappalti ai sensi dell’articolo 118, comma 11, prima parte, del Codice (con il termine “subcontratti” si intende l’insieme più ampio dei contratti derivati dall’appalto, ancorché non qualificabili come subappalti. In tale norma il termine subcontratto è usato come contratto derivato, non qualificabile come subappalto, bensì soggetto a comunicazione nei confronti del committente).A titolo esemplificativo, per gli appalti di lavori, possono essere compresi: noli a caldo, noli a freddo, forniture di ferro, forniture di calcestruzzo/cemento, forniture di inerti, trasporti, scavo e movimento terra, smaltimento terra e rifiuti, espropri, guardiania, mensa di cantiere, pulizie di cantiere; per gli appalti di servizi, possono essere annoverati gli acquisti di macchinari e di hardware e software occorrenti per l’espletamento dei servizi stessi, senza, ovviamente arrivare fino al produttore dei menzionati beni, essendo sufficiente fermare la “filiera” ai distributori e ai grossisti. Per quanto concerne gli operatori economici soggetti agli obblighi di tracciabilità, non assumono rilevanza né la forma giuridica (ad esempio, società pubblica o privata, organismi di diritto pubblico, imprenditori individuali, professionisti) né il tipo di attività svolta. (Maceroni - Associazione verso l'Europa Mario, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 11.4.2011) Le responsabilità fiscali in materia di Ati D. Recentemente la Cassazione, con sentenza 6791/2009, ha chiarito che le Ati (associazioni temporanee di imprese) non sono mai soggetti tributari autonomi, indipendentemente dal fatto che esse siano strutture orizzontali o verticali. Nel mio caso la Prefettura e l’agenzia del Demanio, nell’ambito del cosiddetto "custode acquirente", vogliono imporci la fatturazione unica della capogruppo, contrariamente a quanto stabilito nell’atto costitutivo dell’ Ati stessa. Se l’interpretazione dell’articolo 37 del Dlgs 163/2006 è quella stabilita nella sentenza in parola perché le stazioni appaltanti non recepiscono tale linea? E, soprattutto, la mandataria andrà incontro a problemi fiscali legati a fatturazioni che non generano utili (studi di settore)? Inoltre, le mandanti non potranno utilizzare il diritto all’esigibilità differita dell’ Iva, poiché non vengono considerate contraenti con la Pa, anche se nel contratto il custode acquirente è definito dall’elenco di tutte le ditte. ----R. È costante giurisprudenza della Corte di cassazione che l’associazione temporanea di due o più imprese (Ati), nell’esecuzione di un contratto di appalto con la pubblica amministrazione o altri soggetti tenuti all’osservanza delle norme pubblicistiche per la scelta del contraente, è fondata su un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito da una o più imprese, collettivamente, ad altra impresa capogruppo legittimata a compiere, nei rapporti con l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’appalto e produttiva di effetti giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all’estinzione del rapporto, salva restando l’autonomia negoziale delle imprese riunite per quanto concerne la gestione delle prestazioni a ciascuna di esse affidate ed i rapporti con i terzi (con riguardo, in particolare, agli adempimenti fiscali ed agli oneri sociali). È, altresì, unanime il giudizio degli interpreti circa la necessità che la fatturazione nei confronti del soggetto appaltante in caso di Ati avvenga “proquota” da parte delle imprese associate. E ciò sulla base della evidente considerazione che la partecipazione in Ati al contratto non determina la costituzione di un soggetto nuovo che si sostituisce alle singole imprese raggruppate (si veda Corte dei conti, sezione controllo Stato, 66/91).Ad analoghe conclusioni è pervenuto, peraltro, anche il ministero delle Finanze che, con diverse risoluzioni succedutesi negli anni, ha segnalato l’obbligo di fatturazione diretta alla stazione appaltante da parte delle singole imprese costituenti l’ Ati, relativamente alla propria quota di prestazioni eseguite. Pertanto, correttamente, ogni liquidazione deve essere corredata dalle fatture delle imprese – intestate al soggetto appaltante – che hanno contribuito alla contabilizzazione del relativo importo contrattuale, parziale o a saldo (si veda la risoluzione Finanze 530742/92). Ogni UNITELNews24 93 pagamento connesso al rapporto (stato avanzamento lavori, canoni del servizio, parte della fornitura, a seconda del tipo di appalto), andrà effettuato esclusivamente a mani della impresa capogruppo, risultando illegittima ogni diversa modalità operativa (per esempio pagamento proquota alle singole mandanti).Come sostenuto dal supremo giudice contabile già nel 1990, l’avvenuto conferimento in capo al mandatario di rappresentanza esclusiva nei confronti del soggetto appaltante fino all’estinzione del rapporto, ha quale conseguenza logica, ancor prima che giuridica, che ogni pagamento a favore dell’ Ati debba necessariamente avvenire a mani della capogruppo (si veda deliberazione Corte dei conti, sezione controllo Stato, n. 32/90).Si fa, inoltre, osservare che con la menzionata deliberazione è stato, altresì, rilevato che non può assolutamente ipotizzarsi una fatturazione da parte della sola capogruppo, perché ciò potrebbe integrare gli estremi di un negozio simulato o in frode alla legge. (Maceroni - Associazione verso l'Europa Mario, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 11.4.2011) Contributi in sede di gara, le FAQ dell'Authority Riportiamo le FAQ sui Contributi in sede di gara, pubblicate dall'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, di lavori, servizi e forniture sul proprio sito Internet www.avcp.it. D. 1. Le stazioni appaltanti possono accettare il versamento del contributo mediante modalità difformi da quelle previste nelle istruzioni relative alle contribuzioni dovute? ----R. No. La stazione appaltante deve indicare nell'avviso pubblico, nella lettera di invito o nella richiesta di offerta comunque denominata che il versamento della contribuzione sia effettuato esclusivamente secondo le modalità stabilite dall'Autorità, inserendo un rimando alle istruzioni operative in vigore pubblicate all'indirizzo http://www.avcp.it/portal/public/classic/home/riscossione. Qualora l'operatore economico, che partecipa alla procedura di scelta del contraente, attesti di aver effettuato il pagamento, per mero errore, mediante una modalità diversa da quella richiesta dall'Autorità, la stazione appaltante, ai fini dell'ammissione del concorrente, deve richiedere che venga effettuato un nuovo versamento con una delle modalità ammesse, ferma restando la possibilità per l'operatore economico di richiedere all'Autorità la restituzione di quanto già versato. D. 2. Entro quale termine le stazioni appaltanti debbono eseguire il pagamento? ----R. Le stazioni appaltanti devono eseguire il pagamento entro la data riportata nel bollettino MAV emesso dall'Autorità con cadenza quadrimestrale. D. 3. Come posso modificare il mio profilo nell'anagrafe dell'Autorità? ----R. Per modificare il proprio profilo presso il sistema di anagrafe, si deve accedere all'indirizzo http://anagrafe.avcp.it con le proprie credenziali. Nel menu principale selezionare la voce “Gestione stazioni appaltanti” e inserire il codice fiscale della stazione appaltante di riferimento. Il servizio proporrà un elenco delle stazioni appaltanti corrispondenti al codice fiscale inserito. Cliccando sul nome della stazione appaltante di interesse è possibile proseguire modificando i propri profili di utenza e confermando le modifiche. D. 4. Come deve comportarsi la stazione appaltante che ometta di richiedere e/o di indicare il CIG sull'avviso pubblico, lettera d'invito ecc.? ----R. La stazione appaltante deve procedere a pubblicare un avviso di rettifica. D. 5. Le cooperative sociali, in quanto soggetti ONLUS di diritto esentati, ai sensi dell'art. 17 del. D.Lgs. 460/1997, dall'obbligo del pagamento dell'imposta di bollo, sono esonerate anche dal pagamento del contributo all'Autorità previsto nella deliberazione del 3 novembre 2010? ----R. No, perché il versamento della contribuzione è condizione per poter partecipare alla procedura di scelta del contraente e, quindi, presentare la relativa offerta. UNITELNews24 94 D. 6. Gli Enti pubblici che partecipano a procedure di scelta del contraente indette dai soggetti di cui agli artt. 32 e 207 del D.Lgs. 163 del 12 aprile 2006 sono tenuti al pagamento del contributo? ----R. Sì, gli Enti pubblici che partecipano a una gara per l'affidamento di un appalto pubblico di lavori, servizi o forniture sono a tutti gli effetti operatori economici e debbono versare il contributo all'Autorità. D. 7. La stazione appaltante deve richiedere un CIG anche quando deve stipulare un contratto di sponsorizzazione? ----R. Sì, la stazione appaltante deve richiedere il CIG. Il contratto di sponsorizzazione è soggetto al contributo, poiché il Codice prevede, all'art. 26, comma 1, l'applicazione dei principi del Trattato per il relativo affidamento. L'Autorità, pertanto, è tenuta a vigilare anche su questo genere di affidamenti non rientrando gli stessi fra quelli esclusi espressamente dal legislatore. D. 8. Se la stazione appaltante è un organismo nazionale operante all'estero, cioè bandisce una procedura di affidamento da espletare in un Paese estero (quale USA, Giappone, Cina, Sud America), sussiste l'obbligo del versamento del contributo? ----R. Sì, in quanto il presupposto giustificativo in ragione del quale un soggetto, pubblico o privato, è obbligato a richiedere il CIG e a versare il contributo è la sua riconduzione o meno ai soggetti elencati dall'art. 1 della delib. 3 novembre 2010, che ricadono quindi sotto la vigilanza dell'Autorità. Di conseguenza, la circostanza che le prestazioni oggetto della procedura di selezione siano da effettuare su un mercato estero, non esime dalla richiesta del CIG e dal pagamento della contribuzione né la stazione appaltante italiana né gli operatori economici italiani ed esteri partecipanti alla procedura stessa, ove la norma applicata sia il D.Lgs. 163/2006. D. 9. Se un operatore economico italiano partecipa a una procedura di selezione attivata da una stazione appaltante estera deve versare la contribuzione? ----R. No, se un operatore economico italiano partecipa a una procedura di selezione attivata da una stazione appaltante estera non deve versare la contribuzione. 10. Come ci si deve comportare nel caso in cui l'operatore economico non sia italiano? Tutti gli operatori economici, italiani o stranieri, sono tenuti al versamento del contributo nel caso di procedure di scelta del contraente disciplinate dal D.Lgs. 163/2006. D. 11. Le SOA possono eseguire il versamento del contributo successivamente al termine previsto dall'art. 5, comma 3, della delib. 3 novembre 2010? Possono rateizzare il pagamento dell'importo dovuto? ----R. Le SOA hanno facoltà di richiedere la rateizzazione del contributo utilizzando il modello facsimile di richiesta. D. 12. Il contributo deve essere versato anche per contratti affidati in economia? ----R. Sì. Il contributo deve essere versato nella misura stabilita dall'art. 4 della delib. 3 novembre 2010 in funzione all'importo posto a base di gara. D. 13. Negli appalti di lavori a cosa si riferisce l'importo a base di gara: all'importo delle lavorazioni più l'importo per l'attuazione dei piani di sicurezza oppure all'importo complessivo del quadro economico dell'intervento? ----R. L'importo a base di gara deve intendersi comprensivo degli oneri della sicurezza. D. 14. Ai fini dell'individuazione della soglia va tenuto conto dell'IVA? ----R. No. L'importo a base di gara è sempre da intendersi al netto dell'IVA. UNITELNews24 95 D. 15. Se nel bando di gara non è espressamente richiesto il versamento del contributo, i soggetti di cui all'art. 2, lett. b) della deliberazione sono ugualmente tenuti a tale versamento? ----R. Sì, i soggetti di cui all'art. 2, lett. b) sono tenuti al pagamento del contributo a prescindere dal fatto che nel bando di gara o nella lettera di invito sia espressamente richiamato tale obbligo. Per gli operatori economici la dimostrazione dell'avvenuto pagamento è condizione per essere ammessi a presentare l'offerta. D. 16. In caso di procedure ristrette, in quale fase l'operatore economico deve pagare il contributo: nella fase di richiesta di partecipazione o in quella di partecipazione alla gara con la produzione dell'offerta? ----R. L'operatore economico deve dimostrare l'avvenuto pagamento soltanto in fase di presentazione dell'offerta, in quanto tale attestazione è condizione necessaria per l'ammissibilità dell'offerta, come indicato al punto 3.2 delle istruzioni operative. D. 17. Il contributo deve essere previsto nel quadro economico dell'intervento? ----R. Ai fini dell'adempimento delle prescrizioni di cui alla delib. 3 novembre 2010 è ininfluente la collocazione finanziaria del contributo. D. 18. Su chi ricade l'obbligo di contribuzione in caso di ATI? ----R. Nel caso di ATI costituita il versamento è unico ed è effettuato dalla capogruppo. Anche nel caso di ATI non ancora costituita il versamento è unico in quanto l'offerta è unica, sottoscritta da tutte le imprese che costituiscono l'ATI; l'offerta contiene l'impegno che, in caso di aggiudicazione, le imprese conferiranno mandato a una di esse, qualificata come capogruppo: il pagamento è eseguito da quest'ultima. D. 19. In caso di consorzio di imprese, chi deve eseguire il versamento del contributo? ----R. In caso di consorzio stabile, il versamento deve essere eseguito dal consorzio, quale unico soggetto interlocutore della stazione appaltante, anche qualora faccia eseguire le prestazioni tramite affidamento alle imprese consorziate. In caso di consorzio ordinario, si applica quanto previsto in caso di ATI. D. 20. È ammessa per gli operatori economici l'integrazione dell'importo del versamento successivamente all'invio dell'offerta? ----R. Se i termini per l'invio dell'offerta non sono ancora decorsi, l'operatore economico può eseguire un nuovo versamento per l'intera somma dell'importo corretto dandone evidenza alla stazione appaltante e, successivamente, richiedere il rimborso dell'importo inferiore erroneamente versato. Laddove, invece, i termini per la presentazione dell'offerta siano già decorsi, l'operatore economico non è ammesso alla gara e non ha diritto a rimborso. D. 21. Il contributo deve essere versato anche per le procedure di affidamento o acquisto con ditte esclusiviste? ----R. Sì, a esclusione delle fattispecie di esclusione indicate nelle istruzioni operative. D. 22. Come deve essere calcolato l'importo del contributo se non è previsto un importo presunto o una base d'asta? ----R. Gli operatori economici e le stazioni appaltanti calcolano il contributo in ragione dell'importo massimo previsto dalla delib. 3 novembre 2010 dell'Autorità. UNITELNews24 96 D. 23. Nel caso di procedura negoziata conseguente a gara risultata deserta è obbligatorio chiedere un nuovo CIG e procedere al pagamento del contributo nuovamente? ----R. Sì, poiché trattasi di una nuova procedura di scelta del contraente. D. 24. Se nel bando di gara per un servizio o una fornitura è previsto un periodo di 24 mesi e l'importo presunto posto a base di gara è espresso su base annuale, quale importo va considerato per il calcolo del contributo da versare all'Autorità? ----R. Deve essere preso in considerazione il valore complessivo dell'affidamento: ai fini del versamento del contributo si dovrà quindi calcolare l'importo totale presunto, per tutto il periodo dell'affidamento, effettuando le opportune proporzioni per ricondurre all'intera durata del contratto l'importo parziale posto a base di gara. D. 25. Le proroghe di contratti o convenzioni esistenti sono sottoposte al pagamento di un nuovo contributo, ove venga stipulato un nuovo contratto? ----R. Solo il rinnovo dà vita a un contratto che può considerarsi “nuovo” e, quindi, è obbligatorio il pagamento della contribuzione. La proroga, invece, sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, che resta regolato dal contratto o convenzione accessiva all'atto di affidamento. In tal caso, nei limiti di ammissibilità di proroghe secondo la normativa vigente (molto ristretti), il pagamento di un nuovo contributo non è dovuto. D. 26. Qual è la procedura per ottenere il rimborso dell'importo versato ma non dovuto? ----R. La richiesta motivata per la restituzione della contribuzione deve essere effettuata dai singoli partecipanti, nonché dalla stazione appaltante, tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia del versamento effettuato. Nella richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o postale sul quale accreditare il rimborso. D. 27. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di annullamento del bando? ----R. Per la stazione appaltante, non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. Per gli operatori economici è ammesso il rimborso. Per ottenere il rimborso è necessario presentare domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia del versamento effettuato e l'avviso di annullamento del bando. Nella richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o postale sul quale accreditare il rimborso. D. 28. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di annullamento della gara? ----R. Per la stazione appaltante non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. Per gli operatori economici non è ammesso rimborso; il versamento è condizione per essere ammessi a presentare l'offerta, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. D. 29. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di gara deserta o senza esito? ----R. Per la stazione appaltante non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. Non si UNITELNews24 97 procede al rimborso all'operatore economico che abbia partecipato alla gara, in quanto il versamento è condizione per essere ammessi a presentare l'offerta. D. 30. È possibile richiedere il rimborso per un pagamento superiore? ----R. È previsto il rimborso sia per la stazione appaltante sia per gli operatori economici; per ottenere il rimborso è necessario presentare domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia del versamento effettuato. Nella richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o postale sul quale accreditare il rimborso. D. 31. È possibile richiedere il rimborso per un pagamento effettuato per errore due volte? ----R. È previsto il rimborso sia per la stazione appaltante sia per gli operatori economici; per ottenere il rimborso è necessario presentare domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia dei due versamenti effettuati. Nella richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o postale sul quale accreditare il rimborso. D. 32. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di mancata partecipazione alla gara? ----R. No, non si dà luogo al rimborso della contribuzione agli operatori economici che decidono di non partecipare alla gara. D. 33. Stiamo avviando una procedura per l'acquisizione di beni e/o servizi con importo complessivo posto a base di gara inferiore a € 40.000. Siamo tenuti a registrare la gara? ----R. Sì, la stazione appaltante è tenuta a registrare la gara sul sistema Simog ai fini degli obblighi sulla tracciabilità dei flussi finanziari (ex art. 3, legge 136 del 13 agosto 2010, come modificato dal D.L. 187 del 12 novembre 2010 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 217 del 17 dicembre 2010), ma non è tenuta al versamento della contribuzione. D. 34. Abbiamo avviato una procedura non articolata in lotti e abbiamo già ottenuto il “numero gara” dal sistema Simog: siamo comunque obbligati a richiedere il CIG? ----R. Sì, la stazione appaltante è tenuta a richiedere il CIG. Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare aprile 2011 - n. 881 - p. 647 Edilizia e urbanistica Opere senza titolo: il comune deve sanzionare D. In data 24 settembre 2008 è stato segnalato al Comune un presunto abuso edilizio su proprietà privata di uso pubblico, che ha danneggiato la mia attività. Dopo l'accertamento mi è stato comunicato che effettivamente sono stati accertati l'abuso edilizio e la posa in opera del manufatto su un'area destinata a uso pubblico; pertanto, potevo procedere alla tutela dei miei interessi. Alla data odierna il Comune, nonostante l'accertamento, non ha preso alcun provvedimento, privandomi di fatto della possibilità di eventuali rivalse. Considerato che allo stato attuale non risultano condoni, desidero sapere se il Comune, una volta accertato l'illecito, è obbligato a sanzionare, ed entro quanto tempo deve prendere provvedimenti. ----R. L’articolo 27 del Dpr 380/2001 “ Testo unico edilizia”, stabilisce che il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza titolo su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate a opere e spazi pubblici o a interventi di edilizia residenziale pubblica, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi (comma 1). Qualora sia constatata dai competenti uffici comunali, d’ufficio o UNITELNews24 98 su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il dirigente o responsabile dell’ufficio ordina l’immediata sospensione dei lavori (comma 3).A seguito dell’accertamento di irregolarità edilizie, quindi, il Comune è obbligato ad adottare provvedimenti cautelari e sanzionatori, sia quando l’accertamento sia avvenuto d’ufficio, sia quando segua alle richieste di privati titolari di un interesse “qualificato” con l’area interessata dall’abuso, come, ad esempio, il proprietario limitrofo (Consiglio di Stato, sezione V, 19 febbraio 2004, n. 677; 7 novembre 2003, n. 7132; 21 ottobre 2003, n. 6351).Il proprietario dell’area limitrofa a quella su cui è stata realizzata l’opera abusiva può mettere in mora l’amministrazione e comunque, in caso di ulteriore inattività, può impugnare davanti ai giudici amministrativi la mancata adozione di misure sanzionatorie da parte del Comune e quindi il silenzio-inadempimento così formalizzato ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 1034/1971 e ora dell’articolo 31 del Dlgs 104/2010 "codice del processo amministrativo" (si veda anche Tar Lazio, Roma, sezione I-quater, 18 novembre 2005, n. 11579).Si ricorda che, mentre la sanzione pecuniaria si prescrive in cinque anni ai sensi della legge 689/1981, la sanzione demolitoria non si prescrive e quindi il potere repressivo del Comune non si estingue per decorso del tempo, potendo essere esercitato anche a distanza di tempo dalla violazione (Consiglio di Stato sezione V, 24 marzo 1998, n. 345; sezione VI, 19 ottobre 1995, n. 1162; sezione V, 1º marzo 1993, n. 308). (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) La sanatoria catastale non copre gli abusi edilizi D. Per poter realizzare la vendita di un immobile nel quale anni fa un piccolissimo stanzino con finestra è stato trasformato in bagno di servizio, è necessaria la sanatoria catastale con pagamento delle sanzioni previste dalla legge (da circa 500 a 5.000 euro)? La sola sanatoria catastale consente la stipula del rogito o questa deve necessariamente essere accompagnata dalla sistemazione della posizione anche nei confronti del Comune (per i profili urbanistici ed edilizi)? ----R. La sanatoria catastale ha l'unico fine di regolarizzare l'immobile dal punto di vista fiscale e non ha alcun effetto sanante degli eventuali abusi edilizi. Nella fattispecie, essendo stato ricavato un bagno in una volumetria esistente destinata a stanzino, la regolarizzazione edilizia potrebbe essere conseguita con il pagamento della sanzione pecuniaria, ai sensi dell'articolo 37 del Testo unico edilizia, Dpr 380/2001, per assenza di Dia (denuncia inizio attività, oggi Scia, segnalazione certificata inizio attività) relativa a un intervento di manutenzione straordinaria o di opere interne. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) Barriere architettoniche: i criteri da adottare D. Ai fini della realizzazione di cinque villette unifamiliari – composte da piano interrato, piano terra e primo piano, senza parti comuni a esclusione di copertura e muratura di divisione – quali sono i criteri generali per la progettazione in tema di barriere architettoniche?Deve essere soddisfatta la sola adattabilità o anche la visitabilità? ----R. La disciplina relativa alle barriere architettoniche è contenuta a livello nazionale nella legge 13/1989, così come modificata dal Testo unico edilizia (Dpr 380/2001), con la quale sono stati estesi al comparto privato obblighi e prescrizioni fino ad allora previsti solo per le opere pubbliche. In particolare, la legge 13/1989 si riferisce agli edifici privati di nuova costruzione, agli edifici di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata di nuova costruzione, alla loro ristrutturazione, ivi compresi gli spazi ad essi pertinenti, con l’obiettivo di garantire ai soggetti portatori di handicap l’accesso alle parti comuni dello stabile e conseguentemente a quelle di proprietà esclusiva. La legge, in linea generale, stabilisce quattro condizioni che comunque devono essere rispettate nella progettazione, vale a dire:- accorgimenti tecnici idonei alla installazione di meccanismi per l’accesso ai piani superiori ivi compresi i servoscala;- idonei accessi alle parti comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari;- almeno un accesso in piano;- l’installazione, nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale raggiungibile mediante rampe prive di gradini. Per quanto riguarda, invece, le prescrizioni tecniche da adottare, la legge rinvia al decreto ministeriale 236/1989, il quale definisce, in un’accezione alquanto ampia, la nozione di barriera architettonica e delinea tre livelli qualitativi di progettazione e costruzione, espressi attraverso i concetti di:- accessibilità, intesa come la possibilità anche per persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l'edificio e le sue singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in condizioni di adeguata sicurezza e autonomia;- visitabilità, ossia la possibilità per tutti di accedere UNITELNews24 99 agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare;- adattabilità, intesa come la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di renderlo completamente e agevolmente fruibile. L’accessibilità esprime il più alto livello di qualità dello spazio costruito, in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato e pertanto il decreto ha previsto che questa debba essere garantita per gli spazi esterni e per le parti comuni, nonché per il 5% degli alloggi previsti negli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, per gli ambienti destinati ad attività sociali e per gli edifici sedi di aziende o imprese soggette alla normativa sul collocamento obbligatorio. Al di fuori di tali ipotesi espressamente individuate dal decreto, ciò che viene richiesto è che per ogni unità immobiliare sia soddisfatto il requisito della visitabilità, il quale rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa dell’edificio o dei singoli alloggi, al fine di assicurare ogni tipo di relazione fondamentale anche alla persona con ridotte capacità motorie. Le condizioni prescritte per soddisfare tale requisito variano a seconda della destinazione dell’unità immobiliare stessa; così, nel caso in cui questa sia sede di riunioni, spettacoli o ristorazione, è necessario rendere visitabile una zona riservata al pubblico, un servizio igienico, nonché garantire la fruibilità degli spazi di relazione e dei servizi previsti. Qualora, invece, l’unità immobiliare sia sede di attività ricettive, è necessario rendere visitabili tutte le parti e i servizi comuni, un determinato numero di stanze e zone destinate al soggiorno temporaneo. Al contrario, negli edifici destinati alla residenza il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se sono accessibili il soggiorno o il locale per il pranzo, un servizio igienico e i relativi percorsi di collegamento interni alle unità immobiliari, oltre ovviamente alle parti comuni dell’intero edificio. (Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) La tutela paesaggistica e i possibili veti D. Nel caso in cui il Comune di competenza si esprima con parere favorevole alla ristrutturazione edilizia - ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c) del Testo unico edilizia - di un fabbricato ricadente in ambito territoriale sottoposto a tutela paesaggistica, la Provincia, delegata dalla Regione, o la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, prima di esprimere il parere di propria competenza, possono entrare nel merito urbanistico, rinviando la pratica in quanto, a loro avviso, l'intervento non è conforme allo strumento urbanistico (Prg) vigente? ----R. Trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia anche "pesante", il rinvio della pratica può essere giustificato ad esempio dal fatto che la qualità dei materiali previsti e le caratteristiche esteriori del nuovo manufatto siano tali da pregiudicare i valori estetici protetti. Di conseguenza, anche se la ristrutturazione rispetta nel senso stretto l’articolo 10, comma 1, lettera c del Testo unico per l’edilizia, tuttavia non è conforme al Prg. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) Realizzazione di lucernari sottoposta a regole locali D. Una finestra di un locale che dà su un porticato (3,5 metri di profondità) subisce importanti limitazioni ai fini del conteggio del coefficiente di illuminazione utile per il rapporto illuminante del locale stesso. Si chiede se con la realizzazione - nel soffitto del portico, in corrispondenza della finestra - di un ampio lucernario si possano far venire meno le suddette limitazioni. In caso di risposta affermativa, le norme edilizie e urbanistiche prevedono parametri (superficie, distanze dalla finestra, eccetera) relativi alle caratteristiche del lucernario da realizzare? ----R. La norma nazionale che regola il rapporto aeroilluminante è il Dm Sanità 5 luglio 1975, che all’articolo 5 recita: « Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici, disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta, adeguata alla destinazione d'uso. Per ciascun locale d'abitazione, l'ampiezza della finestra deve essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al 2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie del pavimento».Oggi le competenze sono passate alle Regioni, per cui i valori cambiano da Comune a Comune e quindi occorre fare riferimento al regolamento di igiene e al regolamento edilizio del Comune in cui ricade l'immobile. Sicuramente la realizzazione della finestra nel soffitto del portico, anche se non migliora il citato rapporto, riesce ad assicurare un fattore di luce diurna medio maggiore e quindi tale da risultare non inferiore al 2% richiesto dalla normativa. Circa le caratteristiche del lucernario non si ritiene ci siano particolari limiti normativi. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) UNITELNews24 100 Niente vendita libera di box costruiti come pertinenze D. Il proprietario di un lotto di terreno ottiene l'autorizzazione a realizzare alcuni box-auto, stipulando atto di obbligo con il Comune per la loro destinazione a pertinenze di abitazioni già esistenti su lotti limitrofi. Alcuni proprietari, beneficiari dell'atto d'obbligo, non accettano l' offerta per cui i box-auto a loro destinati restano invenduti.È possibile la loro libera commercializzazione? È possibile un nuovo atto d'obbligo con il quale si estende la platea dei possibili acquirenti? Nelle condizioni sopra indicate, quando si costituisce il vincolo di pertinenzialità tra box-auto e abitazione? ----R. La risposta al primo quesito è negativa, in quanto l’alienazione separata dei box (posti auto) dalle unità immobiliari di cui costituiscono pertinenza è sanzionata con la nullità dei relativi atti (ai sensi del comma 5 dell’articolo 9 della legge 122/89).La risposta al secondo quesito è positiva, nel senso che l’amministrazione comunale può accettare altri atti di vincolo di pertinenzialità esclusiva e indivisibile dei box (posti auto) in oggetto a favore di unità immobiliari ubicate in edifici circostanti l’area interessata dall’intervento e ricompresi, ad esempio, nel raggio di 500 metri. La costituzione dello specifico vincolo pertinenziale tra i box-auto in questione e le singole unità immobiliari sarà effettuata o mediante sottoscrizione di idoneo atto di vincolo di pertinenzialità (relativo all’individuazione delle unità immobiliari cui “legare” le autorimesse) o in sede di stipula dei singoli atti notarili di trasferimento degli stessi box (posti auto) e dovrà comunque risultare mediante trascrizione presso la competente Conservatoria dei registri immobiliari; la trasmissione di detti atti di regola dovrà essere effettuata, a cura delle parti, al Comune prima della richiesta del certificato di agibilità. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) I paletti sulla regolarità dell'immobile ante 1967 D. Dovrei ristrutturare un immobile di costruzione antecedente al 1967, con concessione edilizia del 1963, senza abitabilità. La casa è composta da due appartamenti che si sviluppano su due piani. In Comune, però, dai disegni depositati all'epoca, risultano l'appartamento al primo piano e solo un portico al piano terra invece dell'altro appartamento. In questo caso dobbiamo pagare al Comune gli oneri e la multa anche se si tratta di una struttura che nasce così (e che non ha mai subito modifiche) fin dal 1963? ----R. La legge di riferimento è la 47/85, ma da sola dice poco. Serve analizzarla nel contesto, ricordando che fino al 1942 in Italia era possibile edificare sempre e comunque senza chiedere licenze o permessi: era tutto legittimo. Con la legge 1150/42, invece, inizia ad essere disciplinata la materia e si istituiscono licenze edilizie e permessi. A questa legge si susseguono vari provvedimenti fino ad arrivare alla citata legge 47/85, che costituisce lo spartiacque tra vecchio e nuovo sistema. Secondo la legge 47/85:- tutto ciò che è stato costruito prima del 1942 era e resta legittimo a prescindere;- tutto ciò che è stato edificato prima del 1967, purché costruito con regolare licenza (in mancanza della quale dava facoltà di condono), è da considerare legittimo, indipendentemente dalla disposizione dei vani eccetera. Da lì in poi, oltre alla licenza edilizia, tutto il costruito doveva rispondere ai vari requisiti di legge (salva, appunto, la possibilità di condonare in deroga).Di conseguenza l'immobile del lettore, costruito così prima del 1° settembre 1967, è in regola anche se difforme dal progetto autorizzato in quanto la legge 47/85 legittima soltanto lo stato originario. Perciò, non ci sono "multe" da pagare. Ovviamente, con la ristrutturazione ci si deve adeguare alla normativa vigente. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) Per i pannelli fotovoltaici non c'è sopraelevazione D. Sul lastrico solare di edifici privati occorre realizzare pergole fotovoltaiche per la installazione di pannelli fotovoltaici. L’incidenza dei carichi di simili impianti è molto modesta (circa 20-30 kg/mq). Funzionari della Provincia-Genio civile asseriscono che bisogna considerare l’intervento come una sopraelevazione, imponendo con ciò verifiche sismico-statiche estese all’intero edificio. La Regione Puglia sarebbe invece del parere di procedere alla verifica locale di parti o elementi strutturali, perché non ritiene tale intervento una vera e propria sopraelevazione, giuste disposizioni di cui al capo VIII del Dm 14 gennaio 2008 punto 8.4.1 lettera c) e relativa circolare punto c.8.3.Qual è l’interpretazione più corretta? ----UNITELNews24 101 R. Si premette che la risposta certa può essere data solo dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici, che ha redatto la normativa sismica e a cui si può porre il quesito. Si osservi comunque che l’installazione dei pannelli fotovoltaici, ai sensi del punto 8.2 del Dm/2008, rientra tra gli interventi non dichiaratamente strutturali (impiantistici), mentre è da escludere la loro classificazione come “sopraelevazione”.Infatti, da un punto di vista sismico l’intervento comporta in pratica una leggera o addirittura leggerissima variazione in altezza dell’edificio con un incremento delle masse trascurabile nella quasi totalità dei casi e, inoltre, in base al punto 8.4.1 del Dm/08:- non cambia il numero dei piani;- non si ha ampliamento;- non si apportano variazioni di classe e/o di destinazione d’uso che comportino incrementi dei carichi globali in fondazione superiori al 10 per cento. Resta comunque fermo l’obbligo di procedere alla verifica locale delle singole parti e/o elementi della struttura, anche se interessano porzioni limitate della costruzione. (Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011) Detrazione irpef del 36% – vendita dell’unità immobiliare oggetto di intervento edilizio D. Nell’anno 2005 abbiamo effettuato degli interventi di ristrutturazione sulla nostra abitazione beneficiando della detrazione fiscale del 36%. Ora sarebbe intenzione mia e di mia moglie cedere tale appartamento e procedere ad acquistarne uno più grande. Poiché la detrazione va suddivisa in 10 rate annuali, si chiede se sia possibile vendere l’unita immobiliare e mantenere il diritto a detrarre anche le restanti rate negli anni successivi, oppure se le stesse vadano perse in quanto non si è più nella disponibilità del bene oggetto di intervento. ----R. In primo luogo si osserva che la detrazione Irpef del 36% sulle ristrutturazioni edilizie è stata prorogata per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 ed ora anche per il 2012 con riferimento alle spese sostenute dall’1.1.2008 al 31.12.2012 per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e delle spese sostenute per tali interventi realizzati da imprese di costruzione o ristrutturazione o da cooperative edilizie, purché i lavori siano eseguiti dall’1.1.2008 al 31.12.2012 e l’alienazione o l’assegnazione dell’immobile avvenga entro il 30.6.2013. La detrazione può essere fatta valere su un limite massimo di spesa di e 48.000 per unità immobiliare e deve essere ripartita in 10 rate annuali di pari importo. Occorre osservare che per ogni anno nel quale vengono effettuati gli interventi sullo stesso immobile e in base ad un unico progetto, il limite di e 48.000 deve essere riferito separatamente a ciascun anno di imposta; per ogni unità immobiliare la detrazione, sempre nel limite anzidetto, si estende alle spese sostenute per i lavori effettuati su parti comuni dell’edificio. Quindi se i lavori vengono eseguiti sia sull’abitazione che sulla pertinenza dell’abitazione, se tali due unità immobiliari sono accatastate autonomamente, il contribuente può calcolare la detrazione su un importo massimo di e 96.000 per ciascuno degli anni interessati. Nel caso di due coniugi, uno dei quali sia esclusivo proprietario delle unità abitative da ristrutturare, che sostengano entrambi parte delle relative spese, il limite di e 48.000 va suddiviso tra loro in proporzione alle stesse, se il relativo onere non sia stato sopportato in uguale misura. In caso di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi indicati, come nel caso in quesito, le rate di detrazione che il venditore non ha, in tutto o in parte utilizzato, spettano, per i periodi d’imposta rimanenti, all’acquirente persona fisica dell’unità immobiliare. In particolare, l’acquirente può beneficiare della detrazione in relazione alle rate maturate a partire dal periodo d’imposta in cui ha acquistato l’immobile. Per poter subentrare nel beneficio riconosciuto al venditore dell’immobile ristrutturato, sebbene, appunto, questi non ne abbia fruito in concreto, l’acquirente dovrà comunque essere in possesso della documentazione attestante la ristrutturazione dell’immobile e la vendita. Trattasi di documentazione relativa alla copia della concessione edilizia, della dichiarazione di ultimazione dei lavori e dell’atto di compravendita da cui risulti il corrispettivo su cui deve essere calcolata la detrazione. Nessun trasferimento della detrazione si verifica, però, nel caso in cui la cessione dell’unità immobiliare sia parziale come ad esempio quanto la moglie intesti al marito una parte dell’unità su cui ha eseguito interventi agevolati. (C.De. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15) UNITELNews24 102 Energia Dalle compravendite alla Via, le risposte ai dubbi più frequenti AREE AGRICOLE D. Un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 1 MW, destinato a essere ubicato in area agricola, la cui domanda di autorizzazione è stata inoltrata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 28/2011 può avere accesso agli incentivi? ----R. Occorre operare una distinzione. Infatti, secondo quanto disposto dall’articolo 10 (comma 4, 5, 6 Dlgs 28/2011), se la domanda di autorizzazione è stata inoltrata prima dell’entrata in vigore del decreto legislativo 28/2011 (i.e. 29 marzo 2011) ma dopo il 1° gennaio 2011, l’impianto non potrà avere accesso agli incentivi, salvo il caso in cui i terreni destinati a ospitarlo risultino in stato di abbandono da almeno cinque anni. La norma, tuttavia, non specifica quali siano le modalità per dimostrare lo stato di abbandono dell’area. Qualora, invece, la domanda di autorizzazione sia stata presentata prima del 1° gennaio 2011, l’impianto potrà avere accesso ai sussidi a condizione che entri in esercizio entro il 29 marzo 2012. AUTORIZZAZIONE UNICA D. Quali sono le tempistiche per ottenere l’autorizzazione unica alla costruzione ed esercizio dell’impianto? ----R. L’articolo 5, comma 2, Dlgs 28/2011 ha dimezzato i termini per la conclusione del procedimento di autorizzazione unica da 180 giorni a 90 giorni. Tuttavia occorre tenere presente che la durata del procedimento va considerata «al netto dei tempi previsti per il provvedimento di valutazione di impatto ambientale» e «fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di assoggettabilità sul progetto preliminare». COMPRAVENDITE D. Per quali contratti va inserita la clausola con la quale le parti dichiarano di essere edotte delle informazioni e di aver ricevuto la documentazione sulla certificazione energetica? ----R. L’articolo 6, comma 2-ter, del Dlgs 192/2006 prevede la necessità di inserimento della clausola vale per i contratti di compravendita e di locazione. In ogni caso, si può ritenere ammissibile allargare la nozione di compravendita alle fattispecie assimilabili a questa: permuta, vendita di eredità, vendita di azienda che comprendano la cessione, ovviamente, di immobili sottoposti alle norme del Dlgs 192/2005. COMUNICAZIONE D. In quali casi è necessario allegare la relazione tecnica asseverata alla comunicazione relativa agli interventi considerati attività edilizia libera? ----R. I paragrafi 11 e 12 delle Linee guida nazionali identificano gli impianti – distinguendoli per ciascuna fonte di energia rinnovabile – per i quali è possibile procedere mediante semplice comunicazione ovvero per i quali è necessario allegare una relazione tecnica asseverata sulla conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia. Per quanto riguarda, specificamente, gli impianti per la produzione di energia termica da fonte rinnovabile occorre invece fare riferimento all’articolo 7, Dlgs 28/2011, che ne disciplina dettagliatamente i regimi autorizzativi. INCENTIVI D. Una volta che verrà emanato il quarto conto energia, sarà ancora possibile beneficiare delle tariffe incentivanti di cui al secondo e terzo conto energia? ----R. Le tariffe di cui al terzo conto energia sono riservate agli impianti che entreranno in esercizio entro il 31 maggio 2011. Tuttavia, ciò non toglie che vi possano essere impianti connessi successivamente, ai quali verrà riconosciuta la tariffa più prosperosa disposta dal secondo conto energia. L’articolo 25, comma 10 del Dlgs 28/2011, infatti, fa salve espressamente le disposizioni UNITELNews24 103 contenute nel cosiddetto «salva-Alcoa» (articolo 2-sexies Dl 22 marzo 2010, n. 41), secondo cui le tariffe incentivanti di cui secondo conto energia sono riconosciute a tutti i soggetti che, nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 5 del medesimo decreto ministeriale, abbiano concluso, entro il 31 dicembre 2010, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, abbiano comunicato all’amministrazione competente al rilascio dell’autorizzazione, al gestore di rete e al Gse, entro la medesima data, la fine lavori ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011. A tale proposito, occorre altresì precisare che il nuovo Decreto Legislativo ha aggiunto severe sanzioni qualora sia stato accertato che i lavori di realizzazione dell’impianto non siano stati effettivamente conclusi entro la prescritta data del 31 dicembre 2010. In tale caso, infatti, fatte salve le norme penali applicabili, il Gse rigetta l’istanza di incentivo e dispone contestualmente l’esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le componenti dell’impianto non ammesso all’incentivazione. Con lo stesso provvedimento il Gse dispone l’esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell’accertamento, della persona fisica o giuridica che ha presentato la richiesta, nonché dei seguenti soggetti: a) il legale rappresentante che ha sottoscritto la richiesta; b) il soggetto responsabile dell’impianto; c) il direttore tecnico; d) i soci, se si tratta di società in nome collettivo; e) i soci accomandatari, se si tratta di società in accomandita semplice; f) gli amministratori con potere di rappresentanza, se si tratta di altro tipo di società o consorzio. INSTALLATORI D. Quali sono i titoli che consentono la qualificazione degli installatori degli impianti energetici? ----R. La qualifica per l’attività di installazione e manutenzione degli impianti si consegue mediante il possesso dei requisiti tecnico-professionali indicati alle lettere a), b) o c) del comma 1 dell’articolo 4 del Dm 37/2008, ossia: 1) diploma di laurea in materia tecnica specifica; 2) diploma o qualifica conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo, seguiti da un periodo di inserimento, di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore; 3) titolo o attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale, previo un periodo di inserimento, di almeno quattro anni consecutivi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore. INTEGRAZIONE DEGLI IMPIANTI D. Che cosa accade se non è assolutamente possibile, dal punto di vista tecnico, integrare gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili all’interno di un edificio oggetto di nuova costruzione o ristrutturazione? ----R. Il comma 7 dell’allegato 3 al Dlgs 28/2011 prevede che l’impossibilità tecnica di ottemperare, in tutto o in parte, agli obblighi di integrazione debba essere evidenziata dal progettista nella relazione tecnica attestante la rispondenza dell’edificio alle prescrizioni per il contenimento del consumo di energia degli edifici e relativi impianti termici, che, ai sensi dell’articolo 28, comma 1, della legge 9 gennaio 1991, n. 10, il proprietario dell’edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare presso le amministrazioni competenti, insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere di ristrutturazione o nuova costruzione. La relazione deve esaminare in modo dettagliato la non fattibilità di tutte le diverse opzioni tecnologiche disponibili. In ogni caso, per questi interventi il comma 8 dello stesso allegato 3 stabilisce che è fatto obbligo di ottenere un indice di prestazione energetica complessiva dell’edificio (I) che risulti inferiore rispetto al pertinente indice di prestazione energetica complessiva reso obbligatorio ai sensi del decreto legislativo n. 192 del 2005 e successivi provvedimenti attuativi, nel rispetto della formula matematica specificata nel medesimo allegato. PAS D. Per quali impianti è ammesso il ricorso alla procedura di Pas? ----R. Il Dlgs 28/2011 prevede il ricorso alla procedura di Pas per l’autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili indicati nelle linee guida per l’autorizzazione delle fonti rinnovabili, di cui al Dm 10 settembre 2010 (articoli 11 e 12). In particolare, si può UNITELNews24 104 ricorrere alla Pas nei casi, caratterizzati da una soglia di potenza bassa e determinate caratteristiche costruttive che ne limitano l’impatto sul territorio circostante, in cui era ammissibile il ricorso alla Dia. In caso di aree vincolate, come opera la procedura di Pas? Se l’area in cui si intende installare l’impianto ricade in zona vincolata, occorre acquisire il necessario nulla osta da parte dell’ente competente. Pertanto, se l’ente competente è la stessa amministrazione comunale cui è stata presentata la dichiarazione di Pas, il Comune è tenuto a emanare i pareri tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo procedimento. Se l’emanazione di tali atti d’assenso rientra nella competenza di amministrazioni diverse da quella comunale, l’acquisizione dei relativi nulla osta può avvenire direttamente dall’amministrazione comunale o tramite una convocazione della conferenza di servizi tra le amministrazioni interessate. REGIONI D. Le Regioni possono stabilire dei parametri diversi da quelli fissati dal decreto per quanto concerne la percentuale di fabbisogno energetico che deve essere soddisfatto mediante il ricorso a fonti rinnovabili? ----R. Sì, ma soltanto in aumento (cfr. articolo 11, comma 1). I limiti minimi sono quelli fissati dall’allegato 3 al decreto. Le Regioni possono anche prevedere che i valori di cui al citato allegato 3 debbano essere assicurati, in tutto o in parte, ricorrendo a impieghi delle fonti rinnovabili diversi dalla combustione delle biomasse, qualora ciò risulti necessario per assicurare il processo di raggiungimento e mantenimento dei valori di qualità dell’aria relativi a materiale particolato e a idrocarburi policiclici aromatici. VIA D. A quali condizioni più impianti vicini possono essere considerati come un unico impianto ai fini della verifica di assoggettabilità alla Via? ----R. L’articolo 4, comma 3, Dlgs 28/2011 demanda alle Regioni l’individuazione dei casi in cui la presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti localizzati nella medesima area o in aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto ambientale. La norma di per sé non contiene un espresso riferimento all’identicità del proprietario delle aree stesse, mentre le Linee guida nazionali richiamano anche il criterio dell’appartenenza allo stesso soggetto o su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante e la sussistenza del medesimo punto di connessione alla rete elettrica. (Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 18-30 aprile 2011 - n. 16 Dossier Le energie rinnovabili) Rifiuti Rifiuti speciali assimilabili agli urbani D. Qualora un'azienda del settore commercio (magazzino che relaizza commercio all'ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari), produce imballaggi secondari e terziari in carta e cartone e in plastica. Se il regolamento comunale include queste tipologie di rifiuti tra quelle assimilabili agli urbani per qualità e quantità, si possono conferire alla raccolta comunale? Serve una convenzione scritta con l'ente gestore della raccolta comunale? Qualora il comune disponga di un'isola ecologica e si conferiscono in questo sito, il mezzo dell'azienda per eseguire il trasporto deve essere iscritto secondo l'art.lo 212 comma 8? ----R. Il quesito ha risposta globalmente positiva nel senso che: 1) qualora il Regolamento comunale lo consenta si potrà conferire i rifiuti in questione al servizio pubblico di raccolta (non necessariamente previa convenzione); 2) nell'ipotesi di conferimento diretto all'isola ecologica, qualora ammissibile ai sensi del D.M. 8 aprile 2008 e successive modifiche, il trasporto potrà essere fatto previa iscrizione del mezzo aziendale alla sezione speciale dell'Albo nazionale gestori ambientali, sì come disciplinato, da ultimo, dall'art. 212, c. 8, D.lgs. n. 152/2006 mod. dal D.lgs. n. 205/2010. In tal caso le iscrizioni pregresse effettuate prima del 14 aprile 2008 dovranno essere rinnovate entro un anno dall'entrata in vigore della nuova disciplina ed il presupposto per godere del regime agevolato è, sempre, il fatto che le operazioni di raccolta e trasporto in questione "... costituiscano parte integrante ed accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti sono prodotti" (art. 212, c. 8 citato). (Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 1.4.2011) UNITELNews24 105 © 2011 Il Sole 24 ORE S.p.a. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi strumento. I testi e l'elaborazione dei testi, anche se curati con scrupolosa attenzione, non possono comportare specifiche responsabilità per involontari errori e inesattezze. Sede legale e Amministrazione: via Monte Rosa, 91 20149 Milano UNITELNews24 106