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ambiente, appalti, edilizia, urbanistica e sicurezza
Chiuso in redazione il 30 aprile 2011
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n. 47 – 30 aprile 2011
Sommario
Pagina
NEWS
Ambiente, antincendio, appalti, economia e finanza, edilizia e urbanistica, energia, fisco,
lavoro e previdenza, mercato, Pubblica Amministrazione, rifiuti, sicurezza
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RASSEGNA DI NORMATIVA
Leggi, decreti, circolari: sintesi e classificazione
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RASSEGNA DI GIURISPRUDENZA
Appalti, beni culturali, edilizia e urbanistica, inquinamento, pubblica amministrazione,
Pubblico Impiego, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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APPROFONDIMENTI
Ambiente
BONIFICA E DANNO AMBIENTALE: L'UTILIZZO DEI MODULI NEGOZIALI
A distanza di quasi cinque lustri dall'entrata in vigore dell'articolo 18, legge n. 349/1986, a
quasi quattordici anni dall'adozione dell'articolo 17, D.Lgs. n. 22/1997, e dopo ormai cinque
anni dall'entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006, e successive modifiche
e integrazioni, in materia di bonifica e risarcimento del danno ambientale, la sola
applicazione degli strumenti autoritativi ha dimostrato tutti i suoi limiti e non è risultata
idonea a conseguire gli obiettivi sperati.
Maurizio Pernice, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6
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Ambiente
RESPONSABILITÀ DELLE IMPRESE PER REATI AMBIENTALI
Il 7 aprile 2011 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, uno schema di
Dlgs che estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto
legislativo 8 giugno 2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a
protezione dell’ambiente.
Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente,
nonchè la direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa
all'inquinamento provocato dalle navi.
Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 12 aprile 2011
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Appalti
DURC E CONTRATTI PUBBLICI: PROCEDURA PIÙ SEMPLICE PER IL RILASCIO
E' cambiato dal 28 marzo scorso l'applicativo di rilascio del Durc con nuove funzionalità che
permetteranno un iter più snello e funzionale del rilascio del documento stesso: Inps e Inail
forniscono le istruzioni operative
Aldo Forte, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 8 aprile 2011, n. 15
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Edilizia e urbanistica
SOFFITTE E MANSARDE NEL COMPUTO VOLUMETRICO
Mai come nel caso rappresentato dalla sentenza n. 812 del 7 febbraio 2011 resa in forma
semplificata dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, la giurisprudenza amministrativa è
stata in grado di colmare le lacune del Legislatore e le carenze della normativa, fornendo
criteri guida all'interprete e all'operatore per la definizione del concetto di volume tecnico.
Infatti, così come per quello di sagoma per il quale non esiste una disposizione normativa
statale che la definisca chiaramente, il concetto di volume tecnico non trova codificazione
specifica nel Dpr 380/2001, che, nonostante le diverse modifiche, sul punto resta carente.
Pippo Sciscioli, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 aprile 2011 - n. 15
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Edilizia e urbanistica
IN SCADENZA IL TERMINE PER REGOLARIZZARE LE CASE FANTASMA
Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i
requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che
potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art. 5bis del DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011.
Franco Guazzone, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 14 aprile 2011
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Energia
ENERGIA DA FONTI RINNOVABILI, LA PAS HA SOSTITUITO DIA E SCIA.
Il Dlgs sulla produzione di energia da fonti rinnovabili è stato pubblicato sul Supplemento
alla «Gazzetta» del 28 marzo 2011, n.71 ed è entrato in vigore il 29 marzo. Molte le novità
a partire dalle procedure autorizzative: debutta la Pas che sostituisce sia la Scia che la Dia.
Carmen Chierchia, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio, 18 aprile 2011, n. 15-16
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Pubblico impiego
IL LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: DALLA RIFORMA ALLA
CONTRORIFORMA. IL SISTEMA DELLE FONTI
L'ennesimo restyling della disciplina del lavoro pubblico, voluto dall'attuale ministro per la
pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, e definito con l'emanazione
della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e del relativo decreto legislativo di attuazione, n.
150 del 27 ottobre 2009, sembra aver preso la mano al suo stesso ideatore ed essere
andato ben oltre il segno.
Nicola De Marinis, Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, marzo 2011, n. 3
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Sicurezza sul lavoro
SICUREZZA SUL LAVORO NELLE AMMINISTRAZIONI PUBBLICHE: IL RUOLO E LA RESPONSABILITÀ
DEGLI ORGANI DI INDIRIZZO POLITICO
A seguito della riforma dell'assetto gestionale delle amministrazioni pubbliche, con
conseguente affermazione del cosiddetto "principio di separazione" tra potere politico e
potere gestionale, qual è l'ambito nel quale si configura, a titolo residuale, la responsabilità
degli organi di indirizzo politico?
Pierguido Soprani, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6
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L’ESPERTO RISPONDE
Acque, agevolazioni, appalti, fisco, rifiuti, sicurezza ed igiene del lavoro
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Acque
 Acqua, intesa Regioni del Sud su distretto idrografico
Firmato a Roma tra le Regioni Abruzzo, Lazio, Molise, Calabria, Campania e Puglia il «Documento
comune d’intenti finalizzato a un Governo coordinato e sostenibile della risorsa idrica afferente il
Distretto idrografico dell’Appennino meridionale». L’intesa tra le Regioni punta ad attuare una
strategia comune per il governo della risorsa idrica che assicuri gli usi legittimi (potabili, irrigui e
industriali) e tuteli gli ecosistemi nell’ottica della sostenibilità. L’Accordo interistituzionale e
interregionale rappresenta il primo passo per l’attuazione del Piano di gestione acque del distretto
dell’Appennino meridionale.
(Il Sole 24 ORE - Guida agli enti locali, 16 aprile 2011, n. 16)
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Ambiente
 Pedalare in città: la giornata nazionale della bicicletta
Agevolare l'uso della bicicletta nelle città, con nuovi percorsi ciclabili, competizioni non agonistiche,
incontri, dibattiti e, in generale, quanto serve per promuovere la mobilità a due ruote. Il disegno di
legge approvato dal consiglio dei ministri del 7 aprile 2011 istituisce la giornata nazionale della
bicicletta per la seconda domenica di maggio. Saranno previste iniziative volte ad agevolare la
percorribilità nelle città, individuando percorsi ciclabili e la chiusura al traffico veicolare di alcune
aree. Saranno inoltre favorite, da parte di Enti ed Istituzioni, competizioni non agonistiche per
adulti e bambini, incontri, dibattiti ed attività di animazione volti alla valorizzazione del ruolo della
mobilità ciclabile nella storia e cultura nazionale ed all'educazione dei ciclisti al rispetto del codice
della strada. Il disegno di legge prevede, inoltre che negli edifici adibiti a pubbliche funzioni, con
attività al pubblico, che le amministrazioni riservino apposite aree per le biciclette degli utenti,
segnalandone sui propri siti istituzionali l'esistenza e l'ubicazione. Nelle vetture tranviarie, nei
giorni festivi e feriali senza limiti di orario o di numero, potranno essere trasportate biciclette
pieghevoli. Le amministrazioni locali dovranno prevedere parcheggi per biciclette in ogni stazione
metro di nuova realizzazione, per favorire e facilitare lo scambio bici-treno. Quest'anno il Ministero
dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare in occasione della 2^ edizione della Giornata
Nazionale della Bicicletta, indice il “Concorso Premio Bicity” al fine di promuovere la mobilità
sostenibile nelle città, riservando esclusivamente alle biciclette, strade, piazze, luoghi di pregio
ambientale, artistico, storico e architettonico per sottolineare come la bicicletta sia il mezzo di
locomozione più pulito e a impatto zero.
(Fonte www.governo.it)
 Bruxelles vara una road map per tagliare le emissioni di CO
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Rispetto ai livelli del 1990, ridurre dell'80-95% entro il 2050 le emissioni di carbonio quale
contributo a lungo termine della Ue per sventare pericolosi mutamenti climatici. Con una road map
pubblicata poco prima della "settimana dell'energia sostenibile", la Commissione europea punta a
raggiungere questo obiettivo in modo economicamente sostenibile.
Il modello economico globale su cui si basa la tabella di marcia prevede che, per un taglio di CO2
dell'80% entro il 2050 all'interno della Ue, occorra abbattere le emissioni del 25% entro il 2020,
del 40% entro il 2030 e del 60% entro il 2040. Raggiungere il traguardo dell'80% entro la metà del
secolo comporterà un cospicuo sforzo d'innovazione tecnologico, ma – sottolinea il documento della
Commissione – non richiederà strumenti avveniristici quali la fusione nucleare.
Le armi vincenti sono contenute nel Piano strategico per le tecnologie energetiche della Ue: energia
solare, eolica, bioenergia, reti intelligenti, cattura e stoccaggio del carbonio, edilizia a consumo
energetico basso o nullo, città intelligenti. Va da sé che nei prossimi 40 anni la Ue dovrà effettuare
ulteriori investimenti annui pari all'1,5% del Pil, cioè 270 miliardi di €. Gran parte di tale somma
sarà compensata da una bolletta per gas e petrolio meno onerosa, che consentirà di risparmiare tra
175 e 320 miliardi l'anno.
Il taglio più cospicuo di CO2 si potrà realizzare nella produzione elettrica, settore che sarà quasi del
tutto "decarbonizzato" entro il 2050. La tabella di marcia in campo elettrico prevede emissioni di
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CO2 ridotte del 54% entro il 2030 e del 93% entro il 2050 (sempre rispetto ai livelli del 1990). Dal
lato dell'offerta, la quota di tecnologie a basse emissioni di carbonio nel mix di produzione elettrica
subirebbe un rapido aumento, passando dall'attuale 45% a circa il 60% nel 2020, al 75-80% nel
2030, per sfiorare il 100% nel 2050.
Trasporti e agricoltura restano i principali settori in cui la decarbonizzazione non sarà totalmente
realizzata, neppure a lungo termine. Nei trasporti, nonostante l'inversione della tendenza
all'aumento dell'ultimo ventennio, entro il 2050 le emissioni potranno essere globalmente ridotte
solo del 60% rispetto al 1990. La CO2 generata dai trasporti sarà tra il 20% superiore e il 9%
inferiore entro il 2030 e del 54-67% inferiore entro il 2050. Fino al 2025 la decarbonizzazione dei
trasporti proverrà da un aumento dell'efficienza energetica dei motori convenzionali a benzina e
diesel. Dopo il 2025, con l'adozione su larga scala di veicoli elettrici o ibridi ricaricabili, si assisterà
a un passaggio più deciso verso l'elettromobilità per le autovetture private.
Per l'agricoltura il modello è invertito: forte riduzione di emissioni da qui al 2030, poi ritmo assai
più lento. I settori industriali ed energetici che fanno parte del sistema di scambio delle quote di
emissione Ue potranno realizzare riduzioni notevoli, e con un miglior rapporto costo/efficacia,
rispetto ai settori non compresi nel sistema. La roadmap prevede che le emissioni di CO2
dell'industria calino del 34-40% entro il 2030 e dell'83-87% entro il 2050 (rispetto ai livelli del
1990). Dopo il 2035 le tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (Csc) saranno applicate su
larga scala alle emissioni di CO2 dei processi industriali che non possono essere abbattute in altri
modi (ad esempio, nella produzione di acciaio e cemento), consentendo riduzioni assai più cospicue
entro il 2050. Nel settore residenziale e dei servizi le riduzioni delle emissioni di CO2 saranno
nell'ordine del 37-53% entro il 2030 e dell'88-91% entro il 2050.
(Maria Adele Cerizza, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011 )
 Sicurezza alimentare, aumentano frodi e contraffazione
Sono in aumento i reati accertati relativi alla contraffazione alimentare.
In crescita fortissima anche il numero delle persone denunciate all’autorità giudiziaria e gli illeciti
amministrativi contestati, per un valore di un milione e mezzo di euro.
Il corpo forestale dello Stato tira le somme sul bilancio delle attività operative relative al 2010: i
reati accertati sono stati 102 rispetto ai 75 rilevati nel 2009, le persone denunciate sono state 120
contro le 64 dell’anno precedente e gli illeciti amministrativi contestati sono passati dai 359 del
2009 alle 775 del 2010. Incrementati anche i controlli, che sono passati dai 4.423 effettuati nel
2009 ai 5.056 effettuati nel 2010. Il danno per l’industria agroalimentare è altissimo.
(Il Sole 24 ORE Guida agli enti locali, 9 aprile 2011, n. 15)
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Appalti
 Decreto sviluppo, altolà ai ricorsi infondati sugli appalti
La sfida è di quelle epocali: cancellare quel surplus strutturale di
costi e di tempi che affligge storicamente il sistema italiano degli
appalti, anche nelle comparazioni europee. Ci prova ora il ministro
dell'Economia, Giulio Tremonti, che riserva alle semplificazioni
dell'edilizia pubblica e privata il capitolo più importante (e al
momento più massiccio) del decreto legge per accelerare la
crescita economica. Via via che si avvicina il 6 maggio, data
indicata per il Consiglio dei ministri che dovrebbe varare il
provvedimento urgente, il decreto prende corpo e nuovi capitoli
vengono affinati. Confermato il freno alle «riserve» che le imprese
possono mettere a verbale per variare il progetto originario e
aumentarne i costi, posto sotto il tetto del 5% anche le opere
compensative di
mitigazione ambientale finora escluse,
riconfermato lo stop agli arbitrati che costringono la Pa a
soccombere nel 90% dei casi e a pagare costi elevatissimi, ora è il
turno delle liti temerarie, altra orribile abitudine italiana: fatta la
gara, piovono dalle imprese classificate seconde ricorsi in via
amministrativa per tentare di bloccare l'iter dell'aggiudicazione.
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Una norma allo studio stabilirà che il ricorso dovrà essere fondato e, appunto, non «temerario»: se
così non sarà, l'impresa sconfitta al giudizio dovrà pagare tutte le spese processuali e anche una
sanzione che si sta definendo. Una norma che si pone per obiettivo la riduzione del contenzioso e la
fine di questo doppio appesantimento per la pubblica amministrazione, con l'intasamento delle aule
dei tribunali e il rallentamento degli appalti.Intanto il ministero delle Infrastrutture lavora agli altri
capitoli del pacchetto appalti: per esempio, la trattativa privata per i lavori, per cui si dovrebbe
proporre una soglia di mezzo fra i 500mila euro di oggi e l'1,5 miliardi contenuti nel Ddl sullo
statuto delle Pmi, approvato dalla Camera. Il ministro Matteoli e i suoi collaboratori vorrebbero
anche mettere un paletto di trasparenza, prevedendo in queste «procedure negoziate» la
consultazione minima di dieci imprese da parte dell'amministrazione appaltante. Si lavora anche
per coprire la fascia da 1 a 5 miliardi con il meccanismo di esclusione automatica delle offerte
anomale, che sta particolarmente a cuore alle imprese piccole e soprattutto medie dell'Ance, oggi
costrette a un vero e proprio far west con centinaia di partecipanti alle gare proprio nella fascia
media dei lavori. Infine si cerca con il Viminale di rendere operativa la legislazione sulle white list
nelle zone ad alto tasso di criminalità mafiosa: saranno le prefetture a indicare i subappaltatori che
le imprese appaltatrici potranno scegliere senza il rischio di favorire aziende colluse con mafia,
camorra e 'ndrangheta.Fin qui il decreto per le semplificazioni degli appalti. C'è poi il capitolo dei
fondi su cui Tremonti qualche segnale dovrà pur darlo, come chiede il presidente dell'Ance, Paolo
Buzzetti. Si attende il maxi-Cipe che, forse già il 29 aprile o più probabilmente il 6 maggio,
dovrebbe avere almeno tre partite all'ordine del giorno: lo sblocco dei programmi regionali
finanziati con 15,4 miliardi di Fas 2007-2013; la riassegnazione alle grandi opere strategiche
(mediante i contratti istituzionali di sviluppo) delle risorse Fas e Ue «liberate» dai vecchi progetti
incagliati; il piano casa finanziato con i 294 milioni di fondi dell'edilizia abitativa pubblica, per un
investimento complessivo di 2,6 miliardi, già concordato dal ministero delle Infrastrutture con le
Regioni. Non è escluso, per altro, che si aggiungano a queste somme i 550 milioni della Regione
Lazio, ultima grande regione a chiudere l'intesa istituzionale, forse in tempo per arrivare al Cipe.
Più difficile (ma non escluso) che arrivi al comitato interministeriale, già per la prossima
convocazione, la partita aeroportuale con lo sblocco di aumenti tariffari e investimenti per Adr, Sea
e Save.
(Giorgio Santill, Il Sole 24 ORE 26 aprile 2011)
 Autodenuncia” per gli appaltatori
Pa. La delibera dell'Autorità.
Trenta giorni è il tempo che viene concesso agli imprenditori per comunicare all'Autorità di
vigilanza sui contratti pubblici tutte le eventuali infrazioni (dalle più gravi alle più lievi) di cui sono
responsabili. Il termine è inderogabile e non comunicare o farlo in ritardo può costare molto caro:
l'Autorità può comminare sanzioni che possono arrivare anche a 25mila euro.
A stabilire tutto ciò è la delibera n. 3 del 6 aprile scorso della stessa Autorità, che ha messo a
punto la procedura che gli imprenditori devono seguire per l'autodenuncia delle violazioni
commesse.
L'elenco delle possibili infrazioni è piuttosto lungo ed è quello contenuto nell'articolo 38 del Codice
dei Contratti (Dlgs 163/2006). Si va dalle violazioni più gravi (quali la non adozione delle misure di
prevenzione antimafia, la bancarotta fraudolenta, il patteggiamento per corruzione o frode), alle
più lievi (irregolarità contributive, la negligenza nell'esecuzione degli appalti, il mancato rispetto
delle legge sul collocamento dei disabili, ecc.).
Alla delibera dell'Autorità sono allegati due modelli da compilare nell'autodenuncia (che, per ora, va
inviata solo in formato cartaceo). Il primo modello è rivolto alle imprese di costruzioni e serve per
segnalare il cambio di direttore tecnico; il secondo modello, invece, riguarda tutti gli imprenditori,
anche quelli che offrono servizi e forniture, e serve per comunicare la perdita (ma anche il
riacquisto) dei requisiti di ordine generale. Le sanzioni alle imprese sono l'unica parte del
Regolamento Appalti già in vigore da dicembre scorso.
Come detto, le imprese hanno ora un mese di tempo per comunicare all'Autorità eventuali
infrazioni a proprio carico. La scadenza è importante perché la comunicazione tardiva o incompleta
non può essere sanata e sarà considerata al pari di una comunicazione del tutto omessa.
Le sanzioni possono arrivare anche a 25.582 euro, e comprendono anche quella per la mancata
risposta alle richieste della stessa Autorità dei Contratti. Se si dichiara il falso, invece, la multa può
addirittura arrivare fino a 51.545 euro.
(Valeria Uva da Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi, 20 aprile, sintesi redazionale)
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 In arrivo regole per appalti veloci
Il decreto per la crescita in arrivo a maggio consisterà soprattutto in un pacchetto di
semplificazioni. Dalle ultime riunioni degli uffici legislativi dei vari ministeri sta prendendo forma il
provvedimento che potrebbe arrivare al consiglio dei ministri nella prima metà del mese prossimo,
in tempo anche per dare un segnale in vista delle elezioni amministrative. A giugno arriverebbe
invece il decreto di "manutenzione" sui conti da 3,3–3,5 miliardi.
Il "decreto semplificazioni" dovrà essere a costo zero, conterrà alcune delle misure inserite nel
Piano nazionale di riforma e, soprattutto, andrà a recuperare interventi già da tempo congegnati
dai ministri Brunetta, Calderoli e Matteoli e fermi nel cassetto.
Riduzione oneri
L'obiettivo è mettere in pratica lo Small business act per le piccole e medie imprese. Si punta a
snellire la burocrazia fiscale e a ridurre gli obblighi in materia di sorveglianza antinfortunistica sul
lavoro. Un intervento ad hoc dovrebbe riguardare il Codice della Privacy che non si applicherebbe ai
trattamenti di informazioni relative a persone giuridiche nei rapporti tra loro (per le sole finalità di
natura amministrativo-contabile). Dal disegno di legge Brunetta-Calderoli fermo al Senato
dovrebbero invece arrivare le norme relative alla digitalizzazione del servizio sanitario nazionale e
al debutto della pagella elettronica. Probabile l'obbligo di utilizzo della posta elettronica certificata
per comunicazioni tra i Comuni e l'introduzione del principio secondo cui negli atti normativi non
potranno essere previsti nuovi oneri regolatori o amministrativi a carico di cittadini, imprese e altri
soggetti privati, a meno di una contestuale riduzione di altri oneri già esistenti.
Appalti e piano casa
Dopo diversi annunci caduti nel vuoto, dovrebbero trovare una sede le misure per accelerare gli
investimenti nelle infrastrutture. Saranno introdotte percentuali fisse predeterminate sia per le
"riserve" (lo strumento con cui l'appaltatore contesta in corso d'opera vizi del progetto o imprevisti
e chiede l'aumento del prezzo) sia per le "opere compensative" richieste dai governi locali sul cui
territorio si progetta un'opera pubblica.
Secondo quanto anticipato anche dal Pnr dovrebbe poi passare una disciplina statale di principio,
cui dovrà seguire la disciplina regionale, che autorizzi interventi di demolizione e ricostruzione
(anche con delocalizzazione degli edifici dismessi) e di aumento volumetrico premiale.
Liberalizzazioni e Sud
Sono i capitoli che presentano maggiori incertezze. Lo scorso 9 febbraio il Ddl annuale per la
concorrenza arrivò sul tavolo del consiglio dei ministri ma non venne approvato. Una parte dei
contenuti potrebbe migrare nel decreto semplificazioni. Nel Ddl, oltre alla deregulation della rete
dei carburanti, si ampliavano i poteri Antitrust in materia di pratiche commerciali scorrette. Per
quanto riguarda il Mezzogiorno, il Piano nazionale di riforme si sofferma su fiscalità di vantaggio e
zone a burocrazia zero. Nel primo caso va detto che il negoziato con la Commissione europea
potrebbe essere lungo ed è difficile che la misura trovi spazio già nel decreto di maggio. Anche le
zone a burocrazia zero per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali non rappresentano una novità.
Sono previste dal Dl 78 del 2010: a istituirle dovrà essere un decreto della presidenza del consiglio.
Il Tesoro pensa di introdurle anche lungo le coste creando dei «distretti balneari».
Si starebbe discutendo infine della possibilità di aumentare la compensazione alle tv locali che
dovranno liberare le frequenze digitali da mettere all'asta per il servizio di banda larga mobile.
Ipotesi realizzabile però solo con un intervento a saldo zero. Se il nodo non verrà sciolto i tempi e i
risultati dell'asta sarebbero sempre più a rischio, con tutte le relative conseguenze (gli scostamenti
dall'incasso previsto in 2,4 miliardi andrebbero coperti con tagli lineari ai ministeri).
(Davide Colombo e Carmine Fotina, Il Sole 24 ORE Norme e tributi, 16 aprile 2011)
 Nuove
interpretazioni ministeriali - Durc – regolamento attuativo del codice dei
contratti pubblici
Premesso che con il D.P.R. 5.10.2010, n. 207 è stato emanato il Regolamento attuativo del Codice
dei contratti pubblici, le circolari offrono chiarimenti in merito ad alcune disposizioni in esso
contenute che riguardano il Documento unico di regolarità contributiva (Durc).
Inoltre, si informa che, per il miglioramento dei servizi telematici, l’applicativo
www.sportellounicoprevidenziale.it è stato oggetto di un intervento di reingegnerizzazione che si
concretizza nelle implementazioni di funzionalità aggiuntive riguardanti i contratti per forniture e
servizi, anche in economia, i consorzi, la gestione di ulteriori tipologie di richieste, la grafica ed il
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contenuto dei certificati, nonché l’emissione di un nuovo Durc in sostituzione di un precedente
certificato, oggetto di annullamento.
Contestualmente, si è provveduto anche ad aggiornare i dati anagrafici delle stazioni appaltanti e
delle Soa e a sostituire, per queste categorie di utenti, gli attuali codici di identificazione con il
codice fiscale dell’interessato.
(S.Ma., Il Sole 24 ORE - La settimana fiscale, n. 14, 15 aprile 2011)
 In declino gli appalti "misti" di progettazione e costruzione Appalti
Per il terzo anno consecutivo il primo trimestre si chiude con un segno fortemente negativo, 34,5% in valore nel 2011 rispetto al 2010. Nel mese di marzo -1,3% in valore rispetto a marzo
2010.
Secondo i dati pubblicati con l'aggiornamento al 31 marzo 2011 dell'osservatorio OICE-Informatel,
le gare per servizi di ingegneria e architettura indette nel mese sono state 482 (di cui 32 sopra
soglia) per un importo complessivo di soli 52,6 milioni di euro (40,4 sopra soglia). Rispetto a marzo
2010 il numero dei bandi rilevati nel mese corrente sale del 15,3% (-17,9% sopra soglia e +18,7%
sotto soglia) mentre il loro valore scende, come detto, dell'1,3% (+9,8% sopra soglia e -26,1%
sotto soglia).
Complessivamente, nel primo trimestre sono state indette 1.142 gare (102 sopra soglia) per un
valore di 114,2 milioni di euro (80,2 sopra soglia). Il confronto con il primo trimestre 2010 è
negativo: mentre il numero delle gare sale del 16,6% (+8,5% sopra soglia), il loro valore scende
del 34,5% (-40,9% sopra soglia e -11,8% sotto soglia). Rispetto alla media degli importi rilevati
nel primo trimestre dei cinque anni precedenti il valore messo in gara nei primi tre mesi del 2011
presenta una flessione del 45,7%, pur non tenendo conto della dinamica inflativa settoriale.
Non si arresta la crescita dei ribassi con cui le gare vengono aggiudicate: in base ai dati raccolti al
31 marzo il ribasso medio sul prezzo a base d'asta, per le gare indette nel 2010, è arrivato al
41,6% (era al 41,2% a fine febbraio). Il ribasso si spinge al 76% nell'aggiudicazione di una gara
dell' IPES - Istituto per l'edilizia sociale della provincia autonoma di Bolzano per l'accatastamento
ed intavolazione di 159 alloggi e relative pertinenze a Bolzano con un importo a base d'asta di
155.466 euro, aggiudicata per 37.000 euro.
Analizzando la posizione dell'Italia in Europa, si rileva che il numero delle gare italiane pubblicate
sulla gazzetta comunitaria è passato dalle 94 unità del primo trimestre 2010 alle 102 del primo
trimestre 2011, +8,5%. Nell'insieme dei Paesi dell'Unione Europea la domanda di servizi di
ingegneria e architettura presenta una crescita (+16,7%) decisamente maggiore di quella italiana.
Rimane molto modesta, 2,9%, la quota del nostro Paese sul numero totale delle gare pubblicate,
risultando di gran lunga inferiore rispetto a quella di paesi di paragonabile rilevanza economica:
Francia 45,2%, Germania 11,4%, Polonia 6,5%, Spagna 4,5%, Gran Bretagna 4,3%).
Molto negativo anche l'andamento delle gare miste, cioè per progettazione e costruzione insieme,
che nel primo trimestre 2011 sono in forte discesa: -67,7% in valore rispetto al primo trimestre
2010.
(http://www.immobili24.ilsole24ore.com 13 aprile 2011)
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Edilizia e urbanistica
 Piani casa, termini riaperti
Saranno le Regioni a decidere: se non lo faranno proroga automatica
Il Governo studia un piano casa bis. Non più solo la possibilità di ottenere in fretta il via libera per
ampliamenti, demolizioni e ricostruzioni, ma una vera e propria riapertura dei termini, compresi
quelli già scaduti per consentire alle Regioni di fare nuove leggi o di ammorbidire quelle esistenti.
Sarebbe questo lo sbocco finale per il rilancio del piano casa annunciato da Berlusconi. Il piano
casa ha funzionato veramente finora solo in Veneto (circa 22mila domande) e in Sardegna.
La riapertura dei termini per le leggi regionali è la via di uscita individuata per superare il principale
ostacolo al rilancio del piano casa: la scadenza ormai matura del programma straordinario in molte
Regioni. I termini per aggiungere la famosa stanza in più a ville e villette, infatti, sono già scaduti
in Emilia Romagna (il 31 dicembre scorso) e in Lombardia (il 15 aprile). E, salvo proroghe in
extremis, sono ormai in chiusura anche Sardegna, Veneto, Basilicata e Toscana.
L'ipotesi a cui si lavora invece è di permettere alle Regioni di intervenire di nuovo con una propria
regolamentazione che consenta di fare gli ampliamenti in deroga ai piani regolatori e che faccia
partire, una volta per tutte, anche la demolizione e ricostruzione (il decreto dovrebbe cancellare
anche il pesante vincolo del rispetto della sagoma). Stavolta però il Governo vuole provare a
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"forzare la mano": in caso di inerzia della Regione, il proprietario potrebbe appellarsi alla legge
statale e ottenere comunque il via libera all'ampliamento.
Altrettanto forte è l'altra semplificazione dell'edilizia allo studio: il permesso di costruire rilasciato
grazie al semplice silenzio assenso. Sempre. E non solo in via straordinaria per il piano casa. Oggi il
silenzio assenso è ammesso solo per gli interventi minori (manutenzione straordinaria, ad
esempio).
Da domani invece varrebbe su tutti i grandi lavori: dalle ristrutturazioni alla nuova costruzione.
Potrebbe cioè bastare presentare la domanda e se il Comune non risponde entro un determinato
periodo, iniziare i lavori senza un'effettiva verifica della compatibilità ambientale e paesaggistica.
Ora il Governo deve cominciare a cercare il consenso politico e il supporto delle Regioni, che
sull'edilizia hanno una competenza concorrente. Operazione non facile: già due anni fa l'avvio del
piano casa fu il frutto di una lunga e difficile trattativa con i governatori.
L'altro capitolo del decreto sviluppo che sta prendendo forma è quello relativo agli appalti: il
ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli, proporrà bandi tipo che dovrebbero rendere sicure e
tassative tutte le cause di esclusione dalle gare di lavori, servizi e forniture. Si lavora poi al giro di
vite sulle riserve e le opere compensative per abbassare i costi delle opere pubbliche. L'idea è di
ridurre ancora l'attuale tetto del 5% per le richieste di «compensazioni» dal territorio. E di
inglobare anche le opere di mitigazione ambientale. Anche per le riserve, ovvero le richieste
dell'appaltatore, di aumenti legati a imprevisti e "sorprese" sui progetti, Tremonti ha già detto di
volere a tutti i costi mettere un freno, ma in questo caso l'Economia sta ancora ragionando sulla
percentuale.
Così come una partita ancora aperta è quella sull'arbitrato: Tremonti sembra intenzionato a
riproporre il divieto di ricorrere ai giudici privati negli appalti, i costruttori invece premono per
mantenere la corsia preferenziale in nome di un contenzioso più veloce.
Il decreto sviluppo è in agenda per il Consiglio dei ministri del 6 maggio. Per lo stesso giorno
potrebbe sbloccarsi anche un super–Cipe che ha al primo punto dell'ordine del giorno il piano di
housing sociale da 2,6 miliardi. Ma il prossimo Cipe è atteso anche per il rilancio di altri capitoli di
spesa per le infrastrutture, a partire dalle concessioni aeroportuali (aumenti tariffari per finanziare
gli investimenti di Adr, Sea e Save) e dal piano Sud che attende di essere approvato insieme alla
ripartizione di 15,4 miliardi del Fas 2007-2013 alle Regioni.
Dovrebbe invece prendere forma dopo le elezioni amministrative la manovra di manutenzione dei
conti da tre miliardi che deve dare ulteriore slancio agli investimenti infrastrutturali ma anche
finanziare, ad esempio, le missioni internazionali, compreso l'ultimo impegno italiano in Libia.
(Valeria Uva, Il Sole 24 ORE, 28 aprile 2011)
 Al via housing sociale da 2,6 miliardi
Conti e sviluppo.
Il prossimo 29 aprile potrebbe tenersi una seduta del Cipe per rilanciare gli investimenti pubblici
per l'edilizia residenziale e le infrastrutture. La conferma della seduta non è ancora arrivata, ma le
amministrazioni già si preparano al possibile “evento”, visto che si tratta dell'importante piano di
housing del ministero delle Infrastrutture che dovrebbe sbloccare un investimento complessivo di
2.654 milioni, con un contributo del Dipartimento del Tesoro di 295 milioni (l'11% del totale).
Al “piano nazionale di edilizia abitativa” partecipano anche i privati con una quota rilevante, 1.925
milioni, ossia il 72% del totale, mentre le Regioni contribuiranno con 263,6 milioni (ca. il 10%) e
altri enti pubblici (fra cui i Comuni) con 170,3 milioni (il 6,4%).
In tutto si avranno a disposizione 14.790 alloggi, di cui 11.590 di nuova costruzione, 3.023
ristrutturati, 177 acquistati da immobili già esistenti. Di tutti questi appartamenti, 5.991 andranno
in affitto (permanente o di lunga durata, minimo 25 anni), 6.001 andranno a riscatto e 2.801
saranno messi in vendita nel libero mercato.
Il via libera del Cipe servirà a ratificare l'intesa sottoscritta dal Governo con 14 Regioni. Il “piano
nazionale”, per essere valido a tutti gli effetti, dovrà ottenere il via libera della Conferenza StatoRegioni e dovrà attendere l'emanazione di un decreto del presidente del Consiglio dei ministri.
Dei fondi del “piano nazionale” ne beneficerà per il 58% la Campania, che otterrà 1.548 milioni,
con una larghissima prevalenza dei fondi privati (l'88% pari a 1.366 milioni). Gli alloggi disponibili
in Campania saranno 7.059 (il 48% del totale).
Il “Piano nazionale” era stato già previsto dall'articolo 11 del Dl 112/2008, ma allora si bloccò la
ripartizione delle risorse perché le si volle convogliare in un'operazione più complessa, strutturata
in due fronti: uno è quello piano che ora, dopo tre anni, arriva al Cipe. L'altro è il “fondo dei fondi”
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imperniato sulla Cassa Depositi e Prestiti e sull'alleanza con le fondazioni bancarie. Questo megafondo oggi ha raggiunto la quota di 1,8 miliardi e serve per dare il proprio aiuto (mai superiore al
40%) ai fondi locali che a loro volta finanziano progetti di realizzazione di alloggi.
Al tavolo del Cipe dovrebbero arrivare anche altri capitoli del rilancio infrastrutturale (concessioni
aeroportuali, piano per il Sud, ripartizione di 15,4 miliardi del Fas 2007-2013 alle Regioni, ecc.).
Per il Sud ci sono anche i contratti istituzionali di sviluppo, che destinano a poche infrastrutture i
fondi recuperati dal Fas 2000-2006. Infine, ci sono anche i vecchi mutui non spesi che il ministero
dell'Economia può annullare per ridestinare le risorse a nuove priorità infrastrutturali.
(Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore – Primo Piano 19 aprile, sintesi redazionale )

La mappa delle regioni senza strade e reti. All'esame il decreto per recuperare il deficit
di infrastrutture
A Matera neanche a parlarne, perché la ferrovia semplicemente non c'è (unico capoluogo d'Italia in
questa condizione). Anche arrivare in treno a Campobasso, però, è un'impresa non semplice, che
impone a chi parte da Roma più di tre ore di viaggio su una linea appenninica percorsa da pendolini
d'antan (quando va bene) e chiede a chi arriva dall'Adriatico di inerpicarsi su «littorine» a gasolio
altrove scomparse da decenni. Cercate una biblioteca in Calabria, o la banda larga nei paesi
dell'Umbria, e avrete chiaro il concetto di «gap infrastrutturale».
Proprio questo è l'oggetto del nuovo atto del federalismo fiscale, che va in scena in queste
settimane nella Commissione bicamerale per l'attuazione della riforma. Il sesto decreto ad
approdare sui tavoli di San Macuto è quello dedicato alle «risorse aggiuntive» e agli «interventi
speciali» chiamati a rimuovere gli «squilibri economici e sociali».
A chiedere questi interventi è la stessa Costituzione, che all'articolo 119 prevede che lo Stato faccia
uno sforzo aggiuntivo per promuovere «lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale»
in «determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni». La legge delega (la n. 42 del
2009) richiama fedelmente la Carta, ma arricchisce il principio di un nuovo significato: il
federalismo fiscale nasce per concedere più autonomia ai territori e per imporre loro standard di
spesa omogenei, ma per far atterrare questi concetti sul piano della realtà bisogna dare a tutti
condizioni di base più omogenee. Tra gli interventi della complessa architettura federalista, che
soprattutto a Sud ha alimentato polemiche sulle distanze fra le varie parti del Paese, questa è la
più direttamente votata ad "accorciare l'Italia".
La sfida non è semplice, come mostrano i dati in pagina. Il decreto, approvato in prima lettura dal
Consiglio dei ministri del 20 novembre all'interno dell'esame sul Piano nazionale per il Sud, non
offre una definizione puntuale delle «infrastrutture» che saranno oggetto di perequazione, perché
l'individuazione degli interventi sarà oggetto dei programmi di finanziamento e dei «contratti
istituzionali» che li attueranno.
I numeri proposti, basati sulle analisi dell'Istituto Tagliacarne che per il Cnel cura il censimento
ufficiale sul tema, esaminano le infrastrutture sia secondo un criterio tradizionale (strade,
autostrade, ferrovie, acquedotti), sia secondo uno "allargato" (scuole, teatri, biblioteche, dotazioni
telematiche) su due versanti: la «quantità», per esempio i chilometri di strade o il consumo di
energia elettrica, e la «qualità», indicata ad esempio dal numero di caselli con Telepass e Viacard o
dall'intensità della raccolta differenziata, il tutto pesato in rapporto alla popolazione.
In base a questa radiografia, a nutrire le speranze più vive per una reale efficacia degli «interventi
speciali» sono la Basilicata, il Molise e la Calabria, che nell'indice generale raggiungono un
punteggio spesso sotto la metà rispetto a Lazio, Lombardia e Liguria. L'analisi regionale, che
appare fedele alle condizioni effettive dei territori sottodotati, non deve però ingannare quando si
guarda alle realtà più fortunate: il dato del Lazio, per esempio, è influenzato da Roma che –
complice anche la scarsa densità abitativa di molte delle zone vicine – riesce da sola ad alzare il
dato medio di tutta l'area centrale del Paese, mentre il punteggio ligure è spinto dal carattere
strategico del nodo stradale e ferroviario di Genova (i porti sono esclusi dal calcolo).
Tornando al Sud, parecchie difficoltà caratterizzano anche l'Abruzzo, mentre la Campania soffre su
energia e ambiente ma si trova in cima alla classifica per dotazione scolastica e reti telematiche (in
pratica la banda larga, che nelle aree metropolitane ha esteso molto la propria copertura).
Per ridurre queste distanze il decreto legislativo prima di tutto punta sulle risorse del Fondo per le
aree sottoutilizzate, che nel nuovo sistema diventa il Fondo per lo sviluppo e la coesione,
indirizzato per l'85% al Sud e per il resto al Centro-Nord. Al fondo, oggetto di una programmazione
pluriennale a carattere nazionale, avranno accesso i progetti strategici valutati in base agli
obiettivi, alle metodologie di analisi degli impatti, alla sostenibilità dei piani di gestione. Le
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iniziative saranno oggetto di «contratti istituzionali» chiamati a responsabilizzare i vari livelli di
governo coinvolti, sostituiti dal Governo tramite commissari in caso d'inerzia. Dalla dotazione reale
di risorse, e dal funzionamento effettivo di questi meccanismi, dipenderà l'efficacia reale dei
programmi che saranno attivati in base al nuovo provvedimento federalista.
(Gianni Trovati, Il Sole 24 ORE 19 aprile 2011)
 L’archistar si arena sui waterfront d’Italia
Le architetture griffate ul waterfront italiano non riescono a prendere il largo.
Non conta se siano pubbliche o private oppure che siano scelte attraverso concorsi o promosse con
operazioni di marketing urbano. Dopo le città spagnole e quelle britanniche, città come Marsiglia e
Amburgo dimostrano il forte potenziale delle città d’acqua. L’Italia sembra sorda. I tanti progetti
delle star annunciati come volàno di trasformazione urbana restano sulla carta: mancano risorse,
non ci sono chiare strategie politiche e pesa la lentezza delle procedure, ricorsi compresi.
A sette anni dal concorso per il porto monumentale di Napoli il progetto è fermo al preliminare. A
Reggio Calabria, è ancora da approvare il preliminare firmato da Zaha Hadid Architects che nel
2007 ha vinto il concorso internazionale. Congelata la “vela” di Ricardo Bofill a Salerno. Non va
meglio a Rimini, dove i due project financing in cui sono stati coinvolti Norman Foster e Jean
Nouvel e che sono stati annunciati in pompa magna dal Comune romagnolo sono di fatto arenati.
Tra le trasformazioni annunciate sul frontemare italiano con il contributo delle grandi firme
internazionali non c’è un’operazione con un iter lineare.
L’unico spiraglio di luce arriva oggi, dieci anni dopo il concorso, per la Piazza del Mediterraneo vinta
dagli olandesi di Un Studio. Poche settimane fa infatti è stata siglata l’intesa sul cronoprogramma
tra Autorità portuale di Genova, Porto Antico Spa e Altarea, aggiudicataria dell’intervento. «Il polo
potrebbe aprire al pubblico tra il 2015-2016 – dicono i promotori –. L’investimento sui 160 milioni
sarà ammortizzato in 90 anni grazie a un project financing».
Da Napoli a Reggio Calabria amministratori e progettisti negano che le operazioni siano ferme.
«La macchina non si è fermata – spiega Rosario Pavia, uno dei progettisti della cordata guidata dal
francese Michel Euvè per il porto di Napoli – anche se il progetto avanza con una lentezza
mortificante. Per far fronte alle nuove richieste della Soprintendenza abbiamo predisposto un
tavolo tecnico e redatto un nuovo preliminare prevedendo la ristrutturazione (e la ricostruzione
della metà mai realizzata) di un immobile che prima doveva essere demolito ». Con la nuova
versione del progetto, «accettata e pagata» ci tengono a precisare gli architetti, le cubature
saranno ridimensionate e il nuovo edificio previsto nella fase concorsuale non ci sarà più.
(Massimo Frontera e Paola Pierotti, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio – Progetti e concorsi, aprile
2011, n. 16)
 Catasto
In scadenza il termine per regolarizzare le case fantasma
Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i
requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che
potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art.2 comma
5-bis del DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011.
Si tratta, in particolare, dei fabbricati indicati nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 19 del D.L. 78/2010,
convertito dalla legge 122/2010, che dovevano essere denunciati entro il 31 dicembre 2010.
Per convincere gli obbligati alla denuncia volontaria, il legislatore ha penalizzato gli inadempienti,
retrodatando al 1° gennaio 2007 l'efficacia della rendita “presunta” accertata d'ufficio, a partire dal
2 maggio 2011, il cui importo sarà notificato mediante l'affissione degli elenchi all'Albo pretorio dei
comuni interessati, previo avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Peraltro, la predetta retrodatazione non si applica agli obbligati virtuosi che presenteranno le
denunce entro il nuovo termine, per i quali sarà considerata la data di ultimazione dei lavori indicati
nella denuncia medesima.
La regolarizzazione catastale
I fabbricati da dichiarare sono, in primo luogo, quelli definiti “fantasma”, perché presenti sul
territorio ma non iscritti al Catasto, che l'Agenzia del territorio ha individuato con le procedure
previste dall'art. 2, commi 36 e segg., del D.L. 262/2006, in collaborazione con l'AGEA (Agenzia
per le erogazioni in agricoltura), di cui sono stati pubblicati gli elenchi sulla G.U. in ordine di
comune, sezione, foglio e particella, visibili sul sito dell'Agenzia www.agenziaterritorio.gov.it, negli
uffici provinciali della medesima e presso i comuni interessati.
A tale proposito si ricorda che, ai sensi del comma 12 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, dal 1° gennaio
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2011 l'Agenzia ha avviato un monitoraggio costante del territorio sulla base di nuove informazioni
derivanti da verifiche tecnico-amministrative, telerilevamento e dalla collaborazione con i comuni.
In secondo luogo, sono da dichiarare i fabbricati a suo tempo definiti rurali perché annessi a fondi
agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (Iap), che hanno perduto i
requisiti di ruralità previsti dall'art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. 557/1993, convertito dalla legge
133/1994.
Caso classico sono i rustici agricoli ubicati in zone turistiche, trasformati in case di vacanza, ma
anche fabbricati strumentali, ubicati nelle periferie dei centri abitati o in fregio a strade provinciali,
utilizzati per attività d'impresa (centri commerciali, ristoranti, depositi, officine ecc.).
Di questi immobili, peraltro, l'Agenzia del territorio ha già stilato gli elenchi anch'essi pubblicati
sulla G.U. e quindi visionabili sul sito dell'Agenzia e presso i comuni.
In terzo luogo, devono essere dichiarate tutte le unità immobiliari già censite al catasto fabbricati
che hanno subito modifiche rilevanti, come il cambio di destinazione con opere, la variazione della
consistenza e della rendita.
Si tratta in genere di appartamenti ristrutturati, con l'aggiunta di un servizio prima mancante o in
aggiunta ad altro esistente, ovvero con il recupero di un sottotetto, o l'ampliamento dell'abitazione
con la costruzione di uno o più locali sul terrazzo a livello, oppure la formazione di cantinette nelle
villette.
È opportuno segnalare che le piccole variazioni interne, lo spostamento di una porta o di una
parete, non rilevano agli effetti catastali se non cambiano la consistenza e la rendita, come sancito
dalle circ. n. 2/T e n. 3/T/2010 dell'Agenzia del territorio.
I soggetti obbligati alla denuncia
L'obbligo della denuncia al catasto spetta ai soggetti titolari dei diritti reali sui fabbricati: il
proprietario o, se questi è minore o incapace, chi ne ha la legale rappresentanza; per gli enti
morali, il legale rappresentante; per le società commerciali legalmente costituite, chi ha la firma
sociale; per le società estere, chi le rappresenta in Italia.
Per le parti comuni condominiali dotate di rendita, obbligato alla denuncia è l'amministratore e
ciascuno dei condomini, ma la denuncia di uno dei soggetti predetti però esonera tutti gli altri (art.
3 del R.D.L. 652/1939).
Per ottemperare agli obblighi della denuncia, i titolari dei diritti reali sopra citati dovranno affidare
l'incarico a un tecnico professionista, iscritto all'Albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori
agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici laureati e diplomati.
L'accertamento d'ufficio in caso di inadempienza
A partire dal 2 maggio 2011 l'Agenzia del territorio rileverà tutti i fabbricati non dichiarati fra quelli
a suo tempo individuati, provvedendo ad assegnare ai medesimi una rendita presunta, tramite i
propri uffici provinciali, ovvero avvalendosi di professionisti abilitati a operare negli atti catastali
sopra indicati, mediante la stipulazione di convenzioni specifiche (previste dal comma 11 dell'art.
19 del D.L. 78/2010), alcune delle quali potrebbero essere sottoscritte in tempi brevi, essendo già
stati effettuati gli incontri con i rappresentanti nazionali delle categorie professionali interessate.
Nelle suddette fattispecie, l'accertamento con attribuzione della rendita presunta è un'operazione
abbastanza complessa in quanto, per individuare i parametri necessari all'attribuzione della
rendita, molto spesso sarà necessario eseguire i sopralluoghi per individuare la tipologia degli
edifici, il numero delle unità, la loro destinazione e la consistenza.
Per quanto riguarda i fabbricati che hanno perduto i requisiti di ruralità, gli operatori dovranno
partire dagli elenchi pubblicati inGazzetta Ufficiale ed eseguire l'incrocio con le banche dati
dell'AGEA, in quanto nelle richieste di contribuzioni UE presentate dagli agricoltori sono descritti
anche i fabbricati aziendali.
Invece, le operazioni relative all'accertamento dei fabbricati che hanno subito variazioni potranno
essere svolte solo con la collaborazione dei comuni, che dovrebbero mettere a disposizione dei
tecnici d'ufficio gli elenchi delle DIA presentate nell'ultimo decennio, per verificare se, dopo
l'ultimazione dei lavori, sono state presentate le denunce di variazione al catasto.
I costi degli inadempienti per gli accertamenti d'ufficio
In ogni caso, l'accertamento d'ufficio dei fabbricati non dichiarati richiede interventi nell'archivio del
catasto terreni per l'aggiornamento della mappa, mediante l'utilizzo del programma Pregeo, e in
quello del catasto fabbricati, con il programma Docfa, per l'attribuzione della rendita; operazioni
molteplici, con costi professionali notevoli, che saranno posti a carico degli inadempienti nella
misura disposta dalla determ. del 29 settembre 2009 del Direttore dell'Agenzia del territorio (in
G.U. 232 del 6 ottobre 2009) dove sono precisati i costi relativi a ogni tipo di operazione.
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Sulla base di tale tariffario, il costo di accertamento d'ufficio per una villetta della superficie coperta
di 100 mq su un lotto di terreno fino a 2 mila mq, omnicomprensivo di spese di missione, non
potrà essere inferiore a € 1.500, mentre per un capannone industriale di 500 mq, insistente su un
terreno esteso fino a 5 mila mq, il costo potrebbe salire a € 3.000.
Oltre a tali importi, l'Ufficio provinciale dell'Agenzia competente dovrà applicare la sanzione per la
mancata denuncia nei termini da un minimo di € 258 a un massimo di € 2.066 (art. 1, comma 338,
legge 311/2004), generalmente determinata in € 300 per unità immobiliare, riducibili a un quarto,
se il versamento avviene entro 60 giorni dal ricevimento dell'avviso.
La regolarizzazione fiscale
Dopo l'accatastamento comunque avvenuto, gli obbligati dovranno procedere alla regolarizzazione
fiscale, ai fini delle imposte dirette a ICI, non appena saranno loro notificati gli avvisi
d'accertamento dall'Agenzia delle entrate e dagli uffici tributi dei comuni, ricorrendo alla procedura
dell'accertamento con adesione, istituito dall'art. 11, comma 3, del D.L. 79 del 28 marzo 1997,
convertito in legge 140/1997.
L'istituto dell'accertamento con adesione può essere applicato anche all'ICI, qualora il comune lo
abbia previsto nelle norme regolamentari, disposte ai sensi dell'art. 59 del D.Lgs. 446/1997, con i
criteri stabiliti dal D.Lgs. 218 del 19 giugno 1997.
Pertanto, utilizzando questo istituto, i contribuenti potranno ottenere, ai sensi dell'art. 15 del
predetto decreto, una notevole riduzione delle sanzioni a un ottavo del minimo (12,50%), oltre al
pagamento rateale con il massimo di otto rate trimestrali per importi fino a € 51.645,69 o 12 rate
per importi superiori.
Ovviamente, in caso di rateazione, dovranno essere aggiunti gli interessi legali sulle somme dovute
e dovrà essere fornita la garanzia di pagamento mediante accensione di ipoteca sui beni o con
fideiussione bancaria o assicurativa (art. 38-bis del D.P.R. 633/1972).
La regolarizzazione urbanistico-edilizia
Il comma 8, ultimo periodo, dell'art. 19 del D.L. 78/2010 dispone che l'Agenzia del territorio rende
disponibili ai comuni, sul portale loro dedicato, le unità comunque accertate “per i controlli di
conformità urbanisticoedilizia”.
Di conseguenza, al fine di evitare l'intervento d'ufficio dei comuni, è opportuno avviare
spontaneamente le procedure per la regolarizzazione, che in gran parte dei casi è facilmente
conseguibile.
La maggior parte dei fabbricati mai dichiarati è costituita da manufatti e costruzioni per attività
agricole (abitazioni, stalle, rimesse, silos, laboratori di prima lavorazione dei prodotti, spacci per la
vendita dei propri prodotti agricoli ecc.), ma anche molte tettoie e ricoveri attrezzi, a volte
provvisori.
In questi casi, la regolarizzazione urbanistica è piuttosto semplice da ottenere, in quanto le
costruzioni erette nelle zone E del D.M. 1444/1968 (zone omogenee agricole) sono compatibili con
lo strumento urbanistico vigente, per cui l'adempimento consiste nella presentazione di una DIA in
sanatoria, ai sensi dell'art. 37, comma 4, del D.P.R. 380/2001, oltre al pagamento della sanzione
dal minimo di € 516 al massimo di € 5.164, di norma applicata al minimo, in esenzione dagli oneri
di urbanizzazione e concessione, ai sensi dell'art. 9 della legge 10/1977, sempreché non esistano
vincoli ambientali, nel qual caso è indispensabile ottenere preventivamente il benestare dall'ente di
tutela del vincolo.
Peraltro, anche la regolarizzazione dei fabbricati civili o industriali non presenta grosse difficoltà,
qualora la destinazione urbanistica del PRG sia compatibile con i manufatti costruiti, in quanto è
possibile utilizzare la stessa procedura prevista al periodo precedente con la sola variante del
pagamento degli oneri di urbanizzazione e concessione.
Ricordiamo che con la DIA è necessario presentare il progetto edilizio, il progetto delle strutture in
c.a., e tutte le altre documentazioni amministrative previste dai regolamenti edilizi vigenti nel
comune per il rilascio del permesso a costruire.
Il destino dei fabbricati non sanabili
Invece, per tutti gli altri casi di fabbricati con destinazione non conforme a quelle del PRG o,
peggio, che siano stati costruiti in zone vincolate per rispetto marittimo, lacuale o fluviale, ovvero
soggette a vincolo paesaggistico (artt. 142 e 143 del D.Lgs. 42/2004), non è possibile ottenere la
sanatoria in quanto, per queste fattispecie, è prevista la denuncia alla magistratura, con
l'applicazione di sanzioni penali, la demolizione dei manufatti e addirittura l'arresto fino a due anni
(art. 44 del D.P.R. 380/2001) dei responsabili, per i casi più gravi.
In queste ipotesi, è prevedibile che gli interessati non adempiano all'obbligo di denuncia ma
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stavolta, a differenza del passato, esistono gli elenchi delle particelle sulle quali sono stati realizzati
i fabbricati non dichiarati, di cui sono noti i proprietari, circostanza che provocherà, prima o poi,
l'intervento del comune, che dovrà procedere d'ufficio e applicare le sopracitate disposizioni di
legge.
L'unico modo per evitare maggiori danni per i proprietari di questi immobili è quello di demolire le
costruzioni, prima che sia avviata la procedura d'infrazione urbanistica, almeno nei casi di
manufatti minori, quali tettoie, box, piccoli depositi e simili.
(Guazzone Franco, www.immobili24.ilsole24ore.com , 11 aprile 2011)
 Certificazione energetica degli edifici
L'8 ottobre 2005 è entrato in vigore il decreto legislativo 19 agosto 2005 n. 192 (successivamente
modificato dal D.Lgs. 29 dicembre 2006 n. 311) per l'attuazione della direttiva comunitaria
2002/91/CE relativa al rendimento energetico nell'edilizia.
Scopo di tale normativa è di stabilire i criteri, le condizioni e le modalità per migliorare le
prestazioni energetiche degli edifici al fine del "contenimento dei consumi energetici".
Ruolo di primaria importanza va riconosciuto, nell'ambito della disciplina dettata dal D.Lgs.
192/2005, alla cd. "certificazione energetica", non solo come strumento di controllo successivo del
rispetto, in fase di realizzazione degli edifici, delle prescrizioni volte a migliorarne le prestazioni
energetiche (art. 8 comma secondo), ma soprattutto come strumento di "informazione"
dell'acquirente (art. 6 comma terzo) o del conduttore - nel caso di locazione/affitto - (art. 6 comma
quarto), ritenendo il legislatore che una preventiva esauriente conoscenza da parte degli acquirenti
o dei conduttori dei dati relativi all'efficienza e alla prestazione energetica dell'edificio e,
soprattutto, dei suggerimenti in merito agli interventi più significativi ed economicamente
convenienti per il miglioramento della predetta prestazione, costituisca presupposto imprescindibile
per ottenere un costante e graduale miglioramento delle prestazioni energetiche anche degli edifici
già esistenti (sia come incentivo per gli attuali proprietari a migliorare tali prestazioni per rendere
l'immobile più "appetibile" sul mercato sia come incentivo per gli acquirenti di orientare eventuali
opere di manutenzione, in via prioritaria, verso quegli interventi che possano in qualche modo
consentire il "contenimento dei consumi energetici").
Gli attestati
La legge, al riguardo, prevedeva due diversi "attestati" al fine della "certificazione energetica":
- l'attestato di qualificazione energetica chiamato a svolgere il ruolo di strumento di controllo
successivo del rispetto, in fase di costruzione o ristrutturazione degli edifici, delle prescrizioni volte
a migliorarne le prestazioni energetiche (art. 8 comma secondo);
- l'attestato di certificazione energetica, chiamato a svolgere il ruolo di strumento di "informazione"
dell'acquirente o del conduttore (art. 6 commi terzo e quarto) circa la prestazione energetica ed il
grado di efficienza energetica degli edifici; in particolare, al fine di assicurare quella funzione di
"strumento di informazione" propria dell'attestato di certificazione energetica, il legislatore ha
prescritto che lo stesso, in caso di trasferimento a titolo oneroso di interi immobili o di singole unità
immobiliari, doveva essere allegato all'atto traslativo, e ciò a pena di nullità (relativa) dell'atto
medesimo ovvero che lo stesso, in caso di locazione, doveva essere consegnato o messo a
disposizione del conduttore, sempre a pena di nullità (relativa) del contratto.
I due attestati si distinguevano, oltre che per le diverse "funzioni", anche per quanto riguarda le
caratteristiche del "certificatore": infatti mentre l'attestato di qualificazione energetica poteva
essere predisposto ed asseverato da un professionista abilitato alla progettazione o alla
realizzazione dell'edificio "non ecessariamente estraneo alla proprietà e quindi non
necessariamente “terzo”, l'attestato di certificazione energetica è rilasciato da "esperti" o
"organismi" "terzi", dei quali dovevano essere garantiti "la qualificazione e l'indipendenza".
La disciplina transitoria sino al 1° luglio 2008
l'obbligo di allegazione riguardava i seguenti edifici:
A) I "NUOVI EDIFICI"
Ossia gli edifici costruiti in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività
rispettivamente richiesto o presentata DOPO l'8 ottobre 2005 (in caso di permesso di costruire è
alla data della richiesta e non alla data del rilascio che bisogna fare riferimento).
B) GLI EDIFICI RADICALMENTE RISTRUTTURATI
Ossia gli edifici di superficie utile superiore a 1000 mq. che siano stati oggetto di interventi di
ristrutturazione radicale in forza di permesso di costruire o di denuncia di inizio attività
rispettivamente richiesto o presentata dopo l'8 ottobre 2005.
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Per "ristrutturazione radicale" ai fini della disciplina in tema di allegazione della certificazione
energica si intendono:
- la ristrutturazione integrale degli elementi edilizi costituenti l'involucro di edifici esistenti di
superficie utile superiore a 1000 metri quadrati;
- la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti di superficie utile superiore a 1000 metri
quadrati).
C) GLI EDIFICI "AGEVOLATI"
Ossia gli immobili sui quali siano stati eseguiti, successivamente al 1° gennaio 2007, interventi
finalizzati al miglioramento delle prestazioni energetiche per i quali si intenda accedere agli
incentivi ed alle agevolazioni di qualsiasi natura, sia come sgravi fiscali o contributi a carico di fondi
pubblici o della eneralità degli utenti, in relazione ai quali sia già stato rilasciato l'attestato di
certificazione energetica o, in via transitoria l'attestato di qualificazione energetica.
D) GLI EDIFICI "PUBBLICI"
Ossia edifici pubblici o detenuti da soggetto pubblici per i quali dopo il 1 °luglio 2007 siano stati
rinnovati ovvero stipulati nuovi contratti relativi alla gestione degli impianti termici o di
climatizzazione.
E) GLI EDIFICI DI SUPERFICIE UTILE SUPERIORE A 1.000 MQ
Ossia gli edifici o singole unità, a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla data in cui è stata
fatta la richiesta del titolo edilizio, di superficie utile superiore a 1000 mq, sempre che l'atto
traslativo abbia per oggetto l'intero immobile.
Dal 1° luglio 2008
l'obbligo di allegazione riguardava oltre gli edifici di cui sopra sub A), sub B), sub C) e sub D) anche
tutti gli altri edifici, a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla superficie utile, escluse, soltanto,
le singole unità immobiliari di superficie inferiore a 1000 mq.
Dal 1° luglio 2009
l'obbligo di allegazione riguarda tutti gli edifici a prescindere dall'epoca di costruzione e dalla
superficie utile.
L'abrogazione dell'obbligo di allegazione
L'art. 35, comma 2-bis, del D.L. 112/2008, come risulta dalla legge di conversione 6 agosto 2008,
n. 133 ha disposto l'abrogazione dei commi 3 e 4 dell'art. 6 e dei commi 8 e 9 dell'art. 15 del d.lgs.
192/2005 che prevedevano - rispettivamente - l'obbligo di allegazione agli atti traslativi a titolo
oneroso e la messa a disposizione del conduttore nei contratti di locazione di immobili. Questa
disposizione trova applicazione nelle Regioni che non hanno legiferato, restando impregiudicate le
diverse disposizioni (anche in ordine all'allegazione) adottate dalle Regioni che hanno adottato una
specifica disciplina.
Dal 29 marzo 2011
A partire dal 29 marzo 2011 è entrato in vigore il D.Lgs n. 28/2011 in tema di promozione dell'uso
di energia da fonti rinnovabili, pubblicato nel supplemento ordinario n.81 della Gazzetta Ufficiale n.
71 del 28 marzo 2011, che ha introdotto il nuovo comma 2-ter dell'art. 6 del dlgs 192/2005
(inserito a seguito dell'apertura di una procedura di infrazione a carico dello Stato Italiano, che - in
difformità rispetto alla Direttiva Comunitaria - aveva abrogato l'obbligo di consegna della
certificazione energetica).
Il nuovo comma 2 ter prescrive l'inserimento negli atti di compravendita e di locazione di
un'apposita clausola sulla certificazione energetica dei fabbricati, ricollocando tale aspetto al centro
della fase circolatoria degli immobili. Resta da valutare l'impatto che tale nuova disposizione avrà
sulle singole Regioni che hanno legiferato.
(www.codiceimmobili.ilsole24ore.com 1° aprile 2011)
 Le frane: monitoraggio, stabilizzazione e bonifica
1. I fenomeni franosi sono sempre improvvisi?
No, in molti casi i fenomeni franosi veri e propri sono preceduti da “segni” sul terreno che possono
essere individuati e osservati, come fessure di trazione, rigonfiamenti e avvallamenti anomali,
distacco di pietrame di piccola pezzatura da pareti rocciose, inclinazione anomala delle piante,
lesioni nei manufatti e sulle sedi stradali. Alcuni fenomeni franosi hanno un'evoluzione molto
rapida, altri possono manifestare segnali per lungo tempo.
2. L'evoluzione di un fenomeno franoso può essere controllata?
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Sì, una volta individuata un'area in cui siano evidenti segnali di franosità incipiente possono essere
messi in opera sistemi di controllo del movimento (monitoraggio) che, opportunamente analizzati,
possono portare a una previsione abbastanza certa dell'evoluzione del fenomeno.
3. Si può valutare la propensione alla franosità di un versante apparentemente stabile?
Sì, un pendio apparentemente stabile può essere soggetto a movimenti franosi in seguito a eventi
meteorici importanti, a interventi antropici errati (taglio di strade, drenaggio inefficace o
inopportuno delle acque a monte del sito). Tale propensione può essere preventivamente valutata
sia in base a considerazioni geomorfologiche (anche attraverso la sovrapposizione di carte
tematiche) sia geotecniche, mediante l'esecuzione di opportune indagini in sito (sia dirette sia
indirette).
4. È sempre necessario intervenire con opere invasive e con il cemento?
No, può capitare che gli interventi di stabilizzazione dei pendii siano sovradimensionati per eccesso
di prudenza; spesso sono disponibili soluzioni progettuali più “leggere” ma egualmente efficaci. In
alcuni casi opere in cemento armato si sono dimostrate inefficaci o addirittura dannose.
5. È possibile prevenire e stabilizzare i fenomeni franosi nel rispetto del paesaggio
naturale?
Fermo restando che la sicurezza rimane il primo obiettivo di un intervento di stabilizzazione, si va
affermando una filosofia d'intervento che prevede il corretto inserimento delle opere di
stabilizzazione nel paesaggio caratteristico di un'area, sia mediante l'utilizzo di materiali naturali sia
adottando tipologie costruttive affini a quelle tipicamente utilizzate in zona.
(Sergiampietri Luciano, Il Tecnico Legale, Il Sole 24 Ore, 4 aprile 2011, n. 6)
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Energia
 Emendamento del Governo: stop alla realizzazione di centrali nucleari
Il Governo ha deciso di soprassedere sul programma nucleare e ha inserito nella moratoria già
prevista nel decreto legge omnibus, all'esame dell'aula del Senato, l'abrogazione di tutte le norme
previste per la realizzazione di impianti nucleari nel Paese.
Cosa prevede l'emendamento
Con un emendamento al decreto legge omnibus l'Esecutivo propone «l'abrogazione di disposizioni
relative alla realizzazione di nuovi impianti nucleari». Al fine di acquisire ulteriori evidenze
scientifiche, si legge nell'emendamento, «non si procede alla definizione e attuazione del
programma di localizzazione, realizzazione ed esercizio nel territorio nazionale di impianti di
produzione di energia elettrica nucleare».
L'emendamento, secondo alcuni ambienti parlamentari, avrebbe anche l'effetto di superare il
referendum sul nucleare che incombe a giugno.
Giorgetti: su norma Cdp potrebbero esserci modifiche
Possibili modifiche anche sulla norma che riguarda Cassa depositi e prestiti. Lo annuncia l
sottosegretario all'Economia, Alberto Giorgetti, il quale tuttavia precisa che non si intede
«stravolgere la norma né appesantirla troppo». «Posso dire - ha affermato Giorgetti - che alcuni
contributi sono compatibili con la norma e verranno recepiti». Il sottosegretario ha spiegato che il
governo «intende dotarsi di uno strumento per sostenere i campioni nazionali, non certo aziende
decotte, nelle loro potenzialità di fronte a questa congiuntura straordinaria».
In Aula è iniziato l'esame degli emendamenti. Secondo il timing stabilito dalla conferenza dei
capigruppo di Palazzo Madama il via libera al provvedimento dovrebbe arrivare domani. Il decreto
passerà poi all'esame della Camera.
(Claudio Tucci http://www.ilsole24ore.com 19 aprile 2011)
 Rinnovabili al via con i progetti
Procedure amministrative «semplificate, accelerate, proporzionate e adeguate», sono quelle che
prevede il Dlgs 28/2011 per velocizzare l'installazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili.
L'autorizzazione unica (articolo 12, Dlgs 387/2003) viene modificata, viene introdotta la Pas
(procedura abilitativa semplificata) e sono chiarite le attività che costituiscono edilizia libera e
possono essere svolte sulla base di una semplice comunicazione.
Per il procedimento unificato che conduce al rilascio della autorizzazione unica, i termini vengono
dimezzati da 180 a 90 giorni, ma rimane escluso dal termine il tempo necessario alle verifiche
ambientali. Sarà un prossimo Dm a chiarire quando le modifiche sono sostanziali e dunque
soggette a una nuova autorizzazione unica, mentre le varianti non sostanziali sono assoggettate
alla Pas.
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La Pas è una procedura abilitativa semplificata che sostituisce a tutti gli effetti la Dia in materia di
energia. Al pari della Dia, è legittimato a presentarla presso il Comune competente il proprietario di
un terreno o di un manufatto, oppure chi ne abbia la disponibilità giuridica. Alla Pas sono allegati la
relazione di un progettista abilitato e gli elaborati progettuali. La relazione assevera la
«compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici approvati e i regolamenti edilizi vigenti e la
non contrarietà agli strumenti urbanistici adottati, nonché il rispetto delle norme di sicurezza e di
quelle igienico-sanitarie». Gli elaborati progettuali comprendono tanto quelli relativi all'impianto,
quanto anche (e qui è la novità rispetto alla Dia) gli elaborati tecnici per la connessione, redatti dal
gestore di rete.
Come nel caso della Dia, il Comune entro 30 giorni può inibire l'intervento. Decorso il termine,
«l'attività di costruzione deve ritenersi assentita» e possono essere iniziati i lavori. Il termine di 30
giorni non inizia a decorrere se sono necessari atti di assenso di natura non urbanistico-edilizia che
non sono allegati alla Pas.
Il decorso dei 30 giorni non impedisce che, nel limite di un termine ragionevole, il Comune possa
procedere in via di autotuela ad annullare il titolo, così come previsto per la Dia edilizia ai sensi
dell'articolo 38, comma 2-bis, del Dpr 380/2001 (annullamento del permesso di costruire) e
dell'articolo 21-nonies della legge 241/1990. Il Comune che intervenga in tal senso è tenuto a
bilanciare la tutela dell'interesse pubblico con l'affidamento formatosi nel privato (che sulla base
della Pas ha legittimamente iniziato a investire nel progetto) e dunque potrà procedere
all'annullamento solo in presenza di motivi di interesse pubblico aggiuntivi a quello della mera
ricostituzione della legittimità violata dal progetto.
I lavori devono essere conclusi entro tre anni dal perfezionamento della Pas e per la parte non
ultimata in termini è necessaria una nuova Pas. Da ultimo, è necessario protocollare la
comunicazione di fine dei lavori, alla quale devono essere allegati il certificato di collaudo finale di
conformità del l'opera al progetto e la ricevuta dell'avvenuta presentazione della variazione
catastale (o la dichiarazione di non modifica del classamento catastale).
Il limite di capacità per presentare la Pas è indicato nella Tabella A allegata all'articolo 12 del Dlgs
387/2003 (ad esempio, 20 kW per il fotovoltaico), ma le regioni possono estendere tale soglia fino
ad 1 MW.
Le regioni possono peraltro considerare attività edilizia libera la realizzazione di impianti alimentati
da fonti rinnovabili con potenza nominale fino a 50 kW, nonché gli impianti fotovoltaici di
qualsivoglia potenza da realizzare sugli edifici (salva la applicazione della normativa ambientale).
Per l'installazione di impianti solari termici è infine prevista una comunicazione a norma dell'articolo
11, comma 3, Dlgs 115/2008, nel rispetto dei criteri di aderenza al tetto, allineamento
all'orientamento della falda, rispetto della sagoma del l'edificio e comprensione della superficie
dell'impianto in quella del tetto, ivi indicati. Tali impianti possono, inoltre essere realizzati ai sensi
dell'articolo 6, comma 2, lettera a), e dell'articolo 123, comma 1, del Dpr 380/2001, nel rispetto
dei limiti ivi individuati per tipologia degli edifici e a condizione che vengano installati al di fuori dei
centri storici.
I Comuni percepiscono per le Pas ricevute gli oneri istruttori commisurati alla potenza
dell'impianto, che saranno determinati dall'atteso Dm attuativo della legge 129/2010 che ha
previsto tali oneri.
(Matteo Falcione e Guido A. Inzaghi, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011 )
 L'auto verde dal presente al futuro
Fiat: il motore a biometano sarà ecologico come quello elettrico
A batterie, a gas, ibride? Energia24.com ha chiesto a Ranieri Honorati (Fiat) qual è la
strategia del Lingotto sulle vetture a basse emissioni
Sull'auto ecologica del presente e del futuro, le idee sono molte e un po' confuse. Elettrica, ibrida,
o a metano/gpl? Queste sono le principali tecnologie che stanno segnando il prossimo terreno di
scontro tra le case automobilistiche, sempre più impegnate a definire i contenuti della “mobilità
sostenibile”. Tutti i principali costruttori di veicoli stanno elaborando qualche strategia per ridurre le
emissioni di CO2 (lo impone l'Europa) e uscire gradualmente dalla dipendenza petrolifera. Il
cosiddetto “downsizing” dei motori, con cilindrate minori e consumi ridotti, è già una realtà per
molti modelli, così come le campagne informative per insegnare agli automobilisti uno stile di guida
più amico dell'ambiente. Intanto, si stanno diffondendo le alimentazioni alternative ai carburanti
tradizionali: per esempio, circa il 15% delle auto vendute da Fiat in Italia nel 2010, senza incentivi,
possiede la doppia alimentazione benzina/metano (fonte Jato Dynamics). Energia24.com
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approfondisce questi temi proprio con il marchio torinese, per capire come si sta muovendo
l'industria nazionale dell'auto tra tecnologie consolidate e prospettive per il futuro. A spiegare il
punto di vista del Lingotto è Ranieri Honorati, responsabile marketing delle flotte di casa Fiat.
L'auto ecologica è un tema sempre più frequente nell'agenda di tutte le case
automobilistiche: lei come interpreta il concetto di “mobilità sostenibile”?
Significa soddisfare il bisogno crescente di mobilità, riducendo l'impatto ambientale della vettura
nel suo ciclo di vita. Secondo la nostra filosofia, non esiste un'unica soluzione per la mobilità
sostenibile, ma una combinazione di tecnologie tradizionali e alternative. Per questo motivo,
l'impegno di Fiat spazia dall'innovazione sui propulsori benzina e diesel per migliorare l'efficienza e
ridurre le emissioni, allo sviluppo di nuove alimentazioni, fino a coinvolgere il cliente per educarlo a
uno stile di guida più responsabile, efficiente ed ecologico.
Proviamo ad allargare un po' l'orizzonte: secondo lei quale sarà l'auto a basse emissioni
più diffusa tra dieci o quindici anni (gpl/metano, elettrica, ibrida)?
L'analisi “well to wheel” (dal pozzo alla ruota, ndr), che confronta tra loro le diverse soluzioni
tecnologiche, non solo per l'efficienza del veicolo, ma anche per produrre, trasportare e
immagazzinare la fonte d'energia, dimostra che lo sviluppo del metano, attraverso il biometano
generato da fonti rinnovabili, porterà vantaggi ecologici analoghi a quelli dell'alimentazione
elettrica. Quest'ultima, però, ha dei punti aperti difficili da superare, in particolare i costi, i tempi di
ricarica e i limiti di percorrenza.
Però alcuni concorrenti, come Renault e Toyota, stanno investendo moltissimo sulle
vetture elettriche o ibride. Quali sono i principali vantaggi e svantaggi di queste
tecnologie?
Ritengo che si possa correre un rischio nello spostare tutta l'enfasi su questa tecnologia, che può
essere una delle più promettenti a lungo termine, ma non l'unica. Basti pensare al seguente limite:
oggi con cento kg di celle elettriche, si riescono a percorrere solo cento km. Focalizzarsi
esclusivamente nel promuovere questo tipo di trazione, potrebbe portare a un incremento dei costi
senza benefici immediati e concreti.
Fiat è la casa automobilistica con le più basse emissioni medie di CO2 in Europa, già
sotto il limite di 135 g/km fissato dall'Unione europea per il 2015. Il lancio di nuovi
modelli derivati da Chrysler (con dimensioni e cilindrate maggiori), soprattutto nel
marchio Lancia, potrebbe compromettere questo primato?
Certamente, da un lato, il lancio di nuovi modelli con dimensioni e cilindrate maggiori aumenterà i
livelli di emissioni di CO2 su alcune vetture, ma dall'altro lato, le innovazioni tecnologiche
sull'efficienza dei propulsori benzina/diesel e la leadership nelle alimentazioni alternative, ci
permettono di mantenere solidamente il nostro primato. Pensiamo, per esempio, alla 500 Twinair,
che emette 95 grammi di CO2 per ogni km percorso, o alla Punto con il motore Multijet di seconda
generazione da 90 g/km.
Recentemente, Fiat ha introdotto un motore a benzina più potente (120 cv) sul nuovo
Doblò Natural power. Crede che altri modelli adotteranno questo propulsore?
La tecnologia Natural power su un propulsore turbo sarà estesa a nuovi modelli. L'approccio di Fiat
è ampliare l'offerta, combinando tecnologie tradizionali e alternative. Per proporre un altro
esempio, in futuro applicheremo il bicilindrico Twinair a un motore Natural power per raggiungere
un livello d'emissioni pari a 80 g/km.
Pensa che esista un'ansia da autonomia anche per i veicoli a benzina/metano, dovuta al
numero insufficiente di distributori di metano nel nostro paese (in particolare, fuori dei
principali centri urbani)?
La doppia alimentazione nasce proprio dalla necessità di abbinare ai vantaggi del metano, la facilità
di rifornimento della benzina, per fornire una soluzione confortevole anche nelle zone dove i
distributori a metano sono meno diffusi. In questo modo il metano non rappresenta un vincolo
imprescindibile per il cliente, ma un'opportunità per ridurre i costi e le emissioni di CO2.
(Luca Re http://energia24club.it , 7 aprile 2011)
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 Batterie raccogli-energia
Batterie speciali per immagazzinare l'energia ricavata dalle fonti rinnovabili. Le ha presentate
Fraunhofer, la nota organizzazione europea per la ricerca. Affrontano uno dei problemi che più
minaccia la sostenibilità economica di alcune energie rinnovabili (eolico, fotovoltaico): la
discontinuità della produzione. Da tempo la ricerca ipotizza batterie adatte a immagazzinare
l'energia prodotta in eccesso da queste fonti, per poi immetterla in rete nei momenti di calo (se
non c'è sole o vento). Le batterie di Fraunhofer sono un tassello in questa direzione. Sono a flusso
ricaricabile redox: chiamate così perché entrambe le semicelle della batteria hanno coppie redox di
vanadio chimico, per eliminare problemi di contaminazione dovuti alla diffusione di ioni attraverso
la membrana. Il vantaggio di questa tecnologia è che per aumentare la capacità basta usare
serbatoi di maggiore grandezza. Lo svantaggio principale è il basso rapporto tra energia e volume
della batteria. L'obiettivo è quindi realizzare grandi impianti fissi, da almeno 20 MWh (quanto un
campo da pallavolo), con queste batterie. Sarebbe un'energia sufficiente ad alimentare circa 2mila
abitazioni. Ma si è ancora lontani dal riuscirci. La batteria di Fraunhofer per ora arriva a 2 kW. I
ricercatori già lavorano però per migliorare la scala: prevedono la nascita del primo impianto a 20
kW entro fine 2012 e di costruire una batteria da 80 kW nei propri laboratori. Ci vorranno almeno
cinque anni, secondo Fraunhofer, per superare la soglia del megawatt.
(Alessandro Longo, Il Sole 24 ORE Nova24 7 aprile 2011)
 Il solare flessibile
L'innovazione passa da specchi parabolici più piccoli, turbine a temperature minori e
impianti ibridi
Il solare a misura dell'Italia nasce in queste settimane ad Hawaii. Dove la Sopogy Usa,
specializzata in piccoli specchi parabolici, sta installando un campo solare da 5,5 megaWatt per
dare elettricità (là piuttosto costosa) all'isola. Usando come "motori" due turbine della Turboden di
Brescia, capaci di lavorare con efficienza anche alle medie temperature dell'olio riscaldato nel
campo di specchi.
Il primo esempio, in pratica, di un solare termodinamico innovativo. Capace di produzione elettrica
(e termica) continua, ma su spazi relativamente piccoli, flessibile, modulare, espandibile e
soprattutto a costi bassi e in futuro decrescenti. Forse con una traiettoria verso la "grid parity" (la
parità di mercato dell'energia prodotta) pari al fotovoltaico.
«Il termodinamico, a grandi campi di specchi parabolici o torri che concentrano il calore solare a
400 o persino a mille gradi finora è stato sinonimo di grandi impianti – spiega Diego Maria Albrigo
di Turboden – ovvero taglie da 50-100 megaWatt, alte temperature dei fluidi termovettori (olii
speciali o sali fusi), grandi campi da almeno 200 ettari in zone desertiche». Le aziende spagnole e
americane i loro conti, a proposito, se li sono fatti bene. Questo solare termodinamico, fino alle
grandi turbine a vapore surriscaldato, funziona con efficienza, soltanto su queste scale «ma in
Italia, e non solo, sarebbe impossibile trovare estensioni di tale ampiezza. Di qui un approccio
diverso». È quello che aziende come la Turboden di Brescia, la Fera di Milano e la Xeliox del gruppo
Donati stanno sviluppando. «Il primo punto sta nel "motore". La turbina tradizionale non è
efficiente a 2-300 gradi, media temperatura. Le nostre invece, che lavorano con fluidi siliconici
basso-bollenti, danno in quella fascia un buon 25% di efficienza. Questo significa che l'intero
campo solare non deve lavorare a oltre 400 gradi, con grandi specchi alti cinque metri e tubi di
concentrazione in vetro sottovuoto e materiali speciali, ma a 2-300 gradi: in questo modo si
possono usare specchi più piccoli, olii minerali normali più economici e rendere ibrido e modulare
l'impianto».
Per esempio un grande cementificio italiano in Marocco già usa le turbine bresciane per il recupero
di energia dai fumi dell'impianto (al 70%). E sta valutando un altro 30% di energia che potrebbe
venire dagli specchi solari. «Le fonti di calore a media temperatura si possono combinare tra loro –
spiega Paolo Bertuzzi, direttore commerciale di Turboden –. Oggi abbiamo alcuni progetti in aree
agricole che associano caldaie a biomassa con il solare. Insieme a un semplice serbatoio di
accumulo dell'olio caldo. In questo modo si possono realizzare impianti da un megaWatt su 3-4
ettari. Capaci di energia continua, a chilometro zero e su estensioni ragionevoli». Il costo di
investimento di un impianto di questo tipo si aggira intorno ai tre euro per watt e con la tariffa
incentivata in vigore (28 centesimi al chilowattora) la stima della Turboden è che l'impianto si
ripaghi in otto anni. E infine questi tre euro per watt sono solo l'inizio. I costi scenderanno, per
esempio con lo sviluppo di tecnologie più semplici come gli specchi piani di Fresnel che la Fera sta
sviluppando in Sicilia. E a due euro per watt il termodinamico ibrido e flessibile «Made in Italy»
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potrebbe davvero decollare su vasta scala.
(Giuseppe Caravita, Il Sole 24 ORE Nova24 7 aprile 2011)
 Terna completa la cessione di Rete Rinnovabile
Operazione da oltre 600 milioni di euro: la società specializzata nel fotovoltaico passa al
fondo Terra Firma
Nell'approvare “il miglior bilancio degli ultimi cinque anni”, il consiglio d'amministrazione di Terna
chiude il 2010 con investimenti diretti in due direzioni. Non solo verso le attività tradizionali
(potenziamento delle linee elettriche nazionali), ma anche verso le fonti alternative; e proprio in
quest'ultimo settore, Terna ha completato nei giorni scorsi la cessione al fondo di private equity
Terra Firma del cento per cento di Rete rinnovabile, società specializzata nel fotovoltaico e
controllata da Terna attraverso SunTergrid. Il valore complessivo dell'operazione, prevista
dall'accordo siglato lo scorso ottobre dalle parti interessate, è pari a 641 milioni di euro. Come si
legge in una nota della società che gestisce la rete elettrica italiana, “la cessione della
partecipazione di Rtr ha generato proventi netti complessivi di circa 204 milioni di euro”. Rete
rinnovabile possiede 62 impianti fotovoltaici in undici regioni del nostro paese, con una potenza
totale installata di 143,7 Mw di picco; 101,6 Mw riceveranno le tariffe del conto energia 2010,
mentre i restanti rientrano nel terzo conto energia in vigore fino al primo quadrimestre 2011.
Terna, come stabilito da contratti pluriennali nell'ambito della cessione, fornirà diversi servizi a
Rete rinnovabile, tra cui la manutenzione e sorveglianza degli impianti, oltre all'affitto dei terreni.
Grazie a quest'operazione, Terna ridurrà l'indebitamento finanziario netto effettivo delle attività
continuative del gruppo per oltre 200 milioni di euro. I proventi, aggiunge la nota della società,
saranno reinvestiti nel 2011 per sviluppare nuovi progetti fotovoltaici, mentre una parte della
somma servirà per integrare la politica di dividendi.
(http://energia24club.it , 4 aprile 2011)
 Il solare termico italiano può cambiare passo
Dopo un 2010 positivo, il settore dovrebbe beneficiare della riforma degli incentivi
stabilita dal Decreto rinnovabili
Per il solare termico italiano sembra arrivata l'ora della svolta: archiviato un 2010 positivo, il
comparto è atteso nei prossimi anni ad una grande crescita, grazie alle novità attese nel sistema di
incentivazione e allo sviluppo degli interventi di riqualificazione energetica residenziale. Il quadro
positivo è tratteggiato dall'ultima edizione del Solar Energy report del Politecnico di Milano. Eppure,
a livello europeo, il 2010 non è stato un anno fortunato per il mercato del solare termico: a livello
continentale sono stati infatti installati circa 3,6 milioni di m2 di nuovi collettori solari, il 14% in
meno rispetto al 2009. La potenza cumulata a fine 2010 risultava invece pari a 24,7 Gwth, a cui
corrispondevano circa 35,3 milioni di m2 di collettori solari. Il rallentamento è stato provocato
soprattutto dal blocco temporaneo degli incentivi del Paese leader di mercato, ovvero la Germania,
dove la nuova capacità installata è diminuita del 26% rispetto al 2009.
L'Italia, al contrario, ha fatto segnare una performance in controtendenza: la nuova capacità
installata è cresciuta lo scorso anno del 2% rispetto al 2009, per un totale di 400.000 m2 di
collettori e un volume d'affari complessivo di quasi 500 milioni di euro. Il dato fa dell'Italia il
secondo Paese europeo in termini di installazioni annuali (la Germania resta comunque al primo
posto) e la potenza cumulata è così salita a circa 1,7 Gwth a fine 2010. Il comparto, osserva la
ricerca del Politecnico, è stato spinto dalla detrazione fiscale del 55% per le spese sostenute per la
riqualificazione energetica degli edifici, che ha sostenuto efficacemente le installazioni. Eppure il
solare termico nel nostro Paese presenta ancora un grande potenziale inespresso, specialmente in
quelle aree dove sarebbe più conveniente, ovvero nelle regioni a elevato irraggiamento. Al
contrario, la grande maggioranza della potenza installata (64%) si trova nelle regioni del Nord (che
in buona parte hanno recepito i requisiti minimi di installazione del solare termico stabilito dal Dlgs
192 del 19/8/2005) il 23% al centro e soltanto il 13% nel Meridione.
A cambiare questa situazione potrebbe essere l'attesa rivoluzione nel sistema di incentivazione.
Una novità, in realtà,è già stata introdotta dalla finanziaria 2011 e non è stata certo salutata con
soddisfazione dagli operatori del settore: il Governo ha infatti stabilito che, a partire dal 2011, la
detrazione fiscale del 55% sarà rimborsata in 10 anni e non più in 5. Il provvedimento, secondo le
associazioni di categoria, rischia di scoraggiare gli investimenti. In compenso però, il Decreto
rinnovabili dello scorso marzo (contestatissimo dalle associazioni del fotovoltaico) riconosce pari
dignità all'energia termica e all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, superando così uno
storico gap del sistema di incentivazione nazionale. In particolare l'articolo 26 del Decreto stabilisce
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l'introduzione di specifici incentivi per la produzione di energia termica da fonti rinnovabili e per gli
interventi di efficienza energetica di piccole dimensioni. A partire dal 31 dicembre 2011 (periodo in
cui dovrebbe aver termine la detrazione del 55%) per questi impianti saranno rilasciati incentivi
commisurati alla quantità di energia prodotta, per una durata non inferiore ai 10 anni a decorrere
dalla data di conclusione dell'intervento. Al momento l'ammontare di questi incentivi è ancora
sconosciuto, ma entro i prossimi cinque mesi il Governo indicherà le tariffe nei decreti attuativi.
Sicuramente il solare termico beneficerà anche di una semplificazione normativa: l'articolo 6 bis del
Decreto rinnovabili indica che gli interventi di installazione dei collettori sono da considerarsi come
attività di edilizia libera, per cui è sufficiente l'obbligo di comunicazione di inizio dei lavori (anche
per via telematica) all'amministrazione comunale competente. Queste novità normative, unite alla
spinta europea per la neutralità energetica degli edifici, dovrebbero spingere il solare termico in
Italia dove, tra l'altro, potrebbe anche affermarsi la tecnologia del solar cooling (climatizzazione
con enegia solare).
(G. Tor. http://energia24club.it 13 Aprile 2011)
 La Cina guida la crescita degli investimenti nelle fonti pulite
L'incremento nel 2010 è stato del 30%, per un ammontare complessivo pari a 243
miliardi di dollari
Gli investimenti in energia pulita (eolica, solare, ecc.) sono saliti del 30% nel 2010, raggiungendo i
243 miliardi di dollari a livello mondiale, con la Cina in testa al gruppo, secondo un rapporto del
Pew Charitable Trust, Ong americana. "Il centro di gravità dell'energia pulita è ormai in movimento
da ovest (Europa e Usa) a est (Cina, India e altri paesi asiatici)", ha evidenziato l'organizzazione.
La Cina è il paese che ha attirato la maggior parte degli investimenti in energia pulita nel 2010, con
54,4 miliardi dollari, seguita da Germania (41,2 miliardi), Stati Uniti (34), Italia (13,9) e Brasile
(7,6). In percentuale del prodotto interno lordo, la Germania è il paese che ha fornito il massimo
sostegno a favore delle energie verdi nel 2010 (1,4% del Pil).
Gli investimenti in Germania sono stati sostenuti da "un aumento massiccio di pannelli solari di
piccole dimensioni sui tetti", secondo Pew. La Cina, invece, deve il suo status di "superpotenza
energetica pulita" a obiettivi aggressivi e a "una chiara ambizione" di dominare il settore. Nel 2010,
Pechino ha fornito quasi metà dei moduli solari e delle turbine eoliche del mondo. Il Paese ha
anche concentrato il 47% degli investimenti globali in energia eolica. Al contrario gli Stati Uniti, in
prima posizione sino al 2008, hanno perso terreno nella competizione globale a causa della
mancanza di politiche energetiche "ambiziose e prevedibili". Per la prima volta, l'India si è iscritta
al top 10 della classifica, assorbendo quattro miliardi di dollari, per un aumento del 25 per cento.
Il rapporto americano cita anche l'Italia, che ha attirato l'anno scorso 13,9 miliardi dollari,
migliorando la sua posizione a livello mondiale al quarto posto, in netto progresso rispetto
all'ottava piazza del 2009. Addirittura, secondo la Pew, l'Italia sarebbe il primo paese a raggiungere
la grid parity per l'energia solare (in realtà, come dimostra il dibattito sugli incentivi, gran parte del
territorio nazionale è ben lontano da questo obiettivo, ndr). Complessivamente la capacità
installata globale di energia pulita è stata pari a 388 Gw nel 2010, equivalenti a circa 400 reattori
nucleari, di cui il 25% installato in Cina. Il vento costituisce la quota maggiore con 193 Gw, seguita
dalle piccole centrali idroelettriche (80 Gw), le biomasse (65 Gw) e l'energia solare (43 Gw).
L'energia eolica ha continuato a essere anche la tecnologia favorita dagli investitori, con ben 95
miliardi di dollari di capitali. Tuttavia, il settore solare ha registrato una crescita significativa nel
2010, con investimenti in crescita del 53%, per una cifra record di 79 miliardi dollari e più di 17 Gw
di nuova capacità di generazione a livello globale. In questo caso, la parte del leone è stata fatta
dalla Germania, che ha rappresentato il 45% degli investimenti globali in energia solare.
Dall'analisi degli investimenti emergono aspetti importanti: la grande maggioranza (118 milioni di
dollari, +15% rispetto al 2009) è rappresentata da operazioni di asset financing, ovvero denaro
investito nella realizzazione di nuovi impianti di generazione. Altri 56,4 miliardi di dollari (+100%)
sono stati destinati ai piccoli impianti di generazione distribuita, ovvero con capacità inferiore a 1
Mw. Il public market financing, ovvero il denaro investito nelle aziende “green” quotate in Borsa,
vale 15,9 miliardi di dollari, il 27% in più rispetto al 2009, ma comunque sotto ai livelli di picco del
2007 (oltre 23 miliardi). Buona anche la performance del venture capital nelle energie pulite: i
finanziamenti dei fondi di investimento sono cresciuti del 26%, per un totale di 8,1 miliardi di
dollari, di cui oltre sei arrivano dagli Usa. Trentacinque miliardi di dollari, infine, sono attribuibili a
investimenti pubblici e privati in ricerca e sviluppo.
"Il settore dell'energia pulita sta emergendo come uno dei più dinamici e competitivi del mondo,
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come testimonia il 630% di crescita nel campo della finanza e degli investimenti dal 2004 a oggi",
ha dichiarato Phyllis Cuttino, direttore del Pew's Clean Energy Program. "Paesi come Cina,
Germania e India sono stati attraenti per i finanziatori perché hanno politiche nazionali che
supportano gli standard di energia rinnovabile, gli obiettivi di riduzione del carbonio, assicurano
incentivi per gli investimenti e la produzione e sono in grado di offrire certezze a lungo termine per
gli investitori".
(http://energia24club.it , 1° aprile 2011)

Fisco
 Cedolare secca sugli affitti
In merito all’esercizio, da parte del locatore, dell’opzione per l’applicazione della cedolare secca, è
stabilito che la stessa vada esercitata in sede di registrazione del contratto o, in caso di proroga
dello stesso, nel termine di versamento dell’imposta di registro. In caso di contratti che non
necessitano della registrazione in termine fisso, il locatore può applicare la cedolare in sede di
dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è prodotto il reddito o, in alternativa, in
sede di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria. L’opzione vincola il locatore per
tutta la durata del contratto o della proroga o per il residuo periodo di durata del contratto (se
l’opzione viene esercitata nelle annualità successive alla prima).
Si ricorda che la cedolare secca, calcolata sul canone di locazione stabilito dalle parti, sostituisce
l’Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dagli immobili cui si riferisce l’opzione,
l’imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del
contratto e l’imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione.
In merito al versamento della cedolare secca, è disposto che lo stesso debba essere effettuato con
le modalità di cui all’art. 19, D.Lgs. 241/1997.
In particolare, per il versamento del saldo si applicano le norme relative al versamento del saldo
dell’Irpef, mentre per il versamento dell’acconto, va fatta la seguente distinzione:
- per il 2011, il versamento dell’acconto (nella misura dell’85% dell’imposta dovuta) va fatto in
unica soluzione entro il 30.11.2011 (se inferiore a e 257,52), o in due rate (se pari o superiore a e
257,52%) la prima del 40% entro il 16.6.2011 o entro il 18.7.2011 (con la maggiorazione dello
0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11.2011;
- dal 2012, il versamento dell’acconto (nella misura del 95% dell’imposta dovuta per l’anno
precedente) va effettuato in unica soluzione entro il 30.11 di ogni anno (se inferiore a e 257,52) o
in due rate (se pari o superiore a e 257,52) la prima del 40% entro il 16.6 di ogni anno o entro il
16.7 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11 di ogni anno.
(R.Co. , Il Sole 24 ORELa Settimana Fiscale, n. 15/2011)
 Scelta sulla cedolare secca: tutto pronto per procedere
Con l'approvazione del provvedimento dell'Agenzia delle entrate 7 aprile 2011 è ora possibile
optare per l'applicazione dell'imposta sostitutiva (cedolare secca) sulla tassazione del reddito da
locazione derivante dal possesso di beni immobili a uso abitativo e relative pertinenze locate da
persone fisiche. In particolare, il provvedimento in questione disciplina in merito alle modalità di
esercizio dell'opzione, alla durata e revoca dell'opzione e al versamento in acconto e a saldo
dell'imposta sostitutiva.
Come ormai noto, la possibilità di optare per il nuovo regime facoltativo di imposizione degli
immobili locati a uso abitativo consiste nell'applicazione sul canone di locazione di un'imposta
sostitutiva determinata come "cedolare secca" (21% per i contratti a canone libero e 19% per
quelli a canone concordato). L'imposta dovuta nella forma della cedolare secca sostituirà:
• l'Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dalle unità immobiliari alle quali
si riferisce l'opzione, nei periodi d'imposta ricadenti nel periodo di durata dell'opzione;
• l'imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del
contratto per il quale si applica l'opzione;
• l'imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione.
Inoltre, la cedolare sostituisce l'imposta di registro e l'imposta di bollo, ove dovuta, sulle risoluzioni
e proroghe del contratto di locazione qualora:
• alla data della risoluzione anticipata sia in corso l'annualità per la quale è stata esercitata
l'opzione per la cedolare secca;
• venga esercitata l'opzione per la cedolare secca per il periodo di durata della proroga.
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Esercizio dell'opzione.
Il provvedimento stabilisce che l'opzione vada espressa in sede di registrazione del contratto con le
seguenti modalità:
• presentazione diretta (cartacea) all'ufficio del "nuovo modello 69" (che per inciso può
sostituire anche il modello CDC per la comunicazione dei dati catastali);
• invio telematico del software "Siria" (Servizio Internet per la registrazione dei contratti
relativi ad immobili adibiti ad abitazione), solo se il contratto rispetta determinate
caratteristiche.
Il provvedimento prevede poi l'applicazione di una disciplina transitoria avente efficacia per l'anno
d'imposta 2011, dove viene disciplinato che per i contratti già in corso alla data di entrata in vigore
del provvedimento (7 aprile 2011) il locatore può applicare la cedolare secca in sede di
dichiarazione dei redditi da presentare nell'anno 2012 per i redditi 2011. Tale facoltà può essere
esercitata anche per tutti i contratti in corso anche se scaduti o volontariamente risolti prima del 7
aprile 2011.
Nel provvedimento si specifica poi che per i contratti in corso alla data del 7 aprile 2011 per cui
sono state già assolte le imposte indirette applicabili al contratto non si fa luogo al rimborso
dell'imposta di registro e di bollo versate. Per ciò che attiene, invece, alle imposte dirette va
specificato che, in ipotesi di volontà di avvalersi del regime opzionale fin già dal 2011 il locatore è
tenuto per il periodo d'imposta 2011 al versamento dell'acconto secondo le modalità più sotto
specificate.
Una sorte di "mini proroga" è poi prevista per i contratti per i quali il termine di registrazione scade
tra il 7 aprile 2011 e il 6 giugno 2011 dove, anche ai fini dell'opzione, la registrazione può essere
effettuata entro tale ultimo termine (1).
Alla luce di quanto esposto l'opzione può essere così esercitata:
SCADENZA
QUANDO OPTARE
COMMENTI
Contratti in corso già registrati al 7
aprile 2011 (anche se risolti, scaduti o
prorogati alla stessa data), con
imposta di registro già pagata
In dichiarazione dei redditi
2012 (periodo d'imposta
2011)
No rimborso imposta di registro
e bollo già pagati. Il locatore
deve versare l'acconto se dovuto
Contratti registrati a partire dal 7
aprile 2011 o prorogati e con
versamento dell'imposta di registro
non scaduta
Con la registrazione del
contratto
Per i contratti prorogati l'opzione
va fatta con il modello 69
Contratti per cui la registrazione scade Entro il 6 giugno 2011
tra oggi e il 6 giugno 2011
Contratti risolti a partire da oggi o per i Entro il termine di
versamento dell'imposta di
quali non è ancora scaduto il termine
registro relativa alla
di pagamento dell'imposta di registro
risoluzione
dovuta per la risoluzione
Nel caso di contratti per i quali non sussiste l'obbligo di registrazione in termine fisso, l'opzione
potrà essere esercitata direttamente in sede di dichiarazione dei redditi o, qualora il contratto sia
registrato per il caso d'uso o volontariamente, in sede di registrazione.
Risoluzione del contratto nel 2011. In caso di risoluzione del contratto di locazione in corso alla
data del 7 aprile 2011 o di risoluzione per la quale, alla stessa data, non è scaduto il termine per il
pagamento dell'imposta di registro, l'opzione per la cedolare secca si può esprimere entro il
termine di versamento dell'imposta di registro per la risoluzione, mediante il modello 69, e ha
effetto per l'applicazione della cedolare secca relativa all'anno 2011. L'opzione espressa in sede di
risoluzione del contratto consente di non versare l'imposta di registro e l'imposta di bollo, ove
dovuta, sulla risoluzione stessa e il locatore è tenuto al versamento dell'acconto, se dovuto, della
cedolare secca relativa al periodo d'imposta 2011.
Contratti aventi a oggetto più immobili. Nel caso in cui il contratto di locazione riguardi unità
immobiliari abitative, per le quali viene esercitata l'opzione per l'applicazione della cedolare secca,
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e altri immobili per i quali non è esercitata l'opzione, l'imposta di registro è calcolata solo sui canoni
riferiti a questi ultimi immobili. Se il canone è pattuito unitariamente, l'imposta di registro è
calcolata sulla parte di canone imputabile a ciascun immobile in proporzione alla rendita. In ogni
caso, si deve pagare l'imposta di bollo sul contratto di locazione.
Contitolarità dei diritti sull'immobile. In caso di contitolarità dell'immobile, l'opzione deve
essere esercitata distintamente da ciascun locatore. I locatori contitolari che non esercitano
l'opzione sono tenuti al versamento dell'imposta di registro calcolata sulla parte del canone di
locazione loro imputabile in base alle quote di possesso. Deve essere comunque versata l'imposta
di bollo sul contratto di locazione. L'imposta di registro deve essere versata per l'intero importo
stabilito nei casi in cui la norma fissa l'ammontare minimo dell'imposta dovuta.
Durata e revoca. L'opzione, una volta esercitata, vincolerà il locatore all'applicazione del regime
della cedolare secca per l'intero periodo di durata del contratto o della proroga, salva sempre la
facoltà di revoca dell'opzione. La revoca va effettuata entro il termine previsto per il pagamento
dell'imposta di registro relativa all'annualità di riferimento e comporta il versamento dell'imposta
dovuta. L'eventuale revoca non preclude, comunque, la possibilità di optare nelle annualità
successive residue di contratto. Così come il mancato esercizio dell'opzione, nella prima annualità
del contratto, non preclude la possibilità di opzione per le annualità successive, nel termine per il
versamento dell'imposta di registro, con presentazione del modello 69.
Comunicazione all'inquilino. Il locatore (proprietario) che decide di avvalersi del nuovo regime
deve darne comunicazione al conduttore (affittuario). La comunicazione va effettuata (pena
l'inefficacia dell'opzione) con raccomandata e deve contenere la rinuncia alla facoltà di chiedere,
per tutta la durata dell'opzione, l'aggiornamento del canone di locazione, anche se è previsto nel
contratto, inclusa la variazione accertata dall'Istat dell'indice nazionale dei prezzi al consumo per le
famiglie di operai e impiegati dell'anno precedente.
Come si versa. La cedolare deve essere versata entro il termine stabilito per il versamento Irpef
(acconto e saldo). Per il 2011, l'acconto deve essere versato nella misura dell'85% e, a partire dal
2012, nella misura del 95 per cento. Il versamento dell'acconto va effettuato con gli stessi criteri
dell'acconto Irpef, e quindi in un'unica soluzione, entro il 30 novembre 2011, se l'importo è
inferiore a 257,52 euro. Se l'importo dovuto è superiore a 257,52 euro, si versa in due rate, di cui:
• la prima, del 40%, entro il 16 giugno 2011 oppure entro il 18 luglio 2011 con la
maggiorazione dello 0,40% a titolo di interesse;
• la seconda, del restante 60%, entro il 30 novembre 2011.
L'acconto non è dovuto se il contratto è stipulato nel mese in cui cade il termine del versamento. In
particolare:
• l'acconto da versare entro il 16 giugno è dovuto per i contratti stipulati entro il 31 maggio e
non è dovuto per i contratti stipulati a partire dal 1° giugno;
• l'acconto da versare entro il 30 novembre è dovuto se il contratto è stipulato entro il 31
ottobre.
L'acconto non deve essere versato per i contratti stipulati a partire dal 1° novembre. A partire dal
2012 l'acconto (pari al 95%) potrà essere calcolato anche con il metodo storico, sulla cedolare
secca dell'anno precedente.
I modelli per l'approvazione
Come sopra segnalato, pertanto, l'opzione, verrà esercitata o con il rivisto modello 69 o col nuovo
modello telematico semplificato di denuncia "Siria". Quest'ultimo modello telematico, tuttavia può
essere utilizzato per la registrazione del contratto e della relativa opzione solo se la locazione
presenta le seguenti caratteristiche:
• numero di locatori non superiore a tre tutti optanti tutti per la cedolare;
• numero dei conduttori non superiore a tre;
• una sola unità abitativa con massimo tre pertinenze, a condizione che tutti gli immobili
siano censiti con attribuzione di rendita;
• contiene esclusivamente la disciplina del rapporto di locazione e non altre pattuizioni.
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Relativamente al modello 69, si rileva che lo stesso è stato modificato per permettere l'esercizio
dell'opzione in tutte le ipotesi contemplate nel provvedimento (quindi, anche in caso di proroghe o
risoluzioni del contratto). Il nuovo modello 69 potrà anche sostituire il modello di "Comunicazione
dati catastali CDC" (provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate 25 giugno 2010) per gli
adempimenti a esso connessi. Sul punto si rileva che nel citato modello va posta particolare
attenzione ai quadri E ed F da compilare con particolare attenzione in quanto previsti solo in ipotesi
di contratti di locazione a uso abitativo. Nella fattispecie, si segnala che nel riquadro di cui alla
lettera F va posta particolare attenzione all'ultima colonna, nella quale bisogna indicare l'opzione
per la cedolare secca.
_____
(1) Ad esempio per un contratto di locazione concluso in data 15 marzo 2011, c'è tempo per poter procedere con la
registrazione del contratto, anche ai fini dell'esercizio dell'opzione, fino al 6 giugno 2011.
(Lorenzo Pegorin, Il Sole 24 ORE - Guida Normativa, 12 aprile 2011, n. 70)
 La cedolare secca subito alla prova dell'acconto all'85%
La cedolare secca subito alla prova dell'acconto all'85%
Per due milioni di proprietari di abitazioni affittate, è arrivato il momento della scelta. Cedolare
secca sì o no? L'aliquota al 21% sul reddito da locazione (19% per i canoni concordati) chiama tutti
– fin da subito – a destreggiarsi tra due momenti chiave: l'esercizio dell'opzione e il pagamento
dell'acconto d'imposta.
I proprietari di abitazioni date in affitto in virtù di contratti già registrati potranno applicare la
cedolare nel 730 o in Unico 2012. Nell'immediato, le loro incombenze saranno il versamento
dell'acconto – entro il 16 giugno – e l'invio della raccomandata all'inquilino, con cui lo informano di
aver scelto la cedolare e rinunciano all'aggiornamento del canone.
Diversa, invece, la situazione di coloro che stanno stipulando in queste settimane un nuovo
contratto. I proprietari che alla data del 7 aprile – giovedì scorso – dovevano ancora registrare il
contratto di locazione, avranno tempo per farlo fino al 6 giugno e potranno scegliere la cedolare al
momento della registrazione (in via telematica con il software Siria o con il modello 69 cartaceo).
Anche per loro, poi, ci sarà l'appuntamento con l'acconto.
Il test di convenienza
Il calcolo della convenienza va fatto confrontando prima
di tutto le aliquote "piatte" (21% o 19%) con l'aliquota
marginale Irpef che si applica al contribuente. Bisogna
tenere conto del fatto che la cedolare si applica su tutto il
canone, mentre l'Irpef ha le deduzioni forfettarie (15%
sul canone di mercato, 40,5% su quello concordato). Ma
non ci si può fermare qui: va anche valutato il fatto che
la cedolare assorbe l'imposta di bollo e di registro (senza
restituire quelle già versate) più le addizionali comunali e
regionali. Mentre, in negativo, "congela" il canone.
In generale, la cedolare conviene a chi si colloca almeno
nel secondo scaglione Irpef (dai 15mila euro di reddito in
su) e affitta a canone libero, mentre se il canone è
concordato la convenienza è certa solo dal terzo
scaglione (dai 28mila euro).
Tutto questo senza considerare le detrazioni: chi ha il 36 o il 55%, a esempio, potrebbe vedere il
bonus fiscale vanificato (per incapienza) dalla minor Irpef legata alla scelta della cedolare.
Gli acconti
Per stabilire l'importo dell'acconto bisogna calcolare l'85% della cedolare dovuta per il 2011,
tenendo conto che:
- per importi fino a 51,65 euro l'acconto non è dovuto;
- se il risultato è inferiore a 257,52 euro, l'acconto è versato tutto entro il 30 novembre;
- se il risultato è uguale o superiore a 257,52 euro, l'acconto è versato in due rate: la prima, nella
misura del 40%, entro il 16 giugno; la seconda, nella misura del 60%, entro il 30 novembre.
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A esempio, su un contratto con un canone di mercato di 6mila euro all'anno (500 euro al mese)
registrato nel 2010, l'acconto per il 2011 è di 1.071 euro, con una prima rata di 428,40 euro e una
seconda di 642,60.
Inoltre, il versamento della prima rata può essere rinviato al 18 luglio con la maggiorazione dello
0,40% oppure rateizzato seguendo le stesse regole previste per l'Irpef. Dato che la norma è
appena entrata in vigore, viene prevista anche una disciplina transitoria: i contratti con decorrenza
dal 1° giugno in poi, versano sempre l'acconto in una rata unica entro il 30 novembre; quelli con
decorrenza dal 1° novembre, invece, non versano acconto.
L'incrocio con il 730
L'acconto va sempre versato con il modello F24, anche da parte dei contribuenti che si avvalgono
dell'assistenza fiscale. Chi presenta il 730, quindi, oltre a dover adempiere all'obbligo di calcolare e
versare autonomamente l'acconto sulla cedolare, rischia di vedersi prelevare anche gli acconti per
Irpef e addizionale comunale dalla busta paga. Infatti, se nel quadro B del modello 730 sono stati
dichiarati per il 2010 redditi di fabbricati derivanti dalla locazione di uno o più immobili, il soggetto
che presta assistenza fiscale procederà al calcolo degli acconti per il 2011 anche su tale importo.
Per ovviare a questo inconveniente, potrebbe essere utile indicare nel quadro F del 730 di voler
versare un acconto in misura inferiore, escludendo dall'acconto dovuto in base al metodo storico, il
canone di locazione dei fabbricati per i quali si intende optare per la cedolare secca.
Lo stesso calcolo potrà essere effettuato da parte dei contribuenti che presentano il modello Unico
o Mini-Unico, che sono comunque tenuti a liquidare da sé le imposte dovute.
Nonostante il provvedimento delle Entrate non abbia affrontato il tema degli acconti 2011 per Irpef
e addizionali, è ragionevole ritenere che questi ultimi non siano dovuti sul reddito derivante dalla
locazione di fabbricati per i quali sia esercitata l'opzione per la cedolare.
(Cristiano Dell'Oste e Luciano De Vico, Il Sole 24 ORE 11 aprile 2011)
 Le sanzioni amministrative sono un tesoro da 1,4 miliardi
Gli incassi dei Comuni. A Firenze il valore pro capite più alto.
Oltre alle entrate tributarie, i Comuni possono contare per il proprio sostentamento anche sulle
sanzioni amministrative, prime fra tutte quelle derivanti dalle infrazioni al Codice della strada. Le
entrate complessive da sanzioni ammontano a ben 1,4 miliardi di euro,; risorse che da sole
valgono il 14% delle entrate comunali non derivanti da tributi.
A rilevare questi dati è lo studio condotto dal ministero dell'Economia attraverso Siope, il sistema
operativo che monitora e rileva i flussi di cassa di tutte le amministrazioni pubbliche.
Il valido salvagente delle sanzioni amministrative si riscontra in tutta Italia, in misura sempre
crescente, se è vero che dal 2008 al 2010 le entrate comunali sotto questa voce sono aumentate
del 9%. Questo è anche un segnale dell'affinamento della macchina della riscossione locale, sulla
quale i sindaci fanno sempre più affidamento per fare cassa e contrastare un po' il problema dello
stop ai trasferimenti statali e del blocco dell'aumento delle addizionali.
Nei dati rilevati, poi, è compresa anche la “coda” della mini-sanatoria delle multe elevate fino al 31
dicembre 2004: chance aperta dalla manovra estiva del 2009 che, tuttavia, ha riguardato solo
alcune grandi città (ad esempio, Roma e Napoli).
L'aumento percentuale più rilevante delle entrate da sanzioni amministrative si è avuto nei Comuni
delle Isole (+15,4%), ma in valore assoluto i risultati più consistenti si rilevano nelle città e nei
paesi del Nordovest (484 milioni di incassi).
Questa tendenza è confermata anche dai dati provenienti dai Comuni capoluogo di Regione o
Province Autonome. Firenze risulta essere la città con le maggiori entrate in assoluto. Questo si
spiega con il maggior numero di autovelox installati, ma anche con il fatto che, essendo una città
d'arte, ha un flusso di turismo maggiore e questo fa aumentare il procapite.
I centri più grandi, inoltre, sono interessati più di altri dal fenomeno del pendolarismo lungo le
strade cittadine, il che fa aumentare le possibilità che si verifichino infrazioni e, di conseguenza,
maggiori sanzioni.
(G. Par. Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi 12 aprile)
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Lavoro e previdenza
 Inidoneità psicofisica e risoluzione di rapporto di lavoro nella PA
L’accertata e permanente inidoneità psicofisica dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche può
essere causa di risoluzione del rapporto di lavoro. Lo stabilisce uno schema di regolamento
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esaminato dal Consiglio dei ministri del 7 aprile 2011 che interviene a tutela dell’efficienza e del
buon andamento della pubblica amministrazione. La procedura viene attivata in caso di assenza del
dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto, disturbi del
comportamento gravi e ripetuti, condizioni fisiche che facciano presumere la inidoneità fisica al
servizio. Destinatari del regolamento sono i dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, delle
amministrazioni dello Stato, degli enti pubblici non economici, degli enti di ricerca, delle università
e delle Agenzie. Al personale in regime di diritto pubblico (come magistrati, appartenenti alle forze
di polizia, alla carriera diplomatica, ecc), si applica la disciplina prevista dai rispettivi ordinamenti.
L’iniziativa per l’avvio della procedura per l’accertamento dell’inidoneità spetta all’amministrazione
di appartenenza del dipendente o allo stesso dipendente interessato. Il dipendente può presentare
la relativa istanza in un qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova.
L’amministrazione avvia la procedura nei seguenti casi: assenza del dipendente per malattia,
superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento;
disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, condizioni fisiche che facciano presumere
l’inidoneità fisica permanente al servizio.
(Fonte www.governo.it)
 Illegittimo il vecchio spoil system
Corte Costituzionale. Cade la norma che fino al 2009 ha permesso di sostituire i dirigenti
pubblici. Il ricambio deve escludere chi svolge funzioni amministrative.
La Corte Costituzionale con la pronuncia n. 124 depositata ieri ha dichiarato illegittimo il vecchio
meccanismo dello spoil system per i dirigenti pubblici e, anche, l'articolo 19, comma 8 del Dlgs
165/2001 nella sua versione precedente al vigore dell'articolo 40 del Dlgs 150/2009.
La Corte ha ricordato che lo spoil system in origine era stato pensato solo per il rinnovo degli
incarichi di segretario generale di ministeri, di direttore di strutture articolate al loro interno in uffici
dirigenziali e incarichi di livello equivalente, ma che poi nel tempo ilo meccanismo aveva avuto
delle modificazioni che lo avevano esteso anche anche ad incarichi di livello dirigenziale generale e
non generale.
Nella sua pronuncia, la Corte Costituzionale analizza la complicata articolazione del meccanismo
dello spoil system. Esso si distingue in tre profili. Il primo è quello oggettivo (ossia relativo al tipo e
al livello di incarico conferito) e riguarda i titolari degli incarichi di cui all'articolo 19 del Dlgs
165/2001. Il secondo profilo è quello soggettivo (relativo alla provenienza del titolare dell'incarico)
e si applica ai dirigenti pubblici non appartenenti ai ruoli di cui all'articolo 23 del Dlgs 1656/2001. Il
terzo profilo è quello dell'efficacia nel tempo del meccanismo, visto che a regime esso è destinato
ad essere applicato sempre ad ogni avvicendamento di Governo.
Ebbene, per quanto riguarda il primo profilo (quello oggettivo), la Corte Costituzionale ha ricordato
che già in precedenza ha individuato l'illegittimità dello spoil system applicato a incarichi
dirigenziali che comportano compiti di gestione, cioè di “funzioni amministrative di esecuzione
dell'indirizzo politico”. La Corte ritiene invece legittimo l'avvicendamento applicato alla dirigenza
utilizzata dal Governo per svolgere l'attività di indirizzo politico amministrativo.
Infatti, la Corte sottolinea come “non vi è dubbio che la disposizione censurata [con la propria
pronuncia] si riferisca a incarichi che comportano esercizio di funzioni di gestione amministrativa.
Più in particolare, essa si applica (…) a una tipologia di incarichi (incarichi dirigenziali di livello
generale dell'amministrazione dello Stato) con specifico riferimento ai quali questa Corte ha già
avuto modo di dichiarare l'illegittimità costituzionale di meccanismi di cessazione automatica
disposti in via transitoria dal legislatore (sentenza 103/2007)”.
Per quanto riguarda il secondo profilo (il soggettivo), la Corte Costituzionale ha dichiarato
incostituzionale lo spoil system transitorio (una tantum), del tutto analogo, sotto il profilo
soggettivo, a quello previsto attualmente. La Corte osserva, al riguardo, che “anche per i dirigenti
esterni il rapporto di lavoro instaurato con l'amministrazione che attribuisce l'incarico deve essere
(…) connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da
assicurare la tendenziale continuità dell'azione amministrativa e una chiara distinzione funzionale
tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione”.
Infine, riguardo il terzo profilo, quello dell'efficacia nel tempo, la Corte Costituzionale boccia un
sistema che funzioni a regime, viso che la stessa Corte ha già dichiarato incostituzionale il sistema
transitorio (una tantum).
(Giovanni Negri, Il Sole 24 Ore – Norme e tributi del 12 aprile, sintesi redazionale)
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 Da aprile disoccupazione, mobilità e comunicazioni colf solo online
Le domande di disoccupazione ordinaria, di indennità di mobilità e le comunicazioni obbligatorie per
i lavoratori domestici saranno presentate all’Inps, a partire dal prossimo mese di aprile,
esclusivamente attraverso il canale telematico. «L’Inps continua nel suo cammino di accentuata
prossimità agli utenti e alla cittadinanza – ha dichiarato il Presidente dell’Istituto, Antonio
Mastrapasqua – proseguendo in quel processo di digitalizzazione che coinvolgerà nel corso del
2011, con la dovuta gradualità, tutte le tipologie di domande da presentare all’Inps. I cittadini
potranno attivare le procedure che li riguardano senza doversi scomodare da casa per andare allo
sportello. Telematizzazione vuol dire trasparenza e semplificazione: l’Inps vuole essere al servizio
del Paese e dei suoi cittadini secondo le modalità di comunicazione più moderne ed efficienti. Si
tratta di una trasformazione dovuta, che sarà guidata e assistita per assicurare a tutti i cittadini
l’accesso ai servizi e alle prestazioni».
(www.inps.it , 04/04/2011)

Rifiuti
 Rifiuti speciali: dai dati Ispra all’operatività del Sistri
Che cosa s’intende per rifiuto speciale? Qual è la forma prevalente di gestione e recupero di questo
tipo di rifiuti? I rifiuti speciali sono tutti pericolosi? Le risposte a queste domande si trovano nel
Rapporto Rifiuti Speciali, a cura dell’Ispra che ha reso noti il 13 aprile scorso i dati sui rifiuti speciali
relativi al 2008. In particolare, il Rapporto registra un calo della produzione dei rifiuti speciali
pericolosi: quasi 70 mila (-0,6%) le tonnellate in meno registrate tra il 2007 ed il 2008 a fronte,
però, di una crescita totale di rifiuti speciali di quasi 1,6 milioni di tonnellate (1,2%) per un totale
di 138,7 milioni (rifiuti non pericolosi 72,4 milioni di tonnellate, pericolosi 11,3 milioni di tonnellate
settore costruzioni e demolizioni 55 milioni). Di questi, quelli complessivamente gestiti nel 2008
(non pericolosi 91,7% e pericolosi 8,3%) ammontano ad oltre 143 milioni di tonnellate. In Italia la
gestione dei rifiuti mostra una dimensione crescente nel tempo, fino a divenire talvolta vera e
propria emergenza. Ma una risposta al problema, in senso positivo, viene oggi dal SISTRI, il
sistema elettronico che consente di monitorare ed acquisire, in tempo reale, i dati sulla
movimentazione dei rifiuti speciali, informando sulla gestione di quelli urbani, anche attraverso un
efficace sistema di videosorveglianza sugli impianti di smaltimento del territorio. Per garantire la
tracciabilità dei rifiuti speciali, a giugno di quest’anno diventa pienamente operativo il SISTRI, il
sistema elettronico che consente di acquisire, in tempo reale, i dati sulla movimentazione dei rifiuti
speciali, e che ci informa sulla gestione dei rifiuti urbani, anche attraverso un efficace sistema di
videosorveglianza sugli impianti di smaltimento del territorio.
(www.governo.it)
 Criteri di qualità per il recupero di rottami metallici e leghe
Il 28 aprile p.v. entreranno in vigore (ma si applicheranno a partire dal 9 ottobre 2011 per
consentire alle imprese di familiarizzare con il nuovo sistema), i criteri europei che determinano
quando alcuni tipi di rottami metallici cessano di essere considerati rifiuti e diventano risorse.
I criteri fissati dal regolamento Ce 333/2011 del 31 marzo 2011 (direttamente applicabile in tutti
gli Stati membri) rappresentano la prima attuazione della disciplina relativa al cd. “end of waste cessazione della qualifica di rifiuto", introdotta dall’articolo 6 della direttiva quadro sui rifiuti
2008/98 e codificata nell’ordinamento nazionale dall’articolo 184-ter del Dlgs 152/2006. al fine di
conseguire livelli più elevati di riciclaggio e limitare l’estrazione di risorse naturali.
Il regolamento prevede, in particolare, che i rottami di metallo non siano più classificati come
rifiuti, a condizione che i produttori applichino un sistema di gestione della qualità (fondato su una
serie di procedimenti documentali come il controllo di accettazione dei rifiuti ed il monitoraggio
delle tecniche di trattamento) e dichiarino la conformità ai nuovi criteri per ciascuna partita di
rottami trattata.
Prima che i rottami possano perdere la qualifica di rifiuti, occorre, inoltre, terminare qualsiasi
trattamento (taglio, frantumazione) necessario per preparare i rottami all’utilizzo finale in impianti
di lavorazione dell’acciaio o dell’alluminio.
(Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - Smart Rifiuti, 18 aprile 2011)
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 Rifiuti: sì popolare alla differenziata obbligatoria
Oltre i tre quarti degli italiani (78% contro il 59% della media europea), crede che la raccolta
differenziata per il riciclo e il compostaggio aumenterebbe se la separazione dei rifiuti diventasse
obbligatoria per legge.
Il 90%, poi, dichiara di effettuare già un minimo di differenziata. Questi alcuni dati emersi
dall’ultima indagine di Eurobarometro, secondo cui la maggioranza degli europei (70%) e degli
italiani (87%) concorda sul fatto che siano necessari migliori servizi di raccolta dei rifiuti.
Ogni cittadino europeo in media produce 513 kg l’anno di immondizia, ma solo il 41% (il 38% degli
italiani) è convinto di produrre troppi rifiuti. L’83% degli italiani, inoltre, preferirebbe pagare una
cifra legata alla quantità di immondizia generata piuttosto che pagare tasse. Allo stesso tempo,
però, gli italiani bocciano l’ipotesi di includere i costi di gestione dei rifiuti nei prezzi dei prodotti.
(Il Sole 24 ORE Guida agli enti locali, 9 aprile 2011, n. 15)
 Più vicina la piena operatività del Sistri
Secondo il ministro Stefania Prestigiacomo è stato consegnato il 97% delle chiavette Usb
e il 95% delle black box
La piena tracciabilità dei rifiuti è più vicina. Secondo quanto annunciato dal ministro dell'Ambiente,
Stefania Prestigiacomo nel corso di un'interrogazione parlamentare, sono state infatti consegnate
quasi tutte le chiavette Usb e le black box per far partire il sistema Sistri, il sistema elettronico di
controllo che consente la tracciabilità dei rifiuti speciali. La normativa prevede che ogni produttore
dei rifiuti, attraverso un programma fornito con una chiavetta Usb, predisponga la propria scheda
per il trasferimento dei rifiuti prodotti. La stessa operazione deve essere effettuata dal
trasportatore sulla propria chiavetta Usb, che viene inserita dal conducente del mezzo sulla black
box installata sul suo mezzo.
''La tracciabilità dei rifiuti - ha dichiarato la Prestigiacomo - è la prima forte risposta dello Stato al
fenomeno delle ecomafie. Quella del Sistri è una rivoluzione di legalità e trasparenza oltre a un
enorme risparmio per le imprese''. Il ministro ha ricordato come al 31 marzo 2011 è stato
consegnato il 97% delle chiavette Usb e il 95% delle black box e ha sottolineato che, per quanto
riguarda i costi, ''il ministero dell'Ambiente ha dimostrato grande sensibilità sul problema dei fondi
sollevato dalle piccole imprese e con decreto ministeriale del 9 luglio 2010 ha ridotto i costi proprio
per le piccole imprese. In ogni caso si tratta di costi inferiori rispetto a quelli che le imprese
sopportavano con il sistema cartaceo. Come certificato dal ministero della Pubblica
Amministrazione con il Sistri i costi si ridurranno del 70%''.
Il ministro ha infine ricordato come con il Sistri ''l'80% dei rifiuti sarà sotto controllo, 135 milioni di
tonnellate annue di rifiuti speciali, di cui 9 di rifiuti pericolosi". Il Sitri è operativo da ottobre 2010 e
sarà obbligatorio per tutti da giugno. La proroga dell'avvio è stata fatta per venire incontro agli
operatori che chiedevano più tempo per familiarizzare con il sistema.
(http://energia24club.it 13 Aprile 2011)
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Sicurezza
 Danno biologico: aggiornate le tabelle di Milano e Roma per il 2011
Al via le nuove tabelle di Milano e Roma per la
liquidazione del danno non patrimoniale valide per
il 2011. Un aggiornamento molto atteso dagli
operatori del diritto per l’ampio seguito dei due
modelli di liquidazione su tutto il territorio
nazionale. Per Milano il via libera ufficiale da parte
del presidente del Tribunale all'adeguamento è
avvenuto alla fine della scorsa settimana. Di
conseguenza, vista la popolarità riscossa dai
prospetti meneghini, 97 sedi su 167 - interpellate
dall'ultima indagine dello Studio legale Menti-Guida al Diritto -si preparano in questi giorni a far
propri i nuovi parametri. A Roma, invece, dopo la firma del presidente Paolo Di Fiore le nuove
indicazioni sono già operative da qualche settimana.
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Milano e Roma: valori a confronto
Per entrambi gli Uffici l’adeguamento è avvenuto sulla base dell’indice Istat che misura il costo
della vita. A Milano, il periodo preso in considerazione va dal 1° gennaio 2009 al 1° gennaio 2011,
con un aumento del 2,8996 per cento. Per Roma, invece, l’adeguamento è relativo soltanto al
2010, dal momento che la tabella dello scorso anno era già aggiornata al 2009.
Dall’esame comparato viene fuori che Milano risulta essere più generosa per le invalidità sotto il
50% mentre con l’aggravarsi della patologia Roma conquista il primato. E questo perché il sistema
romano prevede una crescita costante degli indennizzi con l’aumentare della percentuale di
invalidità. Mentre Milano che parte più alta via via riduce gli importi della personalizzazione “non
standardizzata”.
Le tabelle di Roma
Nella capitale da quest’anno è in vigore una importante novità, nel tentativo di favorire una
maggiore omogeneità nelle liquidazioni operate dai giudici e per standardizzare la
“personalizzazione base”, quella riconosciuta nella quasi totalità dei casi. Partendo da 10 scaglioni
di invalidità (0-10%; 10-20%; 20-30%, ecc.), il tribunale ha stabilito una percentuale di
incremento del danno non patrimoniale da aggiungere per la personalizzazione che parte da un
10% in più (dei punti base), e cresce poi del 5% scalando ognuna delle 10 fasce, fino a
raggiungere il 60%, per le invalidità che vanno dal 90 al 100%. Non solo, il sistema prevede anche
un margine di discrezionalità per il giudice pari al 50% di questo incremento base. Dunque, per
una invalidità del 10%, per la quale è previsto un incremento base del 15%, il range di oscillazione
va dal 7,5% (la metà di 15), al 22,5% (15+la metà). In tal modo viene recepita anche nella
capitale quella personalizzazione di base standard, come avviene nel capoluogo lombardo.
La supremazia di Milano
Su un campione di 120 interpellati (indagine dello studio Menti) sono 97, su 167, le sedi di
tribunale che applicano i criteri ambrosiani. Vale a dire il 60% del totale, sempre in attesa che il
Legislatore intervenga con la tabella unica nazionale prevista dall’articolo 138 del Codice
assicurazioni. Un primato importante tenuto conto del fatto che vi aderiscono molti tra gli Uffici più
rappresentativi del Paese. Fra le ragioni del successo delle tabelle meneghine: l’essere aggiornate
ed in linea con le indicazioni della Cassazione oltre a permettere un alto grado di uniformità su
tutto il territorio nazionale nel risarcimento del danno alla persona.
Il vecchio sistema
Prima della pronuncia della Cassazione del novembre 2008, le tabelle elaborate dal tribunale di
Milano erano strutturate in modo da individuare i valori standard di liquidazione del cosiddetto
“danno biologico”, parametrati alla gravità della lesione, all’integrità psicofisica e all’età del
danneggiato. Prevedendo poi la liquidazione del cosiddetto “danno morale” in misura variabile tra
¼ e ½ dell’importo liquidato a titolo di danno biologico. Ad essi, infine, si aggiungeva la
“personalizzazione” del danno biologico con un aumento fino al 30% dei valori standard in
riferimento a particolari condizioni soggettive del danneggiato.
Il cambio di rotta del 2009
Attualmente, invece, alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale, si è affermata l’esigenza
di una valutazione unitaria del danno non patrimoniale biologico e di ogni altro danno non
patrimoniale connesso alla lesione della salute.
Si procede, dunque, ad una liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a
“lesione permanente della integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico
legale” sia nei suoi risvolti anatomo-funzionali che relazionali o peculiari, e del danno conseguente
alle medesime lesioni in termini di “dolore” e “sofferenza soggettiva”.La tabella ora prevede un
valore di partenza, il cosiddetto “punto”, che viene aumentato di una componente relativa alla
sofferenza soggettiva, con un incremento percentuale del 25% dall’1 al 9% di invalidità; mentre
dal 10% al 34% di invalidità l’aumento è progressivo per ogni punto percentuale, passando dal
26% al 50%; infine dal 35% al 100% la crescita torna ad essere fissa al 50%. Ferma restando
sempre la possibilità da parte del giudice di procedere ad un ulteriore aumento “personalizzato” in
relazione a “fattispecie del tutto eccezionali”, secondo una percentuale che parte da una
maggiorazione di un altro 50%, per le invalidità più basse, e si riduce progressivamente con il
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crescere dell’invalidità riconosciuta, fino a fermarsi al 25%, per le invalidità superiori al 33%.Per
l’invalidità temporanea vale sempre la regola della liquidazione congiunta dell’intero danno non
patrimoniale alla persona. Così, per un giorno di invalidità temporanea al 100%, è prevista una
forbice che va da un minimo di 91 euro ad un massimo di 136 euro. Adeguata anche la liquidazione
da perdita del rapporto parentale.
(Francesco Machina Grifeo, Il Sole 24 ORE - Guida al Diritto 15 aprile 2011)
 Ispezioni mirate sul sommerso
Le indicazioni impartite al ministero alle direzioni regionali e provinciali: 80mila controlli per
quest'anno. In secondo piano la qualificazione dei rapporti e il rispetto degli orari.
Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, nella lettera circolare n. 5113 del 7 aprile, ha dato
indicazioni chiare alle direzioni regionali e provinciali del lavoro sulle priorità da seguire da parte
degli ispettori del lavoro.
In sostanza, l'attività degli ispettori deve essere caratterizzata da un “accesso breve”, ossia gli
ispettori devono controllare prima di tutto se in un'azienda ci siano forme di lavoro in nero, e
lasciare in secondo piano altre irregolarità relative alla “situazione complessiva dell'azienda
verificata”.
La lettera del ministro, però in questo si discosta dalle linee guida per la programmazione
dell'attività ispettiva per il 2011, che sono state sintetizzate in una comunicazione del ministro del
10 marzo scorso.
Il tutto rientra nel piano straordinario di verifiche voluto dal ministro per il 2011 che prevede nel
corso dell'anno ben 80mila controlli, tutti finalizzati a scovare lavoro sommerso.
Ebbene, la direttiva del 10 marzo chiariva che l'attività di verifica doveva concentrarsi anche sulla
corretta qualificazione dei rapporti di lavoro, sull'elusione contributiva, sul rispetto delle regole in
materia di orari di lavoro, sull'inserimento lavorativo dei disabili, sul rispetto delle pari opportunità,
sugli appalti, sulla somministrazione di manodopera, sui distacchi, sulla sicurezza nei luoghi di
lavoro.
La circolare del 7 aprile, invece, “corregge il tiro”, o meglio lo circoscrive raccomandando agli
ispettori di concentrarsi “esclusivamente” sul lavoro nero, senza allargare ulteriormente l'indagine
ad altre problematiche ispettive. Anzi, il ministro chiarisce che la centralità delle azioni di contrasto
del lavoro irregolare deve ruotare intorno alla verifica del cosiddetto “sommerso totale”, una
situazione che determina una mancanza di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori
interessati. Anche se ciò si manifesta nel mancato versamento di contributi da parte del datore di
lavoro e nella perdita da parte del lavoratore dei diritti relativi all'instaurazione di un regolare
contratto di lavoro.
Gli intenti del ministro sono quelli di intensificare i controlli sul lavoro sommerso, così da evitare
visite inutili e controlli sovrapposti, che gravano sugli imprenditori. Inoltre, la circolare del ministro
invita a concentrarsi maggiormente su quelle realtà imprenditoriali in cui più probabile è la
presenza di lavoro sommerso (l'edilizia, l'agricoltura, i pubblici servizi).
Non bisogna dimenticare nemmeno il lavoro dei cittadini stranieri immigrati, specie in quelle
imprese gestite e organizzate da minorante etniche, che operano al di fuori di qualsiasi regola di
carattere lavoristico, previdenziale e fiscale e che, spesso, realizzano vere e proprie forme di
sfruttamento della manodopera. In queste realtà, chiarisce la circolare, gli interventi di verifica
devono avvenire mediante azioni di “intelligence” coordinate con le forze di polizia e gli istituti
previdenziali.
(Luigi Caiazza, Il Sole 24 Ore – Norme e Tributi del 22 aprile, sintesi redazionale)
 Lavori usuranti: in porto il decreto che viene da lontano
E’ l’ora dei lavori usuranti. Tutte le riforme degli ultimi venti anni hanno sempre previsto delle
norme che riconoscevano requisiti più favorevoli, per il conseguimento della pensione, ai lavoratori
adibiti a mansioni di particolare disagio, consentendo agli interessati di anticipare, in modo
ragionevolmente congruo, i limiti della quiescenza.
La legge Amato del 1992 confermò anche quei limiti previdenti di età pensionabile più ridotti per gli
appartenenti alle Forze Armate, di Polizia e dei Vigili del Fuoco, gli iscritti al Fondo Volo, il
personale viaggiante FS e del trasporto locale, i lavoratori dello spettacolo, ecc.. Nel caso di
lavorazioni esposte all'amianto si è applicato - con riferimento agli aspetti pensionistici - una
disciplina specifica (che riduceva il requisito contributivo con criteri di proporzionalità rispetto agli
anni di esposizione) operante anch'essa dal 1992 e recentemente rivisitata in termini più restrittivi.
UNITELNews24
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Quanto ai lavori usuranti, la materia venne regolata - citiamo solo gli atti principali - dal dlgs n.
374/1993 e dalla Circolare interministeriale del 19 maggio 1999 (che aveva recepito le indicazioni
di una commissione tecnico-scientifica istituita dalla legge n.449/1997), dall'articolo 78 della legge
n.388/2000, la Finanziaria per il 2001. La relativa tutela prevista (ampiamente rivisitata dalla legge
n.335/1995) si applicava tanto ai dipendenti, privati e pubblici, quanto agli autonomi e consisteva
nell'anticipo dell'età pensionabile in ragione di un anno ogni dieci di impiego in attività usuranti fino
ad un massimo di 24 mesi.
Nel sistema contributivo il lavoratore poteva scegliere l'applicazione del coefficiente di
trasformazione corrispondente all'età anagrafica all'atto del pensionamento, aumentato di un anno
ogni sei di lavoro usurante; oppure poteva utilizzare tale periodo per l'anticipazione dell'età
pensionabile fino al massimo di un anno rispetto al normale accesso.
Nel caso di lavori particolarmente usuranti (già individuati dal dlgs n. 374/1993) erano ridotti fino
ad un anno anche i requisiti di età anagrafica della pensione di anzianità. Per questi ultimi casi,
contraddistinti da particolari condizioni di disagio, intervenne - una tantum e nei limiti di uno
stanziamento di 250 miliardi di vecchie lire - la Finanziaria del 2001, permettendo ad oltre 6mila
lavoratori, adibiti a mansioni particolarmente usuranti, di avvalersi degli sconti previsti.
In generale, queste norme sono sempre rimaste inapplicate. La spiegazione va cercata nelle
modalità di copertura (indicate dalle diverse leggi) consistente nell’individuazione di un'aliquota
contributiva aggiuntiva, definita secondo criteri attuariali e raccordati all'anticipo di età
pensionabile. Si poneva, pertanto, un problema di maggior costo del lavoro, un problema che le
parti sociali hanno sempre preferito evitare.
Dopo il tempo delle speranze deluse, tale problematica è tornata in evidenza durante il negoziato
del luglio 2007, in pratica come contropartita per l’elevazione dell’età pensionabile di anzianità (che
pur veniva rimodulata con criteri più graduali rispetto alla legge Maroni del 2003 e al c.d scalone).
La legge n.247 del 2007 (che recepì il Patto sul welfare) stabilì che potevano avvalersi del
pensionamento anticipato (a 58 anni a regime e in presenza degli altri requisiti e condizioni) i (soli)
lavoratori dipendenti appartenenti alle seguenti categorie: addetti ad attività particolarmente
usuranti; lavoratori notturni; addetti alla catena di montaggio; conducenti di mezzi pubblici di
trasporto.
Lo schema di decreto applicativo, benché dotato di copertura finanziaria per 2,8 miliardi in un
decennio, non arrivò in porto perché la fine anticipata della XV Legislatura vide <spirare> la
delega. L’attuale Governo ha scelto di riaprire i termini inserendo la norma nel <collegato lavoro>
e quindi legandone il destino ai 27 mesi occorsi per la sua approvazione. Anche il decreto delegato
varato dall’esecutivo nei giorni scorsi è praticamente come quello predisposto, a suo tempo, dal
Governo Prodi. Così, si è ‘lavoratori notturni’ a fronte di un numero di giornate comprese tra 64 e
78 l’anno.
La fase transitoria terminerà alla fine del 2017; fino ad allora sarà sufficiente aver lavorato in
condizioni di disagio per 7 anni negli ultimi dieci (e non metà della vita lavorativa come dal 2018).
Sono previsti criteri di priorità nel caso in cui gli stanziamenti non siano adeguati, nell’anno, a dare
copertura finanziaria a tutte le domande presentate.
(Giuliano Cazzola, Il Sole 24 ORE Guida al Lavoro n. 17/2011)
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Legge e prassi
(G.U. 30 aprile 2011, n. 99)
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Agricoltura, allevamento, alimenti e bevande
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 11 marzo 2011
Modifiche degli allegati al decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 151, di attuazione della direttiva
2001/112/CE concernente i succhi di frutta ed altri prodotti analoghi destinati alla alimentazione
umana. (11A04201)
(GU n. 78 del 5-4-2011 )
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: COMUNICATO del
11-4-2011
Programma di azione nazionale per l'agricoltura biologica e i prodotti biologici per gli anni 2008 e
2009 - «Aumento della domanda interna ed istituzionale» - Azioni 3.1 «Promozione del bio nella
ristorazione collettiva biologica» - 3.2 «Promozione del bio al cittadino-consumatore».
Comunicazione di pubblicazione dei modelli per la presentazione di proposte progettuali e relativi
termini. (11A04329)
(GU n. 83 del 11-4-2011 )
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: DECRETO 10 marzo
2011
Istituzione, quale specifica articolazione settoriale, del Tavolo di filiera della frutta in guscio.
(11A04769)
(GU n. 89 del 18-4-2011 )
AGENZIA PER LE EROGAZIONI IN AGRICOLTURA: CIRCOLARE 31 marzo 2011, n. 250
Attuazione della riforma della PAC (Regolamento (CE) n. 73/2009. Modifiche ed integrazioni alle
circolari ACIU.2005.736 del 30 novembre 2005, ACIU.2007.128 del 2 marzo 2007 e
ACIU.2009.812 del 18 maggio 2009 - titoli definitivi 2010. (11A05119)
(GU n. 89 del 18-4-2011 )
MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI: COMUNICATO del
21-4-2011
Avviso relativo alla determinazione dei criteri e delle modalita' per la concessione di contributi in
favore di piccole e medie imprese attive nel settore della produzione di prodotti agricoli di qualita'.
(11A05389)
(GU n. 92 del 21-4-2011)
COMITATO INTERMINISTERIALE PER LA PROGRAMMAZIONE ECONOMICA
DELIBERAZIONE 18 novembre 2010
Riparto fondi assegnati al settore agricolo, ai sensi dell'articolo 2, comma 55, della legge n.
191/2009. (Deliberazione n. 107/2010). (11A05365)
(GU n. 94 del 23-4-2011 )
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Ambiente
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE:
COMUNICATO del 2-4-2011
Attribuzione di contributi economici a enti pubblici, soggetti privati, singoli o associati, fondazioni e
associazioni per iniziative in materia ambientale. (11A04193)
(GU n. 76 del 2-4-2011 )
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MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO
14 marzo 2011
Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica
continentale in Italia ai sensi sella direttiva 92/43/CEE. (11A04108)
(GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO
14 marzo 2011
Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica
mediterranea in Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (11A04109)
(GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO
14 marzo 2011
Quarto elenco aggiornato dei siti di importanza comunitaria per la regione biogeografica alpina in
Italia ai sensi della direttiva 92/43/CEE. (11A04110)
(GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 90)
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 28 gennaio 2011, n. 36
Regolamento recante abrogazione del decreto ministeriale 28 agosto 1995, n. 548 concernente la
prevenzione e l'eliminazione dei disturbi radioelettrici provocati dai ricevitori di radiodiffusione
sonora e televisiva. (11G0075)
(GU n. 81 del 8-4-2011 )
MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 28 marzo 2011
Modifiche al decreto 17 agosto 2010 riguardante la disciplina concernente le deroghe alle
caratteristiche di qualita' delle acque destinate al consumo umano che possono essere disposte
dalla regione Siciliana. (11A04728)
(GU n. 82 del 9-4-2011 )
MINISTERO DELLA SALUTE: DECRETO 28 marzo 2011
Disciplina concernente le deroghe alle caratteristiche di qualita' delle acque destinate al consumo
umano che possono essere disposte dalle regioni Lazio e Toscana. (11A04729)
(GU n. 82 del 9-4-2011 )
DECRETO LEGISLATIVO 24 marzo 2011, n. 53
Attuazione della direttiva 2009/16/CE recante le norme internazionali per la sicurezza delle navi, la
prevenzione dell'inquinamento e le condizioni di vita e di lavoro a bordo per le navi che approdano
nei porti comunitari e che navigano nelle acque sotto la giurisdizione degli Stati membri.
(11G0092)
(GU n. 96 del 27-4-2011 )
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE:
COMUNICATO 14 aprile 2011
Comunicato relativo al decreto 22 gennaio 2009 recante "Modifica del decreto 17 ottobre 2007,
concernente i criteri minimi uniformi per la definizione di misure di conservazione relative a Zone
speciali di conservazione (ZSC) e Zone di protezione speciale (ZPS)".
(GU n.86 del 14 aprile 2011)
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO
COMUNICATO 11 aprile 2011
Deliberazione dell'Albo nazionale gestori ambientali del 14 marzo 2011.
(GU n.83 dell’11 aprile 2011)
E
DEL
MARE:
DECRETO LEGISLATIVO 31 marzo 2011, n. 55
Attuazione della direttiva 2009/30/CE, che modifica la direttiva 98/70/CE, per quanto riguarda le
specifiche relative a benzina, combustibile diesel e gasolio, nonche' l'introduzione di un
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meccanismo inteso a controllare e ridurre le emissioni di gas a effetto serra, modifica la direttiva
1999/32/CE per quanto concerne le specifiche relative al combustibile utilizzato dalle navi adibite
alla navigazione interna e abroga la direttiva 93/12/CEE. (11G0098)
(GU n. 97 del 28-4-2011 )

Appalti
AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE: DETERMINAZIONE 15 marzo 2011, n. 1
Chiarimenti in ordine all'applicazione delle sanzioni alle SOA previste dall'articolo 73 del decreto del
Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. (11A04363)
(GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 91)
AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE: REGOLAMENTO 15 marzo 2011
Regolamento in materia di esercizio del potere sanzionatorio da parte dell'Autorita' per la vigilanza
sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, limitatamente alle sanzioni nei confronti delle SOA
di cui all'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica n. 207 del 5 ottobre 2010.
(11A04364)
(GU n. 77 del 4-4-2011, Suppl. Ordinario n. 91)
MINISTERO
DELL'INTERNO
COMITATO
DI
COORDINAMENTO
PER
L'ALTA
SORVEGLIANZA DELLE GRANDI OPERE: COMUNICATO del 19-4-2011
Linee guida per i controlli antimafia, di cui all'art. 3-quinques del decreto-legge 25 settembre 2009,
n. 135, convertito dalla legge 20 novembre 2009, n. 166, concernente «Disposizioni per garantire
la trasparenza e la libera concorrenza nella realizzazione delle opere e degli interventi connessi allo
svolgimento dell'Expo 2015». (11A05133)
(GU n. 90 del 19-4-2011 )
AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE:COMUNICATO STAMPA 20 aprile 2011
Indagine sugli affidamenti di servizi socio-sanitari da parte della ASL: 35 su 42 non sono in regola.
AUTORITÀ PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE: DETERMINAZIONE 6 aprile 2011, n.2
Indicazioni operative inerenti la procedura negoziata senza previa pubblicazione del bando di gara
nei contratti di importo inferiore alla soglia comunitaria, con particolare riferimento all'ipotesi di cui
all'articolo 122, comma 7-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.
DECRETO LEGISLATIVO 24 marzo 2011, n. 48
Attuazione della direttiva 2009/44/CE che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere
definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva
2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i
crediti. (11G0089)
(GU n. 92 del 21-4-2011)
AUTORITA' PER LA VIGILANZA SUI CONTRATTI PUBBLICI DI LAVORI, SERVIZI E
FORNITURE: DETERMINAZIONE 6 aprile 2011
Chiarimenti in ordine all'applicazione delle sanzioni alle imprese previste dall'articolo 74 del decreto
del Presidente della Repubblica 5 ottobre 2010, n. 207. (Determinazione n.3). (11A05251)
(GU n. 92 del 21-4-2011)

Economia, Finanze, Fisco e Agevolazioni
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 14 marzo 2011
Aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5,
comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'imposta comunale sugli
immobili (ICI) dovuta per l'anno 2011. (11A04053)
(GU n. 75 del 1-4-2011 )
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MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 14 marzo 2011
Aggiornamento dei coefficienti per la determinazione del valore dei fabbricati di cui all'articolo 5,
comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, agli effetti dell'imposta comunale sugli
immobili (ICI) dovuta per l'anno 2011. (11A04053)
(GU n. 75 del 1-4-2011 )
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 18 marzo 2011
Certificazione relativa al rispetto degli obiettivi del patto di stabilita' interno per l'anno 2010 delle
province e dei comuni con popolazione superiore a 5000 abitanti. (11A04114)
(GU n. 75 del 1-4-2011 )
 Patto di stabilità 2010 – certi ficazione del rispetto degli obiettivi
Il decreto dispone che le Province e i Comuni con popolazione superiore a 5.000 abitanti soggetti al
patto di stabilità interno 2010 dovevano trasmettere entro il 31.3.2011, al Ministero dell’Economia
e delle Finanze, Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato, IGEPA – Via XX Settembre, 97
– 00187 Roma, una certificazione in merito al rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno
2010 (Allegato A al decreto). La certificazione doveva essere spedita a mezzo raccomandata AR.
Gli enti locali che non hanno provveduto a tale invio sono considerati inadempienti al patto di
stabilità interno 2010.
(R.Co. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 23 marzo 2011
Disposizioni, per l'anno 2011, relative ai comuni che abbiano contribuito all'accertamento fiscale e
contributivo secondo le modalita' di trasmissione delle segnalazioni qualificate previste dai
provvedimenti attuativi dell'articolo 1 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con
modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248. (11A04348)
(GU n. 75 del 1-4-2011

Parte cipazione dei comuni all’accertamento fiscale – Attribuzione della quota delle
maggiori somme riscosse
In attuazione dell’art. 44, D.P.R. 29.9.1973, n. 600, dell’art. 1, D.L. 30.9.2005, n. 203, conv. con
modif. con L. 2.12.2005, n. 248 e dell’art. 18, D.L. 31.5.2010, n. 78, conv. con modif. con L.
30.7.2010, n. 122, il decreto stabilisce che per l’anno 2011 sia attribuita la quota del 33% delle
maggiori somme definitivamente riscosse relative ad Irpef, Ires, Iva, imposte di registro, ipotecaria
e catastale, e ai tributi speciali catastali (comprensive di interessi e sanzioni), e alle sanzioni civili
sui maggiori contributi previdenziali ed assistenziali riscossi a titolo definitivo, ai Comuni che
abbiano contribuito all’accertamento fiscale e contributivo con il sistema delle segnalazioni
qualificate.
(D.An. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15)
MINISTERO DELL'INTERNO: DECRETO 29 marzo 2011
Modifiche al decreto 15 febbraio 2011 relativo alle certificazioni del bilancio di previsione 2011 delle
amministrazioni provinciali, dei comuni, delle comunita' montane e delle unioni dei comuni.
(11A04394)
(GU n. 76 del 2-4-2011 )
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 28 gennaio 2011
Ripartizione delle riduzioni statali tra le regioni a statuto ordinario di cui all'articolo 14, comma 2,
del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010,
n. 122. (11A04548)
(GU n. 78 del 5-4-2011 )
COMITATO
INTERMINISTERIALE
PER
LA
PROGRAMMAZIONE
ECONOMICA:
DELIBERAZIONE 11 gennaio 2011
Obiettivi, criteri e modalita' di programmazione delle risorse per le aree sottoutilizzate e selezione
ed attuazione degli investimenti per i periodi 2000-2006 e 2007-2013. (Deliberazione n. 1/2011).
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(11A04567)
(GU n. 80 del 7-4-2011 )
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 3 febbraio 2011
Determinazione della quota variabile per gli anni 2000-2005 spettante alle province autonome di
Trento e di Bolzano. (11A04870)
(GU n. 85 del 13-4-2011 )
LEGGE 7 aprile 2011, n. 39
Modifiche alla legge 31 dicembre 2009, n. 196, conseguenti alle nuove regole adottate dall'Unione
europea in materia di coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. (11G0082)
(GU n. 84 del 12-4-2011 )
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 31 gennaio 2011
Proroga degli incentivi agli autotrasportatori per l'utilizzo delle vie del mare di cui al decreto del
Presidente della Repubblica 11 aprile 2006, n. 205 («Ecobonus») a valere sui viaggi effettuati
nell'anno 2010. Individuazione di nuove rotte incentivate. (11A04878)
(GU n. 87 del 15-4-2011 )
MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA' CULTURALI: DECRETO 13 dicembre 2010
Approvazione del programma contenente l'indicazione degli interventi relativi alla tutela, ai beni e
alle attivita' culturali ed allo spettacolo, per il biennio 2011-2012. (11A04924)
(GU n. 87 del 15-4-2011 )
AGENZIA DELLE ENTRATE: CIRCOLARE 14 aprile 2011, n.15/E
Articolo 42, decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 30 luglio
2010, n. 122 - Reti di imprese.
AGENZIA ENTRATE: PROVVEDIMENTO 7 aprile 2011
Modalità di esercizio dell’opzione per l’applicazione del regime della cedolare secca, modalità di
versamento dell’imposta e altre disposizioni di attuazione dell’articolo 3 del decreto legislativo 14
marzo 2011, n. 23. Approvazione dei modelli per la registrazione dei contratti di locazione e per
l’esercizio dell’ opzione

Cedolare secca sugli affitti – esercizio dell’opzione, versamento dell’imposta e
modelli per la registrazione
Con riferimento all’applicazione cedolare secca sugli affitti abitativi (art. 3, D.Lgs. 14.3.2011, n. 23
– «La Settimana fiscale» n. 13/2011, pag. 5), il provvedimento ha approvato, con le relative
istruzioni, il modello di denuncia per la registrazione del contratto di locazione di immobili abitativi
con relative pertinenze e per l’esercizio dell’opzione per la cedolare secca (Allegato 1), da inviare in
via telematica all’Agenzia delle Entrate, e il modello per la richiesta di registrazione degli atti
(esclusi quelli degli organi giurisdizionali) e per la comunicazione degli adempimenti successivi dei
contratti di locazione (Allegato 2), da presentare sempre in forma cartacea sempre all’Agenzia delle
Entrate. In merito all’esercizio, da parte del locatore, dell’opzione per l’applicazione della cedolare
secca, è stabilito che la stessa vada esercitata in sede di registrazione del contratto o, in caso di
proroga dello stesso, nel termine di versamento dell’imposta di registro. In caso di contratti che
non necessitano della registrazione in termine fisso, il locatore può applicare la cedolare in sede di
dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è prodotto il reddito o, in alternativa, in
sede di registrazione in caso d’uso o di registrazione volontaria. L’opzione vincola il locatore per
tutta la durata del contratto o della proroga o per il residuo periodo di durata del contratto (se
l’opzione viene esercitata nelle annualità successive alla prima).
Si ricorda che la cedolare secca, calcolata sul canone di locazione stabilito dalle parti, sostituisce
l’Irpef e le addizionali relative al reddito fondiario prodotto dagli immobili cui si riferisce l’opzione,
l’imposta di registro dovuta per le annualità contrattuali o per il minor periodo di durata del
contratto e l’imposta di bollo dovuta sul contratto di locazione.
In merito al versamento della cedolare secca, è disposto che lo stesso debba essere effettuato con
le modalità di cui all’art. 19, D.Lgs. 241/1997.
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In particolare, per il versamento del saldo si applicano le norme relative al versamento del saldo
dell’Irpef, mentre per il versamento dell’acconto, va fatta la seguente distinzione:
●● per il 2011, il versamento dell’acconto (nella misura dell’85% dell’imposta dovuta) va fatto in
unica soluzione entro il 30.11.2011 (se inferiore a e 257,52), o in due rate (se pari o superiore a e
257,52%), la prima del 40% entro il 16.6.2011 o entro il 18.7.2011 (con la maggiorazione dello
0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11.2011;
●● dal 2012, il versamento dell’acconto (nella misura del 95% dell’imposta dovuta per l’anno
precedente) va effettuato in unica soluzione entro il 30.11 di ogni anno (se inferiore a e 257,52) o
in due rate (se pari o superiore a e 257,52), la prima del 40% entro il 16.6 di ogni anno o entro il
16.7 (con la maggiorazione dello 0,40%) e la seconda del 60% entro il 30.11 di ogni anno.
(R. Co. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15)
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE: DECRETO 4 marzo 2011
Modalita' di utilizzo dell'ulteriore stanziamento disposto dal comma 236 dell'articolo 2 della legge
23 dicembre 2009, n. 191, per le finalita' di cui all'articolo 29, comma 1, del decreto-legge 29
novembre 2008, n. 185. (11A05242)
(GU n. 89 del 18-4-2011 )

Edilizia e urbanistica
DECRETO 26 novembre 2010
Disposizioni in materia di perequazione infrastrutturale, ai sensi dell'articolo 22 della legge 5
maggio 2009, n. 42. (11A04054)
(GU n. 75 del 1-4-2011 )
DECRETO LEGISLATIVO 15 marzo 2011, n. 35
Attuazione della direttiva 2008/96/CE sulla gestione della sicurezza delle infrastrutture. (11G0076)
(GU n. 81 del 8-4-2011 )
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI: DECRETO 31 marzo 2011
Rilevazione dei prezzi medi per l'anno 2009 e delle variazioni percentuali annuali, superiori al dieci
per cento, relative all'anno 2010, ai fini della determinazione delle compensazioni dei singoli prezzi
dei materiali da costruzione piu' significativi. (11A04721)
(GU n. 89 del 18-4-2011 )
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 22 marzo 2011
Procedure operative di attuazione del decreto ministeriale 4 marzo 2011 e modalita' di svolgimento
delle attivita' di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi e dei relativi
controlli ai sensi dell'articolo 15, comma 5 del decreto ministeriale 4 marzo 2011. (11A08411)
(GU n. 89 del 18-4-2011 - Suppl. Ordinario n.103)
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 2 marzo 2011
Assegnazione alle regioni Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia,
Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto, di risorse finanziarie ai sensi
dell'art. 32-bis del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla
legge 24 novembre 2003, n. 326. (11A05244)
(GU n. 90 del 19-4-2011 )
AUTORITA' DI BACINO DELLA PUGLIA COMUNICATO
Approvazione delle nuove perimetrazioni del piano di assetto idrogeologico della Puglia (11A04619)
(GU n. 92 del 21-4-2011)
COMITATO
INTERMINISTERIALE
PER
LA
PROGRAMMAZIONE
ECONOMICA:
DELIBERAZIONE 18 novembre 2010
Legge n. 443/2001. Allegato infrastrutture alla decisione di finanza pubblica (DFP) 2010-2013.
(Deliberazione n. 81/2010). (11A05393)
(GU n. 95 del 26-4-2011 )
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AGENZIA DELLE ENTRATE: RISOLUZIONE del 18 aprile 2011, n. 46/E
Consulenza Giuridica - Art. 25 del DL n. 78 del 2010 - Ritenuta del 10 per cento sui bonifici disposti
in favore di Fondi Immobiliari per beneficiare degli oneri deducibili o per i quali spetta la detrazione
di imposta.
Detrazione irpef 36% – ritenuta del 10% sui bonifici – esclusione dei fondi immobiliari
Con riferimento alla ritenuta del 10% sui bonifici effettuati a fronte della detrazione del 36% o del
55% (art. 25, D.L. 78/2010, conv. con modif. Dalla L. 122/2010 l’Agenzia delle Entrate precisa che
tale ritenuta non va applicata sui bonifici disposti a favore di fondi immobiliari, in quanto sia quelli
istituti ai sensi dell’art. 37, D.Lgs. 58/1998 sia quelli con apporto pubblico di cui all’art. 14-bis, L.
86/1994 (esclusi i cd. «vecchi fondi» che se ancora esistenti versano l’imposta sostitutiva del 25%)
non sono soggetti passivi Ires e Irap e le ritenute subite sui redditi di capitale sono a titolo
d’imposta.
In particolare, al fine di evitare l’applicazione della ritenuta del 10%, il bonifico deve essere
compilato in modo che le banche e Poste italiane S.p.a. non codifichino il versamento come
soggetto alla stessa ritenuta. Nel caso oggetto d’interpello, nella motivazione del bonifico,
l’ordinante deve indicare il fondo immobiliare come soggetto beneficiario, specificando che il
versamento è effettuato per l’acquisto di un box o posto auto pertinenziale presso un fondo
immobiliare, senza riportare il riferimento alle disposizioni agevolative e senza utilizzare l’apposito
modulo (se predisposto dalla banca o dall’ufficio postale).
Nel caso in cui i fondi immobiliari avessero subito tale ritenuta, la stessa può essere richiesta a
rimborso o utilizzata in compensazione compilando gli appositi campi del Mod. Unico 2011 SC.
(R.Co. Il Sole 24 ORE - La settimana fiscale, 6 maggio 2011, n. 17)
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 7
febbraio 2011
Procedure e modalita' per la presentazione dei progetti e per l'erogazione dei finanziamenti relativi
agli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alla legge 14 novembre 2000,
n. 338. (Decreto n. 26/2011). (11A05267)
(GU n. 97 del 28-4-2011 )
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 7
febbraio 2011
Standard minimi dimensionali e qualitativi e linee guida relative ai parametri tecnici ed economici
concernenti la realizzazione di alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alla legge 14
novembre 2000, n. 338. (Decreto n. 27/2011). (11A05268)
(GU n. 97 del 28-4-2011)
MINISTERO DELL'ISTRUZIONE, DELL'UNIVERSITA' E DELLA RICERCA: DECRETO 21
marzo 2011
Adozione di un modello informatizzato per la formulazione delle richieste di cofinanziamento
relative agli interventi per alloggi e residenze per studenti universitari, di cui alle leggi 14
novembre 2000, n. 338, e 23 dicembre 2000, n. 388 e note per la compilazione. (Decreto n.
127/2011). (11A05269)
(GU n. 97 del 28-4-2011 )

Energia
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011
Indizione del referendum popolare per l'abrogazione parziale di norme del decreto-legge 25 giugno
2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, della legge 23 luglio
2009, n. 99, del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104, e del decreto legislativo 15 febbraio
2010, n. 31, in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare. (11A04207)
(GU n. 77 del 4-4-2011 )
DECRETO LEGISLATIVO 23 marzo 2011, n. 41
Modifiche ed integrazioni al decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31, recante disciplina della
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localizzazione, della realizzazione e dell'esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di
energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di
stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonche' benefici economici e
campagne informative al pubblico, a norma dell'articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99.
(11G0084)
(GU n. 85 del 13-4-2011 )
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 1° aprile 2011
Approvazione delle modifiche al Testo integrato della Disciplina del mercato elettrico ai sensi
dell'articolo 6, comma 2, del decreto del Ministro dello sviluppo economico 29 aprile 2009 nonche'
ai fini dell'attuazione del progetto di Market Coupling sulla frontiera italo-slovena. (11A04923)
(GU n. 88 del 16-4-2011 - Suppl. Ordinario n.101)

Pubblica amministrazione
DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 9 febbraio 2011
Modalita', limiti e tempi di applicazione del Codice dell'amministrazione digitale. (11A04367)
(GU n. 77 del 4-4-2011 )
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011
Indizione del referendum popolare per l'abrogazione dell'articolo 23-bis del decreto-legge 25
giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, come
modificato dall'articolo 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, e dall'articolo 15 del
decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 novembre
2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 325 del
2010, in materia di modalita' di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza
economica. (11A04206)
(GU n. 77 del 4-4-2011 )
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011
Indizione del referendum popolare per l'abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in
materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire
in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte
costituzionale. (11A04208)
(GU n. 77 del 4-4-2011 )
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 23 marzo 2011
Indizione del referendum popolare per l'abrogazione parziale del comma 1 dell'articolo 154 del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, in materia di determinazione della tariffa del servizio
idrico integrato in base all'adeguata remunerazione del capitale investito. (11A04209)
(GU n. 77 del 4-4-2011 )
MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO: DECRETO 11 febbraio 2011
Tabella di corrispondenza ai fini dell'inquadramento del personale a tempo indeterminato
proveniente dall'Istituto per la Promozione Industriale e trasferito al Ministero dello sviluppo
economico. (11A04385)
(GU n. 83 del 11-4-2011 )
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA: DECRETO 21 febbraio 2011, n. 44
Regolamento concernente le regole tecniche per l'adozione nel processo civile e nel processo
penale, delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti
dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell'articolo 4,
commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010
n. 24. (11G0087)
(GU n. 89 del 18-4-2011 )
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DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 18 febbraio 2011, n. 46
Regolamento recante l'attuazione dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241,
concernente i termini di conclusione dei procedimenti amministrativi di durata superiore ai novanta
giorni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. (11G0086)
(GU n. 91 del 20-4-2011 )
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE
PUBBLICA: NOTA 20 aprile 2011, n.20
Applicazione delle deleghe rilasciate dai titolari di trattamenti pensionistici amministrati dall'INPDAP
per contributo sindacale a favore della FIADEL - Federazione Italiana Autonoma Dipendenti Enti
Locali.
ISTITUTO NAZIONALE DI PREVIDENZA PER I DIPENDENTI DELL'AMMINISTRAZIONE
PUBBLICA: Nota 13 aprile 2011, n.19
Provvidenze in favore dei grandi invalidi, di cui all'art. 1, comma 4, della legge 27 dicembre 2002,
n. 288.
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 5 aprile 2011, n.17 (prot.
n. 25/I/0004958)
Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - indennità economica e contribuzione figurativa per i periodi di
astensione dal lavoro per congedo parentale straordinario, ai sensi dell'art. 42, comma 5, D.Lgs. n.
151/2001.

Rifiuti
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E
COMUNICATO del 11-4-2011
Deliberazione dell'Albo nazionale gestori ambientali del 14 marzo 2011 (11A04607)
(GU n. 83 del 11-4-2011 )
DEL
MARE:
MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE: DECRETO
18 febbraio 2011, n. 52
Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilita' dei rifiuti, ai sensi
dell'articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge
1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102. (11G0096)
(GU n. 95 del 26-4-2011 - Suppl. Ordinario n.107)

Pubblicato in Gazzetta il Testo Unico SISTRI
E’ stato pubblicato nel Supplemento Ordinario n. 107 della Gazzetta Ufficiale n.95 del 26 aprile
2011, il Decreto del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare del 18 febbraio
2011 n. 52 “Regolamento recante istituzione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti”. Il
provvedimento riunifica in un solo testo tutti i cinque decreti finora emanati sul Sistri che, dal
prossimo 11 maggio (data di entrata in vigore del Testo Unico), cesseranno di produrre effetti.
Resteranno salve, tuttavia, le proroghe intervenute per:
- l’avvio operativo del sistema fissato al 1 giugno 2011;
- la trasmissione dei dati di quanto prodotto e smaltito o recuperato nel 2010 e nel 2011 (da
effettuarsi rispettivamente entro il 30 aprile ed il 31 dicembre 2011).
Il Dm non incide nella sostanza sul quadro esistente relativo al nuovo sistema di tracciabilità dei
rifiuti. Vengono, tuttavia, introdotte importanti modifiche che è opportuno evidenziare:
• viene spostato dal 31 gennaio al 30 aprile il temine entro il quale è possibile versare il contributo
annuo. Si tratta di un vero e proprio mutamento della disciplina di base. Infatti, il 30 aprile
rappresenterà il nuovo termine per i versamenti da effettuare anche in futuro. Per il 2011 è
evidente il disallineamento temporale tra il pagamento entro il 30 aprile e l'entrata in vigore del
Dm (11 maggio). Tale disallineamento non genererà però conseguenze dato che il quadro
sanzionatorio entrerà in vigore a partire dal 1 giugno 2011;
• è prevista la possibilità per i trasportatori in conto terzi (articolo 212, comma 5, Dlgs 152/2006)
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di dotarsi del dispositivo Usb (la chiavetta) relativo alla sola sede legale oppure, in alternativa, di
un'ulteriore chiavetta per ciascuna unità locale. In questo secondo caso, il contributo va versato
per ogni unità locale dotata di chiavetta. Resta fermo l'obbligo di pagare il contributo annuale e di
dotarsi di una chiavetta per ogni veicolo a motore adibito al trasporto di rifiuti;
• viene confermata per la microraccolta ed estesa alle attività di raccolta dei rifiuti prodotti da
attività di manutenzione (purché i rifiuti siano trasportati direttamente all'impianto di recupero o
smaltimento da parte del soggetto che ha effettuato la manutenzione) la possibilità per il
trasportatore che intende movimentare rifiuti pericolosi di non dover accedere necessariamente
almeno due ore prima al sistema per la compilazione della scheda Sistri Area movimentazione.
L’importante è che tale scheda venga compilata prima della movimentazione medesima;
• per il trasporto marittimo dei rifiuti è previsto che l'armatore o il noleggiatore che effettuano il
trasporto, possano delegare gli adempimenti Sistri al raccomandatario marittimo di cui alla legge
135/77. In tal caso, il raccomandatario consegna al comandante della nave la copia compilata della
scheda Sistri - Area movimentazione. All'arrivo, il comandante consegna la copia della scheda al
raccomandatario rappresentante l'armatore o il noleggiatore presso il porto di destino;
• per i produttori di rifiuti pericolosi non inquadrati in un'organizzazione di ente o di impresa è
prevista la possibilità di adempiere all'obbligo di tenuta del registro di carico e scarico attraverso la
conservazione, in ordine cronologico, delle copie della scheda Sistri Area movimentazione, relative
ai rifiuti prodotti.
Restano soggetti al registro di carico e scarico i produttori di rifiuti non pericolosi non obbligati ad
iscriversi al Sistri.
Si informa, inoltre, che sul sito www.sistri.it, nella Sezione “Manuali e Guide”, è disponibile
l’edizione aggiornata del Manuale Operativo 2.4 del 26 aprile u.s., in cui è stata aggiunta la
procedura per la gestione degli autoveicoli fuori uso (ELV) e chiarimenti circa le modalità per
allineare il registro cronologico alle giacenze reali prima del 1 giugno 2011.
(Pierpaolo Masciocchi Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 29/04/2011)

Sicurezza del lavoro
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 4 febbraio 2011
Definizione dei criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui all'articolo 82, comma 2), lettera c),
del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81 e successive modifiche ed integrazioni. (11A04783)
(GU n. 83 del 11-4-2011 )

Sicurezza del lavoro: in Gazzetta le regole per i lavori sotto tensione elettrica
Il Ministero del lavoro ha disciplinato le regole applicabili ai lavori sotto tensione effettuati su
impianti elettrici alimentati a frequenza industriale, dettando regole e criteri per il rilascio
dell'autorizzazione alle imprese che svolgono tali attività.
lavoratori devono essere in possesso del documento di abilitazione, conseguente al superamento
della sorveglianza sanitaria, nonché essere appositamente formati.
La legge infatti (art. 82, Dlgs n. 81/2008) prevede che i lavori su parti in tensione siano effettuati
da aziende autorizzate, con specifico provvedimento del Ministero del lavoro, ad operare sotto
tensione.
Lavorazioni interessate - Il decreto in commento individua nel campo di applicazione le seguenti
attività:
• lavori sotto tensione eseguiti da parte di operatori agenti dal suolo, dai sostegni delle parti
in tensione, dalle parti in tensione, da supporti isolanti e non, da velivoli e da qualsiasi
altra posizione atta garantire il rispetto delle condizioni generali per l'esecuzione dei lavori
in sicurezza;
• attività in sperimentazione sotto tensione che preveda lo sviluppo e l'applicazione di
modalità, di tipologie di intervento e di attrezzature innovative.
I lavori sotto tensione sono i seguenti:
• manovra degli apparecchi di sezionamento, di interruzione e di regolazione e dei dispositivi
fissi di messa a terra ed in cortocircuito, nelle normali condizioni di esercizio;
• la manovra mediante fioretti isolanti degli apparecchi sopraelencati nelle normali condizioni
di esercizio;
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• l'uso di rivelatori e comparatori di tensione costruiti ed impiegati nelle condizioni specificate
dal costruttore o dalle stesse norme;
• l'uso di rilevatori isolanti di distanze nelle condizioni previste di impiego;
• il lavaggio di isolatori effettuato da impianti fissi automatici o telecomandati;
• l'utilizzo di dispositivi mobili di messa a terra ed in cortocircuito;
• lavori nei quali si opera su componenti che fanno parte di macchine o apparecchi alimentati
a tensione non superiore a 1.000 Volt anche se funzionanti a tensione superiore.
Autorizzazione all'azienda - L'autorizzazione di validità triennale viene data con decreto
dirigenziale del direttore generale della Tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro a
quelle aziende in possesso dei requisiti previsti nell'Allegato II al decreto.
requisiti minimi possono essere così ricapitolati:
1) le aziende richiedenti devono dotarsi di un'organizzazione in grado di garantire la sicurezza dei
lavori sotto tensione mediante l'applicazione di procedure specifiche per ciascun tipo di lavoro;
2) per l'esecuzione di lavori sotto tensione l'azienda deve adottare procedure scritte per
l'esecuzione degli stessi.
Domanda - La richiesta di autorizzazione deve essere indirizzata al Ministero del lavoro - Direzione
generale della tutela delle condizioni di lavoro - Div. VI.
Lavoratori - I lavoratori devono essere in possesso del documento di abilitazione, conseguente al
superamento della sorveglianza sanitaria, nonché essere appositamente formati, con rilascio di
apposita certificazione di idoneità, riferita alle effettive mansioni cui è destinato il personale stesso.
Attrezzature - Le aziende autorizzate devono stabilire idonee procedure dirette a garantire
l'identificazione delle responsabilità e la rintracciabilità delle azioni per la scelta,
l'immagazzinamento, la conservazione, la manutenzione, il trasporto, la custodia, l'uso appropriato
e la verifica periodica delle attrezzature secondo le indicazioni dei fabbricanti.
Periodo transitorio - Per le aziende già operanti nel settore e in possesso del relativo
riconoscimento, sono previsti 24 mesi di tempo per adeguarsi alle norme dell'attuale decreto
ministeriale del 4 febbraio 2011, e cioè entro il 26 aprile 2013.
(Pietro Gremigni, Il Sole 24 ORE Guida al Lavoro, 22.4.2011, n. 17 )
LEGGE 7 aprile 2011, n. 45
Modifica all'articolo 1 della legge 3 dicembre 1962, n. 1712, concernente la composizione dei
comitati consultivi provinciali presso l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul
lavoro. (11G0085)
(GU n. 90 del 19-4-2011 )
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 20 aprile 2011
Decreto per la qualificazione delle imprese operanti in ambienti sospetti di inquinamento o
confinati.
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: CIRCOLARE 19 aprile 2011, n.13
Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; lavori in ambienti sospetti di inquinamento. Iniziative
relative agli appalti aventi ad oggetto attività manutentive e di pulizia che espongono i lavoratori al
rischio di asfissia o di intossicazione dovuta ad esalazione di sostanze tossiche o nocive.
ISTITUTO NAZIONALE PER L'ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO:
CIRCOLARE 14 aprile 2011, n.25
Pagamento dei premi ed accessori: modifica del tasso di interesse di rateazione e di dilazione.
ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE: MESSAGGIO 7 aprile 2011, n.8386
Sportello unico previdenziale - versione 4.0. Richiesta di DURC relative alle società senza
dipendenti.
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: NOTA 7 aprile 2011 prot. n.
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25/SEGR/0005113
Programmazione attività di vigilanza per l'anno 2011.
Ispezioni in azienda - attività di vigilanza - contrasto al lavoro sommerso - anno 2011 precisazione
MINISTERO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI: DECRETO 11 aprile 2011
Disciplina delle modalita' di effettuazione delle verifiche periodiche di cui all'All. VII del decreto
legislativo 9 aprile 2008, n. 81, nonche' i criteri per l'abilitazione dei soggetti di cui all'articolo 71,
comma 13, del medesimo decreto legislativo. (11A05462)
(GU n. 98 del 29-4-2011 - Suppl. Ordinario n.111)
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Giurisprudenza
 Ambiente
 CONSIGLIO DI STATO, Sez. V – 27 aprile 2011, n. 2527
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Costruzioni abusive – Stato di degrado dell’area –
Motivo di giustificazione dell’abuso – Esclusione.
Lo stato di degrado e disordine ambientale non può costituire motivo di giustificazione della
costruzione abusiva, atteso che diversamente opinando non avrebbe senso neppure l’imposizione
del relativo vincolo, finalizzato proprio a prevenire l’aggravamento della situazione e di perseguire il
possibile recupero, (C.d.S., sez. V, 27 marzo 2000, n. 1761; 27 aprile 2010, n. 2377)
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Nulla osta paesaggistico – Verifica della correttezza
del giudizio espresso dall’amministrazione preposta – Sopralluogo – Necessità –
Esclusione.
In tema di rilascio di nulla - osta paesaggistico, l’attività di verifica della correttezza del giudizio
espresso dall’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e del conseguente provvedimento
comunale non implica necessariamente il compimento di un effettivo sopralluogo, ben potendo
limitarsi alla valutazione documentale della condotta tenuta dalle amministrazioni interessate
(C.d.S., sez. VI, 27 aprile 2010, n. 2377).
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Amministrazione preposta alla tutela del vincolo
paesaggistico – Prescrizioni dirette ad assicurare la compatibilità delle opere con il
vincolo – Dovere – Esclusione.
L’amministrazione preposta alla tutela del vincolo e/o l’amministrazione comunale non è tenuta ad
indicare gli eventuali accorgimenti ed interventi volti a rendere compatibile le opere abusivamente
realizzate con l’ambiente circostante al fine di consentire la sanabilità delle stesse. Un simile dovere
di soccorso, invero, non solo non trova alcun fondamento positivo specifico, ma neppure può
trovare radicamento nei principi costituzionali (art. 97 Cost.) cui deve improntarsi l’azione
amministrativa, ciò in quanto in ogni caso l’amministrazione deve esercitare il potere conferitole
dalla legge per il perseguimento dell’interesse pubblico, nel caso di specie quello della tutela della
bellezza del paesaggio dell’area interessata, certamente prevalente rispetto a quello privato alla
conservazione delle opere realizzate abusivamente senza i necessari permessi richiesti dalla legge.
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Vincolo paesaggistico – Abuso edilizio – Ordine di
demolizione – Atto vincolato – Affidamento del privato – Possibile sussistenza –
Esclusione.
Come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, il provvedimento di demolizione è atto
vincolato che non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una
comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione
sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione, non potendo
neppure ammettersi l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione
di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare (C.d.S., sez. IV, 1° ottobre 2007, n.
5049; 10 dicembre 2007, n. 6344; 31 agosto 2010, n. 3955; sez. V, 7 settembre 2009, n. 5229).
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 4 aprile 2011, n. 2083
CAVE E MINIERE – Attività estrattiva di cava – Assoggettabilità a permesso di costruire –
esclusione.
L’attività estrattiva di cava, pur non potendo quest’ultima svolgersi in contrasto con la disciplina
urbanistica, a pena di violazione dell’articolo 20, lettera a) della legge 28 febbraio 1985, n. 47, non
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è tuttavia assoggettabile a permesso di costruire (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, VI, 12
febbraio 1980, n. 159 e 11 settembre 2008, n. 4342).
CAVE E MINIERE – Attività estrattiva – Pianificazione di settore – Pluralità di interessi
coinvolti – Contemperamento.
Come la generale pianificazione urbanistica, la pianificazione di settore dell’attività estrattiva deve
contemperare la pluralità degli interessi coinvolti: dall’interesse economico dell’impresa esercente
l’attività stessa (interesse meritevole di tutela ai sensi dell’art. 41 della Costituzione, non meno del
diritto di proprietà, riconosciuto e garantito dal successivo articolo 42), a quegli ulteriori interessi di
rango costituzionale, che attengono alla tutela dell’ambiente e della salute dei cittadini (articoli 9 e
32 della stessa carta costituzionale). Sembra appena il caso di ricordare, poi, come sia la libera
iniziativa economica, sia le facoltà del proprietario in ordine all’utilizzo dei propri beni vengano,
nella medesima carta costituzionale, subordinati all’”utilità” o alla “funzione” sociale, con
riconosciuto carattere di valore primario dell’ordinamento delle esigenze di tutela ambientale o di
salvaguardia della salute dei cittadini, quali interessi pubblici idonei a giustificare il sacrificio di
singoli interessi privati (cfr. in tal senso, fra le tante, Cons. Stato, V, 12 giugno 2009, n. 3770; III,
29 ottobre 2002, n. 2016; IV, 13 maggio 2003, n. 1896; VI, 24 settembre 2007, n. 4924).
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. VI – 4 aprile 2011, n. 2087
BENI CULTURALI E AMBIENTALI – Annullamento dell’autorizzazione paesaggistica –
termine di sessanta giorni – Decorrenza – Individuazione.
La decorrenza del termine di sessanta giorni, previsto dall'art. 82, nono comma, d.P.R. n.616 del
1977, per l'esercizio del potere di annullamento, da parte del Ministero dei beni culturali ed
ambientali, dell'autorizzazione paesaggistica ex art.7 l. 29 giugno 1939, n.1497, inizia solo dal
momento in cui la documentazione perviene, completa, all'organo competente a decidere, a meno
che l'interruzione del termine non risulti pretestuosa e persegua fini meramente dilatori (Cons.
Stato, VI, 19 giugno 2001, n.3233).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 118
MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 168, c. 2 codice della strada – Prescrizioni ADR –
Contrasto – Esclusione.
Il comma 2 dell’art. 168 cod. strada rinvia specificamente agli allegati all’Accordo europeo relativo
al trasporto internazionale su strada di merci pericolose (ADR) per la disciplina della circolazione
dei veicoli che trasportano merci pericolose, nonché «per le prescrizioni relative all’etichettaggio,
all’imballaggio, al carico, allo scarico ed allo stivaggio sui veicoli stradali». In tal modo, le
prescrizioni contenute negli allegati all’Accordo ADR vengono ad integrare – anche per quanto
attiene alla determinazione degli obblighi gravanti sui diversi soggetti coinvolti nelle operazioni – la
componente precettiva degli illeciti amministrativi previsti dai commi 9, 9-bis e 9-ter dello stesso
art. 168 cod. strada, i quali sanzionano specificamente le violazioni del citato comma 2: il che
assicura la piena aderenza della disciplina interna all’atto internazionale di cui si tratta.
MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 167, c. 9 codice della strada – Proprietario del
veicolo e committente – Corresponsabilizzazione – Accordo ADR – Singoli Stati –
Posibilità di ampliare l’area degli obblighi degli “altri operatori”.
Il richiamo all’art. 167, comma 9, operato dal comma 10 dell’art. 168 cod. strada, ha una valenza
estensiva, e non già delimitativa dell’area della responsabilità. Detta estensione non può reputarsi
contrastante con l’Accordo ADR, il cui art. 5 stabilisce espressamente che i trasporti da esso
regolati restano soggetti alle norme nazionali riguardanti, in via generale, la circolazione stradale:
norme che, per quanto qui rileva, prevedono, come principio di massima, la
corresponsabilizzazione del proprietario del veicolo e del committente per le violazioni relative ai
trasporti di cose, come emerge non soltanto dall’art. 167, comma 9, ma anche dall’art. 10, comma
23, cod. strada, con particolare riguardo ai trasporti eccezionali o in condizioni di eccezionalità.
Inoltre, l’allegato A all’Accordo, se da un lato contempla uno specifico dovere di cooperazione del
terzo nell’esecuzione del trasporto, il quale deve segnalare per iscritto allo speditore che si tratta di
merci pericolose e mettere a sua disposizione tutte le informazioni e i documenti necessari
all’esecuzione dei suoi obblighi (punto 1.4.2.); dall’altro, fornisce un’indicazione dichiaratamente
non esaustiva degli obblighi degli altri «operatori» (punto 1.4.3), consentendo, in tal modo, ai
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singoli Stati di ampliarne l’area.
MERCI E SOSTANZE PERICOLOSE – Art. 168, c. 2 c.d.s. – Committente – Responsabilità –
Natura Applicabilità dei principi generali in materia di sanzioni amministrative.
La circostanza che la responsabilità prevista, a carico del committente di trasporto su strada di
merci pericolose, dall’art. 168, c. 2 del codice della strada non abbia carattere solidale, dimostra
che la responsabilità in questione resta regolata dai principi generali in materia di sanzioni
amministrative e, in particolare, da quello della responsabilità almeno per colpa, sancito dall’art. 3
della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale); principi ai quali non consta
che il legislatore abbia inteso nella specie derogare.
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
 Appalti
 CONSIGLIO DI STATO, Sezione V – 27 aprile 2011, n. 2479
APPALTI – Subappalto – Divieto di cui all’art. 37 d.lgs. n. 163/2006 – Individuazione
delle opere – Criterio sostanziale.
L'individuazione delle opere rientranti nel divieto di subappalto di cui all’art. 37 del d.lgs. n.
163/2006 dev’essere di tipo sostanziale, non formale (con riguardo, cioè, alle declaratorie ex d.P.R.
n. 34/2000, all. A, delle o.g. e delle o.s.), per cui, ai fini dell'applicabilità del divieto, occorre
verificare, di volta in volta, in rapporto a ciascun appalto, se le opere classificate come generali
siano in concreto di "notevole contenuto tecnologico o di rilevante complessità tecnica",
indipendentemente dalla relativa declaratoria formale: prevale l’esigenza di evitare che
l’aggiudicataria, classificata per le opere prevalenti, agisca da copertura per una serie di mascherati
subappalti concernenti proprio le opere di maggiore complessità tecnologica (cfr. C.S., sez. IV, dec.
19 ottobre 2004 n. 6701; sez. VI, dec. 19 agosto 2003 n. 4671).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sezione 3, Sentenza 18 aprile 2011, n. 2344
Appalto di servizi - Contratti della P.A. - Gara - Per l'affidamento dei servizi alberghieri Requisiti soggettivi di partecipazione - Elementi qualitativi dell'offerta - Certificazione
ISO - Avvalimento - Ammissibilità - Sussiste - Condizioni.
Avvalimento della certificazione ISO
L'ampia operatività dell'istituto dell'avvalimento, più volte ribadita dalla giurisprudenza
comunitaria, deve essere estesa, oltre che ai requisiti di ordine finanziario ed economico, anche a
quelli che attestano elementi qualitativi, quali, ad esempio, la certificazione ISO.
Queste le conclusioni contenute nella sentenza in commento, resa dal Consiglio di Stato il 18 aprile
2011 n. 2344.
Il ragionamento giuridico seguito dai giudici amministrativi prende spunto dall'esigenza di
considerare l'avvalimento nell'ottica dell'ordinamento comunitario, poi trasfuso nelle disposizioni di
cui all'art. 49 del D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163.
Così strutturato, l'istituto in esame assume una funzione incentivante della concorrenza,
agevolando l'ingresso nel mercato di nuovi soggetti e, pertanto, deve essere evitata ogni lettura
aprioristicamente restrittiva dell'ambito di operatività della disciplina richiamata.
Sulla base di queste considerazioni generali, l'istituto dell'avvalimento può essere utilizzato per
dimostrare la disponibilità dei requisiti soggettivi di "qualità", considerato che la disciplina del
codice non contiene alcuno specifico divieto in ordine ai requisiti soggettivi che possono essere
comprovati mediante tale strumento.
Viene tuttavia precisato che il requisito considerato non può essere oggetto di un "prestito"
astratto.
Infatti è onere del concorrente dimostrare, in sede di presentazione dell'offerta, che l'impresa
ausiliaria non si impegna semplicemente a "prestare" il requisito soggettivo richiesto, "ma assume
l'obbligazione di mettere a disposizione dell'impresa ausiliata, in relazione all'esecuzione
dell'appalto, le proprie risorse e il proprio apparato organizzativo, in tutte le parti che giustificano
l'attribuzione del requisito di qualità (a seconda dei casi: mezzi, personale, prassi e tutti gli altri
elementi aziendali qualificanti)".
Nel caso esaminato dai giudici, tale ultimo dato assume particolare importanza processuale, poiché
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la dimostrazione del presupposto sostanziale (impegno globale dell'ausiliaria) prescinde da una
specifica eccezione della controparte.
(Avv. Antonio Giacalone, Il Sole 24 ORE Codice degli appalti, 22 aprile 2011)
 CORTE DI CASSAZIONE, SEZIONE II, SENTENZA 7 marzo 2011 n. 5388
Difformità e vizi dell’opera - Riconoscimento da parte dell’appaltatore - Assunzione
dell’obbligo di eliminarli - Nuova obbligazione - Prescrizione – È quella decennale. (Cc,
articoli 1333, 1667 e 2944)
Qualora l’appaltatore riconosca la sussistenza dei vizi della prestazione seguita e, riconoscendo la
propria responsabilità, prenda l’impegno di eliminarli, proponendo i rimedi idonei a escludere in
modo definitivo gli inconvenienti, sorge - a carico dell’appaltatore medesimo - una nuova
obbligazione, novativa di quella originaria ex lege, come tale soggetta all’ordinario termine
decennale di prescrizione.
(M.Fin. Il Sole 24 ORE - Guida al diritto 16 aprile 2011, n. 16)

CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 114
APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Regione Friuli Venezia Giulia – Previsione statutaria di
competenza legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse regionale –
Previsioni del Codice dei contratti pubblici – Rapporto.
Nella Regione Friuli-Venezia Giulia trova applicazione – secondo quanto previsto dall’art. 10 della
legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 – la specifica attribuzione statutaria circa la competenza
legislativa primaria in materia di lavori pubblici di interesse ragionale, non contemplando il
novellato titolo V della parte seconda della Costituzione la materia “lavori pubblici”. Ciò, tuttavia,
non significa che – in relazione alla disciplina dei contratti di appalto che incidono sul territorio della
Regione – la legislazione regionale sia libera di esplicarsi senza alcun vincolo e che non possano
trovare applicazione le disposizioni di principio contenute nel decreto legislativo 12 aprile 2006, n.
163. La medesima disposizione statutaria contenuta nell’art. 4 sopra citato prevede, infatti, che la
potestà legislativa primaria regionale deve essere esercitata «in armonia con la Costituzione, con i
principi generali dell’ordinamento giuridico della Repubblica, con le norme fondamentali delle
riforme economico-sociali e con gli obblighi internazionali dello Stato (...)», e non vi è dubbio che
le disposizioni contenute nel Codice del contratti pubblici – per la parte in cui si correlano alle
disposizioni del titolo V della parte seconda della Costituzione e, in particolare, all’art. 117, secondo
comma, lettere e) ed l), in tema di tutela della concorrenza e di ordinamento civile – devono essere
ascritte, per il loro stesso contenuto d’ordine generale, all’area delle norme fondamentali di riforme
economico-sociali, nonché delle norme con le quali lo Stato ha dato attuazione agli obblighi
internazionali nascenti dalla partecipazione dell’Italia all’Unione europea. In questa prospettiva,
vengono in considerazione, in primo luogo, i limiti derivanti dal rispetto dei principi della tutela
della concorrenza, strumentali ad assicurare le libertà comunitarie. In tale ambito, la disciplina
regionale non può avere un contenuto difforme da quella prevista, in attuazione delle norme
comunitarie, dal legislatore nazionale e, quindi, non può alterare negativamente il livello di tutela
assicurato dalla normativa statale. In secondo luogo, il legislatore regionale deve rispettare i
principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, tra i quali sono ricompresi anche quelli afferenti
la disciplina di istituti e rapporti privatistici relativi, soprattutto, alle fasi di conclusione ed
esecuzione del contratto di appalto, che devono essere uniformi sull’intero territorio nazionale, in
ragione della esigenza di assicurare il rispetto del principio di uguaglianza.
APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Criteri di aggiudicazione – Legislatore regionale –
Indicazione dell’ordine di priorità nella scelta – Incisione sui livelli di tutela della
concorrenza – Esclusione.
Nei casi in cui il legislatore regionale non ha escluso in via aprioristica ed astratta uno dei possibili
criteri di aggiudicazione, ma si è limitato ad indicare un ordine di priorità nella scelta, tale diversità
di disciplina non è suscettibile di alterare le regole di funzionamento del mercato e, pertanto, non è
idonea ad incidere negativamente sui livelli di tutela della concorrenza fissati dalla legislazione
statale (sentenza n. 221 del 2010).
APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Facoltà di esclusione automatica – Numero di offerte
inferiore a dieci – Art. 3, c. 1 bis L. r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009 – Disciplina diversa
da quella nazionale – Illegittimità costituzionale.
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L’art. 122, comma 9, del d.lgs. n. 163 del 2006 – a seguito della modifica ad esso apportata
dall’art. 1, comma 1, lettera bb), n. 2, del decreto legislativo 11 settembre 2008, n. 152 (Ulteriori
disposizioni correttive e integrative del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, recante il Codice
dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, a norma dell’articolo 25, comma 3, della
legge 18 aprile 2005, n. 62) –stabilisce che la facoltà di esclusione automatica «non è esercitabile
quando il numero delle offerte ammesse è inferiore a dieci». Questa Corte ha già avuto modo di
affermare che tale modifica è stata imposta dall’esigenza di «aumentare l’area di concorrenzialità»
(sentenza n. 160 del 2009). Il legislatore regionale del Friuli Venezia Giulia – non avendo previsto
che, nelle stesse ipotesi considerate a livello statale, non si possa disporre l’esclusione automatica
– ha introdotto, con l’art. 3, c. 1 bis della L.r. n. 11/2009, una disciplina diversa da quella
nazionale, idonea ad incidere negativamente sul livello della concorrenza, che deve essere
garantito agli imprenditori operanti nel mercato. Ne consegue l’illegittimità costituzionale del citato
comma.
APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Art. 122 d.lgs. n. 163/2006 – Forme di pubblicità– Art. 1bis L.r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009 – Illegittimità costituzionale.
Deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale del comma 4 dell’art. 1-bis della L.r. Friuli
Venezia Giulia n. 11/2009, nella parte in cui non prevede che, oltre alle forme di pubblicità stabilite
a livello regionale, si applichino anche quelle imposte dall’art. 122 del d.lgs. n. 163 del 2006.
APPALTI – LAVORI PUBBLICI – Incarichi di progettazione – Art. 91, c. 2 d.lgs. n.
163/2006 – Affidamento – Invito – Numero minimo di cinque soggetti – L.r. Friuli
Venezia Giulia n. 11/2009, art. 1 bis, c. 5 – Diversità di disciplina – Numero minimo di
tre soggetti – Illegittimità costituzionale.
La norma statale di cui all’art. 91, c. 2 del d.lgs. n. 163/2006 prevede che «gli incarichi di
progettazione, di coordinamento della sicurezza in fase di progettazione, di direzione dei lavori, di
coordinamento della sicurezza in fase di esecuzione e di collaudo nel rispetto di quanto disposto
all’articolo 120, comma 2-bis, di importo inferiore alla soglia di cui al comma 1 possono essere
affidati dalle stazioni appaltanti, a cura del responsabile del procedimento, ai soggetti di cui al
comma 1, lettere d), e), f), f-bis), g) e h) dell’articolo 90, nel rispetto dei principi di non
discriminazione, parità di trattamento, proporzionalità e trasparenza, e secondo la procedura
prevista dall’articolo 57, comma 6; l’invito è rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono in tale
numero aspiranti idonei». La norma contempla un sistema di affidamento che non impone il
rispetto di regole e procedure rigide salvo su un punto. Il legislatore nazionale ha, infatti, previsto
che l’invito debba essere rivolto ad almeno cinque soggetti, se sussistono, in tale numero, aspiranti
idonei. La norma regionale di cui all’art. 1-bis, c. 5 della L. r. Friuli Venezia Giulia n. 11/2009,
invece, stabilisce che la selezione debba avvenire tra tre soggetti individuati dal responsabile unico
del procedimento. La riduzione degli operatori economici abilitati a partecipare alla procedura
selettiva comporta una diversità di disciplina idonea ad incidere negativamente sul livello
complessivo di tutela della concorrenza nel particolare segmento di mercato preso in
considerazione. La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente
illegittima nella parte in cui prevede che la procedura selettiva debba svolgersi tra tre e non tra
«almeno cinque soggetti».
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, SENTENZA n. 1739 del 21 marzo 2011
Danno da ritardato pagamento – procedimento amministrativo – Ritardo nel rilascio di
un’autorizzazione – Danni da ritardi – risarcibili a prescindere
Nota
Risarcimento del danno causato dal ritardo della Pubblica Amministrazione
Con la sentenza n. 1739 del 21 marzo 2011 la V sezione del Consiglio di Stato ha riconosciuto il
risarcimento del danno causato dalla Regione Veneto per non aver rispettato il termine, previsto
dalla relativa legge regionale, per il rilascio del provvedimento di autorizzazione richiesto
dall’impresa ricorrente.
In data 30 aprile 2008, l’impresa ricorrente presentava istanza di autorizzazione per la
realizzazione di un impianto di stoccaggio e recupero di rifiuti speciali, lavaggio e bonifica in un
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Comune situato nella regione Veneto.
A causa dell’inerzia dell’amministrazione regionale, l’impresa proponeva ricorso avverso il silenzio e
contestualmente chiedeva il risarcimento del danno. La regione Veneto si costituiva in giudizio
depositando la deliberazione con cui, in data 27 ottobre 2009, era stato approvato l’intervento
richiesto. Per tale ragione il T.A.R. adito dichiarava cessata la materia del contendere e dichiarava
inammissibile la domanda di risarcimento del danno in quanto incompatibile con la natura
accelerata e semplificata del rito avverso il silenzio.
Avverso la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, l’impresa proponeva appello.
Il Consiglio di Stato, preliminarmente ha sottolineato come in base alle nuove disposizioni previste
dall’articolo 32 del codice del processo amministrativo, deve sempre ritenersi ammesso il cumulo di
più domande assoggettate a riti diversi, precisando che “In particolare, l’art. 117, comma 6, del
Codice ha previsto che, se l’azione di risarcimento del danno è proposta congiuntamente a quella
avverso il silenzio, il giudice può definire con il rito camerale l’azione avverso il silenzio e trattare
con il rito ordinario la domanda risarcitoria”.
Per quanto attiene al merito della controversia, il Consiglio di Stato ha riconosciuto e accertato la
sussistenza di un ritardo di oltre un anno nel rilascio dell’autorizzazione e l’imputabilità della colpa
in capo all’amministrazione regionale, specificando altresì come il danno può comunque essere
risarcito anche ove l’impresa non abbia più ritenuto opportuno iniziare l’attività proprio a causa del
ritardo con cui è stata rilasciata l’autorizzazione. Ed infatti “Deve, quindi, ritenersi che il ritardo nel
rilascio dell’autorizzazione è imputabile soggettivamente alla regione Veneto e che non sussiste
alcun valido elemento idoneo a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo.
L’accertamento della sussistenza di un ritardo di oltre un anno nel rilascio dell’autorizzazione e
l’imputabilità del ritardo al Comune non risolvono tutte le problematiche della presente
controversia, che attiene al risarcimento del danno subito dalla ricorrente a causa di tale ritardo.
Nel caso di specie, ricorre l’ipotesi in cui il privato invoca la tutela risarcitoria per i danni
conseguenti al ritardo con cui l'amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma
emanato appunto con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento. Il
ritardo procedimentale ha, quindi, determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della
vita”, costituito nel caso di specie dalla disponibilità dell’autorizzazione per l’esecuzioni di lavori di
realizzazione di un impianto di gestione dei rifiuti. In questi casi la giurisprudenza è pacifica
nell’ammettere il risarcimento del danno da ritardo (a condizione ovviamente che tale danno
sussista e venga provato) e l’intervenuto art. 2-bis, comma 1, della legge n. 241/90, introdotto
dalla legge n. 69/2009, conferma e rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi
delle p.a., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati sono tenuti al
risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del
termine di conclusione del procedimento. La norma presuppone che anche il tempo è un bene della
vita per il cittadino e la giurisprudenza ha riconosciuto che il ritardo nella conclusione di un
qualunque procedimento, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una
essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi
intervento, condizionandone la relativa convenienza economica (Cons. Giust. Amm. reg. Sic., 4
novembre 2010 n. 1368, che, traendo argomenti dal citato art. 2-bis, ha aggiunto che il danno
sussisterebbe anche se il procedimento autorizzatorio non si fosse ancora concluso e finanche se
l’esito fosse stato in ipotesi negativo)[…]Ogni cittadino e ogni impresa hanno diritto ad avere
risposta dalle amministrazioni alle proprie istanze nel termine normativamente determinato e ciò
proprio al fine di programmare le proprie attività e i propri investimenti; un inatteso ritardo da
parte della p.a. nel fornire una risposta può condizionare la convenienza economica di determinati
investimenti, senza però che tali successive scelte possano incidere sulla risarcibilità di un danno
già verificatosi.”.
Per quanto attiene alla prova del risarcimento del danno, il Consiglio di Stato ha però precisato
come il ricorrente debba comunque fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non
potendosi invocare, in assenza di prove, né una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. né la
consulenza tecnica d’ufficio.
Per tale ragione i giudici non hanno accolto la richiesta di risarcimento del danno della ricorrente
sia per gli asseriti costi sostenuti per varie consulenze che in riferimento ai mancati utili. Ed infatti
per tali danni non era stato dimostrato né l’effettivo nesso causale con la condotta
dell’amministrazione nè soprattutto era stata fornita adeguata giustificazione.
Al contrario i giudici dell’appello hanno riconosciuto il risarcimento del danno per quanto attiene
agli interessi passivi corrisposti dalla ricorrente e non contestati dall’amministrazione regionale.
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Secondo la sezione V “Infatti, proprio sulla base della possibilità prospettata di non dare corso
all’investimento, il tempestivo rilascio dell’autorizzazione avrebbe messo in condizione l’impresa di
rispettare il proprio programma di investimento, mentre il ritardo ha determinato uno sfasamento
tra ricorso al credito e attuazione dell’intervento, che ha certamente determinato un danno
all’impresa ricorrente, che – ove avesse conosciuto i reali tempi di durata del procedimento
amministrativo – avrebbe potuto desistere dall’investimento o comunque non ricorrere subito al
finanziamento, non pagando in entrambi i casi gli interessi passivi in questione”.
In definitiva con la sentenza in commento il Consiglio di Stato ha riconosciuto come anche il ritardo
della Pubblica Amministrazione può essere risarcito dal momento che “…il fattore tempo costituisce
una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione dei piani finanziari relativi a
qualsiasi intervento…”, ma è onere del ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza
del danno.
(Fausto Indelicato Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24 07/04/2011)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 1 aprile 2011, n. 2055
APPALTI – Offerte anomale – Subprocedimento di verifica – Motivazione.
Il giudizio che conclude il sub procedimento di verifica delle offerte anomale, di natura globale e
sintetica sulla serietà o meno dell'offerta nel suo insieme, costituisce espressione di un potere
tecnico discrezionale dell'Amministrazione, di per sé insindacabile salva l'ipotesi in cui le valutazioni
ad esso sottese non siano abnormi o manifestamente illogiche o affette da errori di fatto. Ne
discende che la relativa motivazione deve essere rigorosa in caso di esito negativo, mentre la
positiva valutazione di congruità della presunta offerta anomala è sufficientemente espressa anche
con motivazione per relationem alle giustificazioni rese dall'impresa offerente (da ultimo, ex multis,
Consiglio di Stato, sez. V, 8 febbraio 2011, n. 852; Consiglio di Stato, sez. V, 23 novembre 2010,
n. 8148).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, Sez. V, sentenza n. 1446,8 marzo 2011
Appalto di servizi - Contratti della P.A. - Gara - Per l'affidamento del servizio di trasporto
scolastico - Aggiudicazione provvisoria - Annullamento - Mancato avviso di avvio del
procedimento - Legittimità – Sussistenza.
Nota
Rapporto tra aggiudicazione provvisoria e aggiudicazione definitiva nel Codice dei
Contratti Pubblici
Il Consiglio di Stato Sez. V, con sentenza n. 1446 dell’ 8 marzo 2011 ha chiarito come nell’ambito
di una procedura di scelta del contraente, l’aggiudicazione provvisoria rappresenta un atto
necessario ma non decisivo atteso che l’individuazione definitiva del concorrente risulta
cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva.
La pronuncia in commento aveva origine da un ricorso presentato da un soggetto che dopo essere
stato dichiarato aggiudicatario provvisorio, aveva successivamente impugnato il provvedimento con
il quale la stazione appaltante aveva annullato, in autotutela, l’aggiudicazione provvisoria. In
particolare veniva censurata la mancata comunicazione di avvio del procedimento che si era
concluso con l’adozione del provvedimento in autotutela.
Per una migliore comprensione della decisione in commento, sembra opportuno riportare le
disposizioni del d.lgs. 163/2006 (Codice dei Contratti Pubblici) che disciplinano l’aggiudicazione
provvisoria e l’aggiudicazione definitiva.
L’art. 11 (Fasi delle procedure di affidamento) al suo comma 5 prevede che “La stazione
appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’art. 12 comma 1, provvede
all’aggiudicazione definitiva”.
L’art. 12 (Controlli sugli atti delle procedure di affidamento) prevede, al 1° comma, che
“L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo
l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri
soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal
ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il
termine è pari a trenta giorni.[…] Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza,
quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.
Dalla lettura delle norme in oggetto si può vedere come nell’ambito del Codice dei contratti
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l’aggiudicazione provvisoria rappresenta solo un presupposto dell’unico procedimento di
aggiudicazione che comunque deve essere concluso con il provvedimento di aggiudicazione
definitiva.
In conformità al dettato normativo il Consiglio di Stato ha chiarito come “L’aggiudicazione
provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta
del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione
del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva;
pertanto, versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla
gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del
procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento in autotutela (cfr. da
ultimo Consiglio di Stato, sez. V, 13 ottobre 2010, n. 7460)”.
In definitiva, con la sentenza in oggetto, il Consiglio di Stato ha contribuito ulteriormente a chiarire
come l’aggiudicazione provvisoria abbia un ruolo necessario ma non decisivo, considerato la sua
natura di atto endoprocedimentale, ai fini della definitiva aggiudicazione dell’appalto
(Fausto Indelicato Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24 , 07/04/2011)
Nota
Anche al mancato vincitore vanno risarcite le spese legate alla partecipazione
Il Consiglio di Stato ammette il risarcimento delle spese di partecipazione alla gara anche per
l'impresa mancata aggiudicataria, vittima di procedure illegittime. L'indennizzo fa parte della
mancata chance.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato si è divisa sulla risarcibilità delle spese di partecipazione
alle procedure di evidenza pubblica. Con la decisione del 21 marzo 2011, n. 1738, la V sezione del
Consiglio di Stato ha disposto il loro ristoro nell'ambito della condanna al risarcimento dei danni
subiti da un concorrente per una mancata aggiudicazione.
Le spese sostenute per partecipare alla procedura di gara sono state ritenute risarcibili quale danno
emergente subito a causa della lesione della chance di divenire aggiudicataria, lesione conseguente
a un'illegittima aggiudicazione.
In sede risarcitoria, quindi, l'interesse legittimo del concorrente a ottenere l'aggiudicazione di un
appalto pubblico o di un'altra commessa pubblica è stato considerato tutelabile anche mediante il
risarcimento delle spese di gara.
Cambio di linea
La decisione è in contrasto con la posizione largamente maggioritaria della giurisprudenza
amministrativa in materia di risarcimento dei danni da mancata aggiudicazione. Un precedente, in
realtà, si erà già avuto con la sentenza n. 6544 del settembre 2010 dello stesso Collegio. Fino ad
allora, il Consiglio di Stato era stato pressoché unanime nell'escludere il ristoro delle spese
sostenute per la partecipazione alla gara.
Le spese di gara
Le spese sostenute per la partecipazione alla procedura di gara si differenziano a seconda del tipo
di procedura.
Comuni alla maggior parte delle procedure sono le spese relative al contributo da versare
all'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, alla prestazione della garanzia provvisoria (ad
esempio, il premio per la polizza fideiussoria), alle cd. spese di bollo, quelle di predisposizione della
documentazione (in particole, se è richiesta la presentazione di certificazioni o visure da acquisire
presso le amministrazioni), nonché quelle di spedizione.
A seconda del tipo di procedura e dell'oggetto dell'appalto, il concorrente può sostenere ulteriori
spese, in special modo se il bando prescrive la predisposizione di una progettazione o di un'offerta
tecnica articolata o richiede la presentazione di un piano economico-finanziario o di un altro
documento asseverato da un istituto di credito o finanziario. In questi casi, le spese possono essere
particolarmente rilevanti, soprattutto ove si tenga conto anche dei costi legati all'impiego di
dipendenti o consulenti del concorrente (compresi i consulenti legali per le gare particolarmente
complesse) o del concorrente stesso (ad esempio, l'attività prestata negli appalti di progettazione
dagli studi di progettazione concorrenti o dai professionisti concorrenti).
La giurisprudenza finora
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Secondo la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato queste spese sarebbero risarcibili
all'impresa illegittimamente esclusa dalla procedura di gara, al contrario, l'impresa danneggiata per
una mancata aggiudicazione non avrebbe diritto al loro ristoro.
In particolare, in ipotesi d'illegittima esclusione, verrebbe in rilievo una responsabilità
precontrattuale della stazione appaltante, per aver illegittimamente e colpevolmente coinvolto
l'impresa in trattative negoziali inutili, trattative da intendersi tali alla luce dell'illegittima esclusione
dalla procedura di gara. In simili ipotesi, il risarcimento riguarderebbe il cosiddetto interesse
negativo del concorrente, vale a dire l'interesse dello stesso a non essere stato coinvolto in tali
trattative. Il risarcimento dell'interesse negativo comporta il diritto dell'impresa a essere
reintegrata in una situazione analoga a quella in cui si troverebbe ove non fosse stata coinvolta in
queste trattative.
Si tratta di un interesse da ristorare, ove possibile, in forma specifica, mediante la riammissione in
gara, in subordine, per equivalente, mediante la corresponsione di un equivalente monetario.
Nell'ambito del ristoro dell'interesse negativo, sono risarcibili, a titolo di danno emergente, le spese
sostenute dall'impresa per predisporre l'offerta e partecipare alla gara, vale a dire per aver svolto
inutili trattative (Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 4435/2002). I giudici di Palazzo Spada, al
contrario, ritengono non risarcibili le spese di partecipazione, in ipotesi di danni da mancata
aggiudicazione. Si tratta dei danni subiti dal concorrente che, alla luce di quanto emerso in sede
giurisdizionale, avrebbe dovuto conseguire l'aggiudicazione o aveva concrete chanche di divenire
aggiudicatario in luogo dell'impresa illegittimamente dichiarata aggiudicataria.
In tal caso, oggetto di risarcimento è il cosiddetto interesse positivo, che comporta il diritto del
concorrente a essere reintegrato in una situazione analoga a quella in cui si troverebbe ove le
trattative si fossero correttamente svolte e, quindi, presumibilmente concluse con un
provvedimento d'aggiudicazione a favore dell'impresa.
Secondo la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato, il risarcimento dell'interesse positivo in
caso di danno da mancata aggiudicazione non ricomprenderebbe il ristoro delle spese sostenute
per la partecipazione alla procedura di gara. E ciò sulla base dell'assunto che in caso di
aggiudicazione il concorrente non avrebbe ottenuto il rimborso di queste spese. Si esclude il
risarcimento di queste spese, in quanto in sede risarcitoria non si può attribuire all'impresa
un'utilità maggiore rispetto a quella che avrebbe conseguito per effetto dell'aggiudicazione
(Consiglio di Stato, sezione VI, decisione 2751/2008).
I nuovi principi
Con la decisione 1738/2011 la V sezione ha confermato la recente discontinuità. In particolare,
nella sentenza è stato ricordato che per previsione degli articoli 1223 e 2056 del codice civile il
risarcimento deve comprendere sia il danno emergente (la perdita subita) sia il lucro cessante (il
mancato guadagno).
La V sezione ha poi osservato che il concorrente sostiene le spese di partecipazione per poter
godere della chance di divenire aggiudicatario.
La condotta della stazione che determina l'illegittima aggiudicazione non consente al concorrente di
usufruire di tale chance, in quanto la possibilità di conseguire l'appalto è pregiudicata da tale
illegittima condotta che altera il confronto concorrenziale e impedisce all'impresa di veder
correttamente valutata la propria offerta e nel caso giudicata quale migliore offerta.
Per questo, nella sentenza si rileva che in tali ipotesi le spese sono sostenute inutilmente dal
ricorrente, perché non possono adempiere la loro funzione di assicurare un'effettiva chance di
aggiudicazione, da ciò si conclude per la loro risarcibilità.
La V sezione afferma la risarcibilità senza ribaltare l'assunto a fondamento della tesi di irrisarcibilità
della giurisprudenza maggioritaria.
E infatti, nella sentenza non si sostiene che il concorrente avrebbe ottenuto il rimborso di tali spese
in caso di legittimo svolgimento della procedura di gara ed eventualmente di aggiudicazione a suo
favore.
La questione è esaminata e risolta da una prospettiva in parte diversa: l'inutilità delle spese
sostenute che è determinata dall'illegittimo comportamento della stazione appaltante.
Il concorrente sopporta le spese in ragione della possibilità di divenire aggiudicatario, ma, a causa
della condotta della stazione appaltante, la possibilità non può in alcun modo concretizzarsi.
La sentenza si pone nel filone giurisprudenziale e dottrinario di superamento della cd. teoria della
differenza, secondo la quale il danno risarcibile dovrebbe essere commisurato nella differenza che il
patrimonio complessivo del danneggiato avrebbe raggiunto senza l'intervento dell'atto illecito e il
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suo effettivo ammontare.
Per tale teoria le spese di partecipazione non sono risarcibili, perché in caso di aggiudicazione le
spese sostenute dal concorrente non sarebbero rimborsate con il corrispettivo d'appalto e, quindi,
sarebbero rimaste a carico del concorrente.
La teoria della differenza, tuttavia, è stata criticata perché legata a una visione statica dei rapporti
economici.
La sentenza 1738/2011 appare, pertanto, in linea con una lettura evolutiva della teoria dei danni
risarcibili.
A ciò si aggiunga che le spese di partecipazione alla gara sono altresì da risarcire ogni volta che il
ricorrente dimostri di aver previsto tali spese tra le spese generali o in altre voci della propria
offerta destinate a essere remunerate con il ricavato dell'appalto.
(Flavio Iacovone, Il Sole 24 ORE - Edilizia e territorio, 4-9 aprile 2011, n. 13)
 Edilizia
 TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. II – 7 aprile 2011, n. 526
DIRITTO URBANISTICO – Gazebo – Natura di costruzione – Volume edilizio – Esclusione.
Un gazebo, costituito da quattro colonne con sovrastante copertura, non configura un volume
edilizio, essendo aperta su tutti i lati, e dunque non è soggetta a concessione edilizia (TAR
Piemonte, sez. I, 19 novembre 2010, n. 4158): esso può senza dubbio essere qualificato come
arredo per spazi esterni e non già come costruzione, tale da richiedere una concessione edilizia
(Tribunale di Napoli, 18 dicembre 2004).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

TAR LOMBARDIA, Brescia, Sez. I – 29 marzo 2011, n. 487
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE – ARPA – Nota emanata all’esito di un sopralluogo –
Giudizio sull’esito del sopralluogo – Natura di parere – Esercizio della funzione consultiva
propria dell’ARPA – Impugnazione – Inammissibilità.
La nota emanata dall’ARPA all’esito di un sopralluogo, con la quale l’ente comunica le proprie
valutazioni al riguardo, contenendo un giudizio sull’esito (ritenuta sussistenza di irregolarità) ma
omettendo qualsiasi prescrizione sulle azioni concrete da intraprendere in conseguenza costituisce
non già esercizio di funzioni di amministrazione attiva eccedenti la competenza dell’ARPA, quanto
esercizio della funzione consultiva di essa propria, a fronte del quale gli organi competenti, la
Provincia e il Comune sollecitati, potranno, secondo i principi, conformarsi all’orientamento
espresso o motivatamente discostarsene. Ne deriva che la nota in questione costituisce in sostanza
un parere, che come tale non riveste carattere provvedimentale, e quindi non può di regola essere
impugnato, perché privo di autonoma attitudine lesiva.
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CONSIGLIO DI STATO, IV SEZIONE, SENTENZA n. 2113 del 4 aprile 2011
Espropriazione - per pubblica utilità - controversia - oggetto - risarcimento dei danni
derivanti dall'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo adottato
in materia di espropriazione per pubblica utilità - giurisdizione del Giudice
Amministrativo - sussiste.
La controversia concernente il risarcimento dei danni derivanti dall'annullamento giurisdizionale di
un provvedimento amministrativo adottato in materia di espropriazione per pubblica utilità spetta
al Giudice Amministrativo. Viceversa, le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di
occupazione usurpativa, intese come manipolazione del fondo di proprietà privata, avvenuta in
assenza della dichiarazione di pubblica utilità, ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia,
rientrano nella giurisdizione ordinaria. Sussiste, infine, la giurisdizione esclusiva del Giudice
Amministrativo in caso di danni conseguenti all'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità.
Orbene, nel caso di specie, inerente il risarcimento dei danni patiti per l'illegittima occupazione di
aree, a seguito dell'annullamento della dichiarazione di pubblica utilità, risulta infondato l'appello
incidentale promosso dal Comune interessato sul difetto di giurisdizione dell'adito Giudice
Amministrativo, essendo del tutto irrilevante che il successivo decreto di esproprio era valido ed
efficace, posto che l'eliminazione della dichiarazione di pubblica utilità ha effetto caducante sul
decreto in parola.
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Nota
L'edificabilità di fatto come criterio di prova del danno per le occupazioni illegittime dei
terreni da parte della PA
Con la sentenza n. 2113 del 4 aprile 2011 la IV sezione del Consiglio di Stato ribadisce alcuni
fondamentali principi in tema di occupazione illegittima di terreni da parte della Pubblica
Amministrazione e profili risarcitori.
In primo luogo il Collegio ribadisce i principi che regolano il riparto di giurisdizione precisando che:
“spetta al giudice amministrativo” ogni controversia cha ha ad oggetto “il risarcimento dei danni
conseguenti all'annullamento giurisdizionale di un provvedimento amministrativo in tema di
espropriazione per pubblica utilità” come l’annullamento della dichiarazione di pubblica utilità
(Consiglio Stato a. plen., 09 febbraio 2006 , n. 2; n.9 del 30 luglio 2007).
“Mentre le domande risarcitorie e restitutorie relative a fattispecie di occupazione usurpativa,
intese come manipolazione del fondo di proprietà privata avvenuta in assenza della dichiarazione di
pubblica utilità ovvero a seguito della sua sopravvenuta inefficacia, rientrano nella giurisdizione
ordinaria (omissis) (Cassazione civile , sez. un., 23 dicembre 2008 , n. 30254).”
Nel merito poi della richiesta risarcitoria del proprietario del fondo di fatto espropriato il collegio
precisa nella liquidazione del danno da occupazione illecita “non ricorrendo il parametro
dell’edificabilità legale”, si deve tenere conto del parametro “dell’edificabilità di fatto” e quindi “fare
riferimento alle obiettive caratteristiche della zona ed alla possibile utilizzazione del terreno, anche
in relazione al contesto spaziale nel quale quest'ultimo concretamente si ponga in ragione del
rapporto di fisica contiguità con aree limitrofe edificate o appartenenti alla medesima zona cui
l'area espropriata è funzionale, sempreché risulti comunque accertata una sua compatibilità con le
generali scelte urbanistiche ed entro i limiti in ogni caso posti dall'art. 4” T.U. Espropri (DPR
327/2001).
Il Consiglio di Stato con la sentenza in commento ricorda che è onere del cittadino proprietario del
terreno illegittimamente occupato e di fatto espropriato, dimostrare in concreto il valore del terreno
da risarcire - la sua “edificabilità di fatto” - producendo atti notarili di compravendita di terreni
limitrofi da cui si possa ricavare tale valore.
In base al principio di ripartizione dell’onere probatorio (art. 2697 cod. civ.) che impone alla parte
la prova dei fatti dalla stessa dedotti e posti a base delle proprie richieste, non si può demandare la
prova del valore del terreno occupato ad una semplice richiesta di consulenza tecnica d’ufficio. Essa
infatti “ha la funzione di fornire all'attività valutativa del giudice l'apporto di cognizioni tecniche non
possedute” ma non può supplire ad una totale carenza probatoria connessa alla richiesta
risarcitoria.
(Fabio Agostoni Avvocato, Il Sole 24 ORE - Repertorio di Urbanistica ed Edilizia, 11 aprile 2011)
 Energia
 TAR PUGLIA, Lecce, Sez. I – 13 aprile 2011, n. 657
DIRITTO DELL’ENERGIA - Istanza di autorizzazione unica – Oneri istruttori – L. n.
62/2005, art. 4 – Criteri della predeterminatezza e della pubblicità – Momento in cui gli
oneri devono essere quantificabili – Presentazione della domanda.
La L. 18 aprile 2005 n. 62, all’art. 4, stabilisce che gli oneri per prestazioni e controlli da eseguire
da parte di uffici pubblici nell'attuazione delle normative comunitarie sono posti a carico dei
soggetti interessati secondo tariffe “predeterminate e pubbliche”. La ratio della norma che prevede
la predeterminazione del costo degli oneri istruttori è quella di assicurare che il soggetto
proponente conosca l’importo degli stessi oneri nel momento in cui presenta la domanda ; è quindi
alla data di presentazione della domanda che deve essere individuato il momento in cui l’onere
deve essere quantificabile. In caso contrario, gli oneri istruttori non potrebbero essere quantificati
dai soggetti che attivano la procedura, impedendo così agli stessi di formare un piano economico
consapevole (fattispecie relativa alla domanda di Autorizzazione Unica alla regione Puglia per la
costruzione e l’esercizio dell’impianto fotovoltaico).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE COSTITUZIONALE – 7 aprile 2011, n. 112
DIRITTO DELL’ENERGIA – D.Lgs. n. 22/2010 – Gestione e utilizzazione delle risorse
geotermiche - Valore di riforma economico-sociale – Regioni e Province autonome –
Osservanza – Obbligo.
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Le disposizioni del d.lgs n. 22 del 2010, le quali hanno ad oggetto la gestione e l’utilizzazione delle
risorse geotermiche, disciplinandone la ricerca, la coltivazione ed il loro inserimento nel piano
energetico nazionale, hanno valore di “riforma economico-sociale” di rilevante importanza e,
indipendentemente dal problema delle situazioni dominicali, debbono essere osservate anche dalle
Regioni a statuto speciale e dalle Province autonome, titolari di competenze primarie in tema di
“miniere”. Dette disposizioni, inoltre, che perseguono l’unica ratio di ottenere energia rinnovabile e
senza inquinamento, derivano dall’esercizio da parte dello Stato delle competenze esclusive in
materia ambientale, in necessario concorso con le competenze in materia di energia, sicché, anche
sotto questo profilo, esse sono in grado di imporsi all’osservanza da parte delle Regioni e delle
Province autonome, le quali sono sprovviste di competenze legislative primarie in materia di tutela
dell’ambiente.
DIRITTO DELL’ENERGIA – Risorse geotermiche – Provincia autonoma di Bolzano –
Canoni relativi ai permessi di ricerca e concessioni geotermiche – Art. 1, c. 6 , d.lgs. n.
22/2010 – Illegittimità costituzionale nella parte in cui non prevede l’inapplicabilità
della disciplina alla Provincia di Bolzano.
La Provincia di Bolzano è tenuta ad osservare le norme statali costituenti riforme economico-sociali
per quegli aspetti che riguardano la gestione e la migliore utilizzazione delle risorse geotermiche,
siano esse di alta, media o bassa entalpia, mentre mantiene tutti i suoi diritti per quanto concerne
gli aspetti economici. In altre termini, spettano alla Provincia i canoni relativi ai permessi di ricerca
ed alle concessioni delle risorse geotermiche. Ne deriva che il comma 6 dell’art. 1 del d.lgs n. 22
del 2010, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non prevede che la
disposizione relativa all’appartenenza delle risorse geotermiche ad alta entalpia al patrimonio
indisponibile dello Stato non si applica alla Provincia di Bolzano.
(Massime a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
 Rifiuti
 CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 1 aprile 2011, n. 2058
RIFIUTI – Gestione dei rifiuti – Art. 4 D.L. n. 90/2008 - Giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo – Estensione.
La devoluzione alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo delle controversie attinenti
alla complessiva azione di gestione dei rifiuti (art. 4 del D.L. 23 maggio 2008, n. 90, convertito,
con modificazioni, nella legge 14 luglio 2008, n. 123) presuppone che gli atti o comportamenti della
p.a., o dei soggetti alla stessa equiparati, costituiscano espressione dell’esercizio di un potere
autoritativo dell’amministrazione pubblica, rimanendone escluse le controversie nelle quali sia
dedotto in giudizio un rapporto obbligatorio avente la propria fonte in una pattuizione di tipo
negoziale, intesa a regolare gli aspetti meramente patrimoniali della gestione, che continuano ad
appartenere alla giurisdizione del giudice ordinario.(Corte di Cassazione, SS.UU., 11 giugno 2010,
n. 14126; 7 luglio 2010, n. 16032); la giurisdizione esclusiva in materia, riguarda inoltre le sole
controversie attinenti la complessiva gestione dei rifiuti, nella cui nozione non sono compresi, ai
sensi dell’art. 117 e ss. D.Lgs. 3.04.2006, n. 152, gli strumenti di provvista di risorse umane e
materiali, che vanno, conseguentemente ritenuti estranei alla giurisdizione del giudice
amministrativo (Cons. Stato, Sez. IV, 27 marzo 2009, n. 1845)
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)
 Sicurezza
 CORTE DI CASSAZIONE, Sezione Lavoro, 3 marzo 2011, n. 5134
SICUREZZA SUL LAVORO - Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro - Azione di
regresso dell’INAIL nei confronti del datore di lavoro - Mancato esercizio dell’azione
penale - Termine di prescrizione ex art. 112 D.P.R. 1124/1965 - Dies a quo.
Con l'azione di regresso prevista dal Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno del 1965, n.
1124, articoli 10 ed 11, l'INAIL, agendo contro il datore di lavoro dell'assicurato infortunato, fa
valere in giudizio un diritto proprio, nascente direttamente dal rapporto assicurativo. L’azione nei
confronti del datore di lavoro che ha violato la normativa sulla sicurezza sul lavoro è, in qualche
misura, assimilabile all'azione di risarcimento danni promossa dall'infortunato, tanto che il diritto
viene esercitato entro i limiti del complessivo danno civilistico ed é funzionalizzato a sanzionare il
datore di lavoro, consentendo contestualmente all'Istituto assicuratore di recuperare quanto
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corrisposto al danneggiato. Il diritto dell'INAIL al recupero di quanto erogato al danneggiato deve
allora agganciarsi, per la certezza dei rapporti giuridici, alla liquidazione dell'indennizzo assicurativo
costituente il fatto certo e costitutivo del diritto a svolgere, nel termine normativamente prescritto,
l'azione di regresso. (Conf. Cass. 4015/1992, Cass. 8467/1994; Cass. 13598/2009; Contr. Cass.
968/2004; Cass. 502/1985).
(Massima a cura della rivista giuridica www.AmbienteDiritto.it)

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. pen., 27 settembre 2010, n. 34774
MACCHINE - Sicurezza del lavoro - Sega per il taglio di tovagliolini di carta - Mancanza di
segregazione della lama e di dispositivi di sicurezza - Rimozione di tovagliolini inceppati
- Infortunio dell'operaio addetto - Responsabilità penale del datore di lavoro e del
produttore del macchinario – Prescrizione
Nota
Macchinario non “a norma”: responsabili datore di lavoro e produttore
La quarta sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 34774 del 27.09.2010, è tornata ad
affermare un principio di sicuro interesse nella materia previdenziale, chiarendo che, in caso di
infortunio provocato da macchinario non conforme alle norme vigenti in materia di sicurezza sul
lavoro, devono ritenersi ugualmente responsabili in ordine all’accertamento di responsabilità il
datore di lavoro e il soggetto produttore della macchina. Nel caso in esame entrambi ricorrevano
alla Suprema Corte a seguito di condanna, sia in primo che in secondo grado, per il delitto di cui
all'art. 590 c.p. (lesioni aggravate in danno del lavoratore) motivata dall’aver originato la
disposizione di lavoro (datore) l’incidente occorso all’operaio, quest’ultimo verificatosi in condizioni
di utilizzo di un macchinario privo di dispositivi di sicurezza, posto colpevolmente in commercio
(produttore) .A tal proposito, la Corte ha più volte ribadito che, in materia di infortuni sul lavoro, la
condotta colposa del lavoratore infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a
produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione
svolta: in tal senso il datore di lavoro è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento
del lavoratore, e le sue conseguenze, presentino i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità,
dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute. La
tendenza giurisprudenziale, pertanto, anche alla luce dei primi positivi dati forniti da INAIL in tema
di lieve riduzione degli incidenti denunciati, appare, nella materia indicata, orientarsi verso profili di
sempre maggiore rigidità interpretativa nei confronti dela posizione datoriale. Si rammenta, infatti,
che la stessa Corte, con precedente pronuncia, (sentenza n. 16941 del 4.5.2010) osservava che:
“In caso di infortunio sul lavoro provocato dall’utilizzo di un macchinario che risulti privo dei
necessari requisiti di sicurezza, il costruttore risponde dei danni subiti dal lavoratore anche nel caso
in cui la costruzione del macchinario sia stata affidata ad un progettista”, rifacendosi proprio ad
un’ulteriore precedente decisione (n. 15873 del 20.3.2007) nella quale veniva affermato che “il
costruttore risponde per gli eventi dannosi causalmente ricollegabili alla costruzione di una
macchina che risulti priva dei necessari dispositivi o requisiti di sicurezza. L’unica eccezione a tale
principio si ha nel caso in cui l’utilizzatore risulti aver compiuto sulla macchina trasformazioni di
natura ed entità tale da poter essere considerate “causa sopravvenuta da sola sufficiente a
determinare l’evento”.Quanto alla posizione del produttore del macchinario, il profilo di
responsabilità, secondo quanto affermato dalla Suprema Corte, deriverebbe direttamente dal
rapporto contrattuale, nel corso del quale la azienda fornitrice della attrezzatura, e per la stessa il
soggetto legale rappresentante, avrebbero posto in essere la condotta censurata. Quest’ultima
consistita nell’immettere sul mercato uno strumento non conforme alle normative vigenti in
materia di sicurezza su lavoro, con cio’ compartecipando insieme al datore di lavoro, che quel
macchinario fornirà al dipendente, alla responsabilità per la produzione dell’evento dannoso.
(Alberto Stocco, Francesco Cerchio, Il Sole 24 ORE - Ventiquattore Avvocato)
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Ambiente

Bonifica e danno ambientale: l'utilizzo dei moduli negoziali
Maurizio Pernice, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6
Vista l'inefficienza della sola applicazione degli strumenti autoritativi nei settori della
bonifica e del risarcimento del danno ambientale, ampiamente dimostrata dai
numerosi contenziosi pendenti e dai ritardi che si registrano nelle azioni di
risanamento, è sempre più frequente il ricorso a sistemi negoziali e altre misure
volontarie più flessibili. In Italia, il primo modulo convenzionale per la risoluzione delle
controversie in materia di danno ambientale è stato utilizzato nel 1998; allo stesso
anno risale anche la definizione ai sensi di legge delle "transazioni globali" in materia
di danno ambientale. Il ricorso all'accordo di programma, disciplinato in via generale
dall'articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000, è espressamente previsto dagli articoli 246 e 252
bis, D.Lgs. n. 152/2006, quale strumento di partecipazione attiva e volontaria anche
per la definizione delle modalità, natura e tempi degli interventi di bonifica di un sito o
di una pluralità di siti. Un'analisi di questi strumenti costituirà il tema del convegno,
organizzato dal "Network bonifiche", che si terrà il 12 aprile 2011 a Roma.
A distanza di quasi cinque lustri dall'entrata in vigore dell'articolo 18, legge n. 349/1986, a quasi
quattordici anni dall'adozione dell'articolo 17, D.Lgs. n. 22/1997, e dopo ormai cinque anni
dall'entrata in vigore delle disposizioni del D.Lgs. n. 152/2006, e successive modifiche e
integrazioni, in materia di bonifica e risarcimento del danno ambientale, la sola applicazione degli
strumenti autoritativi ha dimostrato tutti i suoi limiti e non è risultata idonea a conseguire gli
obiettivi sperati.
I numerosi contenziosi pendenti e i ritardi che si registrano nelle azioni di risanamento ne sono la
testimonianza più immediata; la situazione è aggravata dalla difficoltà di reperire le ingenti risorse
finanziarie pubbliche necessarie al finanziamento degli interventi, anche in via sostitutiva.
A livello di ordinamento comunitario e nazionale è stato avviato, ormai da tempo, un approccio più
moderno.
La tutela dell'ambiente non è più affidata esclusivamente al sistema di "command e control", ma è
sempre più spesso attuata con una progressiva e decisa emancipazione da quegli strumenti
tradizionali ai quali sono affiancati, in alternativa e integrazione, più efficaci sistemi economici e
negoziali e altre misure volontarie più flessibili.
Nello specifico tema del risanamento dei siti contaminati, l'intervento volontario è privilegiato
anche in altri paesi europei. Ad esempio, in Inghilterra il "Contaminated Land Regime", entrato in
vigore nel 2000 a seguito delle modifiche apportate all'"Environmental Protection Act 1990 - Part
2a", non ha sostituito, ma affiancato, il regime del "Land Contamination Planning", in base al quale
il problema della bonifica dei siti contaminati è affrontato in sede di elaborazione e approvazione
dei piani di sviluppo territoriale e di rilascio di permessi di costruire, in modo che gli oneri di
bonifica vengono ad essere compensati dai vantaggi economici dell'iniziativa urbanistica [1].
In Italia il modulo convenzionale per la risoluzione delle controversie in materia di danno
ambientale è stato utilizzato inizialmente per la vicenda della petroliera "Haven", con il ricorso,
però, a una complessa e specifica procedura stabilita dalla legge 16 luglio 1998, n. 239, recante
"Autorizzazione a definire in via stragiudiziale le controversie aventi ad oggetto il risarcimento dei
danni subiti dallo Stato Italiano per l'evento Haven e destinazione di somme a finalità ambientali".
La transazione è stata poi utilizzata per definire gli impegni per la bonifica e la riparazione del
danno ambientale nel sito nazionale di Porto Marghera.
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L'accordo transattivo è stato individuato anche come strumento di attuazione degli accordi di
programma stipulati nei siti d'interesse nazionale tra il Ministero dell'Ambiente e della tutela del
territorio e le altre amministrazioni coinvolte.
Da ultimo, l'articolo 2, del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, convertito con modificazioni in
legge 22 febbraio 2009, n. 13, ha dettato disposizioni specifiche per la stipula di "transazioni
globali" in materia di danno ambientale.
Accordi di programma per la bonifica dei SIN
Il ricorso all'accordo di programma, disciplinato in via generale dall'articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000,
è espressamente previsto dagli articoli 246 e 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, quale strumento di
partecipazione attiva e volontaria anche per la definizione delle modalità, natura e tempi degli
interventi di bonifica di un sito o di una pluralità di siti.
La funzione generale dell'accordo di programma (articolo 34, D.Lgs. n. 267/2000) è di favorire "la
definizione e l'attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la
loro completa realizzazione, l'azione integrata e coordinata di comuni, di province e di regioni, di
amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici", assicurando "il coordinamento delle azioni e (...)
i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso adempimento".
Questi obiettivi, finalità ed esigenze ricorrono anche per l'individuazione, il coordinamento e
l'attuazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica di un sito, soprattutto se si tratta di siti di
interesse nazionale nei quali la contaminazione coinvolge aree vaste, numerose proprietà private e
aree pubbliche e diverse matrici ambientali.
In particolare, il problema del coordinamento e della razionalizzazione delle azioni di messa in
sicurezza e bonifica è connaturale alle caratteristiche dei siti d'interesse nazionale, nei quali gli
interventi sulle acque sotterranee e sui sedimenti marini devono essere necessariamente attuati
considerando l'area contaminata nella sua unità e complessità.
Per rispondere a queste esigenze, l'art. 246, D.Lgs. n. 152/2006, attribuisce ai soggetti obbligati
alla bonifica di un sito e ai soggetti altrimenti interessati un vero e proprio diritto soggettivo a
definire le modalità e i tempi di esecuzione degli interventi mediante appositi accordi di programma
stipulati con le amministrazioni competenti. La stessa disposizione prevede che i tempi e le
modalità degli interventi di bonifica possano essere definiti con accordi di programma allorché più
soggetti debbano provvedere alla bonifica di un sito di interesse nazionale o di una pluralità di siti
dislocati su tutto il territorio nazionale o che interessano più regioni.
Inoltre, a integrazione del D.M. 18 settembre 2001, n. 468, concernente il programma nazionale di
bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati, l'articolo 6, D.M. 28 novembre 2006, n. 308, ha
stabilito che per la realizzazione di interventi con impiego di risorse finanziarie attribuite ai singoli
siti dal programma nazionale di bonifica si debba procedere utilizzando lo strumento dell'accordo di
programma da stipularsi con la regione interessata.
Grazie anche a questo quadro normativo di riferimento, l'accordo di programma ha gradualmente
assunto un ruolo centrale tra le iniziative assunte dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del
territorio e del mare per sbloccare la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica
nei siti d'interesse nazionale.
Le azioni da realizzare e gli impegni da assumere per la bonifica di siti di interesse nazionale,
nonché le modalità e le condizioni per la composizione consensuale delle controversie ambientali
pendenti o che potrebbero essere avviate, sono stati individuati e definiti in modo condiviso con
apposito accordo di programma stipulato tra il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e
del mare e le altre amministrazioni (regione, provincia, comune).
Con questi accordi, le parti pubbliche firmatarie individuano e assumono l'impegno di realizzare
interventi di messa in sicurezza delle acque di falda, di provvedere alla bonifica dei suoli e delle
falde delle aree pubbliche, di procedere alla bonifica dei suoli e delle falde delle aree private in
sostituzione in danno dei soggetti privati inadempienti e di effettuare la bonifica degli arenili e dei
sedimenti marino-costieri eventualmente interessati dalla contaminazione, riservandosi di agire nei
confronti dei soggetti responsabili, anche ai sensi dell'articolo 2051, c.c., per il rimborso delle spese
sostenute e per il risarcimento dell'ulteriore danno ambientale [2].
I soggetti responsabili restano terzi estranei all'accordo, ma possono aderirvi tramite la stipula di
un negozio transattivo con il quale sono ammessi a godere di specifiche agevolazioni economiche e
limitazioni ai propri obblighi [3].
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Per il responsabile della contaminazione e per il proprietario che non ha cagionato l'inquinamento
del sito, ma è responsabile ex art. 2051 c.c., la transazione costituisce una mera accettazione e
ratifica di quanto definito dalle pubbliche amministrazioni in sede di accordo di programma. In
questo modo, l'atto transattivo ha per oggetto anche l'accertamento delle responsabilità per la
bonifica e per l'ulteriore danno ambientale individuate nell'accordo di programma, che liquida nel
loro ammontare.
Di qui le inevitabili contestazioni in sede giudiziale e le conseguenti iniziative con le quali il
legislatore è intervenuto per il riconoscimento eteronomo dell'efficacia di questi accordi e delle
transazioni già stipulate in attuazione degli stessi [4].
I limiti e le incertezze riscontrate avrebbero potuto essere superate dalla disciplina dettata
dall'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, in materia di accordi di programma per l'individuazione e
l'attuazione di specifici programmi d'intervento nei siti di preminente interesse pubblico per la
riconversione industriale, con aree demaniali e acque di falda contaminate.
Questa disposizione, infatti, prevede che il responsabile della contaminazione o altro soggetto
interessato partecipi direttamente alla stipula dell'Accordo di programma, garantendo, però, che i
progetti di risanamento e di sviluppo economico produttivo da realizzare in un sito siano condivisi
sin dall'inizio tra tutti i soggetti coinvolti, favorendone l'attuazione [5].
Diverse sono anche le modalità con le quali l'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006, affronta e
risolve il tema della responsabilità per i danni ambientali antecedenti al 30 giugno 2006, ai quali
non si applica la direttiva 2004/35/CE.
Fermo restando il principio della responsabilità degli autori dell'inquinamento e, in via sussidiaria,
dei proprietari del sito contaminato, per i danni ambientali che residuano all'esito degli interventi di
bonifica [6], la disposizione in esame delimita direttamente con precisione gli obiettivi da
conseguire e i beni oggetto del risanamento, nonché le conseguenze che l'attuazione degli
interventi e delle misure a tal fine individuati determinano sulla responsabilità dei soggetti
obbligati.
Sotto quest'ultimo profilo, la corretta attuazione degli interventi di riparazione del suolo e delle
acque e il ristoro dei servizi di queste risorse, pregiudicati dall'inquinamento, costituisce attuazione
- e quindi anche definizione - della responsabilità per danno ambientale.
La soluzione è particolarmente efficace ai fini della preclusione di eventuali ulteriori
contenziosi
Infatti, se si considera l'ampiezza che l'ordinamento italiano attribuisce alla nozione di danno
ambientale e la sua incertezza, è evidente che alcuni profili di danno non previsti né prevedibili
potrebbero non essere ricompresi nell'oggetto di un accordo transattivo, e, quindi, non essere
coperti dallo stesso.
Invece, la disciplina degli accordi di programma dettata dall'articolo 252-bis, D.Lgs. n. 152/2006,
che non ha ancora trovato attuazione, sul punto appare in grado di garantire risultati migliori e
maggiore certezza per le seguenti ragioni:
- si riferisce solo alle situazioni di contaminazione antecedenti al termine ultimo di applicazione
della direttiva 2004/35/CE, e, quindi, lascia un margine di discrezionalità al legislatore nazionale
non censurabile in sede UE;
- individua l'obiettivo degli accordi nella riparazione (ripristino) delle risorse naturali acque e
terreno e dei servizi di queste risorse, nonché nell'attuazione di progetti di sviluppo economico;
- limita l'oggetto del risarcimento per danno ambientale alle spese necessarie per riparare i danni
cagionati alle acque, al terreno e ai servizi di queste risorse;
- non è l'accordo di programma, ma è direttamente la legge che individua i beni da risanare e gli
obiettivi di risanamento e stabilisce che la realizzazione degli interventi di riparazione e
compensazione concordati a questi fini con l'accordo di programma costituisce anche attuazione
degli obblighi di risarcimento del danno ambientale [7].
Le transazioni globali
Da quanto precede, emerge che uno degli ostacoli maggiori all'attuazione degli interventi di messa
in sicurezza e di bonifica dei siti contaminati d'interesse nazionale è proprio il diffuso contenzioso in
atto in materia di danno ambientale.
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C'è poi il problema, che si è rivelato non meno importante, dei danni patrimoniali cagionati dal
fatto lesivo del bene ambiente.
Per superare queste difficoltà, il Governo ha adottato in via d'urgenza una disciplina speciale per
l'approvazione e la stipula di contratti di transazione globale (art. 2, D.L. 30 dicembre 2008 n. 208
[8], convertito, con modificazioni, in legge 27 febbraio 2009, n. 13, recante "Misure straordinarie in
materia di risorse idriche e di protezione dell'ambiente").
La disposizione in questione prevede, tra l'altro, che "nell'ambito degli strumenti di attuazione di
interventi di bonifica emessa in sicurezza di uno o più siti di interesse nazionale", il Ministero
dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'esito di un articolato procedimento di
autorizzazione [9], può stipulare con le imprese interessate, pubbliche o private, "una o più
transazioni globali (...) in ordine alla spettanza e alla quantificazione degli oneri di bonifica, degli
oneri di ripristino, nonché del danno ambientale di cui agli articoli 18 della legge 8 luglio 1986, n.
349, e 300 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e degli altri eventuali danni di cui lo Stato
o altri enti pubblici territoriali possano richiedere il risarcimento".
La norma precisa che la stipulazione del contratto di transazione comporta, per i fatti oggetto della
transazione, "abbandono del contenzioso pendente e preclude ogni ulteriore azione per rimborso
degli oneri di bonifica e di ripristino ed ogni ulteriore azione risarcitoria per il danno ambientale, ai
sensi dell'articolo 18 della legge 8 luglio 1986, n. 349, o della Parte VI del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, nonché per le altre eventuali pretese risarcitorie azionabili dallo Stato e da enti
pubblici territoriali".
A oggi, non si è a conoscenza della stipula di alcuna "transazione globale"; non si dispone,
pertanto, di elementi concreti per poterne valutare l'efficacia e l'effettiva portata innovativa ai fini
dello sblocco degli interventi di bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale.
Tuttavia, alla luce dei principi generali, sembrerebbe che anche quest'ultima soluzione non sia in
grado di superare i principali nodi critici che hanno ostacolato e reso difficile la definizione di
accordi volontari nella disciplina di settore in questione.
In primo luogo, solo il titolare di un diritto, o colui al quale è stato conferito il relativo potere di
agire, può disporne. La decisione della conferenza di servizi che approva a maggioranza lo schema
transattivo non appare, pertanto, idonea a imporre al soggetto dissenziente di disporre contro la
sua volontà di un suo diritto al risarcimento del danno subito. La conferenza di servizi, infatti, è
solo uno strumento di semplificazione del procedimento amministrativo e non un organo collegiale
con potere di rappresentanza organica dei soggetti che vi partecipano.
In secondo luogo, resta irrisolto il problema dei limiti degli effetti della transazione rispetto ai danni
non previsti e non prevedibili; evenienza che in tema di danno ambientale è tutt'altro che
eccezionale, soprattutto ove si consideri la natura ampia e indefinita della relativa nozione
giuridica.
Infine, la liquidazione per equivalente del danno ambientale sembra ammissibile solo con
riferimento agli eventi antecedenti al 30 aprile 2007, che non rientrano nel campo di applicazione
della direttiva 2004/35/CE.
Quest'ultima, infatti, impone sempre il risarcimento in forma specifica, pur graduando gli interventi
di ripristino in misure di riparazione primaria, complementare e compensativa.
In particolare, in caso di riparazione mediante misure compensative, la disciplina comunitaria
privilegia l'applicazione di metodi di equivalenza risorsa-risorsa o servizio-servizio e in via
subordinata prevede il ricorso a tecniche di valutazione alternative, compresa la valutazione
monetaria, ma solo al fine di "determinare la portata delle necessarie misure di riparazione" (punto
1.2.2. e.1.2.3 dell'Allegato II alla direttiva 2004/356/CE, riprodotto all'Allegato 3, parte VI, D.Lgs.
n. 152/2006).
Conclusioni
Alla luce di quanto precede, si ritiene che per favorire la collaborazione volontaria dei privati
responsabili o interessati alla bonifica dei siti contaminati di interesse nazionale e al recupero
produttivo delle relative aree, è necessario individuare misure in grado di garantire un ritorno
economico degli investimenti.
Soluzione che presuppone una delimitazione certa delle responsabilità e degli oneri economici da
sostenere.
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A questo fine, la liquidazione per equivalente del danno ambientale tramite accordi transattivi è
sicuramente una soluzione utile, ma solo per le situazioni di contaminazioni storiche antecedenti
alla data di applicazione della direttiva 2004/35/CE. Infatti, come accennato, l'ordinamento
comunitario esclude il risarcimento del danno ambientale per equivalente; oltre al fatto che la
possibilità di definire negozialmente gli obblighi e le responsabilità di riparazione per i danni
ambientali futuri potrebbe attenuare le funzione di prevenzione della direttiva 2004/35/CE.
Inoltre, la definizione transattiva delle responsabilità e degli obblighi per il risanamento dei siti
d'interesse nazionale oggetto di contaminazioni storiche sarà tanto più efficace quanto più il
legislatore definirà e circoscriverà in modo preciso i beni ambientali tutelati e gli obiettivi di
riparazione degli stessi, facendo discendere direttamente dalla loro esecuzione il venir meno di ogni
ulteriore responsabilità per danno ambientale; così da eliminare ogni rischio di insorgenza di danni
imprevedibili non coperti dalla transazione.
Infine, per favorire la collaborazione dei soggetti obbligati o interessati, gli interventi di bonifica dei
siti in questione potrebbero essere inseriti in una programmazione di sviluppo urbanistico dell'area
interessata, sul modello anglosassone, in grado di garantire un ritorno economico agli investimenti.
In questa prospettiva è evidente la necessità di riconoscere un ruolo centrale alle amministrazioni
comunali, anche nell'ambito di specifici accordi di programma.
_____
[1] Ai sensi del "Town e Country Planning Act 1990" gli interventi di bonifica sono pianificati con lo sviluppo economico del
sito in modo tale che i relativi costi di risanamento siano sostenuti da chi beneficia dello sviluppo. In sede di pianificazione
dell'uso del territorio, le competenti autorità locali sono responsabili del fatto che tale territorio abbia i requisiti per l'uso
previsto. A questo scopo, il soggetto che attua l'iniziativa è responsabile della bonifica,ma, al tempo stesso, gli enti
competenti alla pianificazione e al rilascio della concessione edilizia hanno la responsabilità che la bonifica sia effettuata
come concordato a tutela dei rischi per la salute e l'ambiente. In questo contesto, per incoraggiare le bonifiche volontarie perché il proprietario del sito vuole valorizzare il terreno o perché il terreno è inserito in un programma di sviluppo
urbanistico - il regime di responsabilità dettato dalla "Environmental Protection Act 1990 Part 2a" è utilizzato in via residuale
quando non c'è altra soluzione possibile e, precisamente, quando non esiste una soluzione volontaria, quando lo sviluppo
dell'area è avvenuto prima dell'inquinamento, quando non c'è alcuna prospettiva realistica di bonifica volontaria e quando i
rischi sono troppo grandi per attendere una riqualificazione volontaria del sito contaminato. Questa soluzione è funzionale al
risparmio di risorse pubbliche. (www.environmental-protection.org.uk/contaminated-land).
[2] Gli "accordi di programma" già stipulati ricalcano un medesimo schema convenzionale, con le variazioni necessarie e gli
adattamenti dei contenuti e delle clausole richiesti per soddisfare la specificità del sito e la natura degli interventi
programmati. Ad esempio, le finalità e l'oggetto generale dell'accordo di "accordo di programma" stipulato in data 15
novembre 2007 per il sito di "NapoliOrientale" sono l'eliminazione dei rischi e il recupero del sito inquinato, partendo dalle
aree pubbliche. Per conseguire questi obiettivi, le amministrazioni firmatarie assumono l'impegno di realizzare: interventi di
messa in sicurezza delle acque di falda; la bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche; la bonifica dei suoli e delle
falde delle aree private in sostituzione e danno dei soggetti privati inadempienti; la bonifica degli arenili e dei sedimenti
marino costieri. In particolare, con questi accordi, le pubbliche amministrazioni assumono l'impegno a realizzare e finanziare
gli interventi di messa in sicurezza della falda e di bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche con diritto di rivalsa
nei confronti dei responsabili della contaminazione. Gli interventi di bonifica dei suoli e delle falde delle aree private, invece,
devono essere realizzati direttamente dai responsabili della contaminazione e, in qualità di responsabili ai sensi dell'articolo
2051 cc, per il danno ambientale cagionato dalle aree contaminate che hanno in custodia, dai proprietari delle aree
contaminate, impregiudicata la responsabilità per il danno ambientale che residua all'esito di questi interventi. In questi
casi, dunque, l'accordo prevede l'impegno delle amministrazioni a intervenire in via sostitutiva nel caso in cui il soggetto
obbligato non provveda, con diritto di regresso nei confronti dei soggetti inadempienti per il rimborso di tutte le spese
sostenute. Per maggiori informazioni:
http://www.provincia.napoli.it/Micro_Siti/Ambiente/Navigazione_Sinistra/Tutela_suolo_siti.inquinati_rifiuti/Bonifica_siti_con
taminati/Accordi_Programma_ SIN/
http://www.minambiente.it/export/sites/default/archivio/allegati/bonifiche/napoli/accordo_programma_napoli_15_11_07.p
df
[3] Per rendere economicamente vantaggioso l'adempimento volontario - e al tempo stesso reperire risorse economiche
private necessarie all'attuazione degli interventi programmati sui beni demaniali - l'accordo prevede espressamente che i
responsabili della contaminazione e i proprietari delle aree comprese nel sito contaminato possano accedere a una serie di
agevolazioni e benefici attraverso la stipula di una transazione. Le reciproche concessioni e l'oggetto del contratto di
transazione sono stabiliti in modo preciso dall'accordo, in modo che l'autonomia negoziale dei privati ne risulti alquanto
limitata. In dettaglio, a fronte dell'obbligo del privato di concorrere pro quota alle spese per la progettazione e la
realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda, di corrispondere una somma forfettaria a titolo di
risarcimento per danno ambientale da versare in dieci anni senza interessi e di rinunciare a ogni azione di rivalsa nei
confronti degli altri soggetti che si siano avvalsi dei benefici della transazione, l'amministrazione si impegna a progettare e
realizzare gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda, a liberare il privato dagli obblighi di messa in sicurezza in
relazione alla sua area e di riconoscere uno sconto del cinquanta per cento a titolo di contributo sulle somme dovute che il
privato deve corrispondere per gli interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda. L'accordo prevede, inoltre, la
possibilità di pattuire che le somme investite dal privato per miglioramenti ambientali o per innovazione tecnologiche siano
portati in detrazioni dalle somme dallo stesso dovute a titolo di risarcimento per danno ambientale e per gli interventi di
messa in sicurezza e bonifica della falda.
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[4] L'ultimo periodo del comma 5, dell'articolo 2, D.L. 30 dicembre 2008, n. 308, convertito con modificazioni in legge 27
febbraio 2009, n. 13, in materia di danno ambientale, fa espressamente "salvi gli accordi transattivi già stipulati alla data di
entrata in vigore" del decreto medesimo "nonché gli accordi transattivi attuativi di accordi di programma già conclusi a tale
data".
[5] Solo "in caso di mancata partecipazione all'accordo di programma (...) di uno o più responsabili della contaminazione" o
se "il responsabile non adempia a tutte le obbligazioni assunte in base all'accordo di programma (...), gli interventi sono
progettati ed effettuati d'ufficio dalle amministrazioni che hanno diritto di rivalsa nei confronti dei soggetti che hanno
determinato l'inquinamento, ciascuno per la parte di competenza".
[6] I differenti obiettivi e il differente oggetto della disciplina della bonifica di siti contaminati e della riparazione del danno
ambientale comportano necessariamente che all'esito dei primi residui normalmente un danno ambientale. Infatti, la
disciplina della bonifica ha a oggetto solo le matrici terreno e l'acque sotterranee e mira a eliminare i rischi sanitari della
contaminazione; la disciplina del danno ambientale, invece, ha per oggetto anche la tutela delle acque superficiali, degli
habitat naturali e delle specie protette, nonché dei servizi che ciascuna di queste risorse, unitamente al terreno e alle acque
superficiali, assicura alle altre risorse e alla collettività, e ha per obiettivo primario la riparazione (rimessa in pristino) delle
risorse e dei servizi danneggiati. Anzi, la disciplina del risarcimento del danno ambientale dettata dall'articolo 18, legge n.
349/1986, in parte ripresa dalla parte VI del D.Lgs. n. 152/2006, considera danno ambientale qualsiasi alterazione
dell'ambiente, ampliandone, pertanto, l'oggetto della tutela rispetto alla stessa direttiva comunitaria 2004/357CE. Di
conseguenza, se la contaminazione riguarda le acque superficiali (che comprendono anche i sedimenti), gli habitat, le specie
protette e i servizi assicurati dalle risorse naturali, nonché altri profili ambientali che non sono oggetto della bonifica,
sussisterà sempre un problema di risarcimento del danno ambientale. Se, invece, la contaminazione riguarda le acque
sotterranee e il suolo, gli interventi di bonifica sono idonei a soddisfare anche le esigenze di riparazione del danno
ambientale. Infatti, la disciplina nazionale della bonifica prevede il recupero completo della qualità delle acque sotterranee.
Invece, per il suolo, in mancanza di norme sostanziali sulla qualità del terreno, l'eliminazione dei rischi sanitari, che
costituiscono l'obiettivo proprio degli interventi di bonifica, è qualificato ripristino (anche dal legislatore comunitario) anche
ai fini della riparazione del danno ambientale.
[7] Infatti, ai sensi dell'articolo 252-bis, comma 7, D.Lgs. n. 152/2006, "in considerazione delle finalità di tutela e ripristino
ambientale perseguite (...) l'attuazione da parte dei privati degli impegni assunti con l'accordo di programma costituisce
anche attuazione degli obblighi" di risarcimento del danno ambientale.
[8] In Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2008, n. 304.
[9] Lo schema di contratto di transazione, nell'ordine, prevede i seguenti passaggi:
a) è predisposto dal Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare, e concordato con le imprese interessate;
b) è sottoposto alla valutazione non vincolante dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) di cui
all'articolo 28 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133;
c) è sottoposto alla valutazione non vincolante della Commissione di valutazione degli investimenti e di supporto alla
programmazione e gestione degli interventi ambientali (COVIS) di cui all'articolo 2 del decreto del Presidente della
Repubblica 14 maggio 2007, n. 90;
d) è trasmesso a Regioni, Province, Comuni, e reso noto alle associazioni e ai privati interessati mediante idonee forme di
pubblicità;
e) è trasmesso al parere dell'Avvocatura generale dello Stato previa sottoscrizione per accettazione;
f) acquisito il parere dell'Avvocatura dello Stato, è sottoposto all'esame di apposita conferenza di servizi decisoria per
comporre gli interessi fra i soggetti pubblici aventi titolo, per cui ciascuno risulti portatore, ed assumere le determinazioni
conclusive che sono assunte a maggioranza e sostituiscono a tutti gli effetti ogni atto decisorio comunque denominato di
competenza delle amministrazioni partecipanti, o comunque invitate a partecipare ma risultate assenti;
g) è sottoscritto per accettazione dall'impresa e trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei Ministri per l'autorizzazione da
parte del Consiglio dei Ministri;
All'esito di questo procedimento il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare e le imprese interessate
stipulano il contratto di "transazione globale".
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Ambiente

Responsabilità delle imprese per reati ambientali
Pierpaolo Masciocchi, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 12 aprile 2011
Il 7 aprile 2011 il Consiglio dei Ministri ha approvato, in via preliminare, uno schema di Dlgs che
estende la responsabilità amministrativa delle imprese (prevista dal decreto legislativo 8 giugno
2001 n. 231) agli illeciti commessi in violazione delle norme a protezione dell’ambiente.
Il provvedimento recepisce la direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell'ambiente, nonchè la
direttiva 2009/123/CE, che modifica la direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato
dalle navi.In particolare vengono introdotte due nuove fattispecie di reato nel codice penale: una
per sanzionare la condotta di chi uccide, distrugge, preleva o possiede, fuori dai casi consentiti,
esemplari di specie animali o vegetali selvatiche protette e l’altra per chi distrugge o comunque
deteriora in modo significativo un habitat all’interno di un sito protetto.
Viene esteso, inoltre, il campo di applicazione del decreto 231/2001 "Disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche" che ha introdotto nel nostro ordinamento il concetto di
responsabilità dell’impresa per reati commessi da propri dipendenti. Inizialmente circoscritto agli
illeciti commessi nei rapporti tra aziende ed amministrazione pubblica, il provvedimento è stato poi
esteso successivamente ai reati societari, finanziari e di sicurezza sul lavoro fino a ricomprendere,
con lo schema di Dlgs in oggetto, i reati ambientali.
Il provvedimento, che passerà ora all’esame del parlamento, conferma il sistema sanzionatorio
articolato in misure pecuniarie per quote modulari lasciando al giudice la possibilità di valutare la
reale gravità della condotta (ogni quota va da un minimo di 258 euro a un massimo di 1549 euro).
Per quanto riguarda in particolare la Parte IV del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, si
applicano all'ente le sanzioni pecuniarie per i reati di cui: all’articolo 256 “Attività di gestione di
rifiuti non autorizzata”, all’articolo 257 “Bonifica dei siti”, all’articolo 258 “Violazione degli obblighi
di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari”, all’articolo 259 “Traffico illecito
di rifiuti”, all’articolo 260 “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti” ed all’articolo 260-bis
“Sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti – Sistri”.
A completare l’intero panorama ci sono le sanzioni interdittive che si affiancano alle quote
stabilendo misure possibili, in via preventiva, che possono arrivare sino al commissariamento
dell’ente, alla sospensione della sua attività oppure al divieto di pubblicità ed alla revoca delle
autorizzazioni o licenze. L’interdizione può essere definitiva se l'ente o una sua unità organizzativa
vengono stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la
commissione dei reati di cui all’articolo 260 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
L’introduzione della responsabilità da reato delle persone giuridiche anche per i reati ambientali
porrà alle imprese (quelle che valuteranno il rischio rappresentato dalla possibile realizzazione,
durante la propria attività imprenditoriale, di uno dei reati introdotti dal decreto legislativo) l’onere
di implementazione del proprio modello organizzativo, che dovrà essere idoneo alla prevenzione
dell’evento vietato. Il modello di organizzazione, gestione e controllo ai sensi del D.Lgs. n.
231/2001, può essere inteso come il complesso delle regole interne dell’ente previste per lo
svolgimento delle attività “sensibili” (nelle quali sia astrattamente ravvisabile un rischio reato) e
per le funzioni di organizzazione e controllo specificatamente previste da quest’ultima normativa
(costituzione e funzionamento dell’organismo di vigilanza, e quant’altro previsto negli artt. 6 e 7,
D.Lgs. n. 231/2001).
Si ricorda che:
• sul piano normativo, è la qualità del modello che viene ad assumere un aspetto rilevante; infatti,
l’esonero di responsabilità per le persone giuridiche è espressamente collegato alla previa
«adozione ed efficace attuazione» di modelli organizzativi idonei a evitare reati della specie di
quello verificatosi;
• sul piano contenutistico, è prioritaria, in ordine razionale, l’esigenza di individuare i profili di
rischio reato attraverso un’attività di risk assessment.
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Appalti

Durc e contratti pubblici: procedura più semplice per il rilascio
Aldo Forte, Il Sole 24 ORE - Guida al Lavoro, 8 aprile 2011, n. 15
Inps e Inail con due circolari identiche (Inail, Circolare 24.3.2011, n. 22 e Inps, Circolare
28.3.2011, n. 59) illustrano le caratteristiche principali del nuovo applicativo di rilascio del Durc e
le nuove regole introdotte dal Dpr del 5 ottobre 2010, n. 207, con il quale è stato emanato il
regolamento attuativo del Codice dei contratti pubblici. Vediamo di seguito gli aspetti di particolare
rilevanza.
Regolamento di attuazione del Codice dei contratti pubblici
E' da sottolineare, che il regolamento entrerà in vigore l'8 giugno 2011; nell'ambito del titolo II Tutela dei lavoratori e regolarità contributiva - è stata riservata una specifica trattazione al Durc
contenuta nell'articolo 6.
Definizione di Durc
Il comma 1 dell'art. 6 stabilisce che per Durc si intende "il certificato che attesta contestualmente
la regolarità di un operatore economico per quanto concerne gli adempimenti Inps, Inail, nonché
Cassa edile per i lavori, verificati sulla base della rispettiva normativa di riferimento".
In merito al termine di operatore economico, viene fatto rinvio all'articolo 3, comma 22, del Codice
il quale precisa che con tale termine si intende fare riferimento "all'imprenditore, al fornitore e al
prestatore di servizi o ad un raggruppamento o consorzio di essi".
Con tale espressione ci si riferisce a qualsiasi soggetto, sia esso persona fisica o persona giuridica,
che sia parte di un rapporto contrattuale con la pubblica amministrazione e che per il rilascio del
Durc debba essere iscritto presso gli Enti previdenziali e le Casse edili; a tal proposito, viene fatto
presente che, generalmente, il Durc deve scaturire dalla verifica contributiva di almeno due degli
Enti tenuti al rilascio del documento stesso.
Per i casi in cui vi è l'iscrizione presso uno solo degli enti viene chiarito che in tali casi per la
verifica della regolarità contributiva non può essere utilizzato il servizio on line di richiesta del
Durc; infatti, sarà acquisita una singola certificazione di regolarità contributiva rilasciata dall'ente
presso il quale il soggetto è iscritto ed un'attestazione di non sussistenza dell'obbligo all'iscrizione
rilasciata dall'ente presso il quale il soggetto dichiara di non avere l'obbligo di iscrizione.
Con questo criterio, si dovrebbero evitare le situazioni di elusione e/o evasione contributiva.
Ambito applicativo del Durc nei contratti pubblici
In merito all'applicazione del Durc nei contratti pubblici, l'articolo 6, comma 2, del regolamento
prevede che la regolarità contributiva si riferisce a tutti i contratti pubblici, siano essi di lavori, di
servizi o di forniture.
In questo modo, viene confermato l'indirizzo già espresso nell'interpello n. 10 del 20 febbraio 2009
della Direzione generale dell'attività ispettiva del Ministero del lavoro, con il quale era stato chiarito
che il Durc deve essere richiesto per ogni contratto pubblico e, dunque, anche nel caso degli
acquisti in economia o di modesta entità.
Sarà onere della pubblica amministrazione procedente, stabilire se la fattispecie concreta rientri
nella tipologia del contratto pubblico e, quindi, se debba essere acquisito il Durc.
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Fasi del contratto per le quali vi è obbligo del Durc
L'articolo 6, comma 3, del regolamento elenca le fattispecie per le quali il Durc deve essere
acquisito in caso di contratto pubblico:
a) per la verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all'articolo 38, comma 1,
lettera i), del Codice in ordine all'assenza di "violazioni gravi, definitivamente accertate, alle norme
in materia di contributi previdenziali e assistenziali";
b) per l'aggiudicazione definitiva del contratto ai sensi dell'articolo 11, comma 8, del Codice,
secondo cui "l'aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti
requisiti";
c) per la stipula del contratto;
d) per il pagamento degli stati avanzamento lavori (Sal) o delle prestazioni relative a servizi e
forniture (fatture);
e) per il certificato di collaudo, il certificato di regolare esecuzione, il certificato di verifica di
conformità, l'attestazione di regolare esecuzione, il pagamento del saldo finale.
Viene confermato che, in base alla circolare ministeriale n. 35/2010, deve essere acquisito un Durc
per ogni singolo contratto pubblico e, all'interno di questo, un Durc per ciascuna delle fasi sopra
riportate.
Per quanto concerne le ipotesi di cui alle lettere a) e b), il Durc deve sempre essere richiesto dalla
stazione appaltante pubblica selezionando l'apposita tipologia "verifica di autodichiarazione" e
indicando, quale data alla quale effettuare la verifica di regolarità, quella della dichiarazione
sostitutiva prodotta dal concorrente in fase di selezione.
Si dovrà applicare la regola dello "scostamento non grave"; essa si realizza, con riferimento a
ciascun periodo di contribuzione, se la differenza tra il dovuto e il versato è inferiore o pari al 5%,
anche se complessivamente superiore ai 100 euro, oppure è superiore al 5% ma il debito
complessivo è inferiore ai 100 euro.
L'applicazione di detta regola esclude ogni possibilità di regolarizzazione qualora, invece, lo
scostamento sia "grave" in base ai sopracitati parametri.
La tipologia di richiesta "aggiudicazione/partecipazione a gara" deve invece essere utilizzata dalla
stazione appaltante per richiedere il Durc solo nell'ipotesi in cui siano trascorsi più di tre mesi dal
Durc precedentemente emesso per "verifica dell'autodichiarazione".
La situazione contributiva del soggetto, infatti, sebbene sia stata già oggetto di verifica, dovrà
essere nuovamente esaminata dato che il Durc precedentemente emesso ha cessato il suo periodo
di validità.
Ne deriva, che la regolarità deve essere accertata alla data di conclusione dell'istruttoria, in quanto
è irrilevante la data eventualmente indicata nella richiesta.
Di conseguenza, se in fase istruttoria vengono accertate inadempienze contributive, si dovrà
invitare il soggetto a regolarizzare la propria posizione contributiva qualunque sia l'entità
dell'irregolarità, dato che non si applica il criterio dello "scostamento non grave".
In merito ai Durc relativi ai Sal, stato avanzamento lavori pubblici, la data indicata nella richiesta è
vincolante per la verifica della regolarità della Cassa edile; invece, Inps ed Inail attestano l'esito
della verifica alla data in cui hanno concluso l'istruttoria, invitando sempre a regolarizzare qualsiasi
inadempienza contributiva.
Soggetti tenuti a richiedere il Durc
E' da ricordare che, in base all'articolo 16-bis, comma 10, del Dl n. 185/2009, convertito con
modificazioni dalla legge n. 2/2009, le stazioni appaltanti pubbliche acquisiscono d'ufficio, anche
attraverso strumenti informatici, il Durc dagli istituti o dagli enti abilitati al rilascio in tutti i casi in
cui è richiesto dalla legge.
L'articolo 6, comma 3, del regolamento specifica che il Durc nei contratti pubblici deve essere
richiesto d'ufficio dalle "amministrazioni aggiudicatrici".
Per questi soggetti, tenuti a richiedere il Durc d'ufficio in via telematica, Inail, Inps e Casse edili
rilasciano l'abilitazione per l'accesso al servizio on line dopo aver verificato che il richiedente sia
una delle amministrazioni aggiudicatrici sopraccitate.
Invece, per i soggetti diversi dalle amministrazioni aggiudicatrici, il regolamento prevede che il
Durc sia prodotto dagli operatori economici.
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Validità temporale del Durc
Per quanto concerne la validità temporale del Durc nei contratti pubblici è da ricordare che il
Ministero del lavoro con la circolare n. 5/2008 aveva ritenuto, in via interpretativa, che il certificato
avesse validità mensile stante, di norma, le scadenze mensili dei versamenti contributivi nei
confronti di Inps e Casse edili.
Successivamente, con determinazione n. 1/2010, l'Autorità di vigilanza per i contratti pubblici
(Avcp), recependo anche recenti orientamenti giurisprudenziali, aveva ritenuto che per la fase di
partecipazione agli appalti pubblici trovasse applicazione la validità trimestrale della certificazione,
al pari di quanto disposto per i lavori privati in edilizia.
Tenendo conto di tale determinazione il Ministero, con circolare n. 35/2010, ha infine specificato
che ha validità trimestrale il Durc emesso per contratti pubblici, nonché per attestazione Soa e
iscrizione all'albo dei fornitori.
Quindi, in base alla determinazione dell'Avcp n. 1/2010 e della circolare ministeriale n. 35/2010, ha
validità trimestrale il Durc rilasciato ai fini:
1) della verifica della dichiarazione sostitutiva;
2) dell'aggiudicazione;
3) della stipula del contratto;
4) dei pagamenti degli stati di avanzamento lavori (Sal) e delle prestazioni relative a servizi e
forniture (fatture);
5) dell'acquisizione in economia di soli beni e servizi con il sistema dell'affidamento diretto;
6) dell'attestazione Soa;
7) dell'iscrizione all'albo fornitori.
Il periodo di validità trimestrale del Durc decorre sempre dalla data di emissione del
certificato.
Nelle ipotesi di cui ai punti 1 e 2, i Durc emessi possono essere utilizzati anche per la stipula del
contratto, se sono ancora in corso di validità; mentre, per il caso di cui al punto 5, è possibile
utilizzare un Durc in corso di validità emesso per un precedente contratto riguardante una diversa
stazione appaltante.
Negli altri casi, vale la regola che un Durc richiesto per una determinata finalità, indicata sullo
stesso certificato, non può essere utilizzato in un ambito applicativo diverso da quello per cui è
stato emesso.
Ne deriva che è da ritenersi illegittimo l'uso, nei contratti pubblici, di un Durc rilasciato per altre
tipologie (ad esempio lavori privati in edilizia o agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni e
autorizzazioni).
Viene ricordato che per le imprese inquadrate o inquadrabili nel settore edile, il Durc deve
contenere anche la verifica della regolarità contributiva nei confronti delle Casse edili, che
provvedono a rilasciare il certificato.
Tale verifica, viene effettuata a condizione che l'impresa dichiari di applicare il contratto dell'edilizia
in presenza di personale operaio ovvero in relazione ai soli dipendenti impiegati e tecnici, ai quali si
applica uno dei Ccnl dell'edilizia. Nei contratti pubblici di lavori, fanno eccezione a tale regola le
imprese edili individuali e le imprese con dipendenti che applicano il Ccnl Metalmeccanico.
A tal proposito, è opportuno che la stazione appaltante, ogni qual volta acquisisce un Durc per
appalti pubblici di lavori, verifichi se il documento contiene anche l'esito della Cassa edile e, in
mancanza, controlli sia la tipologia dell'impresa sia il Ccnl applicato.
Nuovo applicativo 4.0
E' stata modificata, in maniera sensibile, l'applicazione www.sportellounicoprevidenziale.it,
dedicata alla richiesta ed al rilascio del Durc, con nuove funzionalità ed una diversa veste grafica.
La nuova versione 4.0, è disponibile dal 28 marzo 2011 e prevede una serie di novità, di cui
riportiamo quelle di particolare rilevanza.
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Verifica utenze stazioni appaltanti, Soa e "Altre Pa"
Con la nuova versione, gli utenti registrati come stazioni appaltanti pubbliche e Soa accederanno al
servizio con il codice fiscale (alfanumerico) del titolare dell'utenza (persona fisica) e non più con gli
attuali "codici utente" che iniziano, rispettivamente, con "Sa" e "Soa".
A tal proposito, al primo accesso al sito, le stazioni appaltanti pubbliche e le Soa, già registrate
sull'attuale versione, dovranno eseguire le operazioni richieste dal sistema (cd. "riautenticazione").
Per le Soa, è stato effettuato un controllo preliminare sulle utenze già rilasciate per verificare
l'attualità dei dati; la "riautenticazione" sarà possibile per le sole Soa che risultino formalmente
autorizzate dall'Avcp, Autorità di vigilanza per i contratti pubblici, al 24 marzo 2011.
Per le stazioni appaltanti pubbliche, la procedura proporrà la compilazione obbligatoria di alcuni
campi necessari all'esatta individuazione dell'utente (Settore/Ufficio/Sede, Tipologia della Stazione
Appaltante Pubblica, telefono/fax/e-mail, recapito corrispondenza).
Anche gli utenti registrati come "Altre Pa" accederanno al servizio con il codice fiscale
(alfanumerico) del titolare dell'utenza (persona fisica).
Ne deriva che, al primo accesso al sito, gli utenti, già registrati sull'attuale versione, dovranno
eseguire le operazioni richieste dal sistema.
Anche per le "Altre Pa" è stato effettuato un controllo preliminare sulle utenze già rilasciate e,
quindi, la "riautenticazione" sarà possibile per le sole utenze (avente sigla "Pa" nella versione 3.5)
che risultano effettivamente autorizzate ad accedere con detto profilo.
Nuovo sistema di rilascio delle utenze a stazioni appaltanti pubbliche, Soa e "Altre Pa"
Modificato anche il sistema per il rilascio delle utenze alle stazioni appaltanti pubbliche, alle Soa ed
alle altre pubbliche amministrazioni, per adeguarlo ai nuovi standard di sicurezza previsti dal
Codice dell'amministrazione digitale e consentire l'identificazione informatica del soggetto titolare
della "utenza".
Infatti, le stazioni appaltanti pubbliche, se non sono già registrate o hanno bisogno di
nuove/ulteriori utenze, dovranno chiedere l'abilitazione ad una qualsiasi Sede di Inail, Inps e Casse
edili, utilizzando l'apposito modulo di richiesta che sarà pubblicato sul sito e raggiungibile seguendo
il percorso: "Info" - "Informazioni per l'accesso".
Il modulo di richiesta per il rilascio dell'utenza stazione appaltante pubblica potrà essere utilizzato
anche dalle pubbliche amministrazioni che agiscono come amministrazioni procedenti, ai sensi
dell'art. 1, comma 1, lettera o) del Dpr n. 445/2000, in relazione ai procedimenti amministrativi di
propria competenza.
Il nuovo sistema prevede che l'utenza stazione appaltante pubblica può essere rilasciata
esclusivamente al Dirigente della Struttura che opera come stazione appaltante pubblica o pubblica
amministrazione procedente.
Al momento del rilascio di tale utenza al Dirigente, il sistema rilascerà una ricevuta contenente,
oltre al codice utente del richiedente (codice fiscale alfanumerico) ed alla password provvisoria (da
aggiornare al primo accesso), le istruzioni per completare l'accreditamento e quelle per la
creazione/gestione delle utenze in capo ai singoli operatori della struttura.
La nuova utenza stazione appaltante consentirà al titolare (dirigente) di rilasciare "utenze delegate"
al personale, incardinato presso la struttura di cui è responsabile, che avrà il compito di effettuare
le richieste di Durc in nome e per conto della struttura stessa.
Il Dirigente della stazione appaltante rilascia le "utenze delegate" sotto la propria personale,
completa ed esclusiva responsabilità e dovrà provvedere all'aggiornamento dei dati dei propri
"delegati" ed alla eventuale revoca dell'utenza rilasciata a questi ultimi.
Si evita, in questo modo, la continua richiesta di attribuzione delle password per l'accesso alla
sportello unico previdenziale, da parte delle pubbliche amministrazioni che, spesso, le
dimenticavano o smarrivano, attribuendo la responsabilità delle deleghe al dirigente la struttura.
Per le utenze "Soa" e "Altre Pa" rilasciate con la versione 4.0, ora queste saranno rilasciate al
Dirigente/Direttore responsabile della struttura solo dall'"Amministratore Centrale" del sistema
presso la Direzione centrale sistemi informativi e telecomunicazioni dell'Inail ed esclusivamente
previa autorizzazione della Direzione centrale rischi dell'Inail.
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Con il nuovo sistema di accesso, anche queste utenze consentiranno al Dirigente/Direttore
responsabile di rilasciare "utenze delegate" al proprio personale, con i limiti e le modalità
sopracitati.
Accesso al servizio da parte di aziende e loro intermediari
Non vi sono novità per l'accesso al sito da parte delle aziende e degli intermediari, che
continueranno ad utilizzare le utenze già in uso per i servizi on line di Inps ed Inail.
Nuove tipologie di richiesta
In merito alle tipologie di richiesta di Durc sono state aggiunte le seguenti:
A) "Contratti di forniture e servizi in economia con affidamento diretto": i dati da inserire
saranno riportati sul quadro C del modello, fondamentalmente analogo a quello già in uso, con
indicazione dell'oggetto del contratto che viene riportato sul Durc.
B) "Altri usi consentiti dalla legge": è stata prevista per gestire le richieste concernenti i
rapporti contrattuali tra privati, anche se il Durc non sia espressamente previsto da una specifica
norma di legge; questa tipologia deve essere quindi utilizzata solo nei casi in cui la richiesta di Durc
non rientra in una delle altre tipologie disponibili.
Modifiche riguardanti le attuali tipologie di richiesta
In merito alle attuali tipologie di richiesta di Durc, sono state apportate le seguenti modifiche:
A) la richiesta di Durc per appalti pubblici di forniture e servizi seguirà le stesse modalità
previste per gli appalti di lavori pubblici; anche questa tipologia richiede l'inserimento delle
informazioni relative alla stazione appaltante ed all'appalto;
B) per gli appalti di lavori, forniture e servizi è stato previsto il tipo contratto "affidamento" per
la gestione delle richieste relative alle imprese mandanti (in caso di raggruppamento temporaneo
di imprese) ed alle imprese consorziate (in caso di consorzio); la funzionalità è analoga a quella già
prevista in caso di subappalto ed è finalizzata a "tracciare", in relazione ad uno stesso determinato
appalto
(Cip),
il
legame
tra
l'appaltatore/mandatario/consorzio
e
le
imprese
esecutrici/mandanti/consorziate. Assume particolare importanza questa funzione, dato che fa
anche venire fuori l'effettiva impresa che esegue i lavori; infatti, si assiste spesso alla
partecipazione alle gare di appalto da parte di determinati consorzi, che poi affidano i lavori ad una
loro consorziata. Se il Consorzio è quasi sempre in regola, dato che generalmente ha pochi
impiegati, non sempre così avviene per l'azienda cui viene affidato il lavoro.
C) la richiesta per "verifica autodichiarazione alla data del...", riservata alle sole stazioni
appaltanti, è ora un'autonoma tipologia e deve essere utilizzata, oltre che per la verifica della
dichiarazione sostitutiva prevista dall'articolo 38 del Codice per gli appalti pubblici anche in tutti gli
altri casi in cui debba essere verificata la veridicità di una dichiarazione sostitutiva acquisita da una
pubblica amministrazione;
D) la richiesta per "partecipazione/aggiudicazione appalto" che ora è un'autonoma tipologia;
E) per la tipologia "agevolazioni, finanziamenti, sovvenzioni, autorizzazioni" è ora
necessario indicare nella richiesta la specifica motivazione (il tipo di agevolazione o autorizzazione,
l'oggetto del finanziamento ecc.) nell'apposito campo a testo libero;
F) in tutte le richieste di Durc dovrà essere selezionata una delle specifiche previste nella sezione
"tipo ditta" che saranno: "datori di lavoro", "lavoratori autonomi", "gestione separatacommittente associante" e "gestione separata-titolare di reddito di lavoro autonomo, di arte e
professione"; si tratta di dati che interessano l'Inps per individuare le posizioni contributive oggetto
di verifica di regolarità.
A tal proposito, è da ricordare che l'Inps procede a verificare il contribuente in tutte le sue vesti; ad
esempio, se viene fatta la richiesta come datore di lavoro, si verificherà, oltre la posizione come
ditta, anche quella del titolare se ad esempio è iscritto come artigiano ed anche quella come
committente se ha dei collaboratori e la regolarità verrà rilasciata se il contribuente è regolare in
tutte le tipologie di contribuzioni.
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G) in tutte le richieste di Durc dovrà sempre essere indicato l'indirizzo di posta elettronica; in
aggiunta, dovrà sempre essere indicato, solo con riferimento alla ditta, l'indirizzo di posta
elettronica certificata (Pec) o il numero di fax.
Modifiche riguardanti il certificato
I Durc emessi nella nuova versione conterranno, in aggiunta a quelli attuali, i seguenti dati:
A) per gli appalti pubblici: descrizione completa della tipologia della richiesta, con indicazione del
tipo (appalto, subappalto, affidamento), della fase (ad esempio stipula contratto) e, nel caso di
contratti di forniture e servizi in economia con affidamento diretto, della descrizione dell'oggetto
del contratto (ad esempio acquisto cancelleria) indicata nella richiesta; nel caso di subappalto e di
affidamento, indicazione della stazione appaltante e del subappaltatore/consorziata/mandante;
B) per "altri usi consentiti dalla legge": descrizione dello specifico motivo della richiesta
indicato dall'utente;
C) per tutti i Durc:
1. indicazione di una delle specifiche già selezionate in fase di richiesta dall'utente nella sezione
"tipo ditta" ("datori di lavoro", "lavoratori autonomi", "gestione separata-committente associante" e
"gestione separata-titolare di reddito di lavoro autonomo, di arte e professione") e, nel caso di
"datori di lavoro", indicazione del settore del Ccnl applicato (selezionato tra quelli disponibili);
2. indicazione, all'interno del riquadro dedicato all'esito della verifica di ciascun ente, di eventuali
note inserite dal responsabile del procedimento di verifica della regolarità.
3. indicazione dei dati del cantiere, all'interno del solo riquadro dedicato all'esito della verifica delle
Casse edili, per i Durc relativi ad appalti pubblici di lavori per fasi successive alla stipula di un
nuovo contratto;
4. indicazione, sui certificati rilasciati in copia di un Durc già emesso, della dicitura "Stampa
effettuata da..." con le informazioni della sede e dell'utente che ristampa;
5. indicazione, sui certificati emessi a seguito di annullamento di un precedente Durc, della dicitura
"Il presente certificato, rilasciato in sede di autotutela a seguito di nuova verifica da parte di (Inail,
Inps o Cassa edile), annulla e sostituisce il precedente in data...";
6. indicazione su tutti i Durc emessi, del periodo di validità del certificato (90 o 30 giorni a seconda
dei casi) e dei limiti di utilizzo (ad esempio per "altri usi consentiti dalla legge" e "agevolazioni,
finanziamenti, sovvenzioni, autorizzazioni", la dicitura in calce al certificato è "Durc valido 30 giorni
dalla data di emissione, non utilizzabile per appalti pubblici e lavori edili privati soggetto a Dia o a
permesso di costruire").
Tutti i Durc emessi con la versione 4.0 riporteranno, in calce al certificato, un contrassegno
generato elettronicamente, che consentirà di verificare la provenienza e la conformità del
documento cartaceo (analogico) in possesso degli utenti con il documento informatico presente
nella banca dati Durc.
Tale verifica potrà essere effettuata utilizzando un apposito software gratuito disponibile sul sito e
raggiungibile dall'icona "Verifica autenticità dei documenti". Le istruzioni per l'utilizzo del software
saranno contenute nel relativo "Manuale utente".
Rilascio del certificato
Il Durc verrà emesso nel momento in cui tutti gli Enti hanno inserito nella procedura l'esito della
propria verifica e, comunque, al 31° giorno dalla data di richiesta.
Il Durc verrà invece emesso al 46° giorno nell'ipotesi in cui la pratica sia stata sospesa per fini
istruttori o per regolarizzazione e l'Ente che ha sospeso la pratica non abbia inserito l'esito prima
dello scadere del termine massimo di sospensione (15 giorni).
Se l'Ente che ha sospeso inserisca l'esito prima di detto termine, il Durc sarà emesso decorsi 30
giorni più i giorni di effettiva sospensione.
Infine, è da ricordare che per l'Inail e l'Inps si applica il silenzio-assenso; di conseguenza, se entro
il termine di 30 giorni, calcolati dalla data di rilascio del Cip, al netto dell'eventuale periodo di
sospensione, uno dei suddetti Enti non si sia pronunciato, nei confronti di tale Ente si considera
attestata la regolarità contributiva.
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Edilizia e urbanistica
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Soffitte e mansarde nel computo volumetrico
Pippo Sciscioli, Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 9 aprile 2011, n. 15
Mai come nel caso rappresentato dalla sentenza n. 812 del 7 febbraio 2011 resa in forma
semplificata dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, la giurisprudenza amministrativa è stata in
grado di colmare le lacune del Legislatore e le carenze della normativa, fornendo criteri guida
all'interprete e all'operatore per la definizione del concetto di volume tecnico.
Infatti, così come per quello di sagoma per il quale non esiste una disposizione normativa statale
che la definisca chiaramente, il concetto di volume tecnico non trova codificazione specifica nel Dpr
380/2001, il Testo unico per l'edilizia, che, nonostante le diverse modifiche, sul punto resta
carente.
Cubatura assentibile
Di qui, le incertezze di progettisti privati e tecnici comunali nello stabilire la configurabilità della
nozione di volume tecnico, rilevante ai fini della redazione della scheda urbanistica allegata al
progetto edilizio presentato.
Come è noto, il volume tecnico non rientra in essa, non incide cioè sul calcolo della cubatura
assentibile, da cui invece fuoriesce, consentendo così al soggetto attuatore dell'intervento edilizio
di poter realizzare volumi in più, ancorché non destinabili alla residenza.
È evidente che, a causa dell'indeterminatezza del concetto nel Testo unico per l'edilizia, si corre il
rischio di scantonature da parte degli operatori e di pericolose interpretazioni che potrebbero
condurre alla realizzazione di veri e propri piani abitabili in eccesso in un fabbricato, mal celati
come volumi tecnici.
Al fine dunque di evitare questa deriva ermeneutica, è stato sinora prezioso il contributo della
dottrina e della giurisprudenza proprio nella definizione giuridica del concetto di volume tecnico.
In più, la recente sentenza del Consiglio di Stato fornisce una precisa casistica (di agevole lettura e
applicazione da parte degli addetti ai lavori) di interventi rientranti nella nozione di volume tecnico,
per il quale è ammissibile il surplus di cubatura non conteggiabile nella scheda urbanistica, e di
interventi che, invece, non rientrano in essa e che dovranno essere computati ai fini del calcolo
generale della cubatura assentibile.
Il caso
Il caso delibato dai giudici di seconde cure ha riguardato un contenzioso che ha visto protagonisti il
Comune di Pratola Peligna, in Abruzzo, e due proprietari di un fabbricato che si erano visti rigettare
l'istanza di permesso di costruire per la copertura del terrazzo del suddetto fabbricato, sul
presupposto della presunta violazione degli indici edilizi e urbanistici della strumentazione
urbanistica comunale.
Infatti, il fabbricato in parola, che avrebbe dovuto essere costituito da un piano interrato destinato
ad autorimessa, da un piano terra destinato a locali commerciali, da due piani sovrastanti destinati
ad abitazione e da un sottotetto, era stato invece modificato in corso d'opera con la realizzazione
del piano terra e di tre piani per uso residenziale con una copertura a terrazza contornata da muri
perimetrali di un ulteriore piano incompiuto.
Per questo, i proprietari avevano ottenuto il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria, che
tuttavia non includeva un ulteriore piano abitabile, cioè il quinto, mascherato come volume tecnico.
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Alla fine della vicenda giudiziaria, mentre il Tar Abruzzo aveva dato torto al Comune, il Consiglio di
Stato ha invece ribaltato l'esito, con la sentenza qui analizzata, dando ragione alla condotta seguita
dall'ufficio tecnico ed esplicitando principi guida in un ambito caratterizzato da estrema incertezza
normativa.
Cosa deve, allora, intendersi per volume tecnico? Secondo il Consiglio di Stato «& al riguardo si
deve ricordare che, per giurisprudenza costante, possono considerarsi volumi tecnici (come tali non
rilevanti ai fini della volumetria di un immobile) quei volumi destinati esclusivamente agli impianti
necessari per l'utilizzo dell'abitazione e che non possono essere ubicati al suo interno, mentre non
sono tali - e sono quindi computabili ai fini della volumetria consentita - le soffitte, gli stenditori
chiusi e quelli di sgombero, nonché il piano di copertura, impropriamente definito sottotetto, ma
costituente in realtà, una mansarda in quanto dotato di rilevante altezza media rispetto al piano di
gronda (Consiglio Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 918) &».
Passando poi a una casistica esemplificativa, i giudici forniscono un dettagliato elenco, precisando
che bisogna distinguere «& la parte di edificio immediatamente inferiore al tetto, a seconda
dell'altezza, della praticabilità del solaio, delle modalità di accesso e dell'esistenza o meno di
finestre, si distingue in mansarda o camera a tetto (che costituisce locale abitabile), in soffitta
(vano inabitabile, ma utilizzabile soltanto come deposito, stenditoio o altro), oppure in camera
d'aria sprovvista di solaio idoneo a sopportare il peso di persone o cose e destinato essenzialmente
a preservare l'ultimo piano dell'edificio dal caldo, dal freddo e dall'umidità (Consiglio di Stato, Sez.
IV, 30 maggio 2005 n. 2767); b) che la realizzazione di un locale sottotetto con vani distinti e
comunicanti con il piano sottostante mediante una scala interna è indice rivelatore dell'intento di
rendere abitabile detto locale, non potendosi considerare volumi tecnici i vani in esso ricavati
(Consiglio Stato, sez. V, 31 gennaio 2006, n. 354) &».
Pertanto, richiamando l'elenco appena enucleato, la mansarda o camera a tetto, la soffitta, il
deposito, lo stenditoio o ancora il locale situato sotto il tetto ma comunicante, per esempio con una
scala a chiocciola, con il piano a esso sottostante, non possono in alcun modo essere graficamente
presentati dal progettista come volume tecnico e, conseguentemente, dall'Ufficio tecnico comunale
essere considerati tali, rientrando invece nel calcolo della cubatura assentibile in base allo
strumento urbanistico vigente.
Infatti a qualificare un locale come volume tecnico, più che la rappresentazione e destinazione
progettuale formale, è la sua sostanziale ed effettiva funzione ed utilizzazione, che deve essere
esclusivamente adibita al ricovero di impianti tecnologici strumentali alla vita stessa del fabbricato
residenziale.
A suffragare tale interpretazione restrittiva ma logicamente aderente alla sua nozione è un
ulteriore contributo giurisdizionale, questa volta di matrice penale, reso dalla terza sezione penale
della Corte di Cassazione con la sentenza n. 450 del 16 marzo 2010.
Infatti, il volume tecnico deve consistere in un locale avente una propria e autonoma individualità
fisica e conformazione strutturale, destinata a un'esigenza oggettiva della costruzione principale,
funzionalmente inserita al servizio dello stesso, priva di valore autonomo di mercato, tale da non
consentire, anche per le caraterristiche peculiari dell'edificio principale, una destinazione diversa da
quella a servizio dell'immobile cui accede.
Peraltro, tale strumentalità rispetto all'immobile principale deve comunque essere oggettiva e non
deve risultare dalla destinazione soggettivamente conferita dal proprietario del bene.
Sul punto è ancor più chiara la presa di posizione del Tar Napoli con la sentenza n. 1748 del 3
aprile 2009, che indica nettamente tre indici rivelatori della sussistenza del volume tecnico, in
mancanza dei quali il locale dovrà essere inteso come volumetria computabile a tutti gli effetti.
Al riguardo, i giudici napoletani, esprimendosi su un caso con risvolti anche connessi a un'istanza di
sanatoria paesaggistica ex articolo 167 commi 4 e 5 del Dlgs 42/2004 (Codice Urbani), stabilivano i
principi fermi per l'individuazione della nozione di volume tecnico. Ovvero, l'esistenza di un
rapporto di strumentalità necessaria tra il vano e la costruzione cui accede, l'impossibilità di diverse
soluzioni progettuali (nel senso che tali volumi non devono poter essere ubicati all'interno della
parte abitativa), infine il rapporto di necessaria proporzionalità tra questi vani e le esigenze
effettivamente presenti.
In sostanza, traspare dalla lettura della pronuncia, si qualificano volumi tecnici quelle opere che
non hanno una propria autonomia funzionale e che sono realizzate solo per inglobare impianti
serventi di un edificio principale per assolvere a imprenscindibili esigenze tecnico-funzionali.
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La sentenza dei giudici di Palazzo Spada chiude definitivamente il cerchio su una vexata quaestio
nella quale, a dire il vero, la posizione della giurisprudenza è stata pressoché granitica e costante,
rispetto alla quale, ciò nonostante, le applicazioni in concreto del concetto spesso sono risultate
distorte ed errate.
Eppure, come già rilevato, la magistratura amministrativa ha spesso fornito criteri identificativi
della ricorrenza della fattispecie. Per esempio i sottotetti, quando di altezza tale da poter essere
suscettibili di abitazione o di deposito di materiali, non debbono essere considerati volumi tecnici e
perciò devono essere computati sia ai fini della cubatura autorizzabile sia ai fini del calcolo
dell'altezza, delle distanze e degli altri indici edilizi richiesti dalle norme tecniche degli strumenti
urbanistici. «La realizzazione di un locale sottotetto, mediante tramezzature di vani distinti e
comunicanti attraverso la scala con il piano sottostante, è senza alcun dubbio rivelatore dell'intento
di rendere abitabile il sottotetto ed i vani interessati non possono considerarsi volumi tecnici»
(Consiglio giustizia amministrativa Sicilia, sezione giurisdizionale, pronuncia n. 337 del 22 ottobre
2003).
Insomma, si può dire che la nozione di volume tecnico è, per così dire, di tipo indiziario, cioè si
desume da una serie di elementi rilevatori di natura meramente oggettiva e non soggettiva: non
rileva in alcun modo, cioè, l'intenzione del soggetto attuatore dell'intervento ma le modalità
attraverso le quali esso si concretizza.
Se cioè la strutturazione delle opere edili, i materiali utilizzati, l'altezza del locale, l'assenza di
impianti come quello termo-idraulico o di ascensore, denotano più o meno evidentemente che quel
vano è adibito a uso abitativo o anche a deposito, ne conseguirà che non sarà qualificabile come
volume tecnico ma, al contrario, volume da valutare ai fini del calcolo della cubatura massima
assentibile.
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Edilizia e urbanistica
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In scadenza il termine per regolarizzare le case fantasma
Franco Guazzone, Il Sole 24 ORE - newsletter 7:24, 14 aprile 2011
Ultima chiamata per i proprietari dei fabbricati mai dichiarati e di quelli che hanno perduto i
requisiti di ruralità o subito modifiche comportanti la variazione della rendita catastale, che
potranno presentare la denuncia al catasto entro il 30 aprile p.v., come disposto dall'art. 5-bis del
DL. 225/2010 (milleproroghe), convertito dalla legge 10/2011.
Si tratta, in particolare, dei fabbricati indicati nei commi 7, 8 e 9 dell'art. 19 del D.L. 78/2010,
convertito dalla legge 122/2010, che dovevano essere denunciati entro il 31 dicembre 2010.
Per convincere gli obbligati alla denuncia volontaria, il legislatore ha penalizzato gli inadempienti,
retrodatando al 1° gennaio 2007 l'efficacia della rendita “presunta” accertata d'ufficio, a partire dal
2 maggio 2011, il cui importo sarà notificato mediante l'affissione degli elenchi all'Albo pretorio dei
comuni interessati, previo avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Peraltro, la predetta retrodatazione non si applica agli obbligati virtuosi che presenteranno le
denunce entro il nuovo termine, per i quali sarà considerata la data di ultimazione dei lavori indicati
nella denuncia medesima.
La regolarizzazione catastale
I fabbricati da dichiarare sono, in primo luogo, quelli definiti “fantasma”, perché presenti sul
territorio ma non iscritti al Catasto, che l'Agenzia del territorio ha individuato con le procedure
previste dall'art. 2, commi 36 e segg., del D.L. 262/2006, in collaborazione con l'AGEA (Agenzia
per le erogazioni in agricoltura), di cui sono stati pubblicati gli elenchi sulla G.U. in ordine di
comune, sezione, foglio e particella, visibili sul sito dell'Agenzia www.agenziaterritorio.gov.it, negli
uffici provinciali della medesima e presso i comuni interessati.
A tale proposito si ricorda che, ai sensi del comma 12 dell'art. 19 del D.L. 78/2010, dal 1° gennaio
2011 l'Agenzia ha avviato un monitoraggio costante del territorio sulla base di nuove informazioni
derivanti da verifiche tecnico-amministrative, telerilevamento e dalla collaborazione con i comuni.
In secondo luogo, sono da dichiarare i fabbricati a suo tempo definiti rurali perché annessi a fondi
agricoli condotti da coltivatori diretti o imprenditori agricoli professionali (Iap), che hanno perduto i
requisiti di ruralità previsti dall'art. 9, commi 3 e 3-bis, del D.L. 557/1993, convertito dalla legge
133/1994.
Caso classico sono i rustici agricoli ubicati in zone turistiche, trasformati in case di vacanza, ma
anche fabbricati strumentali, ubicati nelle periferie dei centri abitati o in fregio a strade provinciali,
utilizzati per attività d'impresa (centri commerciali, ristoranti, depositi, officine ecc.).
Di questi immobili, peraltro, l'Agenzia del territorio ha già stilato gli elenchi anch'essi pubblicati
sulla G.U. e quindi visionabili sul sito dell'Agenzia e presso i comuni.
In terzo luogo, devono essere dichiarate tutte le unità immobiliari già censite al catasto fabbricati
che hanno subito modifiche rilevanti, come il cambio di destinazione con opere, la variazione della
consistenza e della rendita.
Si tratta in genere di appartamenti ristrutturati, con l'aggiunta di un servizio prima mancante o in
aggiunta ad altro esistente, ovvero con il recupero di un sottotetto, o l'ampliamento dell'abitazione
con la costruzione di uno o più locali sul terrazzo a livello, oppure la formazione di cantinette nelle
villette.
È opportuno segnalare che le piccole variazioni interne, lo spostamento di una porta o di una
parete, non rilevano agli effetti catastali se non cambiano la consistenza e la rendita, come sancito
dalle circ. n. 2/T e n. 3/T/2010 dell'Agenzia del territorio.
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I soggetti obbligati alla denuncia
L'obbligo della denuncia al catasto spetta ai soggetti titolari dei diritti reali sui fabbricati: il
proprietario o, se questi è minore o incapace, chi ne ha la legale rappresentanza; per gli enti
morali, il legale rappresentante; per le società commerciali legalmente costituite, chi ha la firma
sociale; per le società estere, chi le rappresenta in Italia.
Per le parti comuni condominiali dotate di rendita, obbligato alla denuncia è l'amministratore e
ciascuno dei condomini, ma la denuncia di uno dei soggetti predetti però esonera tutti gli altri (art.
3 del R.D.L. 652/1939).
Per ottemperare agli obblighi della denuncia, i titolari dei diritti reali sopra citati dovranno affidare
l'incarico a un tecnico professionista, iscritto all'Albo degli ingegneri, architetti, geometri, dottori
agronomi, periti edili e agrari, agrotecnici laureati e diplomati.
L'accertamento d'ufficio in caso di inadempienza
A partire dal 2 maggio 2011 l'Agenzia del territorio rileverà tutti i fabbricati non dichiarati fra quelli
a suo tempo individuati, provvedendo ad assegnare ai medesimi una rendita presunta, tramite i
propri uffici provinciali, ovvero avvalendosi di professionisti abilitati a operare negli atti catastali
sopra indicati, mediante la stipulazione di convenzioni specifiche (previste dal comma 11 dell'art.
19 del D.L. 78/2010), alcune delle quali potrebbero essere sottoscritte in tempi brevi, essendo già
stati effettuati gli incontri con i rappresentanti nazionali delle categorie professionali interessate.
Nelle suddette fattispecie, l'accertamento con attribuzione della rendita presunta è un'operazione
abbastanza complessa in quanto, per individuare i parametri necessari all'attribuzione della
rendita, molto spesso sarà necessario eseguire i sopralluoghi per individuare la tipologia degli
edifici, il numero delle unità, la loro destinazione e la consistenza.
Per quanto riguarda i fabbricati che hanno perduto i requisiti di ruralità, gli operatori dovranno
partire dagli elenchi pubblicati inGazzetta Ufficiale ed eseguire l'incrocio con le banche dati
dell'AGEA, in quanto nelle richieste di contribuzioni UE presentate dagli agricoltori sono descritti
anche i fabbricati aziendali.
Invece, le operazioni relative all'accertamento dei fabbricati che hanno subito variazioni potranno
essere svolte solo con la collaborazione dei comuni, che dovrebbero mettere a disposizione dei
tecnici d'ufficio gli elenchi delle DIA presentate nell'ultimo decennio, per verificare se, dopo
l'ultimazione dei lavori, sono state presentate le denunce di variazione al catasto.
I costi degli inadempienti per gli accertamenti d'ufficio
In ogni caso, l'accertamento d'ufficio dei fabbricati non dichiarati richiede interventi nell'archivio del
catasto terreni per l'aggiornamento della mappa, mediante l'utilizzo del programma Pregeo, e in
quello del catasto fabbricati, con il programma Docfa, per l'attribuzione della rendita; operazioni
molteplici, con costi professionali notevoli, che saranno posti a carico degli inadempienti nella
misura disposta dalla determ. del 29 settembre 2009 del Direttore dell'Agenzia del territorio (in
G.U. 232 del 6 ottobre 2009) dove sono precisati i costi relativi a ogni tipo di operazione.
Sulla base di tale tariffario, il costo di accertamento d'ufficio per una villetta della superficie coperta
di 100 mq su un lotto di terreno fino a 2 mila mq, omnicomprensivo di spese di missione, non
potrà essere inferiore a € 1.500, mentre per un capannone industriale di 500 mq, insistente su un
terreno esteso fino a 5 mila mq, il costo potrebbe salire a € 3.000.
Oltre a tali importi, l'Ufficio provinciale dell'Agenzia competente dovrà applicare la sanzione per la
mancata denuncia nei termini da un minimo di € 258 a un massimo di € 2.066 (art. 1, comma 338,
legge 311/2004), generalmente determinata in € 300 per unità immobiliare, riducibili a un quarto,
se il versamento avviene entro 60 giorni dal ricevimento dell'avviso.
La regolarizzazione fiscale
Dopo l'accatastamento comunque avvenuto, gli obbligati dovranno procedere alla regolarizzazione
fiscale, ai fini delle imposte dirette a ICI, non appena saranno loro notificati gli avvisi
d'accertamento dall'Agenzia delle entrate e dagli uffici tributi dei comuni, ricorrendo alla procedura
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dell'accertamento con adesione, istituito dall'art. 11, comma 3, del D.L. 79 del 28 marzo 1997,
convertito in legge 140/1997.
L'istituto dell'accertamento con adesione può essere applicato anche all'ICI, qualora il comune lo
abbia previsto nelle norme regolamentari, disposte ai sensi dell'art. 59 del D.Lgs. 446/1997, con i
criteri stabiliti dal D.Lgs. 218 del 19 giugno 1997.
Pertanto, utilizzando questo istituto, i contribuenti potranno ottenere, ai sensi dell'art. 15 del
predetto decreto, una notevole riduzione delle sanzioni a un ottavo del minimo (12,50%), oltre al
pagamento rateale con il massimo di otto rate trimestrali per importi fino a € 51.645,69 o 12 rate
per importi superiori.
Ovviamente, in caso di rateazione, dovranno essere aggiunti gli interessi legali sulle somme dovute
e dovrà essere fornita la garanzia di pagamento mediante accensione di ipoteca sui beni o con
fideiussione bancaria o assicurativa (art. 38-bis del D.P.R. 633/1972).
La regolarizzazione urbanistico-edilizia
Il comma 8, ultimo periodo, dell'art. 19 del D.L. 78/2010 dispone che l'Agenzia del territorio rende
disponibili ai comuni, sul portale loro dedicato, le unità comunque accertate “per i controlli di
conformità urbanisticoedilizia”.
Di conseguenza, al fine di evitare l'intervento d'ufficio dei comuni, è opportuno avviare
spontaneamente le procedure per la regolarizzazione, che in gran parte dei casi è facilmente
conseguibile.
La maggior parte dei fabbricati mai dichiarati è costituita da manufatti e costruzioni per attività
agricole (abitazioni, stalle, rimesse, silos, laboratori di prima lavorazione dei prodotti, spacci per la
vendita dei propri prodotti agricoli ecc.), ma anche molte tettoie e ricoveri attrezzi, a volte
provvisori.
In questi casi, la regolarizzazione urbanistica è piuttosto semplice da ottenere, in quanto le
costruzioni erette nelle zone E del D.M. 1444/1968 (zone omogenee agricole) sono compatibili con
lo strumento urbanistico vigente, per cui l'adempimento consiste nella presentazione di una DIA in
sanatoria, ai sensi dell'art. 37, comma 4, del D.P.R. 380/2001, oltre al pagamento della sanzione
dal minimo di € 516 al massimo di € 5.164, di norma applicata al minimo, in esenzione dagli oneri
di urbanizzazione e concessione, ai sensi dell'art. 9 della legge 10/1977, sempreché non esistano
vincoli ambientali, nel qual caso è indispensabile ottenere preventivamente il benestare dall'ente di
tutela del vincolo.
Peraltro, anche la regolarizzazione dei fabbricati civili o industriali non presenta grosse difficoltà,
qualora la destinazione urbanistica del PRG sia compatibile con i manufatti costruiti, in quanto è
possibile utilizzare la stessa procedura prevista al periodo precedente con la sola variante del
pagamento degli oneri di urbanizzazione e concessione.
Ricordiamo che con la DIA è necessario presentare il progetto edilizio, il progetto delle strutture in
c.a., e tutte le altre documentazioni amministrative previste dai regolamenti edilizi vigenti nel
comune per il rilascio del permesso a costruire.
Il destino dei fabbricati non sanabili
Invece, per tutti gli altri casi di fabbricati con destinazione non conforme a quelle del PRG o,
peggio, che siano stati costruiti in zone vincolate per rispetto marittimo, lacuale o fluviale, ovvero
soggette a vincolo paesaggistico (artt. 142 e 143 del D.Lgs. 42/2004), non è possibile ottenere la
sanatoria in quanto, per queste fattispecie, è prevista la denuncia alla magistratura, con
l'applicazione di sanzioni penali, la demolizione dei manufatti e addirittura l'arresto fino a due anni
(art. 44 del D.P.R. 380/2001) dei responsabili, per i casi più gravi.
In queste ipotesi, è prevedibile che gli interessati non adempiano all'obbligo di denuncia ma
stavolta, a differenza del passato, esistono gli elenchi delle particelle sulle quali sono stati realizzati
i fabbricati non dichiarati, di cui sono noti i proprietari, circostanza che provocherà, prima o poi,
l'intervento del comune, che dovrà procedere d'ufficio e applicare le sopracitate disposizioni di
legge.
L'unico modo per evitare maggiori danni per i proprietari di questi immobili è quello di demolire le
costruzioni, prima che sia avviata la procedura d'infrazione urbanistica, almeno nei casi di
manufatti minori, quali tettoie, box, piccoli depositi e simili.
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Energia
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Energia da fonti rinnovabili, la Pas ha sostituito Dia e Scia
Carmen Chierchia, Il Sole 24 ORE - Edilizia e Territorio, 18 aprile 2011 - n. 15/16
La nuova procedura
Il Dlgs sulla produzione di energia da fonti rinnovabili è stato pubblicato sulSupplemento alla
«Gazzetta» del 28 marzo 2011, n. 71 ed è entrato in vigore il 29 marzo. Molte le novità a partire
dalle procedure autorizzative: debutta la Pas che sostituisce sia la Scia che la Dia.
Con l'emanazione del decreto legislativo n. 28 del 3 marzo 2011 recante Attuazione della direttiva
2009/28/Ce sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili, recante modifica e
successiva abrogazione delle direttive 2001/77/Ce e 2003/30/Ce (Dlgs 28/2011) si è definito il
quadro autorizzativo per le autorizzazioni alla costruzione e gestione di impianti alimentati da fonti
rinnovabili, così come avviato nel 2003 attraverso il decreto legislativo 387/2003 e come
specificato con il decreto ministeriale 10 settembre 2010.
Il decreto legislativo 28/2011 introduce una (formale) novità nell'assetto previsto dal legislatore
per l'autorizzazione di impianti alimentati da fonti rinnovabili. Infatti, accanto alla autorizzazione
unica e alla comunicazione da inviare al Comune, già previste dalla normativa previgente, il
decreto 28/2011 introduce lo strumento della procedura abilitativa semplificata (Pas).
Rapporto con Dia e Scia
La Pas sostituisce la procedura della denuncia di inizio attività (oggi Scia) che lo stesso Dlgs
387/2003 ammetteva quale titolo autorizzativo per determinate categorie di impianto. Va detto in
via preliminare che l'introduzione della Pas spazza via i dubbi registrati in dottrina sulla applicabilità
alle fonti rinnovabili della segnalazione certificata di inizio attività (la Scia, appunto), introdotta nel
luglio 2010 dalla legge 122/2010, a sostituzione della procedura di Dia. Pertanto, a partire dal 29
marzo 2011 - data di entrata in vigore del Dlgs 28/2011 il titolo abilitante ammesso per la
costruzione e gestione di determinate categorie di impianti sarà la Pas.
Come si vedrà in dettaglio tra breve, la procedura di Pas si snoda attraverso la stessa struttura
della Dia: il soggetto interessato dalla costruzione deposita la dichiarazione e da tale momento
decorrono 30 giorni per l'amministrazione comunale per compiere le verifiche di compatibilità del
progetto con le norme urbanistiche e la sussistenza delle condizioni di legge per procedere con
l'installazione. Se verifica l'insussistenza di una o più condizioni il Comune potrà ordinare di non
procedere con i lavori. È, dunque, evidente che la Pas ricalca la procedura di Dia e non quella della
Scia che, invece, ammette l'esecuzione immediata dell'intervento a fronte del potere
dell'amministrazione comunale di compiere le proprie verifiche in 60 giorni, termine più ampio
rispetto alla Dia e alla Pas.
L'applicazione
La Pas è ammessa per l'autorizzazione alla costruzione ed esercizio degli impianti alimentati da
fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 Dm 10 settembre 2010 (recante le linee guida per
l'autorizzazione delle fonti rinnovabili). È, dunque, possibile ricorrere alla Pas per:
1) impianti solari fotovoltaici non ricadenti fra quelli considerati di attività edilizia libera e aventi le
seguenti caratteristiche i) i moduli fotovoltaici devono essere collocati sugli edifici e ii) la superficie
complessiva dei moduli fotovoltaici dell'impianto non deve essere superiore a quella del tetto
dell'edificio sul quale i moduli sono collocati;
2) impianti solari fotovoltaici non ricadenti fra quelli di cui al numero precedente (quindi impianti a
terra o con superficie dei moduli superiore a quella del tetto), aventi capacità di generazione
inferiore alla soglia indicata alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (le soglie dimensionali
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della tabella A sono riportate nella tabella in alto);
3) impianti alimentati da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e
biogas non ricadenti fra quelli considerati quali attività edilizia libera e aventi le seguenti
caratteristiche i) impianti operanti in assetto cogenerativo e ii) aventi una capacità di generazione
massima inferiore a 1.000 kWe (piccola cogenerazione) ovvero a 3.000 kWt;
4) impianti da biomasse, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas, non
ricadenti fra quelli di cui al numero precedente e aventi capacità di generazione inferiori alle
rispettive soglie indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la tabella);
5) impianti eolici non ricadenti fra quelli considerati attività di edilizia libera e aventi capacità di
generazione inferiore alle soglie indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la
tabella);
6) torri anemometriche finalizzate alla misurazione temporanea del vento nel caso in cui si preveda
una rilevazione di durata superiore ai 36 mesi;
7) impianti idroelettrici non ricadenti fra quelli considerati attività edilizia libera e aventi capacità di
generazione inferiori alla soglia indicate alla tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003 (si veda la
tabella).
È, dunque, evidente che lo strumento della Pas rappresenta un modello di semplificazione
procedimentale applicabile a impianti di minore impatto sul territorio (e, quindi, esclusi dalla
procedura di autorizzazione unica) ma comunque con caratteristiche industriali che li differenziano
dagli impianti per i quali basta la semplice comunicazione.
I LIMITI DI POTENZA PER APPLICARE LA PAS
Tabella A del D.Lgs. 387/2003. Le Regioni possono elevarli fino a 1 MW.
Fonte energetica
Soglie
Eolica
60 kW
Solare fotovoltaica
20 kW
Idraulica
100 kW
Biomasse
200 kW
Gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas
250 kW
Le soglie di potenza
Come indicato, uno dei parametri di ammissibilità del ricorso alla Pas è il rispetto delle soglie di
potenza indicate nella tabella A allegata al Dlgs n. 387 del 2003.
Grande novità del Dlgs 28/2011 è la possibilità di elevare le soglie di potenza fino a 1 MW. Infatti,
dopo anni di attesa (e numerose pronunce della Corte costituzionale) il Dlgs 28/2011 ha conferito
alle Regioni e alle Province il potere di estendere fino ad 1 MW elettrico le soglie di potenza che
ammettono il ricorso alla Pas. Si ricorda, infatti, che sotto la vigenza del Dlgs 387/2003 la
possibilità di ricorrere alla procedura semplificata della Dia era ammessa solo per impianti che
rientravano nella potenza indicata nella tabella A. A fronte di tale dato normativo nazionale, non
sono mancate le Regioni che hanno esteso l'ammissibilità del ricorso alla Dia anche per impianti di
potenza maggiore rispetto alla soglia nazionale, estendendo la potenza fino a 1 MW (tra tutte, la
Puglia, la Basilicata, la Calabria). Contro tali Regioni, la Corte costituzionale si è pronunciata molte
volte (tra tutte, sentenze 364/2006, 382/2009, 119/2010 e da ultimo sentenza 107/2011)
ribadendo che le Regioni non avevano potere di elevare autonomamente le soglie di potenza per
ricorrere alla Dia in assenza del decreto del ministro dello Sviluppo economico che consentisse
l'elevazione della potenza. Con il Dlgs 28/2001 si dà dunque l'avvio per le Regioni al potere di
elevare la soglia di potenza.
In ogni caso, è fatto salvo il potere delle Regioni di escludere dalla Pas gli impianti che, sebbene
rientrino nella soglia di potenza indicata, necessitano per una completa autorizzazione di nulla osta
ambientali o paesaggistici di competenza di amministrazioni diverse dal Comune. In tali casi, le
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Regioni possono imporre l'assoggettamento dell'impianto all'autorizzazione unica.
Per completezza si ricorda che le Regioni hanno anche il potere di estendere il regime della
comunicazione fino a 50 kWe per gli impianti fotovoltaici su edifici a qualsiasi potenza, fatte salve
le norme in tema di Via e di tutela delle risorse idriche (al riguardo si veda l'articolo a pagina 9).
La procedura
La procedura della Pas, che ricalca la procedura della denuncia di inizio attività, è alquanto
articolata.
Infatti, il proprietario dell'immobile o chi abbia la disponibilità sugli immobili interessati
dall'impianto presenta al Comune una dichiarazione cui deve essere allegata:
- una dettagliata relazione a firma di un progettista abilitato e gli opportuni elaborati progettuali,
che attestino la compatibilità del progetto con gli strumenti urbanistici e il rispetto delle norme di
sicurezza e di quelle igienico-sanitarie;
- gli elaborati tecnici per la connessione redatti dal gestore della rete;
- gli atti di assenso eventualmente necessari (ad esempio nulla osta idrogeologico, autorizzazione
paesaggistica, ecc.).
Una volta depositata la dichiarazione, i possibili scenari che si aprono sono tre:
1) il Comune ordina di non effettuare i lavori nei trenta giorni dal deposito della dichiarazione;
2) il Comune resta silente nei trenta giorni successivi al deposito, con conseguente formazione del
titolo autorizzativo;
3) il Comune organizza l'acquisizione degli ulteriori permessi eventualmente necessari per assentire
completamente l'opera progettata.
L'ordine di non effettuare i lavori potrà essere notificato entro i trenta giorni dal deposito della
dichiarazione qualora il Comune riscontri l'assenza di una o più condizioni per accedere alla Pas (ad
esempio, l'incompatibilità dell'intervento con la destinazione urbanistica, l'insussistenza delle
condizioni di cui all'articolo 11 delle Linee Guida o false attestazioni dei professionisti, in tale ultimo
caso il Comune informa l'autorità giudiziaria e il consiglio dell'ordine di appartenenza).
Resta ferma la facoltà di ripresentare la dichiarazione, con le modifiche o le integrazioni necessarie
per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia.
Se il Comune non notifica l'ordine di non procede con l'esecuzione dell'intervento, decorso il
termine di trenta giorni dalla data di ricezione della dichiarazione, l'attività di costruzione deve
ritenersi assentita.
Più articolata è la procedura per l'acquisizione di ulteriori atti di assenso nelle materie relative
all'ambiente, paesaggio, beni culturali, sicurezza. Infatti, di regola tali atti devono essere allegati
alla dichiarazione.
Nel caso in cui il proponente non riesca a premunirsi di tali nulla osta, il Comune è incaricato del
completamento della pratica. In particolare:
a) se l'emanazione di tali atti di assenso rientra nella competenza comunale, il Comune provvede a
renderli tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo
procedimento (30 giorni). Il rimedio concesso al proponente in caso di inerzia dell'amministrazione
comunale è il ricorso avverso il silenzio regolato dall'articolo 117 del codice del processo
amministrativo;
b) se l'emanazione di tali atti d'assenso rientra nella competenza di amministrazioni diverse da
quella comunale, il procedimento per l'acquisizione dei relativi nulla osta può essere duplice 1)
l'amministrazione comunale provvede ad acquisirli d'ufficio o 2) convoca, entro venti giorni dalla
presentazione della dichiarazione, una conferenza di servizi.
Il termine di trenta giorni per il perfezionamento della procedura autorizzativa è sospeso fino alla
acquisizione degli atti di assenso ovvero fino all'adozione della determinazione motivata di
conclusione del procedimento della conferenza stessa.
Come anche nella procedura di Dia, la realizzazione dell'intervento deve essere completata entro
tre anni dal perfezionamento della Pas. La fine dei lavori deve essere comunicata al Comune al
quale dovrà essere trasmesso altresì il certificato di collaudo finale da parte del progettista o di un
tecnico abilitato.
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Regioni e Comuni
La procedura delineata dalla Pas enfatizza il ruolo propulsore e di coordinamento delle Regioni le
quali hanno il compito di stabilire 1) le modalità e gli strumenti con i quali i Comuni trasmettono
alle stesse Regioni le informazioni sui titoli abilitativi rilasciati e 2) le modalità di corresponsione ai
Comuni di oneri istruttori commisurati alla potenza dell'impianto. In altri termini, ciascuna Regione
individuerà i canali informativi attraverso cui le amministrazioni comunali dovranno rendere noti gli
impianti autorizzati tramite Pas e comunicazioni semplici e le modalità di concessione ai Comuni
degli oneri istruttori per gli impianti autorizzati.
ADEMPIMENTI A FINE LAVORI
1. Comunicazione di fine lavori
2. Deposito del collaudo di conformità dell'opera al progetto
3. Presentazione della ricevuta della domanda di variazione del valore catastale
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Pubblico impiego
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Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: dalla riforma
alla controriforma. Il sistema delle fonti
Nicola De Marinis, Il Sole 24 ORE - Massimario di Giurisprudenza del Lavoro, marzo 2011, n. 3
1. La "bilateralizzazione" negata
Programmaticamente volto ad intervenire sull'originario corpus normativo posto a disciplina del
rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche in funzione interdittiva di prassi
interpretative e gestionali lassiste, riguardate, in modo invero superficiale, quale causa
determinante, se non addirittura esclusiva, della perdurante inefficienza e scarsa produttività della
pubblica amministrazione l'ennesimo restyling della disciplina del lavoro pubblico, voluto
dall'attuale ministro per la pubblica amministrazione e l'innovazione, Renato Brunetta, e definito
con l'emanazione della legge delega 4 marzo 2009, n. 15 e del relativo decreto legislativo di
attuazione, n. 150 del 27 ottobre 2009, sembra aver preso la mano al suo stesso ideatore ed
essere andato ben oltre il segno.
In effetti, mosso dall'intento di por mano, nella costante opera di risanamento dell'esausta finanza
pubblica, ad una razionalizzazione dell'azione e dei costi della pubblica amministrazione, sull'onda
del successo mediatico della personalissima tesi di Pietro Ichino, evidentemente ammantata di
fascino bipartisan per provenire da un intellettuale politicamente collocato a sinistra ed essere
raccolta da un governo di centro-destra, secondo cui l'insufficiente livello di produttività della
macchina pubblica si deve ai comportamenti "fannulloni" del proprio personale, il legislatore della
riforma supera ampiamente l'originaria ispirazione.
Questi va al di là del rafforzamento del sistema di controllo di gestione, perseguito attraverso la
formalizzazione del processo di gestione della performance nonché di misurazione e valutazione
della stessa, rimesse in ultima istanza ad una apposita authority indipendente, la "Commissione
per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche", di nuova
costituzione, non si attesta su una linea promozionale di incentivazione del personale, pure seguita
con l'orientare in senso meritocratico e premiale l'utilizzo delle risorse destinate ai trattamenti
accessori e alle progressioni di carriera, ma giunge a riappropriarsi di una funzione di governo
eteronomo del sistema dei rapporti interni alla pubblica amministrazione.
Ne deriva una rimodulazione della relazione autorità/libertà che dal piano della gestione del
rapporto risale ad investire lo stesso sistema di regolamentazione del medesimo fino a contraddire
l'ispirazione fondamentale dell'originaria riforma, della quale quest'ultimo intervento vorrebbe porsi
come semplice sia pur marcato ritocco, data dalla privatizzazione dell'impiego pubblico.
La privatizzazione, in effetti, non solo si poneva quale espressione di libertà relativamente al profilo
della regolamentazione del rapporto, rimessa, su un piano di parità, alle parti del medesimo e per
esse alle loro rappresentanze collettive ma alle stesse apriva quegli spazi di libertà nella gestione
del rapporto recuperati dall'arretramento, fino alle soglie della macro-organizzazione della pubblica
funzione, del diritto amministrativo e non presidiati dal diritto comune pur a rigore concepiti come
funzionali all'esercizio della discrezionalità e, quindi, dell'autorità del dirigente pubblico che, in
attuazione dell'invalso principio di separazione tra poteri di indirizzo politico e poteri di gestione
dell'azione amministrativa, ne era investito, con ciò implicando l'effettiva bilateralizzazione del
rapporto.
E' appunto quella bilateralizzazione, ovvero la libertà riconosciuta alle parti sia sul piano della
regolamentazione che della gestione del rapporto, ad essere negata, decretandosi così anche la
fine della partnership alla stessa dirigenza pubblica accordata nell'attuazione dell'originaria riforma,
con pesanti riflessi sul sistema delle fonti.
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2. La competenza ripartita tra legge e contratto
A questo riguardo è a dirsi come la chiave di volta del nuovo assetto delle fonti la si ritrovi nella
previsione di cui all'art. 32 del d.lgs. n. 150/2009, che, collocato nella sistematica di tale atto
legislativo in apertura del Titolo IV, destinato a raccogliere le disposizioni modificative del d.lgs. n.
165/2001, definisce ambito, oggetto e finalità dell'intervento di riforma rispetto alle norme di
principio recate dal richiamato d.lgs. n. 165/2001.
Ebbene, ivi si legge che le disposizioni successive definiscono "la ripartizione tra le materie
sottoposte alla legge, nonché, sulla base di questa, ad atti organizzativi e all'autonoma
responsabilità del dirigente nella gestione delle risorse umane e quelle oggetto della contrattazione
collettiva", ripartizione di cui si ribadisce la necessità di assicurare il rispetto nell'art. 53 del d.lgs.
n. 150/2009, a sua volta inteso a definire oggetto, ambito di applicazione e finalità dell'intervento
di riforma in materia di contrattazione collettiva nazionale e integrativa.
Il termine ripartizione riporta indietro nel tempo, richiamando il sistema delle fonti a suo tempo
delineato dalla legge 29 marzo 1983, n. 93, la cosiddetta legge quadro sul pubblico impiego, che,
nell'introdurre a livello generale una prima forma di contrattualizzazione del rapporto di lavoro
pubblico, ridefiniva l'area coperta dalla riserva di legge di cui all'art. 97 Cost., per assegnare alla
contrattazione collettiva uno specifico ambito di competenza regolativa afferente alle seguenti
materie: il regime retributivo di attività; i criteri per l'organizzazione del lavoro; l'identificazione
delle qualifiche funzionali, in rapporto ai profili professionali ed alle mansioni; i criteri per la
disciplina dei carichi di lavoro e le altre misure volte ad assicurare l'efficienza degli uffici; l'orario di
lavoro, la sua durata e distribuzione, i procedimenti di rispetto; il lavoro straordinario; i criteri per
l'attuazione degli istituti concernenti la formazione professionale e l'addestramento; le procedure
relative all'attuazione delle garanzie del personale; i criteri per l'attuazione della mobilità del
personale.
Sennonché, nell'allora confermato regime a diritto amministrativo si trattava di competenza
almeno formalmente riservata, risultando la contrattazione collettiva, per effetto del necessario
recepimento del testo negoziale in un atto normativo qual'era il decreto del Presidente della
Repubblica, elevata, quale fonte di diritto oggettivo, al rango della legge e restando, così,
rigidamente distinti gli ambiti di intervento di ciascuna delle due fonti .
Una tale riserva di competenza a favore del contratto collettivo non è configurabile nell'attuale
contesto di privatizzazione del lavoro pubblico inaugurato dal d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, ove si
ripropone l'ordinario assetto gerarchico che vede la legge, unica fonte di diritto oggettivo,
sovraordinata al contratto collettivo, tornato a porsi come espressione di autonomia privata.
Il che prefigura, piuttosto che una ripartizione tra legge e contrattazione collettiva degli ambiti di
regolazione del rapporto di lavoro pubblico, una competenza in materia tra loro concorrente, viatico
di ulteriori progressioni su quel percorso di riappropriazione di spazi regolativi del rapporto da parte
della legge a scapito del contratto collettivo, già seguito nel decreto in commento con
l'arretramento sulla linea della competenza ripartita tra contrattazione collettiva e leggi aventi ad
oggetto specifico il lavoro pubblico rispetto a quella, emergente nella prospettiva della
privatizzazione, sin qui perseguita della competenza generale del contratto collettivo entro i limiti
segnati, salvo specifiche e contenute eccezioni, delle comuni leggi sul lavoro.
3. Il primato della legge
Una simile concorrenzialità sembra programmaticamente delineata attraverso la modifica già
apportata dall'art. 1 della legge delega n. 15/2009 all'art. 2, co. 2, secondo periodo, del d.lgs. n.
165/2001, disposizione, quest'ultima, che, nel regolare esplicitamente l'ipotesi dell'intervento della
legge, interinale o anche definitivo, sempre che così fosse stato espressamente previsto, a
limitazione dell'autonomia delle parti collettive, risultava posta appunto a presidio dell'indicazione
normativa a favore del contratto collettivo quale fonte privilegiata di disciplina del rapporto.
In effetti, l'intervento riformatore, nell'ammettere, con una modifica testualmente quasi
impercettibile, la deroga alla legge sopravvenuta da parte del contratto collettivo e, dunque, la sua
inapplicabilità pro futuro "solo qualora ciò sia espressamente prevista dalla legge", tende a
stabilizzare l'effetto inibitorio delle scelte delle parti collettive sul piano dei contenuti regolativi del
rapporto e, pertanto, sul terreno della specifica materia del lavoro pubblico e non su quello
generale della limitazione dell'autonomia privata nella definizione delle regole del lavoro.
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E' evidente l'affermazione, in palese controtendenza con l'obiettivo, dichiaratamente perseguito con
la privatizzazione, di addivenire ad una sostanziale assimilazione del lavoro pubblico al lavoro
privato, del rilievo preminente e pervasivo dell'interesse pubblico con riferimento a tale particolare
tipologia di rapporto di lavoro, affermazione che, nel sistema a competenza ripartita formalmente
delineato dal d.lgs. n. 150/2009, si traduce nella sottrazione alla competenza generale del
contratto collettivo, così delineata nell'originario testo dell'art. 40 del d.lgs. n. 165/2001, "La
contrattazione collettiva si svolge su tutte le materie relative al rapporto di lavoro ed alle relazioni
sindacali", delle materie indicate nel testo novellato del medesimo articolo.
In effetti, se si eccettua il riferimento alle materie di cui all'art. 1, co. 2, lett. c) dell'originaria legge
delega, 23 ottobre 1992, n. 421, sulla privatizzazione del pubblico impiego (relative: alle
responsabilità giuridiche attinenti ai singoli operatori nell'espletamento di procedure
amministrative; agli organi, gli uffici, i modi di conferimento della titolarità dei medesimi; ai principi
fondamentali di organizzazione degli uffici; ai procedimenti di selezione per l'accesso al lavoro e di
avviamento al lavoro; ai ruoli, alle dotazioni organiche nonché alla loro consistenza complessiva;
alla garanzia della libertà di insegnamento e all'autonomia professionale nello svolgimento
dell'attività didattica, scientifica e di ricerca; alla disciplina della responsabilità ed incompatibilità),
che già limitavano l'area della privatizzazione, tuttavia rimettendo alla contrattazione collettiva
l'intera materia dello status giuridico del dipendente pubblico, l'art. 40 nuovo testo nel sancire
l'esclusione della competenza della contrattazione collettiva sulle "materie attinenti
all'organizzazione degli uffici, quelle oggetto di partecipazione sindacale ai sensi dell'art. 9, quelle
afferenti alle prerogative dirigenziali ai sensi degli artt. 5, co. 2, 16 e 17, la materia del
conferimento e della revoca degli incarichi dirigenziali" e, nel prevedere espressamente la
soggezione della contrattazione collettiva ai vincoli legali nelle materie relative "alle sanzioni
disciplinari, alla valutazione delle prestazioni ai fini della corresponsione del trattamento accessorio,
della mobilità e delle progressioni economiche" si pone come norma di definizione degli ambiti di
regolazione del rapporto di lavoro pubblico recuperati dall'intervento riformatore alla fonte legale in
termini ben più ampi di quanto lascerebbe desumere la disposizione viceversa attributiva di
competenza alla contrattazione collettiva posta in apertura dello stesso art. 40 e formulata nel
senso che "La contrattazione collettiva determina i diritti e gli obblighi direttamente pertinenti al
rapporto di lavoro nonché le materie relative alle relazioni sindacali".
Si delinea in sostanza un'inversione di rotta su quel percorso di progressiva privatizzazione che, dal
piano della regolamentazione del rapporto di lavoro, in una con l'inclusione in quell'orizzonte del
livello più elevato della dirigenza pubblica, aveva finito per investire quello dell'organizzazione degli
uffici o "micro-organizzazione", con il conseguente arretramento della privatizzazione da quel
fronte a quello originario ed oltre.
Non altrimenti può leggersi la circostanza che tra le materie escluse dalla competenza del contratto
collettivo rientri quella dell'organizzazione degli uffici, per di più indicata tout court, senza
distinguere tra organizzazione dell'articolazione funzionale in quanto deputata all'esercizio del
relativo segmento di competenza e organizzazione del lavoro interna ad essa, ed altresì la
circostanza che la legge si volga a presidiare ogni ambito regolativo idoneo a porsi come punto di
interferenza e di snodo tra interesse dell'organizzazione ed interesse del lavoratore pubblico, dagli
istituti della partecipazione sindacale, ora rigorosamente circoscritti, per quel che riguarda
l'organizzazione degli uffici e la gestione dei rapporti di lavoro, alla mera informazione, ad
esclusione di ogni altra modalità di confronto, pur in precedenza individuate nella consultazione e
nella concertazione, atta ad involgere profili di codeterminazione tra dirigenza pubblica e
organizzazioni sindacali, alle sanzioni disciplinari, alla valutazione dell'apporto individuale del
singolo e della sua valenza sul piano delle progressioni economiche e di carriera, ad ulteriore
conferma del venir meno della delega alla gestione di tali aspetti frizionali in precedenza accordata
alla dirigenza pubblica, ora persino sottratta alla tutela sindacale e su tematiche sensibili quali
quella della revoca degli incarichi dirigenziali.
Ed il presidio della fonte legale sugli ambiti regolativi indicati è garantita dall'espressa attribuzione
del carattere imperativo alle relative disposizioni che proviene dall'integrazione in tal senso operata
dal legislatore della riforma al disposto dell'art. 2, co. 2, primo periodo, del d.lgs. n. 165/2001, cui
fa da corollario l'ordinaria sanzione della nullità parziale, ex art. 1419, co. 2, c.c., del contratto
collettivo recante clausole in violazione di tali norme imperative e più in generale dei limiti fissati
all'autonomia collettiva, con applicazione della sostituzione automatica delle clausole nulle ai sensi
dell'art. 1339 c.c., questa volta, peraltro, espressamente sancita dal nuovo co. 3 bis del richiamato
art. 2.
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Ma ulteriori e ben più penetranti limiti derivano alla contrattazione collettiva dalle disposizioni di cui
ai co. 3 ter e 3 quater ora aggiunti al nuovo testo dell'art. 40 in materia di contrattazione
integrativa e da quelle poste dal nuovo art. 47 bis sulla tutela delle retribuzioni, secondo quanto si
preoccupa di precisare l'inciso ora inserito al co. 3 dell'art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, che quelle
disposizioni configura quali eccezioni alla regola, in precedenza incondizionata, che voleva il
rapporto di lavoro pubblico ed in particolare l'attribuzione dei trattamenti economici disciplinato
"mediante contratti collettivi".
In effetti, le richiamate disposizioni nell'aprire, in via stabile o formalmente interinale, spazi di
intervento regolativo su materie di pertinenza del contratto collettivo all'iniziativa unilaterale della
pubblica amministrazione, al suo esercizio subordinano o sospendono la competenza normativa
della contrattazione collettiva.
In particolare, oltre all'ulteriore vincolo stabilmente posto in materia di ripartizione delle risorse per
la contrattazione decentrata da operarsi ora tenendo conto dei tre livelli di merito in cui
amministrazione ed enti pubblici verranno inseriti in relazione alla graduatoria di performance
stilata dalla Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni
pubbliche (art. 40, co. 3 quater), si ammette che qualora non si raggiunga l'accordo per la
stipulazione di un contratto collettivo integrativo, l'amministrazione interessata, al fine di
assicurare la continuità e il migliore svolgimento della funzione pubblica, può provvedere, in via
provvisoria, sulle materie oggetto del mancato accordo, fino alla successiva sottoscrizione (art. 40,
co. 3 ter), ed altresì che, decorsi sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge
finanziaria che dispone in materia di rinnovi dei contratti collettivi per il periodo di riferimento, gli
incrementi previsti per il trattamento stipendiale possono essere erogati in via provvisoria previa
deliberazione dei rispettivi comitati di settore, sentite le organizzazioni sindacali rappresentative,
salvo conguaglio all'atto della stipulazione dei contratti collettivi nazionali di lavoro (art. 47, co. 1),
norma qualificata di garanzia dell'adeguamento del trattamento economico del personale ed in
questa ottica completata dalla previsione del comma successivo, secondo cui "in ogni caso a
decorrere dal mese di aprile dell'anno successivo alla scadenza del contratto collettivo nazionale di
lavoro, qualora lo stesso non sia stato rinnovato e non sia stata disposta l'erogazione di cui al co.
1, è riconosciuta ai dipendenti dei rispettivi comparti di contrattazione, nella misura e con le
modalità stabilite dai contratti nazionali e comunque entro i limiti previsti dalla legge finanziaria in
sede di definizione delle risorse contrattuali, una copertura economica che costituisce
un'anticipazione dei benefici complessivi che saranno attribuiti all'atto del rinnovo contrattuale".
E' evidente, con particolare riguardo all'art. 47, co. 1, che, per operare in relazione alla
contrattazione collettiva nazionale di comparto e su materia di rilievo essenziale quale quella
retributiva, assume una significativa valenza, come tali disposizioni mirino a conferire immediata
efficacia normativa a quelli che, riguardate in un'ottica eminentemente negoziale, rappresentano
soltanto i punti di interesse di una delle parti, finendo, con il consentirne la previa attuazione, per
rafforzare la posizione della parte pubblica nel negoziato e condizionare l'esito del medesimo.
Si legificano così prassi di delegittimazione sindacale di recente inaugurate, ma in via meramente
provocatoria, nel settore privato, in particolare durante la trattativa per il rinnovo del contratto dei
metalmeccanici, ma nel settore pubblico, in occasione del rinnovo del c.c.n.l. del comparto
ministeri, già apertamente perseguite, facendo sponda sulla contiguità delle componenti minoritarie
del sindacato confederale, che non a caso hanno finito per sottoscrivere il contratto, in funzione
dissuasiva del dissenso sindacale sui contenuti del negoziato.
Ne emerge una chiara tendenza alla neutralizzazione della competenza normativa della
contrattazione collettiva e, più al fondo, al disconoscimento ed alla disgregazione di un sistema di
relazioni sindacali che, sin dalla prima fase di "contrattualizzazione" del pubblico impiego, le stesse
istituzioni avevano inteso fondare.
Ed è soprattutto su questo che si misura la distanza dall'originaria ispirazione della successiva
operazione di privatizzazione volta alla sostanziale assimilazione del lavoro pubblico al lavoro
privato.
4. Dal rapporto "speciale" al rapporto "eccezionale"
Sennonché, la riforma va ben oltre, non limitandosi ad accentuare il profilo di specialità del
rapporto in ragione della maggiore dose di interesse pubblico travasata, anche a livello micro,
nell'organizzazione della pubblica amministrazione, ma muovendo da qui verso un diritto
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"eccezionale" in deroga agli stessi principi di quel diritto comune cui in origine avrebbe dovuto
conformarsi ed addirittura ai principi costituzionali.
Significativo in tal senso è il capitolo della riforma dedicato all'inasprimento della disciplina in
materia di sanzioni disciplinari, che, per di più, il legislatore blinda, per un verso rinnovando ad hoc
la qualificazione delle disposizioni che lo compongono come norme imperative, alla cui violazione
consegue la nullità parziale del contratto e la sostituzione automatica delle clausole nulle, per
l'altro, avendo cura di escludere qualsiasi sovrapposizione di regole o canali procedurali alternativi
di matrice sindacale, con l'ammettere la contrattazione collettiva soltanto alla definizione di
procedure di conciliazione non obbligatorie, per di più limitate ai casi che non comportino la
sanzione disciplinare del licenziamento ed altresì condizionate nel loro esito dal momento che la
sanzione eventualmente concordata in questa sede non può essere di specie diversa da quella
prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per la quale si procede.
Un primo scostamento dal diritto comune, annunciato dalla stessa normativa di riforma, recante
all'art. 68, co. 2, la previsione per la quale la competenza assegnata al contratto collettivo in ordine
alla definizione della tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è esercitata nei limiti delle
regole legali contenute nel medesimo Capo IV che già dispongano in materia, si registra in
relazione appunto dell'intervento della legge nella definizione del codice disciplinare, intervento, la
cui pervasività si misura sul fatto che lo stesso si risolve per lo più, com'è nelle ipotesi che l'art. 55
quater vuole comunque assoggettate alla sanzione del licenziamento, nella riproposizione di una
casistica già contemplata dalla contrattazione collettiva.
In questo contesto il superamento degli ordinari limiti legali si ravvisa anche con riguardo alla
definizione della tipologia delle sanzioni, qui ammettendo per la prima volta la legge l'applicazione
della già nota sanzione della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione ben oltre l'ordinario limite
temporale fissato dall'art. 7 st. lav. in dieci giorni, con una estensione che va dai quindici giorni fino
ai tre mesi, indice di una inammissibile disattenzione per la natura alimentare del credito
retributivo.
Sempre in questo ambito più marcata è la deviazione dai principi nel momento in cui, in contrasto
sempre con il disposto dell'art. 7 st. lav., secondo cui la sanzione non può comportare mutamenti
definitivi del rapporto di lavoro, si ammette, ai sensi dell'art. 55 sexies, co. 2, che, nel caso in cui il
dipendente cagioni grave danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza per
inefficienza o incompetenza professionale accertate dall'amministrazione ai sensi delle disposizioni
legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle amministrazioni pubbliche il
dipendente non solo viene assoggettato alla sanzione affatto peculiare della messa in disponibilità,
istituto di norma afferente alla problematica della ricollocazione del personale in esubero per
ragioni oggettive riguardanti l'organizzazione amministrativa, ma può vedere modificato tanto il
trattamento economico, non avendo diritto durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità a
percepire aumenti retributivi sopravvenuti, quanto la sua posizione funzionale, riconoscendosi al
provvedimento che definisce il giudizio disciplinare la facoltà di definire, unilateralmente, le
mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l'eventuale ricollocazione e dando, così, per la
prima volta ingresso nel nostro ordinamento alla sanzione della degradazione.
Con riguardo alla medesima disposizione non si può poi mancare di rilevare sotto un diverso profilo
come la costruzione della fattispecie sanzionatoria includa la considerazione di elementi
indeterminati o ultronei rispetto a quelli proposti e richiesti dal diritto comune. Oggetto
dell'iniziativa sanzionatoria è l'inefficienza o incompetenza professionale causativa di un grave
danno al normale funzionamento dell'ufficio di appartenenza, elementi, i primi, che nell'ordinario
contesto normativo potevano tutt'al più risultare espressivi di un giudizio sintetico sul valore della
prestazione resa dal dipendente, derivato dalla riferibilità al dipendente medesimo di specifici
comportamenti inadempienti a loro volta sanzionati, ed il secondo, il danno, di norma ritenuto
irrilevante ai fini disciplinari o, al più, considerato a livello di mera aggravante.
Analoghe considerazioni possono valere per la fattispecie sanzionatoria contemplata dal nuovo art.
55 sexies, co. 1, d.lgs. n. 165/2001. Ivi si prevede che la condanna dell'amministrazione al
risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore dipendente, degli obblighi
concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto
collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di
comportamento di cui all'art. 54, comporta l'applicazione nei suoi confronti, ove non ricorrano i
presupposti per l'applicazione di un'altra sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con
privazione della retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in
proporzione all'entità del risarcimento.
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Anche in questo caso per effetto dell'intervenuta condanna dell'amministrazione in sede civile si
finisce per dare rilievo, da un lato, a presunti inadempimenti pregressi, prescindendo
dall'attivazione in relazione ai medesimi di un procedimento disciplinare e dal tempo in cui quegli
inadempimenti sarebbero intervenuti, dall'altro, al determinarsi di un danno a carico
del'amministrazione, tra l'altro, configurato quale parametro per la graduazione della gravità della
sanzione.
Nello stesso senso ma in maniera più eclatante, per la palese differenza dall'orientamento
giurisprudenziale consolidatosi in materia, depone la disposizione relativa alla fattispecie dello
scarso rendimento, qui non configurato come risultato di una precedente sequenza di
inadempimenti a loro volta sanzionati, ma punito di per sé con la sanzione massima del
licenziamento, all'esito di una valutazione negativa della prestazione resa dal dipendente espressa,
con riguardo ad un arco temporale non inferiore al biennio, dall'amministrazione di appartenenza,
ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale delle
amministrazioni pubbliche, con riferimento alla quale la reiterata violazione degli obblighi
concernenti la prestazione lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto
collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di appartenenza o dai codici di
comportamento di cui all'art. 54, violazione, come detto, non asseverata dalla precedente
comminazione di sanzioni conservative, è destinata a costituire soltanto l'antecedente logico della
valutazione medesima.
Ma, al di là della rilevata discrasia con il diritto comune, emerge, nei casi da ultimo citati ed in
particolare nell'opzione intesa ad elevare a presupposto dell'azione disciplinare inadempimenti in
origine non formalmente sanzionati, un ben più grave vulnus recato al principio costituzionale,
concepito dal giudice delle leggi e, perciò, imposto anche con riferimento alla fattispecie del
licenziamento per mancanze, come espressione di civiltà giuridica, della garanzia del
contraddittorio, nel discutibile quanto vano tentativo di veicolare nelle forme del procedimento
disciplinare, strutturato sul modello necessariamente bilaterale del processo, l'esito negativo di una
valutazione unilaterale della produttività della prestazione.
Ancor più clamorosa si rivela la violazione dei principi costituzionali cui il legislatore della riforma
perviene con l'ammettere il bis in idem ovvero il reiterarsi a carico del medesimo soggetto e per gli
stessi fatti della procedura sanzionatoria, in base alla disposizione di cui al nuovo art. 55 ter, co. 3,
ove, una volta imposto ai precedenti commi, in caso di azione penale intentata a carico del
dipendente, l'avvio in parallelo e la conclusione anticipata rispetto al giudizio penale del
procedimento disciplinare, giunge poi a prevedere, a fronte della successiva emanazione di una
sentenza irrevocabile di condanna, la riapertura del procedimento disciplinare conclusosi con
l'archiviazione per adeguare le determinazioni conclusive all'esito del giudizio penale e la riapertura
di qualsiasi procedimento che non si sia concluso con l'irrogazione della sanzione del licenziamento
per l'irrogazione di quella sanzione ove dall'accertamento definitivo in sede penale discenda
l'addebitabilità al dipendente di un fatto avente una tale rilevanza disciplinare.
Il lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche: dalla riforma alla controriforma. il
sistema delle fonti.
Riassunto.
Lo scritto tende a dimostrare come il legislatore della recente riforma del lavoro alle dipendenze delle
amministrazioni pubbliche, discostandosi dall'originaria direttiva dell'armonizzazione del lavoro pubblico
con il lavoro privato e ridimensionando fortemente la stessa prospettiva della contrattualizzazione del
rapporto, giunga ad affermare il primato della fonte legale rispetto a quella contrattuale in funzione del
rispristino, sulla base di un diritto eccezionale, tarato al di sotto degli standard di tutela del lavoro
privato, di uno stato giuridico speciale del dipendente pubblico.
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Sicurezza sul lavoro

Sicurezza sul lavoro nelle amministrazioni pubbliche: il ruolo e la
responsabilità degli organi di indirizzo politico
Pierguido Soprani, Il Sole 24 ORE - Ambiente & Sicurezza, 5 aprile 2011, n. 6
Con l'emanazione del D.Lgs. n. 626/1994, l'individuazione della figura del datore di lavoro pubblico,
a fini prevenzionali (problematica per molto tempo affrontata raramente "ex professo" e in
profondità, sia dalla dottrina, che dalla Giurisprudenza), ha acquisito un impulso via via sempre
maggiore, anche per il fatto che questa nozione non era codificata nel sistema normativo
precedente. Attualmente il datore di lavoro pubblico in ambito prevenzionistico è definito con
valenza generale nell'art. 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, D.Lgs. n. 81/2008, e
convenzionalmente individuato con "il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il
funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cui quest'ultimo sia preposto ad un
ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall'organo di vertice delle singole amministrazioni
tenendo conto dell'ubicazione e dell'ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l'attività, e
dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di
individuazione non conforme ai criteri sopra indicati, il datore di lavoro coincide con l'organo di
vertice medesimo".
In base alla legislazione vigente, la responsabilità gestionale nell'ambito della Pubblica
Amministrazione è affidata alla figura del dirigente pubblico, come definita in via generale nell'art.
4, comma 2, D.Lgs. n. 165/2001 (Testo unico del pubblico impiego), e nell'art. 107, D.Lgs. n.
267/2000 (Testo unico degli enti locali), in base ai quali, nell'ambito delle amministrazioni
pubbliche, gli organi di governo (ed elettivi, dove esistenti) sono titolari dei poteri di indirizzo
politico-amministrativo, di dotazione organica, strumentale ed economico-finanziaria e delle
funzioni di controllo dell'ente; ai dirigenti spetta, invece, la gestione finanziaria, tecnica e
amministrativa delle risorse assegnate e la gestione del personale.
Il principio della distinzione-separazione tra la funzione di governo (riservata alla competenza dei
vertici delle amministrazioni pubbliche) e la funzione di gestione (demandata agli organi burocratici
dell'apparato amministrativo), assume una valenza fondamentale nella regolamentazione e nella
delimitazione dei rispettivi ambiti di azione. E' opportuno evidenziare ulteriormente che ai dirigenti
pubblici è riconosciuta, per diretta attribuzione di legge, la titolarità degli stessi poteri di autonomia
decisionale e di spesa propri dei datori di lavoro del settore privato, sintetizzati nel cosiddetto
potere di gestione. Il fatto che, rispetto agli obiettivi, alle priorità, ai piani di programma e alle
direttive generali fissati dagli organi di governo dell'ente, questi siano soggetti a un controllo di
gestione e di risultato (dunque, esplichino un'azione che, sia pure impropriamente, potrebbe essere
definita "esecutiva"), non deve ingenerare equivoci; poiché questo rapporto di dipendenza
funzionale vale solo e unicamente per gli obiettivi definiti a livello di azione politico-amministrativa,
non anche per quegli altri obiettivi (tra cui quello della "tutela della sicurezza e della salute dei
lavoratori sul luogo di lavoro") che è la legge stessa (il D.Lgs. n. 81/2008 e la restante normativa
prevenzionale) a definire e a imporre, in maniera indifferenziata, a tutte le imprese pubbliche e
private.
Dall'esame della figura dei dirigenti pubblici si ricava, insomma, la chiara indicazione che, per
quanto attiene all'adempimento degli obblighi di sicurezza e di salute, essi non hanno vincoli di
subordinazione gerarchica e funzionale, né devono sottostare alla decisione di altri organi di
governo dell'ente; i dirigenti pubblici, pertanto, non sono equiparabili ai "dirigenti" del settore
privato, ma si caratterizzano piuttosto [tali li qualifica (rectius, convenzionalmente li "intende") il
D.Lgs. n. 81/2008] come datori di lavoro. Resta fermo il potere-dovere di controllo sul loro
operato, nell'ambito di un sistema di valutazione interna, da parte degli organi di vertice di
ciascuna amministrazione (cosiddetta valutazione della dirigenza), che discende più in generale dal
rapporto di servizio che li lega all'ente.
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Dunque, è ormai imprescindibile tener conto, nell'esame dell'assetto funzionale di tutte le
amministrazioni pubbliche e, in particolare, di quello degli enti locali, della cennata distinzione tra
organi di indirizzo politico e organi di gestione finanziaria, tecnica, amministrativa.
Questo nuovo assetto organizzativo e funzionale degli enti pubblici fa sì che alcuni precedenti
indirizzi giurisprudenziali, attributivi della responsabilità a titolo esclusivo o concorrente agli organi
di indirizzo politico siano divenuti ormai inattuali (tra le altre, Cass. pen., sez. III, 13maggio 1994;
Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 1992; Cass. pen., sez. III, 7 novembre 1995; in particolare, Cass.
pen., sez. III, 24 febbraio 1993, secondo cui "In un comune, specialmente se piccolo, al sindaco
compete dirigere, mentre all'assessore delegato spetta sovrintendere alle attività svolte dai
lavoratori dipendenti nel cimitero comunale, sicchè entrambi sono responsabili in concorso tra loro
delle infrazioni alle disposizioni antinfortunistiche poste a tutela dei lavoratori subordinati: il
sindaco, quale destinatario ex lege dell'obbligo di prevenzione, può liberarsi dalla relativa
responsabilità solo delegando specificamente all'assessore competente o ad altro sovrintendente il
compito di osservare l'obbligo a lui incombente").
Per cui, è indubbio che, a seguito delle riforme della PA che si sono concluse con l'emanazione del
D.Lgs. n. 267/2000, del D.Lgs. n. 165/2001 e, infine, del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, in
materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle
pubbliche amministrazioni (cosiddetta riforma "Brunetta"), la responsabilità degli organi di governo
delle amministrazioni pubbliche (questo vale anche in sede di applicazione della normativa
prevenzionistica e di igiene del lavoro e di attribuzione dei correlati profili di responsabilità) operi
con valenza del tutto residuale. Peraltro, non può non considerarsi che il conferimento degli
incarichi dirigenziali è di esclusiva competenza degli organi di governo di ciascuna amministrazione
pubblica (art. 19, D.Lgs. n. 165/2001, e art. 50, D.Lgs. n. 267/2000), così come lo sono la verifica
dei risultati dell'attività amministrativa e della gestione e, in caso di negatività dei risultati,
l'adozione dei provvedimenti ablativi della revoca dell'incarico, dell'interdizione dal conferimento di
ulteriori incarichi di livello dirigenziale, del recesso dal rapporto di lavoro (art. 21, D.Lgs. n.
165/2001). Questo spiega come, già prima della riforma del pubblico impiego e delle autonomie
locali, la Giurisprudenza aveva ritenuto sussistere, in capo agli organi di indirizzo politico e di
governo dell'ente pubblico, una specifica posizione di garanzia (significativa sul tema è la pronuncia
di Cass. pen., sez. III, 4 febbraio 1992, secondo la quale "Il sindaco, delegando l'assessore all'uopo
designato, gli trasferisce l'esercizio di poteri-doveri nella materia delegata e, con essi, anche la
responsabilità per la mancata adozione delle misure di prevenzione degli infortuni sul lavoro e per
le relative contravvenzioni; tuttavia il sindaco, quale destinatario delle norme per la prevenzione
degli infortuni sul lavoro ex art. 4 D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, è responsabile delle
contravvenzioni in materia, anche nel caso in cui abbia delegato l'esercizio dei poteri ad assessore
all'uopo designato, quando sia stato, esso sindaco, personalmente sollecitato circa i pericoli che
derivano agli interessati dalla mancata adozione delle misure di prevenzione degli infortuni sul
lavoro e ciò nondimeno abbia omesso i poteri di autorità delegante - di vigilanza, di direttive, e, al
limite, di revoca della delega nei confronti dell'assessore delegato - e comunque di intervenire per
porre rimedio alla situazione di pericolo lamentata").
Dopo la pubblicazione del D.Lgs. n. 626/1994 e il contestuale avvio del cosiddetto "nuovo corso"
della sicurezza, la Giurisprudenza della Cassazione si è pronunciata sul ruolo e sulla responsabilità
degli organi di indirizzo politico in un'importante pronuncia (Cass. pen., sez. III, 27 marzo 1998)
inerente alla vicenda infortunistica di un dipendente comunale. Muovendo dalla considerazione che
il sindaco (ma lo stesso vale, mutatis mutandis, per il presidente della Provincia) è il soggetto
responsabile dell'amministrazione comunale e, in tale veste, ha il dovere di "sovrintendere agli
uffici ed alle istituzioni comunali, e di vigilare, dunque, a che gli amministratori ed i funzionari
sottoposti adempiano ai compiti ed agli specifici obblighi istituzionali loro demandati", i Giudici di
legittimità hanno affermato che, sebbene non sia tenuto a controllare personalmente ogni tipologia
di intervento (per esempio, di ordinaria manutenzione) sul territorio e sugli edifici in carico
gestionale all'ente, tuttavia, "allorché sia informato delle inadempienze dei preposti alla ripartizione
ed al servizio, proprio per la funzione apicale ricoperta nell'ambito dell'amministrazione comunale,
ha l'obbligo di intervenire anche con provvedimenti disciplinari", e "perfino con il ritiro della delega
ove le relative responsabilità siano imputabili anche all'assessore di riferimento". Il ragionamento
consequenziale svolto dalla Cassazione è stato che, qualora il sindaco (come nel caso di specie),
pur edotto della situazione di fatto relativa alle "gravi e precarie condizioni igienico-sanitarie dei
locali", abbia omesso di intervenire, rimanendo totalmente inerte nonostante le plurime
sollecitazioni "a porre rimedio alla grave situazione di degrado lamentata", lo stesso non è esente
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da responsabilità "a titolo di concorso con quella dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti
e degli assessori di riferimento, cui erano addebitabili le singole violazioni".
Lo spunto di stimolante riflessione indotto dalla sentenza è che in capo al sindaco sussiste un
dovere di attivazione e di intervento, in presenza di situazioni di mala gestio, da parte dei
funzionari preposti alle ripartizioni competenti, da lui comunque conosciute. In che modo il sindaco
sia tenuto a intervenire per ovviare alle situazioni antigiuridiche derivanti da violazioni penalmente
rilevanti la Corte non lo ha detto, salvo il riferimento al possibile esercizio del potere disciplinare.
Prendendo il dictum della Cassazione a paradigma significativo e riferendolo, più in generale, al
ruolo degli organi di governo e di indirizzo politico degli enti pubblici, è necessario fare il punto
della situazione.
In primo luogo è indubbio che il dovere di attivazione e di intervento degli organi di indirizzo
politico dell'ente investa non solo le situazioni di illiceità penale conosciute, ma anche quelle
doverosamente conoscibili. Infatti, la quasi totalità delle contravvenzioni in materia di prevenzione
degli infortuni e di igiene del lavoro si caratterizza come reati omissivi, rispetto ai quali il
legislatore, proprio al fine di condizionare positivamente all'azione i soggetti obbligati, ha connotato
il precetto come dovere di adempimento. Se, dunque, sono le condotte omissive, negligenti di
questo dovere a essere assoggettate a pena, questo significa, sul piano comportamentale, che il
fondamento della responsabilità è proprio l'inerzia rispetto al dovere di attivazione legislativamente
imposto. Ma, trattandosi di responsabilità attribuita a titolo di colpa ed essendo il fondamento della
colpa la prevedibilità (non la previsione) dell'evento del reato, deve essere fatto riferimento non
alla conoscenza effettiva, bensì alla mera conoscibilità (intesa quale dovere-potere di conoscere).
In secondo luogo occorre aggiungere che, in applicazione dei principi generali in tema di
imputazione della colpa nei reati contravvenzionali omissivi, l'inerzia colpevole è misurata con il
criterio del consenso. In presenza di una condotta omissiva tenuta di fronte a una situazione
conoscibile e in contrasto con l'imposizione di legge, il consenso al permanere, al perdurare di
questa situazione si trae per induzione, per inevitabile logica conseguenza, tanto più considerando
che molte delle violazioni antinfortunistiche e di igiene del lavoro assumono la struttura di reati
permanenti. Nel caso di specie il sindaco, "pur edotto da funzionari ed altri dipendenti delle gravi e
precarie condizioni igienico-sanitarie dei locali della polizia urbana" aveva omesso di intervenire;
così come era "rimasto totalmente inerte dopo le numerose relazioni inviategli dagli ispettori della
AUSL e perfino dopo gli incontri con le organizzazioni sindacali che più volte lo (avevano)
sollecitato a porre rimedio alla grave situazione di degrado lamentata". La condivisibile conclusione
alla quale è giunta la Corte di Cassazione, di ipotizzare "una responsabilità del sindaco a titolo di
concorso con quella dei funzionari preposti alle ripartizioni competenti e degli assessori di
riferimento, cui erano addebitabili le singole violazioni", concerne ovviamente quel particolare
profilo di responsabilità, codificato nell'art. 40, comma 2, Codice penale ("Non impedire un evento,
che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo"), conseguente all'assunzione di una
posizione di "garanzia" che l'ordinamento assegna a un soggetto per la tutela del bene o
dell'interesse protetto dalla norma che si assume violata.
Considerando che, negli enti locali, sono gli organi di governo quelli ai quali, nell'esercizio delle
funzioni attribuitegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti, compete la nomina dei responsabili
degli uffici e dei servizi, l'attribuzione e la definizione degli incarichi dirigenziali e di quelli di
collaborazione esterna, nonché il potere-dovere di controllo e di verifica dell'attività di gestione,
siffatte prerogative funzionali appaiono idonee a ingenerare un'esposizione al profilo della
responsabilità concorrente, riconducibile alla previsione del comma 2, art. 40, c.p. In fondo non si
tratta che di trasporre alcuni di quei principi che presiedono all'istituto della delega e che ne
costituiscono, anzi, secondo l'insegnamento Giurisprudenziale, requisiti essenziali. Tra questi,
quello per il quale il delegante non deve essere a conoscenza dell'inefficienza del delegato ed è
anche tenuto a predisporre un sistema di controllo e di verifica periodica della sua attività. Tanto
della prima condizione [principio di "non connivenza" (o di "non acquiescenza")] quanto della
seconda (principio dell'assenza di "culpa in vigilando") è stata data chiara indicazione da parte della
Giurisprudenza.
Il dato di sintesi è che, dunque, nel settore della normativa di prevenzione degli infortuni e di
igiene del lavoro, il profilo di responsabilità degli organi di indirizzo politico degli enti pubblici, quali
figure apicali di ciascuna amministrazione pubblica, può essere fondato, indipendentemente
dall'esistenza di una delega, nella condotta di mancato assolvimento di quel potere-dovere di
controllo che li obbliga, di fronte alle situazioni antigiuridiche doverosamente conoscibili, a
intervenire per porvi tempestivo rimedio. Il contenuto della censura mosso dalla Cassazione al
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sindaco nella vicenda infortunistica de qua (di non essere intervenuto "anche con provvedimenti
disciplinari") sembra poi escludere che si tratti di un dovere di controllo sostitutivo, come sostenere
che non spetta in ogni caso all'organo di governo (qual è, per esempio, il sindaco o il presidente
della Provincia) di sostituirsi personalmente al dirigente o al funzionario pubblico inadempiente;
dovendosi, invece, più efficacemente richiamarlo ai propri doveri (anche attraverso l'esercizio del
potere disciplinare), ovvero provvedere alla sua rimozione dall'incarico (con altra destinazione
funzionale) e alla sua sostituzione.
Questa posizione di "garanzia" e di "controllo" trova ora esplicito riconoscimento e amplificazione
nell'art. 20, comma 2, D.Lgs. n. 758/1994. Questa norma, con lo stabilire, nell'ambito del
meccanismo sanzionatorio applicabile alle contravvenzioni alla normativa di prevenzione degli
infortuni e di igiene del lavoro, che "Copia della prescrizione è notificata o comunicata anche al
rappresentante legale dell'ente nell'ambito o al servizio del quale opera il contravventore", ha la
finalità di "mettere in mora", infatti, il vertice dell'ente, affinché si attivi tempestivamente per porre
rimedio alla violazione commessa dai suoi delegati, a fini di regolarizzazione. Per di più, con il
meccanismo della notifica del verbale di prescrizione, la situazione antigiuridica non è più solo
conoscibile ma addirittura conosciuta, per cui, se, nonostante questo, non è fatto nulla per
rimuoverla, la condotta omissiva potrebbe essere addirittura valutata sotto il profilo della
cosiddetta "colpa cosciente", la quale si caratterizza per l'avere il reo "agito nonostante la
previsione dell'evento".
La notifica al rappresentante legale ha dunque il senso di renderlo, se non partecipe, almeno
garante funzionale dell'attuazione degli adempimenti imposti dalla "prescrizione" impartita
dall'organo di vigilanza e questo in ragione dei suoi specifici poteri decisionali, anche di ordine
economico, all'interno dell'impresa. Dunque, se il legale rappresentante dell'ente pubblico dovesse
rimanere colposamente inerte e non intervenire (al più tardi allo scadere del termine fissato
dall'organo di vigilanza) a controllare l'adempimento della prescrizione da parte del
dirigente/funzionario contravventore, nonché a sostituirvisi in caso di sua inerzia, non potrà non
assumere anch'egli la responsabilità del protrarsi della situazione antigiuridica e anche delle
eventuali conseguenze lesive che, in caso di infortunio sul lavoro o di malattia professionale, si
possano verificare, determinando in tal modo il sorgere a suo carico di un profilo autonomo di colpa
per omesso impedimento dell'evento dannoso (ex art. 40, cpv. c.p.).
Nel tempo la Giurisprudenza ha confermato l'impostazione che fa leva sul ruolo di garanzia degli
organi di indirizzo politico. Tra le pronunce più significative, per lo più attinenti a vicende giudiziarie
in cui entrava in gioco il profilo di responsabilità degli organi comunali, possiamo citare quella di
Cass. pen., sez. III, 23 febbraio 1999, secondo cui "In tema di norme per la prevenzione dagli
infortuni non si può ascrivere al sindaco, anche se di un comune di modeste dimensioni, quale
organo politico, ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche, quando esse non si
riferiscono a carenze strutturali, addebitabili ai vertici dell'ente, e quando esista un apposito ufficio
tecnico, con relativo dirigente ad esso preposto, deputato ex lege alla vigilanza e controllo del
patrimonio immobiliare del comune. Sussisterà responsabilità per il sindaco solo se risulti che
questi fosse a conoscenza della situazione antigiuridica, e ciò nondimeno abbia omesso di
intervenire, con i suoi autonomi poteri, per porvi rimedio", e quella di Cass. pen., sez. III, 28 luglio
2000, per la quale "In materia di prevenzione infortuni ed igiene sul lavoro nell'ambito di un ente
pubblico territoriale, quale un comune, attesa la posizione di garanzia del sindaco - e degli
assessori - la delega di funzioni in favore di altri soggetti, quale il dirigente o il funzionario
preposto, assume valore, al fine di escludere la responsabilità in capo ai deleganti, solo ove gli
organi elettivi siano incolpevolmente estranei alle inadempienze del delegato, e non siano neppure
stati informati di tali inadempienze, così da escludere un atteggiamento di inerzia e di colpevole
tolleranza". Più recentemente la Corte di Cassazione è intervenuta nuovamente sul tema (Cass.
pen., sez. III, 15 gennaio 2001), affermando che "In tema di norme per la prevenzione dagli
infortuni, non si può ascrivere al dirigente ogni violazione di specifiche norme antinfortunistiche
atteso che, sebbene l'art. 2, lett. b), seconda parte, D.Lgs. n. 626/1994, individua la nozione di
datore di lavoro pubblico nel dirigente al quale spettano i poteri di gestione, l'art. 4, comma 12,
D.Lgs. citato ribadisce il principio fondamentale in materia di delega di funzioni secondo cui, attesa
la posizione di garanzia assunta dal sindaco e dagli assessori in materia di prevenzione, la delega
in favore del dirigente assume valore solo ove gli organi elettivi e politici siano incolpevolmente
estranei alle inadempienze del delegato e non siano stati informati, assumendo un atteggiamento
di inerzia e di colpevole tolleranza. (Nella specie la Corte ha ritenuto corretta la decisione dei
giudici di merito i quali avevano affermato, oltre quella del dirigente che non si era avvalso dei
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dipendenti comunali per effettuare le opere minimali necessarie, anche la responsabilità penale del
sindaco il quale, messo a conoscenza delle violazioni esistenti e delle misure da adottare, non
aveva provveduto a richiedere le necessarie variazioni in bilancio per una partita relativa a poche
opere provvisionali e neppure azionato i poteri di impegnativa di spese del cd. fondo di riserva)".
Sono conformi le pronunce di Cass. pen., sez. III, 7 agosto 2001, di Cass. pen., sez. III, 20
febbraio 2002, e di Cass. pen., sez. III, 9 gennaio 2003.
Oltre a condotte di colpevole inerzia rispetto a situazioni antigiuridiche conosciute o conoscibili, la
responsabilità degli organi di governo degli enti pubblici può trovare giuridico fondamento in
condotte di ingerenza nelle aree esposte alla sanzione penale. L'ingerenza quale meccanismo di
autoassunzione di responsabilità è un fenomeno noto nel campo della responsabilità colposa,
giacché uno dei requisiti di efficacia della delega di funzioni è proprio il divieto di ingerenza (o
dovere di astensione) del delegante nell'attività oggetto di delega. Ma vi sono anche condotte di
autonoma ingerenza che prescindono pur essendo svincolate dallo schema della delega, producono
anch'esse il fenomeno giuridicamente rilevante della responsabilità cosiddetta "per assunzione".
In linea generale, l'area della responsabilità per assunzione è conseguente a una condotta di
volontaria e consapevole ingerenza in un'area funzionale esposta al profilo della responsabilità
penale e può comportare, con riguardo al tema trattato, il sorgere di responsabilità in capo
all'organo di indirizzo politico dell'ente pubblico, ogniqualvolta lo stesso assuma atti di contenuto
tecnico gestionale.
Sebbene la responsabilità "per assunzione" debba essere valutata con estremo rigore fattuale (si
veda per tutte la pronuncia di Cass. pen., sez. IV, 24 giugno 2000), nondimeno, nel diritto penale
del lavoro applicato agli enti pubblici, l'ingerenza dell'organo di indirizzo politico è tendenzialmente
un fattore per l'imputazione al medesimo della responsabilità penale.
E' così che si può conclusivamente affermare che l'esame dell'assetto gestionale delle
amministrazioni pubbliche, con particolare riferimento agli enti locali, induce alla doverosa "presa
d'atto" che la separazione tra potere politico e potere gestionale, con l'attribuzione ai dirigenti
pubblici di tutti i compiti di attuazione degli obiettivi e dei programmi definiti con gli atti adottati
dagli organi di governo e di indirizzo politico, è stata ormai portata a compimento, ed è divenuta
principio informatore di tutta l'organizzazione e l'azione delle amministrazioni pubbliche, al fine di
consentire a tutti gli enti, indipendentemente dalle dimensioni, di "gestire in modo flessibile", come
ha affermato la circolare del Ministero dell'Interno n. 1/1997, "in relazione alle proprie peculiarità e
caratteristiche, il modello organizzatorio di cui hanno deciso di dotarsi".
Cassazione penale, sez. III, (ud. 19 aprile 2007) 12 giugno 2007, n. 22843
A seguito della riforma delle autonomie locali operata da ultimo con il D.Lgs. n.
267/2000, con cui si è separata la funzione politica da quella amministrativa, il
soggetto tenuto a disporre le misure richieste dalla legge per l'igiene e la sicurezza dei
luoghi di lavoro non è più il sindaco ma il dirigente dei singoli settori. Agli organi politici
compete il compito di stabilire gli obiettivi da raggiungere e di stanziare le relative
risorse mentre la responsabilità della gestione spetta ai dirigenti dei singoli settori
aventi autonomia finanziaria e gestionale. Una responsabilità penale del sindaco può
configurarsi o per la mancata predisposizione delle relative risorse, essendo quello della
sicurezza un'esigenza prioritaria, ovvero qualora risulti che fosse a conoscenza della
situazione antigiuridica ed abbia omesso di provvedere senza giustificazione.
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Casi pratici
 Ambiente
 Art. 3 DM 16 Marzo 1998
D. Abbiamo uno stabilimento classificato a rischio di inciedente rilevante per la presenza di un
reparto galvanica. La domanda è la seguente: l'art. 3 del DM 16/3/1998 si applica a TUTTO il
personale di sito o SOLO a quello del reparto dove si svolge l'attività considerata a rischio di
incidente rilevante (bagni di Cromo VI con quantitativi tra le 5 e le 7 ton - quindi con solo obbligo
di notifica), considerando il fatto che la scheda di valutazione RIR ha dimostrato che il rischio
eventuale non "esce" dal reparto?
----R. Una valutazione in termini di adeguatezza ed efficacia prevenzionale dell'attività informativa
renderebbe plausibile un'interpretazione "estensiva" del disposto normativo intesa a finalizzare
l'attività di informazione esclusivamente ai lavoratori del singolo reparto ove si svolge l'attività
considerata a rischio di incidente rilevante (bagni di Cromo VI con quantitativi tra le 5 e le 7 ton quindi con solo obbligo di notifica), anche in considerazione della giusta osservazione che la scheda
di valutazione RIR ha dimostrato che il rischio eventuale non è presente al di fuori del reparto. Da
una lettura testuale dell'articolo 3 del D.M. 16 marzo 1998 non può non ricavarsi, tuttavia, la
diversa indicazione in base alla quale è obbligo del fabbricante quello (comma 1) di informare
ciascun lavoratore (e non ogni lavoratore esposto) sui rischi di incidente rilevante e sulle misure
atte a prevenirli o limitarne le conseguenze per l'uomo e per l'ambiente. Dello stesso tenore il
comma successivo, che impone al fabbricante di assicurarsi che l'informazione sia fornita in modo
comprensibile ed esaustivo a ciascun lavoratore (e non ogni lavoratore esposto), anche con
riguardo ad eventuali specifiche esigenze, ricorrendo alle forme di comunicazione più adeguate. A
supporto di tale interpretazione "restrittiva" si fa notare come il legislatore, quando ha inteso
restringere la portata degli obblighi formativi, lo ha chiaramente evidenziato nelle norme. Con
riferimento, a puro titolo di esempio, all'uso delle attrezzature di lavoro, l'art. 73 del D.Lgs 81/08
prevede infatti che, per ogni attrezzatura di lavoro messa a disposizione, i singoli lavoratori
incaricati dell'uso dispongano di ogni necessaria informazione e istruzione e ricevano una
formazione e un addestramento adeguati in rapporto alla sicurezza. Ed ancora, in relazione alla
normativa a tutela dell'esposizione dagli agenti fisici, l'art. 184 del medesimo decreto impone al
datore di lavoro di erogare opportuna formazione e informazione unicamente ai lavoratori esposti a
rischi sul luogo di lavoro. Per evidenti esigenze cautelative nei confronti di eventuali "rigidità" nei
comportamenti o nelle interpretazioni degli organi di controllo, si consiglia, quindi, di estendere
l'attività informativa a tutto il personale del sito.
(Pierpaolo Masciocchi Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 5.4.2011)
 Appalti
 Filiera delle imprese estesa ai fornitori
D. Sono un appaltatore che ha vinto una gara pubblica e per la sua realizzazione impiega anche
subappalti e subaffidamenti (Dlgs 163/2006), che rientrano chiaramente nella filiera. Inoltre,
compro con ordini di acquisto (oppure direttamente online) prodotti meccanici, elettronici,
informatici, hardware e software, tutti compresi nell'appalto e necessari alla sua realizzazione.
L’acquisto avviene da normali fornitori (ad esempio distributore informatico, grossista
elettrico).Questi fornitori fanno parte della filiera di cui alla legge 136/2010 e sono da considerare
"subcontraenti"?
----R. La risposta è affermativa. Infatti, con riguardo alle disposizioni della legge 163/10, la successiva
legge 217/10, all’articolo 6, comma 3, ha fornito un’interpretazione autentica dell’espressione
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«filiera delle imprese», precisando che la stessa si intende riferita ai subappalti come definiti
dall'articolo 118, comma 11, del Dlgs 163/06 (Codice dei contratti pubblici), nonché ai subcontratti
stipulati per l'esecuzione, anche non esclusiva, del contratto. Il legislatore ha inteso assicurare la
tracciabilità dei pagamenti riguardanti tutti i soggetti in qualche misura coinvolti nella esecuzione
della prestazione principale oggetto del contratto, nel senso che si deve tenere in considerazione
non tanto il grado di affidamento o subaffidamento, bensì la tipologia di affidamento (subappalto o
subcontratto necessario a qualsiasi titolo per l’esecuzione del contratto principale), a prescindere
dal livello al quale lo stesso è effettuato. Pertanto, la tracciabilità dei flussi finanziari deve essere
ricondotta sia ai rapporti derivanti dai contratti di subappalto propriamente intesi, sia ai rapporti
connessi ai subcontratti “assimilati” ai subappalti ai sensi dell’articolo 118, comma 11, prima parte,
del Codice (con il termine “subcontratti” si intende l’insieme più ampio dei contratti derivati
dall’appalto, ancorché non qualificabili come subappalti. In tale norma il termine subcontratto è
usato come contratto derivato, non qualificabile come subappalto, bensì soggetto a comunicazione
nei confronti del committente).A titolo esemplificativo, per gli appalti di lavori, possono essere
compresi: noli a caldo, noli a freddo, forniture di ferro, forniture di calcestruzzo/cemento, forniture
di inerti, trasporti, scavo e movimento terra, smaltimento terra e rifiuti, espropri, guardiania,
mensa di cantiere, pulizie di cantiere; per gli appalti di servizi, possono essere annoverati gli
acquisti di macchinari e di hardware e software occorrenti per l’espletamento dei servizi stessi,
senza, ovviamente arrivare fino al produttore dei menzionati beni, essendo sufficiente fermare la
“filiera” ai distributori e ai grossisti. Per quanto concerne gli operatori economici soggetti agli
obblighi di tracciabilità, non assumono rilevanza né la forma giuridica (ad esempio, società pubblica
o privata, organismi di diritto pubblico, imprenditori individuali, professionisti) né il tipo di attività
svolta.
(Maceroni - Associazione verso l'Europa Mario, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 11.4.2011)
 Le responsabilità fiscali in materia di Ati
D. Recentemente la Cassazione, con sentenza 6791/2009, ha chiarito che le Ati (associazioni
temporanee di imprese) non sono mai soggetti tributari autonomi, indipendentemente dal fatto che
esse siano strutture orizzontali o verticali. Nel mio caso la Prefettura e l’agenzia del Demanio,
nell’ambito del cosiddetto "custode acquirente", vogliono imporci la fatturazione unica della
capogruppo, contrariamente a quanto stabilito nell’atto costitutivo dell’ Ati stessa. Se
l’interpretazione dell’articolo 37 del Dlgs 163/2006 è quella stabilita nella sentenza in parola perché
le stazioni appaltanti non recepiscono tale linea? E, soprattutto, la mandataria andrà incontro a
problemi fiscali legati a fatturazioni che non generano utili (studi di settore)? Inoltre, le mandanti
non potranno utilizzare il diritto all’esigibilità differita dell’ Iva, poiché non vengono considerate
contraenti con la Pa, anche se nel contratto il custode acquirente è definito dall’elenco di tutte le
ditte.
----R. È costante giurisprudenza della Corte di cassazione che l’associazione temporanea di due o più
imprese (Ati), nell’esecuzione di un contratto di appalto con la pubblica amministrazione o altri
soggetti tenuti all’osservanza delle norme pubblicistiche per la scelta del contraente, è fondata su
un rapporto di mandato con rappresentanza, gratuito ed irrevocabile, conferito da una o più
imprese, collettivamente, ad altra impresa capogruppo legittimata a compiere, nei rapporti con
l’amministrazione, ogni attività giuridica connessa o dipendente dall’appalto e produttiva di effetti
giuridici direttamente nei confronti delle imprese mandanti sino all’estinzione del rapporto, salva
restando l’autonomia negoziale delle imprese riunite per quanto concerne la gestione delle
prestazioni a ciascuna di esse affidate ed i rapporti con i terzi (con riguardo, in particolare, agli
adempimenti fiscali ed agli oneri sociali). È, altresì, unanime il giudizio degli interpreti circa la
necessità che la fatturazione nei confronti del soggetto appaltante in caso di Ati avvenga “proquota” da parte delle imprese associate. E ciò sulla base della evidente considerazione che la
partecipazione in Ati al contratto non determina la costituzione di un soggetto nuovo che si
sostituisce alle singole imprese raggruppate (si veda Corte dei conti, sezione controllo Stato,
66/91).Ad analoghe conclusioni è pervenuto, peraltro, anche il ministero delle Finanze che, con
diverse risoluzioni succedutesi negli anni, ha segnalato l’obbligo di fatturazione diretta alla stazione
appaltante da parte delle singole imprese costituenti l’ Ati, relativamente alla propria quota di
prestazioni eseguite. Pertanto, correttamente, ogni liquidazione deve essere corredata dalle fatture
delle imprese – intestate al soggetto appaltante – che hanno contribuito alla contabilizzazione del
relativo importo contrattuale, parziale o a saldo (si veda la risoluzione Finanze 530742/92). Ogni
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pagamento connesso al rapporto (stato avanzamento lavori, canoni del servizio, parte della
fornitura, a seconda del tipo di appalto), andrà effettuato esclusivamente a mani della impresa
capogruppo, risultando illegittima ogni diversa modalità operativa (per esempio pagamento proquota alle singole mandanti).Come sostenuto dal supremo giudice contabile già nel 1990,
l’avvenuto conferimento in capo al mandatario di rappresentanza esclusiva nei confronti del
soggetto appaltante fino all’estinzione del rapporto, ha quale conseguenza logica, ancor prima che
giuridica, che ogni pagamento a favore dell’ Ati debba necessariamente avvenire a mani della
capogruppo (si veda deliberazione Corte dei conti, sezione controllo Stato, n. 32/90).Si fa, inoltre,
osservare che con la menzionata deliberazione è stato, altresì, rilevato che non può assolutamente
ipotizzarsi una fatturazione da parte della sola capogruppo, perché ciò potrebbe integrare gli
estremi di un negozio simulato o in frode alla legge.
(Maceroni - Associazione verso l'Europa Mario, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 11.4.2011)

Contributi in sede di gara, le FAQ dell'Authority
Riportiamo le FAQ sui Contributi in sede di gara, pubblicate dall'Autorità di vigilanza sui
contratti pubblici, di lavori, servizi e forniture sul proprio sito Internet www.avcp.it.
D. 1. Le stazioni appaltanti possono accettare il versamento del contributo mediante modalità
difformi da quelle previste nelle istruzioni relative alle contribuzioni dovute?
----R. No. La stazione appaltante deve indicare nell'avviso pubblico, nella lettera di invito o nella
richiesta di offerta comunque denominata che il versamento della contribuzione sia effettuato
esclusivamente secondo le modalità stabilite dall'Autorità, inserendo un rimando alle istruzioni
operative in vigore pubblicate all'indirizzo
http://www.avcp.it/portal/public/classic/home/riscossione.
Qualora l'operatore economico, che partecipa alla procedura di scelta del contraente, attesti di aver
effettuato il pagamento, per mero errore, mediante una modalità diversa da quella richiesta
dall'Autorità, la stazione appaltante, ai fini dell'ammissione del concorrente, deve richiedere che
venga effettuato un nuovo versamento con una delle modalità ammesse, ferma restando la
possibilità per l'operatore economico di richiedere all'Autorità la restituzione di quanto già versato.
D. 2. Entro quale termine le stazioni appaltanti debbono eseguire il pagamento?
----R. Le stazioni appaltanti devono eseguire il pagamento entro la data riportata nel bollettino MAV
emesso dall'Autorità con cadenza quadrimestrale.
D. 3. Come posso modificare il mio profilo nell'anagrafe dell'Autorità?
----R. Per modificare il proprio profilo presso il sistema di anagrafe, si deve accedere all'indirizzo
http://anagrafe.avcp.it con le proprie credenziali.
Nel menu principale selezionare la voce “Gestione stazioni appaltanti” e inserire il codice fiscale
della stazione appaltante di riferimento.
Il servizio proporrà un elenco delle stazioni appaltanti corrispondenti al codice fiscale inserito.
Cliccando sul nome della stazione appaltante di interesse è possibile proseguire modificando i
propri profili di utenza e confermando le modifiche.
D. 4. Come deve comportarsi la stazione appaltante che ometta di richiedere e/o di indicare il CIG
sull'avviso pubblico, lettera d'invito ecc.?
----R. La stazione appaltante deve procedere a pubblicare un avviso di rettifica.
D. 5. Le cooperative sociali, in quanto soggetti ONLUS di diritto esentati, ai sensi dell'art. 17 del.
D.Lgs. 460/1997, dall'obbligo del pagamento dell'imposta di bollo, sono esonerate anche dal
pagamento del contributo all'Autorità previsto nella deliberazione del 3 novembre 2010?
----R. No, perché il versamento della contribuzione è condizione per poter partecipare alla procedura
di scelta del contraente e, quindi, presentare la relativa offerta.
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D. 6. Gli Enti pubblici che partecipano a procedure di scelta del contraente indette dai soggetti di
cui agli artt. 32 e 207 del D.Lgs. 163 del 12 aprile 2006 sono tenuti al pagamento del contributo?
----R. Sì, gli Enti pubblici che partecipano a una gara per l'affidamento di un appalto pubblico di lavori,
servizi o forniture sono a tutti gli effetti operatori economici e debbono versare il contributo
all'Autorità.
D. 7. La stazione appaltante deve richiedere un CIG anche quando deve stipulare un contratto di
sponsorizzazione?
----R. Sì, la stazione appaltante deve richiedere il CIG. Il contratto di sponsorizzazione è soggetto al
contributo, poiché il Codice prevede, all'art. 26, comma 1, l'applicazione dei principi del Trattato
per il relativo affidamento.
L'Autorità, pertanto, è tenuta a vigilare anche su questo genere di affidamenti non rientrando gli
stessi fra quelli esclusi espressamente dal legislatore.
D. 8. Se la stazione appaltante è un organismo nazionale operante all'estero, cioè bandisce una
procedura di affidamento da espletare in un Paese estero (quale USA, Giappone, Cina, Sud
America), sussiste l'obbligo del versamento del contributo?
----R. Sì, in quanto il presupposto giustificativo in ragione del quale un soggetto, pubblico o privato, è
obbligato a richiedere il CIG e a versare il contributo è la sua riconduzione o meno ai soggetti
elencati dall'art. 1 della delib. 3 novembre 2010, che ricadono quindi sotto la vigilanza dell'Autorità.
Di conseguenza, la circostanza che le prestazioni oggetto della procedura di selezione siano da
effettuare su un mercato estero, non esime dalla richiesta del CIG e dal pagamento della
contribuzione né la stazione appaltante italiana né gli operatori economici italiani ed esteri
partecipanti alla procedura stessa, ove la norma applicata sia il D.Lgs. 163/2006.
D. 9. Se un operatore economico italiano partecipa a una procedura di selezione attivata da una
stazione appaltante estera deve versare la contribuzione?
----R. No, se un operatore economico italiano partecipa a una procedura di selezione attivata da una
stazione appaltante estera non deve versare la contribuzione.
10. Come ci si deve comportare nel caso in cui l'operatore economico non sia italiano?
Tutti gli operatori economici, italiani o stranieri, sono tenuti al versamento del contributo nel caso
di procedure di scelta del contraente disciplinate dal D.Lgs. 163/2006.
D. 11. Le SOA possono eseguire il versamento del contributo successivamente al termine previsto
dall'art. 5, comma 3, della delib. 3 novembre 2010? Possono rateizzare il pagamento dell'importo
dovuto?
----R. Le SOA hanno facoltà di richiedere la rateizzazione del contributo utilizzando il modello facsimile di richiesta.
D. 12. Il contributo deve essere versato anche per contratti affidati in economia?
----R. Sì. Il contributo deve essere versato nella misura stabilita dall'art. 4 della delib. 3 novembre
2010 in funzione all'importo posto a base di gara.
D. 13. Negli appalti di lavori a cosa si riferisce l'importo a base di gara: all'importo delle lavorazioni
più l'importo per l'attuazione dei piani di sicurezza oppure all'importo complessivo del quadro
economico dell'intervento?
----R. L'importo a base di gara deve intendersi comprensivo degli oneri della sicurezza.
D. 14. Ai fini dell'individuazione della soglia va tenuto conto dell'IVA?
----R. No. L'importo a base di gara è sempre da intendersi al netto dell'IVA.
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D. 15. Se nel bando di gara non è espressamente richiesto il versamento del contributo, i soggetti
di cui all'art. 2, lett. b) della deliberazione sono ugualmente tenuti a tale versamento?
----R. Sì, i soggetti di cui all'art. 2, lett. b) sono tenuti al pagamento del contributo a prescindere dal
fatto che nel bando di gara o nella lettera di invito sia espressamente richiamato tale obbligo. Per
gli operatori economici la dimostrazione dell'avvenuto pagamento è condizione per essere ammessi
a presentare l'offerta.
D. 16. In caso di procedure ristrette, in quale fase l'operatore economico deve pagare il contributo:
nella fase di richiesta di partecipazione o in quella di partecipazione alla gara con la produzione
dell'offerta?
----R. L'operatore economico deve dimostrare l'avvenuto pagamento soltanto in fase di presentazione
dell'offerta, in quanto tale attestazione è condizione necessaria per l'ammissibilità dell'offerta,
come indicato al punto 3.2 delle istruzioni operative.
D. 17. Il contributo deve essere previsto nel quadro economico dell'intervento?
----R. Ai fini dell'adempimento delle prescrizioni di cui alla delib. 3 novembre 2010 è ininfluente la
collocazione finanziaria del contributo.
D. 18. Su chi ricade l'obbligo di contribuzione in caso di ATI?
----R. Nel caso di ATI costituita il versamento è unico ed è effettuato dalla capogruppo. Anche nel caso
di ATI non ancora costituita il versamento è unico in quanto l'offerta è unica, sottoscritta da tutte le
imprese che costituiscono l'ATI; l'offerta contiene l'impegno che, in caso di aggiudicazione, le
imprese conferiranno mandato a una di esse, qualificata come capogruppo: il pagamento è
eseguito da quest'ultima.
D. 19. In caso di consorzio di imprese, chi deve eseguire il versamento del contributo?
----R. In caso di consorzio stabile, il versamento deve essere eseguito dal consorzio, quale unico
soggetto interlocutore della stazione appaltante, anche qualora faccia eseguire le prestazioni
tramite affidamento alle imprese consorziate. In caso di consorzio ordinario, si applica quanto
previsto in caso di ATI.
D. 20. È ammessa per gli operatori economici l'integrazione dell'importo del versamento
successivamente all'invio dell'offerta?
----R. Se i termini per l'invio dell'offerta non sono ancora decorsi, l'operatore economico può eseguire
un nuovo versamento per l'intera somma dell'importo corretto dandone evidenza alla stazione
appaltante e, successivamente, richiedere il rimborso dell'importo inferiore erroneamente versato.
Laddove, invece, i termini per la presentazione dell'offerta siano già decorsi, l'operatore economico
non è ammesso alla gara e non ha diritto a rimborso.
D. 21. Il contributo deve essere versato anche per le procedure di affidamento o acquisto con ditte
esclusiviste?
----R. Sì, a esclusione delle fattispecie di esclusione indicate nelle istruzioni operative.
D. 22. Come deve essere calcolato l'importo del contributo se non è previsto un importo presunto o
una base d'asta?
----R. Gli operatori economici e le stazioni appaltanti calcolano il contributo in ragione dell'importo
massimo previsto dalla delib. 3 novembre 2010 dell'Autorità.
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D. 23. Nel caso di procedura negoziata conseguente a gara risultata deserta è obbligatorio chiedere
un nuovo CIG e procedere al pagamento del contributo nuovamente?
----R. Sì, poiché trattasi di una nuova procedura di scelta del contraente.
D. 24. Se nel bando di gara per un servizio o una fornitura è previsto un periodo di 24 mesi e
l'importo presunto posto a base di gara è espresso su base annuale, quale importo va considerato
per il calcolo del contributo da versare all'Autorità?
----R. Deve essere preso in considerazione il valore complessivo dell'affidamento: ai fini del
versamento del contributo si dovrà quindi calcolare l'importo totale presunto, per tutto il periodo
dell'affidamento, effettuando le opportune proporzioni per ricondurre all'intera durata del contratto
l'importo parziale posto a base di gara.
D. 25. Le proroghe di contratti o convenzioni esistenti sono sottoposte al pagamento di un nuovo
contributo, ove venga stipulato un nuovo contratto?
----R. Solo il rinnovo dà vita a un contratto che può considerarsi “nuovo” e, quindi, è obbligatorio il
pagamento della contribuzione.
La proroga, invece, sposta in avanti il solo termine di scadenza del rapporto, che resta regolato dal
contratto o convenzione accessiva all'atto di affidamento.
In tal caso, nei limiti di ammissibilità di proroghe secondo la normativa vigente (molto ristretti), il
pagamento di un nuovo contributo non è dovuto.
D. 26. Qual è la procedura per ottenere il rimborso dell'importo versato ma non dovuto?
----R. La richiesta motivata per la restituzione della contribuzione deve essere effettuata dai singoli
partecipanti, nonché dalla stazione appaltante, tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la
vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza,
via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia del versamento effettuato. Nella richiesta di
rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o postale sul quale
accreditare il rimborso.
D. 27. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di annullamento del bando?
----R. Per la stazione appaltante, non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato
ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o
all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa.
Per gli operatori economici è ammesso il rimborso. Per ottenere il rimborso è necessario presentare
domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di
lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma
- allegando la copia del versamento effettuato e l'avviso di annullamento del bando.
Nella richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o
postale sul quale accreditare il rimborso.
D. 28. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di annullamento della gara?
----R. Per la stazione appaltante non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato
ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o
all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. Per gli
operatori economici non è ammesso rimborso; il versamento è condizione per essere ammessi a
presentare l'offerta, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa.
D. 29. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di gara deserta o senza esito?
----R. Per la stazione appaltante non è ammesso rimborso: il contributo deve essere versato
ogniqualvolta venga avviata una procedura finalizzata alla realizzazione di un lavoro pubblico o
all'acquisizione di beni e servizi, indipendentemente dal buon esito della procedura stessa. Non si
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procede al rimborso all'operatore economico che abbia partecipato alla gara, in quanto il
versamento è condizione per essere ammessi a presentare l'offerta.
D. 30. È possibile richiedere il rimborso per un pagamento superiore?
----R. È previsto il rimborso sia per la stazione appaltante sia per gli operatori economici; per ottenere
il rimborso è necessario presentare domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e
finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia del versamento effettuato. Nella
richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o
postale sul quale accreditare il rimborso.
D. 31. È possibile richiedere il rimborso per un pagamento effettuato per errore due volte?
----R. È previsto il rimborso sia per la stazione appaltante sia per gli operatori economici; per ottenere
il rimborso è necessario presentare domanda motivata tramite fax (n. 06.36723289) all'Autorità
per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture - Direzione generale contabilità e
finanza, via di Ripetta 246, 00186 Roma - allegando la copia dei due versamenti effettuati. Nella
richiesta di rimborso devono essere indicate le coordinate in formato IBAN del c/c bancario o
postale sul quale accreditare il rimborso.
D. 32. È possibile richiedere il rimborso del contributo in caso di mancata partecipazione alla gara?
----R. No, non si dà luogo al rimborso della contribuzione agli operatori economici che decidono di non
partecipare alla gara.
D. 33. Stiamo avviando una procedura per l'acquisizione di beni e/o servizi con importo
complessivo posto a base di gara inferiore a € 40.000. Siamo tenuti a registrare la gara?
----R. Sì, la stazione appaltante è tenuta a registrare la gara sul sistema Simog ai fini degli obblighi
sulla tracciabilità dei flussi finanziari (ex art. 3, legge 136 del 13 agosto 2010, come modificato dal
D.L. 187 del 12 novembre 2010 convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 217 del 17
dicembre 2010), ma non è tenuta al versamento della contribuzione.
D. 34. Abbiamo avviato una procedura non articolata in lotti e abbiamo già ottenuto il “numero
gara” dal sistema Simog: siamo comunque obbligati a richiedere il CIG?
----R. Sì, la stazione appaltante è tenuta a richiedere il CIG.
Il Sole 24 ORE - Consulente Immobiliare aprile 2011 - n. 881 - p. 647
 Edilizia e urbanistica
 Opere senza titolo: il comune deve sanzionare
D. In data 24 settembre 2008 è stato segnalato al Comune un presunto abuso edilizio su proprietà
privata di uso pubblico, che ha danneggiato la mia attività. Dopo l'accertamento mi è stato
comunicato che effettivamente sono stati accertati l'abuso edilizio e la posa in opera del manufatto
su un'area destinata a uso pubblico; pertanto, potevo procedere alla tutela dei miei interessi. Alla
data odierna il Comune, nonostante l'accertamento, non ha preso alcun provvedimento,
privandomi di fatto della possibilità di eventuali rivalse. Considerato che allo stato attuale non
risultano condoni, desidero sapere se il Comune, una volta accertato l'illecito, è obbligato a
sanzionare, ed entro quanto tempo deve prendere provvedimenti.
----R. L’articolo 27 del Dpr 380/2001 “ Testo unico edilizia”, stabilisce che il dirigente o il responsabile
del competente ufficio comunale, quando accerti l’inizio o l’esecuzione di opere eseguite senza
titolo su aree assoggettate a vincolo di inedificabilità o destinate a opere e spazi pubblici o a
interventi di edilizia residenziale pubblica, nonché in tutti i casi di difformità dalle norme
urbanistiche e dalle prescrizioni degli strumenti urbanistici, provvede alla demolizione e al ripristino
dello stato dei luoghi (comma 1). Qualora sia constatata dai competenti uffici comunali, d’ufficio o
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su denuncia dei cittadini, l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità di cui al comma 1, il
dirigente o responsabile dell’ufficio ordina l’immediata sospensione dei lavori (comma 3).A seguito
dell’accertamento di irregolarità edilizie, quindi, il Comune è obbligato ad adottare provvedimenti
cautelari e sanzionatori, sia quando l’accertamento sia avvenuto d’ufficio, sia quando segua alle
richieste di privati titolari di un interesse “qualificato” con l’area interessata dall’abuso, come, ad
esempio, il proprietario limitrofo (Consiglio di Stato, sezione V, 19 febbraio 2004, n. 677; 7
novembre 2003, n. 7132; 21 ottobre 2003, n. 6351).Il proprietario dell’area limitrofa a quella su
cui è stata realizzata l’opera abusiva può mettere in mora l’amministrazione e comunque, in caso di
ulteriore inattività, può impugnare davanti ai giudici amministrativi la mancata adozione di misure
sanzionatorie da parte del Comune e quindi il silenzio-inadempimento così formalizzato ai sensi
dell’articolo 21-bis della legge 1034/1971 e ora dell’articolo 31 del Dlgs 104/2010 "codice del
processo amministrativo" (si veda anche Tar Lazio, Roma, sezione I-quater, 18 novembre 2005, n.
11579).Si ricorda che, mentre la sanzione pecuniaria si prescrive in cinque anni ai sensi della legge
689/1981, la sanzione demolitoria non si prescrive e quindi il potere repressivo del Comune non si
estingue per decorso del tempo, potendo essere esercitato anche a distanza di tempo dalla
violazione (Consiglio di Stato sezione V, 24 marzo 1998, n. 345; sezione VI, 19 ottobre 1995, n.
1162; sezione V, 1º marzo 1993, n. 308).
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 La sanatoria catastale non copre gli abusi edilizi
D. Per poter realizzare la vendita di un immobile nel quale anni fa un piccolissimo stanzino con
finestra è stato trasformato in bagno di servizio, è necessaria la sanatoria catastale con pagamento
delle sanzioni previste dalla legge (da circa 500 a 5.000 euro)? La sola sanatoria catastale
consente la stipula del rogito o questa deve necessariamente essere accompagnata dalla
sistemazione della posizione anche nei confronti del Comune (per i profili urbanistici ed edilizi)?
----R. La sanatoria catastale ha l'unico fine di regolarizzare l'immobile dal punto di vista fiscale e non
ha alcun effetto sanante degli eventuali abusi edilizi. Nella fattispecie, essendo stato ricavato un
bagno in una volumetria esistente destinata a stanzino, la regolarizzazione edilizia potrebbe essere
conseguita con il pagamento della sanzione pecuniaria, ai sensi dell'articolo 37 del Testo unico
edilizia, Dpr 380/2001, per assenza di Dia (denuncia inizio attività, oggi Scia, segnalazione
certificata inizio attività) relativa a un intervento di manutenzione straordinaria o di opere interne.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 Barriere architettoniche: i criteri da adottare
D. Ai fini della realizzazione di cinque villette unifamiliari – composte da piano interrato, piano terra
e primo piano, senza parti comuni a esclusione di copertura e muratura di divisione – quali sono i
criteri generali per la progettazione in tema di barriere architettoniche?Deve essere soddisfatta la
sola adattabilità o anche la visitabilità?
----R. La disciplina relativa alle barriere architettoniche è contenuta a livello nazionale nella legge
13/1989, così come modificata dal Testo unico edilizia (Dpr 380/2001), con la quale sono stati
estesi al comparto privato obblighi e prescrizioni fino ad allora previsti solo per le opere pubbliche.
In particolare, la legge 13/1989 si riferisce agli edifici privati di nuova costruzione, agli edifici di
edilizia residenziale pubblica sovvenzionata ed agevolata di nuova costruzione, alla loro
ristrutturazione, ivi compresi gli spazi ad essi pertinenti, con l’obiettivo di garantire ai soggetti
portatori di handicap l’accesso alle parti comuni dello stabile e conseguentemente a quelle di
proprietà esclusiva. La legge, in linea generale, stabilisce quattro condizioni che comunque devono
essere rispettate nella progettazione, vale a dire:- accorgimenti tecnici idonei alla installazione di
meccanismi per l’accesso ai piani superiori ivi compresi i servoscala;- idonei accessi alle parti
comuni degli edifici e alle singole unità immobiliari;- almeno un accesso in piano;- l’installazione,
nel caso di immobili con più di tre livelli fuori terra, di un ascensore per ogni scala principale
raggiungibile mediante rampe prive di gradini. Per quanto riguarda, invece, le prescrizioni tecniche
da adottare, la legge rinvia al decreto ministeriale 236/1989, il quale definisce, in un’accezione
alquanto ampia, la nozione di barriera architettonica e delinea tre livelli qualitativi di progettazione
e costruzione, espressi attraverso i concetti di:- accessibilità, intesa come la possibilità anche per
persone con ridotta o impedita capacità motoria o sensoriale di raggiungere l'edificio e le sue
singole unità immobiliari e ambientali, di entrarvi agevolmente e di fruirne spazi e attrezzature in
condizioni di adeguata sicurezza e autonomia;- visitabilità, ossia la possibilità per tutti di accedere
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agli spazi di relazione e ad almeno un servizio igienico di ogni unità immobiliare;- adattabilità,
intesa come la possibilità di modificare nel tempo lo spazio costruito a costi limitati, allo scopo di
renderlo completamente e agevolmente fruibile. L’accessibilità esprime il più alto livello di qualità
dello spazio costruito, in quanto ne consente la totale fruizione nell’immediato e pertanto il decreto
ha previsto che questa debba essere garantita per gli spazi esterni e per le parti comuni, nonché
per il 5% degli alloggi previsti negli interventi di edilizia residenziale sovvenzionata, per gli
ambienti destinati ad attività sociali e per gli edifici sedi di aziende o imprese soggette alla
normativa sul collocamento obbligatorio. Al di fuori di tali ipotesi espressamente individuate dal
decreto, ciò che viene richiesto è che per ogni unità immobiliare sia soddisfatto il requisito della
visitabilità, il quale rappresenta un livello di accessibilità limitato ad una parte più o meno estesa
dell’edificio o dei singoli alloggi, al fine di assicurare ogni tipo di relazione fondamentale anche alla
persona con ridotte capacità motorie. Le condizioni prescritte per soddisfare tale requisito variano a
seconda della destinazione dell’unità immobiliare stessa; così, nel caso in cui questa sia sede di
riunioni, spettacoli o ristorazione, è necessario rendere visitabile una zona riservata al pubblico, un
servizio igienico, nonché garantire la fruibilità degli spazi di relazione e dei servizi previsti. Qualora,
invece, l’unità immobiliare sia sede di attività ricettive, è necessario rendere visitabili tutte le parti
e i servizi comuni, un determinato numero di stanze e zone destinate al soggiorno temporaneo. Al
contrario, negli edifici destinati alla residenza il requisito della visitabilità si intende soddisfatto se
sono accessibili il soggiorno o il locale per il pranzo, un servizio igienico e i relativi percorsi di
collegamento interni alle unità immobiliari, oltre ovviamente alle parti comuni dell’intero edificio.
(Massimo Ghiloni, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 La tutela paesaggistica e i possibili veti
D. Nel caso in cui il Comune di competenza si esprima con parere favorevole alla ristrutturazione
edilizia - ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera c) del Testo unico edilizia - di un fabbricato
ricadente in ambito territoriale sottoposto a tutela paesaggistica, la Provincia, delegata dalla
Regione, o la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici, prima di esprimere il parere
di propria competenza, possono entrare nel merito urbanistico, rinviando la pratica in quanto, a
loro avviso, l'intervento non è conforme allo strumento urbanistico (Prg) vigente?
----R. Trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia anche "pesante", il rinvio della pratica
può essere giustificato ad esempio dal fatto che la qualità dei materiali previsti e le caratteristiche
esteriori del nuovo manufatto siano tali da pregiudicare i valori estetici protetti. Di conseguenza,
anche se la ristrutturazione rispetta nel senso stretto l’articolo 10, comma 1, lettera c del Testo
unico per l’edilizia, tuttavia non è conforme al Prg.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 Realizzazione di lucernari sottoposta a regole locali
D. Una finestra di un locale che dà su un porticato (3,5 metri di profondità) subisce importanti
limitazioni ai fini del conteggio del coefficiente di illuminazione utile per il rapporto illuminante del
locale stesso. Si chiede se con la realizzazione - nel soffitto del portico, in corrispondenza della
finestra - di un ampio lucernario si possano far venire meno le suddette limitazioni. In caso di
risposta affermativa, le norme edilizie e urbanistiche prevedono parametri (superficie, distanze
dalla finestra, eccetera) relativi alle caratteristiche del lucernario da realizzare?
----R. La norma nazionale che regola il rapporto aeroilluminante è il Dm Sanità 5 luglio 1975, che
all’articolo 5 recita: « Tutti i locali degli alloggi, eccettuati quelli destinati a servizi igienici,
disimpegni, corridoi, vani-scala e ripostigli debbono fruire di illuminazione naturale diretta,
adeguata alla destinazione d'uso. Per ciascun locale d'abitazione, l'ampiezza della finestra deve
essere proporzionata in modo da assicurare un valore di fattore luce diurna medio non inferiore al
2%, e comunque la superficie finestrata apribile non dovrà essere inferiore a 1/8 della superficie
del pavimento».Oggi le competenze sono passate alle Regioni, per cui i valori cambiano da Comune
a Comune e quindi occorre fare riferimento al regolamento di igiene e al regolamento edilizio del
Comune in cui ricade l'immobile. Sicuramente la realizzazione della finestra nel soffitto del portico,
anche se non migliora il citato rapporto, riesce ad assicurare un fattore di luce diurna medio
maggiore e quindi tale da risultare non inferiore al 2% richiesto dalla normativa. Circa le
caratteristiche del lucernario non si ritiene ci siano particolari limiti normativi.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
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 Niente vendita libera di box costruiti come pertinenze
D. Il proprietario di un lotto di terreno ottiene l'autorizzazione a realizzare alcuni box-auto,
stipulando atto di obbligo con il Comune per la loro destinazione a pertinenze di abitazioni già
esistenti su lotti limitrofi. Alcuni proprietari, beneficiari dell'atto d'obbligo, non accettano l' offerta
per cui i box-auto a loro destinati restano invenduti.È possibile la loro libera commercializzazione?
È possibile un nuovo atto d'obbligo con il quale si estende la platea dei possibili acquirenti? Nelle
condizioni sopra indicate, quando si costituisce il vincolo di pertinenzialità tra box-auto e
abitazione?
----R. La risposta al primo quesito è negativa, in quanto l’alienazione separata dei box (posti auto)
dalle unità immobiliari di cui costituiscono pertinenza è sanzionata con la nullità dei relativi atti (ai
sensi del comma 5 dell’articolo 9 della legge 122/89).La risposta al secondo quesito è positiva, nel
senso che l’amministrazione comunale può accettare altri atti di vincolo di pertinenzialità esclusiva
e indivisibile dei box (posti auto) in oggetto a favore di unità immobiliari ubicate in edifici
circostanti l’area interessata dall’intervento e ricompresi, ad esempio, nel raggio di 500 metri. La
costituzione dello specifico vincolo pertinenziale tra i box-auto in questione e le singole unità
immobiliari sarà effettuata o mediante sottoscrizione di idoneo atto di vincolo di pertinenzialità
(relativo all’individuazione delle unità immobiliari cui “legare” le autorimesse) o in sede di stipula
dei singoli atti notarili di trasferimento degli stessi box (posti auto) e dovrà comunque risultare
mediante trascrizione presso la competente Conservatoria dei registri immobiliari; la trasmissione
di detti atti di regola dovrà essere effettuata, a cura delle parti, al Comune prima della richiesta del
certificato di agibilità.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 I paletti sulla regolarità dell'immobile ante 1967
D. Dovrei ristrutturare un immobile di costruzione antecedente al 1967, con concessione edilizia
del 1963, senza abitabilità. La casa è composta da due appartamenti che si sviluppano su due
piani. In Comune, però, dai disegni depositati all'epoca, risultano l'appartamento al primo piano e
solo un portico al piano terra invece dell'altro appartamento. In questo caso dobbiamo pagare al
Comune gli oneri e la multa anche se si tratta di una struttura che nasce così (e che non ha mai
subito modifiche) fin dal 1963?
----R. La legge di riferimento è la 47/85, ma da sola dice poco. Serve analizzarla nel contesto,
ricordando che fino al 1942 in Italia era possibile edificare sempre e comunque senza chiedere
licenze o permessi: era tutto legittimo. Con la legge 1150/42, invece, inizia ad essere disciplinata
la materia e si istituiscono licenze edilizie e permessi. A questa legge si susseguono vari
provvedimenti fino ad arrivare alla citata legge 47/85, che costituisce lo spartiacque tra vecchio e
nuovo sistema. Secondo la legge 47/85:- tutto ciò che è stato costruito prima del 1942 era e resta
legittimo a prescindere;- tutto ciò che è stato edificato prima del 1967, purché costruito con
regolare licenza (in mancanza della quale dava facoltà di condono), è da considerare legittimo,
indipendentemente dalla disposizione dei vani eccetera. Da lì in poi, oltre alla licenza edilizia, tutto
il costruito doveva rispondere ai vari requisiti di legge (salva, appunto, la possibilità di condonare
in deroga).Di conseguenza l'immobile del lettore, costruito così prima del 1° settembre 1967, è in
regola anche se difforme dal progetto autorizzato in quanto la legge 47/85 legittima soltanto lo
stato originario. Perciò, non ci sono "multe" da pagare. Ovviamente, con la ristrutturazione ci si
deve adeguare alla normativa vigente.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)
 Per i pannelli fotovoltaici non c'è sopraelevazione
D. Sul lastrico solare di edifici privati occorre realizzare pergole fotovoltaiche per la installazione di
pannelli fotovoltaici. L’incidenza dei carichi di simili impianti è molto modesta (circa 20-30 kg/mq).
Funzionari della Provincia-Genio civile asseriscono che bisogna considerare l’intervento come una
sopraelevazione, imponendo con ciò verifiche sismico-statiche estese all’intero edificio. La Regione
Puglia sarebbe invece del parere di procedere alla verifica locale di parti o elementi strutturali,
perché non ritiene tale intervento una vera e propria sopraelevazione, giuste disposizioni di cui al
capo VIII del Dm 14 gennaio 2008 punto 8.4.1 lettera c) e relativa circolare punto c.8.3.Qual è
l’interpretazione più corretta?
----UNITELNews24
101
R. Si premette che la risposta certa può essere data solo dal Consiglio superiore dei Lavori pubblici,
che ha redatto la normativa sismica e a cui si può porre il quesito. Si osservi comunque che
l’installazione dei pannelli fotovoltaici, ai sensi del punto 8.2 del Dm/2008, rientra tra gli interventi
non dichiaratamente strutturali (impiantistici), mentre è da escludere la loro classificazione come
“sopraelevazione”.Infatti, da un punto di vista sismico l’intervento comporta in pratica una leggera
o addirittura leggerissima variazione in altezza dell’edificio con un incremento delle masse
trascurabile nella quasi totalità dei casi e, inoltre, in base al punto 8.4.1 del Dm/08:- non cambia il
numero dei piani;- non si ha ampliamento;- non si apportano variazioni di classe e/o di
destinazione d’uso che comportino incrementi dei carichi globali in fondazione superiori al 10 per
cento. Resta comunque fermo l’obbligo di procedere alla verifica locale delle singole parti e/o
elementi della struttura, anche se interessano porzioni limitate della costruzione.
(Vincenzo Petrone, Il Sole 24 ORE L'Esperto Risponde 18.4.2011)

Detrazione irpef del 36% – vendita dell’unità immobiliare oggetto di intervento
edilizio
D. Nell’anno 2005 abbiamo effettuato degli interventi di ristrutturazione sulla nostra abitazione
beneficiando della detrazione fiscale del 36%. Ora sarebbe intenzione mia e di mia moglie cedere
tale appartamento e procedere ad acquistarne uno più grande. Poiché la detrazione va suddivisa in
10 rate annuali, si chiede se sia possibile vendere l’unita immobiliare e mantenere il diritto a
detrarre anche le restanti rate negli anni successivi, oppure se le stesse vadano perse in quanto
non si è più nella disponibilità del bene oggetto di intervento.
----R. In primo luogo si osserva che la detrazione Irpef del 36% sulle ristrutturazioni edilizie è stata
prorogata per gli anni 2008, 2009, 2010, 2011 ed ora anche per il 2012 con riferimento alle
spese sostenute dall’1.1.2008 al 31.12.2012 per gli interventi di recupero del patrimonio
edilizio e delle spese sostenute per tali interventi realizzati da imprese di costruzione o
ristrutturazione o da cooperative edilizie, purché i lavori siano eseguiti dall’1.1.2008 al
31.12.2012 e l’alienazione o l’assegnazione dell’immobile avvenga entro il 30.6.2013.
La detrazione può essere fatta valere su un limite massimo di spesa di e 48.000 per unità
immobiliare e deve essere ripartita in 10 rate annuali di pari importo.
Occorre osservare che per ogni anno nel quale vengono effettuati gli interventi sullo stesso
immobile e in base ad un unico progetto, il limite di e 48.000 deve essere riferito separatamente
a ciascun anno di imposta; per ogni unità immobiliare la detrazione, sempre nel limite anzidetto,
si estende alle spese sostenute per i lavori effettuati su parti comuni dell’edificio. Quindi se i
lavori vengono eseguiti sia sull’abitazione che sulla pertinenza dell’abitazione, se tali due unità
immobiliari sono accatastate autonomamente, il contribuente può calcolare la detrazione su un
importo massimo di e 96.000 per ciascuno degli anni interessati.
Nel caso di due coniugi, uno dei quali sia esclusivo proprietario delle unità abitative da
ristrutturare, che sostengano entrambi parte delle relative spese, il limite di e 48.000 va
suddiviso tra loro in proporzione alle stesse, se il relativo onere non sia stato sopportato in uguale
misura.
In caso di vendita dell’unità immobiliare sulla quale sono stati realizzati gli interventi indicati,
come nel caso in quesito, le rate di detrazione che il venditore non ha, in tutto o in parte
utilizzato, spettano, per i periodi d’imposta rimanenti, all’acquirente persona fisica dell’unità
immobiliare.
In particolare, l’acquirente può beneficiare della detrazione in relazione alle rate maturate a
partire dal periodo d’imposta in cui ha acquistato l’immobile.
Per poter subentrare nel beneficio riconosciuto al venditore dell’immobile ristrutturato, sebbene,
appunto, questi non ne abbia fruito in concreto, l’acquirente dovrà comunque essere in possesso
della documentazione attestante la ristrutturazione dell’immobile e la vendita.
Trattasi di documentazione relativa alla copia della concessione edilizia, della dichiarazione
di ultimazione dei lavori e dell’atto di compravendita da cui risulti il corrispettivo su cui
deve essere calcolata la detrazione.
Nessun trasferimento della detrazione si verifica, però, nel caso in cui la cessione dell’unità
immobiliare sia parziale come ad esempio quanto la moglie intesti al marito una parte dell’unità su
cui ha eseguito interventi agevolati.
(C.De. Il Sole 24 ORE – La settimana fiscale, 22 aprile 2011, n. 15)
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 Energia
 Dalle compravendite alla Via, le risposte ai dubbi più frequenti
AREE AGRICOLE
D. Un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 1 MW, destinato a essere ubicato in
area agricola, la cui domanda di autorizzazione è stata inoltrata prima dell’entrata in
vigore del decreto legislativo 28/2011 può avere accesso agli incentivi?
----R.
Occorre operare una distinzione. Infatti, secondo quanto disposto dall’articolo 10 (comma 4, 5, 6
Dlgs 28/2011), se la domanda di autorizzazione è stata inoltrata prima dell’entrata in vigore del
decreto legislativo 28/2011 (i.e. 29 marzo 2011) ma dopo il 1° gennaio 2011, l’impianto non potrà
avere accesso agli incentivi, salvo il caso in cui i terreni destinati a ospitarlo risultino in stato di
abbandono da almeno cinque anni. La norma, tuttavia, non specifica quali siano le modalità per
dimostrare lo stato di abbandono dell’area. Qualora, invece, la domanda di autorizzazione sia stata
presentata prima del 1° gennaio 2011, l’impianto potrà avere accesso ai sussidi a condizione che
entri in esercizio entro il 29 marzo 2012.
AUTORIZZAZIONE UNICA
D. Quali sono le tempistiche per ottenere l’autorizzazione unica alla costruzione ed
esercizio dell’impianto?
----R. L’articolo 5, comma 2, Dlgs 28/2011 ha dimezzato i termini per la conclusione del procedimento
di autorizzazione unica da 180 giorni a 90 giorni. Tuttavia occorre tenere presente che la durata del
procedimento va considerata «al netto dei tempi previsti per il provvedimento di valutazione di
impatto ambientale» e «fatto salvo il previo espletamento, qualora prevista, della verifica di
assoggettabilità sul progetto preliminare».
COMPRAVENDITE
D. Per quali contratti va inserita la clausola con la quale le parti dichiarano di essere
edotte delle informazioni e di aver ricevuto la documentazione sulla certificazione
energetica?
----R. L’articolo 6, comma 2-ter, del Dlgs 192/2006 prevede la necessità di inserimento della clausola
vale per i contratti di compravendita e di locazione. In ogni caso, si può ritenere ammissibile
allargare la nozione di compravendita alle fattispecie assimilabili a questa: permuta, vendita di
eredità, vendita di azienda che comprendano la cessione, ovviamente, di immobili sottoposti alle
norme del Dlgs 192/2005.
COMUNICAZIONE
D. In quali casi è necessario allegare la relazione tecnica asseverata alla comunicazione
relativa agli interventi considerati attività edilizia libera?
----R. I paragrafi 11 e 12 delle Linee guida nazionali identificano gli impianti – distinguendoli per
ciascuna fonte di energia rinnovabile – per i quali è possibile procedere mediante semplice
comunicazione ovvero per i quali è necessario allegare una relazione tecnica asseverata sulla
conformità del progetto alla normativa urbanistica ed edilizia. Per quanto riguarda, specificamente,
gli impianti per la produzione di energia termica da fonte rinnovabile occorre invece fare
riferimento all’articolo 7, Dlgs 28/2011, che ne disciplina dettagliatamente i regimi autorizzativi.
INCENTIVI
D. Una volta che verrà emanato il quarto conto energia, sarà ancora possibile beneficiare
delle tariffe incentivanti di cui al secondo e terzo conto energia?
----R. Le tariffe di cui al terzo conto energia sono riservate agli impianti che entreranno in esercizio
entro il 31 maggio 2011. Tuttavia, ciò non toglie che vi possano essere impianti connessi
successivamente, ai quali verrà riconosciuta la tariffa più prosperosa disposta dal secondo conto
energia. L’articolo 25, comma 10 del Dlgs 28/2011, infatti, fa salve espressamente le disposizioni
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contenute nel cosiddetto «salva-Alcoa» (articolo 2-sexies Dl 22 marzo 2010, n. 41), secondo cui le
tariffe incentivanti di cui secondo conto energia sono riconosciute a tutti i soggetti che, nel rispetto
di quanto previsto dall’articolo 5 del medesimo decreto ministeriale, abbiano concluso, entro il 31
dicembre 2010, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, abbiano comunicato all’amministrazione
competente al rilascio dell’autorizzazione, al gestore di rete e al Gse, entro la medesima data, la
fine lavori ed entrino in esercizio entro il 30 giugno 2011.
A tale proposito, occorre altresì precisare che il nuovo Decreto Legislativo ha aggiunto severe
sanzioni qualora sia stato accertato che i lavori di realizzazione dell’impianto non siano stati
effettivamente conclusi entro la prescritta data del 31 dicembre 2010.
In tale caso, infatti, fatte salve le norme penali applicabili, il Gse rigetta l’istanza di incentivo e
dispone contestualmente l’esclusione dagli incentivi degli impianti che utilizzano anche in altri siti le
componenti dell’impianto non ammesso all’incentivazione. Con lo stesso provvedimento il Gse
dispone l’esclusione dalla concessione di incentivi per la produzione di energia elettrica di sua
competenza, per un periodo di dieci anni dalla data dell’accertamento, della persona fisica o
giuridica che ha presentato la richiesta, nonché dei seguenti soggetti: a) il legale rappresentante
che ha sottoscritto la richiesta; b) il soggetto responsabile dell’impianto; c) il direttore tecnico; d) i
soci, se si tratta di società in nome collettivo; e) i soci accomandatari, se si tratta di società in
accomandita semplice; f) gli amministratori con potere di rappresentanza, se si tratta di altro tipo
di società o consorzio.
INSTALLATORI
D. Quali sono i titoli che consentono la qualificazione degli installatori degli impianti
energetici?
----R. La qualifica per l’attività di installazione e manutenzione degli impianti si consegue mediante il
possesso dei requisiti tecnico-professionali indicati alle lettere a), b) o c) del comma 1 dell’articolo
4 del Dm 37/2008, ossia: 1) diploma di laurea in materia tecnica specifica; 2) diploma o qualifica
conseguita al termine di scuola secondaria del secondo ciclo, seguiti da un periodo di inserimento,
di almeno due anni continuativi, alle dirette dipendenze di una impresa del settore; 3) titolo o
attestato conseguito ai sensi della legislazione vigente in materia di formazione professionale,
previo un periodo di inserimento, di almeno quattro anni consecutivi, alle dirette dipendenze di una
impresa del settore.
INTEGRAZIONE DEGLI IMPIANTI
D. Che cosa accade se non è assolutamente possibile, dal punto di vista tecnico,
integrare gli impianti per la produzione di energia da fonti rinnovabili all’interno di un
edificio oggetto di nuova costruzione o ristrutturazione?
----R. Il comma 7 dell’allegato 3 al Dlgs 28/2011 prevede che l’impossibilità tecnica di ottemperare, in
tutto o in parte, agli obblighi di integrazione debba essere evidenziata dal progettista nella
relazione tecnica attestante la rispondenza dell’edificio alle prescrizioni per il contenimento del
consumo di energia degli edifici e relativi impianti termici, che, ai sensi dell’articolo 28, comma 1,
della legge 9 gennaio 1991, n. 10, il proprietario dell’edificio, o chi ne ha titolo, deve depositare
presso le amministrazioni competenti, insieme alla denuncia dell’inizio dei lavori relativi alle opere
di ristrutturazione o nuova costruzione. La relazione deve esaminare in modo dettagliato la non
fattibilità di tutte le diverse opzioni tecnologiche disponibili. In ogni caso, per questi interventi il
comma 8 dello stesso allegato 3 stabilisce che è fatto obbligo di ottenere un indice di prestazione
energetica complessiva dell’edificio (I) che risulti inferiore rispetto al pertinente indice di
prestazione energetica complessiva reso obbligatorio ai sensi del decreto legislativo n. 192 del
2005 e successivi provvedimenti attuativi, nel rispetto della formula matematica specificata nel
medesimo allegato.
PAS
D. Per quali impianti è ammesso il ricorso alla procedura di Pas?
----R. Il Dlgs 28/2011 prevede il ricorso alla procedura di Pas per l’autorizzazione alla costruzione ed
esercizio degli impianti alimentati da fonti rinnovabili indicati nelle linee guida per l’autorizzazione
delle fonti rinnovabili, di cui al Dm 10 settembre 2010 (articoli 11 e 12). In particolare, si può
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ricorrere alla Pas nei casi, caratterizzati da una soglia di potenza bassa e determinate
caratteristiche costruttive che ne limitano l’impatto sul territorio circostante, in cui era ammissibile
il ricorso alla Dia.
In caso di aree vincolate, come opera la procedura di Pas?
Se l’area in cui si intende installare l’impianto ricade in zona vincolata, occorre acquisire il
necessario nulla osta da parte dell’ente competente. Pertanto, se l’ente competente è la stessa
amministrazione comunale cui è stata presentata la dichiarazione di Pas, il Comune è tenuto a
emanare i pareri tempestivamente e, in ogni caso, entro il termine per la conclusione del relativo
procedimento.
Se l’emanazione di tali atti d’assenso rientra nella competenza di amministrazioni diverse da quella
comunale, l’acquisizione dei relativi nulla osta può avvenire direttamente dall’amministrazione
comunale o tramite una convocazione della conferenza di servizi tra le amministrazioni interessate.
REGIONI
D. Le Regioni possono stabilire dei parametri diversi da quelli fissati dal decreto per
quanto concerne la percentuale di fabbisogno energetico che deve essere soddisfatto
mediante il ricorso a fonti rinnovabili?
----R. Sì, ma soltanto in aumento (cfr. articolo 11, comma 1). I limiti minimi sono quelli fissati
dall’allegato 3 al decreto. Le Regioni possono anche prevedere che i valori di cui al citato allegato 3
debbano essere assicurati, in tutto o in parte, ricorrendo a impieghi delle fonti rinnovabili diversi
dalla combustione delle biomasse, qualora ciò risulti necessario per assicurare il processo di
raggiungimento e mantenimento dei valori di qualità dell’aria relativi a materiale particolato e a
idrocarburi policiclici aromatici.
VIA
D. A quali condizioni più impianti vicini possono essere considerati come un unico
impianto ai fini della verifica di assoggettabilità alla Via?
----R. L’articolo 4, comma 3, Dlgs 28/2011 demanda alle Regioni l’individuazione dei casi in cui la
presentazione di più progetti per la realizzazione di impianti localizzati nella medesima area o in
aree contigue sono da valutare in termini cumulativi nell’ambito della valutazione di impatto
ambientale. La norma di per sé non contiene un espresso riferimento all’identicità del proprietario
delle aree stesse, mentre le Linee guida nazionali richiamano anche il criterio dell’appartenenza allo
stesso soggetto o su cui lo stesso soggetto ha la posizione decisionale dominante e la sussistenza
del medesimo punto di connessione alla rete elettrica.
(Il Sole 24 Ore - Guida agli Enti Locali, 18-30 aprile 2011 - n. 16 Dossier Le energie rinnovabili)
 Rifiuti
 Rifiuti speciali assimilabili agli urbani
D. Qualora un'azienda del settore commercio (magazzino che relaizza commercio all'ingrosso e al
dettaglio di prodotti alimentari), produce imballaggi secondari e terziari in carta e cartone e in
plastica. Se il regolamento comunale include queste tipologie di rifiuti tra quelle assimilabili agli
urbani per qualità e quantità, si possono conferire alla raccolta comunale? Serve una convenzione
scritta con l'ente gestore della raccolta comunale? Qualora il comune disponga di un'isola ecologica
e si conferiscono in questo sito, il mezzo dell'azienda per eseguire il trasporto deve essere iscritto
secondo l'art.lo 212 comma 8?
----R. Il quesito ha risposta globalmente positiva nel senso che: 1) qualora il Regolamento comunale lo consenta
si potrà conferire i rifiuti in questione al servizio pubblico di raccolta (non necessariamente previa
convenzione); 2) nell'ipotesi di conferimento diretto all'isola ecologica, qualora ammissibile ai sensi del D.M. 8
aprile 2008 e successive modifiche, il trasporto potrà essere fatto previa iscrizione del mezzo aziendale alla
sezione speciale dell'Albo nazionale gestori ambientali, sì come disciplinato, da ultimo, dall'art. 212, c. 8,
D.lgs. n. 152/2006 mod. dal D.lgs. n. 205/2010. In tal caso le iscrizioni pregresse effettuate prima del 14
aprile 2008 dovranno essere rinnovate entro un anno dall'entrata in vigore della nuova disciplina ed il
presupposto per godere del regime agevolato è, sempre, il fatto che le operazioni di raccolta e trasporto in
questione "... costituiscano parte integrante ed accessoria dell'organizzazione dell'impresa dalla quale i rifiuti
sono prodotti" (art. 212, c. 8 citato).
(Marco Fabrizio, Il Sole 24 ORE - Codice Ambiente e Sicurezza risponde, 1.4.2011)
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