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Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Decisioni manageriali nell’impresa pubblica.
Una proposta teorica per la loro analisi
Cinzia Dessì
Ricercatore in Economia e Gestione delle Imprese, PhD in Economia e Gestione Aziendale, Dipartimento di Economia
dell’Impresa, della Tecnologia, dell’Ambiente, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Cagliari
SOMMARIO: 1. Introduzione. 2. Difficoltà di delimitazione del concetto di “impresa pubblica”. 3. Contesto e dinamiche
ambientali dell’impresa pubblica: l’ambiente politico e l’ambiente contrattuale. 4. Decisioni manageriali nelle imprese
pubbliche. 5. La proposta di un modello di studio.
La letteratura esistente ha comparato le imprese pubbliche e private evidenziando l’importanza
della natura delle organizzazioni per la comprensione dei comportamenti e dei risultati ottenuti
dalle stesse. Molte ricerche, tratte dall’economia politica e dalla teoria organizzativa, hanno dedicato un’attenzione crescente all’analisi generale delle similarità e differenze esistenti tra questi due
tipi di imprese. Contrariamente, sono stati finora condotti pochi studi in relazione alle specificità
delle decisioni manageriali nell’impresa pubblica, poiché molto spesso i processi di decisione di
tali unità sono stati assimilati a quelli delle imprese private. Questo lavoro, in base alla letteratura
corrente nazionale ed internazionale, evidenzia alcuni degli aspetti ritenuti salienti nello sviluppo
dei processi di scelta nelle imprese pubbliche, mostrando le difficoltà di attuazione degli stessi
aspetti, a motivo della natura pubblica dell’impresa.
Comparative literature on public and private organizations has examined the relevance of organizations’ nature in order to understand their behaviour and results. Many issues in political economy
and organization theory have devoted increasing attention to analysing general similarities and
differences between public and private organizations. On the contrary, only few studies have
been so far dedicated to investigate the peculiarities of public decision making since it has been
frequently assimilated to that of private organizations. This paper, according to the current national
and international literature, will draw up some salient aspects of public decision making and it will
show the difficulties of carrying these features out owing to the nature of organizations.
Un particolare ringraziamento alla dott.ssa Monica Cardaropoli, operatrice nell’ambito di un istituto pubblico, per i
preziosi suggerimenti e le indicazioni in merito alla realtà operativa, alla prof.ssa Ernestina Giudici, al dott. Giuseppe
Argiolas, alla dott.ssa Michela Floris per gli spunti ed i commenti apportati, nonché ai referee anonimi per le indicazioni
e i suggerimenti che hanno consentito di migliorare questo lavoro.
Parole chiave: impresa pubblica – processo decisionale – management
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1. Introduzione
L’analisi dei processi decisionali rappresenta una pietra miliare nello sviluppo della teoria organizzativa, amministrativa e comportamentale. La
rilevanza assunta dalle decisioni deriva dal fatto che queste rappresentano
i presupposti per l’agire delle organizzazioni e le fonti originarie da cui
scaturiscono le conseguenze, di successo o fallimento, per le organizzazioni
stesse (Bozeman, Pey, 2004: p. 553).
La letteratura nazionale ed internazionale ha, di norma, dedicato maggiore interesse all’analisi dei processi di scelta nelle imprese appartenenti
all’ambito privato, traslando, talvolta, tali concetti alle imprese pubbliche
(Rodriguez, Hickson, 1995; Schwenk, 1990; Nutt, 1999). Nonostante
tale prassi abbia certamente aiutato ad interpretare le dinamiche di scelta
nelle imprese pubbliche, si ritiene che gli esiti di un processo di scelta
dipendano da diversi aspetti che derivano in primo luogo dall’ambito –
pubblico o privato – di appartenenza dell’organizzazione (Nutt, 1999: p.
305; Wise, Freitag, 2002; Sitkin, Weingart, 1995; Sitkin, Pablo, 1992;
McKelvey, 1982, Allison, Zelikow, 1999; Lindblom, 1959; Pfeffer, 1981;
Thompson, 1967).
In prima approssimazione, la natura distintiva dell’impresa relativa al
settore di appartenenza genera le caratteristiche, le influenze e le conclusioni (Coursey, Bozeman, 1990; Kingsley, Reed, 1991; Kingsley, 1997;
Nutt, 1999) legate ad un processo di scelta posto in essere dal decisore nel
momento in cui si interroga sul “cosa” e sul ”come” operare affinché un determinato problema si risolva o uno specifico obiettivo venga perseguito.
Sulla base di quanto appena notato, le peculiarità del settore tracciano
e determinano i processi di decisione e gli esiti della scelta stessa (Brunsson,
1982; Cowan, 1986). Tali peculiarità, che si concretizzano nei vari step
in cui si articola il processo di decisione, dalla raccolta delle informazioni
all’identificazione delle alternative, dalla scelta delle azioni da intraprendere
all’esecuzione della scelta finale (Eisendhardt, Zbaracki, 1992; Mintzbereg
et al. 1976; Soelberg, 1967), rivelano l’esistenza di limiti al proprio agire
che sono differenti per l’impresa pubblica e per l’impresa privata. In questo
senso, l’impresa pubblica, quale destinataria di funzioni potestative conferite
dall’autorità governativa (Borgonovi, 2004), è soggetta all’influenza di
fattori esterni, di ordine politico, sociale e istituzionale, che condizionano
i processi di scelta in maniera differente rispetto a quanto avviene nell’impresa privata.
Sebbene la ricerca scientifica abbia evidenziato l’importanza del ruolo
svolto dal settore per lo sviluppo delle decisioni manageriali (Rainey et al.
1976, Ring, Perry, 1985; Perry, Rainey, 1988; Nutt, Backoff, 1993), pochi
studi si sono soffermati all’individuazione di quali peculiarità legate al settore
specifico di appartenenza più di altre influenzano l’esito della scelta stessa
(Rodriguez, Hickson, 1995; Schwenk, 1990; Nutt, 1999).
Il riferimento specifico alle decisioni manageriali nel settore pubblico
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richiede dunque che l’individuazione di tali peculiarità sia svolta attraverso
una prospettiva diversa rispetto a quanto normalmente avviene per l’impresa
privata, magari attraverso l’ausilio di un nuovo modello di studio.
Per questo motivo, analizzando la più recente letteratura nazionale
ed internazionale sull’argomento, questo lavoro si propone di descrivere
alcuni aspetti tipici dei processi di scelta in ambito pubblico che più di altri
risentono della natura “pubblica” dell’impresa, spesso inficiando i risultati
finali, ponendosi l’obiettivo di costruire un possibile modello teorico di
riferimento per la loro analisi. Ciò avviene articolando il processo secondo
i seguenti punti:
– delimitazione concettuale dell’impresa pubblica, in modo da differenziare la sua natura dall’impresa privata;
– individuazione dell’ambito di azione dell’impresa pubblica, in modo
da sottolineare i limiti, vincoli e condizionamenti principali derivanti
dal settore nel quale la stessa opera;
– descrizione di alcune caratteristiche peculiari del processo decisionale
in ambito pubblico, che ancora trovano difficoltà di attuazione nella
realtà inficiando talvolta il buon esito della scelta;
– costruzione di un modello teorico di analisi che tenga conto degli
aspetti sopra elencati.
2. Difficoltà di delimitazione del concetto di “impresa pubblica”
L’identificazione concettuale di “impresa pubblica”, o la sua qualificazione di “pubblica” piuttosto che di “privata”, trova ampio dibattito nei vari
contributi di autorevoli studiosi, appartenenti a diversi campi delle Scienze
Sociali, che ne hanno teorizzato e proposto la differenziazione. Da un lato,
è intuitivo sostenere che le organizzazioni appartenenti al settore privato e
pubblico esercitino ruoli diversi nella società (Nutt, 1999: p. 308), dall’altro lato, la necessità di delimitare questi due concetti ha assunto nel tempo
differenti scopi. Negli studi organizzativi (Bozeman, 1987), ad esempio,
tale delimitazione consentiva di sviluppare teorie basate sulle organizzazioni pubbliche e burocratiche, di individuare sottospecie di organizzazioni
(Hickson et al., 1986. Holdaway, et al., 1975; Mintzberg, 1979; Tolbert,
1985) o di indicare teorie normative circa il ruolo svolto dallo Stato e dai
suoi cittadini (Benn, Gauss, 1983).
Inizialmente, la distinzione tra pubblico e privato è stata attuata in maniera generalizzata, in relazione agli effetti sociali esercitati dall’organizzazione verso l’esterno e riassunta in alcune variabili, quali: la proprietà,
l’impatto sui valori sociali, l’apertura alle influenze esterne (Dubin, 1978).
Per questa ragione, le imprese pubbliche sono state frequentemente identificate con gli uffici governativi (Peabody, Rourke, 1965) contrapponendole
alle imprese private intese quali organizzazioni esercenti attività di business. In questo scenario, lo stesso Nutt (1999: p. 308) ha sottolineato che
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le differenze tra l’impresa pubblica e l’impresa privata sono riassunte nel
fatto che le seconde operano per vendere prodotti e servizi con lo scopo
di aumentare il profitto dell’azionista, mentre le prime raccolgono informazioni per venire a conoscenza dei bisogni degli individui e indirizzare di
conseguenza l’azione pubblica.
In realtà, l’esistenza di una moltitudine di forme organizzative, variabilmente definibili fra l’ambito privato o lo scenario pubblico, ha portato alla
necessità di specificare come le nozioni di ”pubblico” e ”privato” assumono
un carattere multidimensionale (Perry, Rainey, 1988: p.183), e ciò ha contribuito ulteriormente a complicarne la loro delimitazione.
Un primo modello di multidimensionalità, descritto da Benn e Gauss
(1983), evidenzia che i significati attribuiti a “pubblico” e ”privato” variano
in relazione a tre dimensioni: l’interesse, l’accesso e l’agenzia. La dimensione
dell’interesse differenzia i costi e i benefici in riferimento ai singoli individui
o ad un’intera collettività; la dimensione dell’accesso si riferisce alla facilità
di raggiungimento delle strutture, delle risorse e dell’informazione; mentre
la dimensione dell’agenzia è legata all’agire dell’organizzazione, intesa
come agente per un singolo individuo o come agente per una collettività
nel suo insieme.
Evidentemente, la distinzione tra l’impresa pubblica e l’impresa privata
attuata secondo la dimensione dell’interesse non è di facile distinzione
(Mitnick, 1980), o di diretta identificazione (Hall, Quinn, 1983) e, in prima
approssimazione, si accoglie quando specificato da Blau e Scott (1962), i
quali individuano l’interesse distinguendo chi è il diretto beneficiario dell’attività organizzativa. Più specificatamente, nel caso di imprese pubbliche il
beneficiario è rappresentato dalla collettività in generale, mentre nel caso
dell’impresa privata il beneficio, in prima istanza, ricade sul proprietario
dell’organizzazione.
Altre distinzioni, riscontrate nella letteratura, si articolano in relazione
alla produzione dei beni e servizi pubblici ed alle caratteristiche tipiche del
mercato, spesso considerato di fallimento per le imprese pubbliche (Breton,
Wintrobe, 1982; Downs, 1967).
La più comune distinzione tra l’impresa pubblica e l’impresa privata che
si rinviene in letteratura è imperniata sulla proprietà e sul finanziamento
(Alchian, Demsetz, 1972; Demsetz, 1967). Anche in questo caso, nonostante sia utile il riferimento alla proprietà, gli autori Perry e Rainey (1988)
hanno sottolineato come questa dimensione non possa essere intesa in
un’accezione ampia. Infatti, l’impresa pubblica subisce il controllo dallo
Stato a ragione della sua partecipazione alla proprietà, ma al tempo stesso
esistono organizzazioni pubbliche, rette con introiti degli utenti e fondate
attraverso le vendite sul mercato, che possiedono una maggiore autonomia
e un minor controllo statale. Diversamente accade per l’impresa privata che
invece è sottoposta ad una forma di controllo che scaturisce precipuamente
dal mercato.
In sintesi, fra i vari schemi che hanno elaborato e ordinato le differenze
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principali tra le organizzazioni pubbliche e private (Allison 1984; Ring,
Perry, 1985; Bozeman, 1987; Perry, Rainey, 1988), l’identificazione maggiormente condivisa dalla dottrina si riferisce alla classificazione sviluppata
da Rayney et al. (1976), adattata in seguito da Rainey (1989), Nutt e
Backoff (1993), con la specificazione di tre differenti ambiti di azione per
le imprese, qualora siano queste private o pubbliche. Il rimando è verso
la sfera ambientale, transazionale e la sfera legata ai processi organizzativi. In questa tripartizione, si rileva una netta distinzione tra alcuni fattori,
quali: la proprietà, separata e diversa nel settore privato (imprenditore o
azionisti) e nel settore pubblico (partecipazione a vari e differenti livelli
dello Stato); il reclutamento dei fondi (che nel privato avviene tramite il
consumatore-cliente mentre nel pubblico attraverso l’imposizione fiscale)
e infine il controllo (nel settore pubblico il controllo avviene direttamente
dallo Stato, mentre nel settore privato è il sistema economico che regola le
transazioni) (Bozeman, 1987).
Come rileva Mulazzani (2001: pp. 241) il concetto di impresa pubblica
si ricollega “a quello di azienda di produzione di beni o servizi che opera
per lo scambio sul mercato, ...” la cui natura pubblica “è configurata dalla
presenza di un soggetto economico pubblico, cioè dal fatto che il capitale
di comando è conferito da un ente di diritto pubblico e non già dalla personalità di diritto pubblico del soggetto giuridico”. In questo scenario, si
possono riscontrare imprese condotte da persone giuridiche di diritto privato
“il cui soggetto economico è un ente pubblico che trasfonda le sue finalità
pubbliche nella politica di gestione aziendale, e perciò si qualificano imprese
pubbliche”. A questo si aggiunge quanto delineato da Borgonovi (1979:
pp. 11-12) che descrive le imprese pubbliche come “gli strumenti di cui si
avvalgono gli istituti pubblici territoriali per realizzare le proprie funzioni di
intervento quando, in rapporto alle caratteristiche economico-tecniche dello
stesso, essi giudicano conveniente non inquadrarlo direttamente e rigidamente nella propria struttura organizzativa”. La stessa caratterizzazione di
”pubblica utilità”, normalmente ascritta all’impresa pubblica, può riferirsi
anche ad imprese che svolgono la propria attività nell’ambito della sfera
economica privatistica, mentre la qualifica di ”pubblica” si realizza nel
momento in cui vi sia la partecipazione, diretta od indiretta e in varie forme,
del Governo. In questo senso lo Stato è in grado di intervenire nell’economia
di un Paese attraverso la stessa ”impresa pubblica”, che ne rappresenta,
per l’appunto, uno strumento. In questo modo, l’impresa pubblica assume le
vesti di ”prolungamento” dell’autorità statale la cui azione si estende dalla
produzione di beni e servizi, con orientamento al mercato (come ad esempio
i Monopoli dello Stato), alla raccolta di fondi, con le entrate fiscali.
Al notevole sforzo di sintesi, dedotto dalla letteratura circa l’accertamento della natura e delle caratteristiche dell’impresa pubblica, pare corretto
aggiungere la definizione fornita dal decreto legislativo n. 333/2003 in
attuazione della direttiva 2000/52/CE. In questo modo, le riflessioni che
seguiranno terranno conto della nozione di impresa pubblica accolta nello
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scenario comunitario europeo. Nello specifico, si riporta quanto dettato
all’art. 2, comma 1, lettera b), nel quale si definisce impresa pubblica “ogni
impresa nei confronti della quale i poteri pubblici possono esercitare, direttamente o indirettamente, un’influenza dominante per ragioni di proprietà,
di partecipazione finanziaria o della normativa che la disciplina”. Ancora,
al successivo art. 3, comma 1, si specifica cosa si intende per influenza
dominante da parte dei poteri pubblici, intesa in maniera diretta e indiretta, ovvero quando l’influenza è esercitata in almeno una delle seguenti
circostanze: a) i poteri pubblici detengono la maggioranza del capitale
sottoscritto dell’impresa; b) i poteri pubblici dispongono della maggioranza
dei voti attribuiti alle quote emesse dall’impresa; c) i poteri politici possono
designare più della metà dei membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza dell’impresa.
Più dettagliatamente, Amorelli (1992: pp. 28-29) specifica che l’influenza dei pubblici poteri avviene tramite l’esercizio di diritti e facoltà derivati
dalla proprietà o dalla partecipazione finanziaria “indipendentemente
dall’attività svolta”. Anche l’impresa che svolge un’attività ad inerenza
pubblicistica è considerata un’impresa per la quale è prevista l’esistenza
di deroghe all’ordinario regime di libera iniziativa, sino al limite della sua
completa soppressione e il coincidente affidamento ai pubblici poteri, “i
quali possono esercitarla direttamente (con amministrazioni a personalità
indistinta) o a propria volta affidarne lo svolgimento (in esclusiva anche per
singoli aspetti) ad enti costituiti appositamente, società in proprietà comune
o di proprietà privata” attraverso, ad esempio, una concessione.
Allo stesso tempo, alla definizione di impresa pubblica data dal legislatore comunitario, si intende associare quanto affermato da Rebora e
Meneguzzo (1990), i quali hanno sintetizzato efficacemente l’operare
degli istituti pubblici descrivendoli come sistemi sociali a decisioni decentrate, caratterizzati da pluralismo politico e libertà di azione economica. In
questo quadro, il concetto di sistema, la peculiarità di decisioni decentrate,
il pluralismo politico e la libertà di azione economica ben si adattano a
rappresentare la realtà dell’istituto pubblico. Il concetto di sistema descrive
un ambito d’azione degli istituti pubblici che si snoda attraverso altrettanti
sottosistemi che possiedono la medesima natura del sistema stesso (Bertalanffy Von, 1976) ovvero “all’interno di un sistema articolato, che riceve continui
stimoli dall’ambiente esterno e nel quale agiscono insieme soggetti pubblici,
soggetti privati e liberi cittadini, coinvolti a vario titolo nella determinazione
e nell’attuazione delle politiche” (Bubbico, 2006: p. 45). In questa ottica,
l’impresa pubblica si inserisce nell’ambiente in modo dinamico, con una
condotta di coevoluzione, nella quale avvengono continui scambi con gli
altri istituti pubblici di “energia, risorse, informazioni, ... finendo spesso per
confondere i propri confini con quelli di altre strutture sociali ed economiche”
(Rebora, Meneguzzo, 1990: p. 73).
La peculiarità di decisioni decentrate deriva evidentemente dalla natura
di sistema sopra specificato e soddisfa la necessità di alleggerire e agevolare
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l’attività svolta dagli organi centrali, attraverso l’attribuzione e la delega di
discrezionalità decisionale ad organi, enti ed uffici periferici nell’erogazione
di prodotti e servizi. In questo modo è più facile rispondere alle esigenze
di qualità, economicità e competitività richiesta dalla collettività, in prima
istanza, e dal singolo individuo, in seconda istanza.
Il pluralismo politico denota la contemporanea esistenza di una molteplicità di interessi, relativi a diversi aspetti, spesso in contrasto fra loro.
La libertà di azione economica rappresenta un elemento di enorme
rilievo, in quanto tiene conto del fatto che l’impresa pubblica esercita un’influenza economica nel mercato coinvolgendo anche l’operare delle imprese
private. Se, da un lato, è vero che l’impresa pubblica opera generalmente
nel mercato attraverso regimi di monopolio, dall’altro lato, è anche vero
che sempre più frequentemente si assiste al proliferare di forme competitive,
oppure cooperative tra imprese pubbliche e private. Tali circostanze hanno
modificato il tradizionale concetto di mercato arricchendolo di connotati e
sfumature nuovi dove l’intervento delle imprese pubbliche nel mercato può
avvenire, a titolo esemplificativo, attraverso l’azione di promozione per le
imprese di nuova costituzione, l’attenzione e la partecipazione alle pubbliche decisioni di gruppi particolari di interesse, nonché attraverso forme
articolate e complesse di organizzazioni che influenzano le scelte politiche
ed economiche attraverso la partecipazione attiva di specifici gruppi sociali
(Rebora, Meneguzzo, 1990).
In questo modo, la commistione fra imprese pubbliche, private e altre
cosiddette ibride (Wittmer, 1991), inserite in mercati sempre più complessi,
ha innescato l’interesse, in materia politica, di pubblica amministrazione,
e in generale in campo economico, per l’individuazione di quali variabili
derivano specificatamente dall’ambiente caratterizzando ed influenzando
l’operare, il decidere e l’ottenere soluzioni soddisfacenti nelle imprese
pubbliche.
3. Contesto e dinamiche ambientali dell’impresa pubblica:
l’ambiente politico e l’ambiente contrattuale
L’ipotesi di costruzione di un modello teorico di studio riferibile ai processi
di decisione nell’ambito pubblico necessita, oltre che della formulazione di
una definizione di “impresa pubblica”, anche dell’individuazione dell’ambito d’azione della stessa. Il contesto di riferimento dell’impresa pubblica,
così come per l’impresa privata, non solo è sempre più caratterizzato da
elevata complessità, ma è rappresentato da un nuovo scenario operativo
in cui concetti come competizione, produttività ed innovazione non sono
più appannaggio esclusivo delle imprese private, ma divengono riferimenti
precisi anche per gli istituti pubblici in generale. A questi, però, si affiancano
ulteriori concetti, come sviluppo, socialità e responsabilità, che continuano
ad essere i capisaldi dell’esistenza dell’azione pubblica nella società.
Più esattamente, il richiamo all’ambiente in termini generali rappresenta
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il sistema di vincoli, condizionamenti ed opportunità entro cui qualunque
tipo di impresa svolge le sue funzioni (Usai, 2000: p. 98 e segg.; Sciarelli,
2001: p. 24 e segg.). Nella letteratura, le diverse specificazioni attuate al
riguardo si dipanano in varie sub-classificazioni che evidenziano il peso
più o meno marcato di alcune circostanze.
In questa prospettiva, è stato distinto l’ambiente politico-istituzionale,
come la forma di governo e l’insieme di norme e leggi tipiche dell’ordinamento legislativo del territorio nel quale si trova l’impresa, dall’ambiente
culturale-tecnologico, inteso come “le manifestazioni tradizionali della
vita materiale, sociale e spirituale di un popolo” (Sciarelli, 2001: p. 24).
L’ambiente demografico-sociale, come la struttura della popolazione e
l’insieme delle relazioni fra individui e gruppi, dall’ambiente economico
come contesto nel quale si realizzano i rapporti sviluppati fra l’impresa
e il complesso politico-sociale (Sciarelli, 2001: p. 24 e segg.). Tali subclassificazioni, inoltre, sono state ulteriormente differenziate con i concetti
di ambiente transazionale (Williamson, 1975) o ambiente competitivo. Altri
Autori, ancora, si sono soffermati su concetti come task environment (Dill,
1958), ambiente di primo riferimento e ambiente di riferimento generale
(Usai, 2000: p. 98), evidenziando raggruppamenti concettuali più o meno
simili. D’altro canto, si possono compiere differenziazioni di ambiente solo
riferendosi ad un soggetto specifico che lo percepisca e lo definisca (Panati,
Golinelli, 1991: p. 59).
La delimitazione, seppure teorica, dell’ambiente per l’impresa pubblica
nasce dall’esigenza di individuazione dei limiti, delle opportunità e delle
minacce di cui è bene tener conto in sede decisionale, sottolineando ancora una volta che tali elementi variano ed influenzano l’agire delle imprese
con modi ed effetti diversi in relazione alle caratteristiche dell’ambiente di
riferimento.
Quanto appena affermato consente di meglio specificare che l’orientamento verso l’impresa pubblica si impernia attraverso la disamina del
contesto socio-economico e politico in una chiave di lettura distinta rispetto
a quanto avviene per l’impresa privata. In questa prospettiva si tiene conto
del fatto che l’influenza politica assume per l’agire degli istituti pubblici
una veste rigorosa e limitativa per le scelte strategiche che non possono
essere assunte come ”libere” in senso lato ma sottoposte ad una serie di
vincoli, diversi dall’ambito privato. Questi ultimi, infatti, hanno una veste
meno normativa ed una natura tipicamente legata più ai comportamenti
competitivi scaturiti dal mercato piuttosto che imposti in maniera diretta
dall’autorità governativa.
L’impegno ad individuare e distinguere il differente campo di azione
delle imprese di natura pubblica dalle imprese di natura privata avviene
in questo lavoro attraverso i concetti di “ambiente politico”, per definire
l’ambito di azione dell’impresa pubblica, e di “ambiente contrattuale”, per
l’impresa privata (figura 1).
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Figura 1 – L’ambiente politico e l’ambiente contruattuale
A MBIENTE C ONTRATTUALE
A MBIENTE P OLITICO
➢
➢
➢
➢
sviluppo
socialità
responsabilità
...
• competizione
• produttività
• innovazione
Condizionamenti
Opportunità
Vincoli
Fonte: Elaborazione propria
Più dettagliatamente, con il primo concetto si fa riferimento ad un’immagine
di ambiente nel quale esiste una forte prevalenza politica sull’agire dell’impresa pubblica dettata da almeno tre elementi:
– l’influenza diretta del governo sul territorio nelle sue svariate forme e
manifestazioni, in virtù della partecipazione alla ”proprietà” dell’impresa pubblica;
– la caratteristica ”pubblicistica” della missione di tali imprese, orientata
al perseguimento del benessere della collettività;
– l’esistenza di una regolamentazione specifica, definita dall’ordinamento giuridico, per le attività svolte al loro interno.
Con il concetto di ambiente contrattuale si raggruppano le forze tipiche
del mercato con le quali le imprese private si confrontano nello svolgere le
proprie attività. Le stesse forze “contrattuali” influiscono anche sull’attività
delle imprese pubbliche ma solo in modo secondario e indiretto.
Questi concetti ideali di ambiente rappresentano due sistemi che teoricamente si differenziano, ma al tempo stesso si intersecano in un scambio
biunivoco di influenze e azioni reciproche, senza tuttavia contrapporsi o
sostituirsi.
La distinzione consente di delineare un quadro sintetico di raffigurazione
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degli scenari nei quali le imprese, pubbliche e private, definiscono le proprie linee di azione regolando gli effetti derivanti dai limiti ”politici” per le
imprese pubbliche e dai limiti ”contrattuali” per le imprese private.
In conformità a questo reciproco scambio di influenze, l’impresa pubblica
predispone la propria linea d’azione strategica, ovvero sviluppa i propri
percorsi di scelta ed azione.
4. Decisioni manageriali nelle imprese pubbliche
L’architettura e le dinamiche dei processi di scelta in ambito pubblico trovano
raffigurazione nell’espressione di una serie di operazioni poste in essere con
l’obiettivo del decisore di perseguire risultati secondo le regole dell’efficienza
economica (Barzelay, 2001). In quest’ottica, l’operare delle imprese pubbliche trova il suo fondamento nei presupposti di qualità ed efficienza sia dei
prodotti che dei servizi erogati, concretizzandosi attraverso un processo di
responsabilizzazione (Mulgan, 2000) del management, il cui operare deve
sempre tendere al perseguimento di un interesse collettivo. Secondo quanto
appena affermato, la nozione di processo decisionale nell’impresa pubblica
può essere riassunta come il processo di formulazione della strategia, da
parte del management, diretta a definire la condotta dell’impresa nel lungo
periodo, per il perseguimento di un fine di interesse pubblico.
Il riferimento al concetto di strategia richiama alla mente l’impresa
privata, in luogo di quella pubblica. Questo deriva dalla numerosità delle
ricerche accademiche, maggiormente orientate al settore privato, rispetto a
quello pubblico. Sebbene la nozione di strategia negli ultimi quaranta anni
abbia subito un notevole sviluppo teorico e concettuale, in particolar modo
nell’ambito delle discipline economico-aziendali, ancora non si è giunti ad
una sua sistematizzazione organica, né ad una concorde condivisione delle
numerose nozioni prodotte dalla comunità scientifica (Hinna et al., 2006).
Da ciò deriva l’esigenza di rifarsi alle imprese private per estendere alcuni
concetti anche alle imprese pubbliche.
Le varie nozioni di strategia riferite all’impresa privata hanno descritto
la stessa come una pianificazione razionale relativa ad un processo di
scelta messo in atto dall’impresa in relazione a cosa sia più adeguato
attuare per il futuro (Mintzberg, Waters, 1994: p. 12), ovvero ad una
programmazione orientata nel lungo periodo (Whittington, 1993: p. 3)
che risente dell’influenza di una molteplicità di variabili ambientali esterne.
Tale programmazione tiene conto dei fini che l’organizzazione si propone,
dei mezzi a disposizione della stessa, del contesto ambientale nel quale è
inserita, e infine dell’azione essenziale svolta dal management.
La trasposizione della strategia, così delineata, anche all’impresa
pubblica evidenzia l’importanza di analizzare le dinamiche attuate dal
management nell’impresa pubblica, per il raggiungimento dei fini ed il
reperimento dei mezzi necessari al loro perseguimento. Da qui, la tendenza a considerare la possibilità di trasferimento delle tecniche manageriali
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utilizzate nel settore privato anche nelle imprese pubbliche (Perry, Porter,
1982; Roessner, 1977; Savas, 1982).
In tal senso, si è registrato un considerevole numero di studi teorici ed
empirici, spesso di tipo comparativo, scaturiti dalla letteratura manageriale
e dalla teoria della pubblica amministrazione (Fottler, 1981; Lachman,
1985; Solomon, 1986; Whorton, Worthley, 1981), che hanno delimitato
le principali differenze esistenti tra il settore pubblico e privato (Perry, Kraemer, 1983). Ciò ha diminuito l’attività di generalizzazione spesso compiuta
dalla teoria organizzativa (Meyer, 1979), e la naturale tendenza di assimilazione delle pratiche private anche nelle imprese pubbliche, individuando
peculiarità manageriali della impresa pubblica diverse rispetto a quelle
dell’impresa privata, in netta contrapposizione al principio di fondo su cui
per anni è stato costruito il paradigma del New Public Management. In esso,
infatti, si assunse come presupposto base l’assimilazione ed estensione delle
pratiche manageriali private alle imprese pubbliche. Questo filone di studi
sorse principalmente dall’identificazione dei limiti manageriali e delle caratteristiche di inefficienza e incompetenza che tipicamente si riscontravano
nella pubblica amministrazione (Weber, 1956: p. 839; Scachter, 1989) e
si avvalse del principio secondo cui le tecniche e le metodologie gestionali
adottate nelle imprese private potessero essere trasferite senza difficoltà
anche alle amministrazioni pubbliche. Si sostenne, così che la trasposizione
dei processi manageriali e comportamentali dal settore privato al settore
pubblico rappresentasse un adeguato presupposto per il successo delle
imprese pubbliche (Box, 1999; Carroll Garkut, 1996; Newman, Clarke,
1994; Hood, 1991; Metcalfe, 1993). In seguito, diversi autori (Boyne,
1996; Parker, Subramaniam, 1964; Ranson, Stewart, 1994) mostrarono
scetticismo, dimostrando che le peculiarità del sistema pubblico, molto
spesso, prescindono dalle caratteristiche del mondo privato. Si sentì così
l’esigenza di riconsiderare e ripensare sotto una nuova luce le dinamiche
gestionali del settore pubblico. Tale ripensamento si è tradotto nel proliferare di lavori e studi comparativi tesi a chiarire le differenze tra il settore
pubblico e l’ambito privato. Tale sforzo, sebbene non sia ancora concluso
(Boyne, 2002: p. 98), ha supportato le critiche al New Public Management,
affermando che le differenze tra il settore pubblico ed il settore privato sono
talmente evidenti che non risulta corretto trasferire acriticamente le pratiche
manageriali private al settore pubblico. A tal proposito, una principale
differenza fra il management privato ed il management pubblico è stata
sottolineata da Clarkson (1980), il quale ha affermato che nell’impresa
privata il management rappresenta un input produttivo e la sua efficienza
ha un riscontro positivo sul mercato, mentre nell’impresa pubblica la distribuzione delle abilità manageriali denota una minore corrispondenza con
il suo valore come input produttivo.
Accanto a tale affermazione, anche Boyne (2002: p. 98) asserisce che
“the injunction that public managers can learn useful lessons from private
managers is worthy of serious, but cautious, consideration”, ossia se da
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Azienda Pubblica 4.2008
Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
un lato è vero che il settore privato è fondamentalmente diverso dal settore
pubblico, dall’altro lato è vero che esiste un punto di incontro nel quale il
settore pubblico può trarre lezioni da quello privato. Come si è già avuto
modo di evidenziare, ambito pubblico e privato mostrano differenze riassumibili in un sistema di variabili, diversamente combinate fra loro, che
sintetizzano la relazione esistente tra l’operare del management e la natura
stessa dell’impresa.
Questo sistema di variabili (figura 2) comprende in primo luogo la diversità della struttura dell’organizzazione, i valori del management al suo
interno, nonché gli obiettivi propri dell’organizzazione considerata.
Figura 2 – Le variabili ambientali
A MBIENTE P OLITICO
Variabili Ambientali
Struttura
Valori
Management
Obiettivi
B UROCRATIZZAZIONE
F ORMALIZZAZIONE
A TTITUDINI
C OSTUMI
C ONSUETUDINI
S TAKEHOLDER
Fonte: Elaborazione propria
Relativamente alla prima variabile, la diversa struttura organizzativa, è
comunemente noto che le organizzazioni appartenenti al settore pubblico
risentono, in misura superiore rispetto alle imprese private, della burocratizzazione e della formalizzazione delle regole e dei comportamenti, talvolta in un senso definito addirittura “patologico” (Bozeman, Scott, 1996),
con profonde ripercussioni nei processi decisionali sia in termini di minor
flessibilità ed adattabilità che di maggiore avversione al rischio (Bozeman,
Kingsley, 1998; Farnham, Horton, 1996; Fottler, 1981).
Con riguardo ai valori del management si pone in risalto come le
attitudini, i costumi, le consuetudini e le aspirazioni dei manager pubblici
mostrano notevoli differenze rispetto ai manager privati. In merito, vari studi
e ricerche empiriche (Khojasteh, 1993; Rayney, 1982; Rawls et al., 1975;
Wittmer, 1991) hanno dimostrato che i manager appartenenti alle organizzazioni pubbliche sono meno materialisti e meno motivati al perseguimento
di ricompense economiche rispetto ai manager appartenenti ad imprese
Azienda Pubblica 4.2008
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Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
private, tanto da affermare che l’adozione di metodi del tipo performancericompensa monetaria all’interno delle organizzazioni pubbliche non è
proficua (Boyne, 2002). Di diverso avviso, invece, altri autori che hanno
sostenuto come non vi siano differenze rilevanti in tal senso (Poster, Schmidt,
1982; Gabris, Simo, 1995).
In questa cornice, l’operare del management pubblico è assoggettato
ad una maggiore condizione di instabilità, dovuta alla costante pressione
dettata dalle dinamiche politiche del Paese nel quale l’organizzazione è
inserita (Bozeman, 1987), nonché da una minor condizione di efficienza
competitiva tipica invece dell’ambiente privato (Boyne, 1988; Stewart,
Ranson, 1988; Nutt, Backoff, 1993). Tener conto di tali aspetti ribadisce
la condizione secondo la quale le organizzazioni a carattere pubblicistico
sono fortemente vincolate sia nelle loro prospettive di successo che nel
loro libero agire (Nutt, 1999: p. 306), esprimendo ancora una volta la
differenza degli elementi di cui l’impresa pubblica deve tener conto in sede
decisionale rispetto a quanto avviene per i processi di scelta implementati
nelle imprese private.
In relazione alla variabile collegata agli obiettivi propri dell’organizzazione, alcuni Autori hanno posto l’accento sul fatto che tra gli obiettivi delle
imprese pubbliche e le finalità delle imprese private il management risente,
in misura differente, dei presupposti di responsabilità ed equità (Ferlie et al.
1996; Flynn, 1997). Ciò è direttamente collegato al diverso peso esercitato
dagli stakeholder delle imprese pubbliche, le cui istanze rappresentano per
il management un aspetto di primaria importanza. In questo quadro, gli
obiettivi dell’impresa pubblica hanno uno spettro d’azione più vasto rispetto
all’impresa privata (Farnham, Horton, 1996), rappresentando addirittura
una maggior genericità di individuazione (Nutt, Backoff, 1993), poiché
risentono dei processi politici e pubblici di varia natura.
Sulla base di tali considerazioni, i generali processi di scelta nelle imprese
pubbliche scomposti idealmente in fasi distinte, così come avviene anche per
lo sviluppo delle decisioni nelle imprese private, si articolano in step fondamentali che, al loro interno, racchiudono altrettante operazioni. Tali step si
distinguono nella fase di intelligence, la fase di design e la fase di choice
(Di Marco, 2002: p. 196) e vanno dalla raccolta delle informazioni, alla
valutazione delle alternative, all’implementazione della decisione. Questa
elencazione è da intendersi come esemplificativa e non esaustiva giacché
le stesse fasi, come già accennato, al loro interno contengono altrettante
operazioni che concorrono al loro sviluppo. Più in generale, la raccolta delle
informazioni rappresenta il supporto indispensabile per la definizione delle
problematiche peculiari circa la rilevanza e la natura dei problemi che l’impresa pubblica è chiamata a risolvere (Hinna et al., 2006: p. 35). Questo
avviene attraverso la raccolta delle informazioni che stanno alla base della
conoscenza delle richieste degli stakeholder e in questo quadro lo sviluppo
tecnologico ha ampliato e diffuso la mole informativa a disposizione dei
decisori pubblici, oltre che gli strumenti stessi per potervi arrivare.
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Azienda Pubblica 4.2008
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Esperienze innovative
Nella fase della valutazione delle alternative, si tiene conto dell’individuazione delle politiche da attuare, in ragione degli obiettivi da perseguire
definiti dallo step precedente e sulla base, anche, delle possibili conseguenze in termini di costi e benefici. In questo senso, la valutazione è tesa
al raggiungimento di un bilanciamento fra le esigenze degli stakeholder e
la spesa sopportata dall’impresa ed anche per questa fase l’ausilio della
tecnologia rappresenta un mezzo in grado di velocizzare le operazioni e
ridurre le possibilità di errore.
Infine, l’implementazione della decisione si realizza attraverso le modalità
operative con il coinvolgimento di soggetti, tecniche e, anche in questo caso,
di tecnologie, in un’ottica che presuma e comprenda la libera discrezionalità
di azione del manager pubblico.
In questo scenario, la tendenza al “successo” di una scelta è strettamente
connessa con la concreta compartecipazione degli stakeholder attraverso la
negoziazione e la possibilità di esercizio effettivo della discrezionalità del
manager pubblico attraverso la delega. Tutto ciò in una cornice che tenga
conto degli elementi sopra elencati ovvero degli obiettivi, dei mezzi, della
struttura organizzativa e dei valori del management.
Il connotato di “successo”, sopra menzionato, si fonda sui principi
di efficienza, efficacia e qualità, ossia sui presupposti della razionalità
organizzativa (Usai, 2000). Tali presupposti derivano dalla capacità di
interazione, integrazione e sinergia all’interno dell’impresa prevedendo
l’attivo coinvolgimento delle competenze interne e l’effettiva collaborazione
delle tecnostrutture presenti. Tutto ciò, evidentemente, necessita di adeguati
livelli di flessibilità della struttura organizzativa, per rispondere in maniera
dinamica ai mutamenti e alle esigenze che si manifestano. Fondamentale
diviene pertanto la discrezionalità del decisore, pervenuta dal legislatore o
dall’organo a lui immediatamente superiore. Il potere di delega trova una
sua corretta applicazione in un’ottica di maggiore responsabilizzazione
(Mulgan, 2000) e di connessione diretta tra il decisore e la decisione stessa.
In questo modo, attraverso la delega si rende concreto il decentramento,
in applicazione del principio di sussidiarietà e in contrapposizione alla
persistente e tenace condizione di burocratizzazione.
La reale acquisizione e l’effettivo esercizio del potere di delega consentirebbero un processo di gestione dell’azione strategica più snello e tempestivo, semplificando i livelli e i passaggi burocratici, riducendo l’ambiguità
e concorrendo alla migliore utilizzazione delle risorse e delle competenze
presenti all’interno dell’impresa pubblica.
5. La proposta di un modello di studio
All’inizio degli anni ’90, nella prospettiva di un miglioramento della flessibilità delle strutture organizzative delle entità pubbliche, il legislatore ha
introdotto interessanti provvedimenti normativi relativi all’esigenza di avviare
una sostanziale riorganizzazione e un completo ripensamento delle strutture
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Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
organizzative nel settore pubblico, attraverso il decentramento delle attività e
l’attenzione ai meccanismi tipici del mercato (Meneguzzo, 1997). Ciò nonostante, la discrezionalità di scelta del decisore pubblico ha continuato a risentire dell’esistenza di forti vincoli burocratici, rappresentando più un aspetto di
forma che di sostanza. In questo senso si è avvertita una posizione definibile
quasi di “arrendevolezza” e di passiva remissione da parte di molti manager
pubblici che è dipesa, probabilmente, dall’impossibilità di fronteggiare una
resistenza culturale che ancora qualifica le dinamiche del settore pubblico.
Tutto ciò ha continuato ad alimentare l’aspetto burocratico con l’effetto di
ridurre, di fatto, l’autonomia manageriale (Allison, 1984) e, al contempo, di
generare un minor commitment manageriale nelle imprese pubbliche rispetto
alle imprese private (Buchanan, 1974, 1975; Zeffane, 1994).
Evidentemente, il legame fra le dinamiche decisionali dei manager
pubblici e la loro apparente discrezionalità rappresenta uno dei nodi da
sciogliere qualora si voglia, in maniera concreta, tendere a programmi di
azioni strategiche in grado di ricondurre a quel processo di cambiamento
necessario alla costruzione di una “buona governance” (Siniscalchi, 2006).
Con tale espressione si intende il rispetto da parte degli istituti pubblici
di una serie di principi (1) stabiliti secondo i presupposti dell’efficienza e
dell’efficacia, in grado di tendere a risultati di successo.
Nel tentativo di risoluzione delle citate problematiche, il dibattito accademico si è concentrato prevalentemente sull’individuazione di modelli
alternativi di accountability (Ferlie et al., 1996: p. 195), con l’intento di
proporre agli attori coinvolti nei processi decisionali strumenti adeguati per
affrontare il difficile compito di conciliare l’interesse esterno, cioè il ruolo
degli stakeholder, con quello istituzionale, proprio dell’attore pubblico.
Alla luce delle considerazioni finora indicate, l’ipotesi del modello di
studio che segue è costruita sull’esigenza di porre in essere processi di
decisione in ambito pubblico orientati al raggiungimento di risultati di
efficienza ed efficacia, sostenibilità sociale ed ambientale, etica ed equità,
qualità, sussidiarietà, ma anche di competitività in un’ottica di limitazione
degli effetti negativi derivanti dalla burocratizzazione. Inoltre, lo sviluppo di
tale modello si colloca all’interno dello scenario di riferimento definito con
l’espressione di ambiente politico, così come prima specificato, in modo
che i “limiti” prodotti dall’ambiente nonché le caratteristiche proprie della
struttura organizzativa vengano tenuti nella dovuta considerazione.
In questo quadro, la formulazione di un modello consente di individuare
quali siano gli elementi che più di altri, da un lato, influenzano negativamente il buon andamento degli esisti decisionali in ambito pubblico e,
dall’altro lato, inficiano la possibilità di perseguire i risultati di efficienza
ed efficacia attesi.
Immaginare di collocare uno scenario decisionale complesso all’inter-
1 Si vedano al proposito i lavori del Comitato Public Management (PUMA/OECD, 2001).
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Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Esperienze innovative
no di un modello rappresentativo teorico permette, sia a livello descrittivo
che normativo, di spiegare quali condizioni di funzionamento assumono
un’utilità specifica per lo sviluppo della “buona governance” (Siniscalchi,
2006) in ambito pubblico. In tal senso il modello, da un lato, rappresenta
una semplificazione della complessità del reale e, dall’altro lato, disegna
possibili evoluzioni dei processi decisionali.
Allo stesso tempo, l’ipotesi di un modello stimola l’interesse allo sviluppo di ulteriori indagini, riconducibili alle varie categorie di istituti pubblici
che evidentemente differiscono tra loro per struttura, organizzazione e
competenze, e che all’interno di questo modello, invece, sono riassunti in
un’ottica generalista e semplificatoria. Ciò significa che il modello costruito
sui framework teorici proposti prescinde dai caratteri di specificità propri
di qualsiasi entità pubblica, concentrandosi solo su alcuni elementi di fondo rinvenibili nelle imprese pubbliche generalmente considerate. In questo
modo, il modello consente di far emergere una raffigurazione sinottica
della realtà ed una ricostruzione schematica che delimita i possibili scenari
di sviluppo dei processi di decisione, focalizzando i fattori chiave e le
connessioni che avvengono fra questi, all’interno dell’ambiente politico.
Non va neppure trascurato il fatto che in questa raffigurazione l’ambiente
politico, con l’insieme di vincoli ed opportunità che influenzano lo sviluppo
dei processi di decisione, mostra una condizione di complessità che risente
del presupposto di visibilità sociale dei comportamenti e dei risultati dell’istituto pubblico, nonché della politicizzazione intesa come l’impossibilità di
conciliazione assoluta della moltitudine di interessi esistenti fra i vari stakeholder. Allo stesso tempo anche altre caratteristiche più strettamente legate
alla struttura dell’impresa pubblica, piuttosto che alle variabili ambientali,
assumono una particolare rilevanza in sede decisionale, quali ad esempio
la valenza autoritativa, intesa come l’esercizio di una serie di poteri (quali
ad es. la magistratura, o l’autorità fiscale), o la personalizzazione riferita
a particolari organizzazioni pubbliche che forniscono servizi diretti alla
persona (come ad es. gli ospedali). In aggiunta, esistono particolari tipi
di imprese pubbliche che offrono una considerevole varietà nei servizi (es.
Comuni), ed altre ancora che affrontano la competizione da parte di altri
istituti e organizzazioni dello stesso tipo o provenienti dal settore privato
(Rebora, Meneguzzo, 1990: p. 47 e segg.).
Tutte queste caratteristiche, insieme alla veste fortemente normata dell’ambito di azione delle imprese pubbliche, assumono, per queste ultime, aspetti
preponderanti nell’assunzione delle decisioni strategiche.
Tenendo conto di tali argomentazioni, il modello di studio si basa su una
prospettiva di equilibrio bidimensionale, ovvero sul corretto coordinamento
di due variabili: il coinvolgimento degli stakeholder da un lato e l’esercizio
della libera discrezionalità del manager pubblico dall’altro, in una visione
che calibri in maniera efficace la polarizzazione del potere manageriale
e riduca il peso della condizione burocratica (figura 3). Si noti che tali variabili sono solo astrattamente individuabili, in quanto tra loro strettamente
interrelate e reciprocamente influenti.
Azienda Pubblica 4.2008
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Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Figura 3 – Modello bidimensionale
II
I
discrezionalità
Ambiente Politico
polarizzazione
III
Partecipali stakeholder
IV
burocratizzazione
Fonte: Elaborazione propria
La prima dimensione del modello è misurata dal peso e dal ruolo assunto
dagli stakeholder nello sviluppo del processo di decisione. In questo senso,
il sistema di relazioni che si deve instaurare fra i manager e gli stakeholder
assume una particolare rilevanza. L’orientamento alla partecipazione attiva
degli stakeholder nei processi decisionali dell’impresa pubblica rappresenta
un elemento “emergente di un nuovo modo di concepire gli istituti pubblici
quali attori che valorizzano la partecipazione come fattore che caratterizza
la propria attività amministrativa e che contribuisce a creare legittimazione
istituzionale” (D’Angelo, 2004: p. 2). Questo nuovo modo di concepire il
ruolo svolto dagli istituti pubblici è il risultato coerente del superamento del
paradigma del New Public Management, dell’attenzione al paradigma
della governance, dell’affermazione del principio di sussidiarietà verticale
ed orizzontale, della tendenza all’europeizzazione delle politiche pubbliche
nonché del coinvolgimento del settore privato nelle dinamiche pubbliche.
Gli istituti pubblici, in tal senso, hanno esteso i propri processi di definizione
della condotta aziendale anche all’esterno delle proprie strutture, attraverso
la partecipazione diretta di diverse categorie di portatori di interesse, orientando le proprie decisioni strategiche al perseguimento di risultati migliori per
il soddisfacimento dei bisogni collettivi. Questa nuova prospettiva consente
che ai tradizionali organi di governo delle imprese pubbliche vengano affiancate nuove figure di rappresentanza dei bisogni e degli interessi collettivi
(Cristofoli, Valotti, 2004: p. 1), ridisegnando e concependo un nuovo supporto decisionale al management pubblico. In questo quadro, è necessario
che alcuni presupposti di base siano sviluppati e incoraggiati. I processi di
decisione saranno tanto più efficaci quanto più deriveranno da un processo
di acquisizione innovativo attraverso una giusta interpretazione dei bisogni
493
Azienda Pubblica 4.2008
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Esperienze innovative
dei vari stakeholder. Il principio di sussidiarietà, in tal senso, si affermerà
“come principio regolatore delle diverse forme di partecipazione alla vita
sociale nei diversi livelli di governo…, sia in senso verticale che orizzontale,
si lega da un lato ai processi di decentramento dei poteri e delle responsabilità e, dall’altro, ai processi di decentramento organizzativo in un’ottica
allargata…” (Bubbico et al., 2006: p. 41). Anche lo schema istituzionale
che regola sia l’attività degli istituti pubblici sia il quadro delle relazioni tra
gli enti, manifesta, quasi sempre, nel proprio funzionamento un’ampia area
di discrezionalità decisionale anche del tipo che in economia aziendale
si conviene ormai di denominare ‘strategica’ (Rebora, Meneguzzo, 1990:
p. 4). Questo significa che i processi di pianificazione strategica possono
essere edificati associando a logiche di razionalità (March, Simon, 1958)
e di incrementalismo (Lindbloom, 1980; Braybrooke, Lindbloom, 1963)
logiche riferite al ruolo ricoperto dagli stakeholder dell’impresa pubblica.
Questa logica è descritta da Rebora (1999) con l’espressione di modello
umanistico. Più precisamente, la presenza dei gruppi di interesse nelle dinamiche decisionali dell’impresa pubblica denota una tendenza democratica,
partecipativa e decentrata che in parte si discosta da logiche razionali basate
essenzialmente sulla “struttura economico-organizzativa dell’amministrazione
stessa e dall’orientamento cognitivo degli individui” (Hinna et al., 2006: p.
34). Evidentemente, il riferimento ai ‘decisori’ nell’impresa pubblica, quali
attori chiave chiamati ad implementare processi di pianificazione strategica,
deve essere inteso in un’accezione ampia che coinvolge interpreti interni
ed esterni all’organizzazione.
La seconda dimensione del modello è rappresentata dalla “discrezionalità” del decisore ed è influenzata dalla contemporanea presenza di
differenti esigenze, tra le quali emergono la necessità di “ascoltare” i diversi
stakeholder e la prevalenza dell’interesse generale su quello particolare.
L’esigenza indicata nel primo punto è relativa al fatto che la discrezionalità dei manager non può essere esercitata pienamente poiché viene di fatto
influenzata sia dal “ruolo attivo”, sia dal “ruolo passivo” esercitato dagli
stakeholder nell’assunzione delle decisioni dell’impresa pubblica. Il ruolo
attivo viene esercitato ogni qualvolta gli stakeholder vengono coinvolti direttamente nei processi decisori. Quello passivo, invece, indica la circostanza
nella quale gli stakeholder “subiscono” le decisioni assunte da altri soggetti.
In entrambi i casi, tuttavia, i decisori devono necessariamente tenere presenti
le diverse esigenze e i differenti ruoli dei portatori di interesse.
L’esigenza evidenziata col secondo punto deriva dalla superiorità
dell’interesse collettivo nei confronti di quello di una ristretta minoranza di
soggetti. Tale circostanza indica l’impossibilità del perseguimento della “soddisfazione universale”. In altri termini, l’esercizio del potere decisionale da
parte dei manager implica la penalizzazione di alcuni interessi particolari,
in luogo di quello generale, con la conseguente insoddisfazione di alcune
categorie di stakeholder e soddisfazione di altre. Ogni decisione, infatti,
risulta essere frutto di una negoziazione tra interessi diversi e, talvolta, tra
loro contrapposti.
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Esperienze innovative
Mangement delle imprese pubbliche: processi decisionali
Il modello proposto tende, dunque, a valutare la combinazione migliore
delle due variabili evidenziate. La combinazione migliore tra le esigenze
sopra riportate contrasta la condizione di burocratizzazione, derogando
dunque ai lunghi processi di formalizzazione che rallenterebbero ed inficerebbero i risultati dei processi di decisione. Tra la discrezionalità e la
burocratizzazione esiste una relazione inversamente proporzionale, nel
senso che all’aumentare dell’una, l’altra tende a diminuire. Pertanto, se
la discrezionalità aumenta, la burocratizzazione diminuisce, ma affinché
ciò possa realizzarsi in maniera adeguata è necessaria la creazione di
un sistema di relazioni nel tempo, che consolidi e stabilizzi, da un canto,
il coinvolgimento degli stakeholder nelle dinamiche di scelta e, dall’altro
canto, eserciti la pratica manageriale con il costante esercizio della discrezionalità del manager. Questo dipenderà dalle caratteristiche peculiari
dell’impresa pubblica, dalla sua struttura organizzativa, dall’insieme dei
vincoli e condizionamenti a cui è sottoposta, che evidentemente variano da
impresa ad impresa. In questo quadro, il modello proposto necessiterà di
successive indagini empiriche, che testino la sua validità teorica all’interno
delle imprese pubbliche.
Da quanto affermato, risulta intuitivo che il processo decisionale al
quale si dovrà tendere è quello che si colloca all’interno del primo quadrante della figura 3, caratterizzato dal raggiungimento di un equilibrio
positivo e dinamico tra la partecipazione degli stakeholder e l’esercizio
della discrezionalità manageriale. Questa circostanza può essere raggiunta
nel tempo, attraverso un’adeguata e coerente apertura al cambiamento e
all’innovazione, che non può verosimilmente intendersi realizzabile in un
arco temporale breve, ma solo con il consolidarsi delle prassi. Infatti, la
sedimentazione delle pratiche, la diffusione di un’atmosfera cooperativa e di
un clima partecipativo e, soprattutto, la diffusione del consenso tra gli attori
interni al processo di decisione sono frutto di esperienze che maturano nel
tempo e che del tempo hanno necessità per una loro conferma e per una
loro conseguente istituzionalizzazione.
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