band: cocorosie

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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
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APPUNTI NOVALIS
http://www.blog-news.it/go_ext.php?go=okkervil-river-i-am-very-far-2011
A parte la collaborazione con Roky Erickson nel suo bellissimo True Love Cast All, gli Okkervil River
mancavano dalla scena musicale da tre anni e questo nuovo album si preannunciava come un album
‘difficile’.
"Voglio fare un disco di suoni per me stesso e non per la massa" disse a suo tempo Will Sheff, compositore e
cantante del gruppo, e così è stato. Il termine ‘difficile’ in questo caso non è da intendersi come poco
accessibile, ma soprattutto come ‘spiazzante’.
I Am Very Far, settimo album della band Texana si allontana dalla sua matrice prevalentemente Folk - rock,
da quel sound personale e pulito che li ha caratterizzati e approda a suoni più arrangiati ed orchestrali, infatti
molte delle canzoni sono eseguite da due batterie, due bassi, due tastiere e ben sette chitarre.
La prima cosa che risalta di questo ‘I Am Very Far’ è il suo ‘umore’, difficile da raccontare, non semplice da
assorbire. Viene da chiedersi se il disco è frutto di un progetto musicale che li vede in parte cambiar rotta,
allontanandosi così dalla matrice che li ha fin d’ora caratterizzati o se invece, cosa assai meno probabile, è la
conseguenza di un vuoto creativo. Personalmente quello che conta è che l’album suona bene, per il resto,
solo il futuro prossimo darà una risposta.
Nelle undici canzoni si respira una libertà espressiva mai sentita fin’ora; il filo conduttore del disco è infatti il
desiderio di voler suonare quello che piace, senza vincoli o particolari ostacoli. Un suono più ‘sensazionale’
che ‘celebrale’ rende questo ‘I Am Very Far’ probabilmente uno dei loro migliori lavori. Voler creare un nuovo
sound, allontanandosi così da quel ’canale’ che li ha fin d’ora caratterizzati è ciò che risalta fin dal primo
ascolto. Man mano che si prende confidenza, meglio viene evidenziata la profondità del suono, che
penetrando nei padiglioni auricolari, riesce a trasformarsi in belle emozioni.
Un ottimo disco quindi, che sottolinea la grandezza di questo gruppo. 4/5 ©
3 commenti per l'appunto: dischi duemila, musica favorita, recensuoni, suoni
LOUDVISION
http://www.loudvision.it/musica-dischi-okkervil-river-i-am-very-far--5135.html
Okkervil River. Nome strambo, nevvero? Viene da un racconto dell'autrice russa Tatyana Tolstaya. Ma a noi
interessa la musica, mica la letteratura.
Il sestetto proveniente da Austin fa capolino dopo tre anni dall'uscita di "The Stand Ins", più vivo che mai.
"The Valley" apre infatti un album che vuole scuotere l'animo di chi ascolta e, in particolare, lo fa
dedicandosi a storie immaginarie, anche di mare e marinai. Non vi stupiate dunque di trovare titoli quali
"Piratess", "Mermaid" o "We Need A Myth".
La sobrietà è la cifra caratteristica di questo indie rock che fa l'occhiolino all'alt-country: l'eleganza della
voce, che in "Lay Of The Last Survivor" s'impasta a quella femminile, ne è la principale fonte.
Archi, campanelle e quant'altro sembrano aver ereditato la lezione dei balcanici Devotchka; le chitarre,
invece, mostrano segni del decadimento inventivo, nonostante il gruppo rimanga ancorato a un'originalità di
base.
In fin dei conti, il disco è bello, ma forse prelude a una normalizzazione.
PRO
"The Valley"
Il pastiche di generi
CONTRO
Meno inventiva
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2011_okkervilriver.htm
C'è un tempo per cercare di dominare le onde e un tempo per lasciarsi travolgere dalla corrente. Perdere il
controllo, abbandonarsi alla piena: le acque del fiume Okkervil rompono gli argini, invadono terre, anime e
corpi. "I Am Very Far" è un alluvione che spinge lontano, trascinando ogni cosa con sé: così lontano che,
stavolta, Will Sheff e la sua ciurma sembrano smarrire la rotta di casa.
La densità prevale sulla misura, l'evocazione prevale sul racconto. "Lo scopo", per usare le parole di Sheff,
"era spingere la mia mente in posti dove non volevo andare". Luoghi nascosti nel profondo di sé, al di là
della soglia su cui vegliano le nere sagome raffigurate da Will Schaff in copertina. Come Orfeo oltre le porte
degli inferi, senza mai voltarsi indietro.
Una certa grandeur è sempre stata nell'indole degli Okkervil River: basta pensare agli ambiziosi concept di
"Black Sheep Boy" e della coppia "The Stage Names" / "The Stand Ins". Ma "I Am Very Far" vuole andare
oltre: dilatare i confini, accrescere gli spazi. "Dopo gli ultimi dischi ero stanco della mia personale versione di
musica accessibile", spiega Sheff. "Volevo qualcosa che fosse solo per me stesso e non per gli altri".
L'imperativo è non porsi limiti, anche quando significa riunire in uno studio una "giant band" fatta di due
batterie, due pianoforti, due bassi e sette chitarre, tutti a suonare insieme tra le stesse mura.
Il passo marziale di "The Valley" investe subito con il fragore dei suoi accenti, gonfiati da ritmiche tonanti e
marcature orchestrali. Poi, la voce di Sheff scivola sul groove flessuoso di "Piratess", lasciandosi tentare da
inedite seduzioni soul. Dove prima dominava l'urgenza, ora si fa strada l'enfasi: il classico crescendo di "We
Need A Myth" rimane gravato di ingombranti impalcature barocche, mentre la cavalcata alla New
Pornographers di "Rider" suona come una "Our Life Is Not A Movie Or Maybe" sovraccarica di cori, chitarre,
archi, tastiere e percussioni.
L'affrancamento dalla mano del produttore Brian Beattie (presente stavolta soltanto in un paio di episodi)
sembra lasciare a Sheff e soci una libertà difficile da gestire: "Quando lavoravamo insieme a Brian, la
maggior parte del tempo la passavamo a discutere... È stato eccitante avere la possibilità di fare tutto quello
che volevamo". Non manca la voglia di azzardare, insomma, come nell'assolo di "Piratess", realizzato con il
nastro di una cassetta in fast-forward. Eppure, è proprio al fianco di Beattie che "I Am Very Far" riesce a
trovare il suo momento più acuto, quando i fiati tornano a disegnare in controluce l'intreccio di tradimento e
fedeltà di "Hanging From A Hit", con un contorno di cori dal romanticismo coheniano.
Nonostante tutto, però, i punti di riferimento degli Okkervil River non cambiano: c'è sempre la concitazione
degli Arcade Fire nel pop sinuoso di "Your Past Life As A Blast" o nel connubio di tastiere incalzanti e
accumuli di percussioni di "White Shadow Waltz"; e c'è sempre la magniloquenza dei Bright Eyes (era
"Cassadaga") nella declamazione stentorea del singolo "Wake And Be Fine" o nell'attacco veemente di "The
Valley". Il fatto è che, quando i toni si fanno meno invadenti, anche la scrittura sembra rivelare di aver perso
qualcosa rispetto alla consueta solidità, come nelle sfumature di "Show Yourself" o tra i flauti pastorali di
"Lay Of The Last Survivor".
"Volevo tornare a casa e ricominciare a scrivere da capo, come se non avessi mai scritto una canzone
prima", racconta Sheff. Il taglio dei vecchi dischi, ai suoi occhi, appare come un'impietosa messa a nudo,
"un'autopsia sotto le luci fluorescenti". Ed è proprio questo il rischio che vuole evitare: "Ho tentato di
rifiutare l'idea di scrivere in maniera cerebrale, per cercare di scrivere in maniera intuitiva o emozionale".
Così, per mettere mano ai brani del nuovo album (in origine più di trenta, a quanto pare), Sheff si è ritirato
nel mezzo della campagna del New Hampshire, tra le vecchie stanze della casa dei nonni. Un luogo popolato
dai fantasmi dell'infanzia, che si affacciano tra le pieghe delle canzoni come presenze impalpabili.
È il rosso del sangue a tingere i versi di "I Am Very Far": sangue su lame assassine, sangue come eco del
destino. Violenza e passione, forze che sovrastano qualsiasi illusione di controllo. "Press your ear up to my
wrist", invoca Sheff in "Your Past Life As A Blast", "The blood is racing someway, going wherever". In che
direzione scorre il nostro sangue? In che direzione si muovono i nostri passi? È una strada quello di cui
avremmo bisogno, come proclama il manifesto di "We Need A Myth", non l'ombra di un mito fatto per
svanire sulle rive del Lete: "We need a path through the mist / Like in our beds we were just kids / Like
what was said by our parents". Sarebbe come ritrovare una voce sicura, una voce in cui poter riporre fiducia
senza riserve.
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INDIE RIVIERA
http://www.indieriviera.it/indie-rock/okkervil-river-i-am-very-far/
I Am Very Far è il sesto album degli Okkervil River, band folk-indie-rock proveniente da Austin in Texas, è
disponibile online dal 22 aprile e uscirà nei negozi il 10 di maggio, ancora una volta per la Jagjaguwar.
Parto dal presupposto che tutti conosciate almeno un disco degli Okkervil River, se così non fosse rimediate
quanto prima, magari cominciando dal magnifico Down The River of Golden Dreams (il loro secondo album
pubblicato nel 2003). Dato per assodato questo, ecco cosa c’è di nuovo.
Dopo l’uscita di The Stand Ins (datato 2008 e accolto con calore sia da critica che da fans -42° nella
Billboard 200-), Will Robison Sheff ha collaborato dapprima con i New Pornographers, cantando in Together,
ha scritto poi una canzone per l’ultimo di Norah Jones (The Fall) e ha prodotto True Love Cast Out All Evil
l’acclamato ritorno di Roky Eerickson.
Proprio quest’ultima esperienza e l’enorme peso delle aspettative che gravavano sulla band, hanno portato
Will Sheff ad abbandonare il consueto modus operandi (reclusione in studio ad oltranza) in favore di un ritiro
in solitudine, a casa sua nel New Hampshire. Il flusso di coscienza scaturito dall’eremitaggio ha portato a
galla più di 30 canzoni, successivamente compattate in 18 pezzi da cui gli 11 brani del disco.
Il fatto che le cose siano andate in questo modo, con Sheff in veste di produttore-arrangiatore, sottolinea
ancora una volta il ruolo predominante che lo stesso sta assumendo in seno alla band; responsabilità che
Sheff si è arrogato anche in una recente intervista: “and I wanted the music and lyrics to be both completely
wedded together and a little bit beyond my control.”
Per venire al dunque I Am Very Far è un disco decisamente convincente sebbene diverso dalla precedente
discografia. La band di Austin da qui dimostrazione di saper padroneggiare una gamma ancor più ampia di
strumenti e suoni: sezioni d’archi, tastiere, fiati e arrangiamenti corali. Ne sono ben rappresentative Rider
(fantastica e con un finale spectoriano) e Wake and Be Fine nella quale, narra la leggenda, pare siano stati
impiegati due batteristi, due pianisti, due bassisiti e sette(!) chitarristi, in una sessione di registrazione
durata 12 ore. We Need a Myth, uno dei miei pezzi preferiti, può essere considerato l’anello di congiunzione
fra questo disco e gli Okkervil River “tutto cuore e impeto”.
L’overdose sinfonica, prestata al consueto binomio folk / rock, sbilancia I Am Very Far verso territori rock.
Così mentre il cantato di Will Sheff non accenna a ricomporsi, anzi è ancora accorato, emotivo e “di pancia”,
il sound del disco si fa più rock, scuro, nitido e meno farraginoso. Proprio quest’ultima cosa mi fa chiedere
cosa sia rimasto dell’esperienza con Rocky a parte il batterista Cully Symington, già al lavoro proprio con l’ex
leader dei 13th Floor Elevator.
Una conferma destinata a crescere con il passare degli ascolti. Con l’augurio che siano al top per i Grammy
2011: Arcade Fire again?!?
RESTOINASCOLTO
http://iomelacantoiomelasuono.blogspot.com/2011/05/okkervil-river-i-am-very-far.html
"I’ m very far” sembra voler lasciar profetizzare sin dal titolo il contenuto del disco a firma Okkervil River.
Lascia increduli il primo ascolto. Lontani, molto lontani, appunto, da quell’universo folk a cui eravamo
abituati. Eravamo avvezzi a conoscere la destinazione; ora le certezze si diradano; si sa da dove si parte, ma
non si intravede l’arrivo. Ed è cosi che se prima gli ascolti degli Okkervil lasciavano beato l’ascoltatore ora lo
confondono, lo depistano e non gli rendono visibile quello che fino ad ora gli era chiaro. Confuso e fuori dal
controllo rimani disteso, sorpreso e con l’aria stralunata di chi ha appena avuto una visione sconvolgente.
Disco pieno di suggestioni romantiche ma anche violento, gioioso e nel frattempo terrificante nella sua
mutevolezza. Si lascia ascoltare con piacevolezza, con curiosità. Ma forse era davvero ciò che volevano
dimostrare, mostrare per l'appunto al loro pubblico il disagio di vivere in un posto dove non si vorrebbe
vivere. Buon ascolto
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INDIE FOR BUNNIES
http://www.indieforbunnies.com/2011/05/13/okkervil-river-i-am-very-far/
Quando un gruppo ti abitua ai bei dischi è sempre un casino. Si attende il nuovo arrivato e automaticamente
si pensa all’ennesima ottima prova, alla solita conferma. Rimane, però, il beneficio del dubbio, quella remota
possibilità che il nostro gruppo o artista preferito possa averla fatta fuori dal vaso. A volte non c’è proprio
nulla di male a pensarla così, anche perché capita che ci si indovini.
Ecco: spero che nessuno si scandalizzi se scrivo che questo è il peggior disco degli Okkervil River. Per carità,
mica un brutto disco, ma che senz’altro risulta come quello più fuori fuoco tra quelli della loro scintillante
discografia.
Prendiamo il brano d’apertura, “The Valley”: non male, si direbbe, se non fosse per la batteria fin troppo
anni Ottanta e per un arrangiamento poco convincente, soprattutto per quanto concerne l’uso troppo spinto
degli archi. Ma come incipit ce la possiamo pure tenere; fa il suo lavoro.
Veniamo dunque a quella canzone che meriterebbe una recensione tutta sua: “Pitaratess”. “Perché?”, vi
domanderete. Perché è pura comicità involontaria: scritta appositamente per suscitare ilarità in colui che
ascolta e pensa che mai e poi mai Will Sheff possa aver scritto una roba simile. Manca una struttura sensata,
un ritornello che spinga, un crescendo che faccia prima o poi esplodere quell’insieme di suoni in qualcosa
che vagamente somigli ad una canzone. Rimane irrisolta, inspiegabile. Per fortuna, grazie a Dio, dopo ci
sono “Rider” e “Lay Of The Last Survivor” a risollevare le sorti del sesto album del gruppo di Austin: la prima
è un tipico pezzo carico à la Okkervil: pulsante e vivace, ottimo a livello di suoni e di melodia. La seconda è
una ballata Indie – Folk niente male, delicata, non eccezionale ma convincente nel suo insieme.
La produzione lascia molto spazio a trame sonore più o meno pompose, piuttosto che a suggestioni
prettamente elettroacustiche e tradizionali. Cosa che a qualcuno potrebbe far storcere il naso, certo. Non
che sia un enorme difetto, ma pezzi come “White Shadow Waltz” e “We Need A Mynth”, per nulla mal
riusciti, risultano un po’ patinati. Magari guadagneranno punti dal vivo, ma su disco non centrano del tutto il
bersaglio. C’è poi un pezzo che, una volta ascoltato, subito lo si incorona a migliore del disco; e questo è
“Hanging From A Hit”, punta di diamante di “I Am Very Far”, suggestivo, stupendamente arrangiato e
cantato, perfetto a livello melodico, toccante quanto una “Savannah Smiles”, tanto per tirare in ballo un gran
momento appartenente alla band.
“Show Yourself” è invece un brano costruito per essere un po’ indecifrabile, ma apprezzabilissimo nei suoi
momenti dilatati e nel suo sghembo sviluppo. Un episodio di bella maniera folk – rock è “Your Past Life Is A
Blast”, che nell’andare avanti accresce sempre più il suo impasto sonoro. Tra archi, chitarre acustiche e
pianoforti, non spicca troppo “Wake And Be Fine”, funzionale comunque all’economia del disco. Giusta
chiusura quella di “The Rise”, con piccoli tocchi di epos, un fluire di strumenti, ritmiche e intrecci vocali, che
si ricongiungono nell’ovvia coda finale.
L’ultimo degli Okkervil River delude quindi solo in parte. Non ha la forza dei suoi due predecessori, né
tantomeno la meravigliosa classicità di lavori quali “Black Sheep Boy” o “Down The River Of Golden Dreams”.
Semplicemente, un buon disco, con i suoi momenti più o meno riusciti, che si lascia ascoltare, nel
complesso, con estremo piacere. Ma manca quel tocco di magia che avrebbe fatto la differenza e che qui,
purtroppo stenta ad arrivare. Riusciranno a rifarsi, in un modo o nell’altro.
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PANOPTICON
http://www.panopticonmag.com/recensioni/rockville/1270-okkervil-river-2011-i-am-very-far.html
Per Will Sheff e i suoi Okkervil River questo I Am Very Far, sesto disco in studio in uscita il prossimo 10
Maggio per la Jagjaguwar, rappresentava un banco di prova estremamente importante, trattandosi del primo
lavoro realizzato senza il fondamentale apporto di Jonathan Meiburg, il quale, terminate le registrazioni di
The Stand Ins (2008), aveva deciso di salutare la compagnia per dedicarsi a tempo pieno alla sua creatura
prediletta, quegli Shearwater che nel giro di pochi altalbum hanno saputo costruirsi una solida reputazione
negli ambienti indie e garantirsi un seguito di estimatori magari non molto numeroso, ma assai fedele e
caloroso. D'altra parte, la differenza stilistica e di valore assoluto tra gli esordi e le ultime prove della
formazione texana, che ha preso in prestito il nome da un racconto della scrittrice russa Tatjana Tolstoja,
era di per sè motivo sufficiente ad alimentare curiosità e incertezze. Premessa doverosa: questi ragazzi fino
ad oggi non hanno mai fallito e probabilmente un disco davvero brutto non sarebbero capaci di realizzarlo
neanche mettendoci tutto l'impegno possibile. Troppo padroni dei propri mezzi, troppo capaci di ripercorrere
con gusto e personalità quei sentieri in precedenza già battuti da altri all'interno di una scena, quella folk
rock a stelle e strisce, che in più di una circostanza hanno dimostrato di conoscere alla perfezione. Proprio
quest'ultimo aspetto, tuttavia, oltre che un indiscutibile pregio, nel recente passato ha anche rappresentato il
limite più evidente della formazione, le cui composizioni, quando non supportate da adeguata ispirazione e
urgenza espressiva, molto spesso hanno finito per sfociare in un manierismo tanto gradevole quanto
innocuo. I tempi del capolavoro indiscusso della band, quel Down the River of Golden Dreams uscito nel
2003 e capace, con la sua sentita immediatezza, di colpire dritto al cuore più di un cultore del rock intimista,
ormai sono molto lontani. All'epoca gli Okkervil River sembravano una band minuscola che suonava
all'interno di un'osteria, con la bassa fedeltà delle registrazioni, principalmente dovuta ai pochi mezzi a
disposizione, che si traduceva in calore, intimità ed una espressività fuori dal comune. D'altra parte, aldilà
dell'atmosfera di fondo, stiamo parlando di un gruppo in stato di grazia, capace di comporre alcuni pezzi
memorabili, che rientrano a pieno diritto nella cerchia dei migliori mai composti all'interno del proprio genere
di riferimento e che ormai possono essere considerati a tutti gli effetti dei piccoli classici. Davvero impossibile
rimanere indifferenti di fronte ad episodi toccanti come “The Velocity of Saul at the Time of His Conversion”,
“The War Criminal Rises and Speaks” o “Maine Island Lovers”, sapientemente alternati, in un equilibrio
praticamente perfetto, a parentesi più energiche, ma altrettanto valide, come il singolo “It Ends with a Fall”
e “Song About a Star”. Oggi, però, quegli Okkervil River non esistono più, rimpiazzati da un gruppo di
mestieranti estremamente capaci, che possono permettersi di realizzare album molto prodotti e di maniera.
Questo I Am Very Far è un disco che suona coeso e compatto, che procede senza sussulti ma anche senza
particolari cadute, in cui nessun pezzo sembra elevarsi sugli altri e possedere i carati dell'autentico
capolavoro. In alcuni brani, come l'iniziale “The Valley”,alt cadenzata e dai toni noir, è facile sentire
l'influenza di David Eugene Edwards (Woven Hand, 16 Horsepower), tra gli artisti di riferimento nell'attuale
panorama alt-folk statunitense, in altri, come l'orecchiabile “Rider”, sembra di ascoltare il Bruce Springsteen
più divertito e voglioso di far cantare un intero stadio, in altri ancora, come “Piratess” e “Your Past Life as a
Blast”, è addirittura il fantasma di David Bowie a fare capolino. Non è un caso, però, se gli episodi che
maggiormente colpiscono l'ascoltatore sono ancora una volta quelli meno movimentati e più personali, come
le ballate “Lay of The Last Survivor” e “Hanging from a Hit”, in cui a tratti riaffiora quello che la band nel
recente passato è stata capace di essere. A conti fatti, questo album è la cosa più simile agli ultimi Arcade
Fire attualmente in circolazione, anche se questi ragazzi attingono da una tavolozza di colori meno ampia
rispetto a quella di Win Butler e compagni. La sensazione, tuttavia, nonostante un lavoro ancora una volta
estremamente piacevole da ascoltare, è che il meglio gli Okkervil River lo abbiano già dato. Difficile
pronosticare nuovi capolavori da parte loro ora che il “sacro fuoco” pare essersi definitivamente sopito;
molto più facile prevedere nel prossimo futuro altri album mediamente buoni e ben confezionati come
questo, che, tuttavia, finiranno con l'essere ricordati solamente dai fans più integralisti della band. Se non
altro, per una volta siamo riusciti a vivere e raccontare una storia importante in presa diretta. Ovviamente,
se Will Sheff e soci riusciranno a smentire questa previsione, e la giovane età gioca indubbiamente a loro
favore, il primo a rallegrarsene sarà proprio il sottoscritto.
7/10
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BAND: OKKERVIL RIVER
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ROCKSHOCK
http://www.rockshock.it/recensione-okkervil-river-i-am-very-far/
Con quest’ultimo album gli Okkervil River sembrano aver perso qualcosa rispetto al passato. Innanzitutto il
loro sound vira verso un indie-rock molto più “attualista”, solo se paragonato all’alt-country di alcuni dei loro
lavori più riusciti (Down the River of Golden Dream; Black Sheep Boy..). Naturalmente sonorità “hip”, in un
certo senso, sono sempre state presenti negli album della band texana, anche se stavolta si ha come
l’impressione che la saturazione sonica, i wall of sound e gli arrangiamenti “orchestrali” abbiano superato il
limite esatto, che consisteva forse nella capacità di utilizzare ciò che era richiesto in ausilio all’effetto – lirico
e/o musicale – voluto.
Qui invece avviene precisamente il contrario, ed è proprio il contorno a stabilire (o sopraffare) l’atmosfera di
I Am Very Far. Non che episodi riusciti non ve ne siano, come al solito: ed anzi sarà pur sempre il “vero” fan
degli O.R. a stabilire il valore effettivo dell’opera – semplicemente perché non si tratta di un vero e proprio
passo falso. Ma è tuttavia innegabile che qualche segno di stanchezza comincia a mostrarsi lo stesso.
Ineluttabilmente.
Che sia nel mid-tempo di The Valley o nelle basse frequenze di Piratess con tanto di chitarra impazzita, nelle
prove leggermente al di sopra di Rider e Lay of the Last Survivor, nel rock – un po’ tedioso – con sfumature
epiche di White Shadow Waltz, nella ballata senza scorza We need a myth o in quella slo-core/pianistica di
Hanging from a hit (per non parlare poi di Show yourself..), così come nella batteria mulleniana di Your Past
Life as a Blast o nella ‘leggera’ Wake and be fine, il discorso non cambia.
Ovviamente resta la voce di Will Sheff (coi relativi testi) a svolgere il ruolo di filo conduttore dell’intero
album: ma anche questa appare soffocata dall’adulterazione eccessiva delle canzoni. Nondimeno I Am Very
Far sembrerebbe la tappa obbligata per una band che ha sbagliato fin qui veramente poco, magari come
punto di riflessione per un’eventuale metamorfosi imminente – si spera in positivo.
ROCKSUCKERS
http://www.therocksuckers.com/?p=2353
Tornano gli Okkervil River, band di Austin che in passato ci ha regalato parecchie soddisfazioni. Dopo aver
ascoltato in anteprima il singolo “Mermaid” e trovato in rete un secondo pezzo intitolato “Wake up and be
fine“, ora grazie ad Npr possiamo ascoltare l’intero disco “I am very far” in streaming. Ce l’ho in sottofondo
proprio in questo momento e mi sembra che anche stavolta i texani non deludano. Folk rock garbato e con
una buona dose d’ispirazione che fa sempre piacere ascoltare. Lo consiglio a chi piacciono Band Of Horses,
My Morning Jacket, ma anche National e Arcade Fire.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
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ROCKOL
http://www.rockol.it/recensione-4622/Okkervil-River-I-AM-VERY-FAR
Tra il 2007 e il 2008 gli Okkervil River avevano concentrato i punti più alti della loro carriera, con due dischi
provenienti dalle stesse sessioni (“The stand ins” e “The stage names”), una emozionante raccolta di cover
registrate dal vivo (“Golden opportunities”) distribuita gratuitamente via Internet e un tour che li ha
impegnati a lungo.Dopo tutta questa frenesia produttiva Will Sheff, voce e leader della band, ha chiuso le
serrande e ci ha pensato un po' prima di far sentire una nuova canzone, riaffacciandosi solo alla fine del
2010 con la collaborazione con Roky Erickson (13th Floor Elevators), sfociata nell'album “True love cast out
all evil”: una sorta di prova generale per testare la consistenza di tutta la band prima di pubblicare,
finalmente, un nuovo album di inediti.“I am very far” giunge alle nostre orecchie dopo una lavorazione molto
particolare, iniziata con il totale isolamento di Will Sheff e continuata in studio di registrazione dove è stata
impiegata una formazione gigantesca di musicisti composta da due batteristi, due bassisti, due pianisti e
sette chitarristi che, per alcune delle canzoni, hanno suonato in simultanea.
Abituati al folk rock semplice e diretto dei dischi precedenti, l'ascolto di questo nuovo disco si propone
inizialmente come un bel pugno in pieno viso; all'inizio è solo stupore e disorientamento: un suono potente,
stratificato e variegato come mai avremmo immaginato, un vero e proprio muro sonoro che quasi sembra
prendere il sopravvento sulla caratteristica principale della band di Austin (Texas), ovverp l'interpretazione e
le parole del loro leader, che qui (anche quando urla) sembra volersi un po' nascondere.
Il sangue fa sembrare più grave il trauma di quello che è in realtà, ma è veramente dura abituarsi a questi
nuovi Okkervil River che hanno messo da parte il sound variabile ed umano per uno più elaborato - ma non
artefatto - che ha bisogno di molti ascolti e un volume imbarazzante per essere quantomeno compreso.
“The valley” parte subito con il piede pigiato sull'acceleratore con un tamburo a scandire l'andamento
sostenuto, quasi una marcia, a cui si sovrappongono archi su archi creando un caos ordinato ben poco
comprensibile. “Piratess”, invece, è un brano costruito solo sul groove di basso, lontano anni luce da quanto
sentito in passato, e con dei giornali strappati usati per le percussioni (trucco adottato anche dagli Arcade
Fire per un live in un ascensore molto popolare su Youtube).“Rider” fa sentire il peso della gigantesca
session-band creata per l'occasione che conferisce a questa canzone, splendida e ricca di fervore, una
sonorità quasi orchestrale, mentre “Lay of the survivor” ci restituisce finalmente quello che, nella nostra
memoria, è ciò che si aspetta dagli Okkervil River, una dolce e ristoratrice ballad acustica arricchita dalla
voce profonda, ma fragile di quel nerd occhialuto che porta il nome di Will Sheff.
E' una pausa che ci permette di assorbire meglio il colpo di “White shadow waltz”, una vera e propria
cavalcata arricchita dagli archi che sembra non esplodere mai finché la batteria non inizia a mitragliare colpi
e il climax generale diventa sempre più infiammabile, probabilmente uno dei brani migliori del disco. Se “We
need a myth” propone un altro “crescendo” pieno zeppo di ogni tipo di strumento musicale, “Mermaid” è un
brano sognante in cui ritroviamo la semplice bellezza delle composizioni di Will Sheff, che qui sembra volersi
rifare alle languide canzoni d'amore degli anni '50 americani.
Superata la dimenticabile “Show yourself”, veniamo nuovamente sorpresi dall'attacco quasi “seventies” di
“Your past life is a blast” per poi venire travolti dall'energia della superband e del suo coro, ma è con “Wake
and be fine” che gli Okkervil ci fanno fare un salto emozionale, con una canzone splendida, dolce e violenta
allo stesso tempo, un gioiello che da solo vale tutto il disco. Un brano che sarebbe stato troppo facile trovare
all'inizio del disco, ma lo scoviamo in chiusura come un premio per l'impegno di ogni ascoltatore (ok potete
sempre scaricarvi solo questo brano, ma vi assicuriamo che vi perdete tutto il gusto).
Dopo questa festa per le orecchie ci ritroviamo a dover far i conti con la realtà grazie a “The rise” un brano
molto ostico che cambia forma più volte durante la sua esistenza per terminare con un finale folle che si
perde in echi psichedelici: solo qui capiamo il vero significato del titolo “I am very far”. Will Sheff, infatti, non
afferma solo di voler mettere più chilometri possibili tra la sua nuova musica e quella passata, ma sembra
anche pretendere un po' di distanza dal suo pubblico, mettendolo continuamente alla prova, nascondendosi
dietro una band di quattordici elementi, e celando la fragilità della sua voce dentro una produzione
imponente.
Il risultato, di primo acchito, è detestabile, ma dandogli fiducia e analizzandolo con cura questo disco può
donare più soddisfazioni di quanto si possa credere.
E pazienza per il pugno, questo è pur sempre rock'n'roll.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.15
STORIA DELLA MUSICA
http://www.storiadellamusica.it/Okkervil_River_-_I_Am_Very_Far_%28Jagjaguwar,_2011%29.p0-r3942
Da folk band sgangherata a big band. Anzi, «giant band», con le parole di Will Sheff. “I Am Very Far”, sesto
disco degli Okkervil River, segna il tracciato di una parabola forse inevitabile, se si considerano il sostrato
colto e ambizioso della band di Austin e la sua attitudine sempre più estroversa, ma comunque disorientante.
La stessa categoria di folk, che nei primi tre dischi degli Okkervil trovava un’incarnazione traballante e
poetica destinata a diventare modello per un decennio intero, sta loro stretta, ora: i tempi delle chitarre
ebbre, delle stecche, del banjo rusticano e delle produzioni volutamente non pulite sono finiti. Nel bene e nel
male, questo è l'album di una band diventata 'grande'.
Il disco è un lavoro riplasmato in studio nella sua parte maggiore. Le brevi sessioni di registrazione,
avvenute in luoghi diversi e con differenti metodi, sono state poi manipolate da Sheff, con alterazioni e tagli
spesso molto invasivi; le continue trasformazioni e riscritture in effetti si avvertono nella sontuosità
maniacale degli arrangiamenti, sicché si perde in semplicità rispetto ai vecchi Okkervil, guadagnandone in
eleganza e rifinitura. E, a tratti, epicità: “Rider” (Springsteen rivisited), “Wake and Be Fine” (l’apice, frenetica
intensità), “We Need a Myth” (che parte su soli archi e finisce in un crescendo Arcade Fire) sono state
suonate da due batteristi, due bassisti, sette chitarristi, più piano e archi a pioggia. Arena, insomma. E roba
come la groovosa “Piratess”, che pare un pezzo da "The Stage Names" con le tette rifatte (c’è pure, da
1’54’’, lo strappo di pagine di giornali stile "Neon Bible" nell’ascensore), potrebbe piacere alle radio fighe e ai
locali in. Nessuna purezza inquinata, per carità: bellezza un po’ freddina, però.
Sono pezzi che si dispiegano in spettri sonori vertiginosi, con effetti nella registrazione di affollati cortei
bandistici che strappano più l’applauso che l’emozione. E non sempre (“The Valley”, “White Shadow Waltz”)
sono assistiti da una scrittura all’altezza, sicché possono scivolarci pure two-chords songs messe in ghingheri
per mascherare la fiacca (“Your Past Life as a Blast”). Meglio, allora, i pezzi usciti dalle sessioni meno
ossessive, e magari distese su spazi più sgombri e meno hi-fi: lo spettacolo notturno di “Hanging from a Hit”,
col basso sonnacchioso, un piano scordato e fiati impigriti, vale gli Okkervil migliori (“A Stone” da “Black
Sheep Boy”?); e così la vezzosa mid-ballad “Lay of the Last Survivor” e l’extravagante “Show Yourself” fanno
ancora capire perché questa band sia entrata tra le grandi dell’ultimo decennio.
Non è tra i dischi migliori degli Okkervil River, “I Am Very Far”, ma imprime quanto meno una sterzata
rispetto ai due album precedenti, un po’ impiantati (“The Stand Ins”, soprattutto). È un disco onesto, a tratti
buono (6,5, toh), che ha però il problema di vivere un paradosso: eseguito da una ‘huge band’, finisce
spesso per insaccarsi nella prima persona (I Am) del direttore d’orchestra; in uno Sheff che ci perde a
concentrarsi troppo sul ruolo del produttore. E che si spera torni, da così lontano, ad avvicinarsi un po'.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.16
AUDIODROME
http://www.audiodrome.it/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=7668
Sono illuminanti le dichiarazioni rilasciate da Will Sheff in sede di press release, in quanto davvero indicative
della direzione intrapresa con I Am Very Far. “Cacciato” via ogni musicista presente nei dischi precedenti, era
inevitabile una svolta/rivoluzione, ed infatti: I wanted to go back home and re-start writing again, like I’d
never written a song previously, and I wanted the music and lyrics to be both completely wedded together
and a little bit beyond my control. Ed ancora più indicativo: The goal was to push my brain to places it didn’t
want to go. The idea was to not have any idea – to keep myself confused about what I was doing. Tutto
vero, considerando quanto gli ultimi due dischi sarebbero dovuti essere un doppio e la raffinazione dello stile
tipico del gruppo, maturato col tempo. In due parole, ripetersi sarebbe stato qualcosa di inutile, nonostante
anche tra le pieghe di I Am Very Far la tipica melodrammaticità indie declinata in vari modi nei lavori
precedenti ci sia eccome. Da trenta canzoni ne sono rimaste diciotto, poi le undici pubblicate ora, sempre su
Jagjaguwar. Lavoro per sottrazione che si contrappone del tutto a quello compiuto sulla scrittura e sugli
arrangiamenti, stratificati e focalizzati per rendere il più vario possibile l’armamentario di stoccate melodiche
e mulinelli ritmici, al servizio di una sorta di pop cameristico che esplode (“The Rider”) e si acquieta in
puntate soul/elettroniche (“Piratess”, buona ma un po’ fuori contesto) o ballate country come “Lay Of The
Last Survivor”. Per certi versi I Am Very Far è mosso dagli stessi intenti che hanno portato Sam Beam a Kiss
Each Other Clean, pur non arrivando a spingersi molto in là come nel caso del nuovo Iron & Wine. Ma Will
ha provato eccome a confondersi le idee e sparigliare le carte, tanto da poter pensare ad un possibile
accantonamento della storica sigla per una carriera solista. Tornando al disco, però, la “svolta” è ancora più
netta quando ci si approccia alla strabordante epicità di “White Shadow Waltz”, alla disperazione a base
slavine di archi, pianoforte e mille chitarre (con l’elettrica che conferisce un tocco glam à la David Bowie di
Ziggy Stardust) di “We Need A Myth”. “Hanging From A Hit” richiama l’indolenza e reazione delle ballate di
Black Sheep Boy, “Show Yourself” le malinconiche oasi acustiche di Stage Names abbinate a coretti gospel,
morbidezze simil lounge, fiati impressionisti e finale noise. Ancora, “Your Past Life As A Blast” riprende ed
espande al meglio quanto intravisto in “Piratess” con un pizzico di tropicalismo tra le pieghe della melodia e
piglio disco (!), “Wake And Be Fine” è il vero ed energico valzer del disco, mentre la voce di Will si moltiplica
per la pomposa (e non è un difetto) conclusione al calor bianco di “The Rise”.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.17
IMPATTO SONORO
http://www.impattosonoro.it/2011/06/07/recensioni/okkervil-river-i-am-very-far/
Ogni artista che si rispetti ha nella propria discografia, le canzoni di “rottura”, quelle che vogliono rompere
con il passato, quelle che si staccano da quanto prodotto fino a quel punto. Potrà risultare un disco “mosca
bianca” nella discografia oppure aprire nuove strade per il futuro.
I texani Okkervil River se ne escono con un lavoro intero che prende le distanze dalle precedenti uscite,
un’opera che richiede del tempo, spiazzando subito per poi conquistare. I Am very Far è un disco prolisso,
pieno, senza buchi, ogni piccolo spiffero è stato riempito e pensare che a sentire Will Sheff (cantante,
chitarrista e principale autore della band), la sua nascita è avvenuta in solitaria, da disco folk, chitarra e voce
per poi arricchirsi successivamente, durante le session di prova con il resto della band, fino ad arrivare ad
inglobare una serie interminabile di ospiti e strumenti.
Avevamo lasciato gli Okkervil River a fare da band di supporto al maestro e concittadino Roky Erickson nel
suo splendido ritorno “True Love cast Out all evil”, uno dei dischi più attesi del 2010 (e tra i miei preferiti)
ora li ritroviamo, forti di questa esperienza, a fare un passo decisamente in avanti e rischioso. Rimane il
pop/folk americano(Hanging from a hit, Show yourself) del passato, fatto di melodie di facile
memorizzazione, ma viene imbastardito musicalmente e ricoperto da una vena di introspezione testuale che
ne fanno un’opera dura da digerire in poco tempo e poco incline un ascolto veloce e distratto.
Magniloquenze orchestrali come nell’imponente apertura The Valley, oppure l’uso bulimico degli strumenti:
due bassi, due batterie, tre chitarre in Wake and be Fine, We Nedd a Myth e Rider, ne fanno canzoni da
ascoltare con la dovuta attenzione, piene di sfumature e particolari. Il flirt con l’elettronica( Piratess, White
shadow Waltz, Your Past Life as a Blast) li catapulta nella new wave degli anni ottanta, con vaghe
reminescenze “dark” e ad avvicinarsi a gruppi attuali come gli Arcade Fire.
La coralità della conclusiva e pianistica The Rise conclude un disco senza schemi fissi e fantasioso, che
suscita interesse ed una certa dipendenza, a patto di concedergli il tempo necessario per crescere. Il classico
disco che dividerà e che verrà riscoperto tra qualche anno.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.18
MESCALINA
http://www.mescalina.it/musica/recensioni/-i-am-very-far
La crescita artistica degli Okkervil River ha qualcosa di eccezionale ma non sempre è stata chiara: partendo
dai due lavori più importanti The Stand Ins (2008) e The Stage Names (2007) la loro musica si poteva dire
fondata su un folk rock alternativo, sempre elegante ma diretto; in particolar modo l'ultimo album, The
Stand Ins, basava la sua sorte su una poesia e una filosofia che andava a braccetto con certo
intellettualismo di provincia, costituita da un’eleganza melodica sempre ricercata da sensazioni filosofiche, in
cui l'uso degli strumenti poggiava sull’apporto di tanti elementi, anche nei set dal vivo.
Poi da Will Sheff e compagni c'è stato regalato un po' di silenzio facendoci temere il peggio, anche se
qualcosa dietro l'angolo si vedeva: dopo qualche parentesi discografica (la raccolta di cover Golden
Opportunities e il progetto 13th Floor Elevators con Rocky Ericson), finalmente la notizia nel sentire che il
leader era al lavoro ma da solo; infatti le registrazioni di I Am Very Far sono iniziate due anni abbondanti
dopo l'ultimo lavoro in studio, ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo. Il presagio che Sheff stesse cercando la
strada giusta strada ormai evidente, stava da tempo approfondendo le sue passioni, le sue ansie, cercando
ad ogni costo la corrente giusta per esprimere ciò che fino ad ora aveva fatto un suono tutto sommato
fondato sul pop e sul folk.Cosa è rimasto in I Am Very Far dei vecchi Okkervil River? Innanzitutto la ricerca
nei testi, l'espressioni di pensieri portati all'eccesso, logorroico allo stato puro, ricerca di sensazioni sempre
messe in primo piano, immagini che attraversano lente la mente, ma che all'ascoltatore sfuggono via
parecchie volte prima di essere inquadrate, digerite e godute. Il suono di I Am Very Far prima di tutto
disorienta, sopratutto nei primi due brani, anche se con Rider e Lay of the survivor, ritornano ad essere
quelli di un tempo, "melodici americani", e per questo epici, nella sua complessità di strati sonori che si
sovrappongono ad ogni strofa. Diverso quello che succede in Piratess dove il rock spinge il brano, ma il tutto
sembra segmentato da un approccio alternativo che del resto punta ad essere qualcosa in più.
Si, Will Sheff e band, devono averci passato notti insonni intorno a questi ritornelli, all'elaborazione sonora,
trovare sempre la melodia giusta senza mai scadere nell'ovvio o meglio cercando di allontanarsi il più
possibile dall'idea di un lavoro uguale ai precedenti: l'idea di Will è sempre stata quella di creare intorno a
ballate e pezzi rock diretti l'idea della super big band (pare che siano arrivati ad essere in 14 e il booklet in
questo parla chiaro), capace di aggiungersi ad ogni passaggio con classe ed eleganza barocca, forse
scopiazzando qua e là da gente come Arcade Fire, ma tutto sommato spingendosi nell’innovazione. Chitarre
diverse che suonano ritmiche all’unisono, sovrapposte di tanto in tanto a steel, tastiere, se non in qualche
lasso di tempo sessioni elettroniche e arrangiamenti orchestrali, come si sottolinea ancora nella trionfante
White shadow waltz. La voce del leader innalza sempre il sound di questo splendido album ma allo stesso
tempo cerca supporto o soffre il suo ruolo guida: dimostra drammaticità senza eccedere nell'egocentrismo,
anche nei momenti più espressivi e teatrali, sembra di assistere ad un esercizio accademico di melodramma
(il suo), ma allo stesso tempo pare tenersi in ombra o addirittura cercare l'appoggio esterno di un coro come
di fatto avviene in We need a myth in cui si affiancano archi e fiati, o ancora nei cori seventies e folk di
Wake and be find in un tripudio di emozione e classe. Più si ascolta con attenzione I Am Very Far più se ne
comprende il senso, un album costellato da giusti toni trionfali, ma anche pieno di episodi di rara bellezza:
basta leggere i due capitoli conclusivi del disco dalla giusta angolazione, per capire il senso di quantità
sonora voluta dalla band ma sopratutto dal suo leader che ha guidato e assecondato ogni sua visione per un
risultato che semmai farà discutere ma non può essere penalizzato.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.19
OUTUNE
http://www.outune.net/dischi/medium/okkervil-river-i-am-very-far/21445
Gli Okkervil River sono sempre stati bulimici: testi lunghissimi sforzati fuori dalla metrica, album che si
susseguono l’uno dopo l’altro inframmezzati da altrettanti Ep. D’altronde, la creatività di Will Sheff, uno dei
più dotati songwriter contemporanei, non è cosa che si riesca a tenere al guinzaglio, come già era stato
dimostrato dal secondo capitolo di “Black Sheep Boy” o dallo sviluppo all’inizio ipertrofico del progetto
Shearwater. Certo, la grandeur di “I am very far” è qualcosa che nessuno si aspettava: già nel pezzo di
apertura entrano in gioco due batterie, due pianoforti, due bassi e sette chitarre, e in tutto il resto del disco
gli arrangiamenti, coraggiosi soprattutto sul piano ritmico, si spingono praticamente ovunque, fra nastri
adesivi strappati per dare il tempo e cassetti aperti e chiusi con violenza, o passeggiate sonore dove il ritmo
dei piedi diventa base. Che dire, non male, anzi benone. Bravo Will, stavolta anche produttore, quindi più
libero di “scrivere quello che mi pare, non dovermi sentire per forza compiacente nei confronti del pubblico”.
Bravo Will, reduce con tutta la band dall’esperienza di backing nell’ultimo tour di Roky Erickson, nume
tutelare della psichedelia dei tempi d’oro con i suoi 13th Floor Elevators, che di sicuro lo ha ispirato in questo
nuovo corso più energico e di rottura.Eppure qualcosa non va: sarà che manca l’omogeneità dei lavori
precedenti, cosa già evidente dallo stacco brutale fra l’introduttiva “The Valley”, magnetica nella sua oscurità
disperata, e la successiva “The Piratess”, che è poco più di una ballatona pop nonostante alcune idee
interessanti, sarà che manca quell’introspezione che strappava il cuore ed era la loro più affascinante
caratteristica (in realtà, quella manca da “Black Sheep Boy”) che in questo caso non è, come nei due dischi
precedenti, sostituita da una trascinante attitudine rock’n'roll, ma senza dubbio il disco non coinvolge.Non ci
riesce quando gioca la carta dell’orchestrazione potente sulla scia degli Arcade Fire, come nel singolo “Wake
and be Fine”, e non ci riesce quando smorza i toni e cerca la rarefazione: “Show Yourself”, noia allo stato
puro come non ce ne avevano mai fatta assaggiare, è un duro colpo per qualunque fan. Rimangono le
consolazioni di “Rider”, “We Need a Myth”, e della conclusiva “The Rise”, senza dubbio lontanissima, anche
lei, da quello a cui eravamo abituati, ma quanto mai ben scritta, soprattutto grazie alle derive corali che la
allungano fino a sei minuti. Niente da fare: come spesso succede, ad essere troppo liberi e a dimenticarsi il
pubblico, si rischia di compiacere solo se stesso.
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BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.20
SODAPOP
http://www.sodapop.it/rbrth/content/view/1230/9/
A costante scadenza, come un film di Woody Allen, tornano i talentuosi Okkervil River, sempre con la
fedelissima Jagjaguwar. Il mio vecchio professore di chimica (ed è una delle poche cose che ricordo delle
superiori) disse un giorno: "esiste l'insufficienza, il 5, e la grave insufficienza, il 4. Tutto ciò che sta sta sotto
lo considero offensivo". Mi è sempre piaciuta questa frase: almeno in quella materia non c'era da sudare
sette camicie per arrivare alla media del 6 con un incidente di percorso, come un 3 o peggio. Purtroppo ciò
non valeva nelle altre materie. La carriera del gruppo texano sarebbe da dividere in due fasi, una
antecedente al 2005 e l'altra successiva. Nella prima, manco a dirlo, il gruppo spara le sue migliori cartucce
con Don't Fall in Love With Everyone You See del 2002 (bello fosse solo per il titolo) e il loro piccolo grande
capolavoro Down The River Of Golden Dreams dell'anno dopo.E qui da subito nasceva un cantautorato folk
rock già maturo e pregno di pathos (complice la straordinaria voce di Will Sheff) che sapeva scrivere grandi
canzoni con una naturalezza impressionante; l'altra faccia di quello che potevano essere le turbe post
adolescenziali di Conor Oberst. Poi sono arrivate le conferme, a un passo dal successo in termini commerciali
(Black Sheep Boy: bello anche se un piccolo passo indietro per chi scrive) e il via a dischi che viaggiavano su
una media onorevole. E avanti così, diluendo un pochino il materiale, siamo arrivati a questo I Am Very Far,
col quale il gruppo sembra dare l'idea di essere accerchiato, quasi soffocato, dal successone degli ex colleghi
indie ora trattati come i nuovi U2, dalla quantità di accendini accesi: The National e Arcade Fire. E arriva
l'errore: quello di entrare nel loro terreno da gioco (White Shadow Waltz, Hanging From A Hit), pensando
forse di ricevere almeno le dovute briciole. D'altronde cosa manca agli Okkervil River rispetto alle due band
citate sopra? Nulla, e hanno ragione. Sbagliano però in questa arrendevolezza, in questa concitazione al pop
(The Valley), condita di una spruzzatina di wave (Piratess). Sbagliano perchè proprio loro funzionavano nelle
grandi ballate, nei suoni roots, nel pathos orchestale, qui pallidamente evocato. Ne viene fuori un disco
indubbiamente piacevole, con qualche hit degna degli illustri colleghi (Lay Of - The Last Survivor, Rider, Your
Past Life As A Blast) e qualche altra canzone fiocamente memore della strada abbandonata (We Need Myth,
Show Yourself e la finale The Rise). Un'insufficienza grave più nel cambio di rotta che nel risultato.
::: PROMORAMA ::: PRESS :::
BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.21
TROUBLEZINE
http://www2.troublezine.it/reviews/16503/okkervil-river-i-am-very-far?ref=home
Lasciato evaporare l’hype attorno alla band tra il 2008 ed il 2009 complici i due album collegati “The stand
ins” e “The stage names”, Will Sheff si è isolato dal mondo in una fattoria per mesi per iniziare a disegnare
quello che doveva essere il nuovo percorso degli Okkervil River: nelle intenzioni, negli annunci e nella realtà
un netto punto di svolta rispetto al passato.“I am very far” è un disco diverso da quello che ci poteva
aspettare dagli Okkervil River ed è un disco ostico, non per questo la bellezza delle composizioni Sheff viene
meno, ma a volte il sacrifico tra l’accessibilità e la voglia di esagerare, fare “per forza” qualcosa di corposo,
porta a realizzare brani che se sulla carta sono in linea con la storia della band, nella loro realizzazione
finiscono per diventare troppo diversi. E’ una irrequietezza che si misura nella dicromia tra un disco molto
intimo e personale (si torni a pensare che Sheff si è isolato dal mondo per mesi per scriverlo) ed una
realizzazione invece mastodontica (14 elementi, doppia batteria, strumenti classici ed elettrici). L’equilibrio
diventa dunque difficile da trovare e non a caso al primo ascolto “I am very far” annoia più che sorprendere
e qui subentra il meccanismo di quanto amore o interesse si ha per la band. Non ci sentiamo di biasimare chi
dopo aver ascoltato i due pezzi di apertura, The valley e Piratess, il primo una lunga marcia in crescendo ed
il secondo invece sorretto da una sezione ritmica più accennata e la voce di Sheff in primo piano, si trova
spaesato e forse deluso, i due non sono i migliori pezzi del disco anzi, sono la scommessa di una band o
forse soprattutto di un autore che sfida il suo pubblico a capirlo e seguirlo fino in fondo.In un sottile gioco
delle parti Sheff non si nega i piaceri di quello che è lo stile che han reso grandi gli Okkervil, in un gioco di
alti e bassi che esplode nella pomposità strumentale di Rider e We need a myth e si acquieta nell’intimità di
Lay of the survivor e nei toni sognanti di Mermaid, ma è soprattutto con il singolo Wake and be fine che si
chiude il cerchio tra energia che fuoriesce da ogni singolo strumento e voce struggente di Will Sheff, in un
crescendo acustico dolce e potente, energico e delicato, evocativo e fulmineo.“I am very far” è una
scommessa, quella di un artista che sfida i suoi fan a seguirlo in un percorso diverso e più complesso, dove
tutta la sua immensa qualità stilistica va forse a nascondersi dietro alcune scelte troppo esasperate: più che
un disco per palati fini, è un disco per amanti degli Okkervil River, se li avete amati fino ad ora qui
celebrerete il genio del vostro compositore preferito, se eravate distanti dalle praterie dei primi dischi qui vi
troverete dispersi in una landa dalla quale ne vorrete scappare presto.
::: PROMORAMA ::: PRESS :::
BAND: OKKERVIL RIVER
TITLE:I AM VERY FAR
PAG.22
SHIVER
http://www.shiverwebzine.com/2011/06/09/okkervil-river-i-am-very-far-2011-jagjaguwar/
È accaduto qualcosa a Will Sheff. Oppure no, oppure è semplicemente colpa mia e allora quella che
dovrebbe essere una recensione obiettiva dell’ultimo disco degli Okkervil River diventa una faccenda
personale fra me e il talento texano. È così, è senz’altro colpa mia perché quel che si dice in giro dell’ultimo
disco degli Okkervil River, intitolato I Am Very Far è in pratica l’ennesimo coro di plausi e consensi al quale
vorrei tanto allinearmi, ma stavolta proprio non mi riesce.
Quasi dieci anni fa il nuovo miracoloso disco degli Okkervil River si chiamava Down The River Of Golden
Dreams ed era una sinfonia per gli esistenzialisti che ci sarebbe piaciuto essere semmai ce lo fossimo potuti
permettere, Will Sheff cantava sopra musica folk nuda e cruda e quasi non dava soluzione di continuità al
suo flusso di coscienza di faulkneriana memoria condito di sano isterismo. Per Black Sheep Boy invece non
trovo le parole, ma mi ricordo di aver pensato che in fondo avremmo anche potuto smetterla di rimpiangere
i Neutral Milk Hotel e iniziare a brindare augurandoci lunga vita agli Okkervil River. The Stage Names e The
Stand Ins sono storia dell’altro ieri, l’accoppiata con la quale Will Sheff e soci passano finalmente, e più che
mai meritatamente, all’incasso. Tanto più ricchi nel suono di quanto fossero i predecessori si perde il senso
di urgenza e di precarietà ma non possiamo farci caso perché gli Okkervil River a questo punto sono poeti
decadenti che si rotolano e si sbattono nella fanghiglia del pop uscendone più belli che mai. Non c’è
differenza fra pop colture e letteratura e voi altri che sostenete il contrario siete snob da due soldi, oggi Will
Sheff, ex sfigato pretenzioso, va in televisione a presentare il suo ultimo disco e da lì ci racconta dell’America
degli anni zero e della crisi di valori mentre la vecchiaia di Bob Dylan è roba da far compassione. Sheff oggi è
lontano anni luce dall’occhialuto che decideva di proposito un nome che fosse difficile da ricordare per il suo
gruppo, lui e gli Okkervil River sono ormai figure che si sovrappongono completamente tanto che anche il
titolo del disco, per puro caso o forse no, parla al singolare. C’è la sua firma, oltre che ovviamente sulla
scrittura dei brani, anche sulla produzione ed è quasi un lavoro degno di un direttore d’orchestra per il
numero di strumenti impiegati. Con I Am Very Far il ragazzo ha giustamente intenzione di giocarsi al meglio
le proprie carte in mezzo ai grandi del rock, e allora immagino abbia avuto in mente i fuochi d’artificio che
spettano agli headliner di festival importanti quando dice di dover portare la proprio bravura ad un livello
ancora più alto, da qualche altra parte, molto lontano per l’appunto. In questo modo il ritmo marziale di “The
Valley” diventa un modo per confrontarsi con mondi vicinissimi agli Arcade Fire, la notturna e languida
“Piratess” per fare il verso ai TV On The Radio mentre un po’ dappertutto c’è la voglia matta di fare i Wilco
ed essere Jeff Tweedy. E dire che stando a quanto dichiarato in alcune interviste questa volta Sheff avrebbe
preferito utilizzare un approccio emozionale più che celebrale. “Wake And Be Fine” e “Show Yourself”
sembrano funzionare ancora come funzionavano i brani degli ultimi dischi ma tutto il resto sono brani
iperprodotti, svuotati di ogni possibile senso e che per quanto ci provino non riescono a trasmettere
emozioni di sorta. “We Need A Myth” su tutte, con la sua satira sferzante e velleità da inno generazionale, è
quasi desolante e sono io il primo a dispiacersene.
La narrazione diventa sproloquio, il racconto della provincia americana rimane schiacciato sotto le esigenze
da band di livello mondiale che sono roba pesante. Giocarsi bene le proprie carte non è cosa facile neanche
se ti chiami Will Sheff e per una volta può capitare che il risultato non sia all’altezza, come succede questa
volta agli Okkervil River. L’intenzione era viaggiare molto lontano ma io qua mi sono perso e chissà se per
davvero il problema è solo mio.