capitolo 6 il flusso di lavoro nelle imprese cinematografiche

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capitolo 6 il flusso di lavoro nelle imprese cinematografiche
CAPITOLO 6
IL FLUSSO DI LAVORO NELLE IMPRESE CINEMATOGRAFICHE
1. La forte componente di rischio delle imprese cinematografiche
Una peculiarità che rende diversa l’industria cinematografica, e più in generale l’industria media, dagli altri
settori economici sta nella maggiore componente di rischio che le imprese operanti in quest’ambito devono
affrontare. Il surplus di rischio si deve al fatto che i costi necessari per realizzare e proporre al mercato un
prodotto media sono spesi per la maggior parte prima che il prodotto entri effettivamente a contatto con il
pubblico. Ciò significa che se l’opera (cinematografica, televisiva, letteraria, giornalistica1 etc.) non ha
successo, l’imprenditore media non avrà modo, se non in minima parte, di arginare le perdite. La
caratteristica di concentrare tutti i costi, con qualche approssimazione, sulla prima copia del prodotto
media ha fatto sì che si coniasse l’espressione “maledizione della prima copia”2, parafrasando il titolo di un
famoso film. Con essa si intende esprimere la considerazione che, se la prima copia non ha il successo
sperato presso il pubblico, chi ha investito nel film molto probabilmente avrà perso in tutto o in parte i suoi
soldi.
Ed è proprio per premunirsi contro questi rischi ineliminabili che tutta l’industria cinematografica, e in
modo particolare quella statunitense (sul modello della quale hanno poi cercato di definirsi tutte le
cinematografie occidentali e non solo), ha adottato una struttura imprenditoriale adatta e flessibile,
strutturando il lavoro in diverse fasi progressive al fine di ottimizzare i risultati.
1
Per quanto riguarda le opere letterarie, si potrebbe obiettare che la numerosità delle copie cartacee distribuite ha un
peso non trascurabile sulla struttura dei costi. Va però fatto notare che il numero delle copie stampate va comunque
deciso prima dell’uscita del prodotto e quindi anche in questo caso i margini di contenimento delle perdite non sono
molto ampi.
Nel caso dell’editoria giornalistica, la pratica di stampare un numero di copie maggiore di quelle effettivamente vendute
ha dato origine al fenomeno delle rese, che pesa molto sui bilanci. Negli ultimi tempi, però, le imprese editrici di
giornali hanno adottato politiche di forte contenimento delle rese anche a rischio che i lettori facciano più fatica a
trovare la copia del giornale.
2
G. Celata, “La maledizione della prima copia”, Reset, ottobre 2005.
1
2. Il flusso del lavoro cinematografico
Con flusso di lavoro nelle imprese cinematografiche si intende il succedersi delle diverse fasi lavorative che
portano alla realizzazione del prodotto filmico. A voler schematizzare, si potrebbe tentare di mostrare la
successione di questi step produttivi attraverso la figura seguente.
La filiera del lavoro nelle imprese cinematografiche
Acquisizione
della
sceneggiatura,
scelta del cast,
acquisizione dei
finanziamenti
Pianificazione
della
produzione
Montaggio e
postproduzione
Riprese
Distribuzione
Altri mercati:
televisione,
home video,
new media
Esercizio
cinematografico
Fonte: Elaborazione da Picard, R. G., 2005
2
Questa figura è molto utile perché ad un primo sguardo fornisce subito un’idea della complicata e lunga
procedura che porta alla produzione e alla distribuzione di un film.
La filiera del prodotto cinematografico (che è un’altra espressione per chiamare il flusso del lavoro nelle
imprese cinematografiche) conta tre grandi fasi: la Produzione, la Distribuzione e l’Esercizio, in cui
comprendiamo anche gli altri Mercati di Sbocco.
È importante sottolineare che la filiera produttiva descritta di seguito è pressoché la stessa per qualsiasi
prodotto audiovisivo, sia che si tratti di un film, di una serie tv, di uno spot pubblicitario, di un video
musicale o quant’altro. In particolare, la produzione è comune a cinema e televisione mentre la
distribuzione presenta percorsi differenti per il prodotto filmico e quello il prodotto televisivo. Per
quest’ultimo, com’è noto, non c’è il passaggio nelle sale.
2.1 La Produzione
Questa prima fase è mirata alla realizzazione della prima copia, detta master, di un film. A tal fine vengono
coinvolte nella lavorazione professioni di carattere e ordine differenti. Questa collaborazione viene decisa
dal produttore secondo clausole contrattuali specifiche per ogni input artistico o tecnico. La produzione a
sua volta può essere divisa in quattro sotto-fasi: Sviluppo, Pre-Produzione, Riprese, Post-Produzione.
2.1.1 Lo Sviluppo
Lo sviluppo è la fase iniziale della produzione, quella in cui il progetto inizia a prendere una prima,
sommaria forma. In questa fase è necessario che il produttore acquisisca i diritti di sfruttamento economico
della proprietà dell’opera letteraria che vorrà sceneggiare per poi tradurre in film. Il soggetto di un film può
essere tratto da due diversi tipi di proprietà: il soggetto originale (cioè prodotto spontaneamente o su
commissione), oppure un adattamento tratto da un’opera letteraria già esistente.
In ogni accordo il produttore acquisisce il titolo dell’opera, la trama e la tematica, i personaggi e gli
adattamenti, le differenti versioni e le traduzioni. Vi sono comunque dei diritti connessi alla proprietà, e
questi diritti potranno essere acquistati in blocco o solo in parte dal produttore. Tra questi diritti si
annoverano, ad esempio, il diritto a programmare la pellicola tratta dalla proprietà nelle sale
cinematografiche, oppure il diritto a trasmetterlo su tutti i tipi di televisione, o ancora quello di distribuirlo
in modalità home video perché, come si può dedurre, diversi mercati di sbocco sono regolati da diversi
diritti.
A questi appena elencati, si aggiungono poi il diritto a trarre e distribuire una colonna sonora dal film, e il
diritto al merchandising, cioè a produrre e distribuire o concedere in licensing a terzi articoli di consumo
vario, dai giocattoli a capi di vestiario a articoli per la casa etc., che riportino il nome del film o ne
riproducano i personaggi. Questo diritto al giorno d’oggi è divenuto indispensabile da acquisire, soprattutto
per i grandi blockbuster statunitensi, vista l’importanza che il merchandising riveste in termini di ricavi.
3
Stendere la sceneggiatura in fase di sviluppo non è assolutamente un processo così lineare come potrebbe
pensarsi: in realtà infatti esistono diverse sotto-fasi anche per la stesura. Il perché di questa suddivisione è
dovuto a problemi contrattuali che interessano il rapporto di lavoro tra produttore e sceneggiatore:
essendo difficile stabilire se una sceneggiatura completa è o meno un buon prodotto, si è cercato di
risolvere la questione ponendo un risultato previsto al termine di ogni fase, così da permettere al
produttore di decidere, a seconda che sia o meno soddisfatto, di affidare le fasi successive della stesura allo
stesso soggetto oppure ad altri.
Nel complesso, le fasi di stesura della sceneggiatura sono quattro, la prima delle quali è costituita dal
trattamento, in cui si sviluppa a grandi linee il soggetto da trattare e si presentano le caratteristiche dei
personaggi.
Segue la composizione delle bozze, in cui invece si scrivono esattamente tutte le battute e le scene,
descrivendo ogni sequenza con molta precisione.
La riscrittura è la fase in cui si apportano delle modifiche al testo a seconda delle scelte del produttore.
Infine c’è la pulitura, in cui si apportano gli ultimissimi aggiustamenti e si produce la versione finale della
sceneggiatura. Ciò non toglie che questa possa essere modificata ancora in corso d’opera: ad esempio, se
una determinata scena non rende di fronte alla telecamera si può chiedere allo sceneggiatore di riscriverla.
2.1.2 La Preproduzione
Nella fase di pre-produzione il produttore ha l’incarico di trovare i due tipi di risorse fondamentali per
realizzare il progetto: le risorse finanziare e le risorse creative.
Chiaramente trovare dei finanziatori che credano in un progetto e siano disposti ad investire milioni di euro
o di dollari non è semplicissimo. La presente analisi peraltro a questo punto si complica, dal momento che
diventa necessario distinguere tra i finanziatori USA e i finanziatori europei. Europa e Stati Uniti infatti
adottano strategie produttive differenti, e differenti del resto appaiono i loro prodotti.
La grande distinzione che le produzioni statunitensi presentano è quella tra:


Majors, società di produzione e distribuzione di grandi dimensioni che possono scegliere ancora se
realizzare in proprio una produzione interna o affidarne una a terzi, “in outsourcing”, esternalizzata;
Indies, le produzioni indipendenti, che a loro volta possono essere di due tipi:
o finanziate dalla majors a seguito di contratti di distribuzione stipulati prima che le riprese
inizino, contratti i quali garantiscono al produttore indipendente la certezza che il suo film
raggiungerà le sale grazie alla politiche di distribuzione della major;
o indipendenti “pure”.
Per finanziare il progetto, la casa di produzione o dispone già di capitale proprio da investire o può
ricercarlo esternamente, acquisendo quindi capitali di rischio o capitali di prestito. Chiaramente una major
avrà minori difficoltà a raccogliere finanziamenti esterni viste le maggiori garanzie che è capace di dare,
mentre le indies devono certamente faticare di più: una soluzione intermedia, in termini di possibilità di
4
riuscita, è quella di una produzione indipendente finanziata però indirettamente dalla major, considerando
appunto che il contratto di sicura distribuzione è certamente una garanzia per gli investitori.
In Europa la situazione è differente. Innanzitutto non c’è questa profonda discrepanza tra le società di
produzioni. Inoltre, solitamente i soggetti finanziatori delle produzioni cinematografiche sono lo Stato - ad
esempio in Italia esiste il FUS, il Fondo Unico per lo Spettacolo, attualmente molto ridimensionato in valore3
- oppure i grandi gruppi televisivi. Anche in questo caso spesso dietro i gruppi televisivi può esserci lo Stato,
visto che molti di questi gruppi europei sono pubblici: sempre in Italia, un grande produttore di cinema è
Rai Cinema.
Quest’aspetto rende ben diverso l’approccio che i produttori hanno verso i mercati di sbocco. Infatti se
negli USA il mercato primario è la sala cinematografica, in Europa l’interesse principale del produttore è
quello verso il mercato televisivo, per cui in Italia, ad esempio, un film che si prevede vietato ai minori di 18
anni e che quindi non può arrivare sugli schermi televisivi ha perso gran parte delle sue possibili risorse
economiche. A questo c’è da aggiungere che i finanziamenti statali non sono rilasciati sulla base di
parametri industriali o più semplicemente economici, ma artistici, il che fa sì che spessissimo vengano
prodotti film dall’alto valore estetico ma di scarso successo al botteghino. Questo allontana ancora di più la
politica produttiva (e distributiva) europea da quella statunitense, basata invece su una concezione del
prodotto cinematografico market-oriented, cioè orientata al soddisfacimento del pubblico e non al singolo
prodotto filmico. Ed è del resto in nome di questo interesse per chi poi andrà a vedere il film che si sono
sviluppati i generi cinematografici, anche in funzione dei target di riferimento.
Tenendo ben presenti queste profonde differenze, è possibile individuare cinque tipi di accordo per la
produzione di un film4. I fattori da considerare nella definizione di queste diverse tipologie sono la modalità
di finanziamento ed i soggetti coinvolti nell’opera.
1. Accordo di produzione e distribuzione in-house: è la soluzione più semplice, visto che lo studio
acquisisce tutti i diritti di sfruttamento commerciale del soggetto e produce e distribuisce il film
utilizzando risorse proprie.
2. Accordo di Produzione-Finanziamento-Distribuzione (PDF): il distributore finanzia il progetto della
società di produzione indipendente, che ha già provveduto all’acquisizione dei diritti di proprietà e
alla fase di sviluppo. Il contratto, stipulato prima che inizino le riprese, naturalmente prevede che la
major si impegni a distribuire la pellicola. Questo è l’accordo tipico delle produzioni statunitensi.
3. Accordo Negative Pickup: il distributore finanzia direttamente soltanto i costi di distribuzione. Poi,
se il film rispetterà certe condizioni prestabilite il distributore rimborserà anche i costi di
produzione. Il produttore deve ricercare finanziamenti da terze parti se vuole far partire la
produzione.
3
Di recente l’intervento dello stato in materia di finanziamenti alle produzioni cinematografiche si è spostato dal
finanziamento diretto (rappresentato dal FUS) al finanziamento indiretto, tramite detassazioni per chi sceglie di investire
in una produzione (tax credit, tax shelter). Ovviamente il FUS non è sparito ma il capitale di cui dispone si è
decisamente ridimensionato.
4
In questo caso, il discorso sarà riferito prevalentemente al mercato statunitense.
5
4. Accordo di acquisizione puro: in questo caso l’accordo viene firmato solo a lavoro di produzione
completato. Il distributore si impegna a fornire i fondi per la distribuzione.
5. Accordo di rent-a-distributor: il distributore fornisce soltanto i servizi necessari alla
commercializzazione del film, ma i costi della distribuzione devono essere sostenuti da terzi.
Le tipologie di produzione cinematografica e le modalità di finanziamento
MAJOR
INDIE
In house
P-D-F
negative pickup acquisizione
rent a distributor
Fonte di capitale per la produttore/ produttore/
produzione
distributore distributore prestito
terza parte
terza parte
Fonte di capitale per la
distribuzione
distributore distributore distributore
distributore
terza parte
Momento di
prima della
conclusione dell'accordo produzione
prima della
produzione
prima del
dopo il
dopo il
completamento completamento completamento
Fonte: Cones 1996, riportata in Perretti F., Negro G., 2003
Sulla base delle cinque tipologie di accordi di finanziamento che rendono possibile la produzione di un film,
si può schematizzare una possibile ripartizione dei differenti tipi di prodotto filmico che possono essere
realizzati:
1. Passion Pieces: sono le produzioni indipendenti a basso budget (al massimo 3 milioni di dollari),
pensati prevalentemente per i circuiti festivalieri o come sperimentazione da parte di giovani artisti
che vogliono presentarsi sul mercato. Vengono chiamati in questo modo perché sono realizzati e
finanziati con passione da parte dei giovani filmmaker, senza alcun elemento dello star system.
Solitamente, salvo rarissime eccezioni come The Blair Witch Project, non raggiungono grandi
successi di pubblico.
2. Commercials: sono le produzioni a medio-basso budget, compreso fra i 3 e i 12 milioni di dollari,
destinate al mercato. Solitamente sono coprodotti da più soggetti e presentano, al contrario dei
passion piece, degli elementi dello star system, che facilitano l’accordo distributivo nel mercato Usa
e internazionale.
3. Produzioni ad alto budget: sono frutto dell’incontro tra grandi major e grandi società di produzione
indipendenti. I loro budget possono raggiungere anche i 100 milioni di dollari.
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4. Produzioni ad altissimo budget: sono quei film finanziati, prodotti e distribuiti totalmente dalle
major, viste le cifre da capogiro dei costi medi per produrre un film. Per raccogliere il maggior
successo possibile, queste produzioni sfruttano ampiamente gli elementi del sistema divistico e dei
generi. Oggi stanno diminuendo perché solitamente anche le major cercano la collaborazione di
altri soggetti produttivi.
2.1.3 Le Riprese
E’ questa la fase in cui tutti i diversi input creativi e tecnici devono collaborare al meglio delle loro
possibilità per garantire un risultato ottimale. E’ una fase molto difficile da gestire, dal momento che
organizzare il lavoro di decine e decine di persone con professionalità così diverse impegnate su un unico
set è un compito davvero arduo. Il regista in questo momento detiene il potere, è la figura che dirige in
qualche modo tutti i lavori. Vista la complessità di quest’attività, in molti casi il regista non può essere
presente sul luogo delle riprese, per cui può far affidamento su una seconda unità di regia, incaricata ad
esempio di girare le scene d’azione con le controfigure. Spetta comunque al regista il compito di
supervisionare quanto prodotto dalla seconda unità.
Quella delle riprese è la fase più costosa di tutta la produzione, soggetta peraltro a possibili fuoriuscite dal
budget o dal piano di lavoro. Si pensi infatti a cosa succederebbe se durante una giornata dedicata a girare
in esterni un violento temporale impedisse la lavorazione: si perderebbero denaro (perché le persone
vanno comunque pagate) e tempo, quindi sempre denaro, perché quello che non si è girato quel giorno va
girato nei giorni successivi. Ne consegue che è estremamente importante tentare di organizzare il tutto nel
modo più preciso possibile e con largo anticipo, così da non incorrere in disavventure dell’ultimo minuto.
I costi in questa fase sono distinti in due categorie che riflettono la più volte citata differenza fra input
creativi e input tecnici. Si hanno:
1. I costi above the line, ossia “sopra la linea”, che riguardano i costi della proprietà letteraria e del
suo adattamento, del regista, degli attori, del produttore e del produttore associato;
2. I costi below the line, “sotto la linea”, cioè quelli che interessano i tecnici e i ruoli manageriali
intermedi come il manager di produzione o l’assistente alla regia.
Si può dire che solitamente maggiore è il budget, maggiore è la percentuale di costi “sopra la linea”, il che
non significa comunque che questi debbano superare in valore i costi “sotto la linea”. Al contrario, il peso
percentuale che hanno i costi below the line è generalmente maggiore per quelle produzioni dai budget non
molto elevati.
E’ anche vero, comunque, che questa distinzione ripetuta anche a livello contabile tra input creativi e input
tecnici ha senso ma fino ad un certo punto. Si prenda la figura del produttore: costui si trova a metà strada
tra chi, amministrando il capitale, deve preoccuparsi del budget, come una figura tecnica, e chi invece
partecipa attivamente alla stesura della sceneggiatura e alla scelta dei vari input da coinvolgere nella
lavorazione.
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2.1.4 La Postproduzione
L’ultima fase della produzione deve concludersi con la realizzazione della copia master che il produttore
consegna al distributore per la riproduzione. In questa fase si procede al montaggio delle scene girate,
all’inserimento della colonna sonora e al missaggio5, alla realizzazione e all’aggiunta degli effetti speciali.
Tutte queste attività vengono svolte in sala di montaggio e il capo del team che si occupa della postproduzione è il direttore del montaggio, che deve quindi lavorare a stretto contatto e in sintonia col regista.
Anche in sede di montaggio, che si penserebbe essere un luogo di tecnici esperti di computer, esiste
comunque una distinzione tra aspetti tecnici e aspetti creativi. Infatti da una parte il montatore deve
preoccuparsi di sincronizzare il suono e l’immagine, ma dall’altra deve collaborare con successo col regista
nell’atto di ricostruire nel modo migliore la narrazione.
Al termine della fase di montaggio viene preparata l’editor’s cut o first cut, cioè una prima versione su cui il
regista può far valere i suoi diritti per poterla modificare. Si avrà in questo caso il director’s cut che verrà
sottoposto al giudizio del produttore. E sarà poi il produttore a decidere se la versione del regista è buona o
se sia più opportuno apportare ulteriori cambiamenti, ritornando in sala di montaggio (anche contro il
volere del regista) per realizzare il final cut, cioè la copia finale e definitiva che verrà consegnata al
distributore6. Sono pochi i registi che tutt’oggi possono godere del final cut e solo perché registi di successo.
In questa fase inoltre si realizzano anche dei primi test con il pubblico, per vedere che effetto la pellicola
suscita sugli spettatori e agire prima di preparare la versione finale da dare alla distribuzione.
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Con missaggio si intende l’incisione di parti dialogate, registrate in precedenza, sulla colonna sonora.
Casi del genere si ripetono nella storia del cinema molto spesso: uno dei più eclatanti è quello che riguarda Blade
Runner di Ridley Scott, uscito al cinema con un finale che il regista non ha mai riconosciuto come suo (il final cut); ed
infatti qualche anno fa, a 20 anni di distanza dall’uscita in sala, Scott è riuscito a far riuscire la sua versione definitiva,
cioè il director’s cut.
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2.1.5 Le figure coinvolte nel processo di produzione
A questo punto si può tentare di tirare un po’ le somme sulle figure impiegate in questa prima fase della
filiera del prodotto cinematografica. Il numero e la qualifica delle persone coinvolte varia di produzione in
produzione, del resto ogni film è un prodotto e un mondo a sé. Inoltre le persone impiegate in una fase non
necessariamente sono impiegate anche in altre. Le tabelle seguenti mostrano rispettivamente le diverse
operazioni compiute in fase di produzione e i diversi input che esse richiedono. Come si vede, non tutte le
risorse umane servono in tutti i momenti; solitamente, anzi, sono soltanto il regista, il produttore e il
produttore associato ad essere coinvolti, più o meno completamente, in tutte e 4 le fasi.
COMPONENTI DI COSTO
Sviluppo
Pre-Produzione
Trama
Acquisizione dei diritti
Sceneggiatura
Sviluppo della sceneggiatura
Set design
Casting
Scelta della troupe
Costume design
Ricerca delle location
Budget
Produzione-Riprese
Sopra la linea
Sotto la linea
Attori
Produttori
Registi
Sceneggiatori
Sala Prove
Set
Guardaroba
Forza Lavoro
Post-produzione
Montaggio
Scoring (colonna sonora creata per il film dal
compositore)
Titoli e crediti
Doppiaggio
Effetti speciali
Sound track (colonna sonora, tutta la musica
presente nel film)
Fonte: Vogel H. L., 2001 [1986]
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FLUSSO DI PROFESSIONALITÀ NELLA REALIZZAZIONE DI UN FILM
Fonte: Silver A., 1975, riportata in Perretti F., Negro G., 2003.
2.2. La Distribuzione
La distribuzione costituisce la fase intermedia della filiera cinematografica. In essa si provvede alla
duplicazione del master al fine di ottenere il giusto numero di copie da inviare alle sale cinematografiche.
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In realtà la duplicazione rappresenta solo una parte degli impegni che interessano il distributore. Infatti il
compito del distributore è quello di tessere rapporti con chi gestisce i mercati di sbocco del prodotto
cinematografico, quindi non soltanto gli esercizi cinematografici (cioè le sale) ma anche i mercati secondari.
Chiaramente il tipo di impegno che vincola il distributore dipende anche dal contratto che può aver siglato
col produttore. Se ad esempio la produzione del film è interna allo studio, il distributore può già trovare gli
esercenti disposti a proiettare la pellicola prima ancora che questa sia ultimata.
I criteri sulla base dei quali giudicare l’operato di una società di distribuzione sono essenzialmente 2:


il catalogo dei film da distribuire;
le caratteristiche della commercializzazione dei titoli nei mercati di sbocco.
Con catalogo dei film da distribuire si intende il numero e la tipologia di pellicole da distribuire sul mercato.
Le politiche che stanno dietro alla commercializzazione dei titoli nei mercati di sbocco prevedono che per
ogni singolo prodotto filmico il distributore sia chiamato a stabilire una strategia di distribuzione e una
strategia di comunicazione. Chiaramente questo tipo di scelte dipende dal portfolio di film a disposizione,
ma anche dalle uscite di altre pellicole da parte di altre società di distribuzione.
2.2.1 I fattori che influenzano la strategia di distribuzione
Le decisioni relativamente al release pattern7 e alla release date8 devono essere prese considerando una
serie molto lunga e complessa di fattori. Innanzitutto si deve conoscere e valutare la natura del film, dal
momento che un blockbuster statunitense (per produrre il quale si sono spese centinaia di milioni di dollari)
deve essere distribuito più capillarmente di un film drammatico con attori poco conosciuti.
In secondo luogo bisogna considerare la capienza delle sale in cui far uscire la pellicola. Sempre rifacendoci
all’esempio di prima, un multiplex sarà sicuramente più adatto di una piccola sala del centro cittadino. Altro
aspetto da tenere sotto osservazione sono gli altri film in uscita nello stesso periodo. Infatti distribuire un
film di animazione qualsiasi sotto il periodo natalizio, quando a farla da padrone è la Disney, è un rischio di
non poco conto: potrebbe rientrare in un progetto di lungo periodo di sottrazione della leadership
dell’animazione alla Disney, ma si rischia moltissimo che il proprio prodotto passi in sordina senza
guadagnare un granché.
In ultimo, bisogna vedere la stagione di uscita. Si pensi, ad esempio, al fatto che in Italia non esiste
un’estate cinematografica, e pochissimi si sono azzardati a far uscire i propri film di punta in questo
periodo9.
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Per release pattern si intende il numero di schermi su cui il film sarà proiettato.
Per release date si intende la data di uscita della pellicola nelle sale. Chiaramente per ogni film esiste un periodo più o
meno congeniale in cui essere distribuito (ad esempio, un film ambientato a Natale è difficile che esca sotto Pasqua). I
motivi per cui si opta per un periodo o per un altro non sono ovviamente dipendenti solo dalle caratteristiche interne del
film.
9
Si è tentato in questi ultimi anni di far uscire film importanti ed economicamente molto costosi durante l’estate, ad
esempio La guerra dei mondi di Steven Spielberg uscì a fine giugno 2005, ma sono casi piuttosto rari. I grandi
8
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A quanto detto bisogna aggiungere che il successo di un film solitamente si decide il primo weekend. Il ciclo
di vita di un prodotto cinematografico nelle sale, in media di 6 settimane, è piuttosto breve e comunque gli
incassi registrano quasi sempre un andamento decrescente nel tempo. l’incasso al box office decide anche il
valore del film quando viene venduto sui mercati “secondari”: televisione, Home Video, Internet. Esistono
anche prodotti, i cosiddetti sleepers, per i quali invece il discorso appena fatto non vale, anzi questi film,
beneficiando molto spesso dell’effetto passaparola, arrivano a conseguire i maggiori incassi soltanto a
distanza di tempo, rimanendo in sala molte più settimane di quanto accada di solito. Basta ricordare il caso
de Notte prima degli esami, distribuito dalla 01, film senza attori molto noti al tempo ma che grazie ad un
particolare mix di fattori ha conquistato il pubblico divenendo col passare del tempo uno dei più grandi
successi italiani dell’anno di riferimento10.
2.2.2 Gli schemi di distribuzione
Gli schemi di distribuzione, cioè i release patterns, che solitamente vengono adottati per distribuire un film,
possono essere di diversi tipi, per l’esattezza cinque. Sia ben chiaro comunque che questi modelli sono stati
elaborati negli Stati Uniti, per cui non è sempre possibile fare un raffronto preciso e puntuale con la realtà
italiana.
1. La Distribuzione Generale: lo schema della distribuzione generale, detto anche wide release,
prevede di saturare il mercato nazionale con un numero elevatissimo di copie. In Italia una
distribuzione del genere prevede di occupare dai 150 schermi cinematografici in avanti, negli USA si
parla di 2000 schermi come numero minimo. Si coprono comunque tutte le aree raggiunte dalle
televisioni nazionali.
2. La Distribuzione Generale Modificata: detta anche modified wide release, si parte da un numero di
schermi molto minore per espandere la programmazione pian piano col passare delle settimane. Il
numero medio degli schermi interessati è di 20 circa in Italia nelle principali città e di 100-150 negli
USA. Non si raggiungono subito tutte le zone coperte dai network nazionali.
3. La Distribuzione Selezionata: questo modello (chiamato in inglese limited run) prevede una
distribuzione su pochi schermi, localizzati di solito nelle grandi città. Il prodotto, specialmente se di
nicchia, viene “testato” sui pubblici metropolitani. Se riscuote successo il distributore può decidere
di aumentare le copie, altrimenti lo ritira subito dal mercato.
4. La Distribuzione ad Ombrello: (umbrella booking) si sceglie un mercato locale e lo si satura. Se il
prodotto riscuote successo si può passare ad un altro mercato locale. Questa era la politica Disney
nel passato, quando concentrava gli investimenti pubblicitari solo nella zona dove poi avrebbe fatto
uscire la pellicola, e poi si trasferiva in un’altra.
blockbuster infatti possono fare da padroni in questo periodo, contando sul fatto che non c’è nessun altro prodotto
capace di competere con loro e quindi la concorrenza è nettamente inferiore se non quasi inesistente.
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La top 100 dei maggiori incassi cinematografici pubblicata su Ciak sul numero 8 di agosto del 2006 lo mette al
decimo posto, con un incasso di 12.134.368 euro.
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5. Il Test di Distribuzione: (test booking) si sperimentano differenti campagne pubblicitarie in mercati
locali differenti, al fine di individuare il pubblico target più adatto per il film. Se il film non riscuote
successo, può essere subito ritirato dal mercato.
2.2.3 Le modalità di distribuzione
Finora ci si è concentrati quasi esclusivamente su come la distribuzione lavori per posizionare il prodotto
presso il pubblico. Si tratteranno ora le diverse modalità attraverso cui avviene fattivamente la
distribuzione di un film11 che possono essere di tre tipi:
1. distribuzioni major: i grandi distributori hanno il controllo diretto sulle reti di vendita, chiamate film
exchange, non solo sul territorio nazionale ma anche su quello internazionale. Sia che il film sia
prodotto internamente sia che sia acquistato da indipendenti, secondo gli accordi già mostrati
precedentemente, le major riescono a distribuirlo negli USA e in moltissimi altri Paesi con relativa
facilità. Questi film distribuiti dalle major incassano circa l’80% degli incassi cinematografici totali
annui, e questa situazione di vantaggio non è tale solo negli Stati Uniti ma anche in Europa, dove le
major arrivano a conquistare il 70% circa degli incassi complessivi. Negli USA esistono anche le
cosiddette mini-major, cioè distributori che controllano reti di vendita nazionale ma che devono
rivolgersi alle major per commercializzare il film all’estero. Negli ultimi anni, comunque, tutte le
mini-major hanno stretto rapporti esclusivi con le grandi major o da queste sono stati acquisite.
2. distribuzioni indipendenti: operano prevalentemente in aree regionali circoscritte, o addirittura
metropolitane, quindi New York, Los Angeles, etc. Commercializzano i loro prodotti usando una
rete di sub-distributori per tutte le operazioni negli altri mercati di sbocco su suolo nazionale.
Numerose sono le differenze fra distribuzione major e distribuzione indipendente. Se le major
affrontano elevatissimi costi non recuperabili che innalzano all’ennesima potenza le barriere
all’entrata nel mercato, le indipendenti vivono in un mercato molto più concorrenziale, visto che la
ridotta entità dei costi sostenuti non allontana possibili concorrenti. Se le major possono inoltre
permettersi di commercializzare il film anche all’estero, questo non vale per le indipendenti.
3. distribuzioni miste: queste soluzioni consistono in accordi di noleggio delle sale (four wall deals) o
della rete di vendita (rent-a-distributor deals). Nel primo caso il produttore affitta direttamente le
sale cinematografiche dove proiettare la pellicola pagando un canone alle persone impiegate
nell’esercizio, che conta le figure del gestore, del proiezionista, la biglietteria, etc. Nel secondo caso
il produttore indipendente deve affittare tutto il sistema di distribuzione, pagando il distributore
per i servizi che da lui acquista, quali la prenotazione delle sale, servizi di spedizione, servizi di
raccolta degli incassi, etc.
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Come già altrove si prende a modello il mercato cinematografico statunitense.
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2.3 L’esercizio e gli altri mercati di sbocco
Il sistema distributivo sta vivendo oggi una profonda trasformazione, dovuta al fatto che il film non può più
essere considerato esclusivamente un prodotto per la sala cinematografica. Al contrario, un film oggi è un
prodotto capace di vivere di vite differenti (anche se mai completamente opposte) in momenti diversi. Per
cui la terza fase della filiera produttiva non può più essere considerata solo l’esercizio, ma anche tutti quegli
altri mercati di sbocco detti secondari o ancillari o sopravvenuti, che in realtà garantiscono incassi maggiori
rispetto alla sala.
2.3.1 La sala cinematografica
In principio, la sala ha rappresentato l’unico mercato sbocco per i film: si può dire che per uno spettatore el
cinema degli esordi il film coincidesse con la sala. Oggi le cose non stanno più così, anche se essa continua
ad avere una sua importanza economica e sociale e continui a rappresentare il mercato di sbocco primario
per le opere cinematografiche.
Molte grandi società di distribuzione oggi controllano anche la fase dell’esercizio cinematografico. Non è
sempre stato così. Si prenda il caso statunitense. Nel 1948 la “sentenza Paramount” aveva imposto alle
major, integrate verticalmente dalla produzione all’esercizio, di cedere il controllo delle sale
cinematografiche temendo un’eccessiva concentrazione monopolistica nel settore. All’improvviso quindi le
major, che controllavano da sempre ogni momento della filiera cinematografica, si trovavano a perdere la
loro posizione di privilegio sul mercato e dovevano accettare di iniziare a contrattare l’uscita delle loro
pellicole con soggetti terzi che gestivano gli esercizi cinematografici.
Questa situazione è durata per una quarantina d’anni. Negli anni ’80 è iniziato pian piano un processo di
revisione che ha portato nel 1986 al via libera, concesso alla Warner Bros., all’acquisto di oltre 100 sale
cinematografiche. Naturalmente, le altre major non rimasero con le mani in mano e si diedero da fare per
acquistare esercizi cinematografici, dal momento che detenere delle sale di proprietà significa da una parte
avere un mercato di sbocco sicuro, dall’altra la possibilità di organizzare al meglio le strategie distributive
del proprio catalogo di film in uscita.
Ad ogni modo, la maggior parte degli esercenti è a tutt’oggi indipendente dalle grandi case di distribuzione
(sia negli Stati Uniti sia in Europa) e, pur essendo organizzate in società vere e proprie, sono esterne alla
struttura verticale delle major.
Solitamente, il distributore presenta le pellicole che intende far arrivare sul mercato con 4 mesi di anticipo,
allegando ad ognuna la descrizione della trama, il cast, la data prevista per l’uscita. Una volta che
l’esercente ha scelto cosa noleggiare, si discutono i termini dell’accordo, stabilendo ad esempio come
spartire i ricavi e il numero minimo di settimane di programmazione. Il contratto più comune prevede una
ripartizione degli incassi 90-10, secondo cui gli esercenti pagano ogni settimana al distributore una cifra pari
al 90% degli incassi in eccesso rispetto al cosiddetto house nut, cioè una cifra fissa stabilita nel contratto
stesso.
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Un tempo il noleggio era interessato da due pratiche che col tempo sono state vietate perché
anticoncorrenziali: da una parte il blind bidding, dall’altra il block booking. Nel primo caso il distributore
costringeva l’esercente a noleggiare una copia del film senza poterla vedere in anticipo. Nel secondo caso
invece il distributore non noleggiava le copie di un film singolo, ma li noleggiava a pacchetto, vincolando
così l’esercente che voleva avere una copia di un film a prenderne a noleggio anche un altro di minore
attrattiva.
Finora si è fatto riferimento soltanto agli incassi derivanti dalla vendita di biglietti, come se questi fossero
l’unica entrata per gli esercizi cinematografici. Ma le fonti di ricavo per un esercente non si limitano a
questo. Infatti solitamente l’esercizio offre tutta una serie di servizi aggiuntivi che influiscono positivamente
in termini di ricavi, ad esempio la vendita di snack o bibite. Oppure, l’esercente può trarre guadagni
dall’affittare la sala per eventi privati, come congressi, etc.
Si è già ricordato che il sistema della distribuzione è cambiato e che l’esercizio non è più l’unico mercato di
sbocco né il più redditizio, ma anche le sale non sono più quelle degli esordi. Già da tempo hanno fatto la
loro comparsa sul mercato i multisala, i multiplex e i megaplex, dotati di un numero di schermi sempre
crescente (e quindi in grado di proporre ai propri clienti una gamma più ampia di film da vedere).
I vantaggi che questi esercizi commerciali garantiscono sono diversi. Innanzitutto l’esercente di un multiplex
può sfruttare al meglio le differenti capienze delle sue sale, in modo da spostare la programmazione di
pellicole già uscite da qualche settimana in sale più piccole, lasciando libere quelle con capacità maggiori
per nuove uscite di grande richiamo. Questo peraltro incide positivamente sul ciclo di vita del film, che si
allunga, perché quando inizia a calare il successo del film l’esercente sposta la pellicola di salam mentre
prima era costretto a cambiare film.
Inoltre i multiplex riducono il rischio per l’esercente che, proiettando molti film, può spalmare il peso di un
insuccesso su tutta l’offerta: se una pellicola non ha il successo sperato questo incide meno sui bilanci di un
multiplex che su quelli di una monosala. Parallelamente, aumenta la possibilità che tra tutti i film proiettati
ce ne siano almeno uno o due di successo.
Inoltre, i costi medi di gestione dell’esercizio, diluendosi su un numero di schermi elevato, si riducono.
Avere 8 singole sale separate significa avere 8 diversi staff impegnati nella cura e gestione delle stesse,
mentre averne 8 in un unico edificio permette di ridurre il personale.
Infine, bisogna considerare i servizi secondari di cui si parlava prima. Offrire ai propri clienti un parcheggio,
a volte addirittura coperto, dare loro la possibilità di avere un pasto qualora lo desiderino, o prendere
soltanto qualcosa da bere in attesa che il film inizi o durante lo spettacolo migliora sensibilmente
l’esperienza del consumo cinematografico. Si consideri che solitamente negli USA i multiplex sorgono
all’interno di centri commerciali, il che aumenta le possibilità garantite agli spettatori di sfruttare il tempo
libero prima della proiezione facendo tranquillamente shopping.
Costruire un multiplex è comunque un investimento molto elevato, che pochi grandi circuiti possono
permettersi. Basti dire che un circuito di 30 sale arriva a costare 30 milioni di dollari. Non stupisce, dunque,
che si siano verificati anche numerosi fallimenti in questo nuovo mercato. Ciò ha costituito una spinta verso
una maggiore concentrazione dei multiplex nelle mani di poche società di esercenti.
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Più di recente, la sfida che gli esercenti devono affrontare è la digitalizzazione dei propri macchinari, che
porterebbe indubbi vantaggi sia alle società di produzione che alle società di distribuzione perché le prime
potrebbero girare direttamente in digitale e le seconde non avrebbero la necessità di duplicare e spedire
materialmente le pellicole ma potrebbero semplicemente inviare i film utilizzando la rete e le connessioni
satellitari. Il problema è che il costo della digitalizzazione ricade tutto sui gestori delle sale, i quali, invece,
ne avrebbero dei ricavi minimi.
2.3.3 I cosiddetti mercati secondari
L’espressione “mercati secondari” è stata coniata appositamente per le pellicole cinematografiche che,
dopo essere uscite nelle sale, venivano commercializzate anche su altri canali.
Attualmente questa definizione non è più corretta, per almeno due buone ragioni. In primo luogo, perché
gli altri mercati di sbocco non sono affatto secondari, né in termini di visibilità del prodotto filmico né in
termini economici.
In secondo luogo, perché tutti gli altri canali hanno fatto sì che venissero generati prodotti specifici per
questi mercati: si pensi, a questo proposito, ai lungometraggi concepiti appositamente per la televisione,
ossia i tv movie e le fiction.
Di seguito si analizzeranno i principali mercati di sbocco dei prodotti audiovisivi, iniziando proprio dalla
televisione, nelle sue forme free e pay.
La televisione generalista
La televisione generalista è una piattaforma distributiva molto importante sia per il cinema che per la
televisione.
Per il primo essa rappresenta un mercato di sbocco secondario, l’ultimo in ordine di tempo. Ciò conferisce
ai film una peculiarità rispetto agli altri programmi televisivi: essi sono già noti al grande pubblico. Questa
caratteristica è portatrice di un vantaggio e di uno svantaggio per le pellicole cinematografiche e per gli
attori che hanno il compito di distribuirle.
Un vantaggio, perché esse sono l’unico prodotto che i broadcaster acquistano conoscendo già il loro valore,
definito dal volume degli incassi registrati dal distributore al box office in primis e nella altre fasi di
distribuzione.
Uno svantaggio, perché, non essendo prodotti nuovi, le pellicole cinematografiche non sempre vengono
mandate in onda in prime time, quando i grandi network televisivi tentano di raggiungere delle audience
16
vaste e di ottenere conseguentemente ampi fatturati dalla vendita degli spazi pubblicitari12. Ciò
contribuisce a far sì che il valore retail del segmento free tv rispetto agli altri mercati sia inferiore.
Ricavi del film cinematografico (M€). 2006 - 2010
Nel 2010, ad esempio, su un totale di spesa diretta da parte dei consumatori di 1.760 milioni per la fruizione
di contenuti cinematografici, la free television ha inciso per 255 milioni, ossia circa il 14,5% del ricavo totale
12
La fascia oraria di messa in onda dipende dal film in questione: se esso non ha avuto un grande successo di pubblico
tenderà ad essere escluso dalle fasce di maggior ascolto.
17
diretto ottenuto grazie alla spesa degli spettatori. Si tratta di una percentuale significativa ma che, se si
eccettua il dato del 2009, mostra un calo rispetto agli anni passati.
Con l’avvento del digitale terrestre e la conseguente esplosione dei canali, i film sono ritornati in prima
serata sui canali tematici ad esse dedicati, talvolta registrando anche risultati significativi.
Ma la televisione è soprattutto l’habitat naturale delle fiction, il prodotto audiovisivo creato appositamente
per essere trasmesso sul piccolo schermo. Le serie televisive ovviamente non hanno il problema sopra
descritto a proposito dei film: esse sono un prodotto nuovo e quindi vengono largamente sfruttate in prima
serata.
La pay tv e la pay per view
La televisione pay è l’altro grande canale di sbocco dei prodotti cinematografici. Ne esistono di due tipi: la
pay tv e la pay per view.
La prima permette la visione di un numero considerevole di canali, scelti all’interno di un’offerta molto
ricca, a fronte del pagamento di un abbonamento. La peculiarità della pay tv non è soltanto l’elevato
numero di canali, ma più che altro la loro tipologia: essi infatti sono prevalentemente tematici, dediti cioè a
trasmettere soltanto un certo tipo di contenuti. In Italia attualmente esistono due pay tv: si tratta di Sky e di
Mediaset premium13.
La pay per view, invece, è strutturata in modo tale che lo spettatori paghi per la visione di un singolo
evento. Tramite questo pagamento abilita il proprio decoder alla ricezione del segnale.
In entrambi i casi, i film sono prodotti forti e appetibili per il pubblico. Nel caso della pay tv, esistono interi
canali creati appositamente per ospitarli: si pensi, ad esempio, a Mediaset, che mette a disposizione degli
utenti diversi canali dedicati sia la cinema che alle serie tv, spesso distinti per genere (Cinema Emotion,
Cinema Energy, Cinema Comedy).
Le tv a pagamento sono una piattaforma di grande interesse per i contenuti audiovisivi. Secondo uno studio
della Fondazione Rosselli, nel 2010 le pay tv rappresentavano il 33% del mercato; si tratta di una crescita
significativa se si pensa che nel 2003, l’anno in cui Sky è approdata sul mercato italiano, essa occupava un
segmento di mercato di circa il 10%.
Per quanto riguarda, poi, il consumo di film, i dati mostrano un aumento significativo della spesa dei
consumatori su questa piattaforma.
13
Anche Telecom Italia aveva lanciato una propria pay tv, Dahlia tv, che però è stata chiusa nel 2011.
18
Fonte: Screendigest, 2012
Il segmento pay è così importante che sta sopravanzando la pubblicità in termini di ricavi: esso ormai
rappresenta il 42% delle risorse complessive di mercato, a fronte di una quota del 37% attribuibile alla
pubblicità.
L’Home video
Come mostra la figura seguente, il mercato che invece sta subendo una decisa contrazione è quello
dell’home video, sia nella sua componente di noleggio, detta rental, che in quella sell, di vendita.
Fonte: Univideo, 2011
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Il calo maggiore, però, è stato fatto registrare dal mercato del noleggio fisico, che è passato a rappresentare
il 15% del mercato HE (Home Entertainment) quando nel 2005 poteva vantarne il 31%.
Simbolo dei problemi che questo settore sta attraversando ormai già da qualche tempo è stata la messa in
liquidazione volontaria di Blockbuster Italia, che nel 2012 ha chiuso i battenti dopo 18 anni di attività. Si
tratta di una tendenza che non riguarda solo il nostro Paese. Negli Stati Uniti, lo Stato in cui è nato e
cresciuto il colosso del videonoleggio, Blockbuster è stato messo in crisi da Netflix, il servizio che permette
agli utenti di guardare in streaming film e programmi tv pagando un abbonamento mensile14.
La situazione è meno critica per il comparto vendita, anche se il trend rimane comunque negativo.
Fonte: Univideo, 2011
14
Reed Hastings, fondatore di Netflix, ha raccontato che, indirettamente, è stata proprio Blockbuster a suggerirgli l’idea
di creare il suo servizio di streaming video, quando ha dovuto pagare una penale perché era in ritardo con la consegna
del DVD preso in affitto.
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Fonte: Univideo, 2011
I new media
Ma il mercato di sbocco più promettente per il futuro è rappresentato dai nuovi media, per via delle
innovazioni che essi portano con sé.
Si è detto nei capitoli precedenti delle nuove piattaforme di fruizione dei contenuti video, come l’IpTv, la
Mobile tv, la Web tv. La parte più interessante di ciò che queste piattaforme permettono di fare è la
possibilità di accedere ai contenuti che si preferiscono quando e dove si vuole.
Si tratta di un’innovazione non da poco se si pensa che in passato, per vedere un film, una fiction o un
qualsiasi programma tv, occorreva trovarsi davanti alla televisione o in una sala cinematografica (nella
maggior parte delle volte ad un orario prestabilito).
I nuovi media rompono questo paradigma e vanno a conquistarsi il tempo del consumatore laddove c’è,
magari quando si viaggia o quando si aspetta il proprio turno dal medico.
La filosofia che permea questo nuovo modo di fruire i contenuti multimediali è quella del Video on demand,
grazie al quale lo spettatore può scegliere il film, la fiction o il programma televisivo da vedere da un
catalogo di contenuti proposti e, tramite pagamento, fruirne sulla propria tv o su un altro device (PC,
Tablet, Smartphone).
Il mercato del VoD è molto interessante in termini economici. Secondo i dati di Digital TV Research Ltd.,
esso nel 2010 ha presentato ricavi per 3,6 miliardi di dollari e, secondo le previsioni della stessa società di
ricerca, nel 2016 esso sarà destinato a crescere fino ad arrivare a 5,7 miliardi di dollari.
21
Ma la parte più interessante della ricerca condotta da Digital TV Research Ltd riguarda proprio il nostro
Paese, il secondo per spesa sul mercato del VoD con una somma pari a 498 milioni di dollari, che nel 2016
dovrebbe arrivare a 509 milioni di dollari15.
3. La catena del valore
La catena del valore di un contenuto audiovisivo è la declinazione del fatturato ottenuto grazie al
commercio dei prodotti filmici tra i diversi mercati di sbocco.
In passato tracciare la catena del valore di un prodotto cinematografico era piuttosto semplice: per i film
essa era data dall’andamento del box office e poi, in seguito, dalla vendita dei diritti alla televisione e
all’Home Video.
15
Fonte: http://www.next-tv.it/2011/07/26/l%E2%80%99italia-seconda-al-mondo-per-spesa-in-video-on-demand-leproiezioni-fino-al-2016/.
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Con l’avvento dei nuovi media digitali, invece, la situazione si è di molto complicata: come si è detto, sono
emersi nuovi mercati di sbocco, sono apparsi sulla scena nuovi attori e nuove modalità di fruizione del
prodotto audiovisivo. Nuovi settori industriali si sono affacciati sul mercato della produzione e distribuzione
di contenuti audio-video: si tratta principalmente degli operatori di telecomunicazione e delle web
company. Ciò ha cambiato profondamente il mercato, offrendo la possibilità alle emittenti più piccole di
espandersi in una maniera prima difficilmente immaginabile, offrendo i propri contenuti a un pubblico
globale.
I nuovi attori dell'industria audiovisiva
La catena del valore, dunque, è andata diversificandosi, arrivando a comprendere le piattaforme
distributive più diverse.
La catena del valore dell'audiovisivo
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Ciò ha allungato la vita dei prodotti audiovisivi, secondo quanto affermato dalla Teoria della Long Tail di
Chris Andersen. Oggi la vita di un film, ad esempio, non finisce nelle sale cinematografiche o sugli schermi
televisivi ma continua su internet, che permette alle pellicole di stare sul mercato anche quando nei circuiti
di distribuzione tradizionali non è più economico commercializzarle. Sul web, invece, sono nati veri e propri
imperi economici la cui peculiarità sta proprio nel fatto che essi vendono a nicchie di consumatori, sul
mercato globale, prodotti che non rappresentano (o non rappresentano più) dei bestseller. La somma di
tutte queste nicchie genera un mercato importante, a tratti maggiore di quello rappresentato dei titoli con
un successo di massa.
Ma la catena del valore non deriva solo dall’ampiezza della distribuzione. Si crea valore in ogni fase del
processo industriale, quindi, nel caso del prodotto cinematografico (e più in generale dell’audiovisivo),
dall’ideazione del prodotto alla raccolta dei finanziamenti per la produzione, dalle riprese alla postproduzione al confronto del contenuto con l’utente finale, fino a iniziative esterne al processo industriale
stesso, come ad esempio il merchandising o, più in generale, lo sfruttamento del concept dell’opera.
In un contesto simile, così modificato dai cambiamenti tecnologici e di consumo tuttora in atto, sono
diventati decisivi due blocchi della catena del valore.
Il primo è quello è relativo all’aggregazione e distribuzione di contenuti. I distributori cinematografici e i
broadcaster televisivi devono sempre più cambiare i propri modelli di distribuzione tenendo conto delle
nuove opportunità offerte dal web. Opportunità che, se non colte, andranno a beneficio di altri operatori
del mercato. Si legge in quest’ottica la trasformazione dei principali produttori televisivi che, abituati a
proporre una programmazione di flusso a palinsesto, stanno cercando di offrire al proprio pubblico parte
dei loro programmi online, sia in streaming che tramite VOD, dando spazio alla multicanalità.
Il secondo è relativo alla presenza sul mercato di schermi televisivi dotati di connettività broadband, i quali
danno la possibilità ad aggregatori esordienti o già esistenti sul mercato di entrare in competizione con la
programmazione degli incumbent broadcast.
La catena del valore dei contenuti digitali su internet
Più specificamente, diventano chiave in questo mercato 5 componenti:

Approvvigionamento o creazione di contenuti, che può avvenire sia attraverso la produzione
diretta sia attraverso l’acquisto di contenuti da produttori terzi. Questa è la fase presidiata dai
detentori dei diritti di proprietà intellettuale;
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
Post-produzione, che consiste nelle attività necessarie a rendere i contenuti in formato digitale
fruibili e sicuri, con notevoli differenze a seconda del device su cui il contenuto dovrà essere reso
disponibile;

Aggregazione e distribuzione, è la fase in cui operano i soggetti che svolgono attività di
mediazione tra produttore e consumatore finale. Si tratta di packager che organizzano i contenuti
in funzione della piattaforma e del tipo di utenza, trattenendo una quota dei ricavi, secondo un
modello di revenue sharing.

Infrastruttura di rete, che coincide con la fase di trasmissione di contenuti attraverso piattaforme
tecnologiche di diversi tipi. Di questo comparto sono protagonisti gli operatori di
telecomunicazione (sia fissa che mobile), gli operatori di TV digitale terrestre e della TV satellitare,
gli Internet Service Provider (ISP).

Accesso, ossia la effettiva fruizione da parte dell’utente.
Il valore generato lungo tutta la fase di distribuzione fino a valle resta caratterizzato da una forte
concentrazione, essendo suddiviso tra operatori TLC (telecomunicazioni) e broadcaster. Il valore dei
contenuti prodotti si moltiplica lungo la filiera nel passaggio da una fase all’altra, dal produttore all’utente
finale.
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