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25-02-2008 16:24 Pagina 1 Anno XIII - N.73 -Settembre-Ottobre 2007 Quad73cop1 Anno XIII Bimestrale edito da La Libera Compagnia Padana 73 Settembre-Ottobre 2007 In questo numero: Tibet Catalogna Padania Padani e italiani nella guerra di secessione americana Mario Costa Cardol: articoli La Libera Compagnia Padana Quad73cop2 25-02-2008 16:24 Pagina 2 La Libera Compagnia Padana Quaderni Padani Casella Postale 55 - Largo Costituente, 4 - 28100 Novara E-mail: [email protected] Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Direttore Responsabile: Alberto E. Cantù Direttore Editoriale: Gilberto Oneto Redazione: Alfredo Croci Corrado Galimberti Silvia Garbelli Mariella Pintus Sergio Salvi Carlo Stagnaro Grafica: Laura Guardinceri Sui Quaderni sono stati pubblicati interventi di: Francesco Mario Agnoli, Ettore A. Albertoni, Giuseppe Aloè, Adriano Anghilante, Aureli Argemì, Camillo Arquati, Lorenzo Banfi, Augusto Barbera, Fabrizio Bartaletti, Alessandro Barzanti, Ettore Beggiato, Alina Benassi Mestriner, Claudio Beretta, Daniele Bertaggia, Dionisio Diego Bertilorenzi, Vera Bertolino, Fiorangela Bianchini Dossena, Diego Binelli, Roberto Biza, Giorgio Bogoni, Fabio Bonaiti, Luisa Bonesio, Massimo Bonini, Archimede Bontempi, Romano Bracalini, Nando Branca, Marco Brigliadori, Gustavo Buratti, Beppe Burzio, Luca Busatti, Lorenzo Busi, Ugo Busso, Massimo Cacciari, Giulia Caminada Lattuada, Alessandro Campi, Alberto E. Cantù, Antonio Cardellicchio, Mauro Carena, Massimiliano Carminati, Claudio Caroli, Marcello Caroti, Roberto Castelli, Giorgio Cavitelli, Sergio Cecotti, Massimo Centini, Enrico Cernuschi, Leone Chesini, Gualtiero Ciola, Bastianu Compostu, Carlo Corti, Michele Corti, Mario Costa Cardol, Fabrizio Costan Biedo, Giulio Crespi, Alfredo Croci, Pierluigi Crola, Mauro Dall’Amico Panozzo, Roberto De Anna, Alain De Benoist, Antonio De Felip, Lorenzo Del Boca, Massimo De Leonardis, Alexandre Del Valle, Corrado Della Torre, Rolando Di Bari, Alessandro D’Osualdo, Marco Dotti, Costantino Fabris, Giovanni Fabris, Leonardo Facco, Gigi Ferrario, Rosanna Ferrazza Marini, Alberto Filippi, Davide Fiorini, Giovanni Fontana, Marco Formentini, Roberto Formigoni, Alberto Fossati, Eugenio Fracassetti, Sergio Franceschi, Elio Franzin, Carlo Frison, Giorgio Fumagalli, Corrado Galimberti, Stefano Galli, Silvia Garbelli, Giorgio Garbolino Boot, Pascal Garnier, Mario Gatto, Ottone Gerboli, Michele Ghislieri, Marco Giabardo, Davide Gianetti, Renato Giarretta, Guido Giovannetti, Giacomo Giovannini, Roberto Gremmo, Flavio Grisolia, Michela Grosso, Paolo Gulisano, Joseph Henriet, Hans Hermann Hoppe, Matteo Incerti, Thierry Jigourel, Eva Klotz, Luca Lanzini,Sarah Lawrence, Donata Legnani Maggi, Alberto Lembo, Pierre Lieta, Roberto Locatelli, Gian Luigi Lombardi Cerri, Carlo Lottieri, Pierluigi Lovo, Silvio Lupo, Berardo Maggi, Aldo Marocco, Antonio Martino, Andrea Mascetti, Pierleone Massaioli, Cristian Merlo, Sirola Metella, Ettore Micol, Gianfranco Miglio, Leo Miglio, Giogio Milanta, Giancarlo Minella, Alberto Mingardi, Renzo Miotti, Piergiorgio Mirandi, Franco Miroglio, Aldo Moltifiori, Maurizio Montagna, Costantino Morello, Giuseppe Motta, Giorgio Mussa, Andrea Olivelli, Gilberto Oneto, Giancarlo Pagliarini, Ugo Palaoro, Paolo Pamini, Alessia Parma, Patrizia Patrucco, Mario Predabissi, Elena Percivaldi, Angelo M. Petroni, Mariella Pintus, Daniela Piolini, Guglielmo Piombini, Giulio Pizzati, Francesco Predieri, Quirino Principe, Ausilio Priuli, Leonardo Puelli, Alberto Quadrio Curzio, Laura Rangoni, Igino Rebeschini-Fikinnar, Romano Redini, Patrick Riondato, Andrea Rognoni, Rocco W. Ronza, Giuliano Ros, Maurizio G. Ruggiero, Sergio Salvi, Oscar Sanguinetti, Rossana Sapori, Lamberto Sarto, Gianni Sartori, Gianluca Savoini, Massimo Scaglione, Laura Scotti, Ermanno Serrajotto, Alessandro Severi, Leo Siegel, Marco Signori, Giovanni Simonis, Stefano Spagocci, Marcello Staglieno, Carlo Stagnaro, Alessandro Storti, Silvano Straneo, Giacomo Stucchi, Stefano Talamini, Candida Terracciano, Tito Tettamanti, Stefano Tomiato, Mauro Tosco, Fabio Trabucco Ratto, Claudio Tron, Nando Uggeri, Fredo Valla, Ferruccio Vercellino, Giorgio Veronesi, Antonio Verna, Alessio Vezzani, Alessandro Vitale, Eduardo Zarelli, Davide Zeminian, Antonio Zòffili, Marino Zorzi. Spedizione in abbonamento postale: Art. 2, comma 34, legge 549/95 Stampa: Ala, via V. Veneto 21, 28041 Arona (NO) Registrazione: Tribunale di Verbania: n. 277 I «Quaderni Padani» raccolgono interventi di aderenti a “La Libera Compagnia Padana” ma sono aperti anche a contributi di studiosi ed appassionati di cultura padanista. Le proposte vanno indirizzate a: La Libera Compagnia Padana. Il materiale non viene restituito. Periodico Bimestrale Anno XIII - N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Tibet Catalogna Padania - Corrado Galimberti 1 Padani e italiani nella guerra di secessione americana - Gilberto Oneto 6 ● Mario Costa Cardol: articoli pubblicati su “La Padania” Albanesi, italiani per sole mille lire “La Padania”, 26 aprile 1998 Un “Eurorigurgito” di Grandeur “La Padania”, 3 giugno 1998 Monza, 1900: “A morte il tiranno!” “La Padania”, 29 luglio 1998 L’unità d’Italia? Davvero un magro affare “La Padania”, 19 agosto 1998 La marina italiana, un mito da sfatare “La Padania”, 16 e 20 settembre 1998 Schizzi alla brava sull’invasione del nostro continente da parte dei popoli extra-europei “La Padania”, 7, 14 e 21 febbraio 1999 L’Asse Roma-Berlino? Concepito nel 1919 “La Padania”, 3 marzo 1999 Farini e Cassinis, due tragedie all’italiana “La Padania”, 28 aprile 1999 Emigrazione padana “La Padania”, 23 e 30 giugno 1999 Biblioteca Padana La Rubrica Silenziosa 24 27 29 32 34 37 43 45 47 51 52 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 1 Tibet Catalogna Padania di Corrado Galimberti C i sono popoli che hanno subito, e stanno tuttora subendo, le peggiori nefandezze mente umana possa concepire, ma che resistono a testa alta contro coloro che li vogliono spazzar via, a volte fisicamente, più spesso culturalmente e socialmente, assimilandoli al modus vivendi di altri. Ci sono popoli che, probabilmente, posseggono una marcia in più rispetto ad altri. Per ragioni culturali, religiose, storiche, politiche – certo ma le cause non modificano questo dato di fatto. Una qualità che alcuni hanno, e molti altri hanno perso o non hanno mai avuto, si chiama dignità. E la dignità contempla tutta una serie di altri vantaggi grazie ai quali un popolo, anche di fronte a un governo cinico e aggressivo, a forze di polizia violente, a un esercito disumano - anzi no, molto umano, dal momento che gli animali certe nefandezze non possono proprio concepirle - anno dopo anno, decennio dopo decennio, sa alzare la testa e andare orgoglioso delle proprie specificità. E le coltiva. Non le vende per un piatto di lenticchie in cambio del quieto vivere, del benessere materiale, del “noncipossofarenienteioquindicosacambia”. Ci sono persino popoli che, per difendere se stessi, sono disposti ad andare in galera in massa. Spiace doverlo ammettere. Brucia terribilmente. Ai più sensibili verrà da piangere. Ma vista la situazione attuale, bisogna constatare che tra questi popoli non ci sono i padani. Le vicende degli ultimi anni, con una Lega impresentabile da un punto di vista autonomista (per non parlare di progetti di secessione), alleata con forze che hanno nel nome stesso la negazione di ogni identità locale (cos’altro dire di Forza Italia?) e assente da tutto quanto possa ricondurre alla difesa delle tradizioni, lo ha confermato palesemente. Invece, tra i popoli dotati di una certa dignità ci sono, ad esempio, i tibetani. L’articolo di Roberto Locatelli, pubblicato sul numero 71 dei Quaderni Padani, tratteggia perfettamente il dramma del Tibet. Ma al peggio non c’è mai limite. È notizia recente che in queAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 sti mesi altri 350 mila tibetani sono stati trasferiti a forza dai loro villaggi rurali in ridenti “villaggi socialisti”. Nessuno fiata, nessuno protesta, nessuno indice manifestazioni. Ci mancherebbe altro. I tibetani sono religiosi. Non sono ricorsi alla resistenza armata. Sono legati così profondamente alle proprie tradizioni che le anime bella della sinistra li considerano decisamente reazionari. Ma a giudizi tanto generosi si sommano gli sguardi di compassione della destra economica, che non capisce proprio come un popolo possa sottrarsi alla corsa al superfluo messa a punto dalla modernità e rifiuti caparbiamente di diventare schiavo del consumismo e della globalizzazione, ormai diventate religioni obbligatorie in tutto il mondo occidentale. E poi l’anno prossimo la Cina ospiterà le Olimpiadi. Quell’immenso gulag a cielo aperto dal nome di Repubblica popolare, che permette agli imprenditori europei di produrre merce sottocosto in favore degli occidentali dal cuore d’oro, ma dal braccino corto, facendo lavorare masse di schiavi, va sempre giustificata. Del resto la Cina è diventato un eccezionale laboratorio per il liberismo di mercato “versione occhi a mandorla”: un’economia che non viene tanto mossa dalla domanda e dall’offerta, quanto stimolata dal manganello e dalle scosse elettriche. Dal 1950 di tibetani ne sono già morti un milione e 220 mila. Non si sono spenti dopo lunga malattia. Sono stati aiutati dagli invasori cinesi. Nel 2007 l’etno e il genocidio procedono a ritmo serrato, anche grazie a quei paesi dove regna (in teoria) la democrazia parlamentare, ma dove si acquistano ogni giorno prodotti made in China. Sarà bene tenerlo presente, perché se tutti noi rinunciassimo ad acquistare i prodotti fabbricati in Cina, quel paese verrebbe messo in seria crisi nel giro di poco tempo. Si chiama boicottaggio. Tanto, per dirsi amici del Tibet è sufficiente solidarizzare a parole col Dalai Lama – che con quella sorta di saio marrone e rosso è tanto naif e fa audience - e invitarlo a “Domenica in” quando visita l’Europa per poter vivere come sempre, all’insegna del motto “tutto va beQuaderni Padani - 1 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 2 Il Dalai Lama ne, madama la marchesa”. Che del resto, unito all’italico “Franza o Spagna basta che se magna” sono le linee guida della ridente e soleggiata Repubblica italiana. Le autorità cinesi, che sanno mentire bene come quelle tricolori, sostengono che i 250 mila tibetani sfrattati sono stati trasferiti per il loro bene, per avvicinare pastori e contadini alle principali arterie stradali e facilitare loro la vita. Un modo sottile per distruggere il tessuto sociale, religioso e culturale del Tibet consiste infatti non solo nel demolire monasteri, incarcerare monaci, stuprare monache (non indossano il burka quindi i progressisti non hanno nulla da eccepire, anzi ben gli sta a queste bigotte baciapile in versione buddista), vietare di praticare la propria religione e parlare la propria lingua. Consiste anche nella devastazione del territorio tibetano, sul quale si vanno costruendo strade e autostrade anche a 4.000 metri, in modo tale non solo da distruggere il territorio e soffocarlo di rumori e cemento laddove hanno sempre regnato il silenzio e l’armonia, cardini della riflessiva religione del buddismo tibetano, ma servono anche a portare immigrati - naturalmente cinesi - che riducano in minoranza la popolazione 2 - Quaderni Padani locale. L’organizzazione umanitaria Human Right Watch ha riferito che la casa nel villaggio socialista, i tibetani sfrattati se la devono pure pagare. E sono obbligati a contrarre mutui di 4.000 euro, una cifra enorme per un popolo con un reddito medio di 200 euro l’anno. Inoltre, come i coloni americani sterminarono i bisonti per ridurre gli indiani alla fame e minarne la cultura, così i cinesi hanno costruito le case senza stalle per gli yak, quei simpatici quadrupedi pelosi dai quali i tibetani dipendono per il loro sostentamento. Non perché se li mangino – molti tibetani la pensano come George Bernard Show, il quale diceva che gli animali erano suoi amici, e lui, i suoi amici non se li mangiava - ma perché col burro di yak, mescolato all’orzo tostato, si prepara il piatto nazionale tibetano. Geniali, i cinesi. Hanno inventato i deportati che si devono pure pagare vitto e alloggio nel luogo di deportazione. Per continuare con la repressione, che ha sortito notevoli risultati nelle città, ora la battaglia di sradicamento si sta concentrando nelle campagne. Perché è nei villaggi rurali che la cultura tibetana resiste nonostante la repressione rossa. I tibetani non mollano. Si fanno imprigionare. Si fanno stuprare. Si fanno uccidere. Tutto per non diventare cinesi, atei e mangiacani. Tutto questo dovrebbe far inorridire, ma per il padano medio, tutto casa e bottega, tecnologia e lavoroproducopagopretendo, forse è pure incomprensibile. Negli ultimi vent’anni, in Tibet, nonostante un regime comunista soffocante e violentissimo, si sono succedute più di 100 dimostrazioni contro l’occupazione del regno himalayano. Risultato: oltre 450 morti e migliaia di persone in prigione per difendere la propria terra. Nessuno ce lo racconta mai, mentre se in Medio Oriente qualcuno viene fatto saltare per aria dobbiamo sorbirci litanie e peana per giorni interi al Tg e su tutti i giornali politicamente corretti. Però anche in Padania - fatte le debite proporzioni - abbiamo avuto i nostri tibetani. E sorge spontanea una domandina, visto che quest’anno si celebra il decimo anniversario di un gesto eroico, di cui nessuno parla più. In quanti, nel 1997, sono scesi in piazza per solidarizzare con i Serenissimi che occuparono il campanile di San Marco a Venezia? In quanti hanno scritto una sola riga ai patrioti veneti ospiti delle galere tricolori? In quanti hanno protestato di fronte alle imAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 3 magini degli sbirri italioti che gettavano sprezzanti a terra la bandiera col Leone di San Marco? Figurarsi. C’era il 740 da compilare. Del resto, vista anche la grande progettualità autonomista della Lega Nord, i padani scendono in piazza solo se c’è da protestare per ragioni di pronta cassa. E tutto ciò sembra francamente deprimente. In Padania, anche a causa del partito che ha fatto tabula rasa in tema di tutto quanto possa profumare di autonomismo, che ha disorientato i cittadini autonomisti e secessionisti, che sotto il profilo del recupero identitario ha prodotto più danni del più italico tra i nazionalisti italici si pensa che, una volta ottenuta l’autonomia fiscale (e tra l’altro non si riesce ad avere manco quella) la Padania rinascerà e il Sole delle Alpi tornerà a splendere. Però, per quanto siano importanti, anzi fondamentali, le tematiche legate all’economia, un popolo non resuscita solamente grazie a un maggior benessere economico e all’amministrazione delle tasse che riesce a trattenere in loco. Anzi. Basti pensare agli slovacchi, nostri fratelli ai gloriosi tempi dell’Impero (asburgico, naturalmente), che si sono separati dalla Cechia pur sapendo che le loro condizioni economiche sarebbero peggiorate. Ma gli slovacchi hanno ritenuto evidentemente più importante che i colori della loro bandiera brillassero in modo più intenso delle monete che potevano condividere con Praga. Questa visione del mondo in Padania purtroppo non passa. Oltre ad attirarsi facili e abusate critiche da parte di chi accusa i padani di egoismo, se si parla solo ed elusivamente di economia e federalismo fiscale, non si accede all’Olimpo dove siedono i rappresentanti dei popoli in lotta per la propria identità. E a riprova di questo elementare osservazione va ricordato che la Lega Nord è stata espulsa dal gruppo che a Bruxelles raggruppa i movimenti autonomisti e secessionisti d’Europa perché si era (ed è) alleata con forze che perseguono esattamente il contrario della difesa delle piccole patrie. Un’espulsione perfettamente legittima e doverosa, perché quando un leghista definisce i sostenitori del recupero delle lingue dei nostri padri “quelli del dialetto” (come Bossi chiamò sprezzante chi contestava già molti anni fa la sua svolta filotricolore ) non può fare molta strada. Anche se ottiene molti voti. Per invertire la tendenza nichilista antipadana servirebbe qualche gesto forte guidato da qualche autonomista vero, oltre a un progetto artiAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 colato e studiato insieme alle menti più brillanti rimaste in campo. 60 anni fa, il 16 dicembre 1947, 500 sudtirolesi occuparono la prefettura di Bolzano per protestare contro la politica di italianizzazione del Sudtirolo. Ma perché nessun politico organizza un’iniziativa simile? Perché nessuno tra coloro che siedono in Parlamento mette a punto iniziative concrete per chiedere di mettere un argine alla politica di assimilazione perpetuata dal centralismo romano? Certo, le manifestazioni non sono sufficienti, e servirebbe un progetto simile quello messo a punto da Gianfranco Miglio negli anni della speranza della rinascita padana. Ma dove sono quei politici che in questi anni avrebbero potuto e dovuto allacciare rapporti e contatti con i movimenti secessionisti d’Europa, lavorare attivamente in organismi come Alpe Adria e Arge Alp, (le comunità di lavoro di molte regioni del centro Europa), pensare a progetti concreti per recuperare la naturale aspirazioni verso la Mitte- Jordi Pujol leuropa delle genti padano-alpine, stringere alleanze con altri movimenti autonomisti presenti e radicati nella Repubblica italiana? Insomma, dove sono tutti quelli che potrebbero elaborare una strategia a tutto tondo per mettere Roma con le spalle al muro? Non si va molto lontano parlando solo di denaro. Quando un cittadino va all’estero, lo si riconosce per la lingua che parla, per le caratteristiche etniche che testimonia con il proprio aspetto fisico e per il modo di comportarsi. Non per il portafoglio più o meno gonfio. Un italiano benestante che vive in una regione padana che trattiene anche tutte le tasse in loco, rimane un italiano. Un padano che a scuola rivendica l’inQuaderni Padani - 3 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 4 segnamento della lingua parlata abitualmente dai suoi antenati, che di fronte a un carabiniere parla il proprio idioma e fa altrettanto in un ufficio postale o al catasto potrà avere anche le pezze al culo. Ma sarà sempre un padano. Lamentarsi - a ragione, intendiamoci bene dell’eccessiva pressione fiscale, delle rapine perpetrate dall’oligarchia romana, degli sprechi impensabili in altri paesi europei e finanziati con il denaro dei contribuenti non è sufficiente se ci si lamenta esclusivamente in italiano o – peggio da italiani. Ovvero lasciando la macchina in doppia fila o sui marciapiedi, raccomandando il figlio perché tanto lo fanno tutti, passando col Umberto Bossi rosso come una volta facevano solo i meridionali, non rispettando la coda al cinema, abbattendo un edificio dell’800 perché una palazzina moderna rende di più, tifando gli Azzurri ai mondiali o Luna rossa. Perché il dramma è che molti padani, oggi, si comportano esattamente come i cittadini di altre assolate zone della Repubblica italiana. E lo fanno perché, contrariamente ai tibetani, hanno perso l’anima. La mancanza di identità produce spesso risultati devastanti sotto molti profili, non solo sotto quello identitario e sociale, ma anche sotto il 4 - Quaderni Padani profilo urbanistico, dove tutto cresce a casaccio, dagli edifici alle infrastrutture che fanno girare l’economia. A chi conosce Monaco di Baviera, Zurigo, Vienna o anche Barcellona e le confronta con Milano o Torino non rimane che una cosa da fare: piangere. Senza pensare a Cinisello Balsamo o a Mestre, che dire ad esempio dell’incuria di centinaia di cascine, modello unico di struttura sociale e famigliare della Padania, che nessuno pensa più di recuperare - perché economicamente poco redditizie - e che vengono sostituire da anonime palazzine per il perfetto lavoratore-pendolare, quello che si deve sorbire tutti i giorni code infinite su tratte autostradali intasate che portano verso città sempre più grandi e sempre più degradate? Invece di avere un orizzonte di bellezza e armonia, mimetizzare gli edifici nella natura come avviene in molti paesi centroeuropei, dove spesso non si nota alcuna differenza tra la cura dei prestigiosi centri storici delle grandi città e le cittadine di periferie, invece di rivendicare un ruolo autonomo non solo in campo fiscale, ma anche culturale e urbanistico, si insegue l’insensata monocultura del mondo contemporaneo occidentale, quello che non ha patrie, ma solo conti in banca. Un mondo aggrappato alla società dell’apparenza, determinato da aspettative di tipo elusivamente economicistico per poter cementificare ancor di più una terra umiliata, sfruttata e vilipesa da italiani e padani rinnegati. La scelta della Lega Nord di fondare una banca è rivelatrice di questa tendenza. Una banca che non è stata concepita per finanziare progetti di sviluppo, cooperazione e integrazione con i paesi centroeuropei, ma per derubare ingenui risparmiatori e arricchire i soliti noti in canottiera e auto blu. Ci sono paesi, in Europa, che sino a due decenni fa erano profondamente arretrati – basti pensare alla Spagna – e che ora brillano invece per efficienza e decoro. Non a caso i movimenti autonomisti e secessionisti presenti nel Regno Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 5 di Spagna, dai Paesi Baschi alla Catalonia, dalla Galizia alle Canarie, alle ultime elezioni amministrative hanno trionfato ovunque. Un milanese che visita non Vienna o Zurigo, ma anche città molto più a sud come Barcellona, torna nel capoluogo lombardo col magone. Con la domanda fissa in testa: perché loro sì e noi no? Ebbene la rinascita della Catalogna, esempio tra i più eclatanti a livello europeo, passa non solo attraverso la fondamentale gestione delle risorse economiche, che ha permesso la rinascita e lo sviluppo della città, ma anche utilizzando le proprie specificità culturali come elemento di distinzione. La globalizzazione, tesa a livellare il mondo secondo un unico modello di gusti e preferenze per poter vendere più facilmente i propri prodotti a una massa di apolidi, certo non aiuta chi vuole ritrovare la propria identità. Ma ordinare una Coca Cola parlando in catalano, e non in castigliano, può fare la differenza. Per non scomparire definitivamente (ammesso non sia troppo tardi) i padani hanno bisogno di emozioni collettive e valori forti. Di coraggio. Servono idealisti e non solo imprenditori, perché i mercanti - che sono sempre stati nell’ultimo posto della scala sociale fino all’avvento della Modernità - hanno la patria là dove macinano utili, e non dove dovrebbe essere il loro cuore. È necessario che chi può - e vuole - organizzi un recupero degli elementi più seri dell’autonomismo, dimentichi rancori e vada al di là di be- Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 ghe di cortile, isterismi e gelosie personali, metta a punto un progetto articolato sfruttando le difficoltà in cui si trova il sistema Italia e coinvolga i movimenti autonomisti e secessionisti più seri presenti in questa Repubblica delle banane e anche quelli di altri paesi che hanno già raggiunto risultati concreti. Inutili credersi i più bravi della classe quando si vede il proprio paese sprofondare nella pummarola invece di vederlo ancorato alle Alpi. Copiare era un brutta cosa quando si andava a scuola. Ora è urgente e necessario andare a ripetizione da catalani e fiamminghi, baschi e nordirlandesi. Ci sono alcuni fermenti che purtroppo non provengono dall’area autonomista, ma che sono comunque degni di attenzione: i presidenti del Veneto e della Lombardia, i sindaci di Torino e Venezia e altri politici di primo piano si stanno muovendo da tempo. Si vuol lasciar fare a loro? Sarebbe un peccato consegnare in mano ai Cacciari le rivendicazioni autonomiste che non cessano di essere presenti in tutta l’area padano-alpina. “Muor giovane colui che al ciel è caro”, quindi certa dirigenza leghista rimarrà a infestare il panorama della politica ancora per parecchio tempo. Ma se non si comincia a lavorare al più presto e seriamente nessuno sarà pronto quando il palcoscenico si sarà liberato dai volgari bidoni dell’autonomismo. Meglio andare a Monaco di Baviera per capire come ridiventare padani e lasciar perdere Pontida. L’inizio della fine è incominciato lì. Quaderni Padani - 5 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 6 Padani e italiani nella guerra di secessione americana di Gilberto Oneto L a guerra civile americana compare nella storia “ufficiale” italiana quasi solo in occasione della tanto strombazzata vicenda dell’offerta a Garibaldi di un posto di comando nell’esercito nordista. Le cose sarebbero andate più o meno così. Il Generale se ne sta a Caprera a riposarsi dalle fatiche della spedizione meridionale e a preparare nuovi cimenti, quando, l’8 Ritratto di Garibaldi ferito e prigioniero sul settimanale nordista Harpers Weekly giugno del 1861, riceve una lettera dal console americano di Anversa che gli offre, in nome del suo governo, un comando nell’esercito degli Stati Uniti. Garibaldi risponde subito che ci sono due ostacoli: Vittorio Emanuele ha bisogno di lui in Italia, e il presidente Lincoln non ha abolito la schiavitù. La risposta suona per lo meno pretestuosa, ma la trattativa va avanti ugualmente. L’ambasciatore riceve l’incarico di insistere e Garibaldi risponde che può accettare solo se il re non ritiene necessaria la sua presenza in patria. Sembra una scusa che, oltre a tutto, coinvolge una terza parte, e cioè Vittorio Emanuele. Garibaldi scrive al re chiedendo la sua autorizzazione: Vittorio gli risponde “Caro Generale, per quello che riguarda d’assumere il comando che gli ha offerto il governo degli Stati Uniti, mi pare che deve seguire gli impulsi della sua coscienza verso l’Umanità sofferente. Caro Generale, qualunque sia la sua determinazione, io sono bene sicuro che non dimenticherà la patria italiana, come io non dimenticherò mai la sua amicizia”(1). In pratica gli dice di fare quel che gli pare, sperando di levarselo di torno. É l’ambasciatore Henry Shelton Sanford che gli recapita personalmente a Caprera il 6 settembre la risposta reale. Messo con le spalle al muro, Garibaldi non trova di meglio che alzare il tiro: vuole addirittura la carica di comandante in capo dell’esercito americano e (1) Alfonso Scirocco, Garibaldi. Battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo (Bari: Laterza, 2001, pag. 312 6 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 7 l’abolizione tout-court della schiavitù. Imbarazzato per tanta sfacciataggine, Sanford rilancia offrendo la nomina di generale di divisione che Garibaldi prende quasi come un affronto: non se ne fa niente. Il biondo eroe se ne resta sdegnoso a Caprera e si risparmia una rogna colossale. Gli storici patriottici hanno sempre esaltato la vicenda come un segno dell’indubitabile prestigio internazionale del Generale, fantasticando attorno alle grandi meraviglie che avrebbe potuto fare in America: l’incosciente spavalderia di Garibaldi avrebbe sicuramente trovato un fecondo terreno ma le sue fragili professionalità tattiche lo avrebbero messo in seria difficoltà in una guerra dura e crudele come quella che si sta combattendo fra “nordisti” e “sudisti”, dove le parti in lotta non sono le pittoresche bande sudamericane o gli sgangherati reggimenti del re di Napoli. Della vicenda si torna a parlare l’anno successivo, quando Garibaldi è ferito all’Aspromonte e imprigionato nella fortezza di Varignano, presso La Spezia: il console americano gli fa visita e torna a offrirgli un comando nella guerra che si sta combattendo oltre Oceano. La vicenda assume sempre di più i toni di una pantomima: tutto serve a Lincoln tranne che un generale ferito, acciaccato e sconfitto ma Garibaldi è al culmine della sua popolarità internazionale e gli USA hanno bisogno di ricostruirsi una immagine decente dopo i recenti rovesci militari. Garibaldi risponde che non appena sarà guarito accorrerà senz’altro a difendere la sua patria americana(2): non ci crede nessuno ma l’affermazione serve anche a lui per ridare vigore alla sua fama di eroe che si sta un po’ appannando. Sulla vicenda si è formata una patetica leggenda alimentata anche dagli americani per scopi loro interni: sul numero del popolarissimo settimanale newyorkese Harper’s Weekly del 25 ottobre 1862 compare ad esempio la notizia: “Riproduciamo nella pagina precedente (in realtà la copertina NdT) una pittura di M. Beauce che rappresenta Garibaldi ferito e prigioniero. Tutti ricordano che Garibaldi, alla testa di una piccola banda di seguaci, è stato attaccato sull’Aspromonte da forze napoletane (sic!) e preso prigioniero. È stato portato a La Spezia dai suoi catturatori, e affidato a chirurghi per le sue ferite, che sono gravi. Non si sa ancora che misure saranno prese contro di lui. Quando è arrivato a La Spezia uno dei nostri consoli gli ha mandato una lettera per chiedergli se accetterebbe un comando nel nostro esercito nel caso Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Thomas Nast gli fosse offerto. Egli ha immediatamente risposto che, essendo ferito e prigioniero, non è libero di disporre dei suoi futuri movimenti; ma che, appena riguadagnerà la sua forza e la sua libertà, egli offrirà subito la sua spada agli Stati Uniti che stanno combattendo per la libertà nel mondo intero”. Il succo della notizia si potrebbe perciò riassumere così: il vecchio leone è ferito ed è in gabbia, ma appena ne uscirà risanato correrà a combattere per la nobile causa dell’Unione. La presenza americana nel processo risorgimentale L’interesse americano per la posizione strategica dell’Italia e – di conseguenza – per le vicende politiche italiane era cominciato da un po’ di tempo, almeno da quando nel 1804 avevano attaccato il porto barbaresco di Tripoli per difendere i propri commerci dai continui assalti della (2) Quella di sostenere di avere la cittadinanza americana è un vezzo ricorrente del Generale: sostiene infatti di averla ottenuta nel corso del suo secondo esilio oltre Oceano, ma in realtà non esiste alcuna prova in tal senso e gli stessi Americani lo trattano sempre come uno straniero, amico ma pur sempre straniero. Quaderni Padani - 7 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 8 Pio IX ritratto da Nast pirateria nordafricana. Dopo la fine delle guerre napoleoniche, gli americani avevano intensificato il loro sforzo di penetrazione commerciale nel Mediterraneo alla ricerca di nuovi mercati per la loro crescente produzione. Tutta l’attività diplomatica della giovane repubblica si dedicava a questo obiettivo; nel 1847 John Martin Baker e, dieci anni dopo, John Smith Homans avevano compilato e pubblicato dei dettagliatissimi resoconti sulle potenzialità dei mercati mediterranei, sulle produzioni locali e sulle caratteristiche fisiche dei porti di attracco. Trattative erano state intraprese con il governo sardo (con cui avevano firmato un fruttuoso trattato nel 1838) e con quello napoletano, che però si erano concluse con un nulla di fatto nel 1840. La vera occasione per intrufolarsi nel mercato italiano (considerato il più promettente dell’a8 - Quaderni Padani rea) e di bypassare la costosa intermediazione britannica, che agiva allora in condizioni di incontrastato monopolio, si presenta con gli avvenimenti del 1848. Manifestando apertamente le loro simpatie per la rivoluzione liberale, gli americani sperano di ottenere il favore dei nuovi governi e spuntare condizioni vantaggiose, anche nella prospettiva di liberarsi dell’enorme surplus militare accumulato per la guerra contro il Messico che si è appena conclusa. In questa loro spregiudicata politica si sono trovati a contrastare gli inglesi (che diffidano del rivoluzionarismo repubblicano e criptosocialista di molti patrioti italiani) e – naturalmente - gli austriaci. Così, mentre gli inglesi favoriscono il ritorno di Pio IX a Roma, gli americani appoggiano la repubblica di Mazzini, Armellini e Saffi e accusano apertamente i britannici di volersi annettere la Sicilia. Sono le navi americane Taney e Princeton a violare il blocco navale austriaco di Venezia, portando armi e viveri alla città assediata. Alle proteste austriache, l’ambasciatore americano a Venezia, William Stiles, risponde con arroganza, e solo la fine della guerra impedisce uno scontro diretto fra le due potenze. Il tutto è partito da Torino, da dove – con l’accordo del governo sardo, che ci vede una sorta di copertura e garanzia contro l’Austria - l’ambasciatore Nathaniel Niles chiede l’intervento della flotta. Il Mediterranean Squadron del commodoro Read arriva a Genova nel marzo del ‘48, e ottiene nel giugno dello stesso anno l’uso gratuito della rada della Spezia e lo stabilimento di un deposito navale per 3 anni rinnovabili. Proprio alla Spezia Napoleone I aveva cominciato nel 1811 la costruzione di una grande base navale in sostituzione di Genova, diventata insufficiente. Alla sua caduta i lavori sono stati sospesi e nel cantiere si installano gli americani. Nel frattempo Cavour ha ripreso l’idea di Napoleone ma non riesce a farsi approvare dal Parlamento il trasferimento della base fino al 1857, quando notifica agli americani lo “sfratto” dalla Spezia e offre loro in cambio la baia di PanicaAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 9 La cacciata di Pio IX secondo Nast glia, appena più a sud, dopo il borgo di Fezzano, cui hanno peraltro già accesso dal ’52. Nel frattempo la causa italiana trova in America ulteriore consenso. La politica liberista di Cavour piace e da buoni frutti: l’esportazione americana in Piemonte è crescita dai 300.000 $ del 1851 fino ai 3 milioni del 1859. Tutto lascia sperare agli americani che l’unificazione della penisola porti loro vantaggi anche superiori. A sostenere la causa unitaria sono così non solo le lobbies dei produttori, dei ferrovieri e dei banchieri, ma anche la Young America, una potente associazione di stile mazziniano vicina al Partito Democratico, che ha contribuito nel 1852 alla vittoria del presidente Franklin Pierce, il quale nomina per gratitudine molti suoi esponenti ambasciatori nei paesi europei. Dalla base di Panicaglia parte il vascello Iroquois, che a Palermo rifornisce Garibaldi di armi e munizioni: un “generoso” intervento che però neppure scalfisce lo strapotere inglese e la sua supervisione sull’intera operazione duesiciliana. Il vero regista dei Mille è infatti l’ammiraglio britannico George Rodney Mundy: a poco può il pur volenteroso capitano americano James Shedden Palmer dell’Iroquois. A indebolire Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 ulteriormente la posizione americana viene lo scoppio della guerra di Secessione che svuota Panicaglia di navi e di uomini. Sembra che all’inizio della guerra, le due fazioni di marinai americani si siano ferocemente azzuffate fra di loro e che siano dovuti intervenire i Reali Carabinieri a mettere fine a questo piccolo scampolo di guerra civile americana in suolo ligure(3). La guerra ha l’esito di svuotare temporaneamente la base. Il problema si ripropone nel 1865: i lavori per la costruzione della base italiana procedono (finiscono nell’aprile del 1870) e gli americani “nordisti” vittoriosi devono trovare una nuova sistemazione. Chiedono di potersi trasferire lì vicino, al Lazzaretto di Vignano, sempre all’interno del golfo e si fanno “raccomandare” da Jessie White Mario, che gira l’America per perorare la causa garibaldina. Il governo italiano propone loro le alternative di Cagliari, dell’isola sarda di San Pietro o della base di Siracusa, ereditata dai Borbone. Le trattative non vanno a (3) Petacco, Arrigo. “Garibaldi: il mancato eroe dei tre mondi”. In Il Giornale, 15 agosto 2006 Quaderni Padani - 9 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 10 Chatam Roberdeau Wheat buon fine e nel febbraio del 1868 attracca a Panicaglia l’ultima nave americana, la fregata Franklin dell’ammiraglio David G. Ferragut. In realtà la cosa non è più di grande interesse per nessuno: gli americani non hanno più bisogno di basi militari per difendere i propri commerci e si sono accordati con gli inglesi per la spartizione dei mercati, e l’Italia unita non ha più bisogno di loro come protettori. L’installazione viene così smontata nel 1868. A ricordo di quella base primigenia resta per un secolo il cosiddetto “Camposanto dei Genchi” (degli Yankee), spazzato via negli anni ’70 per fare posto all’impianto di rigassificazione della Snam. Oltre agli interessi economici, gli americani sono spinti anche da motivazioni ideologiche: proprio come i massoni inglesi, soprattutto gli anglicani e i puritani del New England intendono combattere le monarchie cattoliche e – in particolare - l’Impero asburgico e lo Stato della Chiesa e favorire l’installazione di regimi “libe10 - Quaderni Padani rali”. Idealismo rivoluzionario e repubblicano coincidono perfettamente con l’imperialismo economico e la sua necessità di espansione. In quest’ambito gioca un ruolo particolare il sostegno americano a Mazzini e a Garibaldi. Le avventure del Generale godono di vasta popolarità negli Stati Uniti almeno a partire dal suo soggiorno americano del 1850: il suo principale sponsor presso la Massoneria americana è Antonio Meucci. Sono i contatti giusti che spiegano certi aiuti ottenuti durante la spedizione napoletana, al finanziamento della quale concorrono generosamente anche le logge d’oltre Oceano. Due ufficiali della marina americana incontrano l’Eroe dei due mondi il 26 maggio 1860 a Misilmeri, portandogli informazioni sulle difese palermitane. A Palermo è – come già detto – la nave Iroquois che svuota la propria santabarbara per rifornire Garibaldi di armi e munizioni. Il colonnello Colt invia una partita dei suoi rinomati revolvers, e alcuni americani sono arruolati nella Legione inglese che costituisce il reparto d’élite dell’esercito garibaldino. Il 18 giugno arriva in Sicilia una spedizione al comando di Giacomo Medici, composta da tre navi battenti bandiera americana, l’Oregon, il Washington e il Franklin, che portano uomini e armi. A bordo del Washington c’è anche Thomas Nast (1840-1902), inviato dal The Illustrated London News. Nato a Landau in Germania e trasferitosi nel 1846 negli Stati Uniti, Nast è un noto disegnatore e giornalista anticlericale (le sue vignette contro il Papa sono feroci, i vescovi sono dipinti come coccodrilli e i cattolici – soprattutto irlandesi – sono raffigurati come ominidi dall’aspetto neanderthaliano: sarà il creatore delle immagini dell’elefante e dell’asino per raffigurare i due maggiori partiti americani e l’inventore della moderna figura di Babbo Natale). I suoi reportage servono a rinvigorire l’immagine garibaldina. Lo scoppio della guerra civile costringe anche i garibaldini americani a prendere posizione e a tornare in patria: Nast mette la sua penna al servizio degli unionisti. Diversa è la scelta del colonnello Chatam Roberdeau Wheat (1826-1862), avventuriero virginiano, reduce dalla guerra col Messico (1848) nella quale si era guadagnato i gradi di capitano, da un fallito tentativo di rivolta a Cuba e dalla rivoluzione messicana del 1851 (in qualità di comandante della cavalleria del ribelle Carvajal), che aveva raggiunto Garibaldi arruolandosi nella Legione britannica di John Whitehead Peard, di cui diventa comandante Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 11 della cavalleria col grado altisonante di Brigadiere Generale. Nel 1850 aveva conosciuto Garibaldi nel corso del secondo esilio del Generale, forse in occasione di una misteriosa crociera a Cuba e a Panama sulla nave Georgia. Appena prima dello scoppio della guerra civile, Wheat raggiunge la Louisiana, di cui era diventato cittadino nel 1852. Sono numerosi anche i padani e gli italiani che vengono coinvolti o che prendono parte per libera scelta allo scontro fra Unione e Confederazione. Più notorietà hanno avuto, per molteplici comprensibili ragioni, i combattenti a favore del Nord: in realtà però risultano assai più numerosi quelli che si sono trovati schierati fra le fila confederate: un recente lavoro di ricerca di Emanuele Cassani (Italiani nella guerra civile americana 1861-1865, 2006) è riuscito a rintracciare i nomi di quasi 900 combattenti, 87 dei quali con i nordisti e ben 875 – dieci volte tanto – con i sudisti. Company, dal nome del suo comandante, il capitano Cesare Osnaghi. Gli archivi militari ci hanno consegnato i cognomi di 87 di questi garibaldini, quasi tutti padani. È curiosa la presenza fra di essi di un Francesco Radetzky. Vestono una camicia di lana rossa e pantaloni e cappotto azzurro, e portano un cappello piumato da bersagliere. La Compagnia italiana sventola un tricolore orizzontale con le scritte “Garibaldi Guard” e il garibaldino-mussoliniano “Conquer or Die” (“Vincere o morire”). Allo scoppio della guerra ci sono negli Stati Uniti circa 11.000 cittadini nati in Italia, concentrati soprattutto a New York. Molti di questi entrano nell’esercito unionista. Di alcuni si hanno notizie appena più precise. Ernesto Cerrutti è un ex garibaldino lombardo, datosi con una certa disinvoltura al commercio di armi tra gli opposti schieramenti e poi riparato in Messico. Prima di arrivare in America, era stato radiato per gravi manchevolezze dal Regio Esercito italiano, in Con il Nord cui era stato incorporato La vicenda dell’offerta alla fine della spedizione di un prestigioso posto di napoletana(4). Francesco Secchi de Cacomando serve a Garisale è un mazziniano piebaldi per mostrare di esmontese che ha fondato sere un militare apprezun settimanale politico, zato nel mondo e a LinL’Eco d’Italia. È uno dei coln per accreditarsi coBando di arruolamento promotori della formame parte “buona” del della Garibaldi Guard zione di una Italian Leconflitto, stimata dal digion, mai esistita come fensore per antonomasia dei popoli e delle libertà, ma la cosa funge so- formazione combattente, ma che ha costituito prattutto da stimolo per un gruppo di volontari l’ispirazione per la successiva formazione della europei – fra cui numerosi italiani - per andare a Garibaldi Guard. Francesco Spinola, nato a Long Island da gecombattere in camicia rossa assieme ai “nordisti”. I volontari europei “garibaldini” vengono nitori liguri, membro democratico del Senato di organizzati soprattutto nel 39° reggimento di New York, proclama la fedeltà degli italo-ameriNew York, detto Garibaldi Guard, che combatte cani alla bandiera dell’Unione, reclutata e arma per l’Unione fra il 1861 e il 1865. È composto da a proprie spese quattro reggimenti e si fa nomi10 compagnie suddivise per provenienza: tre sono tedesche, tre ungheresi, una ciascuna francese, spagnola (e portoghese), svizzera e italiana. (4) Giorgio Boatti, Cielo nostro (Milano: Baldini & Castoldi, Quest’ultima (Compagnia A) è detta Osnaghi’s 1997), pag. 95 Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 11 Quad73imp 25-02-2008 12:29 Pagina 12 Parata della Garibaldi Guard a New York nare da Lincoln generale della sua personalissima Spinola Empire Brigade. Nel 1887 diventa il primo membro di origini italiane del Congresso americano. Luigi Tinelli è un affiliato alla Giovane Italia rifugiato in America nel 1836: si arruola nella Garibaldi Guard restandovi per soli 12 giorni, passa nell’esercito regolare da cui si ritira definitivamente nel 1863. Edward Ferrero (1831-1899) è nato in Spagna da genitori piemontesi che si sono trasferiti a New York subito dopo. Massone, diventa insegnante di danza all’Accademia Militare degli Stati Uniti, conosce Garibaldi attraverso suo zio, il colonnello Lewis Ferrero che ha combattuto in Crimea e nella seconda guerra di indipendenza. Nel 1861 recluta un reggimento a sue spese, il 51° Shepard Rifles. Prende parte a numerose azioni belliche fino alla fine della guerra, e gli viene concesso con onore il grado di Maggiore Generale. Ritornato a New York, riprende la sua attività di maestro di danza, scrivendo libri specialistici e assurgendo a larga fama. Altrettanto interessante ma un po’ meno li12 - Quaderni Padani neare è la vicenda di Luigi (Louis) Palma di Cesnola. Nato a Rivarolo Canavese nel 1832, combatte nell’Esercito sardo nella prima guerra di indipendenza e viene congedato poco onorevolmente nel 1854. Compare in Crimea in un reparto turco arruolato dagli inglesi. Arriva a New York prima del 1860, fonda una accademia militare che distribuisce diplomi di ufficiale a pagamento. Si arruola nell’11° reggimento di cavalleria ma se ne allontana dopo pochi mesi, nel 1862 diventa colonnello nel 4° cavalleria; l’anno dopo è ferito e preso prigioniero (guadagnandosi una Medal of Honor), diventa commissario della prigione di Belle Isle per conto dei confederati e viene rilasciato nel 1864 nel corso di uno scambio. Il 12 giugno dello stesso anno partecipa alla battaglia di Trevilian Station: viene accusato di avere sparato contro un reparto nordista e di avere abbandonato i suoi uomini, e viene congedato. Ciò nonostante trova il modo di farsi nominare console americano a Cipro nel 1865 e direttore del Metropolitan Museum di New York nel 1879. Fino a qui si sono incontrati quasi solo padaAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 13 ni; due cognomi forse italiani compaiono invece nelle assegnazioni delle Medal of Honor: un Orlando Caruana, del 51° fanteria si batte bene a Newburn, e un Joseph Sova, dell’8° cavalleria, cattura una bandiera confederata ad Appomattox. Quasi tutte le adesioni alla causa unionista sembrano essere motivate da ragioni ideologiche: per questo risulta particolarmente interessante la vicenda del vicentino Adolfo Farsari (1841-1898). Volontario nella seconda guerra di indipendenza, dopo avere frequentato per un breve periodo l’accademia militare di Modena, si imbarca – probabilmente per sfuggire a debiti di gioco – per gli Stati Uniti nel 1863. Spinto da forti motivazioni ideali (è un convinto avversario dello schiavismo), Farsari si arruola nel 12° reggimento di cavalleria di New York ma si accorge ben presto dell’impiego ipocrita che viene fatto dell’abolizionismo. Nel luglio del 1864 scrive dal fronte a suo padre: “A proposito di razionalità! Il volontario è così ben veduto dal North e sono così entusiasti per esso (quantunque io creda che in un milione e mezzo, essendo quasi tutti stranieri, non ci siano dieci che si battano per la patria, bensì per la moneta) che a spese del governo si imbalsamano i corpi dei soldati morti e quindi vengano consegnati a chi li domandano oppure vengono mandati se possibile al grande cimitero che si farà o che si sta facendo a Chattanooga in memoria dei morti pella libertà dei schiavi. La guerra qui non si fa secondo quel principio ma bensì per altri, e se non fosse che quello è il principio apparente simpatizzerei pel South. Il North ha prima venduto al South tutti i neri che avevano perché non recavano alcun frutto, e quindi hanno mosso guerra al South per la liberazione di quegli stessi schiavi; avrei molte cose a dirti intorno a questo soggetto”. È lo sfogo di un uomo onesto che ha sempre creduto in totale buona fede di combattere per la libertà e contro l’oppressione. Nel 1867 lascia deluso l’America e si imbarca come marinaio, si installa in Giappone dove diventa da I volontari garibaldini dell’Unione illustrati da Harpers Weekly Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 13 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 14 autodidatta un fotografo famoso e impianta uno dei più grandi atelier fotografici del tempo. Con il Sud Prima di esaminare la presenza di padani e di italiani fra le forze confederate giova ricordare un episodio praticamente sconosciuto della vicenda risorgimentale, che ha come protagonista ancora una volta Garibaldi di cui si è finora ricordato il volto di grande amico dell’Unione e di feroce avversario dello schiavismo. Dopo la battaglia del Volturno (1° ottobre 1860) il Generale si trova a gestire un cospicuo numero di prigionieri napoletani che proprio non ne vogliono sapere di accettare un nuovo re e una nuova patria, e che – se lasciati liberi – rischiano di andare a ingrossare le fila della resistenza armata anti-italiana che comincia a svilupparsi in tante parti del Meridione. Il 6 novembre dello stesso anno (la successione delle date è estremamente importante per delineare i connotati della vicenda) Lincoln vince le elezioni presidenziali ed è piuttosto chiaro cosa stia per accadere. Appena apprende la notizia Chatam Roberdeau Wheat decide di accorrere in difesa della propria patria, Bandiera della Garibaldi Guard la Louisiana, che si appresta a secedere dagli Stati Uniti. Il 7 novembre Vittorio Emanuele entra a Napoli e due giorni dopo Garibaldi si imbarca per Caprera. Prima di partire da Napoli i due vecchi amici (Wheat e il biondo eroe) trovano però uno strano accordo: mandare i prigionieri napoletani a New Orleans con mutuo vantaggio. Garibaldi (che ufficialmente “fa” il nordista) si libera di un peso e impedisce che questi tornino a combattere contro gli italiani; Wheat procura soldati addestrati ai confederati che si trovano in enorme svantaggio numerico rispetto 14 - Quaderni Padani agli avversari. Poco importa che i due si trovino ora schierati in due campi opposti: li continua a unire un forte spirito pratico e una buona dose di cinismo. Garibaldi poi non è nuovo a vicende che coinvolgono il traffico di uomini: pochi anni prima si era dato da fare per trasportare a pagamento “mano d’opera” cinese per le miniere cilene. Il compito di gestire la transazione commerciale viene affidato da Wheat al capitano Bradford Smith Hoskiss, un veterano dell’esercito inglese, che è suo braccio destro della Legione britannica; e da Garibaldi a don Liborio Romano. Lo spericolato curriculum di Romano (che la sera prima del cambio di regime era ministro di Francesco II e il mattino dopo del governo di Garibaldi) e le sue frequentazioni (è l’uomo della Camorra), se da un lato garantiscono la perfetta efficienza dell’operazione, dall’altro lasciano anche sospettare che questa non sia avvenuta a titolo gratuito e che qualcuno possa anche avere lucrato sulla merce da esportare. Così fra il dicembre del 1860 e la primavera successiva un numero impreciso di soldati napoletani viene spedito in Louisiana. Non si sa se sia loro consentito di scegliere fra l’esilio e l’internamento o se siano imbarcati a forza: in ogni caso si può osservare con il senno di poi che hanno avuto un destino assai meno amaro dei loro commilitoni mandati a morire a Fenestrelle e negli altri lager organizzati dai loro liberatori. Secondo Hoskiss una spedizione effettuata dalle navi Charles & Jane, Utile, Oliphant ed Elisabetta avrebbe trasportato 1.437 prigionieri. Un altro viaggio delle due navi americane Francis B. Cutting e Southern Rights ne porta 816, la nave Due Fratelli altri 122. Si ha notizia di altri viaggi effettuati da navi fornite dalla compagnia palermitana Thomas Brothers, oltre che dai battelli garibaldini (ma battenti bandiera americana) Franklin e Washington. L’ultimo sbarco sarebbe effettuato il 18 marzo 1861 dalla Elisabetta, appena prima che la navigazione sia impedita dal blocco navale nordista. Le partenze sono sospese anche per l’energica protesta del console americano a Napoli, Joseph Chandler, nei confronti di Cavour: si può capire che gli Stati Uniti non siano per niente felici di vedersi ripagare in quel modo l’aiuto dato al governo sabaudo nelle sue guerre di conquista. Il numero complessivo dei soldati napoletani trasportati a più riprese a New Orleans non sarebbe in tutto inferiore alle 2.500-3.000 unità. Con la caduta di Gaeta e quelle successive di Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 15 Messina (13 marzo) e di Civitella del Tronto (21 (soprattutto dei liguri) nella comunità locale, sia marzo) il numero di prigionieri napoletani irri- con il fatto che gli ufficiali napoletani – contraducibili da “sistemare” aumenta. Non potendo riamente alla truppa - hanno in larghissima parpiù disporre della soluzione “sudista”, il governo te scelto di passare nell’esercito italiano. Tutti italiano cerca anche di esiliare i prigionieri in fanno parte della European Brigade della LouiAustralia e in Patagonia ma sia il governo ingle- siana posta al comando del generale belga Paul se che quello argentino si oppongono con vigo- Juge, che comprende circa 2.500 francesi, 800 re. Con una faccia tosta spagnoli, 600 italiani, e 900 straordinaria, Cavour profra tedeschi, olandesi, scanpone la deportazione andinavi, svizzeri, belgi, inche allo stesso Lincoln che glesi e slavi. Gli stranieri però rifiuta: non gli manca costituiscono il 40% della di certo la carne da cannopopolazione della Louisiane d’importazione. L’eserna e quasi tutti concorrono cito unionista è infatti alla sua difesa. La Brigata è composto in larga parte da impiegata in operazioni di stranieri appena immigrati servizio d’ordine: dopo l’ocin America. cupazione nordista di New Se una guerra formalOrleans, nel maggio 1862, i mente si conclude (il 14 suoi effettivi che non si somarzo è proclamato il Reno sbandati vengono ingno d’Italia), un’altra iniquadrati in altri reparti o zia: il 13 aprile i confederainviati nella zona di operati bombardano e conquizioni di Port Hudson, sul stano Fort Sumter. Mississippi. Con la caduta I soldati napoletani vendi Vicksburg (agosto 1863) gono inquadrati soprattutgran parte degli effettivi to in alcuni reparti: il batviene volontariamente taglione Italian Guards del reinquadrata a formare la 6° reggimento Luoisiana, Compagnia F del 22° reggiformato da 284 uomini, e il mento di fanteria della battaglione Garibaldi GuLouisiana. Il reggimento ards di circa 300 uomini continua a combattere fino inquadrato nel 5° reggial suo scioglimento, il 20 mento Cazadores Espamaggio 1865, una settimagnoles. La titolazione a Gana prima della resa sudista. ribaldi denota sia la notoUn altro gruppo di meririetà del Generale che lo dionali è inquadrato assiestato di confusione: evime a molti padani (una Uniforme di ufficiale dentemente nessuno prenbuona metà, a giudicare della Garibaldi Guard de sul serio l’idea che Garidai ruolini che ci sono perbaldi possa andare a comvenuti) nella Compagnia I battere con i nordisti. La cosa però non piace ai del 10° reggimento di fanteria Louisiana. Il 10° soldati napoletani (che hanno una diversa opi- Louisiana merita particolare attenzione: fondato nione del biondo Eroe) che pretendono che la nell’estate del 1861 a New Orleans dal colonneldenominazione sia variata prima in Italian Le- lo di cavalleria della scuola francese di Saumur, gion, e poi in Bourbon Dragoons (Dragoni di Antoine-Jacques-Philipphe de Mandeville de MaBorbone). A capo del battaglione Italian Guards rigny, è una sorta di legione straniera sudista c’è il maggiore Della Valle: dai ruolini che ci so- formata da soldati provenienti da una ventina di no pervenuti si nota che i soldati napoletani so- paesi stranieri. Degli originari 953 effettivi alla no mescolati a volontari dai cognomi padani che sua fondazione, al momento della resa del genecostituiscono un buon terzo degli effettivi e la rale Lee, nell’aprile del 1865, i superstiti del regmaggioranza degli ufficiali. Questo si spiega sia gimento sono solo 18. L’unico rimasto della con il più consolidato inserimento dei padani Compagnia I è il fante Salvatore Ferri, di Licata, Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 15 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 16 Un reparto irlandese dell’esercito nordista veterano dell’11° battaglione del 2° reggimento di fanteria del Regio Esercito borbonico. La storia della Compagnia I del 10° è interessante anche perché sembra sia il solo reparto “italiano” dell’esercito confederato a essere venuto in contatto con “connazionali” inquadrati nelle armate unioniste. Nella battaglia di Harpers Ferry, il 15 settembre 1862, si trovano fra le forze contrapposte il 10° (che fa parte dell’armata del leggendario generale sudista “Stonewall” Jackson) e il 39° reggimento di New York, la famosa Garibaldi Guard. I nordisti se la battono a gambe levate lasciando al nemico 11.000 prigionieri, fra cui la Garibaldi Guard quasi al completo (530 uomini). Nel successivo scambio di prigionieri, le camice rosse sono fatte scortare dal 10° in segno di dileggio fino al punto di scambio: possiamo solo immaginare gli sberleffi 16 - Quaderni Padani cui sono sottoposti i garibaldini. Incuriosito dalla scena, Jackson chiede informazioni al capitano Santini della Compagnia I; questi gli spiega che “They are just home made yankees”, che sono insomma solo dei nordisti “alla pummarola”, per usare una libera traduzione che si addice alle uniformi dei personaggi. Il calvario del 39° non finisce lì: presi in consegna dai commilitoni, sono costretti a una “marcia della vergogna” (punizione riservata ai codardi) fino al campo di concentramento di Camp Douglas a Chicago, dove restano confinati per tre mesi: resterà loro addosso l’ignominiosa definizione di “vigliacchi di Harpers Ferry”(5). Riordinato su 4 compa- (5) Pierluigi Rossi, “Il regio esercito borbonico nell’esercito confederato”. www.ilportaledelsud.org/confederati.htm Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 17 Edward Ferrero Volontario del 10° Louisiana gnie, il reggimento si è poi riabilitato negli eventi successivi. Mentre gli ex soldati borbonici vengono in genere inquadrati in reparti omogenei (si può immaginare che – fra l’altro – non abbiano alcuna dimestichezza con l’inglese e che sia ritenuto opportuno metterli con connazionali che risiedono da tempo in America), la più parte dei padani viene arruolata individualmente nel vari reparti dell’esercito sudista in virtù del maggiore grado di integrazione nelle comunità locali. Essi sono ovviamente più numerosi nei reggimenti degli Stati dove la loro presenza è maggiore: Louisiana, Florida, Texas. A New Orleans essi costituiscono circa l’1% della popolazione e questo spiega la frequenza con cui si ritrovano cognomi padani nei ruolini di reparti come le Louisiana’s Avengo Guards e le Louisiana Tigers. Nonostante gli “italiani” siano più numerosi fra le file confederate che in quelle unioniste, è assai più facile trovare notizie sulle vicende nordiste, sia perché ciò è stato ritenuto per lungo tempo più “politicamente corretto”, sia perché gran parte dei documenti dei reparti sudisti sono andati distrutti o perduti. Qualche notizia è comunque reperibile e alcuni di loro hanno delAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 le storie personali che meritano di essere ricordate. Un Carlo Fumagalli del 10° muore a Chancellorsville nel maggio del 1863 e l’ex pittore Antonio Galli, anche lui della Compagnia I, viene preso prigioniero a Gettysburg. Decimus et Ultimus Barziza (1838-1882) è nato in Virginia da Filippo Ignazio, nobile veneto emigrato in America (probabilmente da Desenzano) in seguito alla caduta della Serenissima e da Cecilia Amanda Bellett, del Quèbéc. Lo stravagante nome latino gli deriva dal fatto di essere il decimo (una constatazione) e anche l’ultimo (un impegno mantenuto) figlio di una famiglia prolifica. La sua vita è semplificata dal soprannome di Des. Trasferitosi in Texas è diventato avvocato. Allo scoppio della guerra, si arruola col grado di tenente nella Compagnia C del 4° fanteria del Texas. Promosso capitano sul campo, viene gravemente ferito e fatto prigioniero a Gettysburg, il 2 luglio del 1863. Dopo quasi un anno di ospedale, riesce a evadere nel corso di un trasferimento, raggiunge il Canada e da lì, con un avventuroso viaggio passando dalla Nuova Scozia e dalle Bermude, arriva in Virginia e infine, più morto che vivo, in Texas. Nel febbraio del 1865 pubblica le sue memorie col titolo The Adventures of a Prisoner of War, and Life Scenes in Federal Prisons: Johnson’s Island, Fort Delaware, and Point Lookout, by an Escaped Prisoner of Hood’s Texas Brigade. Dopo la guerra è diventato un illustre avvocato e un membro del Parlamento del Texas. Giovanni Battista (Giobatta, John) Garibaldi (1831-1914) è nato a Lavagna (GE) e si è trasferito in America nel 1851. Nel maggio del 1861 si Quaderni Padani - 17 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 18 Allo scoppio delle ostilità Chatam Roberdeau Wheat organizza un battaglione di cavalleria, i Louisiana Tigers, reclutando 500 teppisti di strada e gente ai margini della società, in larga parte immigrati tedeschi e irlandesi, e anche qualche padano. Partecipa a tutte le fasi iniziali della guerra, combatte a Bull Run (luglio 1861), segue “Stonewall” Jackson nella campagna dello Shenandoah e muore caricando il nemico a Gaines’ Mill il 27 giugno 1862. Chiede di essere sepolto sul campo di battaglia, finendo con coerenza una straordinaria vita di avventure. Dopo avere accompagnato i militari napoletani a New Orleans, il capitano Bradford Smith Hoskiss, veterano dell’esercito inglese, si arruola nel reparto di cavalleria irregolare di Charles Didier Dreux e, in seguito alla morte di Dreux nel 1862, entra a far parte del reggimento di cavalleria del leggendario Jeb Stuart in Virginia. Muore nella battaglia di Spotsylvania, nel maggio del 1864. Tutti gli immigrati padani e italiani che vivevano negli Stati confederati, hanno combattuto per la loro nuova patria per libera scelta, per idealità e con coerenza. I soldati napoletani “ce“Stonewall” Jackson Colonnello della European Brigade della Louisiana arruola nella Compagnia C del 27° fanteria della Virginia, inquadrato nella brigata Stonewall. Viene fatto prigioniero due volte nel marzo del 1862 e nel maggio del 1864 ma ogni volta viene rilasciato dopo qualche mese in uno scambio di prigionieri. Combatte in tutte le battaglie più importanti (Harpers Ferry, Chancellorsville, Gettysburg) e termina il suo servizio all’ultimo giorno di guerra col grado di sergente. Resta in Virginia a fare l’insegnante e il contadino. È sepolto nello Stonewall Jackson Cemetery di Lexington vicino al generale Lee, un onore concesso ai combattenti più valorosi. La sua vicenda ci è pervenuta grazie alle numerose lettere scritte alla moglie dal fronte e conservate nel Virginia Military Institute. Sembra giusto anche ricordare le vicende personali di due ufficiali anglosassoni che hanno avuto una parte importante nelle vicende qui raccontate. 18 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 19 Lo scontro di Harpers Ferry duti” da Garibaldi avevano solo deciso di non accettare i Savoia come loro re e di restare fedeli ai Borbone. Si sono trovati in una terra che non hanno scelto e che non è la loro, eppure la grande maggioranza si è comportata con dignità, alcuni di loro addirittura con eroismo. Molti sono morti per una patria che altri avevano scelto per loro ma che hanno comunque finito per preferire a quella italiana che si voleva imporre. Fra i superstiti, pochissimi sono in seguito rientrati in Italia: tutti gli altri hanno adottato come propria la nuova patria per cui hanno combattuto, anch’essa sconfitta come quella che avevano dovuto lasciare. La discendente di uno di loro, Elisabeth Russo Dubois, esponente delle United Daughters of the Confederacy, rivolgendosi ai pronipoti dei soldati napoletani, ha detto: “È con Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 profondo rispetto e senso dell’onore che mi rivolgo a voi. Voglio esprimere la mia sincera stima e gratitudine per il supporto e l’aiuto di tutti gli ex soldati borbonici che combatterono per la libertà della nostra patria durante la guerra di aggressione nordista. L’amore della patria, della libertà, e l’indipendenza furono i principali motivi di quei valorosi soldati che combatterono tanti anni fa al nostro fianco. I vostri compatrioti combatterono con onore e si distinsero sui campi di battaglia per quattro lunghi anni per difendere la nostra libertà. Questo non è stato dimenticato, e - con le parole del generale Lee “non li dimenticheremo mai”. Il sacrificio degli ex soldati borbonici durante la guerra non è stato dimenticato. La loro storia è finalmente riemersa negli Stati Uniti. La loro storia è stata Quaderni Padani - 19 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 20 La battaglia di Gettysburg seguiti dagli irlandesi (124). Gli italiani sono 3 e altrettanti i padani, e nessuno di loro è morto quel giorno. Per alcuni c’era anche un passato nelle vicende risorgimentali e nella guerra di secessione, sempre dalla parte vincente. I tre padani sono: Felice (Felix) Villiet Vinatieri, (1834-1891), torinese, capo della banda reggimentale (quella che suonava il Garry Owen), rimasto alla base di Powder River; Augusto (Augustus) De Voto (o Devoto), classe 1851, genovese; e il primo tenente conte Carlo (Charles) CaDecimus et Ultimus Barziza millo Di Rudio, di Belluno Con Custer (1832-1910), l’unico ufficiale del Una coda di qualche interesse della vicenda è gruppo. È il solo di cui si conosca il voluminoso rappresentata dalla presenza di italiani e padani curriculum: la sua famiglia aveva parteggiato nel famoso 7° cavalleria del colonnello George per Napoleone contro l’Austria (e - si immagina Amstrong Custer a Little Big Horn, il fatidico 26 - contro la Serenissima) e si era trasferita a Migiugno del 1876. In realtà sono piuttosto pochi. Su 836 uomini, gli stranieri sono 320, appartenenti a 16 naziona- (6) Pierluigi Rossi, “Il regio esercito borbonico nell’esercito lità diverse. I più numerosi sono i tedeschi (127), confederato”. www.ilportaledelsud.org/confederati.htm ricordata alla convenzione nazionale delle United Daughters of the Confederacy e alla riunione nazionale del movimento neoconfederato in Houston e ripetuta alla convenzione dei Sons of Confederate Veterans, dove sarà fatto l’appello di tutti quei vostri compatrioti che combatterono con noi. Siate fieri del vostro passato e del vostro retaggio. La loro memoria ed i loro sacrifici sono con noi”(6). Sarebbe assolutamente d’accordo anche Adolfo Farsari, vicentino, soldato dell’Unione pentito. 20 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 21 Il comandante della cavalleria sudista Jeb Stuart La resa di Lee ad Appomattox Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 lano; qui il giovanotto era entrato nel Collegio militare austriaco di San Carlo (o di San Luca, secondo altre versioni) riservato ai rampolli delle famiglie più ricche. Come altri figli di “sciuri” aveva (forse) partecipato alle 5 giornate, si era (forse) arruolato nei Cacciatori delle Alpi di Pier Fortunato Calvi, aveva preso parte alla difesa di Roma e forse anche all’assedio di Venezia. Fuggito in Francia, ha partecipato alla lotta contro il golpe di Napoleone nel 1851. È stato implicato nell’attentato del 1858 di Felice Orsini a Napoleone III. Condannato a morte e graziato dall’imperatore, è finito alla Cayenna da cui è evaso per scappare prima in Inghilterra e poi in America, dove si arruola allo scoppio della guerra con i nordisti, diventando sottotenente di un reparto di colore (forse il 2° reggimento di Colored Troops). Il giorno di Little Big Horn è distaccato a un altro reparto dallo stesso Custer, che lo odia e non lo vuole fra i piedi, ma che lo ha così salvato. Gli italiani sono: il romano Giovanni Casella (John James), rimasto indietro con il convoglio delle vettovaglie; il napoletano Francesco Lombardi (Frank Lombard), musicista della banda del reggimento, che è rimasto all’infermeria di Fort Lincoln, dove aveva marcato visita. Il terzo Quaderni Padani - 21 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 22 è il trombettiere Giovanni Italia, l’obiettivo è di costruire Martini (John Martin, 1850una statualità “moderna” ai 1922) di Sala Consilina (SA), danni di ogni autonomia, difche è l’unico sopravvissuto ferenza e libertà locale. del gruppo di Custer perché è stato mandato all’ultimo moConclusioni mento a chiedere rinforzi alla Al termine di questa indagine colonna Benteen e questo gli vale la pena di riprendere la ha evitato di restare intrapponarrazione da dove è cominlato con gli altri. Qualcuno ciata: dal generale Garibaldi sostiene che avesse combatche, ferito e prigioniero, dituto a Mentana, come giovachiara al console americano nissimo tamburino, ma non di non essere nelle condizioni ci sono prove in tal senso. di correre a combattere al Nei ruolini reggimentali fianco dei “liberatori” nordisono tutti annotati come nati sti. Dice anche che lo farà apin Italia senza ulteriori dipena sarà nelle condizioni di stinzioni infatti il Bureau of farlo. Immigration americano ha Nell’estate del 1863 Garibaldi cominciato a registrare gli ha superato anche i postumi immigrati italiani in due liste George Amstrong Custer dell’operazione per l’estrazioseparate, distinguendoli fra ne del proiettile che sull’Asettentrionali “celtici” e meridionali “iberici” so- spromonte gli è penetrato nella caviglia, se ne lo a partire dal 1899, quando ha deciso di censi- sta a Caprera ed è libero di andare dove gli pare. re i nuovi immigrati in 36 razze diverse. Il 1° di gennaio dello stesso anno Lincoln ha Serve notare che tre di loro erano musicisti e proclamato l’emancipazione degli schiavi (peralche tutti si sono trovati da un’altra parte al mo- tro limitata agli Stati confederati) ed è così vemento dell’attacco indiano. È anche piuttosto nuta (almeno formalmente) meno ,anche la presingolare che una comitiva di giacobini, mazzi- giudiziale “morale” che Garibaldi aveva posto alniani, patrioti risorgimentali, e di antischiavisti la sua partecipazione alla guerra civile americache hanno combattuto nella guerra civile dalla na. In agosto gli dovrebbe già anche essere arriparte dell’Unione, sia finita a partecipare a una vata la notizia della battaglia di Gettysburg e guerra di sterminio contro gli indiani. La cosa della fine delle paure nordiste e delle speranze trova una sua coerenza solo se si considera che sudiste di concludere la guerra in maniera vanle tribù pellerossa erano state alleate della Con- taggiosa: questo dovrebbe tranquillizzare il federazione (rappresentate dalla 13a stella della biondo eroe anche circa i pericoli che avrebbe bandiera di Dixie), che l’ultipotuto correre la traballante Carlo Camillo Di Rudio mo reparto sudista a deporre virtù militare in una guerra le armi sia stato quello del cattiva come quella che si sta generale cherokee Stand Wacombattendo oltre Oceano. tie, il 23 giugno 1865 (più di Niente gli impedisce più di due mesi dopo Appomattox) e “seguire gli impulsi della sua che si possono considerare le coscienza verso l’Umanità guerre di conquista del West sofferente” e di imbarcarsi come una sorta di continuaper l’America. zione della guerra civile e delNeppure riceve altre sollecil’espansionismo yankee. Lo tazioni a mettere la sua spada stesso Custer aveva combatal servizio della causa unionituto alle dipendenze di Sherista: Lincoln ha superato i dan, il macellaio. momenti peggiori ed è ormai Finisce per non essere nepcerto che la strapotente macpure una contraddizione per i china dell’industria nordista reduci delle battaglie risorgie l’enorme vantaggio demomentali: anche qui, come in grafico non potranno che 22 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 23 prevalere sull’eroismo stracci viene tristemente ricordato cione dei sudisti e non ha più come questa vecchia Europa, bisogno dei vantaggi di immache può anche vantare un gine che la presenza di Garigran numero di casi di libertà baldi gli potrebbe portare. Siper cui combattere, non abbia curamente non hanno giocato trovato la mente o il cuore per molto a favore della reputaziouguagliarvi”(7). ne garibaldina né l’inglorioso E così finisce “in gloria” e sencomportamento della Garibalza alcun segno di vergogna la di Guard ad Harpers Ferry né i vicenda di Garibaldi nordista. traffici di soldati napoletani mandati a dare aiuto ai sudiBibliografia essenziale sti. Non è bello che uno pre❐ Bacarella, Michael. Lintenda addirittura di comandacoln’s Foreign Legion: the 39th re l’intera armata di una parte New York Infantry, the Garimentre si adopera per inviare baldi Guard. Shippinsburg: rinforzi all’altra. Ma Garibaldi White Mane Pub. Co., 1997 è fatto così: davvero forse cre❐ Banfi, Giovanni. “Quando de che il suo macilento talengli Insubri combatterono per to di stratega possa essere di Dixie”. In Terra Insubre, n. 27, aiuto ai nordisti e – allo stesso settembre 2003. pagg. 62-66 ❐ D’Agnese, Generoso. “I ritempo – manderebbe l’intero Giovanni Martini, l’unico belli di Ferdinando”. www.neoesercito napoletano in Louisiana, se glielo lasciassero fa- superstite della colonna Custer borbonici.it ❐ Emanuele Cassani. Italiani re. È una cosa del tutto nornella guerra civile americana male per chi è bigotto e mangiapreti, repubblicano e monarchico, cacciatore 1861-1865. Civitavecchia: Prospettiva Editrice, e animalista, pacifista e guerrafondaio, democra- 2006 tico e autoritario, tutto e il contrario di tutto, a ❐ Franzina, Emilio. Gli italiani al nuovo moncondizione che la sua immagine ne venga esal- do. L’emigrazione italiana in America 1492tata e che il suo mito (e non solo quello) non 1942. Milano: Mondadori, 1995 ❐ Gemme, Paola. “Imperial Designs of Political corra pericoli. È in questa ottica che rientra con perfetta coe- Philantrophy: A Study of Antebellum Accounts renza la lettera - incensante nei toni e democri- of Italian Liberalism”. In Amerian Studies Interstiana nei contenuti – che Garibaldi spedisce il 6 national. Vol. XXXIX, n. 1, febbraio 2001, pagg. agosto del 1863 al presidente Lincoln. Gli scrive: 19-51 “Nel mezzo della sua titanica lotta, mi permet- ❐ Guglielmo, Jennifer e Salvatore Salerno (a ta, come uno dei liberi figli di Colombo, di in- cura di). Gli italiani sono bianchi? Come l’Ameviarle una parola di felicitazioni e di ammira- rica ha costruito la razza. Milano: Il Saggiatore, zione per il grande lavoro che ha iniziato. La 2006 posterità la chiamerà il grande emancipatore, ❐ Marraro, Howard R.. “Spezia: An American un titolo più invidiabile di ogni corona e più Naval Base, 1848-68”. In Military Affairs. Vol. 7, grande di qualsiasi tesoro solo mondano. Lei è n. 4, 1943, pagg. 202-208 il vero erede degli insegnamenti che che ci han- ❐ Rolle, Andrew F.. Gli emigrati vittoriosi. Gli no dato Cristo e John Brown. Se un’intera razza italiani che nell’Ottocento fecero fortuna nel di esseri umani, ridotta in schiavitù dall’egoi- West americano. Milano: Rizzoli, 2003 smo degli uomini, è riportata alla dignità uma- ❐ Rossi, Pierluigi. “Il regio Esercito borbonico na, alla civiltà e all’amore degli uomini, è gra- nell’esercito confederato”. www.ilportaledelzie a quello che sta facendo e a prezzo delle più sud.org/confederati.htm nobili vite in America. È l’America, lo stesso paese che ha insegnato la libertà ai nostri avi, che ora apre un’altra so- (7) Citato in: Emanuele Cassani, Italiani nella guerra civile lenne epoca di progresso umano. E mentre il americana 1861-1865 (Civitavecchia: Prospettiva Editrice, suo enorme coraggio lascia attonito il mondo, 2006), pag. 22 Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 23 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 24 M ario Costa Cardol è stato uno degli storici più interessanti e coraggiosi degli ultimi decenni. Soprattutto i suoi libri sul Risorgimento hanno permesso di superare la cortina fumogena dell’interpretazione ufficiale disvelando fatti, episodi e vicende estremamente significativi e permettendo una più corretta comprensione degli avvenimenti. Fino all’ultimo ha continuato la sua opera di divulgazione affrontando numerosi temi anche strettamente collegati con l’attualità. Purtroppo non ha fatto in tempo a completare il quarto volume della sua rivisitazione dell’Ottocento italiano. Ha però lasciato numerosi articoli, alcuni a suo tempo pubblicati dal quotidiano LaPadania, che vale la pena di riproporre e di salvare dall’oblio. Un ricordo di Mario Costa Cardol redatto da Romano Bracalini, corredato dalla sua bibliografia, è stato pubblicato sul numero 53 dei Quaderni Padani (maggio-giugno 2004). Albanesi, italiani per sole mille lire Sin dal Ventennio fu chiaro che i locali si lasciavano comprare facilmente di Mario Costa Cardol (La Padania, 26 aprile 1998) I rapporti fra l’Italia e l’Albania vengono generalmente trattati a cominciare dall’aprile 1939, quando Mussolini effettuò il colpo di mano che incorporò nel regno d’Italia un altro lembo di terra ricco di giogaie e di pietre riarse. La stampa lo celebrò come un evento memorabile, degno dei trionfi dell’antica Roma, ed offrì ai lettori la visione futura di folti gruppi di manodopera italiana intenta a sfruttare, in Albania, giacimenti minerari sorti dalla fantasia degli inviati speciali. Fu, per buona sorte, una conquista incruenta. I notabili locali si lasciarono tutti comprare. “Se gli albanesi avessero avuto un corpo di pompieri, ci avrebbero buttati a mare”, notò nel suo diario Filippo Anfuso, capo di gabinetto del ministro degli esteri Galeazzo Ciano. Siciliano, fautore di un’espansione dell’Italia in Africa e nei Balcani propiziata dalla stretta alleanza con la Germania di Hitler, Anfuso non mancava tut24 - Quaderni Padani tavia di un cinico realismo. Ogni albanese che si presentò alla festa per l’annessione all’Italia si ebbe una gratifica di 1.000 lire, cifra discreta per l’italiano medio di allora, ma addirittura favolosa per quei nativi afflitti da una povertà vicina ai limiti della sopravvivenza. L’ingloriosa conquista dell’ Albania fu un duro colpo per l’erario dell’Italia romana e fascista. Mentre il luogotenente Jacomoni distribuiva le mille lire ai famelici albanesi, Anfuso mormorava ridacchiando che “il vero aggredito è il contribuente italiano”. Se il contribuente aveva di che piangere, Dino Grandi esultava. Questo altissimo gerarca del fascismo doveva, di lì a quattro anni, riscattarsi provocando la caduta di Mussolini. Ma, nel 1939, si comportava ancora come un disgustoso leccapiedi. Alla vigilia dell’occupazione militare dell’arido paese al di là dell’Adriatico, Grandi scriveva al Duce: “Tra poche ore, l’Albania inteAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 25 ra sarà nostra, sarà provincia dell’Impero!” Fatti gli opportuni richiami a Scipione, Cesare ed Augusto, antecessori non indegni di Benito Mussolini, Grandi osservava che l’Albania “mette alla nostra mercè la Grecia, considerata fino ad oggi dall’ammiragliato britannico come la fortezza naturale e indispensabile dell’Inghilterra in una sua guerra navale nel Mediterraneo”. E concludeva: “Dopo la vendetta di Adua, Tu, Duce, hai compiuto la vendetta di Valona”. Che c’entra Valona, si chiederà il lettore. Risaliamo quindi all’ottobre 1914, quando l’Italia non indossava la camicia nera e i suoi dirigenti portavano cilindro e colletto inamidato. Frutto del disfacimento dell’Impero turco, l’Albania era stata dichiarata indipendente nel maggio 1913 sotto la protezione delle sei “Grandi Potenze”, Inghilterra, Germania, Francia, Russia, Austria e Italia. I diplomatici europei le regalavano anche un “Principe-Sovrano” nella persona sbiadita del nobile tedesco Guglielmo di Wied. Le frontiere dello stato così ben protetto erano sforacchiate dappertutto: a nord da serbi e montenegrini, a sud da greci. Scorrazzavano bande armate di incerta appartenenza, ma di certa crudeltà. Giuridicamente ancora legato alla più che trentennale Triplice Alleanza con Germania e Austria, il governo di Roma chiese e ottenne di sbarcare truppe a Valona per “metter ordine”. Vienna acconsentì, sperando che l’Albania distogliesse Roma dal chiederle il Trentino; Parigi e Londra annuirono, perché sapevano che, prima o poi, l’esercito italiano avrebbe combattuto a fianco dell’Intesa anglo-franco-russa. Per i fantaccini mandati colà, fu l’inizio di un lungo e assurdo calvario. Si trovarono a combattere dal 1916 contro austriaci e tedeschi, a fianco di alleati francesi, inglesi, serbi e greci che ne combinavano di tutti i colori. I greci erano i più feroci: sapendo che Roma mirava ad espandersi attraverso l’Albania, sparavano con gusto e precisione contro gli italiani sulle montagne dell’Epiro. Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Nel 1919, durante la conferenza della pace a Parigi, il governo Orlando otteneva dagli alleati il “mandato” sull’Albania. Nel 1920, i miseri resti del corpo di spedizione erano assediati in Valona; tutt’intorno, greci e albanesi seminavano il terrore. Cento fanti al giorno morivano di malaria. Un reggimento di bersaglieri, che da Ancona doveva imbarcarsi per l’Albania, si ammutinò. L’ascesso fu tagliato dal nuovo governo Giolitti, che rinunciò a Valona, al “mandato” e ai sassi della Balcania. Mentre nell’aprile 1939 Vittorio Emanuele III si fregiava del titolo di Re d’Italia e d’Albania, il paese appena annesso non si avviava a procurare agli italiani alcuna delusione, dato che nessuna persona di buon senso se n’era aspettato vantaggi. Se vogliamo dare un tocco di effimero alla Sbarco in Albania dei Granatieri di Sardegna Quaderni Padani - 25 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 26 Uniformi della Milizia fascista albanese Storia, diciamo che delusi rimasero soltanto i tifosi della Juventus, perché il centravanti albanese Lushta, ingaggiato dalla famiglia Agnelli, non si rivelò né un Meazza né un Piola. In Albania ripresero i lavori pubblici, di cui l’Italia era già stata prodiga nel periodo 19141919. Ma strade, ponti e paludi prosciugate crearono nuovi buchi nell’erario italiano senza suscitare uno spirito nuovo negli albanesi. La struttura semitribale della società albanese non consentiva di profittare delle migliorie italiane, le quali giovavano unicamente agli appaltatori statali della penisola. Afferrato il potere nel 1922, il fascismo aveva subito invertito, nei riguardi dell’ Albania, la rotta di suprema indifferenza fissata da Giolitti nel 1920. Non fu difficile, al governo di Roma, instaurare sull’ Albania una tutela di fatto politico-economica. Alla collettività rurale dell’ Albania si addiceva però un sovrano, e nel 1928 il capoccia Ahmed Bey assumeva il titolo di Re Zogu (Zog in italiano). Benché finanziato lautamente da Roma, e intento soprattutto a godersi i piaceri della vita cosmopolita con viaggi e ricevimenti all’estero, 26 - Quaderni Padani Zog non fu completamente una marionetta degli italiani. Detronizzato, si rifugiò in Grecia. L’Italia contava allora 43 milioni circa di abitanti, l’Albania 1 milione e la Grecia 7 milioni. L’Italia era temuta come una grande potenza, e fin dall’annessione dell’ Albania i greci avvertirono come un campanello d’allarme. Oltre a cantare “Marceremo... dove Roma già passò”, i soldati italiani di stanza in Albania sfilavano canterellando strofette allusive alla presa di Atene, alle corazzate Duilio e Giulio Cesare nel porto del Pireo, ed altre vanterie riecheggiate dai giornaletti del G.U.F. ed altri fogli littori. Ma il guaio era che simili smargiassate si potevano leggere anche sui giornali a diffusione nazionale. I giornali, il ministro degli esteri Galeazzo Ciano, i politici e i militari del regime, commettevano un doppio errore. Primo: era inaudito che una stampa di regime preannunciasse sfracelli, dal momento che il governo di Roma aveva, ufficialmente, garantito l’integrità territoriale della Grecia. Secondo: si dava così all’avversario tutto il tempo per prepararsi. I greci non erano un popolo di poeti e di musicisti, ma di guerrieri implacabili. Evidentemente, gli oratori e i pubblicisti italiani non avevano prestato attenzione ai cruenti corpo a corpo svoltisi nel 1922 tra greci e turchi nelle campagne dell’ Anatolia per i possesso di Smirne, che i greci avevano occupato nel 1919 con il consenso di Francia e Inghilterra. Le quali, detto per inciso, nel 1917 avevano promesso Smirne e gran parte dell’ Anatolia al credulo ministro degli esteri italiano Sonnino. Come si vede, l’Italia ufficiale si sentiva “giocata” e il suo coinvolgimento negli affari albanesi e greci aveva origini ben più antiche delle stizze di Mussolini. Al quale poi, nell’ottobre 1940, fu fatto credere che con 9 divisioni “binarie” (su 2 reggimenti anziché 3) l’Italia sarebbe arrivata ad Atene. La storia di quella campagna militare è risaputa. E gli albanesi, in tutto ciò? Il comando italiano ne arruolò poche migliaia, riunite in due formazioni leggere che si affrettarono a disertare. Andarono sulle montagne e iniziarono la lotta partigiana contro italiani e tedeschi. L’ambasciatore italiano ad Atene, nel 1940, sconsigliava Mussolini dall’impresa e si sfogava con un amico: “Già l’Albania ci ha messo sulle braccia gente infida, riottosa, semibarbara ed insaziabile. Paludi micidiali, montagne aride e brulle... Che si va a fare in Grecia?” Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 27 Un “Eurorigurgito” di Grandeur L’esempio della Francia, affossatrice con la Russia del marco tedesco di Mario Costa Cardol (La Padania, 3 giugno 1998) P rossimamente, il 7 luglio, il cancelliere Kohl presenterà al Bundestag un fascicolo di documenti che rompe con la tradizione. Dal 1871, anno dell’unità germanica, nessun governo tedesco in carica aveva infatti divulgato gli atti relativi alla sua politica. Di norma, si aspettano 30 anni. Le 1398 pagine del malloppo contengono note di servizio, registrazioni telefoniche, lettere, verbali e protocolli relativi al 1989 e al 1990, ossia al periodo che prelude alla fusione delle due Germanie. Sbrigativo il titolo del settimanale Der Spiegel sull’intera vicenda: “I documenti mostrano che la Francia ci ha imposto lo scomparsa del marco”. Il Presidente francese Mitterand ha giocato abilmente per allontanare quello che, dal punto di vista di Parigi, era lo spettro di un marco irradiato verso Polonia, Ucraina e altri Paesi dell’Europa orientale. Ha usato le sue doti diplomatiche; compreso, naturalmente, il ricatto. Ha messo in allarme la Russia, la quale, nel gennaio 1990, ha ammonito Kohl a “non trascurare i suoi doveri verso la comunità europea”, vale a dire a non fare un passo senza tenersi la Francia a braccetto, rinunciando a quelle forme di penetrazione industriale nell’Est europeo sfociate, tempo addietro, in avventure militari di paurosa memoria. Mosca e Parigi si son trovate d’accordo per affogare il marco nell’Euro. È stato il prezzo che Kohl ha dovuto pagare, e che la Padania, di riflesso, ha pagato e pagherà sempre più salato, per la riunificazione della Germania. Parigi non ha mai rinunciato ad essere l”’ombelico del mondo”, secondo l’espressione cara Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 agli intellettuali d’oltralpe. E, in effetti, la Francia ha sempre avuto la capacità diabolica di ammaliare e persuadere il mondo. Quando ha aggredito, ha figurato come vittima. Quando ha sbagliato, ha donato al mondo la sua intelligenza. Quando ha rubato in tutta Europa sotto Napoleone I, ha accelerato il corso della storia. Intorno all’anno Mille, i francesi erano ben lungi dal costituire uno Stato potente e organizzato, ma già ambivano al Reno come frontiera Episodio dell’assedio di Strasburgo, 1870 Quaderni Padani - 27 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 28 Georges Clemenceau naturale. Tra il 1640 e il 1690, gli eserciti di Luigi XIV devastarono in Alsazia tutto il devastabile. Ogni casa del Palatinato fu rasa al suolo dalle fiamme. L’ Alsazia subì un vero e proprio genocidio. I francesi volevano ridurre gli alsaziani a bruti inselvatichiti e ci riuscirono. Eppure Strasburgo era stata un faro di cultura germanica; un suo poeta, Goffredo di Strasburgo, era autore del celebre Tristano e Isotta. Nelle città dell’Alsazia i discendenti dei sopravvissuti si francesizzarono in parte. A Strasburgo e a Colmar, i notabili si misero al passo con la lingua di Voltaire. Ma, nelle campagne, il dialetto alsaziano, affine ai dialetti della Germania meridionale, fu sradicato soltanto dopo il 1950. Un secolo prima, nel 1850, scrivendo incidentalmente dei contadini d’Alsazia, il comunista Friderich Engels li definiva “questi tedeschi”. Oggi, a Strasburgo, il tedesco è sparito. In compenso, nei pressi della stazione ferroviaria e nei sobborghi, l’idioma più parlato è l’arabo. Oggi l’islamizzazione dell’ Alsazia, secolare pomo della discordia tra Francia e Germania, procede a ritmo accelerato. Nell’estate del 1870 i giornali di Parigi e di provincia infiammavano l’uomo della strada. Strapazzavano l’imperalore Napoleone III. “Cosa aspetta Badinguet (Badinguet era il nomignolo spregiativo del Terzo Bonaparte) ad attaccare la Germania? Bismarck non ci ha dato il compenso dovuto per l’unificazione del suo Paese. Ci spetta il Belgio, il Lussemburgo, o entrambi... La riva sinistra del Reno!”. Napoleone III attaccò, fu sconfitto e, come da copione, i giornalisti e gli storici lo catalogarono unico responsabile del disastro. Nel 1871, con Parigi accerchiata dai tedeschi, il Parlamento francese si rifugia a Bordeaux. Il sommo poeta 28 - Quaderni Padani Victor Hugo, eletto deputato, presagisce la “rivincita” e detta le condizioni per la Germania vinta: “Colonia, Treviri, Magonza, Coblenza... È il minimo che la Francia dovrà esigere”. Scoppia nel 1914 la guerra mondiale. È l’agognata revanche, la rivincita. Francia e Inghilterra, insuperabili nel maneggio dell’opinione pubblica mondiale, hanno esteso i loro imperi coloniali sino a possedere, in forma diretta o indiretta, quasi i tre quinti del pianeta, ma conclamano di combattere l’autoritarismo e il militarismo germanico in nome della libertà e della democrazia. Intanto sono alleate con la Russia degli Zar, dispotica e semischiavista. Alla Russia hanno promesso, oltre a Costantinopoli, i due frammenti di Polonia, l’uno tedesco e l’altro austriaco, che ancora mancano al suo tirannico dominio. Per tacita intesa, Francia e Inghilterra si sono poi divise altre colonie in Africa e in Asia, a scapito della Germania, ma giurano di versare il sangue dei loro soldati unicamente per la libertà del Belgio e la redenzione dell’ Alsazia-Lorena. Invece la Francia ha già stipulato con la Russia accordi segreti per le frontiere al Reno e la frantumazione della Germania in cinque o sei Stati vassalli, come ai tempi di Napoleone I. I bolscevichi, giunti al potere nel 1917, renderanno pubblici questi accordi. E adesso veniamo a noi padani. Nel maggio 1915, parecchi maestri di pensiero si bevono tutte le fandonie in arrivo da Parigi. A nessuno viene in mente che il Mezzogiorno d’Italia abbisognerebbe di pace e di cure per avvicinarsi almeno un poco all’Europa. Politici, diplomatici, giornalisti vogliono sentirsi alla pari con i colleghi delle grandi potenze. Predicano la guerra al pangermanesimo non solo per strappargli Trento e Trieste - culturalmente e socialmente lontane da Palermo quanto Stoccolma da Nuova Delhi - ma anche e soprattutto per cementare l’unità spirituale dell’Italia e assicurare, come clamano i francesi, il trionfo della giustizia universale. Sostenere che la guerra e il massacro della gioventù forniranno il cemento, per l’amalgama delle varie regioni d’Italia è il capolavoro dialettico dei maestri di pensiero che allora si chiamavano Corridoni, Salvemini, Labriola, Papini, Prezzolini (ma sì, l’“antitaliano”!), e poi Bissolati, Mussolini, Albertini, eccetera. Direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini è certo meno sguaiato di Benito Mussolini (l’“epilettico di Milano”, lo definiscono i giornali cattolici neutralisti), ma non batte ciglio quando D’Annunzio, nel maggio 1915, incita gli studenti romani a linciare GioAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 29 litti che vuole l’Italia neutrale. Il fascismo comincia li, in quelle che passeranno alla storia come “radiose giornate”. Seicentomila morti e un milione e mezzo di feriti o invalidi non confermarono le profezie dei maestri di pensiero. La guerra, il fascismo, una seconda guerra mondiale figlia della prima, poi la democrazia corrotta non fecero che accentuare il distacco del Mezzogiorno dalla Padania e pertanto dall’Europa. La Francia, dopo aver spinto altri nella fornace (Italia, Romania, Giappone, Grecia,...) chiamò tutti gli ex belligeranti a Parigi per impostare un mondo migliore. Premessa indispensabile era che la Germania, mutilata ad est, a nord e a ovest di territori per un totale di 7 milioni di abitanti sui 60 di allora, lavorasse giorno e notte quasi esclusivamente per i francesi, ai quali Poincaré, primo fra gli statisti d’oltralpe, garantiva l’esenzione futura dalle tasse. Il detto correva su ogni bocca: “le Boche paiera”, il Crucco pagherà. L’onnipotente trust siderurgico dei Wendel, francesi di Lorena. finanziava e ispirava la politica dei Poincaré, Clémenceau, Berthelot ed altri uomini ligi. Furono i Wendel ad esigere che l’Alta Slesia, malgrado il plebiscito favorevole alla Germania, fosse assegnata alla Polonia: conteneva il bacino minerario di Kattowic di cui i Wen- del erano azionisti. Così la siderurgia francese, impadronitasi della Saar e poi della Ruhr nel 1923 col pretesto che i tedeschi avevano consegnato solo il 98.7% della quota fissata di carbone, mirava ad ottenere il monopolio in Europa. Non ottenne, come sappiamo, un bel niente. Il marco fu scagliato nell’abisso da un’inflazione rimasta leggendaria, Poincaré a sua volta fu costretto a svalutare il franco, con miseria e disoccupazione per vinti e vincitori e i mercati mondiali nel caos. Le truppe di occupazione francesi si ritirarono completamente dalla Germania solo nel 1932 e furono, per la crescita della mala pianta nazista, un ottimo concime. Qui non vogliamo spaventare il lettore con forzature giornalistiche da Apocalisse, ma solo avvisarlo che la sventatezza politica e finanziaria del Paese assetato di grandeur ha brutti precedenti. Peraltro, la composizione etnica della Francia è cambiata in maniera vertiginosa dal 1945 ad oggi. Oggi, su 58 milioni di francesi, almeno 5 sono musulmani dei Paesi arabi e dell’ Africa nera. La classe dirigente è ancora formata da autoctoni o quasi ma, in parecchie scuole elementari e medie della zona parigina, i discendenti dei Galli hanno perso la maggioranza. In attesa di pregare per Allah, il governo di Parigi ci invita a pregare per l’Europa e la moneta unica. Monza, 1900: “A morte il tiranno!” Poco lontano dalla Villa Reale l’anarchico Gaetano Bresci uccideva con tre colpi di pistola Umberto I di Mario Costa Cardol (La Padania, 29 luglio 1998) B enché la presenza in pubblico di sovrani e capi di Stato comporti quello che in gergo moderno si chiamerà un grosso fattore di rischio, a Monza la domenica del 29 luglio 1900 non sembra destinata a finire in tragedia. Nel 1900 le classi agiate, borghesi o aristocratiche, usano un termine piuttosto ambiguo per indicare un ambiente, una regione, una città, Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 dove il lusso più sfacciato si possa esibire senza provocare né contumelie né sassate. Dicono che l’ambiente è “sano”. E Monza, da questo punto di vista, è senz’altro una città sana. Fiorenti industrie tessili l’hanno fatta definire “la Manchester d’Italia”, il contado fornisce tessitrici avvezze alla fatica, gli operai sono ingegnosi, e i villici di Brianza usano ancora togliersi il berQuaderni Padani - 29 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 30 splendida in un abito di velluto verde con strascico e tablier bianco trapunto in oro, adorna di un diadema di smeraldi ed altre gioie. Uno schiaffo alla miseria? È il giudizio corrente. ma la plebe, come l’essere umano in generale, è volubile e contraddittoria. Monza intera non chiede di meglio che applaudire. La miseria della massa, tanto in Europa quanto negli Stati Uniti, ha toccato il fondo negli anni tra il 1880 e il 1900. È stato, pur nell’incertezza approssimativa di taluni parametri economici, l’abisso storico dell’indigenza popolare, collimante, all’inverso, coi fasti superlativi dell’alta borghesia. In politica, andava di moda l’anticlericalismo. Esso faceva comodo ad avvocati, notai, parlamentari, finanzieri di città o di provincia che, in nome del progresso e della scienza, ambivano a metter le mani sulle pur sempre opime proprietà agricole ed immobiliari della Chiesa. La vicenda era iniziata in Inghilterra tre secoli prima, con la spoliazione dei monasteri ad opera di Enrico VIII. Queste ed altre spoliazioni non avevano soltanL’uccisione di Umberto I a Monza. Illustrazione del Petit Jour- to tolto agli operai il conforto nal delle “realtà metafisiche” - come schernivano i laicisti - ma retto quando incontrano un possidente in tuba avevano defraudato i nullatenenti del pur rudie bastone da passeggio col manico cesellato. mentale sistema di protezione sociale gestito I sovrani d’Italia, Umberto I e la regina Mar- dalla Chiesa. Dopo il 1880, gli operai delle offigherita, dispongono per le vacanze a Monza del- cine si moltiplicavano, ma la rete di assistenza la sontuosa Villa Reale, il cui parco si prolunga ai bisognosi, ai vecchi, ai malati, era tutta da riin chilometri di prati e alberi ad alto fusto. La costruire. domenica è fastosa, il programma del pomerigUn letto per morire e un piatto di minestra gio alletta ogni classe sociale. Sono previsti cor- per sopravvivere, il monastero lo dava a chiuntei, esibizioni di pompieri e di ginnasti con mu- que. Ora non c’era più neanche quello. scolature nodose e baffoni a manubrio; bella Alla Camera, dato il sistema elettorale in vigente. Signore agghindate, allegre note di fan- gore, i socialisti erano pochi. E i radicali, che si fare militari e di bande cittadine, e soprattutto proclamavano di sinistra, anzi di “estrema sinila magica vicinanza di Umberto e di Margherita, stra” come Cavallotti (morto in duello nel 1898) maestosa ed avida di sguardi ammirativi. Al ri- in realtà degli operai non si curavano affatto. cevimento di Capodanno del corpo diplomatico Soltanto paroloni. al Quirinale di Roma, Margherita è apparsa Presso un’affittacamere di Monza aveva preso 30 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 31 alloggio da circa un mese un uomo di trentun ghese. Viva l’anarchia! Viva la rivoluzione soanni dallo spiccato accento toscano. Si era di- ciale!”. chiarato calzolaio, ma a Paterson, negli Stati A Paterson, Bresci aveva poi udito che le infaUniti, aveva lavorato come tessitore. mie borghesi non toccavano solo l’Italia. Gli Paterson, oggi sobborgo della Grande New emigrati inglesi gli avevano raccontato che nelYork, era un covo di anarchici: emigrati italiani l’agosto del 1893 i minatori di Featherstone, nel ma anche spagnoli, irlandesi e perfino britanni- Galles, erano esplosi in una rivolta non dissimici, giacché l’Inghilterra, malgrado l’opulenza le da quelle di Sicilia e Lunigiana. Ministro dedella sua classe dominante, lasciava marcire la gli interni era il liberale Asquith, uno degli staclasse lavoratrice nel sudiciume e nell’angoscia tisti più “progressisti” di Gran Bretagna. della disoccupazione, come attestano i romanzi Asquith spedì l’esercito contro i minatori. di Cronin, Galsworthy, o le denunce dell’econoFu un massacro. La stampa liberale inglese mista Hobson. A Paterlodò il ministro per la son, nel 1899, era giunsua fermezza, ma l’amto Errico Malatesta, uno basciatore degli Stati degli esponenti più auUniti annotò: “Davanti torevoli dell’anarchismo alla legge, uno spazzaitaliano ed internazionacamino e un Lord sono le, già discepolo di uguali... Ma tutto si liBakunin, e che a Parigi mita a questo. La clasaveva intrecciato strani se servile è obbligata a rapporti con l’ex regina vivere in condizioni di Napoli Maria Sofia, la abiette”. quale aveva giurato di Più che mai Bresci si disfare in tutti i modi, convinse che l’anarchianche alleandosi coi smo aveva una missio“sovversivi”, l’aborrito ne universale. RecenteRegno d’Italia. mente, due sfruttatori Lasciando perdere di spicco avevano pagaquesti labirinti intricati to con la vita. Dopo e incontrollabili - Giolitl’uccisione del Presiti ne fa però un cenno dente della Repubblica nelle sue Memorie - sta francese Sadi Camot ad di fatto che a Paterson il opera dell’anarchico Bresci impiccato nella cella del carcere Malatesta collaborò attiCaserio, l’imperatrice di Santo Stefano, 22 maggio 1901 vamente al giornale La Elisabetta d’Austria era Questione Sociale, che stata accoltellata a Gidiffuse tra gli emigrati lo sdegno più ardente nevra dall’anarchico italiano Luccheni. Almeno per le tante piaghe del regno Italiano: il denaro nell’anarchia, l’Italia era al primo posto. Ora e le vite umane gettate nelle inutili campagne toccava a re Umberto. militari d’Abissinia, la sconfitta di Adua, e speOrmai Umberto sapeva di essere più tollerato cialmente l’impiego delle truppe del generale che amato, come osserva Romano Bracalini nel Bava Beccaris contro gli operai a Milano nel suo ottimo e ben documentato La Regina Marmaggio 1898, le cannonate per disfare le barri- gherita (Rizzoli, 1983). Si recò al campo sporticate e conseguente massacro di civili. vo dopo cena, in redingote nera e cilindro, per Chi doveva espiare se non il sovrano? Era il la premiazione dei vincitori del concorso ginnibersaglio più logico e appariscente. La sorte di co. Risalì in carrozza alle 22 e trenta; tra gli Umberto I era segnata. Già nell’aprile 1897 un atleti che circondavano la carrozza briosi e rivealtro anarchico, Pietro Acciarito, ventiseienne renti, si mescolava un uomo tarchiato, dalla di Artena, aveva tentato di uccidere il monarca fronte bassa, con un fazzoletto nero svolazzante mentre passava in carrozza con la regina nei al collo. Tre colpi di rivoltella stroncarono quasi dintorni di Roma. Dopo la sentenza che lo con- all’istante la vita del sovrano che simboleggiava, dannava ai lavori forzati a vita, Acciarito aveva volente o nolente, il privilegio e il crudele egoigridato: “Oggi a me, domani al governo bor- smo dei ricchi. Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 31 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 32 L’Unità d’Italia? Davvero un magro affare Dopo il 1861, il nostro paese diventa il più tartassato d’Europa. E le imposte finanziarono le guerre di Mario Costa Cardol (La Padania, 19 agosto 1998) U no studio effettuato da economisti di vari Paesi nel 1892, e poi diffuso da tutta la stampa italiana, indicava la seguente graduatoria della pressione fiscale sulla base imponibile: Inghilterra 7,30%; Germania 10,12%; Austria-Ungheria 11,04%; Francia 11,82%; Russia 14,25%; Spagna 16,17%; Italia 17,80%. Il pareggio del bilancio statale, raggiunto da Quintino Sella nel 1876 grazie alle fatiche dei contadini gravati dalla tassa sul macinato, non era durato a lungo. Giunta la sinistra al potere col primo governo Depretis, le finanze venivano affidate a un autentico mago dell’economia. Si chiamava costui Agostino Magliani, nato a Laurino (Salerno) nel 1826. Come i Ciampi, i Carli, i Dini, i Colombo e gli Andreotti della nostra epoca, Magliani partecipava spesso a convegni internazionali, godendo di stima e fiducia Giovanni Giolitti 32 - Quaderni Padani presso i colleghi stranieri. In un libro uscito nel 1859, Magliani aveva inoltre preso le difese dell’amministrazione borbonica del Regno delle due Sicilie, in polemica con un altro meridionale, Antonio Scialoja, il quale sosteneva esattamente il contrario. Chi dei due aveva ragione? A distanza di tanto tempo, non siamo in grado di appurare se la finanza borbonica fosse avveduta o sgangherata. Quel che è certo, è che il Magliani proveniva dalla burocrazia napoletana e che, tra il 1879 e il 1889, resse quasi ininterrottamente il dicastero delle finanze, o del tesoro, o di entrambi. Cosi, in dieci anni, riuscì a disfare da capo a fondo l’opera del Sella. Agostino Magliani parlava bene ed era convincente. Depretis pendeva dalle sue labbra. Magliani si era inventato la categoria delle spese “ultrastraordinarie”, che non dovevano contare per la loro eccezionalità. Si era inoltre escogitata la dottrina delle “trasformazioni di capitale”, per cui una spesa che creava una cosa reale non doveva contare come spesa, essendosi convertita in capitale. Giolitti, futuro astro della politica e dell’amministrazione dello Stato, si attribuisce nelle sue Memorie, scritte intorno al 1925, il merito di avere smascherato i trucchi del Magliani. In realtà, il primo a demolire gli artifizi del prestigiatore borbonico fu un oscuro deputato ligure, l’onorevole Tomaso Bertollo. “È ora di finirla di considerare entrata il debito... Io ho sempre detto che le costruzioni ferroviarie sono certo necessarie, ma non sono “trasformazioni di capitale”, se non danno reddito!” esclamò Bertollo in una memorabile seduta della Camera nel 1891, quando la guida del Governo italiano era passata nel frattempo al marchese Antonio Starabba di Rudinì. Il povero Magliani non era più ministro. Estromesso due anni prima, era morto nel 1891, quando, a Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 33 reggere il ministero del tesoro, si trovava Luigi Luzzatti, dottissimo e capace israelita di Venezia, che taluni considerano, insieme a Giolitti, come il vero restauratore delle finanze italiane. La lira, intorno al 1906, arrivò a “fare aggio sull’oro” e Giolitti poteva in seguito convertire la rendita, abbassandone il tasso dal 5 al 3,5 per cento. Ovviamente, questi brillanti risultati si dovevano al mantenimento di una pressione fiscale unica al mondo. Se l’Italia si fosse limitata a costruire ferrovie, strade, ponti ed argini per i suoi fiumi in dissesto, il torchio fiscale avrebbe potuto allentarsi. Se l’Italia, cacciato lo straniero, si fosse limitata alla Padania, le sue ambizioni di grande potenza non avrebbero logicamente avuto corso, e a nessuno sarebbe venuto in mente di “trasformare in capitale” il mantenimento di un esercito gigantesco e la costruzione di navi corazzate che squarciavano il bilancio dello Stato ben più a fondo del rostro delle navi nemiche. Ufficialmente gli italiani del Nord avrebbero ambito ad emulare le gesta di Roma e a penetrare nei Balcani sulle orme della Repubblica di Venezia che sapeva tenere croati e sloveni (“schiavoni”) aggiogati al suo carro. Smettiamo comunque il futile gioco delle ipotesi storiche e non temiamo di assumere le responsabilità dei nostri avi. Le spropositate ambizioni dei seguaci di Mazzini finirono volta a volta nel tragico o nel ridicolo. Ma i seguaci di Mazzini erano in prevalenza settentrionali. Mazzini e Garibaldi erano figli della Liguria. Per la curiosità e l’esattezza, ricordiamo che i “lor maggiori” (progenitori) erano nati in quel di Chiavari. Nel 1862, quando ormai era chiaro anche ai ciechi che il “brigantaggio” nel Sud non era altro che un rifiuto cruento dell’annessione al Regno d’Italia, la Camera di Torino (la capitale era ancora là) nominò una commissione parlamentare per decidere se mollare il Mezzogiorno o impegnarvi tutto l’esercito in una lotta senza quartiere. La commissione adottò il parere dei suoi due membri più influenti, e indusse la Camera a non tirarsi indietro. I due membri tanto influenti erano il garibaldino Nino Bixio e il mazziniano Aurelio Saffi. L’economia dell’Italia unita e rinsaldata dalle Alpi a Capo Passero non poteva dunque risentire degli obblighi, degli impegni, delle aspirazioni coloniali e dei gravami che, ad esser precisi, laceravano anche il tessuto sociale delle “vere” grandi potenze - Inghilterra, Francia, Germania e Russia. Purtroppo, soltanto l’Italia era così povera di materie prime, così afflitta da un Sud improduttivo, e governata da una classe dirigente così squiAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 librata da dedicare tante vite e tanto denaro alla conquista di colonie ricche soltanto di sabbia e di pietraie. In rapida sintesi, il contribuente italiano rimase il più torchiato d’Europa fino al 1945. Ebbe poi un venticinquennio circa di respiro, fino al 1970: una parentesi rosa nello sfondo cupo dell’oppressione tributaria. Era il periodo in cui giornali ed umoristi stranieri dicevano che “gli italiani non pagano le tasse”. In parte era vero. Ma finì presto. Tranne per chi mantenne la possibilità di evadere. Comunque, nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, un quinto del reddito nazionale Soldati italiani svellono un cippo di confine nel maggio 1915 italiano (ossia il 20%) andava al fisco. Il lettore farà un balzo: ma era poco! Oggi, in tutti i Paesi, siamo almeno al 30 per cento, e in Italia, secondo le stime reali e non ufficiali, più della metà del reddito finisce in tasse. Altro che un quinto! Il bilancio italiano del 1914 si componeva di 2,5 miliardi di lire di entrate (cifre arrotondate) e di 2,7 miliardi di uscite. L’indebitamento colmava il buco. Fra i capitoli di spesa, su 2.700 milioni troneggiava il costo della marina militare: 313 milioni, oltre il 10 per cento del bilancio statale. E questo era il prezzo richiesto dalla difesa di 6000 Km di coste, che un’Italia limitata alla Padania si sarebbe risparmiato. Quanto valeva la lira nel 1914? Una copia di giornale costava 5 centesimi (oggi 1.500 lire, ossia 30mila volte tanto), un pasto in un ristorante di medio livello lire 1 (oggi 30.000), un paio di Quaderni Padani - 33 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 34 scarpe 5 lire. Molti generi come televisori e lavatrici non esistevano, le auto erano rarissime e costosissime, ma un confronto ragionato e ponderato dà pressappoco 30mila lire di oggi per una lira di allora. Quando il governo Salandra entrò in guerra nel maggio 1915, l’Italia chiese all’Inghilterra un prestito di un miliardo di lire. Nitti, incontrando a Roma Salandra che passeggiava in Piazza Esedra, gli disse: “Un miliardo è troppo poco. La guerra non durerà poche settimane. Ho letto sulla stampa economica inglese che il governo di Londra ha impegnato tutta la produzione siderurgica degli Stati Uniti sino al 1916 e oltre”. “Bah - risponde Salandra - si vede che gli inglesi hanno soldi da buttar via...”. La guerra del maggio 1915-novembre 1918 costò all’Italia, in cifra tonda, 80 miliardi di lire. Per arginare le falle, nel 1920 Giolitti, tornato al governo, si vide costretto a introdurre un’imposta sul capitale. Anche questa era, per quei tempi, una novità. Chiacchierando a una conferenza internazionale col Primo ministro britannico Lloyd George, il ministro italiano Marcello Soleri si sentì chiedere ragguagli su questo tipo finora inedito di tributo. “Anzitutto, come sapete - attaccò baldanzoso Soleri - l’Italia è l’unico Paese che finora l’abbia applicato...”. “Se è per questo, non ve ne faccio i complimenti” troncò secco Lloyd George. Il debito pubblico che ha accumulato, nella seconda metà del secolo XX, il regime che ancora oggi governa questo sciagurato Paese, è all’incirca pari al costo complessivo della guerra 19151918: 2,4 milioni di miliardi in lire attuali. Le aziende di Stato, anziché produrre capitali, ne hanno sottratti al contribuente, anche quando operavano in regime di monopolio, come la Stet di pessima memoria. I prodi, senza gioco di parole, che hanno guidato l’Eni, l’Iri e altri enti statali, hanno impegnato la parte migliore del loro ingegno ad occultare dai bilanci la montagna di quattrini versati nei capaci forzieri dei partiti politici. Agostino Magliani, nella tomba, dev’essersi sentito come un dilettante della manipolazione contabile. La marina italiana, un mito da sfatare di Mario Costa Cardol (La Padania, 16 e 20 settembre 1998) R icorre quest’anno il centenario della morte di Benedetto Brin (1833-98), uomo politico e ingegnere navale che tentò di dare all’Italia una marina in grado di difendere i suoi seimila chilometri di coste, e di cementare, per giunta, l’unità militare e civile degli italiani. Una marina che portava, sin dall’infanzia, il marchio della sconfitta di Lissa (1866), e che ha sempre assorbito, fino al 1943, una quota spropositata del bilancio nazionale, giungendo con alti e bassi a toccare punte del 12 per cento. Tale percentuale era superata da un unico Paese: la Gran Bretagna. Ma essa disponeva di ben altre risorse e poteva permettersi, in quanto isola, di lesinare sull’armata di terra. Nel 1890, l’Italia era il Paese d’Europa che contava il maggior numero di disoccupati e di emigranti. Ma la sua flotta, nel 1890, era la terza del mondo. Il capitano di vascello John Fisher, comandante della più potente corazzata inglese, 34 - Quaderni Padani deplorava, in una lettera ai superiori, che i 12,5 nodi della sua unità fossero largamente inferiori ai 15,5 nodi che l’italiana Dandolo, concepita da Brin, poteva tenere a lungo in navigazione. Genio organizzativo e fervore marinaresco dimostrarono, curiosamente, tre uomini assolutamente privi di legami ancestrali con le celebrate repubbliche marinare. Di essi, due erano savoiardi e il terzo siciliano. Si tratta di Brin, Saint-Bon e Orlando. Figlio di un impresario in carpenteria di Catania, e maggiore di quattro fratelli tutti dotati per la meccanica, Luigi Orlando impiantava nel 1856 uno stabilimento a Porta Pilo, in quel di Genova, varando il primo piroscafo in ferro costruito interamente in Italia. Chi forniva i fondi? Ovviamente, lo Stato piemontese-savoiardo-nizzardo-ligure di allora. Chi firmava le ordinazioni e garantiva l’acquisto dell’intera produzione dei cantieri? Ovviamente, il florido conte di Cavour, il quale non ignorava che, prima di “dedicarsi alAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 35 le arti meccaniche”, gli Orlando erano stati affiliati alla Giovine Italia con Mazzini, Garibaldi, Rosolino Pilo, Aurelio Saffi ed altri, e che Luigi. durante l’insurrezione antipapalina del 1848-49 a Roma, si era distinto ponendo una bandiera tricolore nelle mani della statua di Marc’Aurelio in Campidoglio. Ideologicamente, l’embrione della marina da guerra – che sarà monarchica negli alti gradi ancor più dell’esercito - esce dunque sotto gli auspici di Mazzini, il quale propugnava il possesso di tutta la sponda africana del Mediterraneo. Il nero-barbuto Apostolo aveva poi praticato uno sconto, accontentandosi di Tunisia, Libia ed Egitto. Gli inglesi, che lo ospitavano e favorivano i suoi disegni d’Italia unita col denaro e con la diplomazia, erano un po’ perplessi dinanzi a simili esigenze, ma le mettevano, sorridendo, sul conto dell’esuberanza latina. Proscritto e condannato soltanto in teoria, Mazzini lasciava spesso e volenLa marina italiana nel porto di Genova, 1865 ca. tieri la brumosa Inghilterra per scendere a Genova, dove Luigi Orlando lo sistemava nella sua villa adiacente al cantiere, e cordi contro la flotta austro-veneto-croata del dove l’Apostolo contemplava beato le murate de- Tegethoff. gli scafi destinati a fare del Mediterraneo il Mare Tra uomini di mare liguri, napoletani, veneti, Nostrum dell’Italia unita. Orlando, durante le toscani, siciliani e pugliesi, i due savoiardi frequenti udienze a Torino nel gabinetto mini- Saint-Bon e Brin erano sicuramente i più indisteriale del Cavour, si sentiva blandamente rim- cati a metter pace, forse proprio perché il paeproverare, dal “Gran Tessitore”, la presenza ille- saggio della Savoia è dominato dal Monte Biancita dell’Apostolo a Genova in casa sua. Teatral- co anziché da quel Mediterraneo dove gli italiamente rispondeva allora l’armatore: “Conte, se ni, dopo la caduta dell’impero di Roma, non io non avessi più che un pane, ne darei una hanno fatto che azzuffarsi. La storia dell’Italia metà a Mazzini e l’altra la distribuirei fra me e unita propizia le barzellette. Simon Antoine Pala mia famiglia”. Questo svelava al pubblico L’il- coret de Saint-Bon era nato a Chambéry nel lustrazione Italiana nel 1892, quando moriva il 1828 ed era rimasto ufficiale di marina al servicostruttore della famosissima Lepanto, gioiello zio di Casa Savoia anche dopo che la Savoia, nel della marineria italiana. 1861, era passata alla Francia. Più volte miniProgettata da Brin, la Lepanto era stata varata stro, egli lottò in parlamento affinché il bilancio nel 1882 nel maestoso Cantiere Luigi Orlando di della marina non venisse decurtato. Dopo Lissa, Livorno, che il governo di Roma aveva finanzia- il bilancio era precipitato a 24 milioni: il minito in concomitanza con la fondazione, sempre a stro delle finanze Quintino Sella voleva addiritLivorno, dell’Accademia Navale, patrocinata da tura vendere le navi e liquidare la flotta. Brin, Brin e dal Saint-Bon in sostituzione delle vec- anch’egli deputato e sovente ministro, riportava chie scuole di Genova e di Napoli. L’unificazione a galla il prezioso bilancio, assestandolo nel delle scuole s’imponeva per eliminare vecchie 1888 a quota 158 milioni: oltre un decimo della ruggini che avevano contribuito a provocare la spesa globale dell’Italia. cocente batosta di Lissa. Benedetto Brin era nato a Torino nel 1833; A Lissa, ufficiali di scuola genovese e napoleta- suo padre era capo macchinista al Teatro Regio e na si erano fatti la guerra, anziché battersi con- proveniva dalla Savoia, dove il cognome Brin Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 35 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 36 (pronunziato Brén nia mediterranea acin francese) è molto carezzati prima da diffuso. Brin fu anMazzini e poi passati che ministro degli in eredità – sia pure esteri, e nel 1893 ebin diverso ambito be le sue gatte da pestorico ed istituziolare quando ad Ainale - alla dittatura gues Morte, in Profascista. Il risultato venza, immigrati itafu il disastro che liani vennero massatutti conosciamo. crati dalla xenofobia Dopo l’armistizio dei compagni di ladell’8 settembre voro francesi. Capo1943, tutte le supergruppo dei parlastiti (poche) navi da mentari piemontesi, guerra italiane si Brin rimase fino alla consegnarono agli sua morte, nel 1898, anglo-americani, nei più rispettato e autofrattempo attestatisi revole di Giolitti, Marina italiana nella Seconda guerra mondiale lungo una linea Saspecie dopo che quelerno-Foggia. Poisti venne implicato nello scandalo della Banca ché la marina, al contrario dell’esercito e delRomana. Ma né Brin né il Saint-Bon riuscirono l’aeronautica, non si era disunita, essa era pronnel loro intento più alto: creare tramite la Marina ta a combattere contro i tedeschi. “una sola famiglia di tutti gli italiani”. Gli Alleati affidarono quindi al naviglio sottile Eccoci ora al conflitto italo-austriaco 1915-18. italiano - incrociatori leggeri, cacciatorpedinieIl prorompere della Germania, degli Stati Uniti e re, torpediniere, corvette – il compito di scortadel Giappone sulla scena dei mari ha relegato la re convogli dalla Tunisia alla Sicilia e alla Puflotta italiana al sesto posto. Comunque, nell’A- glia, ma disarmarono a Malta tre corazzate, e aldriatico, le forze italiane e austriache si pareg- tre le internarono nel Mar Rosso. Il Re, Badoglio giano. Ma ecco l’Austria assestare una serie di e l’ammiraglio De Courten s’illusero che la “cocolpi bassi che mettono tragicamente a nudo la belligeranza” della marina avrebbe mitigato le fragilità della compagine sociale dell’Italia unita. clausole della pace. Il 27 settembre 1915 l’incrociatore Benedetto Quasi tutte le unità, invece, furono demolite o Brin, ancorato a Brindisi, salta in aria per una consegnate ai vincitori, Urss compresa, che si terrificante esplosione che uccide 455 uomini ebbe la magnifica nave-scuola Colombo, gemella dell’equipaggio. I sabotatori sono italiani: gente della Vespucci. ignobile al soldo aell’Austria (la centrale operatiAndò perduta anche ogni speranza di amalgava si trova a Zurigo) che tradiscono in base a ma civile fra Nord e Sud della penisola. Dopo l’8 precise tariffe: 300mila lire per un sommergibile settembre, gli equipaggi risultarono in soprano un cacciatorpediniere, 500mila per un incro- numero data l’inattività delle grosse navi da batciatore, un milione per una corazzata. taglia. Si congedarono per primi, ovviamente, i Il 3 agosto 1916 è la volta della Leonardo da marinai del Sud, che avevano le famiglie in zone Vinci, un colosso di 26mila tonnellate, che ha la già “liberate”. Sulle unita in navigazione rimasepoppa squarciata da una catena di esplosioni e si ro in servizio quasi esclusivamente dei settencapovolge nel Mar Piccolo di Taranto. Gli italiani trionali (oggi diremmo “padani”), in prevalenza reagiscono bene, colando a picco nel corso del numerica già prima, dato che una marina abbiconflitto tre corazzate nemiche a mezzo di silu- sogna soprattutto di operai specializzati - mecranti veloci dette Mas. Ma la compagine dell’Ita- canici, elettricisti, carpentieri - che si potevano lia unita non si rinsalda. Né per queste né per al- reclutare soltanto al Nord: nel 1942, c’erano tre imprese. operai delle Officine di Savigliano spediti sui Nella seconda guerra mondiale, dal giugno sommergibili senza neppure saper nuotare. 1940 al settembre 1943, l’Italia ebbe di fronte A fine maggio 1945, anche il grosso dei marinai quella potenza navale di Gran Bretagna che ri- e ufficiali del Nord poté tornare a casa. La marina maneva il principale ostacolo ai sogni di egemo- ebbe il buon senso di caricare i congedati sulle 36 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 37 poche unità rimaste a disposizione, per evitar loro il lunghissimo e periglioso ritorno via terra. Sul cacciatorpediniere Grecale, ad esempio, si stiparono oltre 2.000 congedati. C’ero anch’io, non ancora ventenne ex allievo ufficiale. Assiepate ai bordi del canale tra il Mar Piccolo e il Mar Grande di Taranto, stavano le fidanzate o amiche dei marinai padani, che rimpatriavano dopo quasi dieci anni di permanenza nei porti del Meridione; molti erano in servizio dalla guerra d’Abissinia o dalla guerra di Spagna. Le amichette dal molo mandavano baci e sventolavano fazzoletti. Un silenzio ostinato, quasi impudente, serrava la gola dei marinai. Ma all’improvviso, quando il Grecale fu a debita distanza, si levò un coro assordante di imprecazioni: “Terra maledetta, terra da pipe... mi hai rubato dieci anni di gioventù. Non voglio più vedervi, voi terroni... Che vita è da voi?”. Nessuno, né a terra né a bordo del Grecale avrebbe immaginato che, di lì a pochi lustri, Esposito sarebbe stato il cognome più diffuso a Torino e che un ramo della metropolitana milanese avrebbe avuto per capolinea Bisceglie. Schizzi alla brava sull’invasione del nostro continente da parte dei popoli extra-europei di Mario Costa Cardol (La Padania, 7, 14 e 21 febbraio 1999) T orme di incursori provenienti dall’Africa avevano flagellato le coste d’Italia in varie ondate dall’ottavo al quindicesimo secolo, procurando alle genti della penisola un meticciato di cui oggi sarebbe arduo calcolare le proporzioni numeriche. Ma il primo meticcio ad apparire clamorosamente sulla scena italiana ed europea fu un bastardo dei Medici, quel casato di banchieri, cardinali e papi affaristi che ha bensì propiziato gli splendori rinascimentali di Michelangelo, Bramante e Raffaello, ma ha pure cagionato all’Italia alcune delle più mostruose sventure quali il sacco di Roma nel 1567, dovuto alla corruzione, all’intrigo e alla spaventosa leggerezza di papa Clemente VII. Dopo il sacco, Papa Medici non si peritò di chiedere aiuto militare all’imperatore Carlo V, i cui soldati (lanzi tedeschi e spagnoli) avevano per un mese trasformato Roma in un’immensa camera di tortura. Occorreva infatti al papa aiuto militare per investire suo nipote Alessandro (alcuni storici dicono suo figlio) del titolo di primo Duca di Firenze. Crudele tiranno, Alessandro de’ Medici era nato dal grembo di una serva negra. Sangue africano ebbero altri personaggi come gli scrittori Puskin e Dumas, ma, per giungere a Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 un ruolo consistente non di individui, bensì di masse africane nelle vicende dell’Europa, bisogna rifarsi alla seconda metà dell’Ottocento, quando, per supplire al calo demografico, la Francia introdusse nel suo esercito interi reggimenti mercenari algerini. Era l’epoca dei cosiddetti “zuavi”, seguiti via via da marocchini, senegalesi e altri difensori della nazione più civile del mondo. La Francia è stata, come vedremo, il principale veicolo dell’invasione che, che, dapprima lenta e controllata, ha portato all’attuale flusso selvaggio e senza freni, salvo quelli teorici sbandierati dai media. Chi frequenta a Milano, il Parco Sempione, trova nell’elenco dei caduti francesi nelle battaglie di Magenta e Solferino (1859), incisi sul basamento della statua equestre di Napoleone III, nomi come Ahmed-Ben-Youssouf e Mohamed Djelloud, che costituiscono un buon ventesimo del totale. Fra questi c’è forse un antenato di quel Zidane che nel 1998, nel gioco del pallone, ha assicurato alla Francia un’altra gloria imperitura. Il conflitto del 1870-71 contro i prussiani, provocato dalla Francia che vorrebbe disfare l’unità germanica costituitasi (in forma federativa) nel 1866, registra un impiego ancor più massiccio di Quaderni Padani - 37 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 38 truppe nordafricane. Tuttavia, la “globalizzazione” non essendo ancora né d’obbligo né di moda, i mercenari dell’Africa vengono raggruppati in unità a parte. Le comandano esclusivamente ufficiali bianchi francesi. Contando all’incirca lo stesso numero di abitanti della Germania (38 milioni) la Francia ha creduto di rafforzare il suo esercito con schiere di nordafricani che, sotto il nome di Turcos o di Gums, destano raccapriccio in un’Europa e soprattutto in una Germania non ancora abituate a quello che oggi si chiama il “pluralismo delle etnie”. É interessante al riguardo il commento del più autorevole storico militare dell’epoca, Wilhelm Rüstow. Due parole intanto per ricordare chi era Rüstow. Ex ufficiale prussiano imprigionato e poi espulso dalla Prussia perché comunista, Rüstow si era entusiasmato per Garibaldi e si era aggregato alla spedizione dei Mille: alla battaglia decisiva del Volturno (ottobre 1860) Rüstow fungeva da luogotenente dell’Eroe dei due Mondi. Si era quindi stabilito in Svizzera e i suoi libri andavano a ruba in tutta Europa. Gli storici, sia di destra che di sinistra, lo hanno poi volutamente dimenticato perché scomodo, cioè imparziale. E Rüstow scriveva nel 1871 circa gli ausiliari africani della Grandeur: “Nell’interesse della civiltà europea, i francesi potevano risparmiarci queste prove”. Dopo il 1871, l’Europa conobbe un buon quarantennio di pace. Gli ardori bellicosi si sfogarono nella conquista di nuove colonie: Inghilterra e Francia fecero la parte del leone. Non mancarono ingiustizie e soprusi da parte dei bianchi, ma. almeno, i dominatori impedirono ai dominati di scannarsi a vicenda, come avevano fatto prima della colonizzazione e come ripresero a fare dopo la decolonizzazione, ossia dal 1960 fino ad oggi. Poche settimane dopo lo scoppio della guerra 1914-18, i franco-inglesi si trovarono a mal partito, con gli ulani e i fanti germanici a pochi chilometri dalla Ville Lumière. Molto eroicamente i poilus (fanti francesi) si difendevano sul fiume Marna, ma senza l’immediato rincalzo di truppe freschi, Parigi e la Francia erano spacciate. Si attendevano col batticuore i rinforzi algerini e marocchini, i quali si stavano imbarcando nei porti nel Nordafrica. Due incrociatori tedeschi, il Goeben e il Beslau, tentarono invano di intercettare e distruggere i bastimenti salpati da Bona e Philippeville. La Francia era salva. Quattro anni dopo, nel giugno 1918, i boriosi comandi francesi vissero altre giornate d’ango38 - Quaderni Padani scia, quando l’esercito tedesco, pur stremato dalla fame per il blocco navale inglese, stava vibrando l’u1timo colpo di coda. Ma il 10 giugno, l’avanzata era stroncata da un contrattacco sferrato dalle truppe francesi di colore agli ordini del generale Mangin. Anche gli inglesi avevano fatto largo ricorso a truppe di colore, indiane soprattutto. Nell’euforia della vittoria, i governi di Londra e di Parigi non pensarono minimamente alla gravità del fatto di aver inoculato in Europa un corpo estraneo. Nell’atmosfera caotica di quel primo dopoguerra, si pensava che il miscuglio delle genti si sarebbe limitato alle follie esotico-musicali delle jazzband di Londra e del famoso Bal Nègre di Parigi, importati peraltro dai quartieri negri degli Stati Uniti piuttosto che dai tuguri dell’Africa. Poiché la società rifuggiva dall’equiparazione delle razze, era stata una mossa da irresponsabili quella di ricorrere al sangue africano per schiacciare Germania e Austria. Le quali, già nel 1916, erano disposte a negoziare una pace senza vincitori né vinti. Inghilterra e Francia volevano invece distruggere l’unità e l’economia della Germania. Delle terribili effusioni di sangue dei soldati le classi dirigenti non si curavano, o se ne curavano a parole. Il testardo obiettivo di una vittoria assoluta e dell’umiliazione della Germania – causa non ultima del conseguente nazismo – rendeva indispensabile il ricorso ai mercenari extraeuropei. Una cambiale psicologica che l’Europa intera è obbligata adesso a pagare. Ma negli anni venti e trenta, Francia e Inghilterra serbavano una mentalità rigidamente colonialista. Per esempio un vietnamita, laureato al Politecnico di Parigi, quando rientrava nella sua terra d’origine, doveva accontentasi di un posto subalterno agli ordini di un qualsiasi francese bianco, magari idiota e incompetente. Da un eccesso all’altro: oggi la discriminazione tende a farsi all’inverso. Grazie alle clausole giugulatorie e volutamente confuse del trattato di Versailles, la Francia nel 1920 mirava ad annettersi, o comunque a staccare dalla Germania. tutto il territorio alla sinistra del Reno. Queste mire comportavano atti di violenza, intimidazioni ed anche omicidi. La Francia occupò il territorio sino al 1930. A quali unità dell’esercito venivano affidate di preferenza le azioni delittuose? Alle unità formate da truppe di colore. “L’impiego di truppe di colore di bassissima cultura – proclamava il socialista Ebert, presidenAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 39 te della repubblica tedesca – è un’offesa delle leggi della civiltà europea”. Ma lo statista francese Clèmenceau, detto “il Tigre”, ridacchiava in pubblico: “Trovo più bellezza nel corpo di un senegalese che nel cervello di tutti i professori di Colonia e di Berlino”. È un peccato che gli storici omettano di citare tali provocazioni tra le cause dell’ascesa di Hitler. Ed è strano che in Francia, dove l’umorismo abbonda, nessuno abbia pensato di ribattezzare Asino il Tigre. Nel 1947 l’Inghilterra lasciò l’India, che ormai le costava più di quanto le rendesse. In un decennio, l’orgogliosa Gran Bretagna, signora del più vasto impero coloniale della storia, smobilitò quasi tutti i suoi possedimenti. Era in bolletta, si era indebitata per vincere la seconda Guerra Mondiale a fianco degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica, e le spese causate da guerre e guerricciole per tenere soggetti i popoli colonizzati l’avrebbero ridotta in mutande. In Europa l’idea base dei progressisti era sempre stata che l’auspicata indipendenza delle colonie avrebbe dovuto giovarsi in loco delle minoranze colte di studenti - in genere figli di reucci o capi tribù - formatisi nelle università di Londra, Parigi o Ginevra. Vittorio Emanuele II nominato caporale degli zuavi Furoreggiava negli anni Trenta il lia San Martino, 1859 bro di Louis Bromfleld intitolato La Grande Pioggia. Il protagonista, un giovane medico indiano, usava toni lirici per espri- guente in circostanze oscure. Un amico sovietico, mere la fierezza e la fortuna di aver studiato in prendendomi bonariamente sotto il braccio, mi Europa per essere utile al suo popolo. diceva negli anni Ottanta: “In confidenza, voi euL’intreccio narrativo era emblematico, ma negli ropei siete dei coglioni. Vi lasciate impressionare anni Sessanta era già emblematico alla rovescia. dalla nostra propaganda che tuona contro le voInvece di tornare in India per curare ed educare stre discriminazione razziali. Ma a Mosca e all’Ui loro fratelli, la stragrande maggioranza dei me- niversità Lumumba. le cose non vanno come voi dici laureatisi in Inghilterra aveva preferito im- immaginate. Da noi, un medico o un ingegnere, piegarsi negli ospedali di Londra, Liverpool, Bir- appena laureato, prende l’aereo e se ne torna al mingham. suo Paese. Là, sarà un nostro buon amico politiPassando dalle minoranze colte alla turbe dei co e formerà una classe dirigente schierata con semianalfabeti, risulta che del proprio popolo, l’Urss alle Nazioni Unite, all’Unesco, eccetera. Ma della propria terra, a ciascun extraeuropeo non se uno studente africano, durante gli anni di stuimporta un fico secco. di a, Mosca si prende la libertà di entrare in un Mosca aveva dedicato a Patrice Lumumba la ristorante o un bar con una ragazza russa, gli si sua università per stranieri. L’ateneo era così avvicinano subito due tipi vestiti in maniera cochiamato dal nome del primo presidente del Con- mune che gli mostrano un tesserino. I nostri siglio del Congo dopo la conquista dell’indipen- sbirri non sono bardati come i vostri carabinieri denza (1960); Lumumba veniva ucciso l’anno se- con giberne e cimiero. Lo studente negro, lo fanAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 39 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 40 li, ufficiali francesi e Legione Straniera si erano fatti intrappolare. Credendosi più furbi degli inglesi, i governi di Parigi decretarono che della “repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale” erano parte integrante tutte le colonie, dall’Algeria al Madagascar, dal Togo al Camerun. Chi ne predicava l’indipendenza poteva, in teoria, finir fucilato come traditore, al pari della spia Mata Hari nel 1917. L’Algeria contava 8 milioni di musulmani contro un milione scarso di coloni francesi bianchi: nel 1830-40, al momento della conquista francese, i musulmani non arrivavano a due milioni. Numericamente, adesso, la lotta era impari. La nazionalità francese non ci protegge, dicevano gli Algerini, dagli abusi e dallo strapotere dei coloni bianchi. E poi, occorreva uno Stato islamico, con leggi e statuti adatti al costume islamico. I francesi avevano violato la loro personalità morale. Dovevano sloggiare. Islamismo e cristianesimo, fedeltà al Corano e stile di vita occidentale, non potevano convivere. Con circa 60.000 guerriglieri intrepidi e spalleggiati dall’intera popolazione musulmana, l’Algeria impegnò la lotta dal 1955 al 1962 e La 2a divisione marocchina nel Lazio, dicembre 1943 obbligò la Francia a mandarle contro tutti i 400.000 soldati del suo no uscite senza tante spiegazioni, e alla ragazza esercito di leva. La Quarta Repubblica “indivisibisussurrano: Se non ti garba un viaggetto al di là le” dall’Atlantico all’Oceano Indiano si sfasciò nel degli Urali, fa la brava”. 1958; ne approfittò De Gaulle, cambiando la coIn Italia, Maurizio Costanzo esortava le pulzelle stituzione francese (Quinta Repubblica) e cercanad accoppiarsi con un negro. E alla “scuola di do sulle prime d’intensificare lo sforzo bellico. partito”, frequentata dal giovane D’Alema e da al- Nel 1962, si arrese all’evidenza ed accordò agli altri innocentini che allora si chiamavano comuni- gerini tutto quanto chiedevano. Capo della ribelsti, le regole dell’Università Lumumba non veni- lione era stato un certo Ben Bella, ex sottoufficiavano insegnate. le dell’esercito francese che, nel vecchio assetto La Francia, insieme all’Inghilterra, è il Paese coloniale, non sarebbe potuto avanzare nemmeeuropeo che conta il maggior numero di islamici no al grado di tenente. e di extracomunitari, anche proporzionalmente al Ai coloni francesi bianchi fu proposta una granumero degli aborigeni bianchi e cristiani. Alla ziosa alternativa condensata nel motto: “O la valiFrancia, nel 1955, era andata perduta soltanto gia, o la bara”. Scelsero la valigia. l’Indocina, dopo un conflitto cruento contro l’arMa a questo punto viene il bello. Se ai francesi mata comunista di Ho Chi Minh e terminato con in Algeria non è più concesso neppure di gestire la sconfitta di Dien Bien Phu (1954), in un piano- una merceria, perché in Francia spuntano subito ro chiuso fra alte montagne dove truppe colonia- tanti e tanti negozi di frutta e verdura. spacci ali40 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 41 mentari, locali e ritrovi gestiti da nordafricani? Come si permette quel tipaccio che sino a poco fa sbraitava “Fuori da casa mia!”, d’installarsi adesso in Francia con armi, bagagli e tutta la smalah (famiglia in arabo)? I media non se lo chiedono. I francesi neppure. Ma c’è il boom dell’auto, e la Francia dev’essere concorrenziale di fronte alla Germania, che ha chiamato i turchi nelle sue officine. Le fabbriche Renault, Peugeot e Citroen si riempiono di algerini, marocchini e via dicendo. È la legge del mercato. Ma c’è da domandarsi come siano riusciti i giapponesi a dominare il mercato mondiale dell’automobile senza sottoporsi ad alluvioni di non giapponesi. Per ripopolare la Francia in calo demografico, De Gaulle e il suo primo Ministro Debré vararono, tra il 1960 e il 1964, una serie di leggi accordanti, alle famiglie numerose, sussidi e assegni famigliari che ancor oggi figurano tra i più generosi non d’Europa, ma del mondo. I francesi della madrepatria accolsero queste provvidenza con un fervore - diciamo - moderato. Ma tra gli arabi, si scatenarono allegrezza e fecondità. Algerini, marocchini, tunisini, senegalesi ed altri residenti dell’impero coloniale si precipitarono sulla terra di Voltaire e Montesquieu, dove le prodigalità valevano anche per le famiglie straniere. Verso il 1980, ad un’ora mattutina, mi trovano in un bar del ventesimo arrondissement (distretto cittadino) di Parigi, ormai arabo per tre quarti, e nella scherzosa atmosfera del locale un marocchino sui quarant’anni celiava rivolto a quelli che si affrettavano al lavoro: “Sì, sì, vai a sgobbare, che ti fa bene...”. Lui, placido, riposava tutto il giorno. Riscuoteva il sussidio di disoccupato e aveva nove figli. Sino al 1980, nella mia beata innocenza, non mi sembrava che la Padania stesse per venir colpita dall’onda extracomunitaria. Quanto ho raccontato mi pareva logico rimanesse circoscritto alle due potenze, Inghilterra e Francia, che, nel 1914, possedevano circa la metà del pianeta e che avevano affrontato la prima guerra mondiale scagliando tuoni e fulmini contro il “germanesimo” imperialista, formato da una Germania che in fatto di colonie possedeva solo qualche rimasuglio dell’abbuffata anglo-francese (Togo, Camerun, Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Tanganika) e da un’Austria-Ungheria che possedeva saggiamente zero colonie, ma che aveva il torto di non tollerare l’espansionismo dei serbi nei Balcani. Per vincere in nome della libertà dei popoli, le succitate potenze si erano servite di due grosse pedine. Una pedina era l’Impero russo degli Zar, che in tema di libertà dei popoli vantava il regime più reazionario ed oppressivo del mondo. L’altra pedina, come abbiamo visto, era costituita dalle truppe coloniali. . Se li son voluti, adesso se li godano, dicevo tra me ogni qual volta, a Parigi e a Londra, vedevo frotte di negri e di indiani sdraiati sulle panchine dei parchi. Soldati di colore dell’esercito francese, 1940 E sogghignai quando, in Hyde Park, un ex sottufficiale della marina britannica mi raccontò la sua disavventura. Si era licenziato dalla marina dopo quindici anni di servizio volontario perchè il governo di Londra, poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, aveva soppresso la ferma obbligatoria. Con i soldi della liquidazione, e col peculio di una divorziata che lui aveva sposato appena finito di navigare, aveva comprato una graziosa villetta nell’estrema periferia, ai margini dei boschi. Lavorava come capo reparto nei grandi magazzini Macy’s. Era felice. “In pochi anni, la zona si è trasformata in un accampamento indù. D’estate, gli indiani cenano all’aperto fino all’una di notte. L’aria dei boschi è impregnata di curry ed altre spezie. Il baccano è infernale. Finirò col vendere, ma le quotazioni immobiliari della zona sono crollate dopo gli inQuaderni Padani - 41 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 42 sediamenti dall’India”. “Ma gli indiani sono indipendenti, hanno persino la bomba atomica. Perché si riversano tutti qua?” interloquì mia moglie con ingenuità simulata. “Francamente non capisco. Dovrebbero esserci delle quote di immigrazione, ma tutto è poco chiaro...” mormorò desolato l’ex nocchiero della Royal Navy. Nella marina britannica si cantava “Britannia rules the waves”, la Gran Bretagna domina i mari, ma adesso gli inglesi non sembravano più padroni nemmeno della terraferma. “We left the colonies, but the colonies followed us...”. “Abbiam lasciato le colonie, ma le colonie ci son venute dietro”, fu la rassegnata chiusa del discorso. Si era nel 1976. Tornato in Padania, mi rallegrai pensando che amarezze simili a quella dell’ex nocchiero inglese non erano ipotizzabili. Pochi anni dopo, notai però sulle spiagge liguri degli inconsueti assembramenti di gruppi neri di venditori ai cianfrusaglie. Sui giornali si leggeva occasionalmente dì “extracomunitari”, termine che filologicamente poteva attribuirsi agli svizzeri o agli austriaci, non ancora facenti parte della Comunità Europea. Dovetti presto rendermi conto che l’extracomunitario non veniva dal Nord, e che la parola era un subdolo inganno linguistico, quasi che la Comunità Europea fosse stata creata apposta per fornire, grazie al prefisso “extra”, un comodo eufemismo atto a designare gli appartenenti a clan e tribù africane. D’altronde, quando mi occorse un documento delle autorità di polizia parigine, mi avvidi che già da un ventennio la burocrazia francese adoperava stampati con la richiesta ad ogni straniero, marocchino o svedese, algerino o austriaco, senegalese o italiano, di specificare la “tribù di appartenenza”. Intanto, anche i tedeschi venivano assaporando le delizie della società multirazziale. Oggi, con tre milioni di turchi fra il Reno e l’Oder, le mamme tedesche non possono più mandare i loro bimbi all’asilo. La risposta è ovunque la medesima: “In questo istituto i posti sono già riservati. L’asilo è per i piccoli turchi. I vostri figli hanno invece la possibilità di imparare il tedesco dai genitori”. Quale fatalità, quale, “destino imprescindibile” della storia ha portato l’Europa a rinnegare persin la logica e il diritto naturale? Sentite quest’ultima. A Parigi, nel giugno 1990, su Figaro, leggevo ogni mattina, in prima pagina ma senza gran risalto, i resoconti del processo a monsignor Lefevre, quel prelato tradizionalista che voleva conservare la messa in latino. Ma non si trattava né di messa né di latino, il procedimento penale si 42 - Quaderni Padani riferiva a un’allocuzione del prelato circa bande di marocchini che sequestravano giovani donne francesi destinate ai bordelli di Rabat e di Casablanca. Il sultano del Marocco, sapendo che era vero, non si prese la briga di protestare. Ma il prelato non aveva fatto i conti con la magistratura francese. Questa si mosse da sola, fremente di sdegno. Si stava dunque processando monsignor Lefevre per “incitamento al razzismo”. Premesso che in Francia si applica la condizionale anche fino ai cinque anni, la condanna fu severa: cinque anni di carcere con la condizionale. Sui giornali, eccettuato il Figaro, neanche una riga. Il prestigioso Le Monde, additato dagli intellettualoidi italioti come massimo esempio di libertà e completezza d’informazione, non trovò nessun cronista giudiziario da mandare in tribunale. Quanto ai marocchini, è ovvio che non tutti si dedicano al lenocinio. Pare che nel Meridione molte aziende agricole non potrebbero sopravvivere senza il lavoro nero degli immigrati. Però certi agricoltori del Piemonte hanno fatto esperienze sconcertanti. Un anno che mancava la manodopera per la raccolta delle pesche, si rivolsero a gruppi di marocchini che tutti i giorni passeggiavano riposati e pasciuti grazie alle sollecitudini del nostro clero. “Gli alberi stracarichi rischiano di subire danni irreparabili”, implorarono. La replica dei fedeli di Allah fu sprezzante: “Gli alberi li avete piantati voi. Non è affar nostro”. Sette anni fa andai a visitare miei parenti in Belgio e trovai la Grande Place di Bruxelles irriconoscibile. Lungo il perimetro delle facciate dei palazzi, gioielli dell’architettura fiamminga, stavano accosciati l’uno accanto all’altro un centinaio di africani. Era in pieno giorno, e di giorno nelle fabbriche si lavora. Che fossero tutti operai dei turni di notte? Fui avvertito dì non fare commenti né sarcasmi ad alta voce, perché rischiavo noie con la polizia e la magistratura. L’Europa è ancora in democrazia? C’è da dubitarne, perché l’intolleranza degli esaltati, dei con formisti e degli stupidi ha fatto passi da gigante. Nel 1993 uscì l’ultimo dei miei libri dedicati al Risorgimento. In un parallelo tra il passato e il presente, osservavo: “Culturalmente e spiritualmente, l’Europa oggi si sta suicidando”. Il critico dì un cosiddetto autorevole quotidiano milanese mi fece discretamente sapere che era impossibile recensire un libro contenente valutazioni del genere. Pazienza. Sempre meglio che cinque anni di galera. Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 43 L’Asse Roma-Berlino? Concepito nel 1919 Tra le motivazioni dell’intesa, l’arroganza dei Transalpini vincitori della Grande Guerra di Mario Costa Cardol (La Padania, 3 marzo 1999)) O ttant’anni fa, politici e giornalisti di mezza Europa discorrevano di un’alleanza che sembrava quanto meno bizzarra. In quel 1919, straziato dal lutto di oltre dieci milioni di famiglie di caduti della Grande Guerra, un celeberrimo politologo francese scriveva a un giovane ma già rinomato direttore di giornale italiano: “Sapreste dirmi cosa c’è di vero in queste voci di alleanza tra Italia e Germania di cui tanto parla la stampa di Parigi?”. L’illustre politologo si chiamava Georges Sorel; il giornalista famoso, Mario Missiroli. Di preciso, in quelle voci, non c era nulla, ma sicuramente covava un’acredine vendicativa. A Parigi, dove le potenze vincitrici (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, Italia e Giappone) preparavano con studiata lentezza le terribili condizioni del trattato di pace da imporre alla Germania, l’Italia figurava come cenerentola. Francia e Gran Bretagna menavano la danza, spartendosi le colonie tedesche nonché i territori impregnati di petrolio (come l’attuale Irak) già appartenenti all’Impero turco anch’esso sconfitto. All’Italia. si concedeva una rettifica di frontiera in Somalia (!) e si contestavano persino gli ingrandimenti territoriali in Istria e in Dalmazia garantiti dal patto di Londra (maggio 1915). Certamente, fra Istria e Dalmazia, l’Italia avrebbe inglobato un sei-settecentomila slavi; ma, dal momento che si permetteva alla neonata Cecoslovacchia e Polonia d’ingoiare oriundi germanici a milioni e milioni, la “pace giusta” invocata dal presidente americano Wilson si riduceva al sistema dei due pesi e due misure. I giornalisti italiani erano furibondi. Durante le “radiose giornate” del maggio 1915 essi avevano spaccato il capello in quattro per dimostrare che l’Italia aveva fatto bene, nel 1882, ad allearsi con Germania ed Austria-Ungheria, ma che adesso era d’uopo fare dietro-front. Il grande nemico dell’ItaAnno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Cartolina propagandistica dell’alleanza fra Italia, Germania e Giappone lia e dell’Europa era il “pangermanesimo”. Dopo tre anni e mezzo e 600.000 morti, si cambiava nuovamente idea. Il principe dei gazzettieri era allora Luigi Albertini, direttore del Corriere della Sera. Lui, Ugo Ojetti, Guelfo Civinini, Virgilio Gayda ed altre “grandi firme”, si rivoltolavano nelle contraddizioni. I fatti dimostravano chiaramenQuaderni Padani - 43 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 44 Firma del Patto d’Acciaio, Berlino, 22 maggio 1939 te che l’enorme sacrificio richiesto nel 1915 non era valso la pena. Una volta di più, il paese di Machiavelli si era rivelato un paese di babbei. L’Italia, vittoriosa in guerra, si sentiva trattata da vinta. Era questa una forzatura polemica perché, al contrario della Germania, l’Italia aumentava la sua superficie, anche a spese del Sudtirolo, tedesco per lingua e costumi. Tuttavia. a confronto del lauto bottino degli altri vincitori, innegabilmente il paese di Machiavelli raccoglieva le briciole. 24 aprile 1919. Tra lagrime e stizze, la delegazione italiana capeggiata da Orlando abbandona il tavolo della conferenza pensando di bloccarne i lavori. Due settimane dopo, mentre Orlando rimane a Roma, il ministro degli esteri Sonnino compie un affannoso viaggio di ritorno, a Parigi dove i suoi due collaboratori, il ministro degli approvvigionamenti Silvio Crespi (della famiglia degli azionisti del Corriere della Sera) e il diplomatico Luigi Aldovrandi, gli presentano un quadro disastroso. L’Italia è stata retrocessa alla categoria degli “Stati ad interessi limitati”, cioè fra gli alleati minori come Grecia, Serbia, Romania, Portogallo. Inoltre, Smirne e la regione circostante, già promessa all’Italia, è stata assegnata alla Grecia. Crespi affronta il primo ministro francese Clémenceau, il quale, con evidente allusione alla merda, replica volgarmente: “Voi l’avete; fatta, adesso mangiatela!”. Crespi rincorre il villanzone che si allontana nel corridoio seguito da un codaz44 - Quaderni Padani zo di giornalisti e tirapiedi. Vuole schiaffeggiarlo, sfidarlo a duello. Molti s’interpongono, e la bolla di sapone fa presto a svaporare. La sera stessa, durante un ricevimento nel sontuoso alloggio parigino preso in affitto dal governo inglese per il premier Lloyd George, si ode Clémenceau conclamare: “Vi è una pronunciata propaganda germanofila in Italia, dove il governo tedesco sta spendendo somme enormi...”. Affamata dal persistente blocco navale e presa alla gola dagli strozzini franco-inglesi, non si vedeva proprio come facesse la Germania a spendere in Italia “somme enormi” per corrompere i giornali. In verità, nel febbraio 1919, il Corriere della Sera auspicava che l’Austria, ridotta a un troncone separato da ungheresi, slavi, italiani e altri non germanici, fosse saldata alla Germania. Era l’Anschluss, reso famigerato da Hitler nel 1938 per la maniera brutale della sua attuazione, ma, nel 1919, considerato legittimo anche dai socialisti e dai comunisti di Vienna e di Berlino: il deputato comunista Liebknecht lo perorava al Reichstag in un discorso appassionato. Secondo Clémenceau, Italia e Germania volevano formare un blocco antislavo: gli italiani contro la nascente Jugoslavia, i tedeschi contro le fameliche Cecoslovacchia e Polonia, sostenute logicamente col danaro e le armi del governo di Parigi. Insomma. Tutto congiurava a ricondurre i pensatori politici romani alle simpatie verso Sigfrido e le Valchirie della mitologia teutonica. Trieste era Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 45 ancora presidiata da reparti francesi, residuo di quell’esercito misto - formato anche da inglesi, italiani, serbi, greci e rumeni - che nel 1918 era risalito da Salonicco penetrando ovunque nelle sparse membra del moribondo impero austro-ungarico. Il nucleo di quest’armata eterogenea era costituito da francesi, agli ordini del generale Franchet d ‘Espéray . A Trieste, compito dei francesi sembrava quello di canzonare la cittadinanza. Un giorno che avevano molestato pesantemente ragazze triestine, la popolazione reagì, mandandone al cimitero una quindicina. Wilson e Lloyd George, allora, si sbracciarono per trattenere Clémenceau dal muover guerra al paese di Machiavelli. Clémenceau alla fine si accontentò delle scuse, ma per tutto il resto della conferenza, ogniqualvolta si rivolgeva alla delegazione italiana. bofonchiava “popolo d’assassini, popolo d’assassini... Abbiamo in Italia 1200 soldati che rischiano il massacro!”. Per contrappeso, serbi e croati, sobillati dai francesi avevano trucidato a Spalato un certo numero di marinai italiani. Passarono vent’anni. Il 22 maggio 1939 Ciano firmava a Berlino, quasi senza riflettere, quel “Patto d’Acciaio” ch’era anche il frutto delle offese ricevute dai governi di Parigi. L’Italia andò in rovina. La Francia ringoiò la superbia e subì quattro anni vergognosi di occupazione. E tutto ciò per poi diventare, sul finire del secolo XX , la nazione capofila della “mondializzazione” liberticida dei popoli europei. Farini e Cassinis, due tragedie all’italiana Nel dicembre 1862 si parlava di un ministero che rinunciasse a Roma e al Mezzogiorno, invece... di Mario Costa Cardol (La Padania, 28 aprile 1999) N ell’agosto1862, tutta la penisola a sud del Tronto ribolle di massacri, agguati, incendi, torture ed efferatezze quali l’Europa ha visto raramente dall’epoca della guerra dei Trent’anni (1618-1648). Politici e giornalisti italiani sono in preda a somma agitazione. Discorsi in Parlamento e articoli di fondo denotano un’inquietudine che a molte famiglie riesce però incomprensibile. Da lettere o conversazioni durante la licenza, i famigliari dei soldati del Centro-Nord sanno di atti di ferocia bestiale commessi dai guerriglieri meridionali, oppure di spietate rappresaglie da parte del regio esercito italiano. È di questo che si parla tanto sui giornali? Ma nemmeno per sogno. Le notizie sulla guerra civile vengono relegate in qualche pagina interna sotto il titolo banale di “brigantaggio”. I giornali, sempre sfasati rispetto alla gravità cruciale dell’ora – oggi si accalorano Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 per Proal e DAlema ignorando l’immigrazione selvaggia - ridondano invece, nell’agosto 1862, di articoli al batticuore sugli spostamenti di Garibaldi dalla Sicilia alla Calabria. L’Eroe vuole conquistare Roma, scacciarne il papa. Il senatore Roberto D’Azeglio, fratello di Massimo, si era illuso fino all’ultimo sul buon senso dei suoi nuovi compatrioti lombardi, toscani, emiliani: “Penso che l’opinione di lasciar Roma al Papa - scriveva il 12 aprile all’amico Sclopis guadagni ogni giorno terreno. Dio la voglia. Ne abbiamo già abbastanza dell’impiastro napoletano che ci hanno messo sul groppone”. E invece, il 30 agosto 1862, la stampa dirama quella che per i seguaci di Mazzini, fautore dell’unità d’Italia con Roma capitale, è la più luttuosa delle notizie. Garibaldi, in marcia verso Roma con 2000 “camicie rosse”, è stato ferito al malleolo in uno scontro con le truppe regolari sui dirupi Quaderni Padani - 45 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 46 dell’Aspromonte. Fatto prigioniero, Che barbarie! Altro che Italia! Quesarà tosto liberato con massimo dei sta è Affrica: i beduini. a riscontro di riguardi e degli onori. Ma se non lo questi caffoni, sono fior di virtù civisi fermava erano guai. le...La canaglia dà il sacco alle case La Francia di Napoleone III, prode’ signori e taglia le teste, le orectettrice del papa per sue ragioni di chie a’ galantuomini e se ne vanta. politica interna, avrebbe dato all’Ita(...) Anche le donne caffone ammazlia Una durissima legnata. E ciò, nozano; e peggio: legano i galantuonostante che gli italiani fossero eremini (questo nome danno a’ liberali) di dei legionari di Cesare e di Scipe’ testicoli, e li tirano così per le pio, come proclamava Mazzini e costrade; poi fanno ziffe zaffe: orrori da me cantava l’inno di Mameli. non credersi se non fossero accaduti Il governo Rattazzi, dopo aver daGiovan Battista qui dintorno ed in mezzo a noi. Ma to alla Camera le spiegazioni più inCassinis da qualche dì non è accaduto altro: verosimili del suo doppio gioco, si ho fatto arrestare molta gente; alcudimetteva al primi di dicembre. In meno di due ni ho fatto fucilare alle spalle (ne domando scusa anni, l’Italia unita approdava così al suo quarto a Cassinis)...”. ministero. Dopo Cavour, Riscasoli e Rattazzi, chi Cassinis volle andare a Napoli a vedere di persosarebbe stato il quarto guidatore? Si avanzò il no- na. Non riuscì a giustificare le ziffe zaffe, ma ebbe me di Giovan Battista Cassinis, un personaggio ri- poche scusanti anche per i galantuomini: “La masto ignoto - per ben comprensibili ragioni - alla parte orribile non è il popolo bensì il ceto medio. quasi totalità degli italiani. Cassinis era risoluto a Tutto domandano (...) impieghi, pensioni, danaro farla finita con tutte le baggianate e le calamità ad ogni modo. Stanno attenti gli uni agli altri su che gli “unitari” si erano andati a cercare. In prati- chi va più innanzi (...). Ciascuno crede sempre se ca voleva rinunciare a Napoli (per Napoli s’inten- stesso dieci volte superiore al posto che ha e tutti deva allora tutto il Mezzogiorno) e a Roma. vorrebbero essere Presidenti d’Appello, di CassaNato a Vercelli e laureato in legge, in pochi anni zione, Ministri!”. Cassinis si era creata una solida fama di giureconSullo sfondo di prigionieri tagliati a pezzi, opsulto: quasi un fanatico del diritto. Ministro della pure arsi a fuoco lento legati agli alberi, e di integiustizia con Cavour nel 1861, Cassinis deplorava i ri villaggi incendiati per rappresaglia, Farini a metodi spicciativi del “luogotenente” Farini, invia- Cassinis perdevano fiducia. to a Napoli per preparare l’annessione. Farini continuava a fucilare nella schiena, e Nel famoso dispaccio del 21 ottobre 1860 Farini Cassinis deprecava “questo inerte popolo napoletrasmetteva a Torino: “Che paesi son mai questi... tano che ha bisogno d’ozio, di danaro e di disordini”. Fabbrica di maccheroni a Napoli Ovunque occorre rinforzare la polizia. “Ma la polizia in mano di chi è?... Dei così detti Camorristi: gente che fa a vicenda la parte dell’agente di polizia e del ribaldo”.. Malgrado il suo pessimismo, Cassinis restava un ingenuo. Era persuaso che bastasse cambiare le leggi per risanare il Mezzogiorno. “Si faranno cessare quelle 15 loro Corti criminali di trista memoria”, e si costruiranno strade, ponti, ferrovie, Ma se nessuno osava testimoniare contro il crimine organizzato, a che serviva un rifacimento di leggi? Cassinis si lagnava col Cavour che Farini nicchiasse a “pubblicare i Codici”, appunto le nuove leggi. E il Gran Tessitore gli rispondeva nel no46 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 47 vembre 1860: “Temo rini, già infermo di che i fumi della Luogocorpo e di mente, al tenenza abbiano alquale bastano poche quanto offuscato l’intelsettimane per finire letto del nostro amico”. dall’ufficio di capo del Farini replicava che le governo al lettino del tartines, le prelibatezze manicomio. Morirà nel giuridiche di Cassinis, 1866. dovevano rinviarsi a Cassinis ha un altro tempi migliori. crepacuore nel settemDue anni dopo, nel bre 1864, quando, predicembre 1862, Cassinis sidente della Camera, è dunque alle prese con vede sulle strade di Tola formazione del quarrino decine e decine di to governo italiano. Il cadaveri in seguito alle suo si prefigura in prafucilate ordinate dal tica come un governo ministero Minghettidella Padania. Peruzzi contro la folla Cassinis si muove con che sfilava, silenziosa e circospezione, non rilainoffensiva, per maniscia dichiarazioni uffifestare contro il traslociali. Ma il sospetto è co della capitale, prima nell’aria. Gli “unitari” si a Firenze e poi a Roma. agitano. Se ne fa portaNel 1865, per consolavoce il foglio milanese re Cassinis, il re vuol Mangiatori di maccheroni. Napoli, 1870 ca. La Perseveranza, qualifarlo senatore. Pochi ficando l’eventuale migiorni dopo la proponistero Cassinis come “un gesto di sfiducia e qua- sta, l’infelice vien trovato morto per suicidio. si di abdicazione nei confronti di Napoli”. Farini e Cassinis: due tragedie all’italiana. I buoni propositi muoiono sul nascere. La crisi Ad entrambi. Napoli e Roma avevano tolto il ministeriale vien risolta affidando l’incarico a Fa- cervello e la vita. Emigrazione padana Di Mario Costa Cardol (La Padania, 23 e 30 giugno 1999) U no dei pilastri del piagnisteo italiota è costituito dall’emigrazione di massa che ebbe protagonista la gente del Mezzogiorno; che toccò il vertice di 500.000 emigrati nel 1913, ma che, prima del 1900, non superò mai le 200.000 unità annue. Sono comunque, intendiamoci bene, cifre imponenti. Ma se i nostri meridionalisti credono che agli emigranti col mandolino spetti l’esclusiva dell’umana compassione, si sbagliano di grosso. Solo della Germania, tra il 1870 e il 1900 circa, partirono in direzione delle Americhe Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 200-300.000 persone all’anno. Bisognò attendere l’inizio del secolo XX perché l’eccezionale dinamismo industriale tedesco creasse per tutti lavoro in patria. L’esodo dal Mezzogiorno italiano cominciò dopo il 1885, e rimase, fino al 1900, largamente inferiore al numero di liguri, piemontesi, toscani, emiliani e veneti che, già prima della formazione dell’Italia unita nel 1861, espatriavano tanto verso i Paesi europei quanto verso le Americhe. Ci sono le statistiche a dimostrarlo. Ma, se vogliamo conferire un tocco di effimero calcistico Quaderni Padani - 47 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 48 a questa breve storia riassuntiva, rammentiamo Nella classe operaia, famiglie di dodici – trediai lettori più giovani che l’Italia vinse due cam- ci figli erano quasi la regola. pionati del mondo, nel 1934 e nel 1938, con L’industria inglese, pur essendo allora la prisquadre nazionali formate per quasi la metà da ma del mondo, non riusciva ad occupare tutti i calciatori nati e cresciuti in Argentina o in Uru- figli della patria. E allora fuori! Se ne andassero, guay perché figli di genitori emigrati dalla Pada- i disoccupati, nelle colonie, nelle terre che in vania. Alcuni nomi: Orsi, Monti, Guaita; Andreolo, ria forma istituzionale (Dominions, protettorati, ed altri “oriundi”. eccetera) sostituivano il più vasto impero coloCon esclusione della Francia, tutti i Paesi niale mai visto nell’orbe terracqueo. d’Europa registrarono, nella seconda metà delL’egoismo delle classi alte britanniche cogliel’Ottocento, esodi altrettanto cospicui di quelli va, con l’emigrazione, due piccioni con una fava. accompagnati alle note di “O sole mio”. VariaroPrimo: allontanava dall’isola un potenziale fono certe modalità: ma il calvario, nelle sostanza, colaio di rivolta. Secondo: fra i disperati mandati fu identico ovunque. La scena pietosa di mi- a popolare l’Australia, il Canada o la nuova Zegliaia di derelitti, ammucchiati sui bastimenti landa, c’era chi, per buona ventura o spirito d’iper una traversata di disagi e di pericoli in cerca niziativa, otteneva di allargare la sfera d’influendella terra promessa, non fu dunque una prero- za economica del mondo anglosassone. gativa del Mezzogiorno italiano. In un libro uscito una quindicina d’anni fa Una società armatoriale di Amburgo, la Ha- (The Lost Children of the Empire, i figli perduti pag, ammassò una fortuna tragittando emigran- dell’Impero) si narrano sistemi raccapriccianti ti dalla Germania, dalla Russia, dall’Austria-Un- rimasti a lungo ignorati. gheria, dalla Scandinavia, da tutta l’Europa cenSi stipavano sulle navi gli orfani e i trovatelli trale e orientale. senza chiedere il permesso a nessuno, sulla base Storia ed oleografia son due cose diverse, e di un tacito accordo fra le autorità locali e la diperciò sarà difficile persuadere il lettore che il rezione dei brefotrofi. Paese allora più ricco, più potente, più induGiunti a destinazione, fanciulli di 9-10 anni vestrializzato del mondo, fu quello che, nel corso nivano poi avviati al lavoro dall’alba al tramonto, di un secolo (l’Ottocento) riversò oltre gli oceani nelle officine o nei campi. Niente li proteggeva: il più gran numero di sue creature. Dal Regno nessuna legge, nessun codice morale. Orrori che Unito (Inghilterra, Scozia e Irlanda) l’espatrio fu gli storici britannici hanno cercato a lungo di tein parte spontaneo e in parte coatto. Tralascia- nere nascosti. Quindici anni fa se ne è fatto un mo per pudore la fuga di milioni e milioni di Ir- gran parlare, in Inghilterra, ma le recriminazioni landesi, spinti delibegiungevano un po’ Emigranti vedono la costa americana ratamente alla fame tardi. da una classe diriQuesto per dire, caro gente britannica che lettore, che il tono gli storici definiscopiagnucoloso e risenno maestra di demotito dei nostri mericrazia, ma che era in dionalisti è bensì giurealtà più incline allo stificato, ma dovrebbe schiavismo e allo inquadrarsi in un sfruttamento. contesto più ampio. Questa oligarchia E veniamo adesso a sfruttatrice, un minoi padani. Se la vita gliaio di famiglie – non era allegra nei ricordiamo che la quartieri di Brooklyn Camera ereditaria o di Hoboken (dove dei Lords deteneva nacque Frank Sinaancora nel 1910 il tra) lo era ancor mediritto di veto sulle no nelle pampas e leggi - era ossessionelle lande sterminanata dai pericoli delte dell’Uruguay e della sovrappopolaziol’Argentina. Gli emine. granti. che erano 48 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 49 Negozi italiani a New York 108.000 nel 1876, si calcolavano in 218.000 nel 1889. Erano agricoltori, braccianti, montanari o borghesi squattrinati che lasciavano il Piemonte, la Liguria, la Bassa Lombardia, il Veneto, l’Emilia o la Toscana per gettarsi nell’avventura. Una parte si dirigeva al Nord del nuovo continente; pescatori e viticoltori, ad esempio, riuscivano a prosperare nella zona della California intorno a San Francisco. Ed è in questo ambiente che emergeva il famoso banchiere Peter Amedeo Giannini, fondatore della Bank of America, ossia del primo istituto bancario che accettasse anche i depositi dei piccoli e piccolissimi risparmiatori. Se l’immigrazione dell’Italia fosse rimasta, come rimase fino al 1885-90 circa, limitata alla Padania, nessun cittadino statunitense, argentino o brasiliano si permetterebbe oggi di identificare l’oriundo italiano con il mafioso. È ovvio che il vizio di una collettività non si estende ad ogni singolo individuo, e che su cento emigranti dal Sud novantacinque forse erano onesti e bravi lavoratori. Ma bastavano gli altri cinque ad infettare l’intero corpo sociale. Nessun bacillo di mafia poteva invece allignare fra gli emigranti della Padania. perché subito il tessuto sociale lo avrebbe soffocato. Ora vedremo da quanti secoli e da quante trappole dovesse guardarsi il malcapitato che dall’Italia centrosettentrionale volesse tentare la sorte nelle Americhe. Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Fino al 1901, il governo di Roma non si diede cura di regolamentare l’espatrio, benché una massa imponente di cittadini fosse già andata oltre frontiera a guadagnarsi il pane. Il sistema politico-burocratico romano aveva semplicemente finto di non accorgersi che, dal 1861, circa 4 milioni di settentrionali erano emigrati senza ritorno. Erano andati a costruire strade e ferrovie in Francia, ad estrarre carbone in Belgio, a prosciugare paludi in ogni angolo del pianeta, ma soprattutto a dissodare terre vergini e mettere a coltura praterie sconfinate nell’America del sud. Dalla Liguria, il flusso migratorio era iniziato ben prima dell’unità italiana, e si era rivolto principalmente al continente sudamericano. A questo traffico di navi, uomini e mercanzie, presiedeva la spregiudicata regola della Gran Bretagna, alla quale premeva che le repubbliche nate dal crollo del dominio spagnolo diventassero presto un mercato di sbocco per i tessuti di Manchester, gli aratri di Sheffield, i mobili di Londra. La Gran Bretagna era rimasta l’unica potenza industriale del mondo, giacché la Francia, che nel Settecento le aveva brillantemente contrastato. il passo, si era in pratica autoeliminata in vent’anni di rivoluzione, giacobinismo, terrore e poi guerre napoleoniche. Una volta finito di occuparsi di Napoleone, l’Inghilterra si era rivolta al sud America per liQuaderni Padani - 49 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 50 berarlo dal gioco della Spagna. Insuperabili nell’ammantare di nobili principi gli interessi materiali, gli inglesi fornirono armi e denaro ad ogni avventuriero capace di battersi contro l’esercito spagnolo. Garibaldi era fra questi. Liberando i nativi, l’Inghilterra liberava anche sé stessa dalle altissime barriere doganali che Madrid innalzava contro le merci britanniche. Nella scia di Garibaldi, già dal 1830, parecchi liguri si erano fatti argentini, cileni, uruguayani. Il flusso migratorio s’ingrossò poi ai piemontesi, veneti ed altri padani cenciosi ma intrepidi. Qualcuno arrivò al lusso e all’agiatezza; altri ci rimisero la salute e la vita. Come dicevamo, il governo di Roma si mosse a tutela degli espatriandi solo nel primo Novecento, quando il fenomeno migratorio mutò la prevalenza padana in prevalenza meridionale. Non completamente, perché, nella cifra massima annua del 1913, su 873.000 emigrati, quasi 250.000 erano ancora italiani del Centro e del Nord. Furono però le corde dei mandolini a muovere finalmente a pietà gli accidiosi politicanti, a burocrati plasmati dal clima di Roma. Vennero emanate norme per tutelare gli emigrati dagli ‘imbroglioni e dai mercanti di braccia. Senza entrare nel merito di tali previdenze, vediamo piuttosto ciò che accadeva prima, ossia quando l’emigrante-tipo era un padano. Il meschino non aveva altra scelta che rivolgersi a un maneggione, detto pomposamente “impresario generale”. Questi esigeva un versamento immediato di 200-300 lire: quattro volte il salario mensile di un operaio non specializzato. “Bisogna unger le ruote. I carabinieri, la questura, possono rifiutare o concedere il passaporto a loro arbitrio”. Quindi l’impresario sconsigliava assolutamente paesi europei come il Belgio, l’Olanda, l’Austria o la Francia. “Meglio l’Argentina, il Brasile, l’Uruguay... Là c’è terra quanta ne vuoi”. La verità era che i paesi europei imponevano all’impresario generale un deposito di garanzia a tutela dell’immigrato: se questi non riusciva a campare od era palesemente sfruttato a sangue, scattava il rimpatrio d’ufficio col biglietto pagato grazie al fondo di garanzia. Nell’America Latina, era invece l’impero della giungla. Laggiù poteva capitare di tutto. Il Corriere di Chiavari rubricava le nefandezze sotto il titolo in lingua spagnola “Cosas de America”, e commentava l’11 novembre 1883: “Le democrazie tiranniche, rapaci e turbolente che successero al governo spagnolo (...) in mezzo a prove 50 - Quaderni Padani magnifiche di valore guerresco, hanno offerto lo spettacolo di una società rudimentalmente affamata di stragi. L’Italia ha laggiù il maggior numero di sudditi, e la nostra opinione pubblica finge di commuoversi per la loro sorte, ma poi il governo e il paese dimenticano...”. La polizia argentina era formata da ladri e da assassini. “La legislazione scritta gareggia senza dubbio colle migliori europee in fatto di garanzie, ma in pratica, l’arbitrio domina sovrano” scriveva il Corriere di Chiavari. Mazzini, nel 1850, si estasiava al pensiero che il sistema repubblicano avesse trionfato in tutta l’America del sud; ma, evidentemente, la parola “repubblica” non bastava da sola a incivilire le popolazioni. Dalle cronache degli stessi giornali argentini, rimbalzate in Italia, apprendiamo fatti che non erano episodici, ma tanto frequenti da costituire una sorta di normalità. La più numerosa comunità italiana d’Argentina si trovava tra Rosario e Santa Fè nella provincia di Cordoba. Nel 1883, il commissario della polizia di Cordoba, un certo Perez, dava in pratica ai suoi uomini licenza di torturare. I suoi sgherri infierivano a capriccio. Uno di essi, ispezionando una sperduta fattoria, accusa il lavoratore italiano Antonio Macera di avergli rubato il cavallo. “Signore, io non so di che Ella parli”. “Come, non lo sai, birbante. Ora vedrai come te lo faccio confessare”: Segue l’immancabile supplizio dell’estaqueo. Condotto al più vicino posto di guardia, il Macera vien tenuto sospeso orizzontalmente per oltre un’ora, a mezzo ai funi pendenti dal soffitto e annodate ai polsi e alle caviglie. Il giorno dopo tocca a un altro lavorante italiano, Battista Natta, immigrato dalla Liguria. Il console d’Argentina a Genova, signor Calvari, ebbe il fegato di protestare che i giornali italiani facessero risalire al suo governo la responsabilità degli “eccessi” del commissario Perez. Gli replicò Il telegrafo di Livorno: “Non vogliamo dire che il presidente della Repubblica Argentina, generale Giulio A. Roca, ed i suoi ministri, siano complici del commissario Perez nella sua raffinata barbarie di torturatore spagnolo, ma ci pare estremamente arrischiata l’asserzione del console Calvari che gli italiani stabiliti nella Repubblica Argentina godano, ora come ora, ed effettivamente, delle garanzie più estese sotto le savie e paterne cure del governo argentino”. E Il telegrafo concludeva: “Andatelo a raccontare agli innumerevoli italiani che hanno avuto le ossa rotte...”. Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 51 Biblioteca Padana Roberto Corbella La vita esagerata e le avventure straordinarie del Giuanin senza paura. Varese: Macchione Editore, 2006 135 pagine, € 20,00 Questo rilevante contributo di ricerca antropologica rappresenta una gradevole analisi “del più popolare eroe della regione prealpina tra Lombardia, Piemonte e Svizzera”, Provenza e Savoia. Sono infatti molte le località padano-alpine in cui si trova traccia del personaggio. In una nota in fondo al libro, l’autore precisa come una delle difficoltà incontrate sia stata proprio la raccolta del materiale nelle diverse lingue locali, caratterizzate dall’uso talvolta eccessivamente “colorito” di nomi e soprannomi dei vari personaggi che popolano le vicende relative al Giuanin. L’area di ricerca interessata è davvero estesa: da una vasta zona del Cuneese (Entraque), Biellese (Roppolo e Adorno), Novarese e Verbano (Arona, Val Vigezzo o Stresa e Cannobio), Vercellese (Carcoforo in Valsesia) al Varesotto (Castelseprio, Gavirate, Laveno,e Arcumeggia), in Brianza (Erba); Giuanin è parte delle tradizioni comuni alla fascia alpina del Canton Ticino, della Provenza e della Savoia. Data la progressiva tendenza a cancellare le culture locali padane a opera dello Stato italiano è un fondamentale recupero identitario. Ma non è assente nemmeno un tocco di esotismo e interesse per luoghi geograficamente lontani come la Roma vaticana, l’Africa del torrido Perse dei Barlafussi (vocabolo tipicamente lombardo per cianfrusaglie) o la Terra Santa dei pellegrini. Di qualità esasperate, Giuanin è frutto della cultura orale contadinamontanara; ricorda i personaggi del francese Rabelais, nonostante Corbella precisi di non volerne ricercare una discendenza letteraria che rimanda ai prototipi ancestrali del mondo celtico e gallico. Eppure vi sono richiami al robusto appetito e abbondanti libagioni dei giganti Gargantua e Pantagruel, alla loro giocosa e innocente capacità di godere di ogni aspetto sensuale e godereccio della vita. Un senso di abbondanza pervade l’esistenza intera di Giuanin fin dall’allattamento, che provoca addirittura la morte della madre e, non a caso, egli è dotato di un sacco magico con cui sfamarsi. Vi è una dimensione magica e fantastica tipica delle favole e dei racconti orali, così che un’incredibile serie di imprese avventurose fa di Giuanin un moderno James Bond “in una approssimativa dimensione temporale medievale”, ammirato da donne e uomini. È una biografia improntata all’eccesso anche in ogni sua manifestazione: fortissimo, furbo, goloso, sensuale, determinato e con un coraggio sovraumano che lo porta ad affrontare gesta eroiche col nodoso bastone alla mano, ma sempre in favore della sua gente. Deve però liberarsi dalla “straripante” Pitalarga, la strabordante moglie-strega ottima cuoca ma possessiva che, dopo una luna di miele trascorsa in taverne lombarde e piemontesi lungo il Lago Maggiore, tenta di derubare il marito con uno zabaione drogato. Giuanin si batte strenuamente contro streghe, draghi, orsi, guerrieri in Terrasanta, zingari, boschi incantati, donne innamorate, il Diavolo e creature antropomorfe. Perché “dove si faceva più a botte, dove era più pericolosa la lotta, lì Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 c’era il Giuanin…e chi stava dalla sua parte vinceva sempre.” Incarna il coraggio e talvolta sfiora la sfrontatezza, consolidando la sua fama di eroe vendicatore. Il suo unico rivale, presente nella cultura francofona, “di pari forza” è Janot “l’ammazzasette”, con cui lo scontro per un “immenso e ricchissimo podere” dura per ben tre giorni. Assumendo di volta in volta delle caratteristiche soprannaturali, parla con gli uccelli ed è pronto all’azione; libera e vendica coloro che soffrono o subiscono torti e incantesimi. Non a caso - si afferma - Giuanin affronta demoni, diventa papa (ma vi rinuncia per evitare le privazioni connesse ai voti religiosi) e va in paradiso senza morire. Sfida la Morte e la sua coscienza beffandole così da allungarsi la durata della vita. Ma l’eternità è noiosa; la vita, priva di amici e del suo mondo, perde tutto quel gusto trasgressivo e gioioso di un tempo: padrone della sua esistenza, riesce a entrare in paradiso con un astuto stratagemma. A eccezione del finale moraleggiante, la prorompente e concreta vitalità padano-alpina è costante nelle avventure narrate con estrema naturalezza e ironia, non sempre però confacenti ai canoni delle tradizionali favole edulcorate per bambini. Ma trionfa l’ottimismo del coraggio e del continuo mettersi in gioco. D’altra parte, è forse il riflesso della saggezza degli “anziani”, che si proponeva di offrire valori reali, anche agli adulti scoraggiati e delusi. La biografia del Giuanin segnata da uno stile di vita reattivo, si carica, dunque, di una valenza propositiva per l’uomo contemporaneo, che, se privo della propria cultura locale, è sperduto. Silvia Garbelli Quaderni Padani - 51 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 52 La Rubrica Silenziosa Ogni anno il Sole 24 Ore pubblica una classifica della qualità della vita nelle province italiane, basandola sulla comparazione di una serie di dati statistici cui è attribuito un punteggio. Si tratta di dati interessanti ma confrontati sempre in maniera molto, ma molto, politicamente corretta. Si mettono infatti insieme parametri estremamente importanti con altri molto più marginali. Qualche volta sono addirittura interpretati in maniera molto settaria: perchè – ad esempio – il numero di extracomunitari regolari è considerato un elemento positivo? Come si può attribuire lo stesso valore alla ricchezza prodotta e al numero di sale cinematografiche? Come è calcolato (e cosa significa) “il piacere di fare gruppo”? Non è neppure molto chiaro il rapporto fra la città capoluogo (cui sembrano a volte riferirsi i dati) e il territorio provinciale. Si tratta sempre di informazioni interessanti e spesso significative che vale comunque la pena di ricordare. Per antica consuetudine li collochiamo geograficamente usando diverse tonalità di grigio, conservando le stesse valenze attribuite dal Sole 24 Ore, senza esprimere commenti. La loro graficizzazione rende comunque – soprattutto per i dati più significativi – bene l’idea delle differenze territoriali. I dati riportati sono tutti riferiti al territorio e non alla provenienza delle persone oggetto di indagine: sappiamo così – ad esempio – il luogo dove vengono commessi i delitti ma non la provincia di origine di chi li commette, che sarebbe molto più significativo. Anche così risulta piuttosto evidente che esistono sempre almeno quattro realtà distinte e abbastanza omogenee al loro interno (e soprattutto omogenee rispetto all’esterno): 1) la Padania, 2) le regioni centrali (Toscana, Umbria e Marche, e – in misura minore – l’Abruzzo) che in molte tematiche somigliano alle regioni padano-alpine, 3) il Meridione e 4) Roma, che ha statistiche tutte particolari, legate all’enorme flusso di ricchezze che vi viene fatto confluire. Tutte le 36 tabelle sono riportate con le denominazioni originali e usando quattro tonalità di grigio. I due toni più chiari indicano le province che hanno dati migliori della media nazionale e quelli più scuri si riferiscono a quelli peggiori. La ulteriore suddivisione dei due campi è data dall’essere sopra o sotto il valore posto a metà fra quello medio nazionale e l’estremità della classifica. Sono anche riportati il valore medio e i due estremi con le rispettive province. 52 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:30 Pagina 53 La Rubrica Silenziosa La ricchezza prodotta Valore aggiunto per abitante in Euro Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Prometeia Valore medio: 21.685 Massimo: Milano (34.270) Minimo: Crotone (12.721) I risparmi allo sportello Depositi bancari per abitante in Euro Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Abi-bankitalia-Istat Valore medio: 9.990 Massimo: Milano (25.689) Minimo: Vibo Valentia (4.183) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 53 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 54 La Rubrica Silenziosa Le pensioni Importo medio mensile in Euro Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Inps Valore medio: 629,86 Massimo: Milano ( 911,93) Minimo: Isernia (423,39) Una vita assicurata Premi polizze Vita per abitante in Euro Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Prometeia Valore medio: 1.050,70 Massimo: Trieste (3.103,10) Minimo: Nuoro (342,2) 54 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 55 La Rubrica Silenziosa I consumi della famiglia Spesa per abitante in Euro (auto, moto, mobili, elettricità) Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Findomestic Valore medio: 817,20 Massimo: Aosta (1.201,80) Minimo. Avellino (498,4) L’abitazione Costo al mq in semicentro in Euro Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Scenari Immobiliari Valore medio: 2.205 Valore più basso: Caltanissetta (1.050) Valore più alto: Roma (4.900) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 55 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 56 La Rubrica Silenziosa Lo spirito d’iniziativa Imprese registrate ogni 1.000 abitanti Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Movimprese-Infocamere Valore medio: 10,59 Massimo: Grosseto (13,96) Minimo: Palermo (7,77) Chi apre e chi si ritira Rapporto iscrizioni/cancellazioni alle Camere di Commercio Anno: 2005-2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Movimprese-Infocamere Valore medio: 1,20 Massimo: Crotone (1,69) Minimo: Enna (0,88) 56 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 57 La Rubrica Silenziosa Alla ricerca di un posto Percentuale di persone in cerca di lavoro sulla forza lavoro Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 7,90 Minimo: Bologna (2,70) Massimo: Enna (19,42) Lavoratori dall’estero Numero di extracomunitari occupati su 100 occupati Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Caritas-Migrantes Valore medio: 8,79 Massimo: Treviso (17,05) Minimo: Cagliari (1,72) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 57 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 58 La Rubrica Silenziosa I debiti non pagati Rapporto sofferenze/impieghi bancari Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Unioncamere-Tagliacarne Valore medio: 5,5 Minimo: Milano e Trento (1,5) Massimo: Frosinone (21,2) I prestiti alle imprese Tassi di interesse su prestiti a breve Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Unioncamere-Tagliacarne Valore medio: 6,60 Minimo: Firenze (4,63) Massimo: Reggio Calabria (9,09) 58 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 59 La Rubrica Silenziosa La pagella ecologica Indice Legambiente ecosistema Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Legambiente Valore medio: 54,19 Massimo: Bolzano (69,4) Minimo: L’Aquila (31,4) La presenza di infrastrutture Indice Tagliacarne dotazione infrastrutture Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Unioncamere-Tagliacarne Valore medio: 100,0 Massimo: Lodi (404,2) Minimo: Ragusa (24,8) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 59 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 60 La Rubrica Silenziosa Bello stabile Differenza in gradi fra il mese più caldo e quello più freddo Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Osservatorio Meteo Milano duomo Valore medio: 21,36 Minimo: Palermo (15,15) Massimo: Vercelli (27,60) La longevità Le aspettative di vita della popolazione nel suo complesso Anno: 2003 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 80,03 Massimo: Firenze (81,35) Minimo: Napoli (78,00) 60 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 61 La Rubrica Silenziosa L’efficienza della giustizia Percentuale di cause esaurite su quelle nuove e pendenti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 51,13 Massimo: Verona (95,46) Minimo: Bari (32,93) Il rischio sulle strade Incidenti automobilistici ogni 100.000 abitanti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat-Aci Valore medio: 357,6 Minimo: Potenza (76,9) Massimo: Rimini (864,7) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 61 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 62 La Rubrica Silenziosa Allarme rapine Rapine denunciate ogni 100.000 abitanti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 43,37 Minimo: Matera (8,33) Massimo: Napoli (404,26) Gli appartamenti svaligiati Furti in casa denunciati ogni 100.000 abitanti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 201,80 Minimo: Isernia (40,19) Massimo: Asti (436,96) 62 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 63 La Rubrica Silenziosa I furti d’auto Furti d’auto denunciati ogni 100.000 abitanti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 171,57 Minimo: Belluno (22,15) Massimo: Roma (753,19) La microcriminalità Scippi e borseggi denunciati ogni 100.000 abitanti Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 155,64 Minimo: Isernia (8,93) Massimo: Bologna (960,39) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 63 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 64 La Rubrica Silenziosa Giovani “fuorilegge” Minori denunciati ogni 1.000 punibili Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 13,74 Minimo: Matera (3,24) Massimo: Verbania (45,37) Il trend Percentuale dei delitti rispetto quelli denunciati nel 2001 Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Ministero giustizia Valore medio: 121,39 Minimo: Pistoia (76,02) Massimo: Mantova (188,79) 64 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 65 La Rubrica Silenziosa La densità demografica Numero di abitanti per chilometro quadrato Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 248,79 Minimo: Nuoro (37,31) Massimo: Napoli (2.635,59) Nelle culle Nati ogni 1.000 abitanti in rapporto all’indice 2001 Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 1,006 Massimo: Ferrara (1,134) Minimo: Bari (0,897)) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 65 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 66 La Rubrica Silenziosa Arrivi e partenze Rapporto fra immigrazione ed emigrazione Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 122,58 Massimo: Livorno (202,40) Minimo:Caltanissetta (67,33) Gli stranieri Immigrati regolari in percentuale sulla popolazione Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Caritas-Migrantes Valore medio: 4,7 Massimo: Prato (12,6) Minimo: Enna (0,7) 66 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 67 La Rubrica Silenziosa Investimento in formazione Numero di laureati su 1.000 giovani fra i 19 e i 25 anni Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 53,09 Massimo: Trieste (85,14) Minimo: Bolzano (27,25) Matrimoni in crisi Divorzi e separazioni ogni 10.000 famiglie Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 55,81 Minimo: Avellino (22,24) Massimo: Lodi (96,48) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 67 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 68 La Rubrica Silenziosa Il piacere di fare gruppo Attività culturali e ricreative su 100.000 abitanti Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Movimprese-Infocamere Valore medio: 116,04 Massimo: Rimini (397,89) Minimo: Agrigento (59,37) Acquisti in libreria Indice di acquisto di libri in percentuale sulla popolazione Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Messaggerie libri Valore medio: 1,16 Massimo: Milano (4,53) Minimo: Crotone (0,01) 68 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 69 La Rubrica Silenziosa La passione per i film Cinema ogni 100.000 abitanti Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Movimprese-Infocamere Valore medio: 3,24 Massimo: La Spezia (8,20) Minimo: Crotone (0,58) Il gusto a tavola Indice enogastronomia di qualità Anno: 2006 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Aci-Censis Srvizi Valore medio: 72,7 Massimo: Cuneo (192,4) Minimo: Isernia (2,6) Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 69 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 70 La Rubrica Silenziosa In forma Indice vocazione sportiva Anno: 2005 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Coni-Censis Servizi Valore medio: 346,50 Massimo: Aosta (927,62) Minimo: Crotone (55,52) L’impegno per gli altri Volontari ogni 1.000 abitanti Anno: 2003 Fonte: Elaborazione Sole 24 Ore su dati Istat Valore medio: 15,81 Massimo: Bolzano (168,87) Minimo: Trapani (2,30) 70 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 71 La forza della Padania sono le idee I Quaderni Padani sono pubblicati bimestralmente da La Libera Compagnia Padana, una associazione che ha fini solo culturali e che riunisce tutti coloro che - al di là delle differenze ideologiche - credono nell’autonomia dei popoli padano-alpini. Il solo modo per ricevere con continuità i Quaderni è di aderire alla Libera Compagnia. La quota associativa annuale è di € 50. Essa dà diritto a ricevere i Quaderni, un libro e ogni altra pubblicazione o materiale edito dalla Compagnia. Il pagamento può essere effettuato: ❏ Inviando la quota all’indirizzo postale de “La Libera Compagnia Padana” (Casella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara) con assegno non trasferibile intestato a “La Libera Compagnia Padana”. ❏ Mediante bonifico sul Conto Corrente Bancario numero 1403, intestato a “La Libera Compagnia Padana” presso l’agenzia di Novara della Banca Popolare di Novara (Cod. ABI 5608, Cab 10101). ❏ Mediante Conto Corrente Postale numero 38261202, intestato a “La Libera Compagnia Padana”. Si prega di allegare o far pervenire in ogni caso alla sede postale della Compagnia la scheda di adesione compilata in ogni sua parte. Si raccomanda di non pagare con Vaglia Postale! Lo statuto dell’Associazione è stato pubblicato sul numero 51-52 dei Quaderni Padani. Le Norme per i collaboratori sono state pubblicate sul numero 68. Entrambi i documenti sono reperibili anche sul sito dell’Associazione. La Libera Compagnia Padana Casella Postale 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara E-mail: [email protected] Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quaderni Padani - 71 Quad73imp 25-02-2008 12:31 Pagina 72 Scheda di adesione a La Libera Compagnia Padana Cognome Nome Luogo di nascita Data di nascita Residenza: Città Prov. Cap. Via tel. casa telefonino tel. ufficio fax E-mail: Professione: Quota di adesione: € 50 ❐ Rinnovo ❐ Nuovo associato Modalità con cui è stato effettuato il pagamento: ❐ Contanti ❐ Bonifico bancario cc 1403 Banca Popolare Novara cod. ABI 5608, CAB10101 Firma ❐ Assegno bancario ❐ Versamento in cc postale ❐ Assegno circolare N° 38261202 Data La Libera Compagnia Padana, C. P. 55, Largo Costituente 4, 28100 Novara E-mail: [email protected], Sito Internet: www.laliberacompagnia.org Secondo quanto previsto dalla legge 31 dicembre 1996, n. 675, i dati personali verranno impiegati solo ed esclusivamente per uso interno all’Associazione e non verranno in alcun modo divulgati. 72 - Quaderni Padani Anno Xlll, N. 73 - Settembre-Ottobre 2007 Quad73cop2 25-02-2008 16:24 Pagina 3 Abbiamo pubblicato: Quaderni n. 69-70 - Gennaio-Aprile 2007 ● Le interviste a Gianfranco Miglio L’inestimabile patrimonio di un uomo di straordinario coraggio - Alessandro Vitale 10-1990 - Rai 07-12-90 - Europeo 24-05-91 - Europeo 21-06-91 - Europeo 04-08-91 - L’Espresso 12-10-91 - Il Giornale 09-02-92 - L’Espresso 08-04-92 - Il Messaggero 19-04-92 - L’Espresso 12-05-92 - Corriere della Sera 29-05-92 - Europeo 24-07-92 - Europeo 13-01-93 - L’Italia 07-03-93 - L’Espresso 09-06-93 - Il Giorno 21-08-93 - Televisione ungherese 14-09-93 - Alto Adige 29-09-93 - La Repubblica 29-09-93 - La Stampa 24-10-93 - L’Espresso 17-12-93 - Lega Nord 31-12-93 - Panorama 40-1993 - Famiglia Cristiana 26-01-94 - Gazzetta Ticinese 28-01-94 - L’Espresso 06-02-94 - Il Giornale49 07-03-94 - La Prealpina 13-04-94 - Lega Nord 16-04-94 - Panorama 19-04-94 - Il Giorno 22-05-94 - Corriere della Sera 16-06-94 - L’Indipendente 10-08-94 - La Stampa 25-10-94 - La Voce 1994 - Quale federalismo 20-01-95 - Il Giornale 06-05-95 - La Nazione 18-05-95 - L’Indipendente 24-05-95 - Il Giornale 27-07-95 - Corriere della Sera 31-07-95 - Mondo Economico 02-09-95 - L’Indipendente 24-11-95 - Il Giornale 01-12-95 - Il Giorno 06-05-96 - Il Giornale 07-05-96 - Corriere del Ticino 07-05-96 - Il Giornale 12-05-96 - Epoca 14-05-96 - Il Giornale 04-06-96 - Il Giornale 08-06-96 - L’Adige 12-06-96 - Il Giornale 20-08-96 - Il Giornale 19-09-96 - Panorama 7-1996 - Quaderni Padani 04-01-97 - Il Messaggero 13-02-97 - Corriere della Sera 29-04-97 - Il Messaggero 14-05-97 - Corriere della Sera 30-05-97 - Corriere della Sera 21-10-97 - Il Gazzettino 1997 - Il Risorgimento imperfetto 25-01-98 - La Provincia di Como 04-03-98 - Radio Bergamo 12-04-98 - Il Corriere di Como 3-1998 - Genova-Liguria 04-08-98 - La Stampa 04-08-98 - La Padania 04-08-98 - Il Giornale 20-03-99 - Il Giornale 15-06-00 - La Padania Quaderni n. 71 - Maggio-Giugno 2007 Questo è il villagio di Asterix - Brenno L’evoluzione della forma di Stato in Italia: dal federalismo mancato a un regionalismo asimmetrico? - Fabio Ratto Trabucco Padania: il nome della nostra patria - Gianfrancesco Ruggeri Tibet: la tragedia di un popolo - Roberto Locatelli ● Il lavoro di Gualtiero Ciola Politica coloniale sull’esempio degli Stati Uniti Oreste Del Buono, l’italiano che offende il popolo veneto Prima veneziani e poi cristiani Longobardi, baluardo del Vecchio Continente Quaderni n. 72 - Luglio-Agosto 2007 Perché loro sì e noi no? - Brenno ● Convegno di Belgirate - 13 Maggio 2007 La Catalogna fra globalizzazione economica e globalismo giuridico - Marco Bassani Catalogna nazione - Chiara Battistoni Catalunya - Sergio Salvi ● Schede di aggiornamento La Catalogna dal 1973 a oggi Scheda tecnica della Catalunya estricta Sintesi dell’iter legislativo e dei principali contenuti del nuovo “Statuto di autonomia” approvato con referendum popolare il 18 giugno 2006 Quad73cop2 25-02-2008 16:24 Pagina 4